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ESAME AVVOCATO - SESSIONE 2012
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Da: marylin198312/12/2012 12:44:29
c'è qualcuno  per l soluzione della traccia del notaio....risoviamo con il riesame perchè siamodifensori di tizi?????AIUTO!!!!

Da: 21.12.201212/12/2012 12:44:36
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Da: 21.12.201212/12/2012 12:44:51
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Da: franci844 12/12/2012 12:44:53
RAGA MI DITE SE QUESTO COMPITO E PRONTO DA MANDARE O MANCA ALTRO?????????????????????
SVOLGIMENTO TRACCIA NOTAIO
(CAMBIATELA O E' TUTTO INUTILE)

Col parere oggetto di svolgimento mi si chiede di illustrare la fattispecie penale individuabile dalla condotta del Notaio Tizio con particolare riferimento alle possibilità di confisca per  equivalente dei beni previamente sottoposti a sequestro.  Al fine di rendere il parere richiesto appare quindi necessario muovere dall'istituto della confisca così come previsto dall'art. 322-ter c.p. per i fini che a noi interessano.
La previsione di cui all'art. 322 ter introduce la confiscabilità per equivalente nel caso in cui i beni costituenti il "profitto" o il "prezzo" del reato non siano aggredibili per qualsiasi ragione. La norma prevede che la confisca possa riguardare beni dei quali il reo abbia in ogni caso "la disponibilità" per un valore corrispondente a quello che avrebbe dovuto altrimenti costituire oggetto della confisca.
Nell'ambito delle misure di sicurezza assume un ruolo peculiare la figura della confisca, la cui disciplina generale è contenuta nell'art. 240 c.p. Attraverso detta misura ablatoria vengono acquisiti dallo Stato beni che per la loro intrinseca natura, ovvero per un collegamento funzionale con un illecito penale, devono considerarsi criminosi. Per quanto attiene ai presupposti applicativi della confisca occorre precisare che questa, a differenza della altre misure di sicurezza, prescinde dall'accertamento della pericolosità sociale del reo, essendo sufficiente la commissione di un reato o di un quasi reato.
In linea generale, essa è di applicazione facoltativa (art. 240, comma 1, c.p.) ovvero obbligatoria (art. 240, comma 2, c.p.). Attraverso la l. 29 settembre 2000, n. 300, che ha inciso sul titolo dedicato ai delitti contro la Pubblica Amministrazione, la confisca obbligatoria è stata estesa, grazie alle previsioni contenute nell'art. 322 ter c.p.. ad alcune fattispecie ivi previste e, inoltre, è stato inserito l'istituto della confisca per equivalente, già contemplato dal nostro ordinamento in materia di usura (l.  7 marzo 1996, n. 108). Il tratto che connota tale figura giuridica consiste nella possibilità, per l'autorità giudiziaria, di procedere, qualora manchino i beni che si identificano con il profitto e il prezzo del reato, all'ablazione di beni diversi per un valore equivalente al prezzo del reato (art. 322 ter, comma 1) ovvero al profitto del medesimo (art. 322 ter, comma 2, c.p.).
Fin dall'introduzione dell'istituto della confisca si è aperto un dibattito relativo alla natura giuridica di tale sanzione penale. Precisamente, ci si è chiesti se, conformemente all'intitolato legale, debba considerarsi una misura di sicurezza ovvero assuma i tratti di una vera e propria pena.
La distinzione è di non poco momento, atteso che, ai sensi dell'art. 200 c.p., si applica alle misure di sicurezza un divieto di retroattività temperato, in forza del quale può trovare applicazione la legge in vigore al tempo dell'esecuzione della misura di sicurezza, ancorché sia diversa da quella prevista al tempo del reato commesso, mentre per le pene vale il principio di irretroattività sancito nell'art. 2, comma 1, c.p., il quale ammette deroghe soltanto a favore del reo. Secondo la tesi tradizionale, la ratio di tale opzione normativa riposa sulla diverse funzioni perseguite dalla pena e della misura di sicurezza. Nel primo caso prevalgono esigenze di prevenzione generale, nel secondo caso, invece, è valorizzato il contenuto terapeutico della misura sanzionatoria, sicché trova giustificazione l'applicazione di uno strumento più moderno, sebbene diverso da quello previsto al tempo della perfezione dell'illecito. Resta inteso che, per non svuotare di contenuto le garanzie del reo, è necessario che la previsione di una misura di sicurezza applicabile per il fatto realizzato già sussista al momento della commissione di questo.  
Proprio in materia di confisca per equivalente, le indicazioni provenienti dalla l. 29 settembre 2000, n. 300 orientano a ritenere che la confisca abbia una natura giuridica assimilabile a quella della pena. L'art. 15 (Norma transitoria), preclude infatti l'applicazione retroattiva della confisca per equivalente.
Detto rilievo, già condiviso dalla giurisprudenza delle Sezioni unite in materia di responsabilità degli enti dipendente da reato (Cass. pen., S.U., 27 marzo 2008 - 2 luglio 2008, n. 26654), è stato recentemente confermato dalla Corte costituzionale (Corte cost., 2 aprile 2009, n. 97) la quale, recependo l'approccio sostanzialistico in materia penale, tipico della giurisprudenza della Corte della Europea dei Diritti dell'Uomo, ha riconosciuto nella confisca per equivalente i tratti dell'afflittività, tipici della pena. Poste queste premesse, la Consulta ha statuito che un'applicazione retroattiva dell'istituto di cui all'art. 322 ter c.p. violerebbe l'art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, a tenore del quale nessuno può essere punito con un pena più grave di quella prevista al momento in cui è stato commesso il fatto e, conseguentemente, contrasterebbe con l'art. 117, comma 1, Cost. che impone al legislatore italiano di esercitare la potestà legislativa rispettando i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
La prima problematica che viene in rilievo nel caso di specie attiene alla possibilità di ritenere integrati gli estremi del delitto di peculato dalla condotta di Tizio, il quale riveste la qualità di soggetto pubblico. Nella giurisprudenza della Suprema Corte si osserva un indirizzo interpretativo pacifico secondo il quale il momento consumativo del delitto di peculato deve individuarsi nel comportamento appropriativo dell'agente avente a oggetto il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia il possesso per ragioni d'ufficio o di servizio.
Ed in effetti, a mente della Cassazione penale, sez. V, sentenza n�° 47178/2009, il notaio che ometta il versamento di somme, affidategli da clienti, destinate al pagamento dell'imposta di registro in relazione ad atti rogati incorre nel delitto di peculato. La condotta appropriativa del notaio deve essere qualificata come peculato. Infatti, la qualifica di pubblico ufficiale spetta al notaio non solo nell'esercizio del suo potere certificativo in senso stretto, ma in tutta la sua complessa attività, disciplinata da norme di diritto pubblico e diretta alla formazione di atti pubblici.
Occorre ora chiedersi se effettivamente la misura cautelare, funzionale a quella ablativa, potesse o meno avere a oggetto i beni nella disponibilità di Tizio.
La questione si colloca nel contesto relativo alla definizione dello spettro operativo della confisca per equivalente disciplinata nell'art. 322 ter c.p.
L'art. 322 ter, introdotto nel codice penale dalla l. 29 settembre 2000, n. 300, in occasione delle ratifiche da parte del nostro Paese di specifiche convenzioni internazionali volte a contrastare i fenomeni corruttivi, dispone al comma 1, che in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei delitti contro la Pubblica Amministrazione previsti negli articoli da 314 a 322 c.p. è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono "il profitto o il prezzo" salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando questa non sia possibile, la confisca dei beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale "prezzo" (c.d. confisca per equivalente). Nei termini chiariti dall'autorevole insegnamento delle Sezioni unite della Suprema Corte, la ratio dell'istituto della confisca per equivalente risiede nella scelta di privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall'attività criminosa, anche di fronte all'impossibilità di aggredire l'oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale misura che assume a tutti gli effetti i tratti distintivi di una vera e propria sanzione (Cass. pen., S.U., 27 marzo 2008 - 2 luglio 2008, n. 26654).
Stando alla formulazione letterale della disposizione (art. 322 ter, comma 1, c.p.), come rilevato dalla costante e più recente giurisprudenza di legittimità, la confisca per equivalente non è applicabile in relazione al profitto del delitto di peculato (art. 314 c.p.), dovendo ritenersi limitata al solo tantundem del prezzo del reato (Cass. pen., Sez. VI, 5 novembre 2008 - 7 aprile 2009, n. 14966; Cass. pen., Sez. VI, 10 marzo 2009, n. 10679).
Depongono a favore di questa soluzione argomenti di diversa natura.
In prospettiva sistematica, si esclude che il legislatore abbia utilizzato nell'art. 322 ter c.p. il termine prezzo in senso atecnico, così da comprendere qualsiasi utilità connessa al reato, derogando alla disciplina generale stabilità nell'art. 240 c.p., ove le nozioni di prezzo e profitto sono nettamente distinte.
Da un punto di vista esegetico, poi, sembra chiara la volontà del legislatore di escludere, salvo le ipotesi del comma 2 dell'art. 322 ter c.p., il profitto del reato dalla confisca per equivalente.
In senso contrario si registra un isolato orientamento che aderisce a una interpretazione estensiva secondo la quale, riguardo al delitto di peculato, sono assoggettabili a confisca, ai sensi dell'art. 322 ter c.p., comma 1, beni nella disponibilità dell'imputato per un valore corrispondente a quello relativo al profitto o al prezzo del reato (Cass. pen., Sez. VI, 29 marzo 2006 - 17 luglio 2006, n. 24633).
Di recente, a dirimere l'illustrato contrasto giurisprudenziale sono intervenute le Sezioni unite della Suprema Corte. La Corte ha precisato che, in difetto di una nozione legale di profitto del reato, può accogliersi la ricostruzione semantica di tale concetto offerta dalla dominante giurisprudenza di legittimità secondo la quale esso deve essere identificato con il vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato e si contrappone al prodotto e al prezzo del reato. In particolare, il prodotto rappresenta ciò che materialmente deriva dall'illecito, vale a dire le cose create, trasformate, adulterate o acquisite mediante il reato, il prezzo, invece, deve individuarsi nel compenso dato o promesso a una determinata persona, a titolo di corrispettivo dell'esecuzione dell'illecito (ex plurimis, Cass. pen., S.U., 3 luglio 1996 - 17 ottobre 1996, n. 9149).
Le Sezioni unite, pertanto, alla luce della netta distinzione fra le nozioni di prezzo e profitto del reato, unitamente alla mancanza di una chiara indicazione legislativa che attribuisca a tali termini un significato diverso da quello comunemente assegnato dalla giurisprudenza di legittimità, ritengono che non sussista alcun elemento idoneo a far ritenere che il legislatore, nella formulazione dell'art. 322 ter, comma 1�°, c.p., abbia usato il termine prezzo in senso atecnico, così da includere qualsiasi utilità connessa al reato sicché, con riferimento al delitto di peculato può disporsi la confisca per equivalente prevista dall'art. 322 ter, comma 1, ultima parte c.p., soltanto del prezzo e non anche del profitto (Cass. pen., S.U., 25 giugno 2009 - 6 ottobre 2010, n. 38691).
Nel caso di specie, accedendo all'ultimo indirizzo delle Sezioni unite, Tizio potrà ottenere, previa istanza di riesame del sequestro preventivo, la restituzione dei propri beni.




Da: LEGGIOGGI12/12/2012 12:45:40
Col parere oggetto di svolgimento mi si chiede di illustrare la fattispecie penale individuabile dalla condotta del Notaio Tizio con particolare riferimento alle possibilità di confisca per equivalente dei beni previamente sottoposti a sequestro. Al fine di rendere il parere richiesto appare quindi necessario muovere dall'istituto della confisca così come previsto dall'art. 322-ter c.p. per i fini che a noi interessano.

La previsione di cui all'art. 322 ter introduce la confiscabilità per equivalente nel caso in cui i beni costituenti il "profitto" o il "prezzo" del reato non siano aggredibili per qualsiasi ragione. La norma prevede che la confisca possa riguardare beni dei quali il reo abbia in ogni caso "la disponibilità" per un valore corrispondente a quello che avrebbe dovuto altrimenti costituire oggetto della confisca.

Nell'ambito delle misure di sicurezza assume un ruolo peculiare la figura della confisca, la cui disciplina generale è contenuta nell'art. 240 c.p. Attraverso detta misura ablatoria vengono acquisiti dallo Stato beni che per la loro intrinseca natura, ovvero per un collegamento funzionale con un illecito penale, devono considerarsi criminosi. Per quanto attiene ai presupposti applicativi della confisca occorre precisare che questa, a differenza della altre misure di sicurezza, prescinde dall'accertamento della pericolosità sociale del reo, essendo sufficiente la commissione di un reato o di un quasi reato.

In linea generale, essa è di applicazione facoltativa (art. 240, comma 1, c.p.) ovvero obbligatoria (art. 240, comma 2, c.p.). Attraverso la l. 29 settembre 2000, n. 300, che ha inciso sul titolo dedicato ai delitti contro la Pubblica Amministrazione, la confisca obbligatoria è stata estesa, grazie alle previsioni contenute nell'art. 322 ter c.p.. ad alcune fattispecie ivi previste e, inoltre, è stato inserito l'istituto della confisca per equivalente, già contemplato dal nostro ordinamento in materia di usura (l. 7 marzo 1996, n. 108). Il tratto che connota tale figura giuridica consiste nella possibilità, per l'autorità giudiziaria, di procedere, qualora manchino i beni che si identificano con il profitto e il prezzo del reato, all'ablazione di beni diversi per un valore equivalente al prezzo del reato (art. 322 ter, comma 1) ovvero al profitto del medesimo (art. 322 ter, comma 2, c.p.).

Fin dall'introduzione dell'istituto della confisca si è aperto un dibattito relativo alla natura giuridica di tale sanzione penale. Precisamente, ci si è chiesti se, conformemente all'intitolato legale, debba considerarsi una misura di sicurezza ovvero assuma i tratti di una vera e propria pena.

La distinzione è di non poco momento, atteso che, ai sensi dell'art. 200 c.p., si applica alle misure di sicurezza un divieto di retroattività temperato, in forza del quale può trovare applicazione la legge in vigore al tempo dell'esecuzione della misura di sicurezza, ancorché sia diversa da quella prevista al tempo del reato commesso, mentre per le pene vale il principio di irretroattività sancito nell'art. 2, comma 1, c.p., il quale ammette deroghe soltanto a favore del reo. Secondo la tesi tradizionale, la ratio di tale opzione normativa riposa sulla diverse funzioni perseguite dalla pena e della misura di sicurezza. Nel primo caso prevalgono esigenze di prevenzione generale, nel secondo caso, invece, è valorizzato il contenuto terapeutico della misura sanzionatoria, sicché trova giustificazione l'applicazione di uno strumento più moderno, sebbene diverso da quello previsto al tempo della perfezione dell'illecito. Resta inteso che, per non svuotare di contenuto le garanzie del reo, è necessario che la previsione di una misura di sicurezza applicabile per il fatto realizzato già sussista al momento della commissione di questo.

Proprio in materia di confisca per equivalente, le indicazioni provenienti dalla l. 29 settembre 2000, n. 300 orientano a ritenere che la confisca abbia una natura giuridica assimilabile a quella della pena. L'art. 15 (Norma transitoria), preclude infatti l'applicazione retroattiva della confisca per equivalente.

Detto rilievo, già condiviso dalla giurisprudenza delle Sezioni unite in materia di responsabilità degli enti dipendente da reato (Cass. pen., S.U., 27 marzo 2008 - 2 luglio 2008, n. 26654), è stato recentemente confermato dalla Corte costituzionale (Corte cost., 2 aprile 2009, n. 97) la quale, recependo l'approccio sostanzialistico in materia penale, tipico della giurisprudenza della Corte della Europea dei Diritti dell'Uomo, ha riconosciuto nella confisca per equivalente i tratti dell'afflittività, tipici della pena. Poste queste premesse, la Consulta ha statuito che un'applicazione retroattiva dell'istituto di cui all'art. 322 ter c.p. violerebbe l'art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, a tenore del quale nessuno può essere punito con un pena più grave di quella prevista al momento in cui è stato commesso il fatto e, conseguentemente, contrasterebbe con l'art. 117, comma 1, Cost. che impone al legislatore italiano di esercitare la potestà legislativa rispettando i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

La prima problematica che viene in rilievo nel caso di specie attiene alla possibilità di ritenere integrati gli estremi del delitto di peculato dalla condotta di Tizio, il quale riveste la qualità di soggetto pubblico. Nella giurisprudenza della Suprema Corte si osserva un indirizzo interpretativo pacifico secondo il quale il momento consumativo del delitto di peculato deve individuarsi nel comportamento appropriativo dell'agente avente a oggetto il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia il possesso per ragioni d'ufficio o di servizio.

Ed in effetti, a mente della Cassazione penale, sez. V, sentenza n° 47178/2009, il notaio che ometta il versamento di somme, affidategli da clienti, destinate al pagamento dell'imposta di registro in relazione ad atti rogati incorre nel delitto di peculato. La condotta appropriativa del notaio deve essere qualificata come peculato. Infatti, la qualifica di pubblico ufficiale spetta al notaio non solo nell'esercizio del suo potere certificativo in senso stretto, ma in tutta la sua complessa attività, disciplinata da norme di diritto pubblico e diretta alla formazione di atti pubblici.

Occorre ora chiedersi se effettivamente la misura cautelare, funzionale a quella ablativa, potesse o meno avere a oggetto i beni nella disponibilità di Tizio.

La questione si colloca nel contesto relativo alla definizione dello spettro operativo della confisca per equivalente disciplinata nell'art. 322 ter c.p.

L'art. 322 ter, introdotto nel codice penale dalla l. 29 settembre 2000, n. 300, in occasione delle ratifiche da parte del nostro Paese di specifiche convenzioni internazionali volte a contrastare i fenomeni corruttivi, dispone al comma 1, che in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei delitti contro la Pubblica Amministrazione previsti negli articoli da 314 a 322 c.p. è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono "il profitto o il prezzo" salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando questa non sia possibile, la confisca dei beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale "prezzo" (c.d. confisca per equivalente). Nei termini chiariti dall'autorevole insegnamento delle Sezioni unite della Suprema Corte, la ratio dell'istituto della confisca per equivalente risiede nella scelta di privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall'attività criminosa, anche di fronte all'impossibilità di aggredire l'oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale misura che assume a tutti gli effetti i tratti distintivi di una vera e propria sanzione (Cass. pen., S.U., 27 marzo 2008 - 2 luglio 2008, n. 26654).

Stando alla formulazione letterale della disposizione (art. 322 ter, comma 1, c.p.), come rilevato dalla costante e più recente giurisprudenza di legittimità, la confisca per equivalente non è applicabile in relazione al profitto del delitto di peculato (art. 314 c.p.), dovendo ritenersi limitata al solo tantundem del prezzo del reato (Cass. pen., Sez. VI, 5 novembre 2008 - 7 aprile 2009, n. 14966; Cass. pen., Sez. VI, 10 marzo 2009, n. 10679).

Depongono a favore di questa soluzione argomenti di diversa natura.

In prospettiva sistematica, si esclude che il legislatore abbia utilizzato nell'art. 322 ter c.p. il termine prezzo in senso atecnico, così da comprendere qualsiasi utilità connessa al reato, derogando alla disciplina generale stabilità nell'art. 240 c.p., ove le nozioni di prezzo e profitto sono nettamente distinte.

Da un punto di vista esegetico, poi, sembra chiara la volontà del legislatore di escludere, salvo le ipotesi del comma 2 dell'art. 322 ter c.p., il profitto del reato dalla confisca per equivalente.

In senso contrario si registra un isolato orientamento che aderisce a una interpretazione estensiva secondo la quale, riguardo al delitto di peculato, sono assoggettabili a confisca, ai sensi dell'art. 322 ter c.p., comma 1, beni nella disponibilità dell'imputato per un valore corrispondente a quello relativo al profitto o al prezzo del reato (Cass. pen., Sez. VI, 29 marzo 2006 - 17 luglio 2006, n. 24633).

Di recente, a dirimere l'illustrato contrasto giurisprudenziale sono intervenute le Sezioni unite della Suprema Corte. La Corte ha precisato che, in difetto di una nozione legale di profitto del reato, può accogliersi la ricostruzione semantica di tale concetto offerta dalla dominante giurisprudenza di legittimità secondo la quale esso deve essere identificato con il vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato e si contrappone al prodotto e al prezzo del reato. In particolare, il prodotto rappresenta ciò che materialmente deriva dall'illecito, vale a dire le cose create, trasformate, adulterate o acquisite mediante il reato, il prezzo, invece, deve individuarsi nel compenso dato o promesso a una determinata persona, a titolo di corrispettivo dell'esecuzione dell'illecito (ex plurimis, Cass. pen., S.U., 3 luglio 1996 - 17 ottobre 1996, n. 9149).

Le Sezioni unite, pertanto, alla luce della netta distinzione fra le nozioni di prezzo e profitto del reato, unitamente alla mancanza di una chiara indicazione legislativa che attribuisca a tali termini un significato diverso da quello comunemente assegnato dalla giurisprudenza di legittimità, ritengono che non sussista alcun elemento idoneo a far ritenere che il legislatore, nella formulazione dell'art. 322 ter, comma 1°, c.p., abbia usato il termine prezzo in senso atecnico, così da includere qualsiasi utilità connessa al reato sicché, con riferimento al delitto di peculato può disporsi la confisca per equivalente prevista dall'art. 322 ter, comma 1, ultima parte c.p., soltanto del prezzo e non anche del profitto (Cass. pen., S.U., 25 giugno 2009 - 6 ottobre 2010, n. 38691).

Nel caso di specie, accedendo all'ultimo indirizzo delle Sezioni unite, Tizio potrà ottenere, previa istanza di riesame del sequestro preventivo, la restituzione dei propri beni.

Da: Reby 25 12/12/2012 12:48:18
Il sito leggioggi l'ha preso da qui...è tutto merito di Aoxomoxoa e di nessun altro!

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Da: ninog12/12/2012 12:48:39
RAGAZZI, NON HO ANCORA CAPITO QUALI SONO LE SENTENZE DA PRENDERE IN CONSIDERAZIONE PER IL PARERE SULLA PEDOPORNOGRAFIA,,,QUALCUNO SA DIRMI QUALCOSA? C'è UN Pò DI CONFUSIONE

Da: giadaNKG 12/12/2012 12:49:09
BASTA RIPROPORRE LA STESSA TRACCIA! E' L'UNICA PRESENTE IN RETE SUL NOTAIO! SE VI VA BENE, PRENDETELA E MODIFICATELA! NON C'è ALTRO DA FARE!
SULLA PEDOPORNOGRAFIA NON è USCITO NULLA PER ORA!

Da: malox12/12/2012 12:49:20
a che ora si consegna a napoli?

Da: ...12/12/2012 12:50:53
Basita!.....Basita!...io sono basita!Basita!...Basita!...io sono Basita!

Da: AAAAAASOCIO12/12/2012 12:50:54
A che ora è la consegna a Roma?

Da: pipirippi12/12/2012 12:51:48

- Messaggio eliminato -

Da: poveri ragazzi!!!!12/12/2012 12:52:24
qualcuno ha notizie di Roma?

Da: Mep12/12/2012 12:52:53
..come ogni anno si fa troppa confusione..pubblicate tracce+soluzione...senza troppe storie!!!!

Da: per pipirippi12/12/2012 12:53:51
beato te che sei così spiritoso ed intelligente...

Da: Fano12/12/2012 12:56:40

- Messaggio eliminato -

Da: seria12/12/2012 13:00:27
schema di parere per la traccia sulla pedopornografia????

Da: Esami maledetti 12/12/2012 13:03:21
Ragazzi ma si è capito quindi se il parere si fa a prima o a dopo la modifica del art 322 del 2012? Perché la chiave di tutto è capire questo

Da: fattisentire12/12/2012 13:03:37
soluzione fatta bene della traccia sul notaio..

Da: nathalie12/12/2012 13:05:39
i riferimenti di pedopornografia???

Da: lingegnere12/12/2012 13:06:45
amoxoaoa sei il migliire!!!

Da: helpyou12/12/2012 13:10:06
Riferimenti Normativi:
Art 600 - quater cp. (detenzione di materiale pornografico)
Art 600 - quater secondo comma aumento della pena quando il materiale detenuto sia di ingente quantita'

Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 10 luglio 2008 (dep. 23 settebre 2008), n. 36364

Per cessione di materiale pedopornografico occorre la previa detenzione. Ne consegue che la detenzione di materiale pedopornografico assume i connotati di un antefatto non punibile e per tale ragione rimase assorbito nel delitto di cessione. In definitiva, la condotta di cui all'art. 600 quater c.p., rimarrà assorbita in quelle di cui all'art. 600 ter allorchè sussista una progressione criminosa o un assorbimento e la condotta della detenzione sia prodromica a quelle di cui all'art. 600 ter c.p.. Nella fattispecie tra la condotta di cui all'art. 600 quater c.p. e quella di cui all'art. 600 ter c.p., comma 4 esiste assorbimento e non concorso di reati o concorso apparente di norme, perchè il reo per cedere il materiale ha dovuto prima procuraselo.

Corte di Cassazione, Sez. III penale
Sentenza 6 aprile 2011- 3 ottobre 2011, n. 35696
Questo Collegio osserva che è evidente che l'ipotesi di offerta o cessione di materiale pedopornografico (art. 600 ter, comma 4, c.p.) contiene dal punto di vista concettuale quella di detenzione inclusa nell'imputazione di cui all'art. 600 quater c.p. (procurarsi o detenere): infatti la giurisprudenza di legittimità ha affermato, in via generale, che anche la stessa divulgazione di materiale illecito presuppone la sua detenzione, perché non si può evidentemente divulgare volontariamente "materiale pedopornografico" se non si è in possesso e non si detiene consapevolmente il materiale stesso (cfr. Sez. 3, n. 11169 del 7/11/2008, Rv. 242992).  E' stato quindi, in relazione allo specifico, escluso il concorso tra il delitto di cessione di materiale pedopornografico e quello di detenzione dello stesso materiale, "in quanto la condotta di detenzione rappresenta un antefatto non punibile rispetto a quella di cessione, rimanendo assorbita in quest'ultima" (Sez. 3, n. 36364 del 10/7/2008, Rv. 241036).

Da: ???!!!12/12/2012 13:10:12
Nella seconda traccia, quella del notaio, prima di parlare della confisca, va individuata la fattispecie di reato, cioè il peculato (articolo 324 c.p.), specificando che al notaio spetta la qualifica di pubblico ufficiale
Sentenza di riferimento sul punto Cassazione penale sezione V n.47178 del 2009
A seguire, va poi chiarito se sia applicabile o meno nel caso specifico la confisca per equivalente

Da: !!!!!12/12/2012 13:10:15
la modifica del 2012(all'art 322) nn penso sia presente nei loro codici!!!!!!!!!!!

Da: okkkkkkkkkkk12/12/2012 13:12:04
qualcuno sa dirmi qlcs sul peculato

Da: roma 312/12/2012 13:14:33
PROFILI DEL REATO DI PECULATO

Il delitto di peculato è previsto all'art. 314 c.p.
    La norma, successivamente all'intervento della legge di riforma n. 86 del 26 aprile 1990 che ha contribuito alla rivisitazione totale del capo I del codice penale e alla ridefinizione delle nozioni di pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio, stabilisce che "il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da tre a dieci anni. Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita" .
Già presente nel codice penale sardo - italiano il reato in oggetto è disciplinato anche nel codice Toscano che distingueva il peculato proprio, commesso dal pubblico ufficiale, dal vuoto di cassa, posto in essere dal debitore di quantità .
Il peculato è un reato proprio, l'incipit della norma chiarisce infatti come soggetto attivo possa essere esclusivamente un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio , e di natura plurioffensiva perchè l'interesse tutelato coincide sia con la legalità e l'efficienza dell'attività della pubblica amministrazione che con il suo  patrimonio e quello di terze persone.
La condotta tipica, notevolmente complessa e varia, evidenzia come il reato possa perfezionarsi per mezzo tanto dell'appropriazione che della distrazione dell'oggetto materiale in danno della pubblica amministrazione.
Sebbene nell'ipotesi per appropriazione debba intendersi l'attività  dell'agente che provvede a sottrarre denaro o una cosa mobile ponendoli contemporaneamente nella propria o altrui disponibilità, autorevole dottrina ha espresso nel tempo diverse e numerose definizioni del termine; relativamente all'elemento psicologico "l'appropriarsi - è stato scritto - significa comportarsi verso la cosa come se fosse propria, vale a dire compiere sulla cosa stessa atti di disposizione a cui il possessore non è autorizzato"  anche se frequentemente è stata posta l'attenzione "sull'interversione del possesso"  tentando di "esemplificare la condotta criminosa individuandola nella consumazione, alienazione, ritenzione o distrazione della cosa" .
La perfezione del reato si raggiunge anche nel momento in cui il soggetto attivo non realizzi dalla propria condotta un indebito profitto poiché il fatto non è imputabile a titolo di dolo specifico dal momento che l'appropriazione del denaro o di qualsiasi altra cosa mobile va già oltre i limiti imposti al pubblico ufficiale nell'esercizio del possesso di tali beni.
Il peculato per distrazione si configura allorquando l'oggetto materiale del reato viene destinato dall'agente ad uno scopo diverso da quello originariamente  previsto.
Il criterio distintivo tra le due fattispecie sopra descritte consiste nella destinazione riservata al denaro o alla cosa mobile altrui; sussiste la distrazione del bene quando tale attività venga esercitata nell'ambito della pubblica amministrazione ma al fine di conseguire scopi estranei alle proprie finalità istituzionali mentre supporterà l'ipotesi di reato del peculato per appropriazione la condotta dell'agente che sottrae alla pubblica amministrazione quanto in suo possesso ponendolo sotto la sua o altrui disponibilità.
Il secondo comma dell'art. 314 c.p. definisce un'ulteriore ipotesi di reato, il peculato d'uso , che si configura quale figura autonoma di reato e non come circostanza attenuante .
In questo caso la condotta dell'agente integra una fattispecie che comporta una responsabilità penale sicuramente inferiore rispetto ai casi precedentemente indicati in quanto finalizzata esclusivamente all'utilizzo temporaneo della cosa che sarà restituita immediatamente dopo l'uso; inoltre non potendo rendere l'eadem res ma unicamente il tantundem, è lecito ritenere che il peculato d'uso non possa configurarsi con riguardo alle cose di quantità ma esclusivamente a quelle di specie .
Il delitto di peculato si consuma nel momento e nel luogo in cui l'agente si appropria della cosa  di cui in concreto si tratta . 
Nella forma dell'appropriazione il peculato è imputabile a titolo di dolo generico sostanziandosi nella coscienza e volontà di appropriarsi del bene materiale di proprietà della pubblica amministrazione che il soggetto ha nel proprio possesso per ragioni derivanti dal proprio ufficio ; al contrario nella forma della distrazione il dolo è specifico poiché consiste nella piena intenzione di invertire, per proprio o altrui profitto, l'indirizzo del denaro pubblico .
L'errore del pubblico ufficiale non comporta l'esclusione dell'elemento soggettivo perché la corretta destinazione del denaro appartenente alla pubblica amministrazione, seppur disposta da una norma amministrativa, deve ritenersi implicitamente disciplinata anche da quella penale con la conseguenza che l'attività del reo non si risolve in un errore sul fatto su una legge diversa da quella penale.
Il pubblico ufficiale è chiamato a rispondere di peculato continuato quando, in tempi diversi,  appropriandosi di somme proprie della cassa da lui gestita, contravviene all'obbligo di mantenere sempre a disposizione il denaro in suo possesso .
Affinchè possa soggiacere al contenuto precettivo indicato dall'art. 110 c.p. è necessario che ciascuno dei partecipanti al reato contribuisca, inducendo altri o cooperando egli stesso, alla realizzazione della propria parte; la fattispecie che più organi partecipino alla formazione dell'atto di disposizione del bene di proprietà della pubblica amministrazione non esclude la responsabilità penale anche quando uno solo di essi abbia, mediante il proprio operato di competenza, conseguito la disponibilità del bene sottraendosi all'attività di controllo di altro organo a ciò preposto .
Per quanto attiene ai rapporti con altri reati, il peculato diverge dalla truffa relativamente alla modalità con la quale l'agente entra nel possesso del bene in quanto sussiste il reato di cui all'art. 640 c.p. nel momento in cui il pubblico ufficiale si procura il possesso del bene in maniera fraudolenta attraverso artifici e raggiri.
Gli elementi costitutivi di entrambe le fattispecie distinguono invece il furto dal peculato; nella prima ipotesi l'appropriazione del bene, avvenendo invito domino,  si risolve in una sottrazione al possessore legittimo mentre nel secondo caso le mansioni pubbliche fungono da  presupposto della condotta.
La pena accessoria prevista è disciplinata dall'art. 317-bis c.p. il quale dispone l'interdizione perpetua dai pubblici uffici in caso di condanna per i reati di cui agli artt. 314 e 317 e quella temporanea allorquando a causa della concessione di circostanze attenuanti è stata inflitta la pena della reclusione per un periodo inferiore ai tre anni .  

Da: Res12/12/2012 13:15:50
ATTENZIONE POTREBBE ESSERE IMPORTANTE!!!!!!

322-ter. Confisca. (aggiornato con la ultimissima modifica)
Nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti previsti dagli articoli da 314 a 320, anche se commessi dai soggetti indicati nell'articolo 322-bis, primo comma, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.
LE PAROLE "O PROFITTO" SONO STATE AGGIUNTE DALLA LEGGE 6 NOVEMBRE 2012, N. 190 "DISPOSIZIONI PER LA PREVENZIONE E LA REPRESSIONE DELLA CORRUZIONE E DELL'ILLEGALITA' NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE". (ENTRATA IN VIGORE DELLA LEGGE: 28/11/2012)

Da: trillino5612/12/2012 13:19:53
a che ora deve consegnare napoli?

Da: acer12/12/2012 13:20:44
napoli deve consegnare alle 18

Da: avvocatoinvocato12/12/2012 13:21:45
ma la 190 del 2012 non penso sia contenuta nei loro codici!!

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