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ESAME SCRITTO 2010
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Da: vinrit77 16/12/2010 12:48:20
aiuto mi serve penale.......

Da: lollo16/12/2010 12:48:46
ragazzi questa è la soluzioneL'ESCLUSIONE DEL SOCIO E LA TUTELA CAUTELARE, TRA DUBBI TRADIZIONALI E RISPOSTE NECESSARIE


Giur. merito 2010, 1, 134

Michele Nardelli

Sommario: 1. Premessa. - 2. Anticipazione cautelare e sentenze costitutive. - 3. Facoltà private e necessità di richieste giudiziarie.



1. PREMESSA
La vicenda sottoposta al giudizio del Tribunale di Verona si è sviluppata nell'ambito di un procedimento cautelare.
Una società a responsabilità limitata e il suo amministratore, hanno chiesto in via cautelare l'esclusione del socio di minoranza e il divieto, per lo stesso, di accedere ai documenti sociali.
A giustificazione processuale della domanda, hanno chiarito che in via ordinaria sarebbe stata chiesta una sentenza costitutiva-dichiarativa, che avesse escluso per giusta causa il richiamato socio di minoranza.
L'amministratore ha anche addotto la volontà di esperire altra azione di merito, tesa ad ottenere in via ordinaria l'accertamento della legittimità del rifiuto opposto alla consegna dei documenti contabili, che il socio di minoranza aveva chiesto di ottenere.
In buona sostanza, quindi, la domanda cautelare è stata proposta al duplice fine di ottenere già con un provvedimento di urgenza l'esclusione del socio, e di ottenere, sempre in via d'urgenza, una pronuncia che legittimasse il rifiuto di consegnare i documenti richiesti dallo stesso socio.
Il Tribunale di Verona ha dichiarato inammissibile l'istanza cautelare.
E ciò ha fatto per entrambe le domande.
Quanto alla seconda, tesa ad ottenere una pronuncia che affermasse la liceità del rifiuto di consegnare i documenti, ha osservato che nel caso sottoposto non potevano dirsi sussistenti l'interesse ad agire e «financo» il pericolo di pregiudizio nel ritardo, perché la consegna dei documenti poteva essere rifiutata in via autonoma. Ovviamente, questo avrebbe potuto comportare la reazione giudiziaria del socio interessato, alla quale la società avrebbe dovuto resistere.
Ma proprio a quest'ultimo riguardo il Tribunale ha osservato che richiedere in via giudiziale una delibazione preventiva sulla legittimità di una futura condotta, avrebbe impedito alla controparte il diritto di agire in giudizio. E soprattutto avrebbe sottratto preventivamente, il soggetto che avesse rifiutato di consegnare i documenti richiesti dal socio, all'eventuale giudizio di responsabilità.
Quanto alla prima, tesa ad ottenere l'esclusione del socio, ha osservato che è dubbia l'ammissibilità di una pronuncia cautelare costitutiva (la revoca anticipatoria dello «status» di socio), laddove l'efficacia di una tale pronuncia è in realtà subordinata alla formazione del giudicato. Ha poi osservato che in ogni caso era inverosimile la sussistenza del pericolo di pregiudizio nel ritardo, dal momento che questo avrebbe dovuto trarsi dalla sola persistenza della qualifica di socio, in un caso in cui il soggetto interessato era privo di poteri gestionali. In questo senso, l'unica facoltà consentita a quest'ultimo, di accedere alle informazioni sociali, rientrava nei motivi di inammissibilità della seconda domanda, dal momento che la società ben avrebbe potuto decidere in via autonoma di non fornire le notizie richieste, salva una successiva decisione giudiziaria.
2. ANTICIPAZIONE CAUTELARE E SENTENZE COSTITUTIVE
Le questioni affrontate dal Tribunale di Verona sono in sostanza tre, così come rappresentate nelle massime.
Nel breve commento che seguirà, si cercherà di affrontarle singolarmente.
A questo proposito, il primo aspetto da approfondire, per i risvolti generali che presenta, che vanno ben al di là del caso specifico, è quello relativo alla seconda massima.
Il Tribunale, nello specifico, ha effettuato una presa di posizione in ordine ad una vicenda che obiettivamente si presenta complessa.
I termini della questione sono però semplici.
In sostanza, si tratta di decidere se si possa invocare una tutela cautelare, allorquando il merito della controversia richieda una pronuncia costitutiva, la cui efficacia sia collegata al passaggio in giudicato della relativa sentenza.
L'argomento che tradizionalmente ha portato ad escludere una tale possibilità, è consistito nella ritenuta insussistenza, prima della sentenza costitutiva, di una posizione soggettiva connotata dall'attualità (1)

(1) In generale Calvosa, Provvedimenti di urgenza, in Noviss. Dig. it., Torino, 1957, 449 e quindi 456, ove si dà conto della tesi per la quale il diritto cautelando dovrebbe essere già sussistente, perché altrimenti non vi sarebbe da temere alcuna lesione dello stesso, e poi si afferma che in realtà anche i diritti potestativi possono essere minacciati dal pericolo di lesione, nelle more del giudizio di cognizione, sicché si conclude aderendo alla tesi della ammissibilità della tutela cautelare anche nei casi in cui la situazione sostanziale necessiti di una pronuncia costitutiva. (1). In altre parole, solo la sentenza - nei casi della specie - costituirebbe il diritto. Prima della decisione giudiziaria non vi sarebbe invece spazio per una tutela anticipata, rispetto ad un diritto solo sperato, e quindi ancora non suscettibile di tutela (2)

(2) In giurisprudenza cfr. Trib. Torino 12 luglio 2003, in Giur. it., 2004, 538; Trib. Bari, sez. lav., 9 giugno 2008, in www.dejure.giuffre.it; Trib. Marsala 18 novembre 2004, in questa Rivista, 2005, 531; Trib. Roma 5 novembre 2003, in questa Rivista, 2004, 457. In dottrina Satta, Limiti di applicazione dei provvedimenti d'urgenza, in Foro it., 1953, I, 132, ove è affermato che la costituzione provvisoria di un diritto appare inconcepibile e contraddittoria. .
Tale tesi è stata sottoposta però a una rivisitazione da parte di altro orientamento, nella misura in cui si è evidenziato che anche nel caso della tutela costitutiva può esservi la doverosa necessità di anticipare gli effetti della futura decisione giudiziaria, al fine di non pregiudicare la posizione giuridica del soggetto interessato (3)

(3) In dottrina cfr. Tommaseo, Provvedimenti di urgenza, in Enc. dir., Milano, 1988, 872, il quale nota come in passato il dubbio sulla concedibilità della tutela cautelare, rispetto a diritti la cui assicurazione necessitava di sentenze costitutive, era dato dalla mancanza di una posizione soggettiva connotata dall'attualità (requisito che evidentemente sarebbe conseguito solo alla emanazione della sentenza), e poi afferma che si tratta però di un orientamento caratterizzato da un concettualismo esasperato, tale da pregiudicare l'effettività della tutela costitutiva; Proto Pisani, Provvedimenti d'urgenza, in Appunti sulla giustizia civile, Bari, 1982, 387; Dini - Mammone, I provvedimenti d'urgenza, Milano, 1993, 301 ss.; Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, III, 7ª ed., Torino, 1989, 301 s.; Baccaglini, Provvedimento d'urgenza e anticipazione dell'effetto di accertamento della pronuncia di merito. Una questione non ancora sopita, in Resp. civ. prev., 2005, 830 ss. In giurisprudenza Pret. Roma 3 febbraio 1986, in questa Rivista, 1987, 602; Trib. Civitavecchia 5 settembre 2008, in www.deiure.giuffre.it; Trib. Torre Annunziata 21 ottobre 2003, in Dir. e giur., 2005, 112. (3).
D'altra parte, non si è neppure mancato di osservare come la sentenza costitutiva tutelerebbe un diritto soggettivo preesistente al processo, e che sarebbe stato oggetto di una precedente violazione, sicché non vi sarebbe motivo per negare in tali casi l'applicabilità della tutela d'urgenza (4)

(4) M. Dini - E. A. Dini, I provvedimenti d'urgenza del diritto processuale civile e nel diritto del lavoro, 5ª ed., Milano, 1981, 301 e ss. (e ivi ampia rassegna di dottrina e giurisprudenza a favore delle due tesi). È interessante notare che proprio in base a tale ricostruzione Trib. Torino 2 aprile 2004, in questa Rivista, 2004, 1952, ha escluso che possa emanarsi un provvedimento d'urgenza rispetto ad una azione di merito di revocatoria, posto che mancherebbe, in tale ipotesi, un diritto perfetto preesistente alla pronuncia richiesta al giudice, e la pronuncia cautelare si risolverebbe nella produzione di un anomalo effetto costitutivo anticipato. Sotto altro profilo, mette conto evidenziare che in dottrina (Impagnatiello, Sentenze costitutive, condanne accessorie e provvisoria esecutività, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, 3, 751 ss., e specie par. 7), non si è mancato di segnalare la necessità che la regola della immediata esecutività delle sentenze di primo grado sia intesa come riferita anche alle sentenze costitutive, al fine di non discriminare ingiustificatamente la tutela dei diritti potestativi rispetto ai diritti di credito. .
Per completezza di trattazione, pare opportuno accennare anche alla connessa questione, a sua volta assai controversa, della ammissibilità o non di una cautela che sia completamente satisfattoria del diritto fatto valere, e che abbia quindi effetti astrattamente irreversibili.
Per comprendere appieno la rilevanza della questione può farsi l'esempio del provvedimento che ha autorizzato l'impianto di un embrione (5)

(5) Trib. Roma 17 febbraio 2000, in Giust. civ., 2000, I, 1157 e in questa Rivista, 2000, 527. , provvedimento rispetto al quale la successiva sentenza che avesse rigettato la domanda sarebbe stata evidentemente inutiliter data. Ancora, può pensarsi alla ipotesi della richiesta di consegna di documentazione da indirizzare nei confronti di una banca (6)

(6) Cfr. Trib. Monza 21 maggio 1997, in Fall., 1998, 83; Trib. Milano 22 gennaio 1997, in Banca, borsa e tit. credito, 1998, II, 433. , ovvero alla possibilità del socio di srl di accedere ai libri sociali al fine di svolgere il controllo sulla gestione sociale ai sensi dell'art. 2476 c.c. (7)

(7) Cfr. Trib. Messina 5 aprile 2003, in Vita not., 2003, 955; Trib. Ivrea 4 luglio 2005, in D&G, 2005. .
In tutte tali ipotesi il provvedimento cautelare di accoglimento della domanda recherebbe degli effetti non eliminabili con una sentenza di merito, posto che la documentazione bancaria, o i libri sociali, sarebbero già entrati nella sfera di conoscenza degli interessati. E tuttavia deve considerarsi che anche il mancato accoglimento di una domanda cautelare potrebbe provocare danni irreparabili (8)

(8) Cfr. Trib. Milano 14 agosto1995, in Giur. it., 1996, I, 2, 354. , sicché si deve essere consapevoli che il dogma della definitività degli effetti, utilizzato in molti casi per escludere la tutela d'urgenza, comporta quale conseguenza il sacrificio, in ipotesi a sua volta irreparabile, di «un diritto la cui esistenza appare probabile», a favore di un diritto che invece potrebbe apparire improbabile all'esito del procedimento cautelare (9)

(9) In tema cfr., in dottrina, Cristiano, I provvedimenti cautelari anticipatori: cenni generali, relazione tenuta all'incontro di studio I nuovi procedimenti in materia di diritto societario, Roma, 3-5 giugno 2003, 2, laddove si nota come l'orientamento restrittivo sembri in via di superamento; Tommaseo, Provvedimenti ..., op. cit., 861 e ivi nt. 28, ove si richiama l'osservazione, del medesimo Autore, per la quale «l'etica della giurisdizione d'urgenza consiste nel sacrificare l'improbabile al probabile». In giurisprudenza, tra le tante, cfr. Trib. Torino 10 dicembre 2003, in questa Rivista, 2004, 671, che ha dichiarato inammissibile la domanda di cancellazione in via d'urgenza della trascrizione di una domanda giudiziale, e Trib. Milano 30 settembre 2002, in Giur. milanese, 2002, 435, che ha invece accolto analoga domanda. .
E tutto ciò porta ad affermare che la tutela cautelare rappresenta, anche nel caso di situazioni che necessitino - nel merito - di una sentenza costitutiva, come pure nei casi nei quali la anticipazione degli effetti in sede cautelare non consentirebbe il ripristino della situazione fattuale, un istituto ineliminabile di salvaguardia, al pari di ciò che è comunemente affermato in via generale (10)

(10) Cfr. Proto Pisani, in Foro it., 1985, I, 1884 e in Lezioni di diritto processuale civile, 2ª ed., Napoli, 1996, 655, ove si nota anche come la giurisdizione statuale, con il correlato diritto o potere di azione, sia la contropartita del divieto di autotutela privata. Di particolare rilievo sono poi alcune pronunce della Corte Costituzionale, che se da un lato hanno escluso, con riferimento alla riscossione esattoriale, che la potestà cautelare del giudice costituisca una componente essenziale della tutela giurisdizionale, che non per questo, a giudizio della Corte, potrebbe ritenersi priva di effettività (posto che la pronuncia del giudice in sede di giudizio di accertamento negativo, comporta che la P.A. soccombente debba prontamente restituire la somma riscossa e non dovuta: C. cost., sent. n. 63 del 1982, in Foro it., 1982, I, 1216), dall'altro lato hanno poi dapprima ammesso che la tutela cautelare concorre alla maggiore intensità della difesa giurisdizionale (C. cost., sent. n. 318 del 1995, in Foro it., 1995, I, 3092), e quindi che la piena tutela giurisdizionale deve essere assicurata anche in sede cautelare (C. cost., sent. n. 437 del 1995, in Foro it., 1995, 3060), posto che «dall'art. 700 è lecito enucleare la direttiva che, le quante volte il diritto assistito da fumus boni iuris è minacciato da pregiudizio imminente e irreparabile provocato dalla cadenza dei tempi necessari per farlo valere in via ordinaria, spetta al giudice il potere di emanare i provvedimenti d'urgenza che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito» (C. cost., sent. n. 190 del 1985, in Foro it., 1985, I, 1881). In dottrina cfr. altresì Costantino, Una svolta epocale nella giurisprudenza della Corte Costituzionale: si apre una breccia per la sospensione giudiziale della esecuzione esattoriale, in Foro it., 1995, I, 3092, e Cadono i limiti alla sospensione giudiziale della esecuzione esattoriale: passano i bersaglieri nella breccia aperta dalla sentenza n. 318 del 1995, in Foro it., 1995, I, 3060. .
Tornando alla vicenda in esame, peraltro, e riprendendo l'argomento tradizionalmente usato a supporto della soluzione negativa, non può non evidenziarsi come la funzione della tutela atipica avrebbe dovuto ovviamente essere rivolta ad anticipare gli effetti della futura sentenza (la revoca anticipata dello «status» di socio), e non certamente la sentenza stessa. Sicché anche per questa via non vi sarebbero stati ostacoli alla piena possibilità di apprestare la cautela richiesta, ove chiaramente fossero stati sussistenti gli altri requisiti.
A ben guardare, proprio quest'ultimo aspetto è stato compiutamente valutato quelle volte in cui si è affermato che se in via cautelare è possibile ottenere, ad esempio, la consegna di un immobile, non sarà per contro possibile ottenere il trasferimento della proprietà dello stesso (11)

(11) Cfr. Conte, Sub art. 700, in Codice di procedura civile commentato a cura di Consolo e Luiso, 2ª ed., Milano, 2000, II, 3056. In giurisprudenza cfr. Trib. Torino 21 luglio 2003, in questa Rivista, 2004, 1124, che ha escluso che possa concedersi la tutela atipica per obbligare taluno a concludere un contrat to ai sensi dell'art. 2932 c.c., posto che in tal modo il provvedimento cautelare provocherebbe la costituzione del rapporto giuridico che invece spetta alla sentenza di merito. .
Sotto un ultimo profilo, non può non evidenziarsi, ad ulteriore conforto della tesi che qui si sostiene, che neppure potrebbe precludere la tutela cautelare, anticipatoria di una sentenza costitutiva, l'argomento per il quale non vi sarebbe la certezza che una sentenza venga poi emessa.
Da un lato, come è noto, le recenti riforme hanno reso non più necessaria l'introduzione dei giudizi di merito a fronte di tutele cautelari che anticipino gli effetti delle future decisioni di merito. La regolamentazione cautelare potrebbe pertanto soddisfare le parti, che liberamente potrebbero decidere di non coltivare il giudizio di merito, e porre in essere esse stesse gli atti giuridici necessari ad attribuire stabilità ai loro rapporti.
Dall'altro lato, e comunque, vale la pena ricordare come la mancata instaurazione del giudizio di merito non precluda, alla stregua degli ordinari istituti giuridici, il prodursi di effetti definitivi, che a loro volta ben possono conseguire ai «meccanismi di stabilizzazione di diritto sostanziale», quali ad esempio la prescrizione e l'usucapione (12)

(12) Cfr. Caponi, Provvedimenti cautelari e azioni possessorie, in Foro it., 2005, V, 136. .
In conclusione, sul punto, e dato atto che il Tribunale di Verona non ha escluso la possibilità di una tutela cautelare a fronte di una situazione giuridica che necessiti di una sentenza costitutiva, essendosi limitato ad evidenziare che tale soluzione sia dubbia, non può fare a meno di notarsi come in realtà la soluzione affermativa appaia preferibile rispetto a quella negativa.
Nella specie, poi, certamente condivisibile appare la negazione del requisito del pericolo di pregiudizio per la società, e per il socio di maggioranza, che nella prospettazione del ricorso avrebbe dovuto derivare dalla permanenza del socio di minoranza nella compagine sociale. Come appare evidente, se tale soggetto ha quale sua unica facoltà quella di chiedere di prendere visione delle informazioni sociali, e se a tale facoltà la società ben può opporre un rifiuto, salva verifica della legittimità dello stesso in ambito giudiziario, non vi è alcuno spazio per ritenere incombente sulla società un pericolo tale da legittimare l'esclusione cautelare del socio di minoranza.
3. FACOLTÀ PRIVATE E NECESSITÀ DI RICHIESTE GIUDIZIARIE
La prima massima riguarda l'ulteriore domanda sottoposta all'attenzione del Tribunale di Verona.
Si è detto che il socio di minoranza ha richiesto di ottenere la consegna di documenti contabili della società. A fronte di tale richiesta, l'amministratore ha opposto un rifiuto.
L'amministratore ha quindi annunciato di voler intentare un'azione di merito volta ad accertare la legittimità del rifiuto, chiedendo in via cautelare che al socio di minoranza venisse inibita la possibilità di accedere ai richiamati documenti sociali.
La questione che deriva da tale domanda va affrontata sotto due diversi profili.
Essi attengono ai requisiti del pericolo di pregiudizio irreparabile, che in assenza del provvedimento cautelare potrebbe gravare sul ricorrente, e dell'interesse ad agire in sede cautelare, ma più in generale in sede giurisdizionale.
Quanto al primo, giova premettere che un provvedimento è cautelare, o assolve a funzioni cautelari, quelle volte in cui, insuscettibile esso stesso di apprestare una regolamentazione definitiva al contendere, miri più semplicemente ad assicurare gli effetti di una sentenza di merito che probabilmente riconoscerà la fondatezza delle ragioni del ricorrente (fumus boni iuris), e la cui attesa probabilmente causerebbe dei danni allo stesso ricorrente (periculum in mora).
Come si evince da ciò, per ottenersi una tutela cautelare è necessario che i tempi del giudizio ordinario siano incompatibili con una pronta tutela della situazione giuridica soggettiva del ricorrente.
Si badi che ai fini del requisito in esame, ed anche nella prospettiva di definire i confini tra lo stesso e l'interesse ad agire, non è in discussione la necessità di un provvedimento giurisdizionale. In altre parole, dato per scontato che un soggetto abbia bisogno di un provvedimento del giudice per tutelare le proprie ragioni, il periculum in mora, ove sussistente, legittima tale soggetto ad invocare una tutela cautelare.
Se tuttavia le ragioni poste a base della domanda giudiziaria, non necessitino di un provvedimento del giudice, la questione relativa al periculum in mora non si pone neppure, perché non vi è proprio motivo di rivolgersi al giudice.
In questo senso, quello dell'interesse ad agire è un requisito che sta a monte rispetto a quello del pericolo da ritardo.
La precisazione in argomento è tanto più necessaria, ove si faccia mente locale ad alcuna delle tesi che tradizionalmente sono state sostenute a proposito degli istituti qui in esame.
Partendo con l'esame del concetto di interesse, va innanzi tutto chiarito che esso non si identifica in una nozione psicologica (bisogno o desiderio), bensì nella «esigenza di beni o valori da realizzare o da proteggere nel mondo sociale» (13)

(13) Betti, Interesse (diritto positivo), in Noviss. Dig. it., Torino, 1957, 839. L'Autore chiarisce il concetto spiegando che nella vita di relazione si fronteggiano interessi divergenti e contrastanti, che non possono avere attuazione pari e congiunta, ma solo attuazione differenziata secondo un rango di subordinazione. È quindi l'ordine giuridico, secondo tale impostazione, a stabilire il rango di subordinazione tra gli interessi in contrasto. E l'ordine giuridico effettua tale valutazione all'esito di una comparazione che tiene conto del merito della tutela giuridica, secondo le vedute politico-legislative dell'ordinamento. .
Nell'ordinamento processuale, l'interesse ad agire è istituto ampiamente dibattuto (14)

(14) In generale Nasi, Interesse ad agire, in Enc. dir., Milano, 1988, 34 ss., ove si individua il «fatto» al verificarsi del quale sorge l'interesse ad agire, nella violazione del diritto, vale a dire nella esistenza di uno stato di fatto contrario al diritto, e si dà conto della tesi per la quale a tale considerazione viene aggiunta l'esigenza per la quale siano esaurite tutte le vie extraprocessuali per ottenere la realizzazione del diritto, al punto che il processo appaia come l'unico mezzo esperibile per l'eliminazione della lesione del diritto; Lugo, Manuale di diritto processuale civile, 7ª ed., Milano, 1979, 20, ove si afferma che l'interesse ad agire sussiste solo quando il diritto sia contestato o insoddisfatto, e quando perciò il titolare del diritto, senza l'intervento degli organi giurisdizionali, subirebbe un danno. .
Richiamando l'opinione tradizionale secondo la quale esso è una condizione di ammissibilità della domanda (15)

(15) Attardi, Interesse ad agire, in Noviss. Dig. it., Torino, 1957, 840; Nasi, op. cit., 36. In giurisprudenza, da ultimo, Cass., sez. I, 30 maggio 2008, n. 14554, in Foro it., 2009, I, 208. , le opinioni espresse sul tema si presentano del tutto contrastanti (16)

(16) Per una sintesi sia consentito rinviare a Andrioli, Diritto processuale civile, I, Napoli, 1979, 308 e ss.; Proto Pisani, Sub art. 100, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da Allorio, II, Torino, 1973, 1065 ss., ove il richiamo dell'insegnamento del Chiovenda (Istituzioni, I, n. 40, 167), secondo il quale «l'interesse ad agire consiste in questo, che, senza l'intervento degli organi giurisdizionali, l'attore subirebbe un ingiusto danno». , addirittura quanto alla individuazione delle tipologie di azioni nelle quali tale requisito dovrebbe essere indagato (17)

(17) Senza pretesa di completezza, a dire dell'Attardi, op. cit., l'interesse ad agire sarebbe presente nelle sole azioni di accertamento e cautelari; a dire dell'Andrioli, op. cit., e premessa la distinzione tra azioni tipiche (i cui presupposti di fatto sono precisamente indicati nella legge, quali le costitutive e le cautelari), e azioni atipiche (la cui giustificazione formale dipende da ciò, che il processo deve dare al privato quelle utilità che il libero gioco delle forze sociali e la spontanea osservanza delle norme possono attribuirgli, quali le azioni di condanna e di mero accertamento), l'interesse ad agire avrebbe nelle prime un ruolo esclusivamente sistematico - così anche Proto Pisani, op. cit., 1069 s., anche in riferimento alle azioni costitutive non necessarie, come l'azione ex art. 2932 c.c., nelle quali ancora una volta il requisito in esame non assumerebbe funzione pratica ma solo sistematica, perché l'inadempimento dell'obbligo sarebbe solo un elemento della fattispecie dedotta in giudizio, e la sua insussistenza porterebbe al rigetto della domanda nel merito-, mentre nelle seconde avrebbe il suo vero campo di applicazione, perché il giudice dovrebbe valutare se il ricorso agli organi giurisdizionali sia veramente necessario ovvero se altre forze riescano più idonee a garantire il risultato; a dire del Nasi, op. cit., 40, nelle azioni costitutive l'interesse ad agire non è mai diverso da quello tipizzato nella fattispecie che prevede l'azione costitutiva come diritto ad ottenere un certo effetto giuridico, al punto che l'interesse ad agire non sarebbe pertanto un elemento del concetto di azione; a dire dell'Allorio, Bisogno di tutela giuridica?, in Jus, 1954, 547, e del Garbagnati, Azione e interesse, in Jus, 1955, 316 ss., il concetto di interesse ad agire sarebbe del tutto superfluo nella misura in cui esso sarebbe insito nella definizione di ogni singola tipologia di tutela; a dire del Fazzalari, Note in tema di diritto e processo, Milano, 1957, 127 ss., l'interesse ad agire consisterebbe nella lesione del diritto, e sarebbe presente in tutte le azioni; a dire del Grasso, Note per un rinnovato discorso sull'interesse ad agire, in Jus, 1968, 349 e ss., l'interesse ad agire risiederebbe nella indispensabilità del processo, ovvero nella lesione attuale del sfera giuridica del ricorrente, e parimenti sarebbe presente in tutte le tipologie di azioni. .
Volendo limitare l'analisi dell'istituto che ci occupa al caso in esame, va detto che esso presuppone una verifica che riguardi il procedimento cautelare e le azioni di condanna (18)

(18) La controversia sulla esistenza dell'obbligo, per la società, di porre a disposizione del socio di minoranza i documenti contabili, non presuppone -perché sia rilevante- un giudizio di accertamento del diritto del socio ad ottenere i documenti, ovvero di quello della società a negare tali documenti. Il giudizio di accertamento, infatti, riguarda l'affermazione della esistenza o non di un rapporto giuridico (Garbagnati, Azione e interesse, in Jus, 1955, 316 ss.; Proto Pisani, Appunti sulla tutela di mero accertamento, in Riv. trim dir. proc. civ., 1979, 641, ove l'affermazione per la quale la tutela di mero accertamento riguarda solo i diritti e non i fatti, ed ove si evidenzia comunque la difficoltà di discernere tra diritto e fatto), e non della esistenza o non di un diritto di accesso ai documenti, che evidentemente sottende - per essere rilevante - una domanda di condanna al soddisfacimento del diritto medesimo. Per contro, la sede cautelare nella quale il giudizio si è svolto impone di guardare anche alla tematica dell'interesse ad agire nello specifico ambito processuale. È di tutto rilievo richiamare uno scritto del Satta (peraltro in senso critico rispetto a Carnelutti, Accertamento giudiziale preventivo, in Riv. dir. proc., 1960, 177 ss.), A proposito dell'accertamento preventivo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1960, specialmente 1401 s., ove si afferma che «l'idea di chiedere al giudice, come al vigile di un crocicchio, la via da seguire, [mi] pare una contraddizione in termini», e quanto alle obbligazioni si afferma poi che l'incertezza tra le parti sulla portata dei rispettivi obblighi deve essere risolta con la richiesta e con il rifiuto di adempimento. Aggiunge l'Autore, che in tali ipotesi non può parlarsi di tutela di accertamento, nel senso che l'accertamento è solo funzionale alla esecuzione, e si verte in «quella che l'esperienza ha qualificato come condanna», concludendo con l'affermazione per la quale «è assolutamente inconcepibile che le parti, in luogo della condanna, chiedano un mero accertamento». .
Sotto il primo profilo, si è già detto che secondo l'impostazione tradizionale l'interesse ad agire si identificherebbe con il periculum in mora(19)

(19) Attardi, Interesse ad agire, op. cit. Dal canto loro, affermano invece che il periculum in mora deriverebbe solo dalle specifiche disposizioni dettate per le azioni cautelari, Garbagnati, Azione e interesse, op. cit.; Allorio, Bisogno di tutela giuridica?, op. cit.; Andrioli, Diritto processuale civile, op. cit., 312, ove si dà conto che anche nelle azioni cautelari l'interesse ad agire svolgerebbe semplice funzione sistematica, nel senso che il pericolo di un inutile provvedimento è eliminato dal semplice verificarsi delle condizioni di fatto, cui la possibilità di esercitare in giudizio dette azioni è collegata. Anche secondo Nasi, op. cit., 41, nelle azioni cautelari il diritto si identifica puramente e semplicemente nell'azione, dal momento che tali azioni producono determinati effetti giuridici nella sfera di un altro soggetto al verificarsi di ipotesi che prescindono del tutto dalla esistenza e dall'accertamento del diritto a vantaggio del quale è disposta la cautela. Afferma che la cognizione del giudice della cautela abbia per oggetto non un diritto o un rapporto giuridico, ma solo i presupposti di fatto per l'applicazione di una norma strumentale, Liebman, Unità del procedimento cautelare, in Riv. dir. proc., 1954, 17. .
In senso contrario, e molto sommessamente, deve però ribadirsi come in realtà i due requisiti agiscano su piani diversi, perché prima di passare ad esaminare il pericolo di pregiudizio nel ritardo, deve positivamente riscontrarsi la necessità di un provvedimento giurisdizionale a tutela del diritto del soggetto che agisca in giudizio.
Se si accede a tale impostazione, è del tutto convincente la decisione del Tribunale di Verona, laddove ha escluso nel caso concreto il requisito del periculum in mora.
È infatti evidente che la società non è esposta ad alcun pericolo imminente di vedere pregiudicato il proprio diritto, poiché le è sufficiente opporre, alla richiesta del socio di minoranza, il rifiuto di esibizione dei documenti contabili (20)

(20) Molto opportunamente, il provvedimento che si commenta ha richiamato la tematica relativa al generale principio di cui all'art. 1460 c.c., che permette una forma di autotutela di carattere sostanziale, attivabile direttamente dalla parte. .
A ben guardare, però, e alla stregua della qualificazione giuridica da attribuire al conflitto tra le parti, è altresì condivisibile il giudizio - che come detto sta a monte - di inesistenza, in capo alla società, dell'interesse ad agire per ottenere una sentenza che dichiari l'inesistenza del diritto del socio ad ottenere i documenti contabili. Si tratterebbe, astrattamente, di una azione di accertamento negativo (21)

(21) Sulle quali cfr. Proto Pisani, Appunti ... op. cit., 655 ss., specie in riferimento alla ripartizione dell'onere probatorio in tale tipo di azione, al fine di evitare la c.d. «azione di giattanza», e di rispettare il diritto di difesa del convenuto, ai sensi dell'art. 24 Cost. , che però non potrebbe che incontrare i limiti propri imposti dall'art. 100 c.p.c. La società dovrebbe in altre parole dimostrare la necessità di una sentenza della specie, ed i motivi per i quali non le sarebbe sufficiente il mero rifiuto di consentire l'accesso ai documenti contabili.
In questo senso, infatti, non può non ritenersi che l'interesse della società ad ottenere l'affermazione dell'inesistenza di tale diritto, diventi attuale solo nel momento in cui il socio di minoranza attivi una specifica domanda di condanna (22)

(22) Secondo Nasi, op. cit., 41, nelle azioni di condanna non può distinguersi tra fatto costitutivo del diritto di credito e fatto costitutivo dell'interesse ad agire (da identificarsi nell'inadempimento spontaneo), perché l'obbligazione è esigibile fin dal suo sorgere. Da ciò deriva che si possa esercitare l'azione di condanna fin dal sorgere del diritto di credito, al fine di ottenere il titolo esecutivo. Ma in assenza di domanda di condanna, aggiungeremmo, o comunque in assenza di condotte del creditore che possano riflettere effetti negativi sulla posizione giuridica soggettiva del debitore, questi non ha interesse ad ottenere una pronuncia che accerti l'inesistenza del proprio obbligo, proprio perché la sua sfera giuridica non è in alcun modo lesa. , tesa ad ottenere coattivamente l'affermazione del proprio diritto ad ottenere i documenti contabili (23)

(23) Attardi, Interesse ..., op. cit., nel richiamare la dottrina tradizionale nota come l'art. 100 c.p.c. esprime l'esigenza che oltre all'esistenza (o all'affermazione dell'esistenza), del diritto soggettivo fatto valere, sussista anche uno stato di fatto lesivo, in senso lato, del diritto medesimo, vale a dire una situazione che intacchi e diminuisca il valore di una situazione giuridica soggettiva. .
Fino a tale momento, e non essendo seriamente messo in discussione il diritto della società ad opporre un rifiuto alla richiesta, ciò che astrattamente potrebbe dipendere anche dalla ritenuta liceità di tale rifiuto da parte del socio, in capo alla società non può ravvisarsi alcun interesse ad agire.
Come è ovvio, la mancanza di tale requisito renderebbe inammissibile anche la domanda ordinaria, e quindi a maggior ragione rende inammissibile la domanda cautelare, come in maniera condivisibile affermato dalla pronuncia in commento.

Da: pasqualinok 16/12/2010 12:49:39
ATTO DI CIVILE CON PROCURA

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TRIBUNALE CIVILE DI ZETA
MEMORIA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA NEL
PROCEDIMENTO ANTE CAUSAM EX ART. 700 C.P.C.
R.G.___________
udienza del_________

Il Si.g Tizio, nella sua qualità di socio della società S.r.l Alfa, nato a_______, il__________, residente a________, Via__________, n.___, c.f.________ rappresentato e difeso giusta procura speciale in calce al presente atto dalll'Avv.to_________,del Foro di______,_ed elettivamente domiciliato presso il suo studio di__________, via__________, n______________il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni tutte relative al presente procedimento al numero di fax____________
- resistente -


contro
Società Alfa, in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, con sede legale in_________, via_____, n.___, rappresentata e difesa dall Avv.___- del Foro di Zeta
Presso il cui studio è eletttivamente domiciliata

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L'atto va impostato così.
1. Si racconta il fatto;
2. si costituisce nel presente giudizio il sig..........contestando inf atto e diritto tutto quanto ex adverso esposto e dedotto e rilevando quanto segue
3. INammissibilità della domanda di esclusione
Spiegare il perchè in base alla sentenza del Trib,. Biella
In sostanza il potere di escludere il socio non spetta agli organi sociali
Argomentare ex art. 2473 bis
4. Insussistenza dei presuposti ex art. 700 c.p.c.
- non c'è periculum perchè nessun danno deriva alla società dalla permanenza del socio che non svolge funzioni di amminstratore;
- non c'è fumus perchè la domanda è in ogni caso inammissibile;
- in ogni caso vi è difeto di interesse ad agire per le medesime ragioni che escludono il periculum
5. Inammissiblità della domanda di inibizione dell'accesso ai documento sociali
Non si può limitare il diritto del socio non amministratore di prendere visione dei documenti e dei libri della società e ciò anche al fine di esercitare il dovuto controllo sull'attività amminsitrativa della società
Sul punto vedi Rrib. Bologna 6 dicembre 2006
"Il socio non amministratore di società a responsabilità limitata al quale sia precluso dagli amministratori l'esercizio del diritto di controllo mediante l' accesso ai documenti relativi all'amministrazione può ottenere dal giudice provvedimento cautelare che autorizzi l' accesso diretto o tramite professionista di propria fiducia a tutti i libri sociali incluse le scritture contabili. Il diritto di controllo del socio non amministratore, equiparabile in base al disposto dell'art. 2476 c.c. a quello del socio di società di persone, soddisfa l'esigenza di acquisizione di informazioni utili in merito alle modalità di effettivo svolgimento della funzione gestoria da parte degli amministratori ed è funzionale altresì all'esperimento dell'azione sociale di responsabilità promuovibile in via surrogatoria da ciascun socio . Il tribunale che sia adito in via cautelare può integrare la misura cautelare originariamente disposta precisando le modalità di consultazione delle scritture contabili senza che possa opporsi da parte degli amministratori il diritto alla riservatezza dei dati commerciali della società."
6. Ulteriore Inammissibilità della domanda
- il 700 è inammissibile perchè diretto ad ottenere una pronuncia costituiva mentre la tutela d'urgenza presuppone la esistenza del diritto di cui si chiede la tutela
PQM
il sig. .....chiede che il Tribunale voglia
- in via preliminare, dichiarare inammissibli la domadna non sussistendo i presupposti del periculum e del fumus;
- nel merito respingeresi le domande;
- in ogni caso vittoria di spese ed onorari
data
Firma



PROCURA ALLE LITI

Delego a rappresentarmi e difendermi nel presente atto ed in ogni fase, stato e grado del presente giudizio, anche nelle eventuali fasi di esecuzione e opposizione, l'Avv…………………., conferendo allo stesso gli tutti i poteri e le facoltà di legge, ivi comprese la facoltà di conciliare, transigere, rinunciare ed accettare rinunce a domande ed atti e giudizi, riscuotere, quietanzare, ritirare atti documenti e titoli in ogni sede giudiziaria nel mio interesse e in mio nome e conto.
Inoltre, preso atto della informativa di cui al D.Lgs. 196/03 conferisco autorizzazione e consenso al trattamento dei miei dati personali ai soli fini del presente incarico.
Prendo, altresì, atto che il trattamento dei dati personali avverrà mediante strumenti manuali, informatici e telematici con logiche strettamente correlate alle finalità dell'incarico.
Si autorizza il trattamento dei dati personali ai sensi del Dlgs 196/2003 ed aver avuto l'informativa ai sensi dell'art.13 T.U. ed essere stato informato delle finalità e modalità del trattamento dei dati di cui lo studio entri in possesso e dell'eventuale comunicazione necessaria dei dati stessi ai collaboratori nonché dei dipendenti ex art. 7 del T.U. 196/2003.

Eleggo domicilio presso il suo studio sito in …………, via…………………..

Sig.ra Caia

Vera la firma

Avv



     TRIBUNALE DI VERCELLI
Ordinanza nella causa n. 1666/2005 R. G. A. C.
con OGGETTO: Ricorso ex art. 700 c.p.c. in relazione agli artt.  2473
bis e 2476 c.c.
                         PROCESSUALE CIVILE
                        IL GIUDICE DESIGNATO
dott. Nicola Graziano
Letti gli atti ed i documenti di causa;
a scioglimento della riserva formulata nel verbale di udienza del  13
settembre 2005, con contestuale concessione alle parti costituite  di
termini  fino  al 20   settembre  2005 per  l'eventuale   deposito di
memorie integrative ed illustrative, in particolare, delle  questioni
pregiudiziali  sollevate   dai  resistenti   nella  propria   memoria
costitutiva;
OSSERVA
(Torna su   ) FATTO
IN FATTO
Con ricorso depositato in Cancelleria l'8 agosto 2005 il Sig. R. O., nella qualità di socio della Società a responsabilità limitata "B., R. & PARTNERS S.r.l." con sede in Vercelli (VC) alla via P., lamentava che gli altri due soci Sig. B. F. e C. S., rispettivamente nella qualità, il primo, di Presidente del Consiglio di Amministrazione ed il secondo, quale Consigliere del Consiglio di Amministrazione della suindicata Società, avevano posto in essere una serie di atti di gestione tutti finalizzati e diretti alla produzione di un danno economico per la Società e, di conseguenza, alla sua (preordinata) messa in liquidazione.
Riteneva quindi di dover agire in giudizio per ottenere un provvedimento di urgenza il cui contenuto consistesse a) in relazione all'art. 2476, III comma, c.c., nell'immediata revoca del Presidente del Consiglio di Amministrazione e del Consigliere del Consiglio di Amministrazione della sopra detta società nonché b) nell'esclusione dei soci B. F. e C. S. ai sensi e per gli effetti dell'art. 2473 bis c.c., il tutto facendo ricorso anche all'art. 700 c.p.c.
In particolare il ricorrente sosteneva nel ricorso l'esistenza del danno grave ed irreparabile e del periculum in mora da porre a fondamento del succitato provvedimento cautelare ante causam, richiesto cioè prima della proposizione del giudizio di merito avente ad oggetto l'azione sociale di responsabilità.
A seguito della notifica del suddetto ricorso e pedissequo decreto di fissazione dell'udienza di cui all'art. 23 del D.Lgs. 17.1.2003 n. 5, i soci B. F. e C. S. depositavano in Cancelleria una memoria costitutiva a mezzo della quale chiedevano il rigetto del ricorso, comunque sollevando in via pregiudiziale varie questioni circa l'inammissibilità del ricorso proposto nei loro confronti.
In particolare sostenevano l'inammissibilità del ricorso per non essere il provvedimento di esclusione di essi soci previsto dallo Statuto della Società a responsabilità limitata "B., R. & PARTNERS S.r.l." così come richiesto dall'art. 2473 bis c.c. ovvero perché controparte non aveva indicato il petitum e la causa pretendi della causa di merito che intendeva proporre ovvero perché l'istanza non poteva essere proposta prima dell'introduzione della causa di merito ovvero perché l'istanza poteva essere proposta solo con un'azione di responsabilità sociale ex art. 2476 c.c. ovvero, infine, perché mancava il requisito della residualità previsto dall'art. 700 c.p.c.
All'udienza del 13 settembre 2005 il Giudice, dopo aver sentito le parti ed a seguito di ampia discussione si riservava la decisione sul ricorso proposto, assegnando contestualmente termine fino al 16 settembre 2005 alla parte ricorrente e fino al 20 settembre 2005 alle parti resistenti per l'eventuale deposito di memorie integrative ed illustrative, in particolare delle questioni pregiudiziali sollevate, come sopra descritto, dai resistenti nella propria memoria costitutiva.
(Torna su   ) DIRITTO
IN DIRITTO
E' evidentemente pregiudiziale l'esame dell'ammissibilità del presente ricorso.
Ritiene questo giudicante che la successione logico giuridica delle varie questioni pregiudiziali sollevate dai resistenti porta ad affrontare, per prima, tra le questioni indicate, la seguente: se sia ammissibile l'istanza di revoca cautelare degli amministratori di una società a responsabilità limitata, di cui all'art. 2476, III comma, cc proposta ante causam, cioè prima dell'instaurazione del giudizio di merito diretto a far accertare la responsabilità degli amministratori della società al fine di ottenere il risarcimento dei danni da essi prodotti, previa individuazione di un loro comportamento posto in essere in violazione dei doveri previsti dalla legge e dallo statuto e più in generale in violazione del loro dovere di elevata diligenza di cui all'art. 1176, comma II, c.c. (tale qualificato comportamento è, infatti, da pretendere da un amministratore che deve comportarsi da accorto gestore di un patrimonio altrui qual è quello appartenente alla società amministrata; sul punto della diligenza richiesta per l'attività di amministrazione di una società a responsabilità limitata si vede Tribunale di Santa Maria, ordinanza del 15 novembre 2004 in www.santamariagiustizia.it).
La risposta negativa al quesito sopra sintetizzato evidentemente assorbe tutte le altre questioni pregiudiziali sollevate, lasciando solo aperta la problematica in ordine all'eventuale accoglimento del presente ricorso proposto ricorrendo ai dettami di cui all'art. 700 c.p.c.
Comunque, al fine di dare una risposta agli interrogativi sopra posti vanno prese le mosse dall'art. 2476, III comma, c.c il quale così recita "L'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa da ciascun socio, il quale può altresì chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che si adottato provvedimento cautelare di revoca degli amministratori medesimi. ...Omissis..."
Orbene moto dibattuta, sia in dottrina che in giurisprudenza, è la configurazione del provvedimento di revoca degli amministratori di una s.r.l. come provvedimento necessariamente incidentale, cioè che può essere richiesto solo esperita l'azione di merito di responsabilità di cui al sopra citato III comma dell'art. 2476 c.c.
La tesi che ammette che il provvedimento di revoca cautelare di un amministratore di una s.r.l. sia ammissibile anche ante causam è sostenuta in vari provvedimenti giurisprudenziali (si vedano Tribunale di Roma, ordinanza del 31 marzo 2004, Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ordinanza del 30 aprile 2004, Tribunale di Roma, ordinanza 11 giugno 2004, Tribunale di Roma, ordinanza del 5 agosto 2004, Tribunale di Catania, ordinanza del 14 ottobre 2004 tutte riportate in massima in www.judicium.it nonché più di recente Tribunale di Marsala, ordinanza del 15 marzo 2005 per esteso in www.altalex.com) il cui contenuto può essere di seguito così sintetizzato.
In primo luogo il dato letterale. I sostenitori della tesi dell'ammissibilità di una istanza di revoca degli amministratori ante causam sostengono, infatti, che dal complesso della normativa ed in particolare dall'art. 2476, III comma, c.c. non si rinvengono concludenti ed in equivoci dati letterali che consentono di ritenere derogata la regola generale relativa all'esperibilità della tutela cautelare ante causam. L'inciso "altresì" contenuto nel III comma dell'articolo citato è definito dato letterale "decisamente debole", laddove si osserva che quando il legislatore ha inteso prevedere la regola della necessaria esperibilità dell'azione cautelare nel corso dell'azione di merito lo ha fatto in modo espresso senza dare adito a dubbi interpretativi (per tutte il riferimento è all'art. 2378, III comma, c.c.).
In secondo luogo il dato sistematico. Si afferma che l'ammissibilità del provvedimento cautelare ante causam va considerato principio generale dell'ordinamento processuale in quanto finalizzato alla più ampia tutela delle situazioni soggettive (così le disposizioni sul procedimento cautelare uniforme ed in particolare l'art. 669 ter c.p.c. non derogato dall'art. 23 del D.Lgs. 5/03 che al comma VII ritiene applicabili, in quanto compatibili le disposizioni della Sezione I del capo III del Titolo I del Libro IV del codice di procedura civile e quindi anche l'art. 669 quaterdecies c.p.c.).
Sostengono la tesi dell'inammissibilità ante causam dell'istanza cautelare diretta ad ottenere la revoca degli amministratori ex art. 2476, III comma, c.c., oltre che la dottrina nettamente prevalente, anche due (a quanto risulta dallo scrivente giudicante anche uniche) pronunce giurisprudenziali e precisamente: il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ordinanza del 20 luglio 2004 (citata ed annotata per la sua notevole rilevanza in numerose riviste giuridiche e rinvenibile nella sua versione integrale in www.santamariagiustizia.it ovvero in www.judicium.it) ed il Tribunale di Parma, decreto del 25 ottobre 2004 (in Le Società, n. 6/2005, pagg.758 e ss).
In particolare nell'ordinanza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (che assume i contorni di una vera e propria lectio magistralis sul punto) si rinvengono con chiarezza le argomentazioni poste alla base della suesposta tesi che nega l'ammissibilità dell'istanza di revoca cautelare degli amministratori di una s.r.l. proposta prima dell'introduzione della causa di cognizione per l'accertamento della responsabilità degli stessi e la condanna al loro risarcimento danni.
In primo luogo il dato letterale. L'avverbio "altresì" contenuto nel novellato art. 2476, III comma, c.c. va letto in uno con alcuni passi della relazione al D.Lgs. n. 6/2003 per cui lo stesso "aggancia, quindi, sotto il profilo temporale la revoca giudiziale all'azione di responsabilità nel senso che la prima non può mai precedere l'esercizio della seconda".
In secondo luogo il dato sistematico. Non viene individuata nell'esclusione della possibilità della revoca cautelare ante causam una limitazione irragionevole del diritto di difesa, essendo sempre possibile proporre istanza di revoca cautelare immediatamente dopo la notifica dell'atto di citazione, potendosi attivare, ricorrendone i presupposti, anche il disposto dell'art. 24, comma IV, del D.Lgs. 5/2003 che porta ad una decisione di merito in tempi molto brevi.
In terzo luogo il dato normativo. L'art. 2476, comma III, c.c. è speciale rispetto alle norme contenute negli artt. 23 e 24 del D.Lgs. 5/2003 le quali, a loro volta, sono speciali rispetto agli artt. 669 bis e ss. c.p.c. In tal caso da tale ricostruzione normativa si ricava un meccanismo di applicazioni di norme per incompatibilità il che, stante il chiaro dettato dell'art. 2476, III comma, c.c., impedisce l'operatività della regola della generale ammissibilità del provvedimento cautelare ante causam.
In quarto luogo, infine, è rilevante ai fini del diniego di ammissibilità di una revoca cautelare ante causam la considerazione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere sulla natura giuridica della revoca stessa di cui all'art. 2476, comma III, c.c.
Sostiene il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che il provvedimento cautelare di revoca, solo incidentale, è strumentale all'azione di responsabilità degli amministratori ed ha carattere conservativo e non anticipatorio della sentenza di accertamento della responsabilità e della conseguente condanna al risarcimento dei danni prodotti dagli amministratori. Da queste considerazioni si ricava che il fumus boni iuris consiste nell'effettiva esistenza di un danno ed il periculum in mora nel possibile aggravamento del già verificatosi pregiudizio al patrimonio sociale che potrebbe conseguire da ulteriori (se non impediti con la revoca cautelare) comportamenti antigiuridici degli amministratori.
Ne consegue che la richiesta di revoca cautelare non può che essere calata all'interno di un giudizio di accertamento della responsabilità dal quale già emerge il presupposto per ottenere la misura cautelare di carattere conservativo che consiste nell'esistenza di gravi irregolarità nella gestione della società.
Delineate così le posizioni in conflitto interpretativo, ritiene questo giudice di dover aderire alla tesi che nega l'ammissibilità dell'istanza di revoca cautelare degli amministratori di una s.r.l. proposta prima dell'introduzione della causa di cognizione per l'accertamento della responsabilità degli stessi e la condanna al loro risarcimento danni e per l'effetto dichiarare, sotto questo profilo, inammissibile il ricorso proposto dal socio R. O..
Sicuramente condivisibili sono le argomentazioni, così come sopra sintetizzate, che la tesi della inammissibilità dell'istanza di revoca cautelare ante causam sostiene, alle quali vanno aggiunte le seguenti considerazioni.
Sotto il profilo del dato letterale è chiaro e palese il significato delle parole usate nell'art. 2476, III comma, c.c. così come esse sono tra loro connesse ed interpretabili alla luce dell'intenzione del legislatore.
Ed infatti l'avverbio "altresì" deve essere inteso nel suo significato letterale come sinonimo di "parimenti" che significa "insieme" ovvero "di pari passo" (cfr. G. DEVOTO - G.C. OLI in Vocabolario Illustrato della Lingua Italiana, Ed. Selezione dal Reader's Digest, Vol. I pag. 95 e Vol. II pag. 405).
A ciò va aggiunta la considerazione della intenzione del legislatore delegato di prevedere una riforma in ordine alla legittimazione attiva del singolo socio all'azione di responsabilità che tenesse conto anche delle disposizioni di carattere generale contenute nell'art. 23 e 24 del D.Lgs. 5/2003 e che con esse fosse coordinata. Proprio in questa prospettiva il carattere strumentale e conservativo dell'istanza cautelare proposta, tra l'altro, sul presupposto della grave irregolarità della gestione della società, meglio si concilia con il dettame contenuto nel sopra citato art. 24 piuttosto che in quello di cui all'art. 23. La "linea rossa" che unisce ed avvince le norme sopra citate si rinviene nel tentativo di velocizzare il processo societario avente ad oggetto un'azione sociale per accertare la responsabilità degli amministratori di una s.r.l. e di costringere le parti (ed anche il giudice col decreto di fissazione dell'udienza) ad immediatamente prendere posizione sulla controversia, a scoprire cioè le carte della schermaglia processuale e sembra davvero non conciliabile, da una parte, ammettere l'istanza cautelare di revoca degli amministratori anteriormente alla causa, e, dall'altra, porre a fondamento dell'accoglimento della stessa le gravi irregolarità nella gestione della società che costituiscono la condizione per l'accoglimento dell'azione di merito e, volendo spingersi agli estremi col ragionamento, anche per la definizione della controversia a seguito del giudizio abbreviato di cui all'art. 24, comma IV, del D.Lgs. citato.
Quest'ultima considerazione consente di riflettere anche sul dato sistematico, potendosi aggiungere che se si ritenesse ammissibile il provvedimento cautelare di revoca anteriore alla causa di merito, il giudice accertati i presupposti dell'azione cautelare dovrebbe comunque fissare un termine perentorio per l'inizio del giudizio di merito di cui all'art. 669 octies non potendosi ritenete applicabile, nell'ipotesi di emanazione di tale provvedimento cautelare di carattere conservativo, il primo comma dell'art. 23 del D.Lgs. 5/2003. Il che contrasterebbe con l'istanza deflattiva dei giudizi che sta alla base della riforma del processo societario e che ha ispirato anche le recenti modifiche al codice di procedura civile previste dalla Legge 14 maggio 2005 n. 80.
Ma vi è di più.
A voler ragionare diversamente sulla natura strumentale e conservativa dell'istanza di revoca rispetto all'azione sociale di responsabilità degli amministratori, da qui la considerazione della sua natura "cautelare", si potrebbe ritenere che una volta ottenuto il provvedimento di revoca e non instaurato il giudizio di merito in base al disposto dell'art. 23, comma I, del D.Lgs. 5/03 la revoca finirebbe per essere fine a se stessa il che non è pensabile alla luce di quanto previsto dall'art. 2476, III comma, c.c. laddove si fa cenno solo ed esclusivamente ad un'azione di responsabilità volta al risarcimento dei danni subiti dalla società e non ad un'azione diretta alla revoca degli amministratori infedeli.
Ritenuta l'inammissibilità di un'istanza di revoca cautelare degli amministratori resistenti proposta ante causam, resta da chiedersi se vi sia spazio per la tutela cautelare atipica di cui all'art. 700 c.p.c richiesta dal ricorrente.
Sul punto la parte ricorrente ha prodotto in massima un ordinanza del Tribunale di Napoli del 22 marzo 2005 la quale così recita "l'istanza cautelare di revoca degli amministratori, esperibile dal socio di una s.r.l. in base all'art. 2476 comma III c.c., può essere proposta "ante causam", in via d'urgenza, ai sensi dell'art. 700 c.p.c.".
Dalla massima sembrerebbe ricavarsi che il Tribunale di Napoli riconosca come unica possibilità per una tutela cautelare ante causam contro gli amministratori infedeli il ricorso alla tutela cautelare atipica di cui all'art. 700 c.p.c., sottintendendo, probabilmente, l'inammissibilità della stessa in base al III comma dell'art. 2476 c.c. ma, a giudizio dello scrivente, anche sotto questo punto di vista, il ricorso va dichiarato inammissibile.
L'art. 700 c.p.c. si ispira al criterio della residualità per cui a voler ammettere tale azione significherebbe andare alla ricerca di presupposti quanto meno diversi rispetto a quelli posti a fondamento dell'azione cautelare tipica, così finendosi, non correttamente, per ritenere l'azione di cui all'art. 700 c.p.c integrativa rispetto alla cautela tipica. Il che non è possibile.
Del resto il ricorso cautelare ex art. 700 c.p.c è caratterizzato dalla necessità di indicare approfonditamente il fumus boni iuris ed il periculum in mora e dalla indicazione chiara e precisa dell'azione di merito che si intende proporre che, con riferimento a quanto contenuto nell'art. 2476, III comma, c.c. non può essere quella diretta alla revoca degli amministratori.
Inoltre, alla luce dell'art. 2476, III comma, c.c. quanto al presupposto del fumus boni iuris non sembra potersi prospettare per la revoca cautelare altra azione basato sull'esistenza di un danno solo potenziale e non attuale così come, quanto al periculum in mora, la richiesta dell'integrazione del presupposto dell'esistenza di gravi irregolarità nella gestione della società che producono danni dei quali il socio chiede il risarcimento da porre a fondamento dell'istanza cautelare di revoca è idonea a ricomprendere l'intera area di tutela a disposizione del socio.
Né può obiettarsi che tale interpretazione porta a dover ammettere l'esistenza di un vuoto di tutela delle situazioni giuridiche soggettive di cui il socio può farsi portatore, anche come legittimato straordinario ovvero come sostituto processuale della società, il che esporrebbe il ragionamento ed ancor prima il sistema normativo ad una eccezione di illegittimità costituzionale dello stesso in relazione agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione.
Costituisce ius receptum il principio in base al quale il legislatore ordinario può discrezionalmente articolare e modulare le misure cautelari in funzione della più ampia, effettiva e tempestiva tutela delle posizioni giuridiche soggettive, esigenza questa che, così come sopra interpretato il quadro normativo derivante dal combinato disposto degli artt. 2476, III comma, c.p.c., 23 e 24 del D.Lgs. 5/2003 e 669 bis e seguenti, si può dire pienamente soddisfatta.
Lo stesso ragionamento fonda anche l'inammissibilità dell'azione ex art. 700 c.p.c. proposta in relazione all'art. 2473 bis c.c. e diretta alla esclusione dei soci B. F. e C. S..
Ne deriva che, alla luce di tutte le considerazioni suesposte risulta, inoltre, essere assorbita ogni altra questione pregiudiziale ed il ricorso proposto da R. O. , nella qualità di socio della Società a responsabilità limitata "B., R. & PARTNERS S.r.l." con sede in Vercelli (VC) alla via P., diretto ad ottenere ante causam la revoca dei soci B. F. e C. S. dalla carica rispettivamente di Presidente del Consiglio di Amministrazione e del Consigliere del Consiglio di Amministrazione della sopra detta società nonché diretto ad ottenere un provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c. il cui contenuto consistesse a) in relazione all'art. 2476 c.c, nell'immediata revoca del Presidente del Consiglio di Amministrazione e del Consigliere del Consiglio di Amministrazione della sopra detta società nonché b) nell'esclusione dei soci B. F. e C. S. ai sensi e per gli effetti dell'art. 2473 bis c.c., va dichiarato inammissibile.
La novità delle questioni trattate fonda la decisione di compensare integralmente le spese del presente procedimento.
Si comunichi a cura della Cancelleria.
Vercelli, lì 28 settembre 2005.
Il Giudice Designato
dott. Nicola Graziano

Da: paolaaaa16/12/2010 12:50:43
X CIVILE


Tribunale di Mantova - G. Des. Dr. Mauro Bernardi - 10 marzo 2006.



Società di persone - Esclusione del socio per gravi inadempienze - Periculum in mora - Provvedimento d'urgenza ex art. 700 e 23 d. lgs. n. 5/2003 - Ammissibilità.



Ha natura anticipatoria la domanda cautelare volta a richiedere, ex artt. 700 c.p.c. e 23 d. lgs. n. 5/03, l'esclusione di un socio ai sensi dell'art. 2286 c.c.. (mb)





omissis

Il Giudice Designato,

sciogliendo la riserva di cui al verbale dell'udienza del 7-3-2006 così provvede:

letta l'istanza con cui l'accomandante chiede, ex artt. 700 c.p.c. e 2287 c.c., che venga disposta l'esclusione dalla società UB di B. M. P. e C. s.a.s. (svolgente attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande) del socio accomandatario;

rilevato, in ordine al fumus, che dagli atti emerge come il socio accomandatario abbia da mesi omesso di svolgere ogni attività lavorativa ed amministrativa e ciò in violazione degli obblighi di legge e del contratto sociale (v. artt. 7 e 12), comportamento che deve considerarsi grave ai sensi dell'art. 2286 c.c. per la natura e la durata degli inadempimenti;

ritenuto che l'irreparabilità del pregiudizio deriva dalla impossibilità di prosecuzione dell'attività imprenditoriale tanto che l'esercizio è chiuso da mesi, circostanza che espone la società anche al rischio di dichiarazione di fallimento per la protratta mancanza di entrate a fronte dei debiti in precedenza contratti;

osservato che l'art. 23 del d. lgs. 5/03 prevede la possibilità che vengano emessi, in via cautelare, provvedimenti idonei ad anticipare gli effetti della decisione di merito quale deve considerarsi quello richiesto nella fattispecie in esame;

p.t.m.

visti gli artt. 700 c.p.c. e 23 d. lgs. 5/03 dispone l'esclusione dalla società UB di B. M. P. e C. s.a.s. di B. M. P..

Da: lollo16/12/2010 12:50:54
questa è la sentenzaAutorità:  Tribunale  Verona  sez. IV
Data:  18 marzo 2009
Numero: 
Parti: 
Fonti:  Giur. merito 2010, 1, 132 (s.m.) (nota di: NARDELLI)

Classificazione
PROCEDIMENTO CAUTELARE IN MATERIA CIVILE In genere


Testo
Tutela cautelare - Azione di merito costitutiva - Ammissibilità - Non sussiste.

È dubbia la possibilità di accogliere la richiesta di tutela cautelare costitutiva , in relazione a statuizioni la cui efficacia sia subordinata alla formazione del giudicato.
se avete un pò di pazienza vi evidenzio le parti che dovete usare nell'atto

Da: sarinaav16/12/2010 12:51:30
aiutatemi cosa posso inviare a mia sorella per l'atto di civile?non ho ancora inviato nulla.graie mille

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Da: Raf16/12/2010 12:51:37
scusa, mi dici dove l'hai presa e se hai la sentenza per intero?

Da: mlaura16/12/2010 12:52:41
rgazzi scusate ma la sentenza certa di penale qual'è?

Da: raffaella16/12/2010 12:52:45
pazienza

Da: Trilly8116/12/2010 12:52:58
Ragazzi scusatemi per Penale qualcuno ha il mandato per la procura alle liti del c.p.p.?????X FAVOREEEE

Da: francy67 16/12/2010 12:53:04
NOVITà PER LA SOLUZIONE DI CIVILE????AIUTATEMI!!!

Da: alby700 16/12/2010 12:54:11
mi dite il n. della sentenza del tribunale di biella?

Da: pakozzo 16/12/2010 12:54:19
quella che ho pubblicato prima!ragazzi ho seri problemi di connessione vado e vengo non ci voleva prorpio!

Da: ESAMENAPOLI16/12/2010 12:54:21
QUAL'è LA SOLUZIONE X CIVILE,LA SCRIVETE PER FAVORE

Da: ragazza di catanzaro16/12/2010 12:54:37
Ci sto lavorando ... Tizio e Caio vengono tratti in arresto perché sorpresi, con due pistole all'interno di un'automobile parcheggiata a cento metri dall'ingresso della banca alfa. Le pistole, armi comune da sparo, con ke relative munizioni, non sono pronte per lo sparo. Nell'atto viene altresì rinvenuto e sequestrato un cappello di lana astrattamente idoneo al nascondimento del volto. All'esito del giudizio immediato tizio e caio vengono condannati per il reato di tentata rapina ai danni della banca alfa, con le circostanze aggravanti dall'uso di armi e della riunione di più più persone.
Assunta la veste di difensore di tizio il candidato rediga motivato atto di appello.
Tribunale
per
Corte di appello
ATTO DI APPELLO

avverso la sentenza n. ___, del ___, resa nel procedimento penale n. ___/__ R.G. Trib., dal Tribunale di ___,che ha condannato TIZIO, nato a ___, il ___, alla pena di anni ___, di reclusione e al pagamento di euro  ___ di multa, ritenendolo responsabile dei reato di cui agli artt. 56 628 c.p.
* * *
Il sottoscritto Avv. ___, del Foro di ___, difensore di fiducia di TIZIO, giusta nomina in calce al presente atto (3), dichiara di proporre appello avverso tutti i capi della succitata sentenza per i motivi di seguito precisati.

MOTIVI

(IN VIA PRINCIPALE E GRADATA)

Il Giudice avrebbe dovuto assolvere l'imputato perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto.

Il Giudice avrebbe dovuto assolvere l'imputato perché il fatto non costituisce reato.
7) Il Giudice avrebbe dovuto concedere le attenuanti di cui all'art. ___ (oppure avrebbe dovuto riconoscere la prevalenza delle attenuanti di cui all'art. ___, o, ancora, avrebbe dovuto esperire il giudizio di bilanciamento delle attenuanti ex art. 69 c.p.). […]
(formula utilizzata nel caso in cui non si sia tenuto conto di una circostanza attenuante, generica o speciale, o nel caso in cui tale circostanza non sia stata giudicata prevalente [o in alcuni casi anche equivalente] rispetto ad altra circostanza aggravante)
 Il Giudice avrebbe dovuto irrogare una pena diversa, contenendola entro il limite di ___. […]
(formula sempre utilizzabile, inestremo subordine, ove il giudice abbia irrogato una sanzione diversa dal minimo edittale, con un diverso giudizio di valutazione da esperirsi ex art. 133 c.p.)

Il punto di partenza, per una corretta esegesi dell'articolo 56 c.p., non puo' che essere il dato storico: come si e' detto, fu proprio per evitare le incertezze interpretative derivanti dall'individuare quali fossero i mezzi che potevano essere considerati inizio dell'esecuzione criminosa (problema che diventava quasi irresolubile per i reati a forma libera) che il legislatore del 1930 s'indusse ad abbandonare la formula che parlava di "cominciamento" "mezzi" "esecuzione".
2. Nel nuovo articolo 56 c.p., infatti, non si parla piu' di mezzi ma di atti idonei (in contrapposizione agli atti inidonei di cui all'articolo 49 c.p., comma 2) e di azione che non si compie o di evento che non si verifica.
3. Ora, siccome l'azione e' quell'attivita' umana composta da uno o piu' atti, ne deriva, proprio sul piano logico (oltre che semantico) che il tentativo e' punibile non solo quando l'esecuzione e' compiuta ma anche quando l'agente ha compiuto uno o piu' atti (non necessariamente esecutivi) che indichino, in modo inequivoco, la sua volonta' di voler compiere un determinato delitto.
Sul punto, e' lo stesso articolo 56 c.p. che offre utili spunti di riflessione nella parte in cui dispone che il delitto tentato si verifica in due ipotesi: 1) quando l'azione non si compie (c.d. tentativo non compiuto); 2) quando l'evento non si verifica (ed tentativo compiuto).

L'articolo 56 c.p., disciplina il tentativo nei delitti e, essendo una fattispecie autonoma rispetto al reato consumato (ex plurimis Cass. 13/6/2001 riv 220330), richiede, come tutti i reati, la sussistenza sia dell'elemento soggettivo che oggettivo.
L'elemento soggettivo e' identico al dolo del reato che il soggetto agente si propone di compiere.
L'elemento oggettivo, invece, presenta spiccate peculiarita' in quanto ruota intorno a tre concetti:
- l'idoneita' degli atti;
- l'univocita' degli atti;
- il mancato compimento dell'azione o il mancato verificarsi dell'evento.
La linea di demarcazione fra la semplice intenzione non punibile (secondo il vecchio brocardo cogitationis poenam nemo patitur) e quella punibile si snoda proprio attraverso l'esatta comprensione dei suddetti principi.
Una premessa di natura sistematica: sebbene l'articolo 56 c.p. sia l'unica norma che disciplini espressamente il tentativo, tuttavia, utili argomenti si possono trarre, ai fini sistematici, anche dall'articolo 115 c.p. a norma del quale "qualora due o piu' persone si accordino allo scopo di commettere un reato e questo non sia commesso, nessuna di essa e' punibile per il solo fatto dell'accordo".
La suddetta norma, evidenzia, quindi, in modo plastico, il principio secondo il quale anche un semplice accordo a commettere un delitto (e, quindi, a fortiori, il semplice averlo pensato) non e' punibile (salva l'applicazione della misura di sicurezza) ponendosi all'estremo opposto del delitto consumato.
Ma e' proprio fra questi due estremi, ossia fra la semplice cogitatio o accordo (non punibile) ed il delitto consumato che si colloca la problematica del delitto tentato che consiste, appunto, nello stabilire quando un'azione, avendo superato la soglia della mera cogitatio, pur non avendo raggiunto il suo scopo criminoso, dev'essere ugualmente punibile.
Cntroversa e' la nozione di univocita' degli atti. Secondo una prima tesi "anche gli atti preparatori possono configurare l'ipotesi del tentativo, allorquando essi rivelino, sulla base di una valutazione ex ante e indipendentemente dall'insuccesso determinato da fattori estranei, l'adeguatezza causale nella sequenza operativa che conduce alla consumazione del delitto e l'attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto, dimostrando contemporaneamente, per la loro essenza ed il contesto nel quale s'inseriscono, l'intenzione dell'agente di commettere il delitto": Cass. 27323/2008 riv. 240736 - Cass. 43255/2009 Rv. 245720 "L'atto preparatorio puo' integrare gli estremi del tentativo punibile, quando sia idoneo e diretto in modo non equivoco alla consumazione di un reato, ossia qualora abbia la capacita', sulla base di una valutazione "ex ante" e in relazione alle circostanze del caso, di raggiungere il risultato prefisso e a tale risultato sia univocamente diretto" - Cass. 40702/2009 Rv. 245123.
E' la c.d. tesi soggettiva in base alla quale, appunto, la prova del requisito dell'univocita' dell'atto puo' essere raggiunta non solo sulla base dell'atto in se' considerato ma anche aliunde e, quindi, anche sulla base di semplici atti preparatori qualora rivelino la finalita' che l'agente intendeva perseguire.
Ad avviso, invece, di un'altra tesi, "gli atti diretti in modo non equivoco a commettere un reato possono essere esclusivamente gli atti esecutivi, ossia gli atti tipici, corrispondenti, anche solo in minima parte, come inizio di esecuzione, alla descrizione legale di una fattispecie delittuosa a forma libera o vincolata, in quanto la univocita' degli atti indica non un parametro probatorio, ma un criterio di essenza e una caratteristica oggettiva della condotta; ne consegue che non sono punibili, a titolo di tentativo, i meri atti preparatori": Cass. 9411/2010 Rv. 246620 - Cass. 40058/2008 cit. - Cass. 36283/2003 riv 228310 - Cass. 43406/2001 riv 220144.
"Se e' vero, infatti, che il legislatore del 1930, obbedendo a sollecitazioni politiche dell'epoca, aveva ritenuto di allargare l'area del tentativo punibile redigendo il testo dell'articolo 56 c.p., non e' men vero che gran parte della dottrina e della giurisprudenza hanno dimostrato l'illusorieta' del proposito che, con quel mezzo, si intendeva attuare. Cio' perche' atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un delitto possono essere esclusivamente atti esecutivi, in quanto se l'idoneita' di un atto puo' denotare al piu' la potenzialita' dell'atto a conseguire una pluralita' di risultati, soltanto dall'inizio di esecuzione di una fattispecie delittuosa puo' dedursi la direzione univoca dell'atto stesso a provocare proprio il risultato criminoso voluto dall'agente": Corte Cost 177/1980.
E' la c.d. tesi oggetti va secondo la quale gli atti possono essere considerati univoci ogni qualvolta, valutati in quel singolo contesto, rivelano, in se' e per se' considerati, l'intenzione dell'agente (ed criterio di essenza). Per questa tesi, quindi, "la "direzione non equivoca" indica, infatti, non un parametro probatorio, bensi' un criterio di essenza e deve essere intesa come una caratteristica oggettiva della condotta, nel senso che gli atti posti in essere devono di per se' rivelare l'intenzione dell'agente. L'univocita', intesa come criterio di "essenza", non esclude che la prova del dolo possa essere desunta aliunde, ma impone soltanto che, una volta acquisita tale prova, sia effettuata una seconda verifica al fine di stabilire se gli atti posti in essere, valutati nella loro oggettivita' per il contesto nel quale si inseriscono, per la loro natura, siano in grado di rivelare, secondo le norme di esperienza e l'id quod plerumque accidit, l'intenzione, il fine perseguito dall'agente": Cass. 40058/2008 cit..
E' evidente il punto di frizione fra le due tesi. Infatti, mentre per la tesi soggettiva, l'univocita' va valutata sulla base delle circostanze concrete (con la conseguenza che si determina, sul piano della repressione penale, un arretramento della soglia di punibilita', in quanto anche gli atti in se' preparatori, possono, a determinate condizioni, essere considerati univoci), al contrario per la tesi oggettiva, l'univocita' coincide con l'inizio degli atti tipici di un determinato reato (con conseguente spostamento in avanti della soglia di punibilita', escludendosi l'univocita' degli atti meramente preparatori).
Questa Corte ritiene che la tesi ed oggettiva non sia condivisibile perche', riproponendo, di fatto, l'antica problematica di cui si discuteva sotto il codice Zanardelli, opera un'interpretazione abrogans della nuova normativa, lasciando insoluti, in specie per i reati a forma libera, quegli stessi interrogativi che avevano indotto il legislatore del 1930 a rivedere radicalmente l'intera normativa. Infatti, nella Relazione al progetto definitivo al codice penale, si trova scritto: "innovazioni radicali sono state introdotte nella disciplina del tentativo, sopprimendo la distinzione tra atti preparatori e atti esecutivi".
Si ritiene, quindi, che la tesi piu' corretta sia quella soggettiva per i motivi di seguito indicati.
Il punto di partenza, per una corretta esegesi dell'articolo 56 c.p., non puo' che essere il dato storico: come si e' detto, fu proprio per evitare le incertezze interpretative derivanti dall'individuare quali fossero i mezzi che potevano essere considerati inizio dell'esecuzione criminosa (problema che diventava quasi irresolubile per i reati a forma libera) che il legislatore del 1930 s'indusse ad abbandonare la formula che parlava di "cominciamento" "mezzi" "esecuzione".
Nel nuovo articolo 56 c.p., infatti, non si parla piu' di mezzi ma di atti idonei (in contrapposizione agli atti inidonei di cui all'articolo 49 c.p., comma 2) e di azione che non si compie o di evento che non si verifica.
La terminologia adoperata dal legislatore e' molto importante: una cosa e' parlare di cominciamento dell'esecuzione con mezzi idonei, altro e' parlare di azione non compiuta e di atti idonei a commettere il delitto.
E' evidente, infatti, l'arretramento della soglia di punibilita', laddove si consideri che i termini "azione" ed "atti", indicano, proprio a livello semantico, una maggiore estensione rispetto alla piu' ristretta categoria degli atti esecutivi.
In altri termini, il legislatore ha focalizzato la sua attenzione non solo sull'esecuzione ma anche sull'azione.
Ora, siccome l'azione e' quell'attivita' umana composta da uno o piu' atti, ne deriva, proprio sul piano logico (oltre che semantico) che il tentativo e' punibile non solo quando l'esecuzione e' compiuta ma anche quando l'agente ha compiuto uno o piu' atti (non necessariamente esecutivi) che indichino, in modo inequivoco, la sua volonta' di voler compiere un determinato delitto.
Sul punto, e' lo stesso articolo 56 c.p. che offre utili spunti di riflessione nella parte in cui dispone che il delitto tentato si verifica in due ipotesi: 1) quando l'azione non si compie (c.d. tentativo non compiuto); 2) quando l'evento non si verifica (ed tentativo compiuto).
Sebbene si sia soliti attribuire poca importanza alla suddetta distinzione, in quanto la si assimila a quella del codice Zanardelli fra "delitto tentato" e delitto mancato" (peraltro sanzionato piu' gravemente), il dato di fatto semanticamente rilevante e' che non si parla di "delitto tentato o mancato" ma di azione non compiuta e di evento non verificatosi.
Il suddetto dato non puo' non avere una sua rilevanza giuridica.
Infatti, quando la legge adopera la locuzione "evento che non si verifica" e' chiaro che ipotizza il caso dell'agente che ha compito l'esecuzione degli atti tipici del delitto programmato, ma che questo non si e' verificato per un fatto indipendente dalla sua volonta' (ad es. l'agente ha sparato a Tizio ma questi, all'ultimo momento, casualmente, si e' spostato, facendo, quindi, fallire l'attentato). Se, quindi, la legge ha gia' previsto la punibilita' dell'esecuzione degli atti di un delitto, quando prevede la punibilita' anche dell'azione, necessariamente non puo' che far riferimento ad un qualcosa che precede l'esecuzione vera e propria, ossia quell'insieme di atti (o semplice atto) che, sebbene non esecutivi, valutati unitariamente, abbiano l'astratta attitudine a produrre il delitto programmato. L'azione, lo si ripete, e' un termine molto ampio ed indica il risultato finale del compimento di un atto o piu' atti, e contiene, in se', tutti gli elementi che consentono di affermare, sia pure ex post, che quell'azione era idonea, ove portata a termine (rectius: eseguita) a perpetrare il delitto programmato.
Cio', quindi, permette di affermare che ci si trova di fronte ad un tentativo punibile in tutti quei casi in cui l'agente abbia approntato e completato il suo piano criminoso in ogni dettaglio ed abbia iniziato ad attuarlo pur non essendo ancora arrivato alla fase esecutiva vera e propria ossia alla concreta lesione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice.
Quanto appena detto, trova una conferma negli speculari commi terzo e quarto dell'articolo 56 che, ancora una volta, confermano i due livelli del tentativo punibile (sanzionati in modo differente): la desistenza dell'azione nel senso sopra specificato, nel quale caso, la norma prevede che l'agente risponde degli atti compiuti solo se questi costituiscano un reato diverso; l'impedimento, da parte dell'agente, dell'evento determinato dal compimento degli atti esecutivi veri e propri, nel quale caso, l'agente risponde pur sempre del tentativo, sebbene con una diminuzione della pena.
E' evidente, quindi, che, anche a livello sanzionatorio, la legge ha voluto distinguere le due tipologie di tentativi che, se non vengono attuati per cause indipendenti dalla volonta' dell'agente, vengono puniti allo stesso modo (comma 1), mentre se il delitto non si verifica per la resipiscenza dell'agente, vengono sanzionati diversamente rendendo, pertanto, palese che l'azione che non si compie (o dalla quale l'agente desiste) e' un qualcosa che precede l'evento che non si verifica (o compie).
Ed ulteriore conferma puo' trarsi dall'articolo 49 c.p., comma 2 (che rappresenta, per cosi' dire, il lato speculare e contrario dell'articolo 56 c.p.) che esclude la punibilita' per "l'inidoneita' dell'azione" non degli atti esecutivi: il che significa che, per stabilire se ci si trova di fronte ad un tentativo punibile, a parte l'ipotesi del compimento degli atti esecutivi veri e propri (ipotesi considerata espressamente, come si e' detto, dall'articolo 56 c.p., comma 1 ultima parte), occorre aver riguardo piu' che all'idoneita' dei singoli atti, all'idoneita' dell'azione valutata nel suo complesso cosi' come appare cristallizzata in un determinato momento storico, tenuto conto di tutti gli elementi esterni ed interni, conosciuti e conoscibili. Solo se l'azione viene valutata unitariamente, puo' aversi un quadro d'insieme dei singoli atti che, se valutati singolarmente, possono anche sembrare in se' inidonei, ma che se inseriti in un piu' ampio contesto, appaiono per quelli che sono, ossia dei singoli anelli di una piu' complessa ed unica catena, l'uno funzionale all'altro per il compimento dell'azione finale destinata a sfociare nella consumazione del delitto programmato.
Si puo', quindi, concludere affermando che il legislatore del 1930, arretrando la soglia di punibilita' del tentativo, ha completamente ribaltato l'impostazione del codice Zanardelli in quanto ora sono punibili non solo gli atti di esecuzione veri e propri ma anche gli atti ad essi antecedenti che, per comodita' descrittiva, si possono continuare a chiamare ancora atti preparatori, a condizione pero' che posseggano quelle caratteristiche si cui si e' detto.
Si deve, pertanto, affermare il seguente principio di diritto: "ai fini del tentativo punibile, assumono rilevanza penale non solo gli atti esecutivi veri propri del delitto pianificato, ma anche quegli atti che, pur essendo classificabili come atti preparatori, tuttavia, per le circostanze concrete (di luogo - di tempo - di mezzi ecc.) fanno fondatamente ritenere che l'azione - considerata come l'insieme dei suddetti atti - abbia la rilevante probabilita' di conseguire l'obiettivo programmato e che l'agente si trovi ormai ad un punto di non ritorno dall'imminente progettato delitto e che il medesimo sara' commesso a meno che non risultino percepibili incognite che pongano in dubbio tale eventualita', dovendosi, a tal fine, escludere solo quegli eventi imprevedibili non dipendenti dalla volonta' del soggetto agente atteso che costui ha solo un modo per dimostrare di avere receduto dal proposito criminoso: ossia la desistenza volontaria (articolo 56 c.p., comma 3) o il recesso attivo (articolo 56 c.p., comma 4)".



TENTATA RAPINA: NECESSARIA LA DIMOSTRAZIONE DELLA DIREZIONE TELEOLOGICO DELLA VOLONTÀ DELL'AGENTE
Cassazione penale, sez. II, 4 marzo 2010, n. 18196
 
Quel che emerge è solo che nella strada ove i due indagati furono sorpresi esistevano in via totalmente astratta tre "obiettivi", ma non vi sono elementi di sorta per stabilire ove i due avessero intenzione di recarsi. L'ora in cui i due furono fermati, le 7,30 (ben prima che uno qualsiasi dei tre locali aprisse), aggiunge ulteriore indeterminatezza al quadro indiziario non potendo nessuno degli elementi raccolti considerarsi allo stato come diretto in modo non equivoco a commettere una rapina in un luogo che è rimasto non identificato, neppure in via ipotetica. La direzione teleologica della volontà dell'agente non risulta assolutamente ricostruibile alla luce degli elementi prima ricordati
gli elementi indicati nell'ordinanza non possono, nel loro complesso, costituire gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di tentata rapina perchè sussiste una totale indeterminatezza circa l'obiettivo della supposta rapina. Quel che emerge è solo che nella strada ove i due indagati furono sorpresi esistevano in via totalmente astratta tre "obiettivi", ma non vi sono elementi di sorta per stabilire ove i due avessero intenzione di recarsi. L'ora in cui i due furono fermati, le 7,30 (ben prima che uno qualsiasi dei tre locali aprisse), aggiunge ulteriore indeterminatezza al quadro indiziario non potendo nessuno degli elementi raccolti considerarsi allo stato come diretto in modo non equivoco a commettere una rapina in un luogo che è rimasto non identificato, neppure in via ipotetica. La direzione teleologica della volontà dell'agente non risulta assolutamente ricostruibile alla luce degli elementi prima ricordati (cfr. Cass. n. 7702/2007).

Sulla base dei motivi ora svolti, si chiede che l'Ill.mo Giudice adito, in riforma dell'impugnata sentenza, voglia:
(si segua la scansione e l'ordine dei motivi proposti per formulare le relative richieste, facendo bene attenzione a formulare la corretta richiesta sotto il profilo formale. Tra parentesi quadra i motivi a cui si riferisce la richiesta)
1) annullare il provvedimento oggetto di appello in quanto … [3]
2) assolvere l'imputato in quanto … [4, 5, 6]
3) dichiarare di non doversi procedere in quanto … [1, 2, 10 n. 3]
4) dichiarare la non punibilità dell'imputato in quanto … [9]
5) applicare la diversa pena della … [10 n. 1, 14]
6) contenere la pena irrogata nel limite di … [8, 11, 12]
7) concedere il beneficio della …. [13]
(luogo e data)
Avv. (firma)



PROCURA
Il sottoscritto TIZIO, nato a ___, il ___, residente in ___, Via ___, imputato nel procedimento penale n. ___/__ R.G. N.R., nomina quale proprio difensore in ordine allo stesso procedimento l'Avv. ___, del Foro di ___, con studio in ___, Via ___, conferendo allo stesso ogni più ampia procura e facoltà concessa dalla legge, ivi compresa quella di nominare sostituti processuali, proporre impugnazioni e rinunciare alle stesse. Dichiara inoltre di aver ricevute tutte le informazioni previste dagli artt. 7 e 13 del D.Lgv. 30 giugno 2003, n. 196 e presta il proprio consenso al trattamento dei dati personali per l'espletamento del mandato conferito.
(luogo e data)
TIZIO (firma)
La firma è autentica ed è stata apposta in mia presenza
Avv. (firma)
________________________________________________________

Da: raffiore 16/12/2010 12:54:38
Ragazzi di tutte le cose scritte cosa bisogna inviare per civile....grazie mille

Da: lollo16/12/2010 12:54:51
la conoscevo percè sono un avvocato che si occupa di società ho trovato la massima ed il commento da de jure lma a fattispecie è identica a quella posta dal parere. se volete vi imposto la difesa

Da: col16/12/2010 12:55:54
ale ha postato qualcosa di civile?

Da: lex16/12/2010 12:57:05
grazie lollo..

Da: francy67 16/12/2010 12:57:21
PAKOZZO PER PIACERE SE HAI PUBBLICATO LA SOLUZIONE DI CIVILE PUOI RIPUBBLICARLA PER PIACERE???? VI PREGO MI SERVE URGENTE QST SOLUZIONE

Da: Emanu 16/12/2010 12:57:30
ragazzi la traccia di penale per favore

Da: raffiore 16/12/2010 12:58:03
SI pakozzo puoi ripostarla

grazie

Da: GC.COM16/12/2010 12:58:16
RAGAZZI PER L'ATTO DI PENALE

SERVE PROCURA E SE QUALCUNO PUBBLICA LA PENA MINIMA PER DETENZIONE ABUSIVA DI ARMI DA FUOCO

Da: kikka8216/12/2010 12:58:40
ALEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE QUALE STAI FACENDO?

Da: pakozzo 16/12/2010 12:58:42
certo lollo!

Da: robs16/12/2010 12:59:08
fate attenzione!!!  nell'atto di oggi è il socio che viene escluso e nn dell'amministratore. questa sentenza nn va bene!

Da: Emanu 16/12/2010 12:59:18
si

Da: raffaella16/12/2010 13:00:00
mi postate la sentenza del tribumale di verona per civile

Da: SORELLA16/12/2010 13:00:05
mi scoppia la testa e nn ho capito cosa inviare....aiutooooooooooooooo

Da: cetty16/12/2010 13:00:31
ma gli art sn: 2287c.c (procedimento d esclusione);
art. 2286 esclusione;
2259 e 2275????????

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