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Da: @oibò17/08/2015 21:50:45
Non sarebbe ora manco per niente. Un governo non può obbligare un privato ad impiegare il proprio denaro in un modo piuttosto che in un altro. Quello che si può fare è attuare politiche monetarie che vadano incontro ai bisogno dei ceti meno abbienti ed in particolare del ceto medio che sta scomparendo e il riappropriarsi della sovranità monetaria dovrebbe servire a questo scopo.
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Da: x@oibo17/08/2015 21:55:33
Se non ci deve essere un tetto al reddito massimo nella pubblica amministrazione, non ci devono essere nemmeno i privilegi di non licenziabilità.
Troppo comodo per alcune persone speciali, definiti manager pubblici, avere il reddito del settore privato e le garanzie del settore pubblico.
Se vogliono i redditi dei manager privati, ne devono assumere l'intero status, con il rischio connesso di più facile licenziabilità.
Rispondi

Da: @xoibò17/08/2015 22:00:27
Se si parla di pubblica amministrazione, siamo d'accordo. Però, l'amico oibò, da quel che mi è parso di capire, si riferiva ad un reddito massimo anche nel privato. Cosa inconcepibile.
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Da: Oibò18/08/2015 09:04:42
Nella Storia molte idee ritenute inconcepibili sono poi divenute realtà. Ciò che oggi appare un'utopia, un domani potrebbe concretizzarsi.
Rispondi

Da: Usciamo dall''euro!!!!!!!!!18/08/2015 09:08:33
!!!!!!!!
Rispondi

Da: @oibò18/08/2015 09:58:09
Quella che immagini tu non è utopia ma distopia.
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Da: Oibò18/08/2015 10:17:42
Divergenti modi di vedere le cose.
Rispondi

Da: ecco la realtà18/08/2015 12:54:32
Tra qualche settimana molti studenti cominceranno l'università. I loro genitori che si sono laureati circa trent'anni fa potevano permettersi di sbagliare facoltà, errore concesso in un'economia in crescita. Oggi è molto, molto più pericoloso fare errori. Purtroppo migliaia e migliaia di ragazzi in autunno si iscriveranno a Lettere, Scienze politiche, Filosofia, Storia dell'arte.

È giusto studiare quello per cui si è portati e che si ama? Soltanto se si è ricchi e non si ha bisogno di lavorare, dicono gli economisti. Se guardiamo all'istruzione come un investimento, le indagini sugli studenti dimostrano che quelli più avversi al rischio, magari perché hanno voti bassi e non si sentono competitivi, scelgono le facoltà che danno meno prospettive di lavoro, cioè quelle umanistiche.

I ragazzi più svegli e intraprendenti si sentono sicuri abbastanza da buttarsi su Ingegneria, Matematica, Fisica, Finanza. Studi difficili e competitivi. Ma chi li completa avrà opportunità maggiori, in Italia o all'estero. Un paper del centro studi CEPS, firmato da Miroslav Beblavý, Sophie Lehouelleur e Ilaria Maselli ha calcolato il valore attualizzato delle lauree, tenendo conto anche del costo opportunità (gli stipendi a cui rinuncio mentre studio invece di lavorare) delle diverse facoltà nei principali Paesi europei.

Guardiamo all'Italia: fatto 100 il valore medio attualizzato di una laurea a cinque anni dalla fine degli studi, per un uomo laureato in Legge o in Economia è 273, ben 398 se in Medicina. Soltanto 55 se studia Fisica o Informatica (le imprese italiane hanno adattato la propria struttura su lavoratori economici e poco qualificati). Se studia Lettere o Storia, il valore è pesantemente negativo, -265. Cioè fare studi umanistici non conviene, è un lusso che dovrebbe concedersi soltanto chi se lo può permettere. L'Italia è il Paese dove questo fenomeno è più marcato.

Ma finché gli "intellettuali pubblici" su giornali e tv continueranno a essere solo giuristi, scrittori e sociologi, c'è poca speranza che le cose cambino.



Dopo aver parlato con una delle autrici del paper che cito in questo articolo, ho apportato una correzione che non modifica le conclusioni (anzi, le rafforza) ma che è rilevante: le tabelle sul valore attualizzato delle lauree non si riferiscono al valore in euro, come può sembrare e come a me è sembrato, ma alla differenza rispetto alla media. I ricercatori fissano a 100 l'NPV medio, cioè il valore attualizzato del titolo di studio (calcolato in euro e poi standardizzato a 100). Quindi se un laureato in materie umanistiche ha un NPD -265 significa che il valore della sua laurea è negativo di oltre due volte il valore medio di un'educazione universitaria. Chiedo scusa per l'errore - che dimostra come in matematica e statistica non siamo mai abbastanza preparati - ma le tabelle riassuntive dello studio sono un po' scarse nella legenda. Adeguo quindi il post di conseguenza. E ho aggiunto il link al paper così ve lo potete leggere direttamente.

Nei prossimi giorni torneremo sull'argomento sul giornale, visto che sembra suscitare un vivace dibattito.
Rispondi

Da: ecco la realtà18/08/2015 12:58:04
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08/13/il-conto-salato-degli-studi-umanistici/1954676/
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Da: @ecco la realtà18/08/2015 13:04:14
Balle. E' giusto studiare ciò che piace anche perchè non sempre il lavoro che si andrà a fare avrà attinenza con il titolo di studio conseguito. E' la vita. Il progresso tecnologico dovrebbe essere ormai tale per cui il lavoro dovrebbe esserci per tutti e remunerato in modo adeguato agli standard europei. La libertà è anche questa. Oppure la pensi anche tu come l'amico oibò?
Rispondi

Da: Oibò18/08/2015 13:16:11
Ancora meglio se il progresso tecnologico sia tale d'affrancare l'uomo dai lavori usuranti.
Rispondi

Da: ecco la realtà18/08/2015 14:19:46
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08/18/universita-e-facolta-umanistiche-lequivoco-delle-3-culture/1963847/

In un paese a bassa crescita ed elevata disoccupazione come l'Italia è doveroso interrogarsi sul rendimento atteso degli studi universitari, come ha fatto Stefano Feltri nel post che ha generato accese discussioni e vergognosi attacchi all'autore che non meritano commento.

A giudicare dai toni, credo che molte persone facciano confusione su 3 differenti accezioni di cultura e che questo sia d'ostacolo a una discussione serena. Proviamo a definire cultura di base (1), le competenze elementari necessarie ad acquisire tutte le altre competenze; cultura professionale (2) l'insieme delle abilità necessarie per svolgere un'attività lavorativa e cultura "edonistica" (3) quella volta al puro piacere individuale.

La prima è un bene meritorio, a cui tutti dovrebbero avere la possibilità di accedere, a prescindere dal costo e dalla capacità del singolo di pagare: nei paesi civili la formazione necessaria per conseguirla è obbligatoria, mentre il costo è generalmente carico della collettività. La cultura edonistica è invece un bene come gli altri, il cui consumo è in genere demandato alle preferenze e disponibilità individuali, salvo alcune forme di incentivo/sussidio a carico della collettività (agevolazioni per acquisto di libri etc). La cultura professionale è l'unica assimilabile ad una forma di investimento e pertanto ha molto senso effettuare analisi come quella dello studio Ceps citato da Feltri.

Gli ostacoli principali a una discussione serena su quest'ultimo punto, derivano dalla confusione nei confini delle 3 culture: ad esempio chi crede che il greco e il latino consentano di comprendere meglio il mondo che ci circonda, considererà lo studio di tali materie cultura di base, bene meritorio, e di conseguenza, opporrà resistenza a qualunque evidenza empirica deludente sul rendimento atteso degli studi umanistici. Peraltro, se formiamo la nostra classe dirigente al liceo classico, non è accettabile che le facoltà umanistiche costituiscano un investimento in formazione con rendimento negativo. Parimenti, questo pregiudizio si riverbera anche nella distinzione tra cultura edonistica e professionale: se la cultura professionale è l'unica con un valore economico finanziariamente calcolabile, la cultura edonistica avrà per contro un valore extraeconomico incalcolabile.

Lo schema delle 3 culture dovrebbe aiutarci a esaminare le statistiche del Ceps senza paraocchi ideologici: le facoltà che hanno un valore attuale netto negativo, sono una scelta razionale per chi vi si iscrive per finalità edonistiche, ma un pessimo investimento per chi si iscrive all'università solo per trovare lavoro.

Messi da parte i pregiudizi e chiarito lo schema di riferimento si può ampliare la discussione lungo direttrici inattese: e se la spendibilità sul mercato del lavoro degli studi umanistici, fosse determinata anche da carenze in alcune competenze di base (logica, web, analisi costi benefici etc)? Le società più moderne e innovative assumono cervelli più che laureati in questo o in quello e potrebbero trovare interessante un filologo, che si è interessato anche di software per l'analisi dei testi e ha potuto farlo perché a conoscenza delle potenzialità della programmazione informatica.

Non è poi possibile che la mediocre gestione "commerciale" del nostro patrimonio culturale sia il frutto anche di una specie di complesso di superiorità dei fautori della cultura classica e che, per contrappasso, sia proprio questo a determinare le difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro per chi ha fatto questi studi? Forse invece di attaccare il giornalista, che ci espone evidenze statistiche sconvenienti, dovremmo interrogarci sui danni causati alla collettività da concezioni distorte di cosa è o meno cultura.

Concludo con un aneddoto personale: ho conosciuto una prestigiosa società multinazionale che per policy di assunzione, in Italia prendeva in considerazione solo (pochi) laureati in economia e ingegneria e solo se provenienti da 3 università. Non entro nel merito di questa scelta, tuttavia la stessa società, per gli stessi ruoli, in Inghilterra e Stati Uniti assumeva tranquillamente anche laureati in filosofia o in materie umanistiche. La discriminante nella scelta era costituita da alcune competenze di base come problem solving,etc che nella loro esperienza (o congettura) nei paesi anglosassoni erano presenti in candidati provenienti da tutte le facoltà, mentre in Italia solo nel ristretto insieme che prendevano in considerazione.

A molti potrà apparire un arbitrio o un'ingiustizia, personalmente all'epoca ho provato solo invidia per quei paesi dove un laureato in filosofia poteva tranquillamente lavorare in consulenza aziendale o in finanza e rabbia nei confronti dell'Italia, dove questo appariva inconcepibile a studenti e datori di lavoro.
Rispondi

Da: @ecco la realtà18/08/2015 17:17:38
In un Paese a bassa crescita ed elevata disoccupazione, bisogna interrogarsi se le politiche economiche adottate dal governo sono adatte o meno ad affrontare la situazione. Vai a vedere che adesso la colpa è degli studenti perchè decidono di studiare quello che preferiscono (e ci mancherebbe). Posta meno fesserie che non le legge nessuno.
Rispondi

Da: ecco la realtà18/08/2015 20:25:13
Ilaria Maselli, ricercatrice Ceps, è fra gli autori del paper sui «ritorni dell'educazione terziaria» pubblicato dall'istituto di Bruxelles. L'indagine fa luce, con i numeri, su un cortocircuito tra domanda e offerta nella formazione universitaria: l'Europa chiede laureati tecnico-scientifici, ma i corsi del settore attraggono poco (o non a sufficienza) gli studenti in uscita dalle scuole superiori.

Secondo Maselli, le interpretazioni sono due: «La prima, non sviluppata all'interno di questa indagine, è che è inutile "chiedere laureati Stem" se poi gli stipendi sono insufficienti o inadatti alla preparazione dei ragazzi - dice al Sole 24 Ore -. Parliamo di contratti da 1000 euro al mese». La seconda? «E' quella che approfondiamo, e cioè che - per qualche motivo - finisce per essere quasi sconveniente laurearsi proprio in discipline tecnico-scientifiche che garantiscono maggiori opportunità».

La ricetta per incentivare: sussidi ai meritevoli. La mobilità? Non è (sempre) un danno
Nella ricerca si parla di policy per aumentare l'interesse (e la partecipazione) degli studenti in aree di studio che saranno vitali per gli obiettivi di crescita. C'è chi parla di sgravi per gli studenti meritevoli o strategie di "controesodo" per la cosiddetta fuga di talenti. «Secondo me, però, non bisogna confondere più questioni. Un conto è come incentivare gli studenti: e qui potrebbe entrare in gioco una tassazione favorevole o sussidi agli studenti - per dire - di ingegneria che restano in regola». Se si parla di mobilità internazionale, Maselli invita a chiarire i termini: il flusso internazionale di talenti, il cosiddetto "brain drain", non è un cortocircuito ma un valore aggiunto. E soprattutto, «bisogna mettersi nell'ordine di idee che bloccare la mobilità è una causa persa. Non solo ha un effetto positivo, ma alle volte è una necessità. Supponiamo che in Italia non ci siano aziende che cercano candidati con un Phd in matematica: cosa si fa, non si studia matematica o si accettano offerte internazionali?».

Non esistono lauree inutili, ma serve 'arricchire' il curriculum
Capitolo studi umanistici. Alcuni hanno interpretato il saldo in negativo dei ritorni degli studi letterari-artistici come una prova della loro «inutilità» sul mercato. Una semplificazione che non convince Maselli: «Qui stiamo parlando di un calcolo puramente economico. La prospettiva dei 'returns of education', i ritorni dell'istruzione, è molto più ampia. Non sono d'accordo con chi dice che 'studiare lettere è inutile' perché il suo valore non può essere limitato al calcolo che svolgiamo in questa determinata indagine». Maselli cita gli effetti - positivi - di un investimento pubblico sulla cultura, più sottili di quelli che emergono dai numeri su reddito e tasso occupazionale. E quando si tratta di indicare un metodo per scegliere gli studi, cestina la vecchia logica dello "studio da curriculum": un libretto fitto di 30 serve a poco, senza un corredo di esperienze. Per il lavoro, e la persona: «Qui non parlo da ricercatrice, ma dico la mia: bisogna studiare quello che si ritiene, ma combinarlo con tantissime altre attività complementari. In un mondo in cui tantissime persone si iscrivono all'università, il valore del titolo in sé si riduce e cresce quello che hai fatto a margine». Ad esempio?«Creare una app, creare una newsletter della facoltà, fare da tesoriere alla squadra di basket. Esperienze semplici che ti mettono a contatto con la realtà. Quando arrivi sul mercato non sei solo uno che mangia cento libri, ma uno studente interessante».
Rispondi

Da: ecco la realtà18/08/2015 20:57:35

    Molti studenti italiani seguono solo i loro interessi senza considerare la reale spendibilità sul mercato del lavoro del titolo che acquisiscono nel loro percorso di studi. In particolare, snobbano le discipline tecnico-scientifiche preferendo quelle umanistico-letterarie.
    "Il sistema universitario italiano fa un po' schifo". Tale affermazione si basa sul confronto tra i risultati del test PISA degli studenti alle superiori e quelli degli adulti: "non si vedono grandi miglioramenti". Feltri rafforza il concetto dicendo che "è chiaro che studiamo le cose sbagliate e, per aggravare la situazione, le studiamo anche male."

Provo a discutere dei due temi separatamente e poi a farne una sintesi.
Le "lauree deboli"

Da tempo in Italia si parla del problema delle "lauree deboli" cioè quei corsi di studio che non garantiscono un accesso facile al mercato del lavoro. Non per niente negli anni scorsi sono stati anche finanziati percorsi formativi per rendere più facilmente spendibili queste competenze nel mercato del lavoro. Al tempo stesso, mancano competenze in diversi settori (come l'ingegneria). È una situazione che, peraltro, rispecchia un problema di molti paesi occidentali: in USA ci sono gap simili e anche a livello europeo, per fare un esempio, esistono programmi che studiano le carenze di professionisti negli e-Skills e nella e-Leadership (cioè competenze relative alle tecnologie digitali).

Per questo motivo, su questo tema mi sento vicino alle tesi di Feltri. C'è uno sbilanciamento tra scelte degli studenti, richieste del mercato del lavoro e salari conseguenti. Mi pare che la situazione sia ben riassunta da questo diagramma di Alma Laurea:

la scienza paga

Le affermazioni di Feltri sono state oggetto di aspri commenti, soprattutto perché sono state interpretate come una critica a studenti che si concentrerebbero su materie inutili. In realtà, il problema esiste e, senza in alcun modo voler violare la libertà di scelta delle persone, è necessario esserne consapevoli, quanto meno per declinare il proprio percorso di studi in modo da valorizzare al meglio nell'odierno mercato del lavoro le competenze acquisite nel corso degli studi universitari. Per esempio, è indubbio che lo sviluppo dei servizi digitali possa e debba beneficiare del contributo di esperti in discipline umanistiche. Ma non basta semplicemente rivendicare l'importanza delle materie umanistiche: è necessario fare in modo che queste competenze siano spendibili nei diversi contesti dove le persone si troveranno a lavorare. In generale, si deve operare per eliminare o ridurre il mismatch tra offerta e domanda, altrimenti è evidente che sarà sempre difficile per molti giovani trovare un adeguato sbocco lavorativo.

Rispondi

Da: reddito di cittadinanza contro la schiavitù19/08/2015 09:35:15
A La Repubblica il marito racconta "Andava via di casa alle 2 di notte. Prendeva l'autobus alle 3. Ai campi ad Andria, da San Giorgio Jonico, arrivava intorno alle 5.30. Noi a casa la rivedevamo non prima delle 3 del pomeriggio, in alcuni casi anche alle 6. Guadagnava 27 euro al giorno. Poco. Ma per noi quei soldi erano importanti. Fin quando a casa è arrivata quella telefonata, Paola si era sentita male, non sono nemmeno riuscito a salutarla, ora Paola non c'è più". Ancora racconta "Siamo abituati a lavorare. E a stare in silenzio. Paola non stava male me l'avrebbe detto, a parte la cervicale, non aveva altri dolori. Non era cardiopatica, si lamentava soltanto di questi dolori al collo ogni tanto. Sono arrivato ad Andria, dopo un viaggio massacrante (ndr. : la donna faceva questo viaggio massacrante ogni giorno) da San Giorgio e, un po' alla volta, ci hanno detto la verità: "mia moglie si trovava nella camera mortuaria del cimitero".

Una tragedia evitabile?
Un mondo, quello dell'agricoltura, soprattutto al sud, che vive sostanzialmente di lavoro nero, dove centinaia di migliaia di immigrati, anche clandestini, hanno creato una sorta di mondo sommerso di manodopera sottopagata, che costringe i lavoratori ad accettare lavori usuranti malpagati o lavoro nero, con orari che vanno ben oltre il lecito, una schiavitù accettata dalle istituzioni che chiudono un occhio pur di mantenere in vita un settore che soffre della concorrenza internazionale a basso costo, grazie al mercato comune e alle politiche di apertura dei mercati verso l'Asia per consentire a qualche multinazionale europea di fare affari in quei mercati, gli interessi di pochi milionari a scapito della vita di milioni di persone, cittadini italiani, europei e anche immigrati, persone come noi, costretti a contratti da schiavitù. Una tragedia evitabile?

Forse se chi di dovere non chiudesse gli occhi, se le istituzioni facessero il loro dovere, se le denunce da parte dei lavoratori fossero maggiori, se l'Unione Europea proteggese di più i prodotti europei e nazionali dalle importazioni a basso costo, se il lavoro fosse veramente un diritto, come dice la costituzione, e non una merce di scambio, se ci fosse il reddito di cittadinanza come propone il m5s e Grillo. Si, se ci fosse il reddito di cittadinanza la gente non sarebbe costretta a lavorare a qualsiasi prezzo pur di sopravvivere, i salari sarebbero al di sopra della sopravvivenza e sarebbero più sotto controllo perché la gente denuncerebbe di più le situazioni al limite, e le condizioni disumane a cui devono sottostare.
Rispondi

Da: Item19/08/2015 10:04:44
Avanti con rdc, politiche del lavoro e uscita dall'euro. Basta sopportare questo degrado!
Rispondi

Da: @Item19/08/2015 10:22:34
sì ma delle cose che hai elencato, il rdc è l'ultima cosa di cui occuparsi.
Rispondi

Da: reddito di cittadinanza contro la schiavit19/08/2015 10:33:32
Certo dopo che saranno morti ancora altre decina di migliaia di lavoratori per schiavitù.
Rispondi

Da: Item19/08/2015 10:34:52
Infatti, anch'io la ritengo una priorità assoluta. Ma nel contempo si può procedere anche sugl'altri fronti.
Rispondi

Da: @Item19/08/2015 10:47:00
Ritengo invece che senza una ripresa del lavoro e quindi una uscita dalla moneta unica, il rdc sia totalmente inutile. Le cose van fatte secondo logica altrimenti poi non ci si deve stupire se i risultati non sono quelli auspicati.
Rispondi

Da: Item19/08/2015 11:01:59
Dissento. Sono dell'opinione che uno schema di reddito minimo aiuta, insieme ad altre variabili, a incrementare i livelli di occupazione, quindi non sarebbe d'ostacolo a politiche del lavoro, tutt'altro.
Rispondi

Da: Item19/08/2015 11:03:22
Anche i dati Eurostat lo dimostrano.
Rispondi

Da: ex praticante 19/08/2015 11:19:48
@ ecco la realtà: fammi capire, secondo la ricerca che citi una laurea in Legge (quindi comunque umanistica) in Italia al giorno d'oggi, dopo 5 anni, vale ben 273?!? Con tutti i disoccupati che crea??? Sicuro che non ci fosse il segno "meno" davanti?
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Da: @Item19/08/2015 11:20:13
Fai male a dissentire perchè la logica non è un'opinione. Il rdc certamente potrebbe, come hai anche scritto, aiutare  ma non risolvere la questione. Questo dovrebbe farti capire che l'interesse primario dei cittadini italiani è quello di riavere il lavoro e bisogna quindi agire strutturalmente in questo senso. Poi ci si può dilettare con rdc et similia.
Rispondi

Da: sveeevliaaaa 19/08/2015 12:42:29
A zappare altro che lauree umanistiche
Rispondi

Da: Item19/08/2015 13:21:36
Repetita iuvant: si possono fare tutte le cose assieme, l'una non esclude l'altra, anzi si coadiuvano a vicenda, tua logica permettendo.
Rispondi

Da: @Item19/08/2015 13:30:12
Repetita iuvant.. mica tanto. Visto che la situazione è grave, bisogna procedere, per risolverla, in modo da dare precedenza alle priorità come in tutte le cose e poi ai dettagli. Il rdc è un dettaglio anche se ti piace così tanto ma sempre dettaglio rimane. Il ragionamento " di pancia" non porta da nessuna parte e la logica non è mia ma universale e oggettiva.
Rispondi

Da: Item19/08/2015 13:48:24
Hai espresso la tua opinione che, per definizione, è soggettiva quanto la mia, quindi non è una verità assoluta, anche se pare tu la ritenga diversamente. Anyway, vedremo come il Governo procederà nei prossimi mesi per risolvere 'sto dramma sociale, ammesso che riesca a risolvere qualcosa.
Rispondi

Da: @Item19/08/2015 14:13:39
Non è una mia opinione nè una mia intuizione. E' ciò che esprimo tanti economisti internazionali ed anche nostrani. Il problema della crisi economica del sud europa deriva da una unione monetaria che ingessa le politiche economiche di Paesi come l'Italia. Questo è il dato da cui partire e non di certo il rdc. La mia e la tua opinione contano nulla.
Rispondi

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