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18 dicembre 2014 - Atto giudiziario - Penale
505 messaggi, letto 40618 volte

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Da: avvocato del sud 18/12/2014 10:20:15
Non credo sia possibile parlare di ne bis in idem. Sono fattispecie differenti. Credo che si debba valutare la possibilità di far rideterminare la pena della seconda condanna per bancarotta risultando evidenti profili di connessione tra i due distinti reati poichè avvinti dalla continuazione. Vi è identità del disegno criminoso.
Rispondi

Da: Derrick 18/12/2014 10:22:48
Rapporti fra i reati ex artt. 646 c.p. e 216 l. fall.

Non può sussistere concorso formale fra i reati di bancarotta fraudolenta ed appropriazione indebita quando vi sia:

1)    identità della cosa su cui si sono concentrate le attività criminose e simultaneità delle stesse;

2)    destinazione unica dei beni appresi indebitamente dal reo;

Ex art. 84 c.p., infatti, il reato meno grave di appropriazione indebita viene assorbito in quello di bancarotta fraudolenta.

Tuttavia, la giurisprudenza prevalente ritiene che anche nel caso di perfetta identità materiale rispetto alla distrazione di due reati rimangono ontologicamente diversi, perché alla bancarotta è sempre richiesto un quid pluris (dichiarazione di fallimento) che integra che integra elemento costitutivo del 216 l. fall, con ciò non potendo operare il divieto di ne bis in idem.

La ratio di tale principio è che adottando una soluzione contraria resterebbe impunita l'area di illiceità o antigiuridicità non coperta dalla fattispecie minore (ex plurimis, Cass. Penale 4404/08).

Pertanto, intervenuta una condanna per 646 c.p. divenuta irrevocabile, non è precluso l'esercizio dell'azione penale (dopo la sentenza di fallimento) per il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione per i medesimi beni.

Pertanto, qualora il reato di cui all'art. 646 c.p. sia stato contestato e sia stato giudicato prima della dichiarazione di fallimento, la successiva imputazione ai sensi dell'art. 216 l. fall. non è inibita, atteso che la questione di compatibilità tra le due fattispecie, pur non trovando specifica soluzione nell'art. 649 c.p.p., va risolta nel senso dell'assorbimento del reato meno grave in quello complesso, sulla base dei medesimi principi di sostanziale equità che consentono di superare il giudicato nel caso si debba recuperare "ex post" l'identità di disegno criminoso per l'applicazione dell'istituto della continuazione.

Secondo Cassazione Penale n. 37567/03: in tal caso il giudice deve, in sede di eventuale condanna per tale ultimo reato, considerare assorbito quello sanzionato ai sensi dell'art. 646 c.p., secondo un principio di equità che trova espressione anche nello scioglimento del giudicato sulle pene in caso di riconoscimento della continuazione in fase esecutiva. (In applicazione di tale principio la Corte, preso atto che il giudice di merito aveva posto in continuazione il reato fallimentare perseguito con quello di appropriazione indebita già giudicato in altra sede, ha direttamente eliminato la quota di pena pertinente al reato meno grave).
Rispondi

Da: AIUTANTE18/12/2014 10:24:20
sono indecisa tra due soluzioni:
1 incidente di esecuzione poichè la bancarotta assorbe il 646
2 appello ai fini della riqualificazione in bancarotta semplice
Rispondi

Da: penalista da napoli 18/12/2014 10:24:24
Cavolo ,certo che e'un appello ma la questione della precedente condanna va valutata nei motivi di appello e nella relative richieste difensive!
Rispondi

Da: sia3418/12/2014 10:25:36
Ragazzi troviamo la sentenza dell'atto di penale!!!
Rispondi

Da: nori 18/12/2014 10:25:44
ragazzi le tracce postate sono esatte!
Rispondi

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Da: asg18/12/2014 10:26:04
il reato di bancarotta fraudolenta, successivamente alla dichiarazione di fallimento, essendo più grave contiene quello di approprazione indebita. vi sarebbe un ne bis in idem "parziale". ecco perchè si chiede la rideterminazione della pena richiedendo l'eliminazione della parte comminata con la prima sentenza, altrimenti si avrebbe una doppia condanna per il medesimo fatto anche se contenuta in una condanna per fatto più grave.
Tuttavia, può accadere - come nel caso di specie - che, integrata la condotta di appropriazione indebita, si intraprenda il relativo procedimento penale, il quale si conclude con sentenza irrevocabile prima che venga dichiarato il fallimento della società. Quid juris: è invocabile il ne bis in idem nel giudizio successivamente promosso per bancarotta fraudolenta? Al quesito i giudici di Piazza Cavour hanno risposto negativamente precisando che una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento l'appropriazione indebita si trasforma in una nuova, e più grave, fattispecie giuridica che, non integrando il concetto di "medesimo fatto" di cui all'art. 649 c.p.p., può legittimamente costituire oggetto di un nuovo procedimento penale.
Infatti, i due reati hanno obiettività giuridiche diverse, ledendo beni giuridici differenti: l'appropriazione indebita tutela l'integrità del patrimonio in sé considerato; la bancarotta fraudolenta l'integrità del patrimonio, inteso come garanzia per i creditori, in sede esecuzione fallimentare.

Per completezza espositiva, va poi evidenziato che se il procedimento relativo all'appropriazione indebita si definisce con condanna irrevocabile, la sentenza che conclude con una nuova censura il giudizio per bancarotta fraudolenta dovrà irrogare una pena unica, risultato della rideterminazione di quella precedentemente comminata.
Rispondi

Da: Natalia88 18/12/2014 10:26:44
ragazzi rimettete la traccia di civile,non la trovo piu
Rispondi

Da: asg18/12/2014 10:27:28
da Tuttavia in poi è virgolettato da prof.ilsol24
Rispondi

Da: mrt8518/12/2014 10:29:02
"Nella notte del 12/5/2012 caio decideva di partecipare ad 1 gara automobilistica clandestina e prima della partenza di caio chiedeva a sempronio di accompagnarlo nella gara. Semprono accettava l'invito e saliva sull'autovettura condotta da caio e di proprietà del medesimo. Nel corso della competizione caio perdeva il controllo della sua vettura che si ribaltava, ed a causa delle ferite riportate nell'incidente sempronio decedeva. Dal verbale della polizia risultava ke sempronio aveva allacciato la cintura di sicurezza. Mevia e tizio, rispettivamente madre e fratello d sempronio formulavano rituale richiesta di risarcimento danni ai sensi dell art 145 cod delle ass private (dlgs 209/05) ricevuta dalla societa alfa, compagnia assicuratrice dell auto di caio il 30/9/2012. Nn essedo intervenuto alcun risarcimento, con atto d citazione notificato il 13/6/2013 mevia e tizio convenivano in giudizio caio e la società alfa x sentirli condannare in solido tra d loro al risarcimento dei danni patiti a seguito della morte d sempronio. A sostegno della propria domanda tozio e mevia esponevano ke sempronio nn aveva posto in essere alcuna condotta idonea a causare o anche sl ad agevolare il sinistro poiche si era limitato a salire a bordo dell'autovettura d caiox accompagnarlo.senza ingerirsi in alcun modo nella conduzione dell'auto. Evidenziavano inoltre ke sempronio aveva adottato tt le cautele necessarie allacciandosi la cintura d sicurezza. Gli attori chiedevano quindi che i convenuti venissero condannati in solidi tra loro al risarcimento dei danni derivanti dal sinistro, da attribuirsi alla esclusiva resp di caio. Assunte le vesti del legale del convenuto rediga il candidato l atto giudiziario ritenuto più idoneo alla titela dei propri assistiti illustrando gli istituti e le problematiche sottesi alla fattispecie in esame."
Rispondi

Da: svegliaaa18/12/2014 10:29:47
Natalia88 vai sul post dedicato all'atto di civile!!
Rispondi

Da: penalista da napoli 18/12/2014 10:30:55
Ragazzi siete da bocciare tutti, si deve chiedere la continuazione nei motivi di appello del nuovo reato contestato con il 646c.p. ....sento cose orripilanti e suvvia!!
Rispondi

Da: penalista da napoli 18/12/2014 10:31:50
Ragazzi siete da bocciare tutti, si deve chiedere la continuazione nei motivi di appello del nuovo reato contestato con il 646c.p. ....sento cose orripilanti e suvvia!!
Rispondi

Da: avvocato del sud 18/12/2014 10:31:52
Esattamente come avevo detto prima.
Rispondi

Da: sasa69x 18/12/2014 10:32:31
penale

fate attenzione che trattasi di unico disegno criminoso, appello ritengo scaduto nei termini, quindi secondo me bisogna fare un procedimento di esecuzione ex art 666 ed 669 cpp

praticamente con lo stesso disegno criminoso vi è cumulo di pena per cui la sentenza sulla bancarotta viene inglobata nella prima e si applica la pena della prima sentenza

è molto semplice
Rispondi

Da: avvocato del sud 18/12/2014 10:33:36
Assolutamente no. E' irrevocabile solo la sentenza della appropriazione indebita non quella della bancarotta. L'incidente di esecuzione è assolutamente errato.
Rispondi

Da: asg18/12/2014 10:33:43
Il reato continuato si configura quando un soggetto "viola una o più disposizioni di legge, con azioni diverse, per realizzare un medesimo disegno criminoso" (81 cp)
qui l'azione è la stessa. dubito della continuazione in quanto la bancarotta fraudolenta viene considerata reato complesso ex 84 cp
Rispondi

Da: Natalia88 18/12/2014 10:34:01
mrt85 èquesta la civile giusto?
Rispondi

Da: aiutinodacasa18/12/2014 10:34:05
Una volta individuata la "violazione più grave" nel senso sopra chiarito, i reati meno gravi perdono la loro autonomia sanzionatoria e il relativo trattamento sanzionatorio confluisce nella pena unica irrogata per tutti i reati concorrenti. Costituisce, infatti, una pena legale non solo quella stabilita dalle singole fattispecie incriminatrici, ma anche quella risultante dalle varie disposizioni incidenti sul trattamento sanzionatorio, quali sono, appunto, tra le altre, quelle concernenti il reato continuato. La pena legale, dunque, non è solo quella prevista dalla singola norma incriminatrice, ma quella che risulta dall'applicazione delle varie disposizioni che incidono sul trattamento sanzionatorio e, quindi, la pena unica progressiva, applicata come cumulo giuridico ex art. 81 cod. pen., è anch'essa pena legale, perché prevista dalla legge.CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE - SENTENZA 13 giugno 2013, n.25939
Rispondi

Da: pupy7718/12/2014 10:34:57
sasa69x.....è una minchiata!!!!!
Rispondi

Da: molly8218/12/2014 10:35:23

Il principio del ne bis in idem in ipotesi di reato complesso







La V sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 4404/2009, ha affrontato la delicata questione relativa al rapporto tra i reati di appropriazione indebita e di bancarotta fraudolenta, commessi da un amministratore di società dichiarata fallita, alla luce del principio del c.d. ne bis in idem.

Nel caso di specie, il Presidente del Consiglio di Amministrazione di una società aveva distratto dalle casse sociali in proprio favore un'ingente quantità di denaro. Per tale condotta, l'amministratore era stato sottoposto, in un primo momento, a procedimento penale a titolo di appropriazione indebita, conclusosi con sentenza irrevocabile di non doversi procedere per essersi il reato estinto a causa dell'intervenuta prescrizione.
Successivamente, dopo la dichiarazione di fallimento della società, allo stesso amministratore veniva addebitato, per la condotta già precedentemente contestata ex art. 646 c.p., il reato di bancarotta fraudolenta in base al combinato disposto degli artt. 223 e 216, n. 1 della Legge Fallimentare.

Tuttavia, il Tribunale dichiarava, a norma dell'art. 649, primo comma, c.p.p., di non doversi procedere nei confronti dell'imputato in quanto lo stesso fatto era già stato giudicato con sentenza irrevocabile (anche se giuridicamente qualificato in termini di "appropriazione indebita"): la summenzionata norma, infatti, prevede che "l'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, (..)". E' questo il c.d. principio del ne bis in idem, che ha come finalità precipua quella di evitare il conflitto tra giudicati: nel nostro ordinamento penale tale principio nasce dal rifiuto di un sistema inquisitorio, che non lo ammetteva perché considerava il giudizio sempre perfettibile, a favore del sistema accusatorio, nel cui ambito occorre rispettare certi termini, tempi e forme, e pertanto, il ne bis in idem si configura come un risultato fisiologico, quasi necessario.

Orbene, per stabilire se alla fattispecie in esame sia applicabile il ne bis in idem è necessario definire preliminarmente il concetto di "medesimo fatto", rilevante ex art. art. 649 c.p.p.
L'orientamento costante sia in dottrina che in giurisprudenza (cfr. Cass., s.u., sentenza n. 34655/2005) propende per la sussistenza di identità del fatto qualora via sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, esaminato in tutti i suoi elementi costitutivi - anche con riguardo alle condizioni di tempo, luogo e persone - da valutare nelle loro dimensioni naturalistica e giuridica. Pertanto, solo in caso di diversità di evento, pur conseguente a condotta unitaria, non trova applicazione l'art. 649 c.p.p., "posto che sotto il profilo giuridico l'evento ulteriore vale a caratterizzare diversamente il fatto-reato nella sua globalità".

L'interpretazione di questo principio, però, non è uniforme in relazione al rapporto tra appropriazione indebita e bancarotta fraudolenta, nell'ipotesi di unicità della condotta distrattiva rilevante.

Un primo orientamento, infatti, ritiene che, in presenza di condotte materiali del tutto identiche, un elemento esterno - quale la dichiarazione di fallimento - non può essere considerato "evento ulteriore", come tale idoneo a consentire l'instaurazione di un nuovo giudizio a titolo di bancarotta fraudolenta per distrazione pur dopo che sia intervenuta l'irrevocabilità della sentenza di condanna per appropriazione indebita.

Secondo un'altra impostazione, invece, la fattispecie della bancarotta fraudolenta è più ampia rispetto a quella di appropriazione indebita atteso che, anche nel caso di perfetta identità materiale della condotta distrattiva, la norma sostanziale richiede un elemento ulteriore, cioè la dichiarazione di fallimento, che integra un elemento costitutivo della fattispecie. Dunque, intervenuta la dichiarazione di fallimento, si concretizza un evento ulteriore che impedisce di affermare che l'appropriazione indebita e la bancarotta fraudolenta per distrazione sostanzino un "medesimo fatto" alla luce dell'art. 649 c.p.p.
Tale insegnamento è stato recepito dalla Suprema Corte nella sentenza in commento, ove è precisato che "il fatto giuridico previsto dagli artt. 646 c.p. e 216 della legge fallimentare non è identico in quanto quello previsto da quest'ultima norma sostanziale è connotato da un quid pluris rappresentato dalla dichiarazione di fallimento, almeno fintantoché questa continui ad essere rappresentata come elemento costitutivo della fattispecie e non come elemento ad essa estrinseco, rilevante soltanto ai fini della punibilità".

Il descritto approdo giurisprudenziale, tuttavia, non esaurisce le problematiche giuridiche che rilevano nel caso che ci occupa. Risulta evidente, infatti, che i reati in esame, se commessi contestualmente, integrano un'ipotesi di reato complesso ex art. 84 c.p., atteso che la condotta di appropriazione indebita (già di per sé costituente reato) è considerata dall'art. 216 l.f. un elemento costitutivo della bancarotta fraudolenta. Ne consegue che, in applicazione dei principi generali del diritto penale, il reato di appropriazione indebita viene assorbito da quello di bancarotta fraudolenta e dunque, posta in questi termini, la questione non presenta particolari problemi di conformità al principio del ne bis in idem in quanto l'unico reato perseguibile è proprio quello di bancarotta fraudolenta (con esclusione, quindi, del pericolo di duplicazione di giudizi aventi ad oggetto il medesimo fatto).

Tuttavia, può accadere - come nel caso di specie - che, integrata la condotta di appropriazione indebita, si intraprenda il relativo procedimento penale, il quale si conclude con sentenza irrevocabile prima che venga dichiarato il fallimento della società. Quid juris: è invocabile il ne bis in idem nel giudizio successivamente promosso per bancarotta fraudolenta? Al quesito i giudici di Piazza Cavour hanno risposto negativamente precisando che una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento l'appropriazione indebita si trasforma in una nuova, e più grave, fattispecie giuridica che, non integrando il concetto di "medesimo fatto" di cui all'art. 649 c.p.p., può legittimamente costituire oggetto di un nuovo procedimento penale.
Infatti, i due reati hanno obiettività giuridiche diverse, ledendo beni giuridici differenti: l'appropriazione indebita tutela l'integrità del patrimonio in sé considerato; la bancarotta fraudolenta l'integrità del patrimonio, inteso come garanzia per i creditori, in sede esecuzione fallimentare.

Per completezza espositiva, va poi evidenziato che se il procedimento relativo all'appropriazione indebita si definisce con condanna irrevocabile, la sentenza che conclude con una nuova censura il giudizio per bancarotta fraudolenta dovrà irrogare una pena unica, risultato della rideterminazione di quella precedentemente comminata.
Contrariamente, qualora il processo inerente l'appropriazione indebita si concluda con declaratoria di intervenuta prescrizione - come nella presente ipotesi - troverà applicazione l'art. 170, comma 2, c.p., secondo cui "la causa estintiva di un reato, che è elemento costitutivo o circostanza aggravante di un reato complesso, non si estende al reato complesso".

In conclusione, dunque, appare condivisibile l'impostazione proposta nella sentenza n. 4404, considerato che l'applicazione del principio del ne bis in idem ogniqualvolta sia intervenuta sentenza irrevocabile solo sul reato "contenuto" escluderebbe, peraltro senza una valida giustificazione normativa, la punibilità di quel surplus di condotta illecita che caratterizza il reato "contenente" con un maggiore grado di riprovevolezza.

Rispondi

Da: SOLUZIONE5555518/12/2014 10:36:17
secondo me è un atto di appello, sicuramente in termini x proporlo poichè quantomeno ha 15 gg di tempo x avanzarlo, con cui si chiede assorbimento ex art 84 come da sentenza 37298/10
Rispondi

Da: mrt8518/12/2014 10:36:19
per Natalia88 si esatto
Rispondi

Da: avvocato del sud 18/12/2014 10:37:50
L'atto dovrebbe essere relativo all'appello dove in via principale si chiede l'assoluzione dal delitto di bancarotta. In vai subordinata ritenuto più grave il reato di cui alla bancarotta operare l'aumento, risultando evidenti profili di connessione oggettiva e soggettiva (identità dell'agente) per i fattoi di cui alla sentenza divenuta irrevocabile. Questo per grandi linee. L'incidente di esecuzione equivale a bocciatura.
Rispondi

Da: aiutinodacasa18/12/2014 10:37:59
Cassazione, sez. V penale, sentenza n. 4404 del 2 febbraio 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione V Penale
Composta dagli Ill.mi Signori:
dr. Giuseppe PIZZUTI - Presidente
dr. Gennaro MARASCA - Consigliere
dr. Paolo OLDI - Consigliere
dr. Vito SCALERA - Consigliere
dr. Paolo Antonio BRUNO - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sui ricorsi proposti l'1.12.2007 dal prof. avv. Da.Br., difensore delle parti civili Ri.Fe., Fa.Pa., Te.Ti.
Fr., Te.Da., Ma.Mo., Ca.Cr., Ca.Al., Ti.Pa. e Bu.Lo.; il 15.1.2008 dallo stesso difensore in favore di
Bo.Em. e Pu.Ma.; ed il 24.12.2007 dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Perugia
avverso la sentenza del Tribunale di Perugia del 21 maggio 2007, nel procedimento a carico di Na.
Gi., nato il (...) a Pa. sul Tr.
Letto il ricorso e la sentenza impugnata.
Lette le note di udienza depositate dall'avv. Pa.Pa., difensore del ricorrente.
Sentita la relazione del Consigliere dr. Paolo Antonio BRUNO.
Udite le conclusioni del Procuratore Generale in sede, in persona del Sostituto dr. Giovanni
D'Angelo, che ha chiesto l'annullamento con rinvio alla Corte di Appello di Perugia ai sensi dell'art.
569 ultimo comma c.p.p.
Sentito, altresì, l'avv. St.Go., sostituto processuale dell'avv. Br. che, nell'interesse delle parti civili,
ha chiesto l'accoglimento dei ricorsi.
Sentito, infine, l'avv. Pa.Pa., che, in favore dell'imputato, ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Na.Gi. era chiamato a rispondere, innanzi al Tribunale di Perugia, del reato di cui all'art. 223 in
relazione all'art. 216 n. 1 l.f. per avere nella sua qualità di presidente del consiglio di
Amministrazione della Pa. Servizi Cooperativa Sociale a r.l, dichiarata fallita dallo stesso Tribunale
in data 28.4.1999, distratto dalle casse sociali, mediante indebiti prelevamenti o bonifici in proprio
favore ovvero mediante utilizzo della carta di credito della società per spese personali, la somma
\complessiva di Lire 230.299.315.
Con sentenza del 21 maggio 2007, il Tribunale dichiarava non doversi procedere nei confronti
dell'imputato per essere lo stesso fatto - all'epoca, qualificato in termini di appropriazione indebita -
già giudicato con precedente sentenza dello stesso Tribunale, parzialmente riformata dalla
sentenza della Corte di Appello di Perugia n. 279/06.
Avverso la sentenza anzidetta, il difensore delle parti civili ed il Procuratore della Repubblica di
Perugia hanno proposto ricorso per cassazione sulla base delle censure indicate in parte motiva.
Ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.p., la deliberazione è stata differita alla data odierna, stante la
rilevanza delle questioni da decidere.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - I ricorsi delle parti civili sono affidati - con identica formulazione - ad un unico, articolato,
motivo.
In particolare, denunciano mancanza o manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell'art. 606
lett. e) c.p.p., nonché erronea applicazione degli artt. 649 c.p.p. e 223-216 l.f., 646 c.p., in
relazione all'art. 606 lett. b) c.p.p., contestando l'assunto del giudice di merito secondo cui il fatto
oggetto di giudizio sarebbe coperto dal giudicato formatosi sul reato di appropriazione indebita, sul
rilievo che le condotte di appropriazione indebita e quelle di bancarotta per distrazione
integrerebbero identico fatto giuridico. Il primo reato non poteva, infatti, assorbire il secondo,
contenente il quid pluris della dichiarazione di fallimento, mentre solo il secondo avrebbe potuto
assorbire il primo.
Il ricorso del P.M. deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 646 c.p.,
216 e 223 l.f.) e processuale (art. 649 c.p.p.), censurando l'interpretazione del giudice di merito
che aveva riconosciuto l'effetto preclusivo della sentenza intervenuta nel procedimento per
appropriazione indebita. Sottolinea, tra l'altro, la profonda diversità delle due fattispecie in
questione (appropriazione indebita e bancarotta fraudolenta per distrazione), siccome relative a
fatti ontologicamente diversi e posti a tutela di differenti beni giuridici.
2. - Le impugnazioni anzidette sollevano, sotto diverse angolazioni prospettiche, identica quaestio
iuris, relativa al rapporto intercorrente tra le anzidette fattispecie delittuose, in riferimento al divieto
del ne bis in idem sancito dall'art. 649 del codice di rito.
All'esame della questione giova certamente premettere una sintetica puntualizzazione dei termini
della vicenda in oggetto, sia in sé che nel loro sviluppo cronologico.
2.1 - A carico dell'odierno prevenuto (imputato, nel presente giudizio, di bancarotta fraudolenta
impropria per distrazione, ai sensi dell'art. 223 in relazione all'art. 216 n. 1 l.f., nei termini indicati in
rubrica) era stato intrapreso, in precedenza, altro procedimento per appropriazione indebita, ai
sensi degli artt. 81 cpv e 646 c.p., con addebito di essersi appropriato, con più azioni esecutive di
un medesimo disegno criminoso, per procurarsi un ingiusto profitto, della somma di Lire
207.961.315 di proprietà della Cooperativa Pa. Servizi, di cui aveva il possesso nella sua qualità di
Presidente del C.d.A., effettuando prelievi non autorizzati, a titolo di compensi, indennità di carica
e rimborsi, mediante emissione di assegni o usando una carta di credito della società (in Pa. fino al
27.1.1998). - In esito a tale procedimento, il Tribunale di Perugia, con sentenza del 28 ottobre
2004, ne aveva affermato la colpevolezza, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia.
- In sede di gravame, la Corte di Appello di quella stessa città, con sentenza del 4 aprile 2006,
aveva riformato sul punto la pronuncia impugnata, dichiarando non doversi procedere nei confronti
del Na. per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.
Tale pronuncia, non impugnata in parte qua, è divenuta irrevocabile.
2.2 - La sentenza oggetto delle odierne impugnazioni, emessa il 21.5.2007, ha dichiarato non
doversi procedere nei confronti dell'imputato in ordine al reato di cui agli artt. 223 e 216 l.f., in
quanto il fatto era stato già giudicato con la menzionata sentenza del 28 ottobre 2004. Nel corpo
della motivazione, il giudice a quo rilevava che, al di là della mancata corrispondenza quantitativa
degli importi indicati nelle due imputazioni, si trattava in sostanza della stessa somma, in quanto la
contestazione di appropriazione indebita non aveva considerato l'importo di circa Lire 22.000.000
che il Na. aveva restituito nel corso del 1998: tale riscontro corroborava il convincimento in ordine
alla perfetta identità delle condotte in esame, che erano state ascritte allo stesso imputato, nella
qualità, nell'ambito di due distinti procedimenti a suo carico. In proposito, il giudicante richiamava
l'orientamento giurisprudenziale secondo cui, ai fini della preclusione connessa al divieto del ne bis
in idem, sussisteva identità del fatto ove vi fosse corrispondenza storico-naturalistica nella
configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento e nesso
causale) - anche con riguardo alle condizioni di tempo, luogo e persone - valutati sia nella loro
dimensione naturalistica che in quella giudica. Riteneva che, alla luce di tale insegnamento, in
caso di diversità di evento, conseguente a condotta unitaria, non vi fosse spazio per l'applicazione
dell'art. 649 c.p.p., posto che sotto il profilo giuridico l'evento ulteriore vale a caratterizzare
diversamente il fatto-reato nella sua globalità. Insomma, ai fini di tale applicazione, costituiva fatto
diverso quello che rappresentava un'ulteriore estrinsecazione dell'attività del soggetto, diversa e
distinta nello spazio e nel tempo, rispetto a quella posta in essere in precedenza ed accertata con
sentenza passata in giudicato. Di contro, la preclusione anzidetta non poteva essere invocata ove
il fatto, oggetto di sentenza irrevocabile, integrasse ipotesi di concorso formale di reati in quanto, in
quel caso, la fattispecie concreta potrebbe essere riesaminata sotto il profilo di una diversa
violazione di legge, pur derivante dallo stesso fatto.
Nondimeno, ad avviso del giudicante, il criterio discretivo tra stesso fatto e fatto diverso,
enucleabile dal richiamato insegnamento giurisprudenziale, non era applicabile tout court al caso
di specie. Non ricorrendo, infatti, ipotesi di concorso formale, il rapporto tra le fattispecie di
appropriazione indebita e bancarotta fraudolenta per distrazione avrebbe dovuto essere ricondotto
alla configurazione del reato complesso di cui all'art. 84 c.p., con la conseguenza che, in caso di
identità di beni oggetto di distrazione ed appropriazione, l'agente non avrebbe potuto essere
chiamato a rispondere di entrambi i reati, ma solo di quello complesso, ossia di bancarotta
fraudolenta. L'elemento differenziatore delle due fattispecie era la dichiarazione di fallimento, che,
tuttavia, non costituiva evento del reato di bancarotta. Applicando tale principio al caso di specie,
in presenza di condotte materiali del tutto identiche, poste in essere dall'imputato nella riferita
qualità, un elemento del tutto esterno alla condotta stessa, quale appunto la dichiarazione di
fallimento, non avrebbe potuto essere considerato evento ulteriore, idoneo a consentire
l'instaurazione di un nuovo giudizio per bancarotta fraudolenta per distrazione a suo carico, dopo
l'intervenuta irrevocabilità della condanna per appropriazione indebita Donde, la sussistenza, nella
fattispecie, della situazione tipica del bis in idem, che comportava l'applicabilità dell'art. 649
comma 1, del codice di rito.
3. - Il collaudo di legittimità di siffatto percorso argomentativo postula approfondimento e riflessione
su alcuni profili di particolare momento.
Il tema dei rapporti tra le due fattispecie delittuose deve, in primo luogo, prendere le mosse dal
rilievo che, sul versante della realtà fenomenica, la materialità del fatto - nella particolare ipotesi di
apprensione del bene - è perfettamente identica, sostanziandosi nell'appropriazione, con correlata
distrazione dall'originaria destinazione. Nel primo caso, mediante profittamento di una situazione di
vantaggio, consistente nel possesso o, lato sensu, nell'autonoma disponibilità dello stesso bene,
per sottrarlo al legittimo titolare; nel secondo, nel profittamento di analoga situazione di vantaggio,
per sottrarre il bene alla sua istituzionale destinazione di garanzia a beneficio dei creditori, siccome
elemento attivo del patrimonio dell'imprenditore che rappresenta garanzia generica
dell'adempimento delle obbligazioni a suo carico.
Se ci si sposta, ora, dalla dimensione naturalistica a quella prettamente giuridica, ai fini delle
pertinenti valutazioni non è più sufficiente, come nella prima prospettiva, la mera osservazione
esterna ed empirica, con presa atto dell'identità fenomenica, ma occorre l'individuazione di un
idoneo criterio di lettura dei referenti normativi, al fine di una corretta analisi dei rapporti
intercorrenti tra le relative fattispecie delittuose.
Tale non può che essere, a giudizio della Corte, il parametro logico-strutturale volto a rilevare, sul
piano morfologico e sostanziale, momenti di coincidenza o diversità nella rappresentazione del
fatto considerato, al di là del profilo formale della diversa qualificazione giuridica (cfr., per altra
applicazione della metodologia anzidetta, Cass. Sez. Un. 26.3.2003, n. 25887, rv. 224605). Ed
invero, tra gli altri parametri di indagine, astrattamente sperimentabili, quelli valutativi - riguardanti il
bene giuridico tutelato e le modalità dell'offesa - sono meno affidabili, siccome incapaci di portare
ad approdi interpretativi univoci, come dimostrano i numerosi contrasti che, in passato, si sono
manifestati sia in giurisprudenza che in dottrina quando si è trattato di farne applicazione in
numerose recenti vicende legislative in materia penale. Criteri siffatti possono, semmai, essere
proficuamente impiegati come momenti di conferma e di verifica ulteriore.
Orbene, l'analisi comparativo-strutturale delle due fattispecie pone in chiara evidenza che la
dimensione giuridica dei fatti contemplati è radicalmente diversa, pur a fronte di (eventuale)
identità sul piano storico-naturalistico.
Innanzitutto, l'apprensione del bene, da parte dell'imprenditore, per farlo proprio rappresenta solo
una delle molteplici forme in cui può concretizzarsi l'indeterminata nozione di distrazione (peraltro,
a sua volta recepita dal legislatore in via residuale rispetto ad altre tipologie contemplate dall'art.
216 l.f.).
Per pacifica acquisizione dottrinaria e giurisprudenziale per distrazione deve intendersi
qualsivoglia distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore, con conseguente depauperamento
dell'asse concorsuale. Ed il distacco penalmente rilevante va inteso in senso non solo fisico, ma
anche giuridico (come la perdita di titolarità sul bene, conseguente a qualsiasi atto negoziale di
disposizione che comporti diminuzione patrimoniale ad anche l'assunzione di obbligazioni volte a
determinare, comunque, pur con effetti differiti, quella diminuzione, con la messa in pericolo
dell'integrità del patrimonio vincolato alla garanzia del creditori, ai sensi della generale previsione
dell'art. 2740 ce: cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, 26.6.1990, n. 15850, rv. 185891; id. sez. 5,
24.5.1984, n. 7359, rv. 165673).
L'indeterminatezza del dato normativo si spiega, agevolmente, in ragione della sua ratio, che mira
essenzialmente all'obiettivo privilegiato di impedire, comunque, il depauperamento del patrimonio
e la conseguente contrazione della garanzia del ceto creditorio, in qualunque forma si realizzino.
Sennonché, la fattispecie della bancarotta fraudolenta è più ampia non solo per la dimensione
sostanziale-quantitativa della distrazione rispetto all'apprensione, ma anche in ragione di un
ulteriore elemento.
Ed infatti, anche in presenza del fatto specifico dell'apprensione (tra le diverse, molteplici, condotte
tutte astrattamente riconducibili al paradigma dell'art. 216 l.f.) e, dunque, anche nel caso di perfetta
identità materiale rispetto alla distrazione, la norma sostanziale richiede pur sempre un elemento
ulteriore, ossia la dichiarazione di fallimento, che, per consolidata tradizione giurisprudenziale,
integra elemento costitutivo della fattispecie di cui all'art. 216 l.f. (cfr., tra le tante, Cass. sez. 5,
8.4.2008, n. 29907, rv. 240444; id. Sez. 1, 6.11.2006, n. 1825, rv. 235793).
Se così è, non è revocabile in dubbio che - in chiave giuridica, pur a fronte della stessa condotta
dell'apprensione - appropriazione indebita e bancarotta fraudolenta per distrazione non sostanzino
un medesimo fatto, ai fini dell'applicazione dell'art. 649 c.p.p., integrando, invece, fattispecie
ontologicamente diverse. Il fatto giuridico previsto dagli artt. 646 e 216 l.f. non è identico in quanto
quello previsto da quest'ultima norma sostanziale è, comunque, connotato da un quid pluris
rappresentato dalla dichiarazione di fallimento, almeno sintantoché questa continui ad essere
rappresentata come elemento costitutivo della fattispecie e non già come elemento ad essa
estrinseco, rilevante soltanto ai fini della punibilità.
L'interpretazione anzidetta è in linea con l'insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte,
secondo cui, ai fini della preclusione connessa al principio "ne bis in idem", l'identità del fatto
sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato,
considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle
circostanze di tempo, di luogo e di persona. (Cass. Sez. Un. 28.6.2005, n. 34655, rv. 231799). E
nell'ampia accezione di identità, comprensiva non solo della prospettiva naturalistica, ma anche
della configurazione giuridica, l'esito dell'analisi comparativa non può che essere quello della
diversità strutturale delle due fattispecie e non già di (ovvia) diversità di titolo o di (mera)
nominalistica qualificazione giuridica, dovuta magari, nell'un caso, al verificarsi di elementi
estrinseci al fatto costituente reato.
In termini giuridici, si tratta, allora, di fattispecie radicalmente diverse nella loro dimensione
strutturale, prima ancora che nell'ovvia obiettività giuridica.
L'indagine dei rapporti intercorrenti tra le due fenomenologie delittuose non può, però, dirsi
completa, occorrendo distinguere un momento statico (fatto già in essere, astrattamente
riconducibile ad entrambe le fattispecie) da altro dinamico (fatto nel suo divenire), distinzione che
viene ad intersecarsi con l'altra, complicando, non poco, il quadro di assieme.
3.1 - Orbene, sotto l'aspetto statico non è revocabile in dubbio che le due ipotesi di reato, ove
contestualmente considerate, finiscano per integrare una fattispecie complessa, nella quale
l'appropriazione indebita viene a confluire nell'altra, perdendo la sua autonomia e restandone
assorbita od inglobata, secondo il paradigma dell'art. 84 c.p. (cfr., in tal senso, Cass. sez. 5,
4.4.2003, n. 37567, rv. 228297). La bancarotta fraudolenta assorbe, dunque, il reato di
appropriazione indebita, che si pone, rispetto ad essa, come elemento costitutivo.
Nella specifica ipotesi dell'apprensione, dunque, la struttura della bancarotta fraudolenta per
distrazione risulta composta di due elementi: la condotta tipica dell'appropriazione indebita e la
dichiarazione di fallimento.
3.1.1 - Più precisamente, avuto riguardo all'aspetto statico, in presenza di dichiarazione di
fallimento, la condotta dell'apprensione è, astrattamente, riconducibile a due distinte ipotesi
delittuose. In tal caso, non vi è, però, concorso formale di norme, ma assorbimento ai sensi
dell'art. 84 c.p., applicandosi la fattispecie maior che "incapsula" la minor (cfr. Cass. Sez. 5, n.
37567/2003 cit.; cfr. pure, un lontano precedente, secondo cui non può configurarsi il concorso
formale dei reati di bancarotta fraudolenta ed appropriazione indebita quando, oltre ad esservi
perfetta identità della cosa, su cui si sono concentrate le rispettive attività criminose, e simultaneità
delle attività stesse, poste in essere al riguardo dal singolo imprenditore o dall'amministratore di
una società, poi fallita, che per effetto del susseguente fallimento vengono ad essere qualificati
come attività illecite e penalmente perseguibili, unica risulti altresì la destinazione data dal
soggetto attivo ai beni da lui appresi indebitamente e distratti, integrando un siffatto
comportamento una sola ipotesi criminosa e precisamente quella di bancarotta fraudolenta: cfr.
Cass. sez. 3, 26.5.1966, n. 1605, rv. 102500). Il fatto, unitariamente considerato (nella
sommatoria: appropriazione indebita+dichiarazione di fallimento) è riconducibile solo ad una delle
norme sostanziali in questione, ove invece, il concorso formale postula che le diverse norme si
integrino vicendevolmente e, perciò, possano applicarsi contemporaneamente, in quanto ciascuna
di esse comprende solo una parte del fatto. La tesi del concorso formale (che escluderebbe, di per
sé, l'operatività della preclusione del ne bis in idem), sostenuta in un isolato precedente di questa
Corte di legittimità (cfr. Cass. sez. 2, 4.3.1997, n. 10472, n. 209022), non é, pertanto, condivisibile,
neppure sub specie di pluralità di eventi giuridici scaturenti da identico fatto storico, rispetto ai quali
il giudicato intervenuto con riguardo ad uno di essi non impedirebbe l'esercizio dell'azione penale
in relazione ad un altro, sempre inteso in senso giuridico (per l'esclusione del concorso formale,
cfr., pure, Cass. sez. 5, 3.2.1967, n. 239, rv. 103661, oltre a Cass. cit. n. 1605/1966, rv. 102500).
In proposito, è certamente fuorviante il riferimento, nei ricorsi in esame, ai precedenti
giurisprudenziali di legittimità in ordine all'ammissibilità del concorso tra le due fattispecie
delittuose (cfr. Cass. sez. 5, 15.12.1993, n. 2057, rv. 197270; id. sez. 5, 8.10.1991, n. 12068, rv.
188680; id. sez. 5, 22.10.1986, n. 1341, rv. 175009; id. sez. 5, 17.5.1986, n. 8805, rv. 170642; id.
sez. 5, 7.10.1981, n. 10407, rv. 151039; id. sez. 5, 25.11.1980, n. 1401, rv. 147724; id. sez. 5,
4.4.1978, n. 7294, rv. 139294). Tali pronunce si riferiscono, infatti, ad ipotesi concettualmente
diversa, affermando il principio secondo cui nella nozione beni del fallito, ai sensi dell'art. 216 l.f.,
devono intendersi tutti quelli che fanno parte della sfera di disponibilità patrimoniale,
indipendentemente dal modo (lecito o meno) di acquisizione e dalla nozione di proprietà in senso
tecnico-giuridico; pertanto, nella definizione di tale sfera deve prescindersi dal modo di acquisto
dei beni, di talché anche quelli ottenuti con sistemi illeciti - e, in particolare, per appropriazione
indebita - rientrano in tale novero (cfr. Cass. sez. 5, 17.3.2004, n. 23318, rv. 228863; id. sez. 5,
8.10.1991, n. 12068, rv. 188680, secondo cui l'obiettività giuridica del reato di cui all'art. 646 c.p. e
quella della bancarotta fraudolenta per distrazione sono diverse perché l'iter criminoso del primo si
esaurisce con l'acquisto dei beni mentre la sottrazione degli stessi è successiva e si ricollega ad
una nuova ed autonoma azione, con la conseguenza che i due reati possono concorrere). La
diversità delle fattispecie è evidente. In quel caso, l'appropriazione indebita è modalità di acquisto
(illecita appunto) - cronologicamente antecedente - dei beni costituenti il patrimonio del fallito. La
sottrazione degli stessi beni (già illecitamente acquisiti) alla garanzia patrimoniale è, invece,
successiva ed integra la diversa ipotesi della bancarotta fraudolenta, con l'ovvia conseguenza che
i due reati ben possono concorrere.
Nel caso in esame, invece, una stessa azione, posta in essere in identico contesto spaziotemporale,
si realizza con l'apprensione dei beni e con la simultanea distrazione dalla loro naturale
destinazione: come tale è, al tempo stesso, astrattamente riconducibile a due diverse ipotesi
delittuose (art. 646 c.p. e 216 l.f.).
3.2 - Guardando, ora, al profilo dinamico, allorquando la dichiarazione di fallimento non è ancora
intervenuta al momento della sottrazione, ma sovviene in un momento successivo (come nel caso
di specie), il fenomeno, in ottica diacronica, si pone come fattispecie a formazione progressiva o
reato progressivo, in quanto, muovendo dalla fattispecie minor giunge poi, per via della
sopravvenuta dichiarazione di fallimento, alla fattispecie maggiore.
4. - Distinti così i due profili d'indagine, possono configurarsi diverse situazioni che riflettono i
rapporti tra le due fattispecie, con diverse ricadute sul versante processuale, ai fini del rispetto del
generale principio del ne bis in idem, di cui all'art. 649 c.p.p.
4.1 - Il profilo statico non pone problemi di sorta, in quanto è ovvio che, in siffatta ipotesi, una sola
tipologia di reato può trovare applicazione: questa non può che essere quella maggiore
(bancarotta fraudolenta), siccome fattispecie assorbente. E' l'invincibile forza della logica comune,
che vuole che il più contenga il meno.
In concreto, può anche verificarsi che si proceda, inizialmente, per il reato di appropriazione
indebita e che, in un secondo momento, con distinto procedimento, l'azione penale sia esercitata
anche per il reato più grave. In tale ipotesi, non v'è dubbio che, sempre per via dell'assorbimento,
l'agente può essere perseguito solo per il reato più grave ed il ne bis in idem può essere invocato
nel primo procedimento (cfr Cass. Sez. Un. n. 34655/2005 cit., che ha esteso l'ambito di
operatività della preclusione del ne bis in idem anche all'ipotesi di sentenze non irrevocabili).
4.2 - Quanto al profilo dinamico od evolutivo, può invece accadere che, delineatasi una condotta di
appropriazione indebita, si proceda per il reato di cui all'art. 646 c.p., e successivamente
intervenga la dichiarazione di fallimento; e che quel procedimento si concluda con sentenza
irrevocabile (condanna, assoluzione o, come nel caso di specie, prescrizione). In tale ipotesi, si
pone appunto il problema che compendia il thema decidendum del presente giudizio: se il ne bis in
idem possa essere invocato nel secondo giudizio.
5. - Alla luce di tali premesse, balza evidente l'errore nel quale è incorso il giudice a quo, secondo
cui, trattandosi di assorbimento, il giudicato intervenuto sul reato meno grave inibisce la pronuncia
sul reato più grave. Per logica stessa dell'assorbimento, in caso di reato composto o complesso, la
res indicata, intervenuta sul reato contenente, esclude un nuovo giudizio sul reato contenuto. Ma,
nell'ipotesi inversa, l'effetto preclusivo non può dispiegarsi, in quanto, diversamente, resterebbe
impunita l'area di illiceità od antigiuridicità non coperta dalla fattispecie minor (potrebbe definirsi,
plasticamente, come l'area residua di un cerchio maggiore, non coperta dalla sovrapposizione di
un cerchio minore e concentrico).
Non può, dunque, ritenersi inibito il successivo esercizio dell'azione penale anche per la
bancarotta fraudolenta.
D'altronde, i due reati hanno obiettività giuridiche diverse, ledendo beni giuridici diversi:
l'appropriazione indebita tutela l'inviolabilità del diritto di proprietà e, dunque, l'integrità del
patrimonio in sé considerato; la bancarotta fraudolenta l'integrità del patrimonio nella sua specifica,
caratterizzante, funzione di garanzia dei creditori, in vista dell'esecuzione fallimentare.
La dichiarazione di fallimento stravolge la fisionomia dell'originario fatto di appropriazione indebita,
conferendogli una diversa e più grave connotazione, sì da trasformarlo in entità giuridica affatto
nuova e di gravità, di gran lunga, maggiore.
6. - Resta, ora, da stabilire quale debba essere il trattamento della fattispecie nel secondo giudizio,
una volta intervenuto il giudicato sul reato di appropriazione indebita.
Al riguardo, può essere ribadito il principio enunciato da questa Corte Suprema con la menzionata
sentenza n. 37567/2003, che riguarda, nondimeno, fattispecie affatto diversa da quella per cui si
procede.
Più precisamente, nel caso esaminato in quell'occasione, era intervenuta sentenza di condanna,
divenuta irrevocabile, per il reato di appropriazione indebita e, successivamente, si era proceduto
per bancarotta fraudolenta per distrazione. I giudici di merito avevano riunito in continuazione
quest'ultimo reato a quello (minor) giudicato con sentenza definitiva, applicando un aumento sulla
pena base determinata per la bancarotta fraudolenta. Questa Corte ha, invece, escluso il vincolo
della continuazione sul rilievo che il reato di appropriazione indebita avrebbe dovuto considerarsi
assorbito nella bancarotta fraudolenta ed ha, conseguentemente, escluso l'aumento di pena in
continuazione, rideterminando la pena ai sensi dell'art. 620, lett. 1, c.p.p.
Nel caso in esame, invece, è divenuta irrevocabile la declaratoria di prescrizione in ordine al reato
assorbito (l'appropriazione indebita). Deve, allora, trovare applicazione la norma dell'art. 170,
comma secondo, c.p., secondo cui la causa estintiva di un reato, che è elemento costitutivo o
circostanza aggravante di un reato complesso, non si estende al reato complesso.
7. - Per quanto precede, i ricorsi vanno accolti e, per l'effetto, l'impugnata sentenza deve essere
annullata con rinvio al competente giudice di merito, che si atterrà al principio di diritto sopra
enunciato (inapplicabilità del principio del ne bis in idem in caso di precedente pronuncia definitiva
per appropriazione indebita, stante la diversità del fatto previsto dagli artt. 646 c.p. e 216 l.f.).
Conformemente alla richiesta del PG d'udienza, il giudice del rinvio deve essere individuato nella
Corte di Appello di Perugia, ai sensi dell'art. 569, comma 4, c.p.p.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d'Appello di Perugia per il giudizio
Rispondi

Da: tonyeffe84  18/12/2014 10:38:16
Ragazzi questa e' la sezione di penale ... Solo atto penale... Qualcuno può riassumere in uno schema?
Rispondi

Da: penalista da napoli 18/12/2014 10:41:09
Ma quale ne bis in idem,ma sapete leggerle le pronuncie della suprema Corte??Ma sopratutto esercitate nelle aule ??Sono due fattispeci ontologicamente diverse,tanto che non vi e'concorso formale di norme!!La questione e'altra!!Il difensore serio,quello che scrive i motovi di appello chiedera'la continuazione dell'ultima sentenza con quella irrevocabile e pertanto rideterminazione della pena partendo dal minimo edittale  e tutte le attenuanti concedibili !!
Rispondi

Da: asg18/12/2014 10:41:38
schema:appello
-bancarotta fraudolenta ha come elementi costitutivi la previa dichiarazione di fallimento e l'appropriazione indebita
- bancarotta fraudolenta è quindi reato complesso che contiene reato di appropriazione indebita. la sanzione prevista dalla legge è unica
-se precedentemente a condanna per bancarotta fraudolenta vi è stata condanna per appropriazione indebita, per i medesimi fatti, la seconda condanna deve tenere in considerazione la prima e decurtarla.
Rispondi

Da: Natalia88 18/12/2014 10:42:28
Grazie 1000 mrt85,da quanto vedo è peggio di ieri...non si capisce niente e fanno solo un casino incredibile questi professoroni,invece di dare una mano concreta a ki serve veramente per superare questa buffonata!!!!!Grazie ancora
Rispondi

Da: avvocato del sud 18/12/2014 10:45:20
Decurtarla ? Ma cosa postate ? Ragà non usate questi termine che ripeterete l'esame. L'istituto è quello del reato continuato. Tracciate i profili delle due distinte fattispecie. Poi evidenziate eventuali profili di connessione e chiedete nell'atto di operare la riunionbe tra i due reati partendo da quello più grave della bancarotta (sentenza sub iudice) con quella irrevocabile (appropriazione indebita.
Rispondi

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