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ESAME AVVOCATO 2013
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Da: Ramon6911/12/2013 11:36:57
Ok Furiaceca sembra interessante (e più recenbte)  "Guida sotto l'effetto di stupefacenti provocando la morte di una donna: omicidio colposo o volontario?
In occasione di un sinistro stradale con esito mortale, l'alterazione psicofisica del responsabile dovuta all'assunzione di sostanze stupefacenti non vale a trasformare la colpa cosciente in dolo eventuale"
(Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza n. 20465/13; depositata il 13 maggio)

Rispondi

Da: massimo rispetto per tizio11/12/2013 11:37:05
TIZIO UNO DI NOI...
Rispondi

Da: Maresù11/12/2013 11:37:17
Cassazione penale , sez. IV, sentenza 07.10.2013 n° 41415
Rispondi

Da: avvDanilo11/12/2013 11:39:36
sentenze sugli assegni????
Rispondi

Da: KAL11/12/2013 11:42:11
CASSAZIONE PEN 41415/13
...........................................
La disposizione normativa di cui all'art. 186 C.d.S., è stata parzialmente modificata dalla L. 29 luglio 2010, n. 120, art. 33, recante "Disposizioni in materia di sicurezza stradale". In particolare, lo specifico richiamo nell'art. 186, come novellato, all'art. 224 ter C.d.S., introdotto dalla richiamata L. n. 120 del 2010, (intitolato "Procedimento di applicazione delle sanzioni amministrative accessorie della confisca amministrativa e del fermo amministrativo in conseguenza di ipotesi di reato"), fa fondatamente ritenere, alla stregua di una interpretazione organica delle norme di riferimento, che la confisca, prevista per la più grave ipotesi di guida in stato di ebbrezza (nonchè per il reato di rifiuto di sottoporsi all'alcoltest e di guida sotto l'influenza di sostanze psicotrope), è ora qualificata come sanzione amministrativa e non più penale, come in precedenza, sciogliendo dubbi interpretativi, era stato affermato da questa Corte (Sez. Un. 25 febbraio 2010, Rv.247042) e dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 196/2010).

Dunque, il legislatore operando una specifica scelta, ha optato per la natura amministrativa della confisca di cui all'art. 186 C.d.S., in riferimento alle ipotesi di reato sopra ricordate, e per la natura amministrativa anche della procedura di sequestro del veicolo (art. 224 ter C.d.S.): di tal che risulta inconferente il richiamo del P.G. ricorrente all'art. 91 disp. att. c.p.p., con riferimento al veicolo che, nella concreta fattispecie, non risulta essere stato sottoposto a confisca.

Ma, pur con l'entrata in vigore della ennesima modifica al C.d.S., è rimasto fermo l'obbligo (previsto per espressa disposizione di legge anche prima dell'ultima novella di cui alla L. n. 120 del 2010, in quanto introdotto con la riforma del 2008) per il giudice di disporre la confisca (quale sanzione amministrativa accessoria, al pari della sospensione della patente di guida) nel caso di sentenza di condanna o di applicazione della pena per quei reati per i quali la stessa è prevista dalla legge quale ulteriore conseguenza.

Dunque, analogamente a quanto avviene già per l'applicazione (obbligatoria) della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida, il giudice dispone la confisca con sentenza che a cura del cancelliere viene trasmessa in copia al prefetto competente (art. 224 ter C.d.S., comma 2, come novellato), salvo che il veicolo appartenga a persona estranea al reato.

In effetti, la trasformazione della natura giuridica del vincolo reale da penale ad amministrativo non implica la violazione del principio di legalità previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 1, in tema di sanzioni amministrative.

Invero, il citato art. 1 recita nnessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione", quest'ultima da intendersi, ovviamente, "amministrativa". Ma la violazione, per il caso che ci occupa (art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), del codice della strada), non integra un'ipotesi di condotta illegale amministrativa, ma esclusivamente penale, solo che per essa si applica anche una sanzione che ha natura amministrativa (confisca).

Sul punto concernente la confisca, l'impugnata sentenza deve essere pertanto annullata, con rinvio al Tribunale che si pronuncerà al riguardo tenuto conto di quanto sopra precisato, procedendo agli opportuni accertamenti in punto di fatto circa l'effettiva appartenenza al B. del veicolo condotto da quest'ultimo, così come precisato dal ricorrente P.G. il quale tuttavia non ha allegato alcuna documentazione a sostegno di tale assunto.

Parimenti fondata è la censura relativa all'omessa sospensione della patente di guida. Ed invero, come previsto dall'art. 186 C.d.S., per il reato in questione deve essere obbligatoriamente applicata la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, anche nell'ipotesi di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 del codice di rito, come già a suo tempo ritenuto da questa Corte anche a Sezioni Unite (Sez. Un., n. 8488 del 1998, Bosio, RV. 210981), prima delle modifiche apportate al codice della strada con le quali la sanzione amministrativa accessoria "de qua" ha formato oggetto di espressa previsione normativa quale conseguenza obbligatoria anche nel caso di sentenza di patteggiamento. Anche in proposito, dunque, l'impugnata sentenza deve essere annullata con rinvio.

Nè la disposizione dell'art. 186 C.d.S., comma 9 bis - secondo cui in caso di svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità possa far seguito la revoca della confisca e la riduzione della durata della sospensione della patente di guida - può far venir meno l'obbligo per il giudice di applicare con la sentenza le sanzioni amministrative che non possono essere pretermesse in attesa dell'esito dell'espletamento del lavoro di pubblica utilità e delle successive valutazioni al riguardo del giudice competente.

Non è di ostacolo all'annullamento della sentenza il rilievo che, nel frattempo, il reato ascritto al prevenuto è giunto a prescrizione in data 28.8.2013, non rientrando l'ipotesi in esame nell'ambito di applicabilità dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza del 19.1.2000, ric. Tuzzolino, con la quale si è affermato che nel caso di condanna non è di ostacolo alla dichiarazione della prescrizione la circostanza che la impugnazione non abbia avuto od oggetto l'affermazione di responsabilità dell'imputato ma la sola quantificazione della pena.

Il caso di specie è, infatti, evidentemente diverso poichè in esso la impugnazione riguarda la omessa applicazione di sanzioni accessorie di natura amministrativa che devono accedere obbligatoriamente alla sentenza di condanna (o, come nel caso in esame, di patteggiamento). La speciale natura della sanzione - che non perde il suo carattere amministrativo per il solo fatto che l'applicazione è demandata al giudice in caso di accertamento di taluni reati - rende inapplicabile il principio affermato dalla Sezioni Unite poichè quando il gravame abbia devoluto unicamente la mancata applicazione di detta sanzione è evidente che tutti gli aspetti penali della regiudicanda, tra cui l'affermazione di responsabilità e la pena, debbono ritenersi coperti dal giudicato:

di tal che, la sanzione accessoria amministrativa, se omessa, potrà essere successivamente applicata anche nel caso in cui nel frattempo sia intervenuta la prescrizione del reato oggetto della sentenza di condanna o di applicazione della pena (conf.: Sez. 4, n. 6725 del 22/03/1999 Ud. - dep. 28/05/1999 - Rv. 213815; Sez. 4, n. 40894 del 08/10/2009 Ud. - dep. 23/10/2009 - Rv. 245525; Sez. 4, n. 4146 del 18/09/2000 Cc. - dep. 06/10/2000 - Rv. 217379, in relazione a sentenza di patteggiamento).

A conforto di detta interpretazione - vale a dire la possibilità di applicazione della sanzione accessoria prescindendo dalla prescrizione - vi è un ulteriore argomento con specifico riferimento alla sospensione della patente di guida: ed invero, in caso di concorso tra la sospensione della patente disposta dal Prefetto e quella disposta dal giudice per lo stesso fatto, anche se il periodo di sospensione stabilito col provvedimento prefettizio non può essere computato all'atto della determinazione della durata della sanzione amministrativa definitivamente applicata dal giudice, tuttavia non vi potrà essere cumulabilità tra i due periodi ond'è che, nella fase di esecuzione, la sospensione della patente concretamente attuata in seguito al provvedimento prefettizio dovrà essere comunque computato a vantaggio dell'imputato e sottratta dal periodo (che verrà) autonomamente stabilito dal giudice (così Sez. 4, n. 4146/2000, già sopra citata).
Rispondi

Da: ila11/12/2013 11:43:14
per gli assegni c'è la 47932/2011..il fatto è identico e la cassazione lo qualifica come ricettazione in concorso con truffa aggravata!!!
Rispondi

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Da: Maresù11/12/2013 11:54:09
Vedete un pò ( aggiornatelo)

Allo stato attuale la persona che, trovandosi alla guida di un autoveicolo o motoveicolo, in stato di ebbrezza alcoolica o sotto l'effetto di sostanze stupefacenti, provochi un incidente stradale cui consegua la morte od il ferimenti di terze persone, risponde a titolo di colpa del proprio gesto.
In buona sostanza all'agente verrà contestato o l'ipotesi di cui all'art. 589 co. 2° c.p. (in caso di morte) o l'ipotesi di cui all'art. 590 c.p. (in caso di lesioni, solo nell'evenutalità che la parte offesa sporga querela entro novanta giorni dall'evento).
A tali imputazioni potrà essere affiancata o la contestazione dell'art. 186 Cds o quella dell'art. 187 Cds a seconda della tipologia della sostanza indebitamente assunta.
E' di tutta evidenza, dunque, che - in questa fase - la condotta dell'agente viene punita sotto il profilo esclusivamente e puramente colposo, cioè si ritiene che l'incidente stradale sia stata determinato da una responsabilità che si fonda su di una colpa del soggetto.
Le conseguenze letali o lesive manifestatesi non sono, quindi, state volute dall'agente né preventivamente, né in corso di verificazione dei fatti.
Si evidenzia, altresì, come l'elemento soggettivo della colpa venga configurato attraverso il ricorso a due principali elementi indicati dall'art. 43 co. 1 teza parte c.p. "l'imprudenza" oppure "l'inosservanza di leggi o regolamenti".
La struttura normativa attuale non tiene, infatti, in alcun conto la circostanza che, nell'iter progressivo di commissione del fatto, interviene purtroppo spesso, in maniera eziologicamente decisiva, una condotta dolosa assolutamente rilevante e che consiste nella sciente e consapevole assunzione da parte dell'autore del fatto illecito - in spregio a precetti di contenuto penalmente indiscutibile - di sostanze (stupefacenti od alcool) che sono fortemente idonee ad alterare la di lui capacità di conduzione di un veicolo nel traffico.
La normativa codicistica vigente, infatti, appare predisposta allo scopo di punire comportamenti tipicamente connotati da carattersi di negligenza od imprudenza od imperizia, cioè situazioni nelle quali si appalesi un errore di valutazione compiuto dal soggetto circa la necessaria mancanza di rischi o di pericolo per la circolazione e quindi di manovre di emergenza per il conducente (Cfr. Cass. civ. Sez. III, 18-02-1998, n. 1724 , Zoccoli c. Soc. Allsecures assicur., Mass. Giur. It., 1998).
L'errore efficiente nella sequenza finalisticamente rilevante avviene e si sviluppa, pertanto, all'interno di una situazione di "normalità ed idoneità" delle condizioni soggettive (sia fisica, che sopratutto psichiche) in cui la persona versa.
Tale condizione di ideazione e rappresentazione della realtà viene, dunque, turbata, distorta ed alterata solamente da una valutazione ex parte del tutto soggettiva, ancorchè errata, ma che non è affatto cagionata da una incapacità naturale del soggetto, sopravvenuta quale conseguenza di un comportamento volontario, quale la situazione in cui si viene a trovare chi abbia dato corso all'assunzione di sostanze vietate.
La responsabilità nei casi cd. "di normalità colposa" consiste, dunque, in un'involontaria deroga a quei severi doveri di prudenza e diligenza richiesti normativamente per fare fronte a situazioni di pericolo e che sono imposti, anche quando siano determinate da altri comportamenti irresponsabili; sicchè la fiducia di un conducente nel fatto che altri si attengano alle prescrizioni del legislatore, se mal riposta, costituisce di per sè condotta negligente (Cfr. Cass. pen. Sez. IV, 28 marzo 1996, n. 4257, Cass. pen. Sez. IV, 28-03-1996, n. 4257, Lado, Cass. Pen., 1997, 1014, Riv. Polizia, 1997, 1014).
Si tratta, all'evidenza, di una situazione assolutamente diversa da quella in cui si viene a trovare un soggetto che, anteriormente, alla scelta di porsi alla guida di un veicolo a motore, pur consapevole del divieto di condurre un mezzo in precise condizioni personali e, quindi, affatto ignaro l'illiceità della propria condotta (in relazione al successivo comportamento che andrà a tenere) assuma le sostanze vietate, più volte ricordate.
E' questo, quindi, un comportamento fortemente caratterizzato dalla presenza di una componente di dolo, perchè a mente dell'art. 43 co. 1 prima parte c.p. "e' doloso, o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che e' il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, e' dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione" e non si può certo sostenere che l'ingestione di droghe od alcoolici sia frutto di una mera imprudenza od inosservanza di leggi o regolamenti etc..
In realtà, appare del tutto evidente che la composita costruzione (o ricostruzione) di una vicenda, nella quale emergano quali dati in fatto
1.    un incidente stradale,
2.    la presenza di persone ferite o decedute, e distruzione di cose,
3.    lo stato di provata alterazione psico fisica di colui che abbia provocato il sinistro,
non rientra sic et simpliciter in una sistematica di omicidio doloso, cioè nello stereotipo dell'omicidio volontario di cui all'art. 575 c.p., né tanto meno nello spettro della norma di cui all'art. 584 c.p. che regola la preterintenzione.
La natura ibrida della condotta globalmente considerata ci permette di ritenere di essere in presenza di un dolo iniziale che ripiega nel prosieguo su di un profilo di colpa.
Occorre, altresì, sul punto un breve analisi dell'elemento psicologico
Il dolo che si appalesa inizialmente, in una situazione del tipo di quella che si sta rappresentando, si riferisce, senza dubbio, alla condotta che il soggetto tiene, assumendo consapevolmente taluna delle sostanze più volte citate (droga ed alcool).
Il mero comportamento assuntivo del singolo, in sé e per sé ed avulso da ulteriori condotte penalmente rilevanti, non integra, né può integrare, affatto una violazione di legge penale, salvo che non venga concretamente ravvisato il superamento dei limiti dati - per l'ubriachezza - dagli artt. 687 e 688 c.p..
Per quanto attiene, invece, agli stupefacenti, pur non essendo assolutamente configurabile un diritto del singolo a drogarsi, si deve osservare che il consumatore (non cedente o spacciatore) di sostenze stupefacenti, che detenga sostanza psicotropa nei limiti di cui al co. 1 bis dell'art. 73 d.p.r. 309/90, è perseguibile solamente sul piano amministrativo, ai sensi dell'art. 75.
Giovi, però, aprire (e chiudere illico et immediate) una breve parentesi esplicativa, proprio per precisare che l'art. 75 (novellato dalla L. 49 del 2006) costituisce una delle più importanti conferme di quanto si va sostenendo, se è vero che al co. 1 detta norma prevede la sospensione della patente di guida o divieto di conseguirla.
Si tratta di una scelta normativa, che dimostra l'alta pericolosità della situazione che si riconnette all'uso di stupefacenti al punto da imporre un intervento di natura esclusivamente preventiva nei confronti di colui o coloro che vengano trovati nella disponibilità di modiche quantità di droga.
Ciò posto e premesso, è evidente la necessità di pervenire alla focalizzazione di quale debba essere l'elemento psicologico cui fare riferimento nella situazione specifica che si verifica - come detto - laddove l'incidente stradale sia stato provocato da un conducente che versava nello stato di alterazione richiamato e siano conseguiti effetti lesivi o letali.
Non pare dubbio che - in proposito, vertendo in un ambito di progressione criminosa - si debba tenere in considerazione, originariamente, tutte le fasi dell'evoluzione psicologica del soggetto.
Come affermato, esse - sotto il profilo sostanziale - sono due, l'una dolosa, l'altra colposa, giacchè è chiaro che la conseguenza lesiva che la condotta del conducente del veicolo provoca a terzi non è voluta.
Ciò nonostante, va riconosciuta, seppur preliminarmente, peso specifico al profilo doloso, posto che esso opera pregnante riferimento ad un comportamento che, pur non essendo in radice configurante reato, diviene in itinere, invece, vero e proprio illecito penale, ai sensi dell'art. 186 o 187 Cds (a seconda dei casi).
In quest'ottica, dunque si è in presenza di una condotta (il bere od il drogarsi) che, associata, al condurre un veicolo a motore ( di grossa cilindrata nel caso di specie), assume veste di reato doloso e si pone come elemento propedeutico o prodromico eziologicamente rilevante rispetto a precise conseguenze fattuali e giuridiche (incidente stradale con lesioni o morte).
Si deve, dunque, valutare se una simile progressione criminosa possa rientrare nello stereotipo di cui all'art. 586 c.p., oppure se sia necessario fare un passo ulteriore in avanti.
In primo luogo è evidente che, allo stato, la natura di contravvenzioni, elemento che caratterizza geneticamente sia l'ipotesi di cui all'art. 186 che all'art. 187 Cds, non permetterebbe affatto di poter fare rientrare le condotte punite, con tali norme, nel novero di quei presupposti di fatto richiamati dall'art. 586 c.p. e cioè nella categoria dei "delitti dolosi".
Vi è poi da rilevare, sempre ad indirizzo negativo, che la più recente giurisprudenza ha precisato che "La responsabilità penale per morte o lesioni costituenti conseguenza non voluta di altro delitto doloso non è fondata sul mero rapporto di causalità materiale fra la precedente condotta e l'evento diverso, ma postula l'accertamento di un coefficiente di «prevedibilità» della morte o delle lesioni, in quanto forma di «responsabilità per colpa»" (Cfr. Cass. pen. Sez. V, 07-02-2006, n. 14302).
In questo modo si è posto l'accento sulla natura prettamente colposa del reato susseguente a quello originario, profilo che appare confermato nell'architettura della norma in questione anche dal riferimento applicativo alle sanzioni - seppur aumentate - sancite dagli artt. 589 e 590 c.p. (che regolano come noto l'omicidio colpo e lesioni colpose) che vengono posti in relazione al disposto dell'art. 83 c.p..
In buona sostanza il tessuto testuale della disposizione in parola opera un preciso riferimento anche all'ipotesi di aberratio delicti prevista al citato art. 83 c.p. che recita sotto la rubrica "Evento diverso da quello voluto dall'agente".
Fuori dei casi preveduti dall'articolo precedente, se, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un'altra causa, si cagiona un evento diverso da quello voluto, il colpevole risponde, a titolo di colpa, dell'evento non voluto, quando il fatto e' preveduto dalla legge come delitto colposo.
Se il colpevole ha cagionato altresi' l'evento voluto, si applicano le regole sul concorso dei reati.
Vi è, da ultimo, da sottolineare un solo aspetto, che pare recuperabile alla causa che si propunga e cioè che per la Sez. IV della S.C., ( sent. 25-01-2006, n. 19179, Bellino e altri, Riv. Pen., 2007, 1, 54) In tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, pur definendosi il rapporto tra il delitto voluto e l'evento non voluto in termini di causalità materiale, la condotta delittuosa deve avere insito, in sé, il rischio non imprevedibile né eccezionale di porsi come concausa di morte o lesioni.
La breve rassegna svolta induce, dunque, a ritenere che la vigente struttura della norma di cui all'art. 586 c.p. che si caratterizza per un forte connotato colposo e per la presupposizione quale prodromo di un delitto doloso - [così come concepita allo stato attuale] - osti irreversibilmente e completamente rispetto a qualsiasi ipotesi di piena sussunzione della situazione descritta ed in esame nel nomotipo.
Vi è, però, da osservare e ritenere che il parallelismo svolto sino ad ora fra la condotta che si va studiando e la previsione dell'art. 586 c.p. possa suggerire un ambito applicativo diverso.
Pur apparendo differente dal dolo diretto, il dolo eventuale appare ad esso assimilabile - sul piano della realtà psicologica - in quanto l'agente, "pur in presenza della rappresentazione delle possibili ulteriori conseguenze della propria azione criminosa, continui ad agire a costo di provocarle, accettandone il rischio e trasferendo, quindi, nel raggio della volontà ciò che era solo nella previsione" (Cfr. Sez. 1 30.5.80 n. 9699).
Il paradigma testè indicato presenta la peculiarità che connota il tipo di elemento psicologico in esame e che lo differenzia dalla cd. colpa cosciente, la quale presuppone la convinzione del non verificarsi dell'evento, che peraltro rimane astrattamente possibile.
Rispondi

Da: potenza11/12/2013 11:57:16
l'anno scorso ero nei tuoi stessi panni, senza aiutino.
In attesa nn delle soluzioni ma al terzo mese
Rispondi

Da: roberto do11/12/2013 11:59:05
tentata truffa, Corte di cassazione - Sezione II penale - Sentenza 4 dicembre 2013 n. 48433 carcere pervisto

ricettazione continuata,
sostituzione di persona e falsità materiale commessa da privato. "

Rispondi

Da: faraon11/12/2013 12:02:45
parere traccia 2? dove
Rispondi

Da: Jac11/12/2013 12:05:08
qualcuno può postare il testo integrale della sentenza n. 47932 del 2011?
Rispondi

Da: enby11/12/2013 12:07:06
sentenza n. 47932 del 2011 è questa giusto?

SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. CASUCCI Giuliano - Presidente - del 07/10/2011
Dott. GENTILE Domenico - Consigliere - SENTENZA
Dott. CAMMINO Matilde - Consigliere - N. 1699
Dott. MACCHIA Alberto - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. DIOTALLEVI Giovanni - rel. Consigliere - N. 27774/2011
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) \XXX\, XXX;
2) \XXX\, XXX;
avverso l'ordinanza n. 633/2011 TRIB. LIBERTA' di VENEZIA, del
11/05/2011;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNI DIOTALLEVI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. Spinaci Sante, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
\XXX\ e \XXX\ hanno proposto ricorso per cassazione avverso
l'ordinanza del Tribunale di Verona in data 11 maggio 2011, con la
quale e' stato respinto il reclamo proposto dai due indagati avverso
l'ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP presso lo stesso
Tribunale anche in ordine ai reati di cui agli artt. 56, 648 bis e
648 c.p., per avere i medesimi aperto dei conti correnti bancari ove
distintamente e in varie occasioni avevano versato degli assegni di
provenienza delittuosa, utilizzando false identita'.
A sostegno dell'impugnazione i ricorrenti hanno dedotto:
a) Violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).
Nullita' del provvedimento impugnato per violazione dell'art. 648 bis
c.p..
I ricorrenti hanno evidenziato che in relazione ai reati ascritti ai
capi a), b), c), della misura cautelare impugnata doveva essere
ritenuto il reato di ricettazione ex art. 648 c.p. e non anche quello
di riciclaggio ex art. 648 bis c.p., in quanto nella specie avevano
perseguito il fine di conseguire la riscossione degli assegni, con la
conseguenza che sarebbe mancato quel "quid pluris" proprio del
delitto di riciclaggio coincidente con il fine di nascondere
l'origine illecita del bene; secondo i ricorrenti, infatti,
l'utilizzazione di false identita' non era rivolta allo scopo di
ostacolare le indagini di polizia giudiziaria, indagini sempre
possibili in base ai dati identificativi degli assegni, bensi' al
piu' limitato scopo di trarre in errore i dipendenti dell'istituto di
credito e conseguire cosi' l'illecito profitto della riscossione
degli assegni.
b) Violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per erronea
applicazione delle regole sulla competenza per territorio ex art. 8
c.p.p., e ss..
Secondo i ricorrenti il corretto inquadramento dei fatti nelle
fattispecie sopraindicate determinerebbe l'incompetenza per
territorio ex art. 9 dell'A.G. di Verona, essendo competente quella
di Napoli ove gli imputati risiedono e avevano ricevuto i titoli;
c) Violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per erronea
applicazione degli artt. 56 e 648 bis c.p. nella qualificazione
giuridica dei fatti contestati ai capi d'imputazione B) e C) quali
reati consumati e non quali meri tentativi;
Secondo i ricorrenti i reati contestati non potevano ritenersi
consumati al momento del versamento degli assegni rubati presso gli
istituti di credito, in quanto il reato di riciclaggio si perfeziona
non con il semplice versamento, ma quando i capitali illeciti sono
restituiti a colui che li aveva movimentati;
d) Violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per erronea
applicazione dell'art. 275 c.p.p. sotto il profilo dell'ottemperanza
ai principi di proporzionalita' ed adeguatezza nella scelta del tipo
di misura cautelare da applicare, in considerazione dello stato
d'incensuratezza degli indagati.
Osserva la Corte che il ricorso deve essere accolto nei limiti e
sensi piu' oltre chiariti, con particolare riferimento alla
qualificazione giuridica dei fatti contestati. Sotto questo profilo
ritiene la Corte che i reati da attribuire agli indagati siano quelli
di ricettazione e di tentata truffa aggravata (o consumata, in
relazione agli elementi probatori acquisiti), oltre ai falsi
contestati e non quello di riciclaggio.
La numerosa giurisprudenza in materia evidenzia la complessita' delle
fattispecie che vengono ricomprese sotto quest'ultima figura
delittuosa che punisce infatti "chiunque sostituisce o trasferisce
denaro, beni o altre utilita' provenienti da delitto non colposo,
ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da
ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa".
Dalla lettura della norma si desume che il delitto di riciclaggio,
non piu' distinguibile da quello di ricettazione sulla base dei
delitti presupposti, si differenzia strutturalmente dal secondo reato
oltre che nell'elemento soggettivo (scopo di lucro come dolo
specifico nella ricettazione, e dolo generico per il riciclaggio)
nell'elemento materiale e in particolare nella idoneita' a ostacolare
l'identificazione della provenienza del bene, che e' elemento
caratterizzante le condotte del delitto previsto dall'art. 648 bis
c.p..
La giurisprudenza , pertanto, e' stata attenta a sottolineare che
nelle ipotesi in cui il soggetto agente ponga in essere una condotta
che non sia idonea a ostacolare l'identificazione della provenienza
del denaro, dei beni o delle altra utilita', il fatto non puo' che
ricadere - concorrendone le condizioni - sotto la piu' ampia
fattispecie della ricettazione.
Nel caso in esame, e' pur vero che gli indagati aprirono conti
correnti sotto il falso nome dei beneficiari degli assegni di
provenienza delittuosa, in quanto oggetto di furto, ma non
apportarono alcuna manomissione sui titoli stessi, limitandosi a
presentare documenti falsi con le generalita' dei titolari effettivi
degli assegni. In realta', dunque, nel caso in esame, non vi fu
alcuna attivita' finalizzata ad ostacolare l'identificazione della
provenienza delittuosa dei titoli di credito in questione; ne' tale
puo' essere considerata la semplice operazione di versamento dei
titoli per aprire i conti correnti, dal momento che in mancanza di
manomissioni, alterazioni o falsificazioni dei medesimi, in realta'
e' rimasto abbastanza agevole verifi'care da parte dell'istituto
bancario, come in concreto e' avvenuto, la provenienza furtiva dei
titoli in questione. Ne e' prova la circostanza che l'arresto di uno
degli indagati e' avvenuto proprio presso uno degli istituti di
credito ove era tornato per perfezionare la truffa (tale e'
l'ulteriore reato in base al quale deve essere qualificata la
fattispecie concreta nell'ipotesi del tentativo o della consumazione)
posta in essere. La particolarita' della fattispecie, anche se
relativa a beni sostitutivi del denaro contante, porta dunque ad
escludere la sussistenza del reato di riciclaggio. Infatti,
nell'ipotesi in cui oggetto del reato sia il denaro contante, stante
la fungibilita' del bene, non puo' dubitarsi che il deposito in banca
di denaro "sporco" realizzi automaticamente la sostituzione di esso,
essendo la banca obbligata a restituire al depositante la stessa
quantita' di denaro depositato; non altrettanto puo' automaticamente
dirsi per l'attivita' propedeutica al cambio o alla monetizzazione di
assegni di provenienza illecita, in quanto la verifica dei titoli
viene comunque tempestivamente operata dall'istituto bancario.
Ritiene pertanto la Corte che nella fattispecie in esame proprio la
funzione specializzante del dolo e l'effetto dissimulatorio tipico
delle condotte, "a forma libera", di riciclaggio o di reimpiego in
attivita' economiche o finanziarie, dirette in ogni caso ad
ostacolare l'accertamento sulla reale origine delittuosa di denaro,
beni o altre utilita' venga a mancare, rilevando gli artifici e
raggiri propri della condotta dei soggetti attivi piuttosto al fine
di profitto che non a realizzare la "sostituzione" del denaro, del
bene o di altra utilita'; del resto la connotazione specializzante
del delitto previsto dall'art. 648 bis rispetto all'ipotesi della
ricettazione e' proprio la finalita' di "ripulire" il denaro, o altro
bene, di provenienza illecita. In sostanza l'aspetto prevalente, nel
caso in esame, a parere della Corte e' dato dal fatto che la
esibizione di documenti falsi per l'apertura dei conti correnti, con
i nomi dei beneficiari degli assegni, senza che le attivita' poste in
essere sui beni di provenienza delittuosa fossero specificamente
dirette alla loro trasformazione parziale o totale, ovvero fossero
dirette ad ostacolare l'accertamento sull'origine delittuosa della
res, senza incidere direttamente, mediante alterazione dei dati
esteriori, sulla cosa in quanto tale, devono ritenersi dirette non
gia' a nascondere l'origine illegale del bene, ma solo a creare
incertezza sull'identita' del soggetto percettore del titolo ed a
consumare un'azione delittuosa qualificabile come truffa aggravata,
in considerazione degli importi riportati negli assegni (v. anche
Cass., Sez. 2, 14/10/2003 n. 47088 , CED 227731); e in giurisprudenza
e' stato sostenuto che anche l'indebito ottenimento con generalita'
false dell'apertura di un conto corrente bancario puo' costituire
ingiusto profitto, con correlativo danno della banca, atteso che la
disponibilita' del conto corrente bancario crea nel correntista la
possibilita' di emettere assegni oltre che di fruire di tutti gli
altri servizi bancari connessi all'esistenza del rapporto in
questione; vantaggi questi, a fronte dei quali si pone lo svantaggio
per la banca di aver instaurato il detto rapporto con un soggetto
che, per il fatto stesso di aver fatto ricorso ad artifici e raggiri
(nella specie consistiti essenzialmente dall'essersi presentati sotto
falso nome con falsa documentazione), non poteva garantire la minima
garanzia di affidabilita' (Cass., sez. 2, 4 aprile 1997, n. 10474);
peraltro rileva la Corte che la giurisprudenza appare costante nel
ritenere che il delitto di riciclaggio e' in relazione di specialita'
con il delitto di ricettazione perche' si compone della stessa
condotta di acquisto o ricezione di denaro o altra utilita',
arricchita dall'elemento aggiuntivo del compimento di attivita'
dirette ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa,
con la conseguenza che deve essere esclusa la configurabita' di tale
reato, in assenza di una chiara volonta' che concretizzi tale aspetto
specializzante, in favore della fattispecie del reato di ricettazione
in concorso , come nel caso di specie, con il reato di tentata truffa
aggravata o truffa consumata (sul rapporto di specialita' tra i reati
di riciclaggio e ricettazione vedi Cass., Sez. 2, 12/11/2010, n.
43730 , CED n. 248976; v. anche Cass., sez. 2, 29 maggio 2007, n.
32901, CED 237488).
In considerazione della diversa qualificazione giuridica dei fatti
attribuiti ai ricorrenti deve essere annullata l'ordinanza cautelare
in modo tale che il TDL possa rivalutare la proporzionalita' e
l'adeguatezza della misura coercitiva adottata per verificare se la
stessa, pur filtrata attraverso una diversa qualificazione giuridica
dei fatti, mantenga il giudizio di "gravita' dei reati", in relazione
al contesto malavitoso in cui la vicenda si e' realizzata e in
considerazione del fatto che tale contesto e' risultato in grado di
intercettare le spedizioni di missive contenenti assegni di notevole
spessore.
Il restante motivo e' inammissibile. Generica appare infatti
l'eccezione di incompetenza territoriale, in cui peraltro
l'applicazione dei criteri di cui all'art. 9 c.p. portano a radicare
allo stato la competenza presso la Procura della Repubblica del
Tribunale di Verona.
Alla luce delle suesposte considerazioni, qualificati i fatti
ascritti di riciclaggio e tentato riciclaggio come reati di
ricettazione e tentata truffa aggravata (o consumata) deve essere
annullata l'impugnata ordinanza limitatamente alle esigenze
cautelari; il ricorso deve essere rigettato nel resto e gli atti
devono essere trasmessi al Tribunale di Venezia sul punto.
La cancelleria deve provvedere ai sensi dell'art. 94 disp. att.
c.p.p..
P.Q.M.
Qualificati i fatti ascritti di riciclaggio e tentato riciclaggio
come reati di ricettazione e tentata truffa aggravata, annulla
l'impugnata ordinanza limitatamente alle esigenze cautelari; rigettai
nel resto il ricorso e rinvia gli atti al Tribunale di Venezia per
nuovo esame sul punto.
Si provveda ai sensi dell'art. 94 disp. att. c.p.p..
Cosi' deciso in Roma, il 7 ottobre 2011.
Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. CASUCCI Giuliano - Presidente - del 07/10/2011
Dott. GENTILE Domenico - Consigliere - SENTENZA
Dott. CAMMINO Matilde - Consigliere - N. 1699
Dott. MACCHIA Alberto - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. DIOTALLEVI Giovanni - rel. Consigliere - N. 27774/2011
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) \XXX\, XXX;
2) \XXX\, XXX;
avverso l'ordinanza n. 633/2011 TRIB. LIBERTA' di VENEZIA, del
11/05/2011;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNI DIOTALLEVI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. Spinaci Sante, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
\XXX\ e \XXX\ hanno proposto ricorso per cassazione avverso
l'ordinanza del Tribunale di Verona in data 11 maggio 2011, con la
quale e' stato respinto il reclamo proposto dai due indagati avverso
l'ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP presso lo stesso
Tribunale anche in ordine ai reati di cui agli artt. 56, 648 bis e
648 c.p., per avere i medesimi aperto dei conti correnti bancari ove
distintamente e in varie occasioni avevano versato degli assegni di
provenienza delittuosa, utilizzando false identita'.
A sostegno dell'impugnazione i ricorrenti hanno dedotto:
a) Violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).
Nullita' del provvedimento impugnato per violazione dell'art. 648 bis
c.p..
I ricorrenti hanno evidenziato che in relazione ai reati ascritti ai
capi a), b), c), della misura cautelare impugnata doveva essere
ritenuto il reato di ricettazione ex art. 648 c.p. e non anche quello
di riciclaggio ex art. 648 bis c.p., in quanto nella specie avevano
perseguito il fine di conseguire la riscossione degli assegni, con la
conseguenza che sarebbe mancato quel "quid pluris" proprio del
delitto di riciclaggio coincidente con il fine di nascondere
l'origine illecita del bene; secondo i ricorrenti, infatti,
l'utilizzazione di false identita' non era rivolta allo scopo di
ostacolare le indagini di polizia giudiziaria, indagini sempre
possibili in base ai dati identificativi degli assegni, bensi' al
piu' limitato scopo di trarre in errore i dipendenti dell'istituto di
credito e conseguire cosi' l'illecito profitto della riscossione
degli assegni.
b) Violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per erronea
applicazione delle regole sulla competenza per territorio ex art. 8
c.p.p., e ss..
Secondo i ricorrenti il corretto inquadramento dei fatti nelle
fattispecie sopraindicate determinerebbe l'incompetenza per
territorio ex art. 9 dell'A.G. di Verona, essendo competente quella
di Napoli ove gli imputati risiedono e avevano ricevuto i titoli;
c) Violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per erronea
applicazione degli artt. 56 e 648 bis c.p. nella qualificazione
giuridica dei fatti contestati ai capi d'imputazione B) e C) quali
reati consumati e non quali meri tentativi;
Secondo i ricorrenti i reati contestati non potevano ritenersi
consumati al momento del versamento degli assegni rubati presso gli
istituti di credito, in quanto il reato di riciclaggio si perfeziona
non con il semplice versamento, ma quando i capitali illeciti sono
restituiti a colui che li aveva movimentati;
d) Violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per erronea
applicazione dell'art. 275 c.p.p. sotto il profilo dell'ottemperanza
ai principi di proporzionalita' ed adeguatezza nella scelta del tipo
di misura cautelare da applicare, in considerazione dello stato
d'incensuratezza degli indagati.
Osserva la Corte che il ricorso deve essere accolto nei limiti e
sensi piu' oltre chiariti, con particolare riferimento alla
qualificazione giuridica dei fatti contestati. Sotto questo profilo
ritiene la Corte che i reati da attribuire agli indagati siano quelli
di ricettazione e di tentata truffa aggravata (o consumata, in
relazione agli elementi probatori acquisiti), oltre ai falsi
contestati e non quello di riciclaggio.
La numerosa giurisprudenza in materia evidenzia la complessita' delle
fattispecie che vengono ricomprese sotto quest'ultima figura
delittuosa che punisce infatti "chiunque sostituisce o trasferisce
denaro, beni o altre utilita' provenienti da delitto non colposo,
ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da
ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa".
Dalla lettura della norma si desume che il delitto di riciclaggio,
non piu' distinguibile da quello di ricettazione sulla base dei
delitti presupposti, si differenzia strutturalmente dal secondo reato
oltre che nell'elemento soggettivo (scopo di lucro come dolo
specifico nella ricettazione, e dolo generico per il riciclaggio)
nell'elemento materiale e in particolare nella idoneita' a ostacolare
l'identificazione della provenienza del bene, che e' elemento
caratterizzante le condotte del delitto previsto dall'art. 648 bis
c.p..
La giurisprudenza , pertanto, e' stata attenta a sottolineare che
nelle ipotesi in cui il soggetto agente ponga in essere una condotta
che non sia idonea a ostacolare l'identificazione della provenienza
del denaro, dei beni o delle altra utilita', il fatto non puo' che
ricadere - concorrendone le condizioni - sotto la piu' ampia
fattispecie della ricettazione.
Nel caso in esame, e' pur vero che gli indagati aprirono conti
correnti sotto il falso nome dei beneficiari degli assegni di
provenienza delittuosa, in quanto oggetto di furto, ma non
apportarono alcuna manomissione sui titoli stessi, limitandosi a
presentare documenti falsi con le generalita' dei titolari effettivi
degli assegni. In realta', dunque, nel caso in esame, non vi fu
alcuna attivita' finalizzata ad ostacolare l'identificazione della
provenienza delittuosa dei titoli di credito in questione; ne' tale
puo' essere considerata la semplice operazione di versamento dei
titoli per aprire i conti correnti, dal momento che in mancanza di
manomissioni, alterazioni o falsificazioni dei medesimi, in realta'
e' rimasto abbastanza agevole verifi'care da parte dell'istituto
bancario, come in concreto e' avvenuto, la provenienza furtiva dei
titoli in questione. Ne e' prova la circostanza che l'arresto di uno
degli indagati e' avvenuto proprio presso uno degli istituti di
credito ove era tornato per perfezionare la truffa (tale e'
l'ulteriore reato in base al quale deve essere qualificata la
fattispecie concreta nell'ipotesi del tentativo o della consumazione)
posta in essere. La particolarita' della fattispecie, anche se
relativa a beni sostitutivi del denaro contante, porta dunque ad
escludere la sussistenza del reato di riciclaggio. Infatti,
nell'ipotesi in cui oggetto del reato sia il denaro contante, stante
la fungibilita' del bene, non puo' dubitarsi che il deposito in banca
di denaro "sporco" realizzi automaticamente la sostituzione di esso,
essendo la banca obbligata a restituire al depositante la stessa
quantita' di denaro depositato; non altrettanto puo' automaticamente
dirsi per l'attivita' propedeutica al cambio o alla monetizzazione di
assegni di provenienza illecita, in quanto la verifica dei titoli
viene comunque tempestivamente operata dall'istituto bancario.
Ritiene pertanto la Corte che nella fattispecie in esame proprio la
funzione specializzante del dolo e l'effetto dissimulatorio tipico
delle condotte, "a forma libera", di riciclaggio o di reimpiego in
attivita' economiche o finanziarie, dirette in ogni caso ad
ostacolare l'accertamento sulla reale origine delittuosa di denaro,
beni o altre utilita' venga a mancare, rilevando gli artifici e
raggiri propri della condotta dei soggetti attivi piuttosto al fine
di profitto che non a realizzare la "sostituzione" del denaro, del
bene o di altra utilita'; del resto la connotazione specializzante
del delitto previsto dall'art. 648 bis rispetto all'ipotesi della
ricettazione e' proprio la finalita' di "ripulire" il denaro, o altro
bene, di provenienza illecita. In sostanza l'aspetto prevalente, nel
caso in esame, a parere della Corte e' dato dal fatto che la
esibizione di documenti falsi per l'apertura dei conti correnti, con
i nomi dei beneficiari degli assegni, senza che le attivita' poste in
essere sui beni di provenienza delittuosa fossero specificamente
dirette alla loro trasformazione parziale o totale, ovvero fossero
dirette ad ostacolare l'accertamento sull'origine delittuosa della
res, senza incidere direttamente, mediante alterazione dei dati
esteriori, sulla cosa in quanto tale, devono ritenersi dirette non
gia' a nascondere l'origine illegale del bene, ma solo a creare
incertezza sull'identita' del soggetto percettore del titolo ed a
consumare un'azione delittuosa qualificabile come truffa aggravata,
in considerazione degli importi riportati negli assegni (v. anche
Cass., Sez. 2, 14/10/2003 n. 47088 , CED 227731); e in giurisprudenza
e' stato sostenuto che anche l'indebito ottenimento con generalita'
false dell'apertura di un conto corrente bancario puo' costituire
ingiusto profitto, con correlativo danno della banca, atteso che la
disponibilita' del conto corrente bancario crea nel correntista la
possibilita' di emettere assegni oltre che di fruire di tutti gli
altri servizi bancari connessi all'esistenza del rapporto in
questione; vantaggi questi, a fronte dei quali si pone lo svantaggio
per la banca di aver instaurato il detto rapporto con un soggetto
che, per il fatto stesso di aver fatto ricorso ad artifici e raggiri
(nella specie consistiti essenzialmente dall'essersi presentati sotto
falso nome con falsa documentazione), non poteva garantire la minima
garanzia di affidabilita' (Cass., sez. 2, 4 aprile 1997, n. 10474);
peraltro rileva la Corte che la giurisprudenza appare costante nel
ritenere che il delitto di riciclaggio e' in relazione di specialita'
con il delitto di ricettazione perche' si compone della stessa
condotta di acquisto o ricezione di denaro o altra utilita',
arricchita dall'elemento aggiuntivo del compimento di attivita'
dirette ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa,
con la conseguenza che deve essere esclusa la configurabita' di tale
reato, in assenza di una chiara volonta' che concretizzi tale aspetto
specializzante, in favore della fattispecie del reato di ricettazione
in concorso , come nel caso di specie, con il reato di tentata truffa
aggravata o truffa consumata (sul rapporto di specialita' tra i reati
di riciclaggio e ricettazione vedi Cass., Sez. 2, 12/11/2010, n.
43730 , CED n. 248976; v. anche Cass., sez. 2, 29 maggio 2007, n.
32901, CED 237488).
In considerazione della diversa qualificazione giuridica dei fatti
attribuiti ai ricorrenti deve essere annullata l'ordinanza cautelare
in modo tale che il TDL possa rivalutare la proporzionalita' e
l'adeguatezza della misura coercitiva adottata per verificare se la
stessa, pur filtrata attraverso una diversa qualificazione giuridica
dei fatti, mantenga il giudizio di "gravita' dei reati", in relazione
al contesto malavitoso in cui la vicenda si e' realizzata e in
considerazione del fatto che tale contesto e' risultato in grado di
intercettare le spedizioni di missive contenenti assegni di notevole
spessore.
Il restante motivo e' inammissibile. Generica appare infatti
l'eccezione di incompetenza territoriale, in cui peraltro
l'applicazione dei criteri di cui all'art. 9 c.p. portano a radicare
allo stato la competenza presso la Procura della Repubblica del
Tribunale di Verona.
Alla luce delle suesposte considerazioni, qualificati i fatti
ascritti di riciclaggio e tentato riciclaggio come reati di
ricettazione e tentata truffa aggravata (o consumata) deve essere
annullata l'impugnata ordinanza limitatamente alle esigenze
cautelari; il ricorso deve essere rigettato nel resto e gli atti
devono essere trasmessi al Tribunale di Venezia sul punto.
La cancelleria deve provvedere ai sensi dell'art. 94 disp. att.
c.p.p..
P.Q.M.
Qualificati i fatti ascritti di riciclaggio e tentato riciclaggio
come reati di ricettazione e tentata truffa aggravata, annulla
l'impugnata ordinanza limitatamente alle esigenze cautelari; rigettai
nel resto il ricorso e rinvia gli atti al Tribunale di Venezia per
nuovo esame sul punto.
Si provveda ai sensi dell'art. 94 disp. att. c.p.p..
Cosi' deciso in Roma, il 7 ottobre 2011.
Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. CASUCCI Giuliano - Presidente - del 07/10/2011
Dott. GENTILE Domenico - Consigliere - SENTENZA
Dott. CAMMINO Matilde - Consigliere - N. 1699
Dott. MACCHIA Alberto - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. DIOTALLEVI Giovanni - rel. Consigliere - N. 27774/2011
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) \XXX\, XXX;
2) \XXX\, XXX;
avverso l'ordinanza n. 633/2011 TRIB. LIBERTA' di VENEZIA, del
11/05/2011;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNI DIOTALLEVI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. Spinaci Sante, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
\XXX\ e \XXX\ hanno proposto ricorso per cassazione avverso
l'ordinanza del Tribunale di Verona in data 11 maggio 2011, con la
quale e' stato respinto il reclamo proposto dai due indagati avverso
l'ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP presso lo stesso
Tribunale anche in ordine ai reati di cui agli artt. 56, 648 bis e
648 c.p., per avere i medesimi aperto dei conti correnti bancari ove
distintamente e in varie occasioni avevano versato degli assegni di
provenienza delittuosa, utilizzando false identita'.
A sostegno dell'impugnazione i ricorrenti hanno dedotto:
a) Violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).
Nullita' del provvedimento impugnato per violazione dell'art. 648 bis
c.p..
I ricorrenti hanno evidenziato che in relazione ai reati ascritti ai
capi a), b), c), della misura cautelare impugnata doveva essere
ritenuto il reato di ricettazione ex art. 648 c.p. e non anche quello
di riciclaggio ex art. 648 bis c.p., in quanto nella specie avevano
perseguito il fine di conseguire la riscossione degli assegni, con la
conseguenza che sarebbe mancato quel "quid pluris" proprio del
delitto di riciclaggio coincidente con il fine di nascondere
l'origine illecita del bene; secondo i ricorrenti, infatti,
l'utilizzazione di false identita' non era rivolta allo scopo di
ostacolare le indagini di polizia giudiziaria, indagini sempre
possibili in base ai dati identificativi degli assegni, bensi' al
piu' limitato scopo di trarre in errore i dipendenti dell'istituto di
credito e conseguire cosi' l'illecito profitto della riscossione
degli assegni.
b) Violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per erronea
applicazione delle regole sulla competenza per territorio ex art. 8
c.p.p., e ss..
Secondo i ricorrenti il corretto inquadramento dei fatti nelle
fattispecie sopraindicate determinerebbe l'incompetenza per
territorio ex art. 9 dell'A.G. di Verona, essendo competente quella
di Napoli ove gli imputati risiedono e avevano ricevuto i titoli;
c) Violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per erronea
applicazione degli artt. 56 e 648 bis c.p. nella qualificazione
giuridica dei fatti contestati ai capi d'imputazione B) e C) quali
reati consumati e non quali meri tentativi;
Secondo i ricorrenti i reati contestati non potevano ritenersi
consumati al momento del versamento degli assegni rubati presso gli
istituti di credito, in quanto il reato di riciclaggio si perfeziona
non con il semplice versamento, ma quando i capitali illeciti sono
restituiti a colui che li aveva movimentati;
d) Violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per erronea
applicazione dell'art. 275 c.p.p. sotto il profilo dell'ottemperanza
ai principi di proporzionalita' ed adeguatezza nella scelta del tipo
di misura cautelare da applicare, in considerazione dello stato
d'incensuratezza degli indagati.
Osserva la Corte che il ricorso deve essere accolto nei limiti e
sensi piu' oltre chiariti, con particolare riferimento alla
qualificazione giuridica dei fatti contestati. Sotto questo profilo
ritiene la Corte che i reati da attribuire agli indagati siano quelli
di ricettazione e di tentata truffa aggravata (o consumata, in
relazione agli elementi probatori acquisiti), oltre ai falsi
contestati e non quello di riciclaggio.
La numerosa giurisprudenza in materia evidenzia la complessita' delle
fattispecie che vengono ricomprese sotto quest'ultima figura
delittuosa che punisce infatti "chiunque sostituisce o trasferisce
denaro, beni o altre utilita' provenienti da delitto non colposo,
ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da
ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa".
Dalla lettura della norma si desume che il delitto di riciclaggio,
non piu' distinguibile da quello di ricettazione sulla base dei
delitti presupposti, si differenzia strutturalmente dal secondo reato
oltre che nell'elemento soggettivo (scopo di lucro come dolo
specifico nella ricettazione, e dolo generico per il riciclaggio)
nell'elemento materiale e in particolare nella idoneita' a ostacolare
l'identificazione della provenienza del bene, che e' elemento
caratterizzante le condotte del delitto previsto dall'art. 648 bis
c.p..
La giurisprudenza , pertanto, e' stata attenta a sottolineare che
nelle ipotesi in cui il soggetto agente ponga in essere una condotta
che non sia idonea a ostacolare l'identificazione della provenienza
del denaro, dei beni o delle altra utilita', il fatto non puo' che
ricadere - concorrendone le condizioni - sotto la piu' ampia
fattispecie della ricettazione.
Nel caso in esame, e' pur vero che gli indagati aprirono conti
correnti sotto il falso nome dei beneficiari degli assegni di
provenienza delittuosa, in quanto oggetto di furto, ma non
apportarono alcuna manomissione sui titoli stessi, limitandosi a
presentare documenti falsi con le generalita' dei titolari effettivi
degli assegni. In realta', dunque, nel caso in esame, non vi fu
alcuna attivita' finalizzata ad ostacolare l'identificazione della
provenienza delittuosa dei titoli di credito in questione; ne' tale
puo' essere considerata la semplice operazione di versamento dei
titoli per aprire i conti correnti, dal momento che in mancanza di
manomissioni, alterazioni o falsificazioni dei medesimi, in realta'
e' rimasto abbastanza agevole verifi'care da parte dell'istituto
bancario, come in concreto e' avvenuto, la provenienza furtiva dei
titoli in questione. Ne e' prova la circostanza che l'arresto di uno
degli indagati e' avvenuto proprio presso uno degli istituti di
credito ove era tornato per perfezionare la truffa (tale e'
l'ulteriore reato in base al quale deve essere qualificata la
fattispecie concreta nell'ipotesi del tentativo o della consumazione)
posta in essere. La particolarita' della fattispecie, anche se
relativa a beni sostitutivi del denaro contante, porta dunque ad
escludere la sussistenza del reato di riciclaggio. Infatti,
nell'ipotesi in cui oggetto del reato sia il denaro contante, stante
la fungibilita' del bene, non puo' dubitarsi che il deposito in banca
di denaro "sporco" realizzi automaticamente la sostituzione di esso,
essendo la banca obbligata a restituire al depositante la stessa
quantita' di denaro depositato; non altrettanto puo' automaticamente
dirsi per l'attivita' propedeutica al cambio o alla monetizzazione di
assegni di provenienza illecita, in quanto la verifica dei titoli
viene comunque tempestivamente operata dall'istituto bancario.
Ritiene pertanto la Corte che nella fattispecie in esame proprio la
funzione specializzante del dolo e l'effetto dissimulatorio tipico
delle condotte, "a forma libera", di riciclaggio o di reimpiego in
attivita' economiche o finanziarie, dirette in ogni caso ad
ostacolare l'accertamento sulla reale origine delittuosa di denaro,
beni o altre utilita' venga a mancare, rilevando gli artifici e
raggiri propri della condotta dei soggetti attivi piuttosto al fine
di profitto che non a realizzare la "sostituzione" del denaro, del
bene o di altra utilita'; del resto la connotazione specializzante
del delitto previsto dall'art. 648 bis rispetto all'ipotesi della
ricettazione e' proprio la finalita' di "ripulire" il denaro, o altro
bene, di provenienza illecita. In sostanza l'aspetto prevalente, nel
caso in esame, a parere della Corte e' dato dal fatto che la
esibizione di documenti falsi per l'apertura dei conti correnti, con
i nomi dei beneficiari degli assegni, senza che le attivita' poste in
essere sui beni di provenienza delittuosa fossero specificamente
dirette alla loro trasformazione parziale o totale, ovvero fossero
dirette ad ostacolare l'accertamento sull'origine delittuosa della
res, senza incidere direttamente, mediante alterazione dei dati
esteriori, sulla cosa in quanto tale, devono ritenersi dirette non
gia' a nascondere l'origine illegale del bene, ma solo a creare
incertezza sull'identita' del soggetto percettore del titolo ed a
consumare un'azione delittuosa qualificabile come truffa aggravata,
in considerazione degli importi riportati negli assegni (v. anche
Cass., Sez. 2, 14/10/2003 n. 47088 , CED 227731); e in giurisprudenza
e' stato sostenuto che anche l'indebito ottenimento con generalita'
false dell'apertura di un conto corrente bancario puo' costituire
ingiusto profitto, con correlativo danno della banca, atteso che la
disponibilita' del conto corrente bancario crea nel correntista la
possibilita' di emettere assegni oltre che di fruire di tutti gli
altri servizi bancari connessi all'esistenza del rapporto in
questione; vantaggi questi, a fronte dei quali si pone lo svantaggio
per la banca di aver instaurato il detto rapporto con un soggetto
che, per il fatto stesso di aver fatto ricorso ad artifici e raggiri
(nella specie consistiti essenzialmente dall'essersi presentati sotto
falso nome con falsa documentazione), non poteva garantire la minima
garanzia di affidabilita' (Cass., sez. 2, 4 aprile 1997, n. 10474);
peraltro rileva la Corte che la giurisprudenza appare costante nel
ritenere che il delitto di riciclaggio e' in relazione di specialita'
con il delitto di ricettazione perche' si compone della stessa
condotta di acquisto o ricezione di denaro o altra utilita',
arricchita dall'elemento aggiuntivo del compimento di attivita'
dirette ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa,
con la conseguenza che deve essere esclusa la configurabita' di tale
reato, in assenza di una chiara volonta' che concretizzi tale aspetto
specializzante, in favore della fattispecie del reato di ricettazione
in concorso , come nel caso di specie, con il reato di tentata truffa
aggravata o truffa consumata (sul rapporto di specialita' tra i reati
di riciclaggio e ricettazione vedi Cass., Sez. 2, 12/11/2010, n.
43730 , CED n. 248976; v. anche Cass., sez. 2, 29 maggio 2007, n.
32901, CED 237488).
In considerazione della diversa qualificazione giuridica dei fatti
attribuiti ai ricorrenti deve essere annullata l'ordinanza cautelare
in modo tale che il TDL possa rivalutare la proporzionalita' e
l'adeguatezza della misura coercitiva adottata per verificare se la
stessa, pur filtrata attraverso una diversa qualificazione giuridica
dei fatti, mantenga il giudizio di "gravita' dei reati", in relazione
al contesto malavitoso in cui la vicenda si e' realizzata e in
considerazione del fatto che tale contesto e' risultato in grado di
intercettare le spedizioni di missive contenenti assegni di notevole
spessore.
Il restante motivo e' inammissibile. Generica appare infatti
l'eccezione di incompetenza territoriale, in cui peraltro
l'applicazione dei criteri di cui all'art. 9 c.p. portano a radicare
allo stato la competenza presso la Procura della Repubblica del
Tribunale di Verona.
Alla luce delle suesposte considerazioni, qualificati i fatti
ascritti di riciclaggio e tentato riciclaggio come reati di
ricettazione e tentata truffa aggravata (o consumata) deve essere
annullata l'impugnata ordinanza limitatamente alle esigenze
cautelari; il ricorso deve essere rigettato nel resto e gli atti
devono essere trasmessi al Tribunale di Venezia sul punto.
La cancelleria deve provvedere ai sensi dell'art. 94 disp. att.
c.p.p..
P.Q.M.
Qualificati i fatti ascritti di riciclaggio e tentato riciclaggio
come reati di ricettazione e tentata truffa aggravata, annulla
l'impugnata ordinanza limitatamente alle esigenze cautelari; rigettai
nel resto il ricorso e rinvia gli atti al Tribunale di Venezia per
nuovo esame sul punto.
Si provveda ai sensi dell'art. 94 disp. att. c.p.p..
Cosi' deciso in Roma, il 7 ottobre 2011.
Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011
Rispondi

Da: Rosario1211/12/2013 12:09:34
A questo quesito dà risposta la sentenza in esame, affermando, con un'argomentazione a nostro avviso persuasiva, la configurabilità dei delitti di ricettazione, anziché di riciclaggio, come ritenuto dai giudici di merito, e di truffa (consumata o tentata a secondo dei casi).

Prendendo le mosse dal dato letterale della disposizione di cui all'art. 648-bis c.p., la Suprema Corte ha messo in luce che il delitto di riciclaggio si differenzia dal delitto di ricettazione, oltre che per l'elemento soggettivo (scopo di lucro come dolo specifico nella ricettazione, dolo generico per il riciclaggio) per l'elemento materiale, nel senso che l'art. 648-bis c.p. esige una condotta che sia idonea ad ostacolare l'identificazione della provenienza del bene; diversamente, il fatto, ricorrendone le condizioni, ricade nella previsione dell'art. 648 c.p. (in giurisprudenza, nel senso che il delitto di riciclaggio è in relazione di specialità con il delitto di ricettazione perché si compone della stessa condotta di acquisto o ricezione di denaro o altra utilità, arricchita dall'elemento aggiuntivo del compimento di attività dirette ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa, con la conseguenza che deve essere esclusa la configurabità di tale reato, in assenza di una chiara volontà che concretizzi tale aspetto specializzante, in favore della fattispecie del reato di ricettazione in concorso cfr. Cass., Sez. 2, 12 novembre 2010, n. 43730 , in C.E.D. Cass., n. 248976; Cass., Sez. 2, 29 maggio 2007, n. 32901, ivi, n. 237488).

Nel caso di specie, se era vero che l'indagato aveva aperto un conto corrente sotto il falso nome, utilizzando quello del beneficiario degli assegni di provenienza delittuosa, in quanto oggetto di furto, tuttavia non aveva apportato alcuna manomissione sui titoli, essendosi limitato a presentare documenti falsi con le generalità dei titolari effettivi degli assegni.

Di conseguenza, ha esattamente sottolineato la Cassazione, «non vi fu alcuna attività finalizzata ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa dei titoli di credito in questione; nè tale può essere considerata la semplice operazione di versamento dei titoli per aprire i conti correnti, dal momento che in mancanza di manomissioni, alterazioni o falsificazioni dei medesimi, in realtà è rimasto abbastanza agevole verificare da parte dell'istituto bancario, come in concreto è avvenuto, la provenienza furtiva dei titoli in questione».

Nella vicenda in esame, anche se relativa a beni sostitutivi del denaro contante, non era perciò ravvisabile il delitto di riciclaggio; infatti, il mero deposito in banca di denaro "sporco" non realizza, per ciò solo, la "sostituzione" di esso, «essendo la banca obbligata a restituire al depositante la stessa quantità di denaro depositato».

In sostanza, l'esibizione di documenti falsi per l'apertura del conte corrente, con il nome del beneficiario degli assegni, era finalizzata non ad ostacolare l'accertamento sull'origine delittuosa della res, che non era stato alterata né manomessa, quanto, piuttosto, ad incassare gli assegni medesimi, con ciò realizzando il delitto di truffa aggravata.
Rispondi

Da: Ramon6911/12/2013 12:12:05
non la preferisco la soluzione di controcampus se non parzialmente. cmq se non sbagli credo trattasi di sentenze estese. L'ideale sarebbe lo schemetto tipo di svolgimento della traccia.
Rispondi

Da: furiaceka11/12/2013 12:15:20
La soluzione di controcampus secondo me non tiene conto dell'ultima sentenza del 2013 che sovverte il precedente orientamento.
Rispondi

Da: mimema 11/12/2013 12:19:10
La Cassazione ritorna sulla distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente.
Cassazione penale, sez. IV, 24 marzo 2010, n. 11222.

L'argomento affrontato dalla quarta sezione della Corte di Cassazione riguarda l'inquadramento giuridico della condotta di colui il quale a seguito di incidente stradale provoca la morte di altri soggetti e, quindi, il tema del criterio distintivo tra colpa cosciente e dolo eventuale.
Il caso è quello di Tizio che, procedendo con la sua autovettura a velocità particolarmente elevata (circa 90 Km/h), durante l'attraversamento dell'incrocio, nonostante il semaforo segnalasse luce rossa e si trovasse in un centro abitato, investiva Caio e Sempronio a bordo di un motorino procurando loro lesioni gravissime, dalle quali derivava la morte. Nonostante l'impatto, Tizio proseguiva senza fermarsi e solo successivamente veniva identificato e sottoposto a fermo.
In primo grado Tizio veniva condannato per omicidio volontario, richiamando il giudice di prime cure, quanto alla qualificazione giuridica del fatto, i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità sulla differenza tra dolo eventuale e colpa cosciente e riteneva la sussistenza del primo di tali profili psicologici, rilevando che "l'imputato, alla guida di un'autovettura di grossa cilindrata, attraversando un incrocio in zona centrale della capitale, in orario in cui era elevata la circolazione pedonale e veicolare ..., procedendo a velocità estremamente elevata, non inferiore ai 90 km orari, attraversando consecutivamente due incroci nonostante il semaforo nella sua direzione di marcia indicasse luce rossa, si è evidentemente rappresentato il rischio di incidenti, anche con possibili gravi conseguenze. Ciò nonostante non ha desistito dalla sua folle condotta di guida, accettando almeno in parte il rischio di un evento drammatico".
Sul gravame dell'imputato, la Corte di Assise di Appello, riteneva il fatto sussumibile nella diversa ipotesi di reato di cui all'art. 589 c.p., comma 2, e art. 61 c.p., n. 3, richiamando anch'essi i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in materia, rilevando, fra l'altro, che l'inciso contenuto nell'art. 43 c.p. "quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente" mostra che "è necessario un qualche cosa in più perchè, a partire dalla previsione dell'evento, sia attinta la soglia del dolo, sia pure nella forma del dolo eventuale ...".; e che "occorre distinguere la volontà dell'evento dannoso dalla volontà di non osservare le leggi, regolamenti, ordini o discipline che quell'evento sono intesi ad evitare ". Osservavano che "il giudice dell'udienza preliminare ha fatto leva sulla gravità delle violazioni come parametro, pressochè esclusivo, alla stregua del quale ha, poi, desunto che l'imputato ha inteso agire "a rischio" di cagionare l'evento, e, perciò, in tal senso, "volendo" la morte di una persona".
Su ricorso del Procuratore generale, la Cassazione conferma la pronuncia della Corte d'Appello inquadrando l'elemento soggettivo come colpa cosciente.
La Corte, dopo aver esaminato le varie correnti giurisprudenziali e dottrinali in merito alla distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente, sottolinea che, poichè la previsione è anche elemento della colpa, è sul piano della volizione che va ricercata la distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente: "dolo eventuale si ha quando il rischio viene accettato a seguito di un'opzione, di una deliberazione con la quale l'agente consapevolmente subordina un determinato bene ad un altro", quando, oltre all'accettazione del rischio o del pericolo, "vi è l'accettazione, sia pure in forma eventuale, del danno, della lesione, in quanto essa rappresenta il possibile prezzo di un risultato desiderato".
Si è anche chiarito, con altra autorevole voce della dottrina, che "l'evento può dirsi accettato quando l'agente: a) si rappresenta almeno la possibilità positiva del verificarsi di esso; b) permane altresì nella convinzione o anche nel dubbio che esso possa concretamente verificarsi; c) tiene, ciononostante, la condotta quali ne siano gli esiti, anche a costo di cagionare l'evento e perciò accettandone il rischio; con una presa di posizione, con una scelta di volontà orientata nel senso della lesione e non del rispetto del bene tutelato".
Quanto al criterio dell'accettazione del rischio, la Corte precisa che è necessario sgomberare il campo da un possibile equivoco che potrebbe annidarsi nel mero richiamo a tale espressione: l'accettazione non deve riguardare solo la situazione di pericolo posta in essere, ma deve estendersi anche alla possibilità che si realizzi l'evento non direttamente voluto, pur coscientemente prospettasi. Posto che il dolo eventuale è pur sempre una forma di dolo e che l'art. 43 cpv. c.p., comma 1, richiede non soltanto la previsione, ma anche la volontà di cagionare l'evento, "la forma più tenue della volontà dolosa, oltre la quale si colloca la colpa (cosciente), è costituita dalla consapevolezza che l'evento, non direttamente voluto, ha la probabilità di verificarsi in conseguenza della propria azione nonchè dell'accettazione volontaristica di tale rischio" (Cass., Sez. Un., 12 ottobre 1993, n. 748/1994, cit.).
In altre parole, perché sussista il dolo eventuale, ciò che l'agente deve accettare è proprio l'evento - proprio la morte -; è il verificarsi della morte che deve essere stato accettato e messo in conto dall'agente, pur di non rinunciare all'azione che, anche ai suoi occhi, aveva la seria possibilità di provocarlo".
Massima: Occorre, quindi, accertare, per ritenere la sussistenza del dolo eventuale, che l'agente abbia accettato come possibile la verificazione dell'evento (nella fattispecie che occupa, la morte o la lesione di altri soggetti), non soltanto che abbia accettato una situazione di pericolo genericamente sussistente: ed è, altresì, necessario un quid pluris rispetto alla sola previsione dell'evento (che pure caratterizza la colpa cosciente), cioè l'accettazione, hic et nunc, della concreta probabilità che questo, ancorchè non direttamente voluto, abbia a realizzarsi, non desistendo l'agente dalla sua condotta, che continua ad essere dispiegata anche a costo di determinare l'evento medesimo. In sostanza, "accettazione del rischio" non significa accettare solo quella situazione di pericolo nella quale si inserisce la condotta del soggetto e prospettarsi solo che l'evento possa verificarsi, che tanto costituisce anche il presupposto della colpa cosciente; significa accettare anche la concreta probabilità che si realizzi quell'evento, direttamente non voluto.

spero possa essere utile
Rispondi

Da: Dura lex sed Lex11/12/2013 12:19:26
Sulla traccia degli assegni non avete nulla...
Rispondi

Da: Jac11/12/2013 12:19:34
postate il link di controcampus per favore?
Rispondi

Da: FOLLIA111/12/2013 12:19:39
ma smettetela!!!! NON SI VINCE NIENTE!!! solo un lasciapassare dopo che si è studiato come pazzi e si è stati schiavi di qlcno!!! smettiamola di disturbare chi cerca di aiutare... ma soprattutto siamo onesti se in Italia non ci fossero le lobby questa farsa non si farebbe! solo il libero mercato dopo la laurea ed il praticantato
Rispondi

Da: organizier11/12/2013 12:24:14
http://www.controcampus.it/wp-content/uploads/2013/12/Svolgimento-Completo-della-Prima-Traccia-Parere-Penale-Esame-Avvocato-2013.pdf?638e49
Rispondi

Da: Jac11/12/2013 12:29:25
organizzer cercavo quello relativo al secondo parere! furto di assegni
Rispondi

Da: KAL11/12/2013 12:30:00
Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 28 ottobre 2013, n. 43998.
L'elemento soggettivo della fattispecie della guida in stato di ebbrezza di cui all'articolo 186 C.d.S., non e' necessario il dolo, ma e' sufficiente la colpa, la quale, come esposto dal giudice di merito, si riscontra nella condotta dell'imputato, il quale si pose volontariamente alla guida di una autovettura (condotta che obbliga specificamente all'osservanza della disciplina che regola la circolazione stradale), nella consapevolezza di avere assunto da poco bevande alcoliche in quantita' non trascurabile, oltre ad un farmaco gastroprotettore
Rispondi

Da: avv. ric11/12/2013 12:32:36
possibile soluzione schematica traccia n. 2:
- analisi delle fattispecie penali emergenti. artt. 482 (in combinato disposto con l'art. 477), 640, 648 e 81 comma 2 c.p.
- applicazione dell'istituto del reato continuato ex art. 81 comma 3 cp, posto che i singoli delitti possono considerarsi come più azioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso (quello di incassare illecitamente l'importo degli assegni), commesse anche in tempi diversi ed in violazione di più di diverse disposizioni di legge (appunto gli articoli su citati)
- conseguente applicazione dell'amento fino al triplo della pena prevista per il reato più grave ovvero la ricettazione.

NB: parere risolto senza sentenze ma solo con le norme. con riferimento al reato di falsità materiale commessa dal privato in certificati o autorizzazioni amministrative, sarebbe opportuno indicare giurisprudenza che chiarisca il concetto di documento di identità
Rispondi

Da: olli12 11/12/2013 12:34:03
qui tutte le tracce aggiornate.. discussione in continuo aggiornamento http://doiop.com/36ghu4
Rispondi

Da: avv. ric11/12/2013 12:36:02
possibile soluzione schematica traccia n. 2:
- analisi delle fattispecie penali emergenti. artt. 482 (in combinato disposto con l'art. 477), 640, 648 e 81 comma 2 c.p.
- applicazione dell'istituto del reato continuato ex art. 81 comma 3 cp, posto che i singoli delitti possono considerarsi come più azioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso (quello di incassare illecitamente l'importo degli assegni), commesse anche in tempi diversi ed in violazione di più di diverse disposizioni di legge (appunto gli articoli su citati)
- conseguente applicazione dell'amento fino al triplo della pena prevista per il reato più grave ovvero la ricettazione.

NB: parere risolto senza sentenze ma solo con le norme. con riferimento al reato di falsità materiale commessa dal privato in certificati o autorizzazioni amministrative, sarebbe opportuno indicare giurisprudenza che chiarisca il concetto di documento di identità
Rispondi

Da: KAL11/12/2013 12:36:39
Codice penale

Art. 43 - Elemento psicologico del reato.

Il delitto:

•è doloso, o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione;
•è preterintenzionale, o oltre l'intenzione, quando dall'azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall'agente;
•è colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
La distinzione tra reato doloso e reato colposo, stabilita da questo articolo per i delitti, si applica altresì alle contravvenzioni, ogniqualvolta per queste la legge faccia dipendere da tale distinzione un qualsiasi effetto giuridico.



Art. 575 - Omicidio.

Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno.



Art. 589 - Omicidio colposo.

Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni.

Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da:

1) Soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2 lett c) del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;

2) Soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti e psicotrope.

Nei casi di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesione di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici.



QUESTIONE PROBLEMATICA:

Tizio risponde di omicidio volontario, sub specie di dolo eventuale, o di omicidio colposo, con previsione dell'evento?



INDICAZIONE MASSIME

Norma di riferimento: art. 43 c.p.

La categoria del dolo eventuale richiede la volontà dell'evento, sia pure nella forma indiretta, e questa deve essere perciò, convenientemente dimostrata attraverso gli elementi di prova comunemente impiegati nella ricostruzione del dolo. Tale categoria non può essere snaturata nella pratica attraverso una scorciatoia normativa, per superare le difficoltà probatorie che talora si incontrano nell'accertamento della volontà dell'evento. Cass., S.U., 15 dicembre 1992, n. 1095

Sussiste il dolo eventuale e non la colpa cosciente qualora l'agente non solo si sia rappresentato il concreto rischio del verificarsi dell'evento ma lo abbia anche accettato, nel senso che si sia determinato ad agire anche a costo di cagionarlo. Cass. pen. Sez V, 1 dicembre 2008,n. 44712

Il dolo va qualificato come eventuale quando l'agente si rappresenta la probabilità, o anche la semplice possibilità, che l'eventi si verifichi come conseguenza della sua condotta e accetti l'eventualità di tale verificazione. Cass.pen., sez II, 20 gennaio 2009, n. 2399
Il dolo eventuale si differenzia dalla colpa cosciente per la previsione dell'evento come concretamente e non solo astrattamente realizzabile, talchè, in mancanza dell'autonoma prova di tale circostanza,non è possibile ritenere che l'agente abbia voluto l'evento, a meno di non voler affermare sempre l'esistenza di un dolo in re ipsa per il solo fatto della consumazione di una condotta rimproverabile. Cass. pen., sez. IV, 25 marzo 2009, n.13083

Il reato colposo non cessa di essere tale quando l'agente abbia preveduto l'evento…, id est solo perché ha preveduto l'evento; è necessario un qualche cosa in più perché, a partire dalla previsione dell'evento, sia attinta la soglia del dolo, sia pure nella forma del dolo eventuale, giacchè il dolo eventuale, in quanto pure sempre, e innanzitutto, dolo, non cessa di richiedere la volontà dell'evento, che nel dolo significa, appunto, prevedere ed accettare che questo possa verificarsi. Anche l'elevato grado di colpa non si traduce di per sé nella prova che l'agente abbia voluto uccidere: diversamente il solo, pur nella sua forma eventuale, sarebbe ravvisabile in re ipsa " per il solo fatto di una condotta rimproverabile", o altamente rimproverabile, laddove, in effetti, la gravitò della colpa è elemento che dispiega i suoi effetti, quanto all'elemento psicologico del reato, ancora sul versante e nell'ambito di una condotta colposa, non ancora, solo per questo dolosa; il grado della colpa non vale ad individuare una soglia oltre la quale la colpa trasmodi in dolo. Cass. pen., sez IV, 18 febbraio 2010, n. 11222.

Il dolo eventuale presuppone che l'agente abbia superato il dubbio circa la possibilità che la condotta cagioni anche un vento non direttamente voluto, ed abbia tenuto la condotta anche a costo di cagionare quell'evento, accettandone quindi il prospettato verificarsi; la colpa con previsione ( o colpa cosciente) sussiste quando l'agente , pur prospettandosi la possibilità o probabilità del verificarsi di un evento non voluto come conseguenza della propria condotta, confidi tuttavia che esso non si verifichi. Cass. pen., sez. I, 1 agosto 2011,n. 30472

Il dolo eventuale si differenzia dalla colpa cosciente in quanto il primo consiste nella rappresentazione della concreta possibilità della realizzazione del fatto, con accettazione del rischio (e, quindi, volizione) di esso, mentre la seconda consiste nella astratta possibilità della realizzazione del fatto, accompagnata dalla sicura fiducia che in concreto esso non si realizzerà (quindi, non volizione). Ciò che è necessario e sufficiente per ritenere la sussistenza del dolo eventuale è la rappresentazione, nell'agente, anche della sola possibilità positiva del prodursi di un fatto di reato lesivo di un interesse tutelato dal diritto; lo stato di dubbio sulla possibilità che la condotta posta in essere esiti in un fatto di reato non esclude il dolo, poiché comunque suppone la rappresentazione dell'evento e l'accettazione del relativo rischio. Nella c.d. colpa cosciente, invece, il giudizio dubitativo sulla possibilità del verificarsi di un reato si conclude nel giudizio assertivo che il reato, pur previsto, non si verificherà per peculiari circostanze concrete, quali, ad esempio, la particolare perizia acquisita dall'agente in una certa attività. Cass. , pen., sez. I, 1 agosto 2012, n. 31449



CONCLUSIONI:

Sulla scorta di quanto esposto, è ragionevole prospettare a Tizio la concreta possibilità di essere condannato per il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale.


Rispondi

Da: Jean Valjean_ 11/12/2013 12:39:22
Ciò che mi viene in mente da una prima e veloce lettura:

Il parere sulla guida in stato di ebbrezza è più semplice:
ci sono 3 reati, di cui una contravvenzione:
1. guida in stato di ebbrezza;
2. omicidio
3. danneggiamento (da verificare quale el, soggettivo integri il predetto reato).
Quindi Concorso di reati e Cumulo.

Il secondo, comprende anch'esso più reati:
1. sostituzione di persona;
2. falso;
3. truffa;
4. e sicuramente un altro circa la consapevolezza dell'altruità degli assegni.

A differenza del parere n.1, qui si configura il reato continuato in quanto c'è il medesimo disegno criminoso.

La mia è una valutazione molto alla buona, maturata dopo una semplice lettura delle tracce.
Rispondi

Da: Dura lex sed Lex11/12/2013 12:50:37
Ragazzi qualche soluzione per la traccia sugli assegni.
Rispondi

Da: Fra11/12/2013 12:50:48
Quindi secondo voi e'aggravantemo concorso? Io propendo piu'per tesi aggravante come da cass20465
Rispondi

Da: kelly8109811/12/2013 12:51:32
una breve soluzione chiara per quello sull omicidio colposo per favoreeeee
Rispondi

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