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ESAME AVVOCATO - SESSIONE 2012
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Da: rosy8412/12/2012 12:09:41
Traccia 1 pedodornografia
Traccia 2 notaio
Sono sicurissima
Se ci fosse un moderatore in questo forum sarebbe tutto molto più semplice...

Da: XXY12/12/2012 12:10:49
il parere di aoxomo va bene ma è impersonale !!!
Copiato integralmente potrebbe essere annullato

Da: 45454512/12/2012 12:11:46
c`è il problema della continuazione nel reato?

Da: mimmo19888012/12/2012 12:17:39
suula pedopornografia soluzioni?

Da: alescarm12/12/2012 12:19:51
il parere di aoxomo va bene o no???

Da: Gino la Conza12/12/2012 12:20:17
Bisogna prima descrivere la fattispecie di reato (peculato), poi parlare della confisca, non il contrario...leggete attentamente quello che vi
chiede la traccia.

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Da: weeeeeeeeeeeeeee12/12/2012 12:20:43
Ma oggi sembrano più facili o sbaglio?dalla quantità di materiale che la gente cortesemente pubblica,c'e molto da dire

Da: rc12/12/2012 12:21:45
ragazzi che mi dite su progressione criminosa, antefatto e postfatto

Da: okkkkkkkkkkk12/12/2012 12:23:09
qualcuno sa dirmi qualcs di più sulla traccia del notaio

Da: carnelutti12/12/2012 12:23:48
http://www.altalex.com/index.php?idnot=60591

Da: COVAL 12/12/2012 12:24:13
CIAO RAGA A CHE PAGINA TROVO LA TRACCIA SULLA PEDOP...

Da: 000000054123356612/12/2012 12:24:37
Roma a che ora consegna x favore?!?!?? GRAZIE

Da: xxmilaxx12/12/2012 12:24:43
http://www.altalex.com/index.php?idnot=60591

Da: PARADISO ALL''IMPROVVISO12/12/2012 12:24:46
SVOLGIMENTO TRACCIA 1
Col parere oggetto di svolgimento mi si chiede di illustrare la fattispecie penale individuabile dalla condotta del Notaio Tizio con particolare riferimento alle possibilità di confisca per  equivalente dei beni previamente sottoposti a sequestro.  Al fine di rendere il parere richiesto appare quindi necessario muovere dall'istituto della confisca così come previsto dall'art. 322-ter c.p. per i fini che a noi interessano.
La previsione di cui all'art. 322 ter introduce la confiscabilità per equivalente nel caso in cui i beni costituenti il "profitto" o il "prezzo" del reato non siano aggredibili per qualsiasi ragione. La norma prevede che la confisca possa riguardare beni dei quali il reo abbia in ogni caso "la disponibilità" per un valore corrispondente a quello che avrebbe dovuto altrimenti costituire oggetto della confisca.
Nell'ambito delle misure di sicurezza assume un ruolo peculiare la figura della confisca, la cui disciplina generale è contenuta nell'art. 240 c.p. Attraverso detta misura ablatoria vengono acquisiti dallo Stato beni che per la loro intrinseca natura, ovvero per un collegamento funzionale con un illecito penale, devono considerarsi criminosi. Per quanto attiene ai presupposti applicativi della confisca occorre precisare che questa, a differenza della altre misure di sicurezza, prescinde dall'accertamento della pericolosità sociale del reo, essendo sufficiente la commissione di un reato o di un quasi reato.
In linea generale, essa è di applicazione facoltativa (art. 240, comma 1, c.p.) ovvero obbligatoria (art. 240, comma 2, c.p.). Attraverso la l. 29 settembre 2000, n. 300, che ha inciso sul titolo dedicato ai delitti contro la Pubblica Amministrazione, la confisca obbligatoria è stata estesa, grazie alle previsioni contenute nell'art. 322 ter c.p.. ad alcune fattispecie ivi previste e, inoltre, è stato inserito l'istituto della confisca per equivalente, già contemplato dal nostro ordinamento in materia di usura (l.  7 marzo 1996, n. 108). Il tratto che connota tale figura giuridica consiste nella possibilità, per l'autorità giudiziaria, di procedere, qualora manchino i beni che si identificano con il profitto e il prezzo del reato, all'ablazione di beni diversi per un valore equivalente al prezzo del reato (art. 322 ter, comma 1) ovvero al profitto del medesimo (art. 322 ter, comma 2, c.p.).
Fin dall'introduzione dell'istituto della confisca si è aperto un dibattito relativo alla natura giuridica di tale sanzione penale. Precisamente, ci si è chiesti se, conformemente all'intitolato legale, debba considerarsi una misura di sicurezza ovvero assuma i tratti di una vera e propria pena.
La distinzione è di non poco momento, atteso che, ai sensi dell'art. 200 c.p., si applica alle misure di sicurezza un divieto di retroattività temperato, in forza del quale può trovare applicazione la legge in vigore al tempo dell'esecuzione della misura di sicurezza, ancorché sia diversa da quella prevista al tempo del reato commesso, mentre per le pene vale il principio di irretroattività sancito nell'art. 2, comma 1, c.p., il quale ammette deroghe soltanto a favore del reo. Secondo la tesi tradizionale, la ratio di tale opzione normativa riposa sulla diverse funzioni perseguite dalla pena e della misura di sicurezza. Nel primo caso prevalgono esigenze di prevenzione generale, nel secondo caso, invece, è valorizzato il contenuto terapeutico della misura sanzionatoria, sicché trova giustificazione l'applicazione di uno strumento più moderno, sebbene diverso da quello previsto al tempo della perfezione dell'illecito. Resta inteso che, per non svuotare di contenuto le garanzie del reo, è necessario che la previsione di una misura di sicurezza applicabile per il fatto realizzato già sussista al momento della commissione di questo. 
Proprio in materia di confisca per equivalente, le indicazioni provenienti dalla l. 29 settembre 2000, n. 300 orientano a ritenere che la confisca abbia una natura giuridica assimilabile a quella della pena. L'art. 15 (Norma transitoria), preclude infatti l'applicazione retroattiva della confisca per equivalente.
Detto rilievo, già condiviso dalla giurisprudenza delle Sezioni unite in materia di responsabilità degli enti dipendente da reato (Cass. pen., S.U., 27 marzo 2008 - 2 luglio 2008, n. 26654), è stato recentemente confermato dalla Corte costituzionale (Corte cost., 2 aprile 2009, n. 97) la quale, recependo l'approccio sostanzialistico in materia penale, tipico della giurisprudenza della Corte della Europea dei Diritti dell'Uomo, ha riconosciuto nella confisca per equivalente i tratti dell'afflittività, tipici della pena. Poste queste premesse, la Consulta ha statuito che un'applicazione retroattiva dell'istituto di cui all'art. 322 ter c.p. violerebbe l'art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, a tenore del quale nessuno può essere punito con un pena più grave di quella prevista al momento in cui è stato commesso il fatto e, conseguentemente, contrasterebbe con l'art. 117, comma 1, Cost. che impone al legislatore italiano di esercitare la potestà legislativa rispettando i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
La prima problematica che viene in rilievo nel caso di specie attiene alla possibilità di ritenere integrati gli estremi del delitto di peculato dalla condotta di Tizio, il quale riveste la qualità di soggetto pubblico. Nella giurisprudenza della Suprema Corte si osserva un indirizzo interpretativo pacifico secondo il quale il momento consumativo del delitto di peculato deve individuarsi nel comportamento appropriativo dell'agente avente a oggetto il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia il possesso per ragioni d'ufficio o di servizio.
Ed in effetti, a mente della Cassazione penale, sez. V, sentenza nï¿��° 47178/2009, il notaio che ometta il versamento di somme, affidategli da clienti, destinate al pagamento dell'imposta di registro in relazione ad atti rogati incorre nel delitto di peculato. La condotta appropriativa del notaio deve essere qualificata come peculato. Infatti, la qualifica di pubblico ufficiale spetta al notaio non solo nell'esercizio del suo potere certificativo in senso stretto, ma in tutta la sua complessa attività, disciplinata da norme di diritto pubblico e diretta alla formazione di atti pubblici.
Occorre ora chiedersi se effettivamente la misura cautelare, funzionale a quella ablativa, potesse o meno avere a oggetto i beni nella disponibilità di Tizio.
La questione si colloca nel contesto relativo alla definizione dello spettro operativo della confisca per equivalente disciplinata nell'art. 322 ter c.p.
L'art. 322 ter, introdotto nel codice penale dalla l. 29 settembre 2000, n. 300, in occasione delle ratifiche da parte del nostro Paese di specifiche convenzioni internazionali volte a contrastare i fenomeni corruttivi, dispone al comma 1, che in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei delitti contro la Pubblica Amministrazione previsti negli articoli da 314 a 322 c.p. è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono "il profitto o il prezzo" salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando questa non sia possibile, la confisca dei beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale "prezzo" (c.d. confisca per equivalente). Nei termini chiariti dall'autorevole insegnamento delle Sezioni unite della Suprema Corte, la ratio dell'istituto della confisca per equivalente risiede nella scelta di privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall'attività criminosa, anche di fronte all'impossibilità di aggredire l'oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale misura che assume a tutti gli effetti i tratti distintivi di una vera e propria sanzione (Cass. pen., S.U., 27 marzo 2008 - 2 luglio 2008, n. 26654).
Stando alla formulazione letterale della disposizione (art. 322 ter, comma 1, c.p.), come rilevato dalla costante e più recente giurisprudenza di legittimità, la confisca per equivalente non è applicabile in relazione al profitto del delitto di peculato (art. 314 c.p.), dovendo ritenersi limitata al solo tantundem del prezzo del reato (Cass. pen., Sez. VI, 5 novembre 2008 - 7 aprile 2009, n. 14966; Cass. pen., Sez. VI, 10 marzo 2009, n. 10679).
Depongono a favore di questa soluzione argomenti di diversa natura.
In prospettiva sistematica, si esclude che il legislatore abbia utilizzato nell'art. 322 ter c.p. il termine prezzo in senso atecnico, così da comprendere qualsiasi utilità connessa al reato, derogando alla disciplina generale stabilità nell'art. 240 c.p., ove le nozioni di prezzo e profitto sono nettamente distinte.
Da un punto di vista esegetico, poi, sembra chiara la volontà del legislatore di escludere, salvo le ipotesi del comma 2 dell'art. 322 ter c.p., il profitto del reato dalla confisca per equivalente.
In senso contrario si registra un isolato orientamento che aderisce a una interpretazione estensiva secondo la quale, riguardo al delitto di peculato, sono assoggettabili a confisca, ai sensi dell'art. 322 ter c.p., comma 1, beni nella disponibilità dell'imputato per un valore corrispondente a quello relativo al profitto o al prezzo del reato (Cass. pen., Sez. VI, 29 marzo 2006 - 17 luglio 2006, n. 24633).
Di recente, a dirimere l'illustrato contrasto giurisprudenziale sono intervenute le Sezioni unite della Suprema Corte. La Corte ha precisato che, in difetto di una nozione legale di profitto del reato, può accogliersi la ricostruzione semantica di tale concetto offerta dalla dominante giurisprudenza di legittimità secondo la quale esso deve essere identificato con il vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato e si contrappone al prodotto e al prezzo del reato. In particolare, il prodotto rappresenta ciò che materialmente deriva dall'illecito, vale a dire le cose create, trasformate, adulterate o acquisite mediante il reato, il prezzo, invece, deve individuarsi nel compenso dato o promesso a una determinata persona, a titolo di corrispettivo dell'esecuzione dell'illecito (ex plurimis, Cass. pen., S.U., 3 luglio 1996 - 17 ottobre 1996, n. 9149).
Le Sezioni unite, pertanto, alla luce della netta distinzione fra le nozioni di prezzo e profitto del reato, unitamente alla mancanza di una chiara indicazione legislativa che attribuisca a tali termini un significato diverso da quello comunemente assegnato dalla giurisprudenza di legittimità, ritengono che non sussista alcun elemento idoneo a far ritenere che il legislatore, nella formulazione dell'art. 322 ter, comma 1ï¿��°, c.p., abbia usato il termine prezzo in senso atecnico, così da includere qualsiasi utilità connessa al reato sicché, con riferimento al delitto di peculato può disporsi la confisca per equivalente prevista dall'art. 322 ter, comma 1, ultima parte c.p., soltanto del prezzo e non anche del profitto (Cass. pen., S.U., 25 giugno 2009 - 6 ottobre 2010, n. 38691).
Nel caso di specie, accedendo all'ultimo indirizzo delle Sezioni unite, Tizio potrà ottenere, previa istanza di riesame del sequestro preventivo, la restituzione dei propri beni.

Da: cavallinastorna12/12/2012 12:25:01
Devo dirlo: Molti di voi rovinano la categoria. Attendete fino alle 13:00 con le mani in mano che la soluzione vi  venga inviata da qualche amico/a di buona volontà....E' rivoltante nonchè vergognoso, ma ancora più vergognosoè che una volta ricevuta la soluzione ( non la sentenza! ma addirittura il parere) non la sanno neanche ricopiare....Dove andremo a finire? L'Italia continua a sfornare quintali di avvocati inetti!

Da: Contesque 12/12/2012 12:25:16
Per la pedopornografia:

TRACCIA   SULLA    PEDOPORNOGRAFIA

Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 10 luglio 2008 (dep. 23 settebre 2008), n. 36364

Per cessione di materiale pedopornografico occorre la previa detenzione. Ne consegue che la detenzione di materiale pedopornografico assume i connotati di un antefatto non punibile e per tale ragione rimane assorbito nel delitto di cessione. In definitiva, la condotta di cui all'art. 600 quater c.p., rimarrà assorbita in quelle di cui all'art. 600 ter allorchè sussista una progressione criminosa o un assorbimento e la condotta della detenzione sia prodromica a quelle di cui all'art. 600 ter c.p.. Nella fattispecie tra la condotta di cui all'art. 600 quater c.p. e quella di cui all'art. 600 ter c.p., comma 4 esiste assorbimento e non concorso di reati o concorso apparente di norme, perchè il reo per cedere il materiale ha dovuto prima procuraselo.


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPO Ernesto - Presidente -
Dott. PETTI Ciro - Consigliere -
Dott. LOMBARDI Angelo Maria - Consigliere -
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere -
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
difensore di D.P.M., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte d'appello di Lecce del 21 novembre
del 2007;
udita la relazione del Consigliere Dott. Ciro Petti;
sentito il Sostituto Procuratore Generale Dott. Giovanni D'Angelo, il
quale ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
letti il ricorso e la sentenza denunciata.
Osserva quanto segue:
Fatto
La corte d'appello di Lecce, con sentenza del 21 novembre del 2007, confermava quella resa dal tribunale della medesima città il 26/1/2007, con cui D.P.M. era stato dichiarato colpevole dei reati di cui all'art. 81 c.p., art. 600 ter c.p., comma 4 e art. 600 quater c.p., così scissa e riqualificata l'originaria imputazione di cui all'art. 81 cpv. c.p., art. 600 ter c.p., comma 3 e, concesse le attenuanti generiche, era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di anni due di reclusione ed Euro 7.500,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali; confisca e distruzione di quanto in sequestro.
Secondo la ricostruzione fattuale contenuta nella sentenza impugnata l'ispettore C.A., su autorizzazione dell'autorità giudiziaria, aveva iniziato un'attività sotto copertura con l'utilizzo del nick-name "(OMISSIS)". In tale veste il (OMISSIS) aveva intercettato uno scambio di materiale pedopornografico tra "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)", accertando che "(OMISSIS)" era riferibile all'utenza telefonica (OMISSIS) intestata a T.R., compagna dell'attuale ricorrente, ed attiva nell'ambito della sede del patronato ACLI di (OMISSIS) con abbonamento alla società (OMISSIS) sottoscritto da D.P. M. mentre "(OMISSIS)" corrispondeva all'utenza telefonica intestata a P.A.. L'ispettore, scambiando per quindici giorni materiale pedopornografico con gli utenti del canale, aveva individuato numerosi indirizzi di IP tra cui quello in uso al D. P..
Il predetto si era difeso sostenendo di non avere avuto la consapevolezza di detenere nel proprio computer materiale pedopornografico, anzi appena si era accorto della presenza di tale materiale aveva segnalato la circostanza ai carabinieri.
Tanto premesso in fatto, la corte a fondamento del proprio assunto osservava che il computer dove erano state rinvenute le immagini pedopornografiche era usato solo dall'imputato,che l'utente " (OMISSIS)" per scambiare materiale pedopornografico con "(OMISSIS)" si era avvalso di quel computer; che per mezzo della consulenza disposta dal pubblico ministero si era accertato che con esso erano stati inviati diversi messaggi di posta elettronica con allegati i files contenenti immagini pedopornografiche; che le immagini pedopornografiche erano state archiviate in una cartella salvata sul disco rigido e denominata "Da Masterizzare/Vietate"; che ulteriori riscontri si desumevano dall'esito positivo della perquisizione presso il patronato "Acli" nel corso della quale sull'hard disk del computer del prevenuto erano stati rinvenuti numerosi files contenenti immagini pedopornografiche nonchè dalla perquisizione nell'abitazione patema dove era stato trovato materiale pornografico.
Osservava infine che la denuncia sporta ai carabinieri, con cui peraltro il prevenuto si era limitato a segnalare l'invio di materiale pubblicitario, rappresentava un tentativo di salvataggio posto in essere quando le indagini erano state già da tempo avviate ed era stato individuata la persona che usava il nick name " (OMISSIS)", certamente in contatto con il D.P..
Ricorre per cassazione il prevenuto per mezzo del proprio difensore deducendo:
la nullità della sentenza per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione: il ricorrente dopo avere premesso che dalle indagini non era emersa la sussistenza di una condotta divulgativa, ma la mera cessione a terzi in una singola occasione di materiale pedopornografico, assume che la corte non aveva preso in considerazione il dato certo costituito dalla denuncia da lui sporta ai carabinieri in epoca non sospetta nonchè la circostanza che il computer si trovava in un luogo aperto al pubblico per cui chiunque avrebbe potuto usarlo; precisa altresì che il rinvenimento del materiale pornografico lecito nell'abitazione paterna non poteva costituire riscontro alla consapevole detenzione di foto pedopornografiche; la violazione delle norme incriminatici nonchè mancanza di motivazione sul punto, per avere i giudici del merito ritenuto, senza adeguata motivazione, configurabile il concorso tra il delitto di cui all'art. 600 ter c.p., comma 4 e quello di cui all'art. 600 quater c.p..
Diritto
Il primo motivo è inammissibile perchè sotto l'apparente deduzione del vizio d'illogicità e contraddittorietà della motivazione in realtà si censura l'apprezzamento delle prove da parte dei giudici del merito, la cui motivazione non presenta alcuna illogicità o contraddizione. Anzitutto non è vero che i giudici del merito non abbiano valutato la segnalazione da lui fatta ai carabinieri, ma al contrario l'hanno ritenuta ininfluente perchè costituiva una manovra difensiva posta in essere dall'indagato quando aveva avuto il sospetto di essere stato individuato. Non è altresì vero che ai fini dell'affermazione della responsabilità si sia attribuita decisiva rilevanza al rinvenimento di materiale pornografico, non vietato, nell'abitazione patema. La responsabilità è stata affermata sulla base di altri elementi di inequivoco valore indiziante ed in particolare sulle seguenti circostanze: a) il computer utilizzato per la cessione era di sua proprietà; b) il contratto per il collegamento attivato attraverso il provider "(OMISSIS)" utilizzato per la navigazione in internet e per lo scambio di immagini era a lui intestato, c) l'indirizzo di posta elettronica utilizzato era a lui intestato; d) sul disco rigido del suo computer erano state rinvenute alcune cartelle dove erano state archiviate le immagini pedopornografiche; e) al momento della perquisizione il ricorrente aveva dimostrato di essere a conoscenza della detenzione del materiale pedopornografico, tanto è vero che aveva offerto agli inquirenti un CD contenente immagini vietate.
Il secondo motivo è invece fondato.
Il pubblico ministero aveva contestato al prevenuto il reato di cui all'art. 81 c.p., art. 600 ter c.p., comma 3 perchè, in concorso con T.R., poi prosciolta, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, anche in tempi diversi, per via telematica aveva distribuito e divulgato materiale pornografico realizzato mediante lo sfruttamento di minori nonchè per avere divulgato notizie e informazioni finalizzate all'adescamento o sfruttamento sessuale dei minori di anni 18.
Il tribunale ha escluso la divulgazione e scindendo l'originaria imputazione ha ritenuto configurabile il reato di cessione di cui al cit. art. comma 4 in concorso con la detenzione di cui all'art. 600 quater c.p. relativamente ai files archiviati sul disco rigido ed a quelli rinvenuti sul CD. Non risulta se i files salvati ed archiviati siano gli stessi in precedenza ceduti perchè la circostanza non è stata chiarita dal tribunale e peraltro non ha decisiva importanza ai fini della questione ora in esame ossia ai fini della configurabilità del concorso tra i due reati perchè si è comunque accertato che il prevenuto non si limitava a detenere le immagini pedopornografiche che si era procurato ma era anche solito cederle.
Orbene, la presenza di una clausola di riserva espressa risolve il problema del concorso tra i due reati anzidetti in favore della tendenziale configurabilità del solo reato di cui all'art. 600 ter c.p.: nel caso in esame a favore dell'ipotesi di cui all'art. 600 ter c.p., comma 4. Ciò vale ovviamente per i casi in cui si possa riscontrare un identità di fatto tipizzato tale da determinare un conflitto apparente di norme risolvibile appunto in base alla clausola di riserva. Se i fatti sono diversi operano invece le regole del concorso, salvo le ipotesi di assorbimento. Per semplificare, la condotta di cui all'art. 600 quater c.p. (detenzione di materiale pedopornografico) può concorrere con quella di divulgazione di notizie finalizzate allo sfruttamento dei minori di cui all'art. 600 ter c.p., comma 3, trattandosi di condotte completamente diverse anche se offendono lo stesso bene giuridico e, appunto perchè non sovrapponigli non possono dare luogo ad un conflitto apparente di norme, ma ad un concorso di reati. Nella fattispecie però la condotta della divulgazione di notizie o informazioni finalizzate allo sfruttamento dei minori, originariamente contestata, è stata esclusa dal tribunale il quale ha ravvisato l'ipotesi della cessione di materiale pedopornografico di cui all'art. 600 ter c.p., comma 4.
Orbene, per cedere il materiale (che è cosa diversa dall'informazione), bisogna prima detenerlo. In tale situazione la detenzione di materiale pedopornografico assume i connotati di un antefatto non punibile e per tale ragione rimase assorbito nel delitto di cessione. In definitiva, la condotta di cui all'art. 600 quater c.p., rimarrà assorbita in quelle di cui all'art. 600 ter allorchè sussista una progressione criminosa o un assorbimento e la condotta della detenzione sia prodromica a quelle di cui all'art. 600 ter c.p.. Nella fattispecie tra la condotta di cui all'art. 600 quater c.p. e quella di cui all'art. 600 ter c.p., comma 4 esiste assorbimento e non concorso di reati o concorso apparente di norme, perchè il reo per cedere il materiale ha dovuto prima procuraselo.
Pertanto il prevenuto deve essere assolto da tale reato perchè il fatto non sussiste, in quanto autonomamente non configuratole perchè assorbito nella cessione. La relativa pena deve essere quindi eliminata. A tale operazione deve provvedere il giudice del merito perchè il tribunale ha ritenuto più grave proprio il reato di cui all'art. 600 quater c.p..
P.Q.M
LA CORTE Letto l'art. 623 c.p.p. annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna per il reato di cui all'art. 600 quater c.p. perchè il fatto non sussiste. Rinvia per la determinazione della pena ad altra sezione della corte d'appello di Lecce. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, il 10 luglio del 2008.
Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2008


Da: Avvocato 198012/12/2012 12:28:55
ATTENZIONE - la L. 6 novembre 2012, n. 190 ha parzialmente modificato il citato articolo 322-ter, primo comma: dopo le parole: «a tale prezzo» sono difatti state aggiunte aggiunte le seguenti: «o profitto». A seguito dell'intervento del Legislatore, non v'è pertanto dubbio che, per quanto concerne la misura di sicurezza della confisca per i delitti con¬tenuti nel titolo II del Libro I del codice penale, ai sensi del novellato art. 322-ter c.p., in caso di condanna, è possibile disporre l'ablazione per equivalente non solo del prezzo del reato (cioè del corrispettivo per l'acquisto dell'utilità) ma anche del suo profitto, estendendo quindi la ritenzione a beni il cui valo¬re corrisponde all'utilità economica immediatamente derivante dall'avvenuto compimento del fatto illecito.

Da: BOH12/12/2012 12:31:24
TRACCIA PEDOPORNOGRAFIA - POSSIBILE SOLUZIONE CHE VE NE PARE ???

Pedopornografia on line: mero uso di programma file sharing non configura reato
Cassazione penale , sez. III, sentenza 28.11.2011 n 44065

La sentenza in argomento affronta forse uno degli argomenti più odiosi che coinvolgono Internet con le sue indubbie potenzialità e cioè la pedopornografia on line realizzata attraverso il peer to peer.

In particolare il caso riguarda un imputato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 600-ter, terzo comma, c.p. per avere divulgato, mettendo a disposizione degli altri utenti del web, materiale pornografico prodotto con protagonisti minori degli anni 18, consentendo a chiunque fosse in quel momento collegato al servizio di file sharing di scaricare l'anzidetto materiale pedopornografico.

Come è noto il file sharing letteralmente significa "condivisione di file" e si realizza concretamente attraverso la messa a disposizione reciproca da parte di tutti gli utenti che si collegano ad un determinato server, di alcuni files presenti sul disco fisso. Questi files, quindi, possono essere tranquillamente scambiati tra gli utenti che decidono di aderire a tale sistema. Il più famoso programma di file sharing è stato sicuramente Napster, i cui guai giudiziari sono ben noti a seguito dell'intervento delle case discografiche, ma bisogna riconoscere che dopo Napster sono sorti tanti altri sistemi che si fondano sulla stessa tecnologia come: WinMX, Morpheus, Gnutella, Kazaa (che sfrutta la rete di Morpheus) e Aimster, Netbrilliant, Imesh, Scour Exchange, Wrapster. Questi sistemi sono molto più evoluti e permettono di condividere non solo file mp3 ma qualsiasi tipo di file audio, video, .xls, .doc, .txt, etc.

Il problema è che le reti peer to peer (così vengono denominate le reti che utilizzano questi sistemi di file sharing) sono allo stato attuale difficilissime da controllare e questo particolare meccanismo di condivisione dei files consente di evadere le legislazioni di tutto il mondo oltre che rendere difficile il concreto accertamento di reati e l' acquisizione di prove. Basti pensare che in questo modo possono essere diffusi non solo file musicali "pirata" come nel caso di Napster, ma anche software abusivi, opere cinematografiche, filmati pedopornografici, per non parlare poi delle frequenti violazioni della privacy. A complicare ulteriormente le cose è anche la relativa facilità di installazione di queste reti che non richiedono particolari accorgimenti di natura tecnica.

Queste difficoltà, appena evidenziate, rappresentano le motivazioni principali della difesa dell'imputato che, nel caso di specie, contesta la validità ed attendibilità degli elementi probatori raccolti quali l'individuazione del nickname nonché della cartella di condivisione contenente l'immagine incriminata ed il reperimento di immagini pedopornografiche nella memoria del computer, avvenuto successivamente, in sede di perquisizione, presso l'abitazione dell'imputato.

Tali contestazioni non convincono la Suprema Corte che, invece, sostiene la perfetta coerenza e validità degli elementi probatori raccolti i quali, considerati nella loro complessità, risultano senz'altro decisivi.

La Suprema Corte, invece, condivide quanto contestato dalla difesa in merito alla carenza di prove circa l'esistenza dell'elemento psicologico del reato contestato e cioè dell'art. 600-ter del c.p. Difatti ai fini della configurabilità del dolo, richiesto dalla normativa richiamata, è necessario che il soggetto abbia avuto, non solo la volontà di procurarsi materiale pedopornografico, ma anche la specifica volontà di distribuirlo, divulgarlo, diffonderlo o pubblicizzarlo, desumibile da elementi specifici ed ulteriori rispetto al mero uso di un programma di file sharing. Tale elemento secondo la Corte poteva essere facilmente acquisito attraverso ulteriori indagini.

Rimane configurabile, quindi, nel caso di specie, il reato di cui all'art. 600-quater cod. pen., poiché l'imputato si è consapevolmente procurato l'immagine (scaricandone una da altri utenti attraverso il programma Kazaa) ed ha consapevolmente detenuto file pedopornografici.

Naturalmente, però, avendo la Corte d'Appello contestato il solo reato di cui all'art. 600-ter cod. pen., la Suprema Corte non può far altro che annullare la sentenza impugnata con rinvio, limitatamente alla determinazione della pena applicabile.

Si ricorda che attualmente il problema della pedofilia e della pornografia infantile su Internet è particolarmente sentito, non solo in Italia, ma anche in ambiente comunitario, per non dire mondiale, basti pensare alla decisione n. 276/1999/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 gennaio 1999 che ha adottato un piano pluriennale d'azione comunitario per promuovere l'uso sicuro di Internet attraverso la lotta alle informazioni di contenuto illegale e nocivo diffuse attraverso le reti, o alla risoluzione del Parlamento europeo dell'11 aprile 2000 (la quale ribadisce che il turismo sessuale che coinvolge l'infanzia è un reato strettamente connesso ai reati di sfruttamento sessuale dei bambini e di pornografia infantile, e allo stesso tempo chiede alla Commissione di presentare al Consiglio una proposta di decisione quadro che stabilisca le regole minime comuni relative agli elementi costitutivi dei suddetti atti criminosi) oppure alla successiva decisione del Consiglio UE del 29 maggio 2000 relativa alla lotta contro la pornografia infantile su Internet che cerca di favorire la più ampia e rapida cooperazione degli Stati membri per agevolare l'efficace accertamento dei reati e la relativa repressione conformemente agli accordi ed alle modalità vigenti (art. 2) o ancora alle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere.

In Italia il problema dei rapporti tra pedofilia ed Internet, è stato affrontato inizialmente dalla Legge 3 agosto 1998, n. 269 recante "Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù" successivamente integrata dalla Legge 6 febbraio 2006, n. 38 recante "Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet".

La Legge n. 269/98 per combattere la prostituzione, la pornografia ed il turismo sessuale in danno dei minori ha introdotto alcune norme nel codice penale tra cui i già menzionati artt. 600-ter e 600-quater, poi modificati in parte dalla Legge n. 38/2006.

Da: sibilo12/12/2012 12:31:28
la L. 6 novembre 2012, n. 190....RIGUARDA LA CORRUZIONE E LA P.A.....MALEDETTI

Da: fattisentire12/12/2012 12:35:29
quali sono le sentenze risolutive traccia notaio??????

Da: A CATANZARO12/12/2012 12:38:24
Responsabilità del notaio per il delitto di peculato

(Cass. pen., Sez. V, sentenza 11 dicembre 2009, n. 47178)

di Simone Marani

(Fonte: Altalex Mese - Schede di Giurisprudenza 2/2010)

Il quesito:

    Al notaio spetta la qualifica di pubblico ufficiale?

Il caso

Tizio, notaio, ometteva il versamento di somme, affidategli da clienti, destinate al pagamento dell'imposta di registro in relazione ad atti rogati.

Nonostante che il Gip del Tribunale di Orvieto avesse dichiarato il non luogo a procedere nei confronti dell'imputato, perché il fatto non sussisteva, il Procuratore della Repubblica presso il medesimo Tribunale ricorre per Cassazione deducendo violazione di legge e vizio di motivazione.

Secondo il ricorrente, in particolare, nella condotta di Tizio sono individuabili tutti gli elementi del delitto di peculato, fra i quali, il "danno" per la Pubblica Amministrazione ed il "vantaggio" per il notaio inadempiente, a fronte dei versamenti omessi.

La normativa

Codice penale

Art. 314 (Peculato)

Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di un'altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da tre a dieci anni.

Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita.

Art. 357 (Nozione di pubblico ufficiale)

Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.

Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.

Inquadramento della problematica

La nozione di pubblico ufficiale è da sempre stata oggetto di controversia sia in dottrina che in giurisprudenza, stante la vaghezza delle definizioni legislative contenute all'interno degli artt. 357 e 358 c.p..

Mentre, per quanto attiene alla funzione legislativa e a quella giudiziaria l'ambito risulta essere di facile caratterizzazione, maggiori problematiche ha dato la funzione amministrativa, in quanto non inquadrabile in uno schema tipico.

L'intervento normativo, avvenuto con la L. 86/1990, modificata dalla L. 181/1992, ha contribuito a risolvere molti problemi interpretativi che l'originaria formulazione degli articoli sopra richiamati aveva suscitato. L'attuale formulazione dell'art. 357 c.p., infatti, si preoccupa di definire la funzione amministrativa come quella disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi (elementi di riconoscimento esterno), e caratterizzata dalla formulazione e manifestazione della volontà della pubblica amministrazione, nonché dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi (elementi di riconoscimento interno) ([i]).

Dalla definizione legislativa emerge come l'elemento che contraddistingue il pubblico ufficiale sia l'esercizio di una "funzione pubblica"; posto, però, che anche in merito al concetto di "funzione pubblica" non vi è una definizione univoca, le incertezze sembrano permanere all'interno della manualistica e delle corti.

Ciò brevemente precisato, ci dobbiamo domandare se l'attività svolta dal notaio possa essere qualificata "pubblica funzione", tale da attribuire al soggetto la qualifica di pubblico ufficiale e se, in caso di risposta positiva, Tizio possa essere ritenuto responsabile del delitto di peculato, previa verifica della sussistenza degli elementi costitutivi del reato.

La soluzione accolta dalla Suprema Corte

- Secondo un primo orientamento, per pubblica funzione si intende qualsiasi attività che sia capace di realizzare i fini propri dello Stato, anche se esercitata da soggetti estranei alla pubblica amministrazione. Di conseguenza, secondo tale impostazione, è pubblico ufficiale la persona chiamata a volere ed agire nell'interesse dello Stato o di una pubblica amministrazione ([ii]).

- Secondo una diversa teoria, per pubblico ufficiale si deve intendere il soggetto che: a) concorre a formare o forma la volontà dell'ente pubblico, ovvero che lo rappresentano all'esterno; b) è munito di poteri autoritativi; c) è munito di poteri certificativi ([iii]).

- In linea di prima approssimazione possiamo definire i poteri autoritativi come tutti quei poteri, non solo coercitivi, che sono esplicazione di un potere pubblico discrezionale nei confronti di un soggetto che non si trova su un piano paritetico rispetto alla pubblica amministrazione.

- Nel novero dei poteri certificativi rientrano quelle attività di documentazione cui l'ordinamento riconosce efficacia probatoria quindi, come tale, anche l'attività posta in essere dal notaio, dagli agenti di cambio, dai mediatori autorizzati, ecc. Come affermato anche dal giudice nomofilattico "l'elemento caratterizzante della qualità di pubblico ufficiale è quello dell'esistenza del potere pubblico autoritativo in senso lato, del quale, in sostanza, fa parte anche il potere certificativo. L'esistenza di quest'ultimo non necessariamente deve essere prevista in maniera esplicita, ben potendo risultare dalla natura dell'atto posto in essere, in relazione ai fini dello stesso" ([iv]).

- Secondo l'opinione dei giudici "Non v'è dubbio che la condotta appropriativa del notaio vada qualificata come peculato. La qualifica di pubblico ufficiale spetta al notaio non solo nell'esercizio del suo potere certificativo in senso stretto, ma in tutta la sua complessa attività, disciplinata da norme di diritto pubblico (legge notarile) e diretta alla formazione di atti pubblici (negozi giuridici notarili)" ([v]).

- Orientamento che trova conferma nella più recente giurisprudenza di legittimità, secondo la quale "commette il reato di peculato il notaio che, incaricato della levata di protesti cambiari, si appropria del denaro derivante dall'incasso degli effetti cambiari consegnatogli per detto scopo, omettendo di effettuare il pagamento nel tempo dovuto ai creditori e trattenendo le somme incassate su conto corrente personale. Il notaio conserva infatti la qualità di pubblico ufficiale anche successivamente alla levata del protesto, come si ricava dall'art. 9, comma 4, L. 12 giugno 1973, n. 349, in base al quale il notaio è annoverato tra i pubblici ufficiali che hanno l'obbligo di versare l'importo dei titoli pagati il giorno non festivo successivo a quello del pagamento" ([vi]).

- Tornando al caso di specie, non può essere accolta la tesi difensiva secondo la quale l'attività del notaio, nell'adempimento dell'obbligazione tributaria vada qualificata come estranea alla funzione pubblica svolta per la stipula degli atti.

- Il fatto che il notaio sia responsabile d'imposta ed assuma come tale la veste di coobbligato solidale, che la legge affianca al soggetto passivo d'imposta, al fine di agevolare la riscossione dei tributi, non vale certo ad escludere la qualifica pubblicistica che gli compete.

- Per tali motivi, la Suprema Corte annulla la sentenza impugnata

Da: LAUREA IN ABOGACIA12/12/2012 12:38:28
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Da: giurdanella.it12/12/2012 12:38:37
Riferimenti per la soluzione della traccia "pedopornografia"
http://www.giurdanella.it/articolo/esame-avvocato-2012-parere-penale-traccia-pedopornografia-riferimenti-normativi-e

Da: LAUREA IN ABOGACIA12/12/2012 12:38:50
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Da: Rapadopa12/12/2012 12:39:16
A me per questa traccia mi hanno chiesto di cercare anche qualcosa sul concorso di reati e assorbimento!Sapete aiutarmi??

Da: auto12/12/2012 12:39:42

- Messaggio eliminato -

Da: LAUREA IN ABOGACIA12/12/2012 12:40:38
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Da: MEL12/12/2012 12:41:17
SOLUZIONI PRIMA TRACCIA, PER FAVORE?

Da: aleja 12/12/2012 12:42:51
che ne dite va bene la soluzione postata alla traccia del notaio?????

Da: 21.12.201212/12/2012 12:44:16
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