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ESAME SCRITTO 2010
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Da: LUPO IN BOCCA16/12/2010 12:16:40
circa l'atto di penale e la mancanza di univocità degli atti (limitandosi ad essere meramente preparatori) io metterei in rilivo:
- la distanza rispetto alla banca;
- il fatto che le pistole non fossero pronte all'uso;
- la presenza di un solo  cappuccio ;
quindi non è evincibile il luogo futuro oggetto di rapina, l'inevitabilità della stessa (potevano ancora ravvedersi) e l'eventuale necessaria partecipazione di entrambi alla stessa.

Da: pasqualinok 16/12/2010 12:16:46
TRIBUNALE CIVILE DI ZETA
MEMORIA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA NEL
PROCEDIMENTO ANTE CAUSAM EX ART. 700 C.P.C.
R.G.___________
udienza del_________

Il Si.g Tizio, nella sua qualità di socio della società S.r.l Alfa, nato a_______, il__________, residente a________, Via__________, n.___, c.f.________ rappresentato e difeso giusta procura speciale in calce al presente atto dalll'Avv.to_________,del Foro di______,_ed elettivamente domiciliato presso il suo studio di__________, via__________, n______________il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni tutte relative al presente procedimento al numero di fax____________
- resistente -


contro
Società Alfa, in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, con sede legale in_________, via_____, n.___, rappresentata e difesa dall Avv.___- del Foro di Zeta
Presso il cui studio è eletttivamente domiciliata

Da: pakozzo 16/12/2010 12:17:13
ok ale! allora aiutiamoci!anche se a me interessa più il penale ma come gli altri giorni ho aiutato anche nelle altre, mi sembrava giusto!;-)

Da: aaaaa16/12/2010 12:17:17
ragazzi a che pagina trovo la traccia di civile???? aiuto....

Da: sasa16/12/2010 12:17:21
ciao, cortesemente puoi inviare l'estensione in diritto della tesi da te sostenuta. Grazie infinite

Da: francy67 16/12/2010 12:17:40
OK ALE ALLORA GRAZIE, NON SONO DEL CAMPO RIPETO MA CERCO ANCHE IO QUALCOSA MAGARI POSSO ESSERE UTILE

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Da: clara16/12/2010 12:18:33
ragazzi  ma per ilcivile qualcuno stà lavorando?

Da: enrico16/12/2010 12:18:42

- Messaggio eliminato -

Da: alby700 16/12/2010 12:19:39
secondo questa sentenza si può chiedere un 700 per l'esclusione di un socio
che ne dite?
Trib. Mantova, 10 marzo 2006
Ha natura anticipatoria la domanda cautelare volta a richiedere, ex artt. 700 c.p.c. e 23 D.Lgs. n. 5/2003, l'esclusione di un socio ai sensi dell'art. 2286 c.c..

Da: raf16/12/2010 12:21:20
atto di appello di penale qualcuno ha lo schema per favore??

Da: robb16/12/2010 12:21:27
DICONO CHE PER LA SENTENZA DI CIVILE C'è UNA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI VERONA

Da: dottor x16/12/2010 12:21:55
tribunale di verona dicono che c'è sentenza

Da: kammerl16/12/2010 12:21:56
L'atto va impostato così.
Comparsa di costituzione e risposta
etc.....
1. Si racconta il fatto;
2. si costituisce nel presente giudizio il sig..........contestando inf atto e diritto tutto quanto ex adverso esposto e dedotto e rilevando quanto segue
.3. INammissibilità della domanda di esclusione
Spiegare il perchè in base alla sentenza del Trib,. Biella
In sostanza il potere di escludere il socio non spetta agli organi sociali
Argomentare ex art. 2473 bis
4. Insussistenza dei presuposti ex art. 700 c.p.c.
- non c'è periculum perchè nessun danno deriva alla società dalla permanenza del socio che non svolge funzioni di amminstratore;
- non c'è fumus perchè la domanda è in ogni caso inammissibile;
- in ogni caso vi è difeto di interesse ad agire per le medesime ragioni che escludono il periculum
5. Inammissiblità della domanda di inibizione dell'accesso ai documento sociali
Non si può limitare il diritto del socio non amministratore di prendere visione dei documenti e dei libri della società e ciò anche al fine di esercitare il dovuto controllo sull'attività amminsitrativa della società
Sul punto vedi Rrib. Bologna 6 dicembre 2006
"Il socio non amministratore di società a responsabilità limitata al quale sia precluso dagli amministratori l'esercizio del diritto di controllo mediante l' accesso ai documenti relativi all'amministrazione può ottenere dal giudice provvedimento cautelare che autorizzi l' accesso diretto o tramite professionista di propria fiducia a tutti i libri sociali incluse le scritture contabili. Il diritto di controllo del socio non amministratore, equiparabile in base al disposto dell'art. 2476 c.c. a quello del socio di società di persone, soddisfa l'esigenza di acquisizione di informazioni utili in merito alle modalità di effettivo svolgimento della funzione gestoria da parte degli amministratori ed è funzionale altresì all'esperimento dell'azione sociale di responsabilità promuovibile in via surrogatoria da ciascun socio . Il tribunale che sia adito in via cautelare può integrare la misura cautelare originariamente disposta precisando le modalità di consultazione delle scritture contabili senza che possa opporsi da parte degli amministratori il diritto alla riservatezza dei dati commerciali della società."
6. Ulteriore Inammissibilità della domanda
- il 700 è inammissibile perchè diretto ad ottenere una pronuncia costituiva mentre la tutela d'urgenza presuppone la esistenza del diritto di cui si chiede la tutela
PQM
il sig. .....chiede che il Tribunale voglia
- in via preliminare, dichiarare inammissibli la domadna non sussistendo i presupposti del periculum e del fumus;
- nel merito respingeresi le domande;
- in ogni caso vittoria di spese ed onorari
data
Firma

Avrei qualche perplessità su eventuali domande ricovnenzionali sia perchè siamo ins ede di 700 sia perchè la liquidazione della quota presuppone l'instaurazione di un procedimetno ordinario

Da: sasa16/12/2010 12:21:59
ciao, cortesemente puoi inviare l'estensione in diritto della tesi da te sostenuta, ossia l' atto di civile è una comparsa di costituzione e risposta avverso procedimento cautelare ex art. 700
sent è quella del trib di biella del 2006
art. 2473 bis
il giudice non poteva essere adito
causa di esclusione DEVE ES CONTENUTA NELL ATTO COSTITUTIVO.  Grazie infinite Titta

Da: raf16/12/2010 12:22:13
Mi scrivete uno schema di appello della traccia di penale uscita, perfavore!!!

Da: tarantella16/12/2010 12:22:16
X CIVILE COSA NE PENSATE DI QUESTA
     TRIBUNALE DI VERCELLI
Ordinanza nella causa n. 1666/2005 R. G. A. C.
con OGGETTO: Ricorso ex art. 700 c.p.c. in relazione agli artt.  2473
bis e 2476 c.c.
                         PROCESSUALE CIVILE
                        IL GIUDICE DESIGNATO
dott. Nicola Graziano
Letti gli atti ed i documenti di causa;
a scioglimento della riserva formulata nel verbale di udienza del  13
settembre 2005, con contestuale concessione alle parti costituite  di
termini  fino  al 20   settembre  2005 per  l'eventuale   deposito di
memorie integrative ed illustrative, in particolare, delle  questioni
pregiudiziali  sollevate   dai  resistenti   nella  propria   memoria
costitutiva;
OSSERVA
(Torna su   ) FATTO
IN FATTO
Con ricorso depositato in Cancelleria l'8 agosto 2005 il Sig. R. O., nella qualità di socio della Società a responsabilità limitata "B., R. & PARTNERS S.r.l." con sede in Vercelli (VC) alla via P., lamentava che gli altri due soci Sig. B. F. e C. S., rispettivamente nella qualità, il primo, di Presidente del Consiglio di Amministrazione ed il secondo, quale Consigliere del Consiglio di Amministrazione della suindicata Società, avevano posto in essere una serie di atti di gestione tutti finalizzati e diretti alla produzione di un danno economico per la Società e, di conseguenza, alla sua (preordinata) messa in liquidazione.
Riteneva quindi di dover agire in giudizio per ottenere un provvedimento di urgenza il cui contenuto consistesse a) in relazione all'art. 2476, III comma, c.c., nell'immediata revoca del Presidente del Consiglio di Amministrazione e del Consigliere del Consiglio di Amministrazione della sopra detta società nonché b) nell'esclusione dei soci B. F. e C. S. ai sensi e per gli effetti dell'art. 2473 bis c.c., il tutto facendo ricorso anche all'art. 700 c.p.c.
In particolare il ricorrente sosteneva nel ricorso l'esistenza del danno grave ed irreparabile e del periculum in mora da porre a fondamento del succitato provvedimento cautelare ante causam, richiesto cioè prima della proposizione del giudizio di merito avente ad oggetto l'azione sociale di responsabilità.
A seguito della notifica del suddetto ricorso e pedissequo decreto di fissazione dell'udienza di cui all'art. 23 del D.Lgs. 17.1.2003 n. 5, i soci B. F. e C. S. depositavano in Cancelleria una memoria costitutiva a mezzo della quale chiedevano il rigetto del ricorso, comunque sollevando in via pregiudiziale varie questioni circa l'inammissibilità del ricorso proposto nei loro confronti.
In particolare sostenevano l'inammissibilità del ricorso per non essere il provvedimento di esclusione di essi soci previsto dallo Statuto della Società a responsabilità limitata "B., R. & PARTNERS S.r.l." così come richiesto dall'art. 2473 bis c.c. ovvero perché controparte non aveva indicato il petitum e la causa pretendi della causa di merito che intendeva proporre ovvero perché l'istanza non poteva essere proposta prima dell'introduzione della causa di merito ovvero perché l'istanza poteva essere proposta solo con un'azione di responsabilità sociale ex art. 2476 c.c. ovvero, infine, perché mancava il requisito della residualità previsto dall'art. 700 c.p.c.
All'udienza del 13 settembre 2005 il Giudice, dopo aver sentito le parti ed a seguito di ampia discussione si riservava la decisione sul ricorso proposto, assegnando contestualmente termine fino al 16 settembre 2005 alla parte ricorrente e fino al 20 settembre 2005 alle parti resistenti per l'eventuale deposito di memorie integrative ed illustrative, in particolare delle questioni pregiudiziali sollevate, come sopra descritto, dai resistenti nella propria memoria costitutiva.
(Torna su   ) DIRITTO
IN DIRITTO
E' evidentemente pregiudiziale l'esame dell'ammissibilità del presente ricorso.
Ritiene questo giudicante che la successione logico giuridica delle varie questioni pregiudiziali sollevate dai resistenti porta ad affrontare, per prima, tra le questioni indicate, la seguente: se sia ammissibile l'istanza di revoca cautelare degli amministratori di una società a responsabilità limitata, di cui all'art. 2476, III comma, cc proposta ante causam, cioè prima dell'instaurazione del giudizio di merito diretto a far accertare la responsabilità degli amministratori della società al fine di ottenere il risarcimento dei danni da essi prodotti, previa individuazione di un loro comportamento posto in essere in violazione dei doveri previsti dalla legge e dallo statuto e più in generale in violazione del loro dovere di elevata diligenza di cui all'art. 1176, comma II, c.c. (tale qualificato comportamento è, infatti, da pretendere da un amministratore che deve comportarsi da accorto gestore di un patrimonio altrui qual è quello appartenente alla società amministrata; sul punto della diligenza richiesta per l'attività di amministrazione di una società a responsabilità limitata si vede Tribunale di Santa Maria, ordinanza del 15 novembre 2004 in www.santamariagiustizia.it).
La risposta negativa al quesito sopra sintetizzato evidentemente assorbe tutte le altre questioni pregiudiziali sollevate, lasciando solo aperta la problematica in ordine all'eventuale accoglimento del presente ricorso proposto ricorrendo ai dettami di cui all'art. 700 c.p.c.
Comunque, al fine di dare una risposta agli interrogativi sopra posti vanno prese le mosse dall'art. 2476, III comma, c.c il quale così recita "L'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa da ciascun socio, il quale può altresì chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che si adottato provvedimento cautelare di revoca degli amministratori medesimi. ...Omissis..."
Orbene moto dibattuta, sia in dottrina che in giurisprudenza, è la configurazione del provvedimento di revoca degli amministratori di una s.r.l. come provvedimento necessariamente incidentale, cioè che può essere richiesto solo esperita l'azione di merito di responsabilità di cui al sopra citato III comma dell'art. 2476 c.c.
La tesi che ammette che il provvedimento di revoca cautelare di un amministratore di una s.r.l. sia ammissibile anche ante causam è sostenuta in vari provvedimenti giurisprudenziali (si vedano Tribunale di Roma, ordinanza del 31 marzo 2004, Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ordinanza del 30 aprile 2004, Tribunale di Roma, ordinanza 11 giugno 2004, Tribunale di Roma, ordinanza del 5 agosto 2004, Tribunale di Catania, ordinanza del 14 ottobre 2004 tutte riportate in massima in www.judicium.it nonché più di recente Tribunale di Marsala, ordinanza del 15 marzo 2005 per esteso in www.altalex.com) il cui contenuto può essere di seguito così sintetizzato.
In primo luogo il dato letterale. I sostenitori della tesi dell'ammissibilità di una istanza di revoca degli amministratori ante causam sostengono, infatti, che dal complesso della normativa ed in particolare dall'art. 2476, III comma, c.c. non si rinvengono concludenti ed in equivoci dati letterali che consentono di ritenere derogata la regola generale relativa all'esperibilità della tutela cautelare ante causam. L'inciso "altresì" contenuto nel III comma dell'articolo citato è definito dato letterale "decisamente debole", laddove si osserva che quando il legislatore ha inteso prevedere la regola della necessaria esperibilità dell'azione cautelare nel corso dell'azione di merito lo ha fatto in modo espresso senza dare adito a dubbi interpretativi (per tutte il riferimento è all'art. 2378, III comma, c.c.).
In secondo luogo il dato sistematico. Si afferma che l'ammissibilità del provvedimento cautelare ante causam va considerato principio generale dell'ordinamento processuale in quanto finalizzato alla più ampia tutela delle situazioni soggettive (così le disposizioni sul procedimento cautelare uniforme ed in particolare l'art. 669 ter c.p.c. non derogato dall'art. 23 del D.Lgs. 5/03 che al comma VII ritiene applicabili, in quanto compatibili le disposizioni della Sezione I del capo III del Titolo I del Libro IV del codice di procedura civile e quindi anche l'art. 669 quaterdecies c.p.c.).
Sostengono la tesi dell'inammissibilità ante causam dell'istanza cautelare diretta ad ottenere la revoca degli amministratori ex art. 2476, III comma, c.c., oltre che la dottrina nettamente prevalente, anche due (a quanto risulta dallo scrivente giudicante anche uniche) pronunce giurisprudenziali e precisamente: il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ordinanza del 20 luglio 2004 (citata ed annotata per la sua notevole rilevanza in numerose riviste giuridiche e rinvenibile nella sua versione integrale in www.santamariagiustizia.it ovvero in www.judicium.it) ed il Tribunale di Parma, decreto del 25 ottobre 2004 (in Le Società, n. 6/2005, pagg.758 e ss).
In particolare nell'ordinanza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (che assume i contorni di una vera e propria lectio magistralis sul punto) si rinvengono con chiarezza le argomentazioni poste alla base della suesposta tesi che nega l'ammissibilità dell'istanza di revoca cautelare degli amministratori di una s.r.l. proposta prima dell'introduzione della causa di cognizione per l'accertamento della responsabilità degli stessi e la condanna al loro risarcimento danni.
In primo luogo il dato letterale. L'avverbio "altresì" contenuto nel novellato art. 2476, III comma, c.c. va letto in uno con alcuni passi della relazione al D.Lgs. n. 6/2003 per cui lo stesso "aggancia, quindi, sotto il profilo temporale la revoca giudiziale all'azione di responsabilità nel senso che la prima non può mai precedere l'esercizio della seconda".
In secondo luogo il dato sistematico. Non viene individuata nell'esclusione della possibilità della revoca cautelare ante causam una limitazione irragionevole del diritto di difesa, essendo sempre possibile proporre istanza di revoca cautelare immediatamente dopo la notifica dell'atto di citazione, potendosi attivare, ricorrendone i presupposti, anche il disposto dell'art. 24, comma IV, del D.Lgs. 5/2003 che porta ad una decisione di merito in tempi molto brevi.
In terzo luogo il dato normativo. L'art. 2476, comma III, c.c. è speciale rispetto alle norme contenute negli artt. 23 e 24 del D.Lgs. 5/2003 le quali, a loro volta, sono speciali rispetto agli artt. 669 bis e ss. c.p.c. In tal caso da tale ricostruzione normativa si ricava un meccanismo di applicazioni di norme per incompatibilità il che, stante il chiaro dettato dell'art. 2476, III comma, c.c., impedisce l'operatività della regola della generale ammissibilità del provvedimento cautelare ante causam.
In quarto luogo, infine, è rilevante ai fini del diniego di ammissibilità di una revoca cautelare ante causam la considerazione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere sulla natura giuridica della revoca stessa di cui all'art. 2476, comma III, c.c.
Sostiene il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che il provvedimento cautelare di revoca, solo incidentale, è strumentale all'azione di responsabilità degli amministratori ed ha carattere conservativo e non anticipatorio della sentenza di accertamento della responsabilità e della conseguente condanna al risarcimento dei danni prodotti dagli amministratori. Da queste considerazioni si ricava che il fumus boni iuris consiste nell'effettiva esistenza di un danno ed il periculum in mora nel possibile aggravamento del già verificatosi pregiudizio al patrimonio sociale che potrebbe conseguire da ulteriori (se non impediti con la revoca cautelare) comportamenti antigiuridici degli amministratori.
Ne consegue che la richiesta di revoca cautelare non può che essere calata all'interno di un giudizio di accertamento della responsabilità dal quale già emerge il presupposto per ottenere la misura cautelare di carattere conservativo che consiste nell'esistenza di gravi irregolarità nella gestione della società.
Delineate così le posizioni in conflitto interpretativo, ritiene questo giudice di dover aderire alla tesi che nega l'ammissibilità dell'istanza di revoca cautelare degli amministratori di una s.r.l. proposta prima dell'introduzione della causa di cognizione per l'accertamento della responsabilità degli stessi e la condanna al loro risarcimento danni e per l'effetto dichiarare, sotto questo profilo, inammissibile il ricorso proposto dal socio R. O..
Sicuramente condivisibili sono le argomentazioni, così come sopra sintetizzate, che la tesi della inammissibilità dell'istanza di revoca cautelare ante causam sostiene, alle quali vanno aggiunte le seguenti considerazioni.
Sotto il profilo del dato letterale è chiaro e palese il significato delle parole usate nell'art. 2476, III comma, c.c. così come esse sono tra loro connesse ed interpretabili alla luce dell'intenzione del legislatore.
Ed infatti l'avverbio "altresì" deve essere inteso nel suo significato letterale come sinonimo di "parimenti" che significa "insieme" ovvero "di pari passo" (cfr. G. DEVOTO - G.C. OLI in Vocabolario Illustrato della Lingua Italiana, Ed. Selezione dal Reader's Digest, Vol. I pag. 95 e Vol. II pag. 405).
A ciò va aggiunta la considerazione della intenzione del legislatore delegato di prevedere una riforma in ordine alla legittimazione attiva del singolo socio all'azione di responsabilità che tenesse conto anche delle disposizioni di carattere generale contenute nell'art. 23 e 24 del D.Lgs. 5/2003 e che con esse fosse coordinata. Proprio in questa prospettiva il carattere strumentale e conservativo dell'istanza cautelare proposta, tra l'altro, sul presupposto della grave irregolarità della gestione della società, meglio si concilia con il dettame contenuto nel sopra citato art. 24 piuttosto che in quello di cui all'art. 23. La "linea rossa" che unisce ed avvince le norme sopra citate si rinviene nel tentativo di velocizzare il processo societario avente ad oggetto un'azione sociale per accertare la responsabilità degli amministratori di una s.r.l. e di costringere le parti (ed anche il giudice col decreto di fissazione dell'udienza) ad immediatamente prendere posizione sulla controversia, a scoprire cioè le carte della schermaglia processuale e sembra davvero non conciliabile, da una parte, ammettere l'istanza cautelare di revoca degli amministratori anteriormente alla causa, e, dall'altra, porre a fondamento dell'accoglimento della stessa le gravi irregolarità nella gestione della società che costituiscono la condizione per l'accoglimento dell'azione di merito e, volendo spingersi agli estremi col ragionamento, anche per la definizione della controversia a seguito del giudizio abbreviato di cui all'art. 24, comma IV, del D.Lgs. citato.
Quest'ultima considerazione consente di riflettere anche sul dato sistematico, potendosi aggiungere che se si ritenesse ammissibile il provvedimento cautelare di revoca anteriore alla causa di merito, il giudice accertati i presupposti dell'azione cautelare dovrebbe comunque fissare un termine perentorio per l'inizio del giudizio di merito di cui all'art. 669 octies non potendosi ritenete applicabile, nell'ipotesi di emanazione di tale provvedimento cautelare di carattere conservativo, il primo comma dell'art. 23 del D.Lgs. 5/2003. Il che contrasterebbe con l'istanza deflattiva dei giudizi che sta alla base della riforma del processo societario e che ha ispirato anche le recenti modifiche al codice di procedura civile previste dalla Legge 14 maggio 2005 n. 80.
Ma vi è di più.
A voler ragionare diversamente sulla natura strumentale e conservativa dell'istanza di revoca rispetto all'azione sociale di responsabilità degli amministratori, da qui la considerazione della sua natura "cautelare", si potrebbe ritenere che una volta ottenuto il provvedimento di revoca e non instaurato il giudizio di merito in base al disposto dell'art. 23, comma I, del D.Lgs. 5/03 la revoca finirebbe per essere fine a se stessa il che non è pensabile alla luce di quanto previsto dall'art. 2476, III comma, c.c. laddove si fa cenno solo ed esclusivamente ad un'azione di responsabilità volta al risarcimento dei danni subiti dalla società e non ad un'azione diretta alla revoca degli amministratori infedeli.
Ritenuta l'inammissibilità di un'istanza di revoca cautelare degli amministratori resistenti proposta ante causam, resta da chiedersi se vi sia spazio per la tutela cautelare atipica di cui all'art. 700 c.p.c richiesta dal ricorrente.
Sul punto la parte ricorrente ha prodotto in massima un ordinanza del Tribunale di Napoli del 22 marzo 2005 la quale così recita "l'istanza cautelare di revoca degli amministratori, esperibile dal socio di una s.r.l. in base all'art. 2476 comma III c.c., può essere proposta "ante causam", in via d'urgenza, ai sensi dell'art. 700 c.p.c.".
Dalla massima sembrerebbe ricavarsi che il Tribunale di Napoli riconosca come unica possibilità per una tutela cautelare ante causam contro gli amministratori infedeli il ricorso alla tutela cautelare atipica di cui all'art. 700 c.p.c., sottintendendo, probabilmente, l'inammissibilità della stessa in base al III comma dell'art. 2476 c.c. ma, a giudizio dello scrivente, anche sotto questo punto di vista, il ricorso va dichiarato inammissibile.
L'art. 700 c.p.c. si ispira al criterio della residualità per cui a voler ammettere tale azione significherebbe andare alla ricerca di presupposti quanto meno diversi rispetto a quelli posti a fondamento dell'azione cautelare tipica, così finendosi, non correttamente, per ritenere l'azione di cui all'art. 700 c.p.c integrativa rispetto alla cautela tipica. Il che non è possibile.
Del resto il ricorso cautelare ex art. 700 c.p.c è caratterizzato dalla necessità di indicare approfonditamente il fumus boni iuris ed il periculum in mora e dalla indicazione chiara e precisa dell'azione di merito che si intende proporre che, con riferimento a quanto contenuto nell'art. 2476, III comma, c.c. non può essere quella diretta alla revoca degli amministratori.
Inoltre, alla luce dell'art. 2476, III comma, c.c. quanto al presupposto del fumus boni iuris non sembra potersi prospettare per la revoca cautelare altra azione basato sull'esistenza di un danno solo potenziale e non attuale così come, quanto al periculum in mora, la richiesta dell'integrazione del presupposto dell'esistenza di gravi irregolarità nella gestione della società che producono danni dei quali il socio chiede il risarcimento da porre a fondamento dell'istanza cautelare di revoca è idonea a ricomprendere l'intera area di tutela a disposizione del socio.
Né può obiettarsi che tale interpretazione porta a dover ammettere l'esistenza di un vuoto di tutela delle situazioni giuridiche soggettive di cui il socio può farsi portatore, anche come legittimato straordinario ovvero come sostituto processuale della società, il che esporrebbe il ragionamento ed ancor prima il sistema normativo ad una eccezione di illegittimità costituzionale dello stesso in relazione agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione.
Costituisce ius receptum il principio in base al quale il legislatore ordinario può discrezionalmente articolare e modulare le misure cautelari in funzione della più ampia, effettiva e tempestiva tutela delle posizioni giuridiche soggettive, esigenza questa che, così come sopra interpretato il quadro normativo derivante dal combinato disposto degli artt. 2476, III comma, c.p.c., 23 e 24 del D.Lgs. 5/2003 e 669 bis e seguenti, si può dire pienamente soddisfatta.
Lo stesso ragionamento fonda anche l'inammissibilità dell'azione ex art. 700 c.p.c. proposta in relazione all'art. 2473 bis c.c. e diretta alla esclusione dei soci B. F. e C. S..
Ne deriva che, alla luce di tutte le considerazioni suesposte risulta, inoltre, essere assorbita ogni altra questione pregiudiziale ed il ricorso proposto da R. O. , nella qualità di socio della Società a responsabilità limitata "B., R. & PARTNERS S.r.l." con sede in Vercelli (VC) alla via P., diretto ad ottenere ante causam la revoca dei soci B. F. e C. S. dalla carica rispettivamente di Presidente del Consiglio di Amministrazione e del Consigliere del Consiglio di Amministrazione della sopra detta società nonché diretto ad ottenere un provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c. il cui contenuto consistesse a) in relazione all'art. 2476 c.c, nell'immediata revoca del Presidente del Consiglio di Amministrazione e del Consigliere del Consiglio di Amministrazione della sopra detta società nonché b) nell'esclusione dei soci B. F. e C. S. ai sensi e per gli effetti dell'art. 2473 bis c.c., va dichiarato inammissibile.
La novità delle questioni trattate fonda la decisione di compensare integralmente le spese del presente procedimento.
Si comunichi a cura della Cancelleria.
Vercelli, lì 28 settembre 2005.
Il Giudice Designato
dott. Nicola Graziano

Da: pasqualinok 16/12/2010 12:22:48
7702

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente -
Dott. BRICCHETTI Renato - Consigliere -
Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
difensore di:
A.M., nato a (OMISSIS);
A.A., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza pronunciata in data 26 maggio 2004 dalla Corte di
Appello di FIRENZE;
udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Renato
BRICCHETTI;
sentite le conclusioni del pubblico ministero, in persona del S.
Procuratore Generale Dott. BAGLIONE Tindari, che ha chiesto
dichiararsi l'inammissibilità dei ricorsi.

(Torna su ) FATTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di FIRENZE confermava la condanna di A.M. e A.A. per concorso nel delitto tentato di furto aggravato (circostanze aggravanti ritenute equivalenti alla circostanza attenuante dell'avvenuto risarcimento dei danni), commesso in agro di (OMISSIS) il 7 agosto 1999.
Quel giorno, intorno alle ore 12.15, gli imputati avevano scardinato, avvalendosi di un grosso palo di legno, la grata in ferro di una finestra ubicata al piano terreno dell'abitazione di D.T. G..
Il padrone di casa, che si trovava nella camera da letto situata al primo piano, allertato dai rumori, si era affacciato alla finestra ed aveva sparato tre colpi di pistola in aria, così inducendo gli imputati a darsi alla fuga.
Gli A. si erano difesi affermando che avevano divelto l'inferriata al fine di entrare "per curiosità" nel casolare che credevano disabitato.
La Corte aveva, tuttavia, ritenuto inverosimile l'assunto, osservando che la casa, per le sue caratteristiche e condizioni, non poteva essere scambiata per un casolare abbandonato e che il tentativo di furto era fallito soltanto perchè il D.T. era in casa ed aveva reagito facendo uso di una pistola.
I giudici di appello confermavano la sentenza di primo grado anche nella parte relativa al diniego delle invocate circostanze attenuanti generiche, reputando ostativi al riconoscimento i precedenti penali, per furti e ricettazione, degli imputati.
La Corte condivideva, inoltre, il giudizio di equivalenza tra le circostanze aggravanti contestate (art. 625 c.p., nn. 1 e 7) e la circostanza attenuante del risarcimento del danno (art. 62 c.p., n. 6), osservando che in tal modo la pena irrogata doveva ritenersi proporzionata alle modalità del fatto ed alla personalità delinquenziale degli imputati.
2. Avverso l'anzidetta decisione hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati per mezzo del comune difensore.
2.1. Con il primo motivo di ricorso A.M. chiede che sia dichiarata la nullità del decreto di citazione a giudizio in appello e di ogni atto consequenziale, compresa la sentenza di secondo grado, deducendo l'omessa citazione per non essere il decreto stato notificato nel domicilio dichiarato (nessun tentativo sarebbe stato in proposito effettuato), ma a mani del suo difensore.
2.2. Con il secondo motivo gli imputati lamentano, con riguardo all'affermazione di responsabilità, la mancanza di motivazione e la manifesta contraddittorietà della sentenza impugnata.
Gli atti compiuti non sarebbero stati idonei "a ... produrre l'evento", nè univocamente espressivi dell'intenzione di commettere un furto.
In proposito la Corte non aveva considerato che si erano recati in luogo senza portare con loro arnesi atti allo scasso ed avrebbe "screditato" la spiegazione da loro offerta soltanto perchè avevano precedenti per furti.
2.3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la mancanza di motivazione e la manifesta contraddittorietà della sentenza impugnata sia in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, sia con riguardo al sopra citato giudizio di equivalenza, sia, infine, con riferimento alle pene irrogate (mesi sei di reclusione ed Euro 120,00 di multa).
(Torna su ) DIRITTO
MOTIVI DELLA DECISIONE
3. I ricorsi vanno rigettati.
3.1. Il primo motivo del ricorso è infondato.
Sostiene il ricorrente che "nessun tentativo" di notificargli nel domicilio dichiarato il decreto di citazione a giudizio sarebbe stato effettuato.
Dagli atti risulta, per contro, che è stata attestata, dall'agente addetto alle notificazioni, l'irreperibilità dell'imputato presso il domicilio dichiarato e che, per questa ragione, si è proceduto alla consegna dell'atto al suo difensore di fiducia.
Vi è da aggiungere, poi, che all'udienza dibattimentale il difensore ha prodotto documentazione proveniente dall'imputato intesa a certificare che quel giorno aveva fissato una visita medica.
Può così ragionevolmente affermarsi che l'imputato, a conoscenza dell'avvenuta citazione per il giudizio d'appello, ha inteso manifestare la volontà di recarsi ad una visita medica, ma la Corte ha correttamente escluso trattarsi che ci si trovasse al cospetto di legittimo impedimento a comparire (affermazione, quest'ultima, non contestata dall'imputato).
3.2. Il secondo motivo del ricorso è destituito di fondamento.
Benchè all'inidoneità degli atti sia fatto, in ricorso, soltanto un generico riferimento (e tanto, quindi, basterebbe per considerare inammissibile questo profilo della doglianza), non può seriamente negarsi l'attitudine offensiva dei medesimi nei confronti del bene giuridico tutelato.
Non può, in altre parole, dubitarsi che divellere dal muro la grata di protezione di una finestra al fine di introdursi nell'abitazione costituisca - per usare le parole della Relazione al codice penale - un atto di per sè "capace di produrre l'evento" del delitto di furto in abitazione.
Detto questo, va osservato che il problema sollevato dai ricorrenti sembra piuttosto coinvolgere l'univocità degli atti compiuti.
Per la sussistenza del tentativo, gli atti, oltre che idonei, devono, invero, essere oggettivamente diretti in modo non equivoco a commettere un determinato delitto.
L'univocità si pone, dunque, come requisito di natura sostanziale, che consente di selezionare, tra gli atti "idonei", quelli effettivamente punibili ex art. 56 c.p..
La giurisprudenza di questa Corte afferma in proposito che il requisito dell'univocità degli atti "va accertato sulla base delle caratteristiche oggettive della condotta criminosa" (Cass. 1^ 7 dicembre 1978 Ruocco, RV 141139), nel senso che gli atti posti in essere devono in sè stessi possedere, riguardati nel contesto in cui sono inseriti, l'attitudine a denotare il proposito criminoso perseguito, anche qualora sia stata conseguita aliunde la prova del fine verso cui tende l'agente (Cass. 1^ 28 settembre 1987, Di Matteo).
Occorre, in altre parole, ricostruire, sulla base delle prove disponibili, la direzione teleologica della volontà dell'agente quale emerge dalle modalità di estrinsecazione concreta della sua azione, allo scopo di accertare quale sia stato il risultato da lui avuto di mira, sì da pervenire con il massimo grado di precisione possibile all'individuazione dello specifico bene giuridico aggredito e concretamente posto in pericolo (Cass. 1^ 10 luglio 1992, Lamari).
Ora, muovendo dal concetto di univocità su esposto, ne deriva - in riferimento alla fattispecie concreta - che l'atto di introdursi in un'abitazione altrui, dopo avere divelto la grata di protezione di una finestra del piano terra, può ritenersi univocamente diretto a commettere un furto all'interno dell'abitazione medesima.
Gli atti, considerati in sè medesimi, per il contesto nel quale si inseriscono, nonchè per la loro natura ed essenza sono - secondo le norme di esperienza e l'id quod plerumque accidit - giunti ad un livello di sviluppo tale da evidenziare il fine cui erano diretti, anche perchè non risultavano sussistere motivi diversi che potessero aver animato siffatta condotta, nè gli imputati avevano prospettato plausibili giustificazioni del loro operato tenuto conto inoltre del fatto che - come la Corte di merito ha osservato - non si trattava di un casolare abbandonato, ma di una casa abitata, apparsa (forse) momentaneamente disabitata agli imputati.
3.3. Il terzo motivo del ricorso è manifestamente infondato.
I ricorrenti pretendono, invero, che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito ha esercitato il potere discrezionale a lui concesso dall'ordinamento ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
L'esercizio di detto potere deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine all'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.
La concessione di dette circostanze presuppone, inoltre, l'esistenza di elementi suscettibili di positivo apprezzamento.
Nella specie, tuttavia, la Corte ha spiegato di non ritenere i ricorrenti meritevoli delle invocate attenuanti per la loro negativa personalità, desunta essenzialmente dalla circostanza che avessero già riportato condanne per furti e ricettazione.
Si tratta di una considerazione ampiamente giustificativa del diniego, che le censure del ricorrente non valgono a scalfire.
In altre parole, del tutto legittimamente la Corte di appello ha ritenuto ostativi al riconoscimento delle attenuanti generiche i numerosi e gravi precedenti penali degli imputati, trattandosi di parametro considerato dall'art. 133 c.p., applicabile anche ai fini dell'art. 62 bis c.p..
Quanto alle statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, esse sono censurabili in cassazione soltanto nell'ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, essendo sufficiente a giustificare la soluzione della equivalenza aver ritenuto, come nel caso in esame, detta soluzione la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (cfr. ex plurimis Cass. 1^, 13 aprile 2001, Pelini, RV 219263).
In relazione, infine, alla lamentata eccessività della pena, va detto che la conclusione di immeritevolezza di un più mite trattamento sanzionatorio, cui il giudice di merito è pervenuto con adeguata e non illogica motivazione, non è sindacabile in sede di legittimità allorchè il ricorrente si limiti a sollecitare genericamente il riesame sul punto della sentenza impugnata.
4. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento in solido delle spese processuali.
(Torna su ) P.Q.M.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2007.
Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2007

Da: pakozzo 16/12/2010 12:23:08
per penale

7702

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente -
Dott. BRICCHETTI Renato - Consigliere -
Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
difensore di:
A.M., nato a (OMISSIS);
A.A., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza pronunciata in data 26 maggio 2004 dalla Corte di
Appello di FIRENZE;
udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Renato
BRICCHETTI;
sentite le conclusioni del pubblico ministero, in persona del S.
Procuratore Generale Dott. BAGLIONE Tindari, che ha chiesto
dichiararsi l'inammissibilità dei ricorsi.

(Torna su ) FATTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di FIRENZE confermava la condanna di A.M. e A.A. per concorso nel delitto tentato di furto aggravato (circostanze aggravanti ritenute equivalenti alla circostanza attenuante dell'avvenuto risarcimento dei danni), commesso in agro di (OMISSIS) il 7 agosto 1999.
Quel giorno, intorno alle ore 12.15, gli imputati avevano scardinato, avvalendosi di un grosso palo di legno, la grata in ferro di una finestra ubicata al piano terreno dell'abitazione di D.T. G..
Il padrone di casa, che si trovava nella camera da letto situata al primo piano, allertato dai rumori, si era affacciato alla finestra ed aveva sparato tre colpi di pistola in aria, così inducendo gli imputati a darsi alla fuga.
Gli A. si erano difesi affermando che avevano divelto l'inferriata al fine di entrare "per curiosità" nel casolare che credevano disabitato.
La Corte aveva, tuttavia, ritenuto inverosimile l'assunto, osservando che la casa, per le sue caratteristiche e condizioni, non poteva essere scambiata per un casolare abbandonato e che il tentativo di furto era fallito soltanto perchè il D.T. era in casa ed aveva reagito facendo uso di una pistola.
I giudici di appello confermavano la sentenza di primo grado anche nella parte relativa al diniego delle invocate circostanze attenuanti generiche, reputando ostativi al riconoscimento i precedenti penali, per furti e ricettazione, degli imputati.
La Corte condivideva, inoltre, il giudizio di equivalenza tra le circostanze aggravanti contestate (art. 625 c.p., nn. 1 e 7) e la circostanza attenuante del risarcimento del danno (art. 62 c.p., n. 6), osservando che in tal modo la pena irrogata doveva ritenersi proporzionata alle modalità del fatto ed alla personalità delinquenziale degli imputati.
2. Avverso l'anzidetta decisione hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati per mezzo del comune difensore.
2.1. Con il primo motivo di ricorso A.M. chiede che sia dichiarata la nullità del decreto di citazione a giudizio in appello e di ogni atto consequenziale, compresa la sentenza di secondo grado, deducendo l'omessa citazione per non essere il decreto stato notificato nel domicilio dichiarato (nessun tentativo sarebbe stato in proposito effettuato), ma a mani del suo difensore.
2.2. Con il secondo motivo gli imputati lamentano, con riguardo all'affermazione di responsabilità, la mancanza di motivazione e la manifesta contraddittorietà della sentenza impugnata.
Gli atti compiuti non sarebbero stati idonei "a ... produrre l'evento", nè univocamente espressivi dell'intenzione di commettere un furto.
In proposito la Corte non aveva considerato che si erano recati in luogo senza portare con loro arnesi atti allo scasso ed avrebbe "screditato" la spiegazione da loro offerta soltanto perchè avevano precedenti per furti.
2.3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la mancanza di motivazione e la manifesta contraddittorietà della sentenza impugnata sia in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, sia con riguardo al sopra citato giudizio di equivalenza, sia, infine, con riferimento alle pene irrogate (mesi sei di reclusione ed Euro 120,00 di multa).
(Torna su ) DIRITTO
MOTIVI DELLA DECISIONE
3. I ricorsi vanno rigettati.
3.1. Il primo motivo del ricorso è infondato.
Sostiene il ricorrente che "nessun tentativo" di notificargli nel domicilio dichiarato il decreto di citazione a giudizio sarebbe stato effettuato.
Dagli atti risulta, per contro, che è stata attestata, dall'agente addetto alle notificazioni, l'irreperibilità dell'imputato presso il domicilio dichiarato e che, per questa ragione, si è proceduto alla consegna dell'atto al suo difensore di fiducia.
Vi è da aggiungere, poi, che all'udienza dibattimentale il difensore ha prodotto documentazione proveniente dall'imputato intesa a certificare che quel giorno aveva fissato una visita medica.
Può così ragionevolmente affermarsi che l'imputato, a conoscenza dell'avvenuta citazione per il giudizio d'appello, ha inteso manifestare la volontà di recarsi ad una visita medica, ma la Corte ha correttamente escluso trattarsi che ci si trovasse al cospetto di legittimo impedimento a comparire (affermazione, quest'ultima, non contestata dall'imputato).
3.2. Il secondo motivo del ricorso è destituito di fondamento.
Benchè all'inidoneità degli atti sia fatto, in ricorso, soltanto un generico riferimento (e tanto, quindi, basterebbe per considerare inammissibile questo profilo della doglianza), non può seriamente negarsi l'attitudine offensiva dei medesimi nei confronti del bene giuridico tutelato.
Non può, in altre parole, dubitarsi che divellere dal muro la grata di protezione di una finestra al fine di introdursi nell'abitazione costituisca - per usare le parole della Relazione al codice penale - un atto di per sè "capace di produrre l'evento" del delitto di furto in abitazione.
Detto questo, va osservato che il problema sollevato dai ricorrenti sembra piuttosto coinvolgere l'univocità degli atti compiuti.
Per la sussistenza del tentativo, gli atti, oltre che idonei, devono, invero, essere oggettivamente diretti in modo non equivoco a commettere un determinato delitto.
L'univocità si pone, dunque, come requisito di natura sostanziale, che consente di selezionare, tra gli atti "idonei", quelli effettivamente punibili ex art. 56 c.p..
La giurisprudenza di questa Corte afferma in proposito che il requisito dell'univocità degli atti "va accertato sulla base delle caratteristiche oggettive della condotta criminosa" (Cass. 1^ 7 dicembre 1978 Ruocco, RV 141139), nel senso che gli atti posti in essere devono in sè stessi possedere, riguardati nel contesto in cui sono inseriti, l'attitudine a denotare il proposito criminoso perseguito, anche qualora sia stata conseguita aliunde la prova del fine verso cui tende l'agente (Cass. 1^ 28 settembre 1987, Di Matteo).
Occorre, in altre parole, ricostruire, sulla base delle prove disponibili, la direzione teleologica della volontà dell'agente quale emerge dalle modalità di estrinsecazione concreta della sua azione, allo scopo di accertare quale sia stato il risultato da lui avuto di mira, sì da pervenire con il massimo grado di precisione possibile all'individuazione dello specifico bene giuridico aggredito e concretamente posto in pericolo (Cass. 1^ 10 luglio 1992, Lamari).
Ora, muovendo dal concetto di univocità su esposto, ne deriva - in riferimento alla fattispecie concreta - che l'atto di introdursi in un'abitazione altrui, dopo avere divelto la grata di protezione di una finestra del piano terra, può ritenersi univocamente diretto a commettere un furto all'interno dell'abitazione medesima.
Gli atti, considerati in sè medesimi, per il contesto nel quale si inseriscono, nonchè per la loro natura ed essenza sono - secondo le norme di esperienza e l'id quod plerumque accidit - giunti ad un livello di sviluppo tale da evidenziare il fine cui erano diretti, anche perchè non risultavano sussistere motivi diversi che potessero aver animato siffatta condotta, nè gli imputati avevano prospettato plausibili giustificazioni del loro operato tenuto conto inoltre del fatto che - come la Corte di merito ha osservato - non si trattava di un casolare abbandonato, ma di una casa abitata, apparsa (forse) momentaneamente disabitata agli imputati.
3.3. Il terzo motivo del ricorso è manifestamente infondato.
I ricorrenti pretendono, invero, che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito ha esercitato il potere discrezionale a lui concesso dall'ordinamento ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
L'esercizio di detto potere deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine all'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.
La concessione di dette circostanze presuppone, inoltre, l'esistenza di elementi suscettibili di positivo apprezzamento.
Nella specie, tuttavia, la Corte ha spiegato di non ritenere i ricorrenti meritevoli delle invocate attenuanti per la loro negativa personalità, desunta essenzialmente dalla circostanza che avessero già riportato condanne per furti e ricettazione.
Si tratta di una considerazione ampiamente giustificativa del diniego, che le censure del ricorrente non valgono a scalfire.
In altre parole, del tutto legittimamente la Corte di appello ha ritenuto ostativi al riconoscimento delle attenuanti generiche i numerosi e gravi precedenti penali degli imputati, trattandosi di parametro considerato dall'art. 133 c.p., applicabile anche ai fini dell'art. 62 bis c.p..
Quanto alle statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, esse sono censurabili in cassazione soltanto nell'ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, essendo sufficiente a giustificare la soluzione della equivalenza aver ritenuto, come nel caso in esame, detta soluzione la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (cfr. ex plurimis Cass. 1^, 13 aprile 2001, Pelini, RV 219263).
In relazione, infine, alla lamentata eccessività della pena, va detto che la conclusione di immeritevolezza di un più mite trattamento sanzionatorio, cui il giudice di merito è pervenuto con adeguata e non illogica motivazione, non è sindacabile in sede di legittimità allorchè il ricorrente si limiti a sollecitare genericamente il riesame sul punto della sentenza impugnata.
4. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento in solido delle spese processuali.
(Torna su ) P.Q.M.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2007.
Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2007

Da: pasqualinok 16/12/2010 12:24:55
TRIBUNALE CIVILE DI ZETA
MEMORIA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA NEL
PROCEDIMENTO ANTE CAUSAM EX ART. 700 C.P.C.
R.G.___________
udienza del_________

Il Si.g Tizio, nella sua qualità di socio della società S.r.l Alfa, nato a_______, il__________, residente a________, Via__________, n.___, c.f.________ rappresentato e difeso giusta procura speciale in calce al presente atto dalll'Avv.to_________,del Foro di______,_ed elettivamente domiciliato presso il suo studio di__________, via__________, n______________il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni tutte relative al presente procedimento al numero di fax____________
- resistente -


contro
Società Alfa, in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, con sede legale in_________, via_____, n.___, rappresentata e difesa dall Avv.___- del Foro di Zeta
Presso il cui studio è eletttivamente domiciliata

*************************************


L'atto va impostato così.
Comparsa di costituzione e risposta
etc.....
1. Si racconta il fatto;
2. si costituisce nel presente giudizio il sig..........contestando inf atto e diritto tutto quanto ex adverso esposto e dedotto e rilevando quanto segue
.3. INammissibilità della domanda di esclusione
Spiegare il perchè in base alla sentenza del Trib,. Biella
In sostanza il potere di escludere il socio non spetta agli organi sociali
Argomentare ex art. 2473 bis
4. Insussistenza dei presuposti ex art. 700 c.p.c.
- non c'è periculum perchè nessun danno deriva alla società dalla permanenza del socio che non svolge funzioni di amminstratore;
- non c'è fumus perchè la domanda è in ogni caso inammissibile;
- in ogni caso vi è difeto di interesse ad agire per le medesime ragioni che escludono il periculum
5. Inammissiblità della domanda di inibizione dell'accesso ai documento sociali
Non si può limitare il diritto del socio non amministratore di prendere visione dei documenti e dei libri della società e ciò anche al fine di esercitare il dovuto controllo sull'attività amminsitrativa della società
Sul punto vedi Rrib. Bologna 6 dicembre 2006
"Il socio non amministratore di società a responsabilità limitata al quale sia precluso dagli amministratori l'esercizio del diritto di controllo mediante l' accesso ai documenti relativi all'amministrazione può ottenere dal giudice provvedimento cautelare che autorizzi l' accesso diretto o tramite professionista di propria fiducia a tutti i libri sociali incluse le scritture contabili. Il diritto di controllo del socio non amministratore, equiparabile in base al disposto dell'art. 2476 c.c. a quello del socio di società di persone, soddisfa l'esigenza di acquisizione di informazioni utili in merito alle modalità di effettivo svolgimento della funzione gestoria da parte degli amministratori ed è funzionale altresì all'esperimento dell'azione sociale di responsabilità promuovibile in via surrogatoria da ciascun socio . Il tribunale che sia adito in via cautelare può integrare la misura cautelare originariamente disposta precisando le modalità di consultazione delle scritture contabili senza che possa opporsi da parte degli amministratori il diritto alla riservatezza dei dati commerciali della società."
6. Ulteriore Inammissibilità della domanda
- il 700 è inammissibile perchè diretto ad ottenere una pronuncia costituiva mentre la tutela d'urgenza presuppone la esistenza del diritto di cui si chiede la tutela
PQM
il sig. .....chiede che il Tribunale voglia
- in via preliminare, dichiarare inammissibli la domadna non sussistendo i presupposti del periculum e del fumus;
- nel merito respingeresi le domande;
- in ogni caso vittoria di spese ed onorari
data
Firma

Da: kammerl16/12/2010 12:26:45
pasqualinok che fai mi copi?
aggiungi qualche cosa di utile dai!!

Da: coccola2716/12/2010 12:27:00
perchè posti il furto aggravato se l'appello è di rapina tentata.c'è differenza tra furto rapina e tentativo...

Da: raffaella16/12/2010 12:27:09
per raf
CORTE D'APPELLO DI …….
PER IL TRAMITE DELLA CANCELLERIA DEL TRIBUNALE DI
ATTO D'APPELLO
L'Avv. …….., del foro di ……, con studio in ……, via ….., difensore di fiducia, giusta nomina e procura speciale in calce al presente atto, del sig. Tizio, nato a …., il …., residente in ….., via …..,  domiciliato, ai fini del presente procedimento, a ………, in via …..,
DICHIARA DI PROPORRE APPELLO
Avverso la sentenza n. ……… del Tribunale di….., pronunciata in data ……. e depositata in data ………, con la quale il sig. Tizio veniva dichiarato responsabile del reato il reato di tentata rapina ai danni della banca alfa, con le circostanze aggravanti dall'uso di armi e della riunione di più più persone.di cui all'art. …..c.p. e per l'effetto condannato alla pena di anni ……. e mesi ….. di reclusione
PER I SEGUENTI MOTIVI
1)
2)
3)

Da: Valvola16/12/2010 12:27:40
X AMMINISTRATIVO

Cons. Stato Sez. IV Sent., 30.11.2009 n�° 7495
EDILIZIA E URBANISTICA - GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA - I proprietari di immobili in un condominio si trovano, rispetto al diniego di condono riguardante una porzione di immobile di proprietà di altro condomino, e da essi rivendicata come appartenente al condominio, in una indubbia posizione di controinteressati, in fatto, in forza dell'elemento della "vicinitas", che, così come vale a conferire la legittimazione ad impugnare una concessione edilizia rilasciata ad un soggetto terzo, conferisce loro la possibilità di agire "ad opponendum" nel giudizio promosso per l'annullamento del diniego di concessione edilizia riguardante una porzione del condominio, in virtù del solo vantaggio meramente consequenziale o del beneficio di mero fatto, che l'atto sia suscettibile di recare al loro patrimonio giuridico; essi, però, non si trovano nella posizione di controinteressati in senso formale e sostanziale. (Riforma parziale della sentenza del T.A.R. Puglia n. 03214/2005).
Svolgimento del processo e motivi della decisione
1) Con atto notificato l'11 marzo 2005, depositato il successivo 23 marzo e rubricato al n. R.G. 460/2005 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - Sede di Bari, l'odierno appellato, titolare dell'impresa di costruzioni "Petruzzella Mario e Magarelli Saverio" (che nell'anno 1979 aveva edificato il fabbricato sito in Comune di Terlizzi alla via Trieste n. 6 in forza di licenza di costruzione n. 58/76 rilasciata in data 19 agosto 1978 e successive varianti del 9 novembre 1978 e 26 novembre 1979), impugnava il provvedimento prot. n. 21124/86 in data 11 novembre 2002, con il quale il Comune di Terlizzi negava, ai sensi dell'art. 2 comma 37 lettera d) L. n. 662/96, la sanatoria edilizia richiesta da Petruzzella Mario (deceduto nell'anno 1987) relativa al cambio di destinazione d'uso, da bucataio ad abitazione, dei locali siti sul soprattico al IV piano di detto fabbricato, di cui l'appellato medesimo veniva nella domanda di condono indicato come comproprietario.
2) Alla Camera di Consiglio del 21 aprile 2005, fissata per la pronuncia sulla domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato, il T.A.R., ravvisata la sussistenza dei presupposti per l'emanazione della sentenza in forma semplificata, definiva il giudizio, ai sensi degli articoli 21 comma 9 e 26 comma 4 della L. n. 1034/1971, come modificata dalla L. 205/2000.
3) Ciò in quanto il ricorrente, alla medesima Camera di Consiglio, aveva depositato nota prot. 7181 dell'11 aprile 2005 a firma del Dirigente del Settore Pianificazione Territoriale ed OO.PP. del Comune di Terlizzi, in cui si dichiara espressamente che:
- sulla domanda di sanatoria, ai sensi della L. 47/85 inoltrata dal sig. Petruzzella Mauro in data 30 settembre 1986 prot. 21124 si è formato il silenzio assenso in data 30 giugno 1989 e che a far data dal 30 giugno 1990 si è prescritto il diritto al conguaglio dell'oblazione;
- il provvedimento di diffida del 4 maggio 2000 notificato alla sig.ra Gargano Rosa in data 9 maggio 2000 ed il provvedimento di diniego dell'11 novembre 2002, notificato alla sig.ra Gargano Rosa in data 13 novembre 2002 devono essere annullati in quanto illegittimi;
- dovrà essere emessa ordinanza di ripristino a carico del sig. Magarelli Saverio, quale legittimo proprietario per l'esecuzione di lavori di ristrutturazione in assenza di D.I.A., giusto quanto stabilito dall'art. 33 comma 6 bis del D.P.R. 380/2001.
Avendo, dunque, "il difensore del ricorrente... dichiarato di non avere più interesse a coltivare il ricorso" (pagg. 5 - 6 sent.), il T.A.R., con sentenza 13 maggio 2005, n. 2157, dava atto della sopravvenuta carenza di interesse a coltivare il ricorso, assumendo le conseguenti determinazioni in ordine alla dichiarazione di improcedibilità del ricorso.
4) Nello stesso giudizio erano nel frattempo intervenuti "ad opponendum", con atto notificato il 26 aprile 2005 e depositato il successivo 5 maggio (pertanto dopo lo svolgimento della Camera di Consiglio, alla quale la causa era passata in decisione) gli odierni appellanti (nella loro qualità di condomini del citato edificio residenziale), notificando poi e depositando in data 14 maggio 2005 (e dunque successivamente alla pubblicazione della sentenza che definiva il giudizio) richiesta di remissione sul ruolo della causa, che il T.A.R., con successiva sentenza n. 3214/2005, dichiarava inammissibile, condannando gli istanti alla rifusione delle spese nei confronti sia dell'originario ricorrente che del Comune non costituito. Avverso le due citate sentenze, rese dal Giudice di primo grado nello stesso giudizio innanzi allo stesso rubricato col n. R.G. 460 del 2005, è diretto l'appello all'esame, con il quale viene, quanto alla prima, dedotto a motivo di doglianza "il fatto che il ricorso n. 460/2005 non veniva notificato agli odierni appellanti, pur rivestendo essi l'innegabile posizione di controinteressati in senso formale e sostanziale" (pag. 8 app.), e, quanto alla seconda, lamentata l'erroneità ed abnormità della condanna alle spese in essa contenuta. Si è costituito in giudizio il controinteressato, originario ricorrente, contestando, con successiva memoria, "la qualità di controinteressati degli odierni appellanti e quindi la sussistenza della legittimazione ad appellare unitamente ad un interesse concreto ed attuale ad interporre il gravame avverso le predette decisioni". Non si è costituito in giudizio, sebbene ritualmente evocato, il Comune di Terlizzi. Con Ordinanza n. 5600/2005, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 18 novembre 2005, è stata respinta la domanda di sospensione dell'esecuzione delle sentenze appellate. La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 13 ottobre 2009.
5) L'appello, per la parte in cui è rivolto avverso la citata sentenza n. 3214/2005 che ha provveduto a definire il giudizio (peraltro con una sentenza in rito di declaratoria di improcedibilità per carenza di interesse, l'interesse alla cui impugnazione, semplicemente per veder affermato l'assenza del necessario contraddittorio tra le parti necessarie del processo, appare invero assai labile) a contraddittorio asseritamente incompleto, è da respingere in quanto infondato.
I condomini odierni appellanti si trovano invero, rispetto al diniego di condono oggetto del giudizio (riguardante una porzione dell'immobile di proprietà del controinteressato e da essi peraltro rivendicata come appartenente al condominio), in una indubbia posizione di controinteressati in fatto in forza dell'elemento della "vicinitas", che, così come vale "in re ipsa" a conferire la legittimazione ad impugnare una concessione edilizia rilasciata ad un soggetto terzo (risultando la posizione del vicino "ex se" differenziata rispetto a quella della collettività genericamente intesa: Cons. Stato - sez. V - 3 febbraio 2000, n. 592; Cons. Stato - sez. V -11 aprile 1995, n. 587; Cons.Stato - sez. V - 16 aprile 1982, n. 277), conferisce loro la possibilità di agire "ad opponendum" (ed è altresì diritto vivente il riconoscimento della legittimazione a partecipare al giudizio in appello - sia nella qualità di ricorrente principale che di interveniente - a soggetti che, pur non essendo parti necessarie o intervenuti "ad opponendum" nel giudizio di primo grado, rivestono la qualità di legittimi contraddittori, perché titolari di una situazione soggettiva rilevante, caratterizzata da un interesse sostanziale di segno opposto a quello fatto valere con il ricorso originario, sulla quale si riflette la pronunzia di primo grado: cfr. Sez. IV, n. 6848 del 20 dicembre 2000 e, da ultimo, Sez. VI, n. 5834 del 2008) nel giudizio promosso per l'annullamento di un diniego di concessione edilizia riguardante una porzione del condominio, in virtù del solo vantaggio meramente consequenziale o del beneficio di mero fatto, che l'atto sia suscettibile di recare al loro patrimonio giuridico; ma non si trovano nella posizione di controinteressati in senso formale e sostanziale, che, così come è stata definita dalla giurisprudenza e dalla dottrina, è quella di un soggetto titolare di un interesse che sia sì qualificato ed opposto a quello di altro soggetto (e che, in quanto qualificato, deve trarre un vantaggio giuridicamente rilevante dal provvedimento, la cui legittimità venga posta in discussione davanti al giudice amministrativo), ma che sia altresì idoneo ad integrare gli estremi di una posizione giuridica implicitamente contemplata dall'atto impugnato, con la previsione espressa di un beneficio in suo favore: requisito, quest'ultimo, del tutto assente nel provvedimento oggetto del giudizio, di definizione di un procedimento di condono, cui gli odierni appellanti sono rimasti del tutto estranei, a nulla rilevando in proposito né il contenzioso civilistico solo successivamente ad esso instaurato (relativo peraltro non alle opere oggetto di condono, ma alla sola rivendica di proprietà della porzione di immobile, in cui esse sono state eseguite), né la loro posizione di interessati nel pure successivo procedimento instaurato dal Comune per il ripristino dei luoghi a séguito del contestato diniego della domanda di sanatoria. I citati soggetti, quindi, non rivestono nel presente giudizio la qualifica di controinteressati in senso formale e ad essi non andava notificato a pena di inammissibilità il ricorso originario a mente dell'art. 21 della legge n. 1034/1971 e dell'art. 36 del T.U. n. 1054/1924, il cui scopo è in realtà quello di non rendere assolutamente gravosa la tutela giurisdizionale, costringendo i ricorrenti alla ricerca di soggetti non agevolmente individuabili (Cons. Stato, V, 17 dicembre 1998, n. 1806). Riguardo, poi, alla pronuncia di improcedibilità resa dal T.A.R. sul ricorso stesso (sulla base della dichiarazione resa dal difensore del ricorrente in Camera di Consiglio, pacificamente idonea a determinare la conseguenza di ordine processuale trattane dal Giudice di prime cure, che è manifestazione del principio di unilateralità, che regge il processo amministrativo, posto a tutela delle posizioni soggettive appartenenti a colui che ha introdotto il giudizio, rispetto alle quali gli interessi della parte resistente assumono rilevanza solo in funzione di contrasto della pretesa azionata), i ricorrenti non hanno esplicitato alcuna doglianza, risultando peraltro inammissibili le molteplici contestazioni al merito delle deduzioni col ricorso di primo grado fatte valere, da intendersi assorbito dalla pronuncia in rito. Il gravame è dunque, quanto all'impugnazione della sentenza n. 2157/2005, da respingere. Con riferimento, invece, alla successiva sentenza, resa nello stesso giudizio, n. 3214/2005, con la quale il Giudice di primo grado ha dichiarato inammissibile l'istanza di rimessione sul ruolo della causa proposta dagli odierni appellanti, premesso che non viene in alcun modo posta in dubbio dagli stessi la presenza in detta istanza dei presupposti richiesti dall'art. 91 c.p.c. (che fanno riferimento, per una pronuncia di condanna sulle spese, ad un procedimento contenzioso idoneo a determinare una posizione di soccombenza), l'appello è manifestamente infondato quanto alla contestazione della condanna alle spese processuali in favore dell'originario ricorrente, in quanto, com'è noto, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse (Cass. Civ., sez. III, 11 gennaio 2008, n. 406); sennonché nella fattispecie l'esito del procedimento innestato dalla richiesta in primo grado presentata dagli intervenienti ha visto gli stessi totalmente soccombenti (sì che non risulta violato il principio, secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa), mentre è poi inammissibile la generica denuncia della esorbitanza della condanna alle spese in favore del ricorrente in primo grado, atteso che gli appellanti non hanno specificato gli errori commessi dal primo Giudice, né precisato le voci di tabella degli onorari e dei diritti di procuratore, che si ritengono violate (Cass. civ., Sez. 1^, 23 settembre 2003, n. 14110). L'appello va invece accolto quanto alla contestazione della condanna alle spese del Giudizio nei confronti del Comune recata dalla citata seconda sentenza, non avendo questo svolto alcuna attività difensiva, con conseguente insussistenza del presupposto, per cui solo la parte, che abbia partecipato al giudizio e perciò sostenuto spese, può poi vedersele rifuse se ed in quanto vittoriosa all'esito della definizione del giudizio.
6) In definitiva, l'appello va respinto "in toto" quanto all'impugnazione della sentenza n. 2157/2005 ed accolto in parte, nei sensi di cui sopra, quanto all'impugnazione della sentenza n. 3214/2005.
Sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe:
- lo respinge quanto all'impugnazione della sentenza n. 2157/2005;
- lo accoglie in parte, nei sensi di cui in motivazione, quanto all'impugnazione della sentenza n. 3214/2005.
Spese del grado compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 13 ottobre 2009, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), riunito in Camera di Consiglio con l'intervento dei signori:
Luigi Cossu, Presidente
Luigi Maruotti, Consigliere
Goffredo Zaccardi, Consigliere
Armando Pozzi, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore

Da: pasqualinok 16/12/2010 12:28:09
CORTE D'APPELLO DI …….


ATTO D'APPELLO

L'Avv. …….., del foro di ……, con studio in ……, via ….., difensore di fiducia, giusta nomina in atti, del sig. Tizio, nato a …., il …., residente in …..,via ….., domiciliato, ai fini del presente procedimento, a ………, in via …..,

DICHIARA DI PROPORRE APPELLO

Avverso la sentenza n. ……… (R.G. n. ………) del Tribunale di …….., pronunciata in data ……. e depositata in data ………, con la quale il sig. Tizio veniva dichiarato responsabile dei reati di cui al combinato disposto degli artt. 56 e 628 c.p. aggravato ex art.339 c.p. e, per l'effetto, condannato alla pena di………………………,

PER I SEGUENTI MOTIVI






Per tutti questi motivi

CHIEDE

Che questa Ill.ma Corte d'Appello Voglia, in riforma dell'impugnata sentenza:

Da: alvi16/12/2010 12:30:08
Cassazione, Sez. II, 25 ottobre 2010, n. 37843 chi la può fornire

Da: ValeRoma16/12/2010 12:31:58
non ci posso credere.. memoria di costituzione in sede cautelare. che immani pezzi di merda, tutto il male del mondo. Tutto. 

Da: pakozzo 16/12/2010 12:32:11
schema per penale

CORTE D'APPELLO DI …….


ATTO D'APPELLO

L'Avv. …….., del foro di ……, con studio in ……, via ….., difensore di fiducia, giusta nomina in atti, del sig. Tizio, nato a …., il …., residente in …..,via ….., domiciliato, ai fini del presente procedimento, a ………, in via …..,

DICHIARA DI PROPORRE APPELLO

Avverso la sentenza n. ……… (R.G. n. ………) del Tribunale di …….., pronunciata in data ……. e depositata in data ………, con la quale il sig. Tizio veniva dichiarato responsabile dei reati di cui al combinato disposto degli artt. 56 e 628 c.p. aggravato ex art.339 c.p. e, per l'effetto, condannato alla pena di………………………,

PER I SEGUENTI MOTIVI






Per tutti questi motivi

CHIEDE

Che questa Ill.ma Corte d'Appello Voglia, in riforma dell'impugnata sentenza:

Da: raffaella16/12/2010 12:32:46
aiuto penaleeeeeeeeeeeeeeee

Da: dany16/12/2010 12:32:46
Scusate ma l'atto di amministrativo che forma deve avere???

Da: Pelucco16/12/2010 12:33:05
articoli 56 e 628 c.p
dell'articolo 415 bis c.p.p.
articoli 56 e 628 c.p.
dell'articolo 648 c.p
violazione dell'articolo 62 bis c.p.
articoli 56 - 628 c.p
dell'articolo 192 c.p.p., comma 2
articoli 56 e 628 c.p.
dell'articolo 192 c.p.p., comma 2
266 e 271 c.p.p
articoli 367 e 642 c.p.
all'articolo 61 c.p., n. 7
all'articolo 133 c.p.,
articoli 56 e 628 c.p
L'articolo 56 c.p.,
l'articolo 56 c.p.
dall'articolo 115 c.p.
, all'articolo 61
I
l'attuale articolo 56 c.p.
anche dall'articolo 49 c.p., comma 2
dell'articolo 56 c.p.
dell'articolo 56 c.p.,
dell'articolo 56 c.p.
all'articolo 49 c.p., comma 2)
stesso articolo 56 c.p.
dall'articolo 49 c.p., comma 2
ex articolo 49, comma 2
cui all'articolo 628 c.p.):
415 bis c.p.p.
. L'articolo 415 bis c.p.p.,
dell'articolo 468 c.p.p..
cfr articolo 503 c.p.p.)
(cfr articoli 64 - 65 c.p.p.)
(articolo 415 bis c.p.p.).
dell'articolo 648 c.p. (motivo sub 4):
dell'articolo 62 bis c.p.
(articolo 367 c.p.) ed F (articolo 642 c.p.).
articoli 367 e 642 c.p.,
all'articolo 270 c.p.p.,
dell'articolo 266 c.p.p."





orte di Cassazione pen Sezione 2 Penale
Sentenza del 25 ottobre 2010, n. 37843
Integrale

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REATO - DELITTO - TENTATO
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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BARDOVAGNI Paolo - Presidente

Dott. GENTILE Domenico - Consigliere

Dott. PRESTIPINO Antonio - Consigliere

Dott. TADDEI Margherita - Consigliere

Dott. RAGO Geppino - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1. GI. AG. nato il (OMESSO);

2. AT. ED. nato (OMESSO);

3. CA. AN. GI. nato il (OMESSO);

4. BO. SE. nato il (OMESSO);

5. MA. GI. nato il (OMESSO);

6. C. N. nato il (OMESSO);

avverso la sentenza del 13/07/2009 della Corte di Appello di Milano;

Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

udita la relazione fatta dal Consigliere dott. RAGO Geppino;

Udito il Procuratore Generale in persona del dott. MAZZOTTA Gabriele ha concluso per l'annullamento senza rinvio limitatamente la conferma della condanna per i capi E) ed F); rigetto nel resto;

Udito per la parte civile Mo. No. l'avv. Losengo Roberto che ha concluso per il rigetto ed il pagamento delle spese;

Uditi i difensori avv.ti Pezzoni Claudia (per Bo. - Ma. e Gi. ) e Colaleo Luigi (per Ca. ) i quali hanno concluso per l'accoglimento del ricorso.

FATTO

p. 1. Con sentenza del 13/07/2009, la Corte di Appello di Milano confermava, in punto di responsabilita', la sentenza pronunciata in data 17/07/2008 dal Tribunale della medesima citta' con la quale C. N. - GI. Ag. - CA. An. - BO. Se. - MA. Gi. e AT. Ed. erano stati ritenuti responsabili dei delitti di ricettazione e tentata rapina aggravata.

p. 2. Avverso la suddetta sentenza, tutti i suddetti imputati hanno proposto ricorso per cassazione.

p. 2.1. GI. ha dedotto violazione degli articoli 56 e 628 c.p. per avere la Corte ritenuto la configurabilita' del tentativo, nonostante fosse stato arrestato in un momento in cui la presunta progettata rapina al furgone portavalori della Mo. non fosse ancora in esecuzione. Infatti, il suddetto furgone sarebbe passato dal luogo dove egli, insieme agli altri coimputati, fu sorpreso dalla Polizia, solo dopo due ore, e le armi con tutta l'attrezzatura per eseguire la rapina erano ricoverate in un box - nella disponibilita' di uno dei coimputati - che si trovava ad una distanza di circa km 4,5. In altri termini, ci si trovava di fronte ad atti meramente preparatori e non esecutivi che non avevano alcuna idoneita' causale a ledere il bene giuridico protetto. Infatti, la suddetta riunione non era altro che il momento in cui avrebbe dovuto perfezionarsi l'accordo a commettere il delitto, delitto dal quale, pero', esso ricorrente ben avrebbe potuto pur sempre ancora desistere.

p. 2,2. CA. ha dedotto i seguenti motivi:

1. Violazione dell'articolo 415 bis c.p.p. per non essere stato sentito dal P.m. nonostante lo avesse espressamente richiesto;

2. Illogicita' della motivazione per non avere la Corte territoriale creduto alla tesi difensiva secondo la quale esso ricorrente si trovava sul luogo dell'arresto solo per una "disgraziata circostanza fortuita" nonostante la suddetta tesi fosse stata confermata da prove testimoniali e documentali. La Corte, infatti, aveva tratto il suo convincimento sulla base di illazioni prive di alcun riscontro anche solo presuntivo, trascurando di dare conto degli elementi favorevoli indicati dalla difesa;

3. Violazione degli articoli 56 e 628 c.p. si tratta dello stesso motivo proposto dal Gi. ;

4. violazione dell'articolo 648 c.p. per avere la Corte ritenuto la configurabilita' del reato di ricettazione delle armi e del furgone che sarebbero serviti per la rapina, nonostante esso ricorrente non avesse mai avuto la disponibilita' delle armi ne' fosse intervenuto nell'acquisito o ricevimento dei suddetti beni;

5. violazione dell'articolo 62 bis c.p. per non avere la Corte concesso la suddetta attenuante nonostante fossero state indicate le ragioni che avrebbero dovuto indurre la Corte ad accogliere la richiesta (eccessivita' della pena - minore intensita' del dolo e alla partecipazione nel fatto).

p. 2.3. Ma. , ha dedotto i seguenti motivi:

1. violazione degli articoli 56 - 628 c.p. si tratta dello stesso motivo dedotto dal Gi. ;

2. violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2 per avere la Corte territoriale ritenuto la responsabilita' di esso ricorrente sulla base di elementi che non presentavano i requisiti della gravita', precisione e concordanza. Invero, il nome del Ma. risultava solo nell'intercettazione telefonica del (OMESSO) (ossia il giorno della tentata rapina), alle ore 7,52 quando venne contattato dal M. (uno dei coimputati) il quale gli chiese di rendersi disponibile tutto il giorno. Tuttavia, esso ricorrente rispose che poteva esserlo fino alle ore 16,30, orario in cui doveva recarsi a prelevare i bambini a scuola. Ed era poi significativo il fatto che "ne' il giudice ne' l'attivita' investigativa riescono a chiarire con quali modalita' e funzioni il Ma. sarebbe stato introdotto nella struttura criminale". In particolare, quanto al preteso ruolo avuto nella manomissione della centralina dei furgoni navetta, nulla era stato provato, anche perche' non era neppure certo che fossero state manomesse ed i testi B. e Va. , incaricati dalla Mo. di effettuare una perizia sulla centralina di uno dei furgoni, aveva reso dichiarazioni discordanti e prive di credibilita' scientifica tant'e' che esso ricorrente aveva provveduto a querelare il legale rappresentante della Mo. per simulazione di reato e calunnia.

p. 2.4. BO. ha dedotto i seguenti motivi:

1. violazione degli articoli 56 e 628 c.p. si tratta dello stesso motivo dedotto dal Gi. ;

2. violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2 per avere la Corte territoriale ritenuto la responsabilita' di esso ricorrente sulla base di elementi che non presentavano i requisiti della gravita', precisione e concordanza. Infatti, il preteso ruolo di addetto alla logistica e di collaboratore del M. alla studio e all'organizzazione della rapina, era ancorato ad un ordito indiziario privo di alcun pregio giuridico;

3. violazione degli articoli 266 e 271 c.p.p. per avere la Corte territoriale desunto la responsabilita' in ordine ai delitti di cui agli articoli 367 e 642 c.p. da colloqui telefonici intercettati ma che erano stati disposti in relazione alla rapina aggravata. Ad avviso del ricorrente, quindi, poiche' per i suddetti reati, che prevedevano una pena edittale inferiore nel massimo a cinque anni, non era possibile disporre intercettazioni telefoniche, allora, quelle conversazioni captate per un altro reato per il quale l'intercettazione era stata legittimamente autorizzata non avrebbe potuto essere utilizzata come prova.

p. 2.5. C. , ha dedotto i seguenti motivi:

1. contraddittorieta' e illogicita' della motivazione per avere la Corte territoriale ritenuto provata la penale responsabilita' per il delitto di concorso in tentata rapina aggravata pur avendo esso ricorrente offerto "una piu' che plausibile spiegazione alternativa" all'ipotesi accusatoria in ordine alla sua conoscenza con il Di. Do. (altro coimputato), all'incontro avuto con il M. , all'impossibilita' di manomettere l'impianto GPS non avendo mai egli ricoperto il ruolo di capo equipaggio il quale solo aveva la possibilita' di intervenire sul sistema;

2. violazione delle norme in ordine al trattamento sanzionatorio: si duole il ricorrente che, in modo illogico, era stata ritenuta la semplice equivalenza fra la circostanza aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 7 e le attenuanti generiche e che il trattamento sanzionatorio, in violazione delle regole di cui all'articolo 133 c.p., era stato eccessivo tenuto conto che si trattava di rapina tentata e che non era stata valutata in modo equanime la complessiva personalita' di esso ricorrente.

p. 2.6. AT. non ha presentato alcun motivo.

DIRITTO

p. 3. violazione degli articoli 56 e 628 c.p.: in via di stretto diritto, in ordine ai principi applicabili in tema di tentativo, va affermato quanto segue.

L'articolo 56 c.p., disciplina il tentativo nei delitti e, essendo una fattispecie autonoma rispetto al reato consumato (ex plurimis Cass. 13/6/2001 riv 220330), richiede, come tutti i reati, la sussistenza sia dell'elemento soggettivo che oggettivo.

L'elemento soggettivo e' identico al dolo del reato che il soggetto agente si propone di compiere.

L'elemento oggettivo, invece, presenta spiccate peculiarita' in quanto ruota intorno a tre concetti:

- l'idoneita' degli atti;

- l'univocita' degli atti;

- il mancato compimento dell'azione o il mancato verificarsi dell'evento.

La linea di demarcazione fra la semplice intenzione non punibile (secondo il vecchio brocardo cogitationis poenam nemo patitur) e quella punibile si snoda proprio attraverso l'esatta comprensione dei suddetti principi.

Una premessa di natura sistematica: sebbene l'articolo 56 c.p. sia l'unica norma che disciplini espressamente il tentativo, tuttavia, utili argomenti si possono trarre, ai fini sistematici, anche dall'articolo 115 c.p. a norma del quale "qualora due o piu' persone si accordino allo scopo di commettere un reato e questo non sia commesso, nessuna di essa e' punibile per il solo fatto dell'accordo".

La suddetta norma, evidenzia, quindi, in modo plastico, il principio secondo il quale anche un semplice accordo a commettere un delitto (e, quindi, a fortiori, il semplice averlo pensato) non e' punibile (salva l'applicazione della misura di sicurezza) ponendosi all'estremo opposto del delitto consumato.

Ma e' proprio fra questi due estremi, ossia fra la semplice cogitatio o accordo (non punibile) ed il delitto consumato che si colloca la problematica del delitto tentato che consiste, appunto, nello stabilire quando un'azione, avendo superato la soglia della mera cogitatio, pur non avendo raggiunto il suo scopo criminoso, dev'essere ugualmente punibile.

Il codice penale del 1889 (c.d. codice Zanardelli), influenzato dal codice napoleonico, all'articolo 61, punendo "colui che, al fine di commettere un delitto, ne comincia con mezzi idonei l'esecuzione", poneva la soglia di punibilita' del delitto programmato nel momento in cui l'agente avesse cominciato l'esecuzione dell'azione: da qui, la distinzione fra atti preparatori non punibili ed atti di esecuzione punibili.

La distinzione, pero', creo' notevoli problemi interpretativi tanto che il legislatore del 1930 - peraltro anche per precise ragioni ideologiche - abbandono' espressamente il suddetto criterio, introducendo l'attuale articolo 56 c.p. che ruota intorno a due criteri: l'idoneita' e la inequivocita' degli atti compiuti dall'agente, nel senso che, solo ove l'azione presenti le suddette caratteristiche, l'agente puo' essere punito a titolo di tentativo.

Il dibattito (dottrinale e giurisprudenziale), pero', si e' riacutizzato perche', mentre prima la domanda era quali fossero i criteri per stabilire la differenza fra atti preparatori (non punibili) ed atti di esecuzione (punibili), ora la questione consiste nell'individuare la linea di confine che separa il semplice accordo (o la mera cogitatio), non punibile, dagli atti idonei inequivoci, punibili. In ordine al concetto di idoneita' degli atti (e non del mezzo come prescriveva il codice Zanardelli), l'opinione maggioritaria sia della dottrina che della stessa giurisprudenza di questa Corte, e' alquanto compatta nel ritenere che un atto si puo' ritenere idoneo quando, valutato ex ante ed in concreto (c.d. criterio della prognosi postuma), ossia tenendo conto di tutte le circostanze conosciute e conoscibili e non di quelle oggettivamente presenti e conosciute dopo (ed criterio di valutazione su base parziale: ex plurimis Cass. 9/12/1996, Tansino, rv 206562), il giudice, sulla base della comune esperienza dell'uomo medio, possa ritenere che quegli atti - indipendentemente dall'insuccesso determinato da fattori estranei - erano tali da ledere, ove portati a compimento, il bene giuridico tutelato dalla norma violata: ex plurimis Cass. 40058/2008 riv 241649 (in motivazione) - Cass. 43255/2009 riv 245721 - Cass. 27323/2008 riv 240736 - Cass. 34242/2009 riv 244915.

Tanto risulta confermato anche dall'articolo 49 c.p., comma 2 che e' la norma speculare dell'articolo 56 c.p. nella parte in cui dispone la non punibilita' per l'inidoneita' dell'azione. Piu' controversa e' la nozione di univocita' degli atti. Secondo una prima tesi "anche gli atti preparatori possono configurare l'ipotesi del tentativo, allorquando essi rivelino, sulla base di una valutazione ex ante e indipendentemente dall'insuccesso determinato da fattori estranei, l'adeguatezza causale nella sequenza operativa che conduce alla consumazione del delitto e l'attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto, dimostrando contemporaneamente, per la loro essenza ed il contesto nel quale s'inseriscono, l'intenzione dell'agente di commettere il delitto": Cass. 27323/2008 riv. 240736 - Cass. 43255/2009 Rv. 245720 "L'atto preparatorio puo' integrare gli estremi del tentativo punibile, quando sia idoneo e diretto in modo non equivoco alla consumazione di un reato, ossia qualora abbia la capacita', sulla base di una valutazione "ex ante" e in relazione alle circostanze del caso, di raggiungere il risultato prefisso e a tale risultato sia univocamente diretto" - Cass. 40702/2009 Rv. 245123.

E' la c.d. tesi soggettiva in base alla quale, appunto, la prova del requisito dell'univocita' dell'atto puo' essere raggiunta non solo sulla base dell'atto in se' considerato ma anche aliunde e, quindi, anche sulla base di semplici atti preparatori qualora rivelino la finalita' che l'agente intendeva perseguire.

Ad avviso, invece, di un'altra tesi, "gli atti diretti in modo non equivoco a commettere un reato possono essere esclusivamente gli atti esecutivi, ossia gli atti tipici, corrispondenti, anche solo in minima parte, come inizio di esecuzione, alla descrizione legale di una fattispecie delittuosa a forma libera o vincolata, in quanto la univocita' degli atti indica non un parametro probatorio, ma un criterio di essenza e una caratteristica oggettiva della condotta; ne consegue che non sono punibili, a titolo di tentativo, i meri atti preparatori": Cass. 9411/2010 Rv. 246620 - Cass. 40058/2008 cit. - Cass. 36283/2003 riv 228310 - Cass. 43406/2001 riv 220144.

"Se e' vero, infatti, che il legislatore del 1930, obbedendo a sollecitazioni politiche dell'epoca, aveva ritenuto di allargare l'area del tentativo punibile redigendo il testo dell'articolo 56 c.p., non e' men vero che gran parte della dottrina e della giurisprudenza hanno dimostrato l'illusorieta' del proposito che, con quel mezzo, si intendeva attuare. Cio' perche' atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un delitto possono essere esclusivamente atti esecutivi, in quanto se l'idoneita' di un atto puo' denotare al piu' la potenzialita' dell'atto a conseguire una pluralita' di risultati, soltanto dall'inizio di esecuzione di una fattispecie delittuosa puo' dedursi la direzione univoca dell'atto stesso a provocare proprio il risultato criminoso voluto dall'agente": Corte Cost 177/1980.

E' la c.d. tesi oggetti va secondo la quale gli atti possono essere considerati univoci ogni qualvolta, valutati in quel singolo contesto, rivelano, in se' e per se' considerati, l'intenzione dell'agente (ed criterio di essenza). Per questa tesi, quindi, "la "direzione non equivoca" indica, infatti, non un parametro probatorio, bensi' un criterio di essenza e deve essere intesa come una caratteristica oggettiva della condotta, nel senso che gli atti posti in essere devono di per se' rivelare l'intenzione dell'agente. L'univocita', intesa come criterio di "essenza", non esclude che la prova del dolo possa essere desunta aliunde, ma impone soltanto che, una volta acquisita tale prova, sia effettuata una seconda verifica al fine di stabilire se gli atti posti in essere, valutati nella loro oggettivita' per il contesto nel quale si inseriscono, per la loro natura, siano in grado di rivelare, secondo le norme di esperienza e l'id quod plerumque accidit, l'intenzione, il fine perseguito dall'agente": Cass. 40058/2008 cit..

E' evidente il punto di frizione fra le due tesi. Infatti, mentre per la tesi soggettiva, l'univocita' va valutata sulla base delle circostanze concrete (con la conseguenza che si determina, sul piano della repressione penale, un arretramento della soglia di punibilita', in quanto anche gli atti in se' preparatori, possono, a determinate condizioni, essere considerati univoci), al contrario per la tesi oggettiva, l'univocita' coincide con l'inizio degli atti tipici di un determinato reato (con conseguente spostamento in avanti della soglia di punibilita', escludendosi l'univocita' degli atti meramente preparatori).

Questa Corte ritiene che la tesi ed oggettiva non sia condivisibile perche', riproponendo, di fatto, l'antica problematica di cui si discuteva sotto il codice Zanardelli, opera un'interpretazione abrogans della nuova normativa, lasciando insoluti, in specie per i reati a forma libera, quegli stessi interrogativi che avevano indotto il legislatore del 1930 a rivedere radicalmente l'intera normativa. Infatti, nella Relazione al progetto definitivo al codice penale, si trova scritto: "innovazioni radicali sono state introdotte nella disciplina del tentativo, sopprimendo la distinzione tra atti preparatori e atti esecutivi".

Si ritiene, quindi, che la tesi piu' corretta sia quella soggettiva per i motivi di seguito indicati.

Il punto di partenza, per una corretta esegesi dell'articolo 56 c.p., non puo' che essere il dato storico: come si e' detto, fu proprio per evitare le incertezze interpretative derivanti dall'individuare quali fossero i mezzi che potevano essere considerati inizio dell'esecuzione criminosa (problema che diventava quasi irresolubile per i reati a forma libera) che il legislatore del 1930 s'indusse ad abbandonare la formula che parlava di "cominciamento" "mezzi" "esecuzione".

Nel nuovo articolo 56 c.p., infatti, non si parla piu' di mezzi ma di atti idonei (in contrapposizione agli atti inidonei di cui all'articolo 49 c.p., comma 2) e di azione che non si compie o di evento che non si verifica.

La terminologia adoperata dal legislatore e' molto importante: una cosa e' parlare di cominciamento dell'esecuzione con mezzi idonei, altro e' parlare di azione non compiuta e di atti idonei a commettere il delitto.

E' evidente, infatti, l'arretramento della soglia di punibilita', laddove si consideri che i termini "azione" ed "atti", indicano, proprio a livello semantico, una maggiore estensione rispetto alla piu' ristretta categoria degli atti esecutivi.

In altri termini, il legislatore ha focalizzato la sua attenzione non solo sull'esecuzione ma anche sull'azione.

Ora, siccome l'azione e' quell'attivita' umana composta da uno o piu' atti, ne deriva, proprio sul piano logico (oltre che semantico) che il tentativo e' punibile non solo quando l'esecuzione e' compiuta ma anche quando l'agente ha compiuto uno o piu' atti (non necessariamente esecutivi) che indichino, in modo inequivoco, la sua volonta' di voler compiere un determinato delitto.

Sul punto, e' lo stesso articolo 56 c.p. che offre utili spunti di riflessione nella parte in cui dispone che il delitto tentato si verifica in due ipotesi: 1) quando l'azione non si compie (c.d. tentativo non compiuto); 2) quando l'evento non si verifica (ed tentativo compiuto).

Sebbene si sia soliti attribuire poca importanza alla suddetta distinzione, in quanto la si assimila a quella del codice Zanardelli fra "delitto tentato" e delitto mancato" (peraltro sanzionato piu' gravemente), il dato di fatto semanticamente rilevante e' che non si parla di "delitto tentato o mancato" ma di azione non compiuta e di evento non verificatosi.

Il suddetto dato non puo' non avere una sua rilevanza giuridica.

Infatti, quando la legge adopera la locuzione "evento che non si verifica" e' chiaro che ipotizza il caso dell'agente che ha compito l'esecuzione degli atti tipici del delitto programmato, ma che questo non si e' verificato per un fatto indipendente dalla sua volonta' (ad es. l'agente ha sparato a Tizio ma questi, all'ultimo momento, casualmente, si e' spostato, facendo, quindi, fallire l'attentato). Se, quindi, la legge ha gia' previsto la punibilita' dell'esecuzione degli atti di un delitto, quando prevede la punibilita' anche dell'azione, necessariamente non puo' che far riferimento ad un qualcosa che precede l'esecuzione vera e propria, ossia quell'insieme di atti (o semplice atto) che, sebbene non esecutivi, valutati unitariamente, abbiano l'astratta attitudine a produrre il delitto programmato. L'azione, lo si ripete, e' un termine molto ampio ed indica il risultato finale del compimento di un atto o piu' atti, e contiene, in se', tutti gli elementi che consentono di affermare, sia pure ex post, che quell'azione era idonea, ove portata a termine (rectius: eseguita) a perpetrare il delitto programmato.

Cio', quindi, permette di affermare che ci si trova di fronte ad un tentativo punibile in tutti quei casi in cui l'agente abbia approntato e completato il suo piano criminoso in ogni dettaglio ed abbia iniziato ad attuarlo pur non essendo ancora arrivato alla fase esecutiva vera e propria ossia alla concreta lesione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice.

Quanto appena detto, trova una conferma negli speculari commi terzo e quarto dell'articolo 56 che, ancora una volta, confermano i due livelli del tentativo punibile (sanzionati in modo differente): la desistenza dell'azione nel senso sopra specificato, nel quale caso, la norma prevede che l'agente risponde degli atti compiuti solo se questi costituiscano un reato diverso; l'impedimento, da parte dell'agente, dell'evento determinato dal compimento degli atti esecutivi veri e propri, nel quale caso, l'agente risponde pur sempre del tentativo, sebbene con una diminuzione della pena.

E' evidente, quindi, che, anche a livello sanzionatorio, la legge ha voluto distinguere le due tipologie di tentativi che, se non vengono attuati per cause indipendenti dalla volonta' dell'agente, vengono puniti allo stesso modo (comma 1), mentre se il delitto non si verifica per la resipiscenza dell'agente, vengono sanzionati diversamente rendendo, pertanto, palese che l'azione che non si compie (o dalla quale l'agente desiste) e' un qualcosa che precede l'evento che non si verifica (o compie).

Ed ulteriore conferma puo' trarsi dall'articolo 49 c.p., comma 2 (che rappresenta, per cosi' dire, il lato speculare e contrario dell'articolo 56 c.p.) che esclude la punibilita' per "l'inidoneita' dell'azione" non degli atti esecutivi: il che significa che, per stabilire se ci si trova di fronte ad un tentativo punibile, a parte l'ipotesi del compimento degli atti esecutivi veri e propri (ipotesi considerata espressamente, come si e' detto, dall'articolo 56 c.p., comma 1 ultima parte), occorre aver riguardo piu' che all'idoneita' dei singoli atti, all'idoneita' dell'azione valutata nel suo complesso cosi' come appare cristallizzata in un determinato momento storico, tenuto conto di tutti gli elementi esterni ed interni, conosciuti e conoscibili. Solo se l'azione viene valutata unitariamente, puo' aversi un quadro d'insieme dei singoli atti che, se valutati singolarmente, possono anche sembrare in se' inidonei, ma che se inseriti in un piu' ampio contesto, appaiono per quelli che sono, ossia dei singoli anelli di una piu' complessa ed unica catena, l'uno funzionale all'altro per il compimento dell'azione finale destinata a sfociare nella consumazione del delitto programmato.

Si puo', quindi, concludere affermando che il legislatore del 1930, arretrando la soglia di punibilita' del tentativo, ha completamente ribaltato l'impostazione del codice Zanardelli in quanto ora sono punibili non solo gli atti di esecuzione veri e propri ma anche gli atti ad essi antecedenti che, per comodita' descrittiva, si possono continuare a chiamare ancora atti preparatori, a condizione pero' che posseggano quelle caratteristiche si cui si e' detto.

Si deve, pertanto, affermare il seguente principio di diritto: "ai fini del tentativo punibile, assumono rilevanza penale non solo gli atti esecutivi veri propri del delitto pianificato, ma anche quegli atti che, pur essendo classificabili come atti preparatori, tuttavia, per le circostanze concrete (di luogo - di tempo - di mezzi ecc.) fanno fondatamente ritenere che l'azione - considerata come l'insieme dei suddetti atti - abbia la rilevante probabilita' di conseguire l'obiettivo programmato e che l'agente si trovi ormai ad un punto di non ritorno dall'imminente progettato delitto e che il medesimo sara' commesso a meno che non risultino percepibili incognite che pongano in dubbio tale eventualita', dovendosi, a tal fine, escludere solo quegli eventi imprevedibili non dipendenti dalla volonta' del soggetto agente atteso che costui ha solo un modo per dimostrare di avere receduto dal proposito criminoso: ossia la desistenza volontaria (articolo 56 c.p., comma 3) o il recesso attivo (articolo 56 c.p., comma 4)".

p. 4.1. Tanto premesso in diritto, dalla sentenza impugnata si evince che il fatto e' stato ricostruito nei termini di seguito indicati. A seguito di una fortuita segnalazione, la Polizia, sospettando che fosse in preparazione una rapina ai blindati della Mo. , inizio' l'intercettazione di alcune utenze telefoniche, nonche' servizi di pedinamento e appostamento.

Dalle suddette indagini, emerse che, in effetti, una banda di nove persone (gli imputati del presente processo e quelli gia' giudicati con la sentenza n 17988/2010 di questa Corte), stavano organizzando per il giorno (OMESSO) una rapina ai danni di un furgone blindato della Mo. che trasferiva presso il deposito di (OMESSO) il denaro raccolto presso vari punti commerciali.

Le indagini avevano permesso di chiarire il ruolo che ognuno dei nove avrebbe ricoperto nell'azione - le modalita' dell'azione - l'ora in cui la rapina sarebbe avvenuta.

Fu cosi' che la Polizia, anche per evitare una probabile sanguinosa rapina (alcuni dei componenti della banda erano coinvolti in altre rapine dello stesso genere conclusesi con omicidi), decise di intervenire ed arrestare tutte e nove le persone che si trovavano riunite ed appostate nel luogo stabilito per dare inizio all'assalto del furgone. In particolare, nella sentenza impugnata e' scritto: "Il gruppo tratto in arresto il (OMESSO) era composto da persone che per precedenti specifici, per condotte di vita, per essere indagati per analoghi fatti di reato, risultava dedito in via non occasionale alla organizzazione e consumazione di gravissimi reati. (...). Il gruppo era dotato di armi da guerra di micidiale potenza offensiva, di giubbotti antiproiettile utili nel caso non meramente ipotetico di dover ingaggiare un conflitto a fuoco, di radio ricetrasmittenti, di auto rubate e una anche taroccata, di un furgone pesante per bloccare il blindato portavalori, di flessibili dotati di compressore per forzare le lamiere del furgone, di liquido incendiario per dare fuoco alle auto dopo il loro utilizzo. Le macchine erano gia' operative e pronte per essere utilizzate avendo a bordo armi, munizioni, guanti per non lasciare impronte, erano occultate nelle immediate vicinanze del luogo di raduno della banda - il piazzale dell'Esselunga di (OMESSO) - ossia nel garage e nel cortile di M. . L'individuazione dell'obiettivo da rapinare era il frutto di uno studio accurato con pedinamento dei mezzi e appostamenti in loco, e soprattutto, era agevolata nell'esecuzione, dai contatti con C. - dipendente infedele della Mo. - che oltre a fornire loro importanti notizie sui movimenti degli automezzi navetta, si era prestato a manomettere l'impianto GPS cosi' da non permettere all'equipaggio di lanciare efficaci segnali d'allarme e alla centrale operativa di rimanere all'oscuro dell'assalto e da non localizzare l'automezzo. Era gia' stato posizionato nella mattinata del 6 dicembre il furgone Iveco Daily da utilizzare, come nelle pregresse vicende criminali, per bloccare, speronandolo, il portavalori. Si era potuto verificare una suddivisione di ruoli che vedeva in M. il capo, in C. il basista, in Bo. la persona deputata alla logistica e allo studio del colpo tanto da custodire il furgone Iveco, Sa. e Gi. erano giunti da (OMESSO) e avevano preso parte al posizionamento di questo automezzo nel punto in cui sarebbe dovuto avvenire l'assalto, in prossimita' dell'uscita dalla tangenziale. Nove persone erano convenute nel posto stabilito in assenza di alcuna valida ragione alternativa a quella dell'essere coinvolte nel progetto delittuoso, ed erano state tratte in arresto poco tempo prima che si muovessero per portarsi sul luogo di consumazione del reato. Le telefonate tra Bo. e la fidanzata, del resto, indicavano proprio in quella sera il momento culminante di tutta l'azione e, per lui, il momento in cui avrebbe potuto chiudere con quella vita e rifarsene un'altra in (OMESSO) insieme alla sua donna e grazie al bottino". La Corte territoriale, dopo essersi fatta carico dei motivi di gravame dei vari imputati, li ha disattesi rilevando che le difese "frazionano le singole azioni in modo da evitare che di esse venga data una lettura congiunta e unificatrice che invece e' il senso giuridico del concorso. E peraltro, chi degli imputati sarebbe dovuto essere all'oscuro dei piani: Gi. era arrivato insieme a Sa. due giorni prima e il (OMESSO) aveva partecipato a un incontro con M. e Bo. nel solito posto di riunione del parcheggio dell'Esselunga; At. si era incontrato con M. per la consegna del pecorino sardo; su Bo. non e' il caso di spendere ulteriori argomentazioni; Ma. era in giro con M. sin dalle otto del mattino non certo per bighellonare come ragazzini che hanno marinato la scuola, visto che M. seguiva le operazioni di posizionamento del furgone Iveco, cosa di molto rilievo per non far fallire il progetto, come accaduto in precedenza; Ca. era partito quella mattina con il volo da (OMESSO) dopo un contatto telefonico con M. e stava per atterrare a (OMESSO) dove veniva ricevuto da M. e Ma. in tempo piu' che sufficiente per essere messo al corrente degli ultimi particolari; la riunione interrotta dalla polizia non serviva, ragionevolmente, ad altro che a dettare gli ultimi dettagli con la indicazione da sergente maggiore di Bo. che li voleva tutti a posto. Poi, giusto il tempo di armarsi ed equipaggiarsi portandosi nel box di M. distante solo 4,5km e non ben, come troppo enfaticamente sottolineato dalle difese, tanto che Bo. e M. dicono di averlo scelto per le loro innocue chiacchierate giusto perche' vicino casa e cosi non disturbavano i famigliari. Per il resto, va fatto richiamo alla sentenza anche per cio' che attiene alla pretesa di riscontrare un'ipotesi di reato impossibile per la dotazione del cosiddetto sistema schiuma blocco. Basti rammentare che l'idoneita' va giudicata con prognosi postuma in base alle conoscenze di cui dispone l'agente nel momento in cui avvia il determinismo causale. Nozioni di scuola sorreggono l'assunto del Tribunale e condiviso dalla Corte". In questa sede, i ricorrenti, da una parte, reiterando gli argomenti di merito gia' proposti avanti ai giudici di merito, sostengono che non vi sarebbero elementi sufficienti per ritenere, ciascuno di essi, coinvolti, nella tentata rapina, dall'altra, sostengono che, a tutto concedere, il tentativo, proprio sotto il solo profilo giuridico, non sarebbe configurabile.

Quanto alle censure di merito, le medesime vanno tutte disattese, perche' la sentenza di appello, letta in uno con quella di primo grado, non evidenzia illogicita' e/o incongruenze, avendo chiarito il ruolo di ciascuno degli imputati nella progettata rapina ed avendo disatteso, sulla base di precisi riscontri fattuali (le indagini compiute dalla Polizia) che si trattava di tesi difensive prive della minima credibilita'. Pertanto, le doglianze riproposte in questa sede, vanno ritenute nulla piu' che un inammissibile tentativo di ottenere, in modo surrettizio, una rivalutazione di quegli stessi elementi di merito gia' presi ampiamente in esame da entrambi i giudici di merito. Quanto alla questione di diritto, secondo la tesi sostenuta da tutti gli imputati, il tentativo non sarebbe configurabile perche' l'azione tipica della rapina (il compimento di atti violenti) non era ancora iniziata quando furono arrestati: in quel momento, infatti, essi ben avrebbero potuto recedere dal proposito criminoso sicche' non potevano essere condannati per un'azione non commessa.

Il caso di specie, e' emblematico della problematica di diritto di cui si e' parlato.

Si e' chiarito che l'articolo 56 c.p. prevede e sanziona due ipotesi di tentativo: quello in cui l'azione non si verifica e quello in cui l'evento non si compie, per cause indipendenti dalla volonta' dell'agente (nel qual caso le due ipotesi, ai fini sanzionatoti, vengono assimilate) ovvero per resipiscenza dell'agente (nel qual caso, ai sensi dei commi 3 e 4, la sanzione varia).

Si e' anche chiarito che l'azione puo' essere considerata idonea quando, sulla base degli elementi fattuali in atti, puo' affermarsi che il programma criminoso dell'agente si e' ormai concluso e l'agente sta per passare alla fase operativa vera e propria. Nel caso di specie, da quanto emerge dalla sentenza impugnata, il piano operativo era stato completamente esaurito in quanto erano stati effettuati gli appostamenti ed erano stati predisposti i mezzi per eseguire il piano: il furgone Fiat era stato posizionato per lo speronamento; l'allarme Gps dei blindati da assaltare era stato disattivato; tutto l'armamentario necessario per perpetrare materialmente la rapina era disponibile; tutti gli uomini della banda si trovavano sul posto pronti ognuno di essi ad eseguire i compiti che era stato loro assegnato.

E' evidente, quindi, che, tutto era stato predisposto per passare alla fase esecutiva vera e propria (assalto al furgone che sarebbe passato da li' a poco).

Si verte, pertanto, nella prima delle ipotesi considerate: infatti, gli imputati non furono sorpresi ed arrestati mentre, ad es. eseguivano i pedinamenti del furgone blindato o mentre si approvvigionavano delle armi o mentre stavano discutendo delle modalita' operative e della distribuzione dei ruoli: in tale ipotesi, invero, sarebbe stato configurabile il reato impossibile per inidoneita' dell'azione ex articolo 49, comma 2.

Al contrario, vennero arrestati quando tutte le suddette operazioni prodromiche erano gia' state eseguite e, quindi, l'azione, in se' e per se' considerata, come correttamente ha rilevato la Corte territoriale, era ormai potenzialmente idonea al compimento della progettata rapina. Si sarebbe verificata invece la seconda ipotesi del tentativo ("se l'evento non si verifica") se gli imputati avessero iniziato l'assalto ossia avessero iniziato a compiere gli atti violenti richiesti dalla norma incriminatrice di cui all'articolo 628 c.p.): in tal caso, il tentativo si sarebbe potuto ipotizzare ove, per una causa estranea ed imprevista (ad es. intervento delle forze dell'ordine), l'evento non avrebbe potuto essere portato a termine.

Le due ipotesi, pero', ai fini sanzionatori, sono equiparate. Ed e' del tutto vano che gli imputati sostengano che ben avrebbero potuto recedere: cio' che, in realta', rileva e' che nessuno di essi lo fece perche' tale intenzione non puo' essere solo ipotizzata ma deve trovare un concreto riscontro fattuale che, nel caso in esame, manca del tutto. In conclusione, le censure proposte da tutti gli imputati (Ca. : motivi sub 2-3; Gi. : motivo unico; Ma. : motivi sub 1 - 2; Bo. motivi sub 1-2; C. motivo sub 1) in ordine alla violazione dell'articolo 56 c.p. vanno tutte disattese, avendo la Corte territoriale correttamente applicato il principio di diritto supra enunciato.

p. 5. CA. .

p. 5.1. violazione dell'articolo 415 bis c.p.p. (motivo sub 1): lo stesso ricorrente afferma che, nell'istanza rivolta al P.m., aveva chiesto di essere esaminato (cfr pag. 2 ricorso). Posta nei seguenti termini, la doglianza e' infondata. L'articolo 415 bis c.p.p., comma 3 dispone che l'indagato ha facolta', entro il termine di venti giorni dall'avviso delle conclusioni delle indagini preliminari: 1) di presentarsi per rilasciare dichiarazioni 2) di chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio: in tale ultima ipotesi "il pubblico ministero deve procedervi".

La Corte sostiene che l'imputato, tramite il proprio difensore non aveva chiesto di essere interrogato ma aveva formulato una richiesta diversa sulla quale il pubblico ministero non aveva obbligo di rispondere o di provvedere: il ricorrente, infatti, aveva chiesto di essere esaminato ai sensi dell'articolo 468 c.p.p..

La decisione della Corte territoriale deve ritenersi corretta in considerazione della natura e del contenuto dell'istanza che indicava un istituto (l'esame: cfr articolo 503 c.p.p.) riguardante il dibattimento ed avente un contenuto del tutto diverso dall'interrogatorio (cfr articoli 64 - 65 c.p.p.) previsto dalla norma di riferimento (articolo 415 bis c.p.p.). E' vero che sussiste il principio dell'interpretazione (e conservazione) degli atti ma e' anche vero che l'autorita' giudiziaria (nella specie il P.m.), a fronte di una richiesta - tanto piu' ove proveniente da un tecnico del diritto - ambigua, contraddittoria e non avente riscontro in alcuna norma processuale, non e' tenuta ad interpretarla essendo, pertanto, legittimata a disattenderla non dandovi corso.

p. 5.2. violazione dell'articolo 648 c.p. (motivo sub 4): la Corte territoriale, avanti alla quale la stessa doglianza era stata sollevata, l'ha disattesa osservando che "prestando il consenso alla rapina ogni complice ha percio' stesso acquisito la disponibilita' collegiale e giuridica delle armi funzionali al reato (...)" nonche' la disponibilita' "dei beni indicati sub a) tutti di provenienza delittuosa, in tal modo ricettandoli".

La motivazione sia dal punto di vista giuridico che fattuale e' ineccepibile in quanto, una volta accertato che l'imputato era ben consapevole di partecipare ad una rapina per la consumazione della quale si sarebbe dovuto far uso di tutto quell'armamentario, e' chiaro che risponde non solo del tentativo di rapina ma anche della ricettazione (nella specie sotto il profilo di "ricevere") di tutti quelle cose provento di reato che sarebbero servite per la consumazione del programmato reato.

p. 5.3. violazione dell'articolo 62 bis c.p. (motivo sub 5): la Corte ha respinto la richiesta di concessione delle attenuanti generiche "a fronte di precedenti penali per gravi fatti di reato dimostrativi di un inserimento nel circuito criminale piuttosto che di una volonta' di rimanervi al di fuori". La motivazione non si presta ad alcuna censura sotto il profilo di legittimita' anche a fronte della generica doglianza proposta.

p. 6. BO. .

p. 6.1. violazione degli articoli 266 - 271 c.p.p. (motivo sub 5): la censura e' fondata. Come si desume dalla impugnata sentenza, nel corso delle intercettazioni telefoniche autorizzate per la sola rapina, emersero indizi a carico dell'imputato anche per i reati di cui ai capi E (articolo 367 c.p.) ed F (articolo 642 c.p.).

La decisione della Corte territoriale, in ordine all'utilizzabilita' delle suddette intercettazioni anche per i reati di cui agli articoli 367 e 642 c.p., non e' condivisibile, ritenendo questa Corte di dare continuita' a quella giurisprudenza di legittimita' secondo la quale "In tema di intercettazione di comunicazioni o conversazioni, la circostanza che non possano considerarsi pertinenti a "diverso procedimento" risultanze concernenti fatti strettamente connessi a quello cui si riferisce l'autorizzazione giudiziale, e che dunque non rilevino i limiti di utilizzabilita' fissati all'articolo 270 c.p.p., non esclude che siano applicabili, anche a tale proposito, le condizioni generali cui la legge subordina l'ammissibilita' delle intercettazioni. Ne consegue che, quando nel corso di intercettazioni autorizzate per un dato reato emergono elementi concernenti fatti strettamente connessi al primo, detti elementi possono essere utilizzati solo nel caso in cui, per il reato cui si riferiscono, il controllo avrebbe potuto essere autonomamente disposto a norma dell'articolo 266 c.p.p." Cass. 4942/2004 riv 229999 - Cass. 12562/2010 riv 246594. La soluzione qui accolta, poi, trova, nel caso di specie, un ulteriore argomento derivante dal fatto che, pacificamente, fra i reati in questione e quello di rapina non vi e' alcuna connessione probatoria ma solo soggettiva. Da quanto detto consegue:

- l'annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza, limitatamente ai suddetti reati in quanto, come si evince dalla motivazione, l'unica fonte di prova e' costituita proprio dal contenuto delle intercettazioni;

- l'eliminazione delle relative pene per complessivi gg 30 ed euro 90,00 di multa (cfr sentenza di primo grado).

p. 7. C. .

p. 7.1. violazione delle norme in ordine al trattamento sanzionatorio (motivo sub 2): la Corte territoriale ha disatteso la richiesta non solo criticando il Tribunale per aver concesso le attenuanti generiche (sebbene equivalenti) - del che non si poteva che prenderne atto - ma osservando che, in considerazione del ruolo svolto dall'imputato (sabotatore del sistema di allarme dei furgoni blindati), costui aveva "commesso un'azione eticamente spregevole" e concludendo, sia pure implicitamente che il trattamento sanzionatorio doveva ritenersi piu' che adeguato. Anche la suddetta motivazione non si presta alla generica censura dedotta in questa sede, dovendosi ritenere che la Corte abbia correttamente ed adeguatamente motivato la reiezione dell'istanza.

p. 8. AT. .

Il ricorso presentato da At. e' inammissibile non avendo il ricorrente presentato alcun motivo.

P.Q.M.

ANNULLA

Senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Bo. Se. limitatamente ai reati di cui ai capi E) ed F) perche' i fatti non sussistono. Elimina le relative pene per complessivi giorni 30 di reclusione ed euro 90,00 di multa, nonche' la condanna al risarcimento e rifusione delle spese in favore della costituita parte civile Navale Ass.ni spa. Rigetta il ricorso del Bo. nel resto.

Dichiara inammissibile il ricorso di At. Ed. e rigetta gli altri ricorsi. Condanna At. - Gi. - Ca. - Ma. - C. al pagamento delle spese processuali e At. anche della somma di euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Condanna tutti i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Mo. No. srl liquidate in complessivi euro 5.054,40 come da nota spese.

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