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nuovo concorso uditore giudiziario 2010
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Da: diritto penale | 01/01/2011 19:46:54 |
ma davvero...ben detto diritto civile | |
Da: x GIANLU75 | 02/01/2011 10:44:50 |
scusa..ma a quanto ne so io caringella non organizza il corso on line stavolta...sul sito non se ne parla per niente!!! che info hai tu?? | |
Da: diritto amministrativo | 02/01/2011 14:11:26 |
complimenti a diritto civile e diritto penale per l'originalità dei nicknames | |
Da: gemma | 02/01/2011 17:29:48 |
Ho presentato la domanda a Dicembre per la prima volta, vorrei avere qualche consiglio sui testi e sull'impostazione dello studio...E soprattutto sui tempi di studio!!! | |
Da: Walter x gemma | 03/01/2011 08:20:35 |
allora gemma: 1) consiglio sui testi: usa il Bianca (civile), il Fiandaca (penale) e Caringella (amministrativo) 2) impostazione di studio: devi leggere tutto una prima volta, poi ripassare, poi farti degli schemi e imparare; memorizza poco e ragiona molto; ragiona molto sulle sentenze 3) tempi di studio: devi metterci non meno di 1 anno e non piu di 3; studia mattina e pomeriggio, almeno 6 ore al giorno; aumenta il ritmo man mano che ti avvicini all'ora x; trovati del tempo per altro e tromba nei weekend, fa rilassare tutto chiaro? | |
Da: gemma x Walter | 03/01/2011 11:55:35 |
Grazie Walter tutto chiarissimo, per le sentenze sei abbonato a qualche rivista in particolare? Penso che non riuscirò a prepare gli scritti per Luglio, sto iniziando a studiare ora e la vedo abbastanza in salita!!! Ho letto che entro l'anno dovrebbero bandire un altro concorso per cercare di colmare le carenze di organico, le prove scritte dovrebbero svolgersi a Novembre 2011... Per quanto riguarda la tecnica di rilassamento...lasciamo perdere, le trombate terapeutiche non fanno per me!! | |
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Da: Tizio x Walter | 03/01/2011 12:50:28 |
sei la prima persona equilibrata che dice cose sensate, ti ringrazio, stavo perdendo fiducia nel genere umano leggendo questo forum | |
Da: sellone ciampi | 03/01/2011 22:45:00 |
walter palombi fallito | |
Da: aspirante magistrato | 09/01/2011 12:03:20 |
Sulle riviste studium iuris e giornale di diritto amministrativo viene affrontata la traccia di amministrativo del concorso di luglio. | |
Da: per aspirante magistrato | 09/01/2011 19:36:14 |
Ho letto lo sviluppo del tema su studium iuris. In pratica una prima parte è riferita all'autotutela, poi si affronta il tema della natura giurica della d.i.a. Si critica l'impostazione pubblicistica affermando quella privatistica e, in tale contesto, si richiama, a tutela del terzo, l'azione di accertamento. | |
Da: ...... | 10/01/2011 18:22:24 |
la d.i.a. è ormai sosituita dalla c.d. "s.c.i.a." che ne prende il posto con applicabilità della (sostanzialmente) medesima disciplina giusamministrativistica | |
Da: x aspirante magistrato | 11/01/2011 09:41:55 |
perché viene richiamata l'azione di accertamento a tutela del terzo? | |
Da: ... | 11/01/2011 14:38:14 |
Viene richiamata per tutelare il terzo controinteressato che, altrimenti, resterebbe privo di tutela. In pratica si afferma la natura privatistica della dia criticando quella pubblicistica (che non pone problemi con riguardo al terzo, potendo questi agire davanti al g.a. nell'ordinario termine decadenziale). | |
Da: x aspirante magistrato | 11/01/2011 16:50:10 |
ma quest'azione di accertamento in cosa consiste, non capisco | |
Da: ... | 11/01/2011 17:11:04 |
Consiste nel consentire al g.a. una verifica sui presupposti ritenuti mancanti. La p.a. dovrà quindi conformarsi a tale giudicato. Tale azione rientra nel principio dell'effettività della tutela giurisdizionale prevista ex art. 24 Cost. Essa è stata ammessa da alcune pronunce del c.d.s. e rappresenta una forma di tutela del terzo che si oppone ad intervento edilizio assentito a seguito di dia. Altrimenti il terzo dovrebbe stimolare la p.a. ad intervenire in autotutela ricorrendo con il 21 bis L. Tar avverso il silenzio inadempimento della p.a. Ciò sempre che non si ravvisi nella dia natura pubblicistica non ponendosi in tal caso un problema di tutela per il terzo, il quale potrebbe ricorrere con un normale giudizio impugnatorio davanti al g.a. | |
Da: Secondo me | 11/01/2011 17:50:34 |
l'azione di accertamento c'entra poco o nulla | |
Da: x aspirante magistrato | 12/01/2011 13:01:20 |
ma dai l'azione di accertamento non ha senso, il terzo non ha mica un diritto soggettivo ad ottenere un accertamento dal giudice, ha solo un interesse legittimo al corretto esercizio del potere di verifica dei presupposti da parte della PA. quindi semmai deve andare dal giudice amm per il silenzio inadempimento della PA che ha omesso la verifica, oppure semmai impugnando l'atto di archiviazione che ha erroneamente ritenuto sussistenti i presupposti per l'attività del privato invece di emettere un provvedimento inibitorio. e poi per quanto riguarda l'autotutela, scusa non c'è mica l'obbligo di riesame in capo alla PA, secondo la giurispr amministrativa il riesame è da considerarsi un'attività spontanea, quindi il terzo non potrebbe agire col silenzio inadempimento per mancata autotutela....solo nel settore tributario l'autotutela della PA è considerata da dottrina e giurisprudenza prevalenti quale attività doverosa. | |
Da: aspirante magistrato | 12/01/2011 14:55:24 |
Non può stimolare l'autotutela perchè questa è attività discrezionale della p.a. e non vale a ripristinare la legalità violata. Quindi sotto questo aspetto il terzo non può agire con il 21 bis. D'altra parte non può nemmeno ricorrere direttamente davanti al g.a. avendo la dia natura privatistica. L'esigenza di tutela del terzo, infatti, non può portare a ritenere quella che è un'attività privata come pubblica o come una fattispecie ibrida che nasce privata e diviene pubblica per decorso del termine e per silentium. D'altra parte il principio di effettività della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) impone di tutelare il terzo. Per questo viene ammessa l'azione di accertamento attesa la sempre minore distanza tra diritti soggettivi e interessi legittimi e il fatto che quello amministrativo sia sempre più un giudizio sul rapporto e non sull'atto (art. 21 octies, 2° comma). Quindi, in conclusione, la dia non ha natura pubblicistica ma privatistica. Il richiamo all'autotutela non vale a fondare la tesi pubblicistica essendo lo stesso finalizzato solo a fondare un potere residuale della p.a. di intervenire anche quando è decorso il termine per l'esercizio del potere inibitorio. Tale autotutela, infatti, non è attività di secondo grado perchè non incide su una precedente manifestazione di volontà della p.a. Non avendo, la dia, natura pubblicistica ma privatistica, il terzo (non potendo ricorrere direttamente davanti al g.a. e non potendo agire con il 21 bis), può essere tutelato con l'azione di accertamento. | |
Da: kir | 12/01/2011 15:20:52 |
a te piu che il 21 bis te ce vorrebbe il 41 bis | |
Da: per Kir | 12/01/2011 16:34:09 |
Vedo che lo conosci bene... | |
Da: x kir | 12/01/2011 18:09:46 |
ahahahahahahahahahahahahaha!!!!!!!!!!! | |
Da: x aspirante magistrato | 13/01/2011 13:49:22 |
sì può darsi che tu abbia ragione...cmq vedremo come la commissione giudicherà questo tema e se l'azione di accertamento era effettivamente importante nell'economia del discorso. sono curioso, l'argomento è interessante! | |
Da: aspirante magistrato | 13/01/2011 14:26:02 |
Io ho seguito questo iter logico (che è quello proposto dal c.d.s. 717/09 e da altre pronunce sempre della IV sez.), altri hanno seguito altre strade. Sarei curioso di sapere, se qualcuno l'ha letta, qual è la ricostruzione fornita dalla rivista il giornale di diritto amministrativo (numero 12). Quella di studium iuris è sinteticamente descritta qualche post più sù. | |
Da: domandina | 14/01/2011 12:48:14 |
ma c.d.s. sono i credit defalt swaps no?? | |
Da: osservatore | 14/01/2011 12:57:47 |
Per maggiore chiarezza sul tema pocanzi disquisito riporto di seguito il brani salienti della pronuncia del Consiglio di Stato: "(...) Il tema della natura giuridica della d.i.a., e quello correlato della tutela dei terzi che si oppongono ad intervento edilizio assentito a seguito di d.i.a., ha sempre presentato profili teorici problematici. 7.1. Secondo un primo orientamento, la d.i.a. si tradurrebbe direttamente nell'autorizzazione implicita all'effettuazione dell'attività in virtù di una valutazione legale tipica, con la conseguenza che i terzi potrebbero agire innanzi al giudice per chiedere l'annullamento della determinazione formatasi in forma tacita (cfr., tra le più recenti, Cons. Stato, sez. IV, 25 novembre 2008 , n. 5811; Cons. Stato, sez. IV, 29 luglio 2008, n. 3742; Cons. Stato, sez. IV, 12 settembre 2007 , n. 4828; Cons. Stato, sez. VI, 05 aprile 2007 , n. 1550). Si tratterebbe, quindi, di un istituto del tutto peculiare, comunque 6 N.R.G. 9524/2003 assimilabile ad una istanza autorizzatoria, che, con il decorso del términe di legge, provoca la formazione di un "titolo", cioè di un provvedimento tacito di accoglimento di una siffatta istanza, che rende lecito l'esercizio dell'attività , (in questi termini, Cons. Stato, sez. IV, 25 novembre 2008, n. 5811). Secondo questa impostazione, la d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione dell'attività , ma rappresenta una semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo, sub specie dall'autorizzazione implicita di natura provvedimentale, a seguito del decorso di un termine (30 giorni) della presentazione della denunzia. 7.2. Diversi gli argomenti invocati a sostegno di questa posizione. 7.2.1. In primo luogo, un forte indizio a favore della tesi provvedimentale è oggi offerto dalla previsione espressa del potere dell'Amministrazione di assumere determinazioni in via di autotutela ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies (v. il comma 3 del nuovo art. 19): tale riferimento all'autotutela sembra, invero, presupporre un provvedimento, o comunque un titolo, su cui sono destinati ad incidere i provvedimenti di revoca o di annullamento, quali atti di secondo grado. Come è stato rilevato, inoltre, se è ammesso l'annullamento d'ufficio, parimenti, e tanto più, deve essere consentita l'azione di annullamento davanti al giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. VI, 05 aprile 2007 , n. 1550). 7.2.2. Ulteriori elementi a sostegno della natura provvedimentale si ricavano, con particolare riferimento alla d.i.a in materia edilizia, da alcune norme contenute nel testo unico dell'edilizia (approvato con D.P.R. n. 7 N.R.G. 9524/2003 380/2001). Viene, in primo luogo, in considerazione il comma 2-bis dell'art. 38 che, prevedendo, la possibilità di "accertamento dell'inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo", equipara detta ipotesi ai casi di "permesso annullato", avallando l'idea che la d.i.a. sia un titolo suscettibile di annullamento 7.2.3. Sulla stessa linea si pone l'art. 39, comma 5-bis, che consente l'annullamento straordinario della d.i.a. da parte della Regione, confermando, così, che la d.i.a. viene considerata dal legislatore come un titolo suscettibile di essere annullato (in sede amministrativa e, quindi, a maggior ragione, in sede giurisdizionale). 7.2.4. Rilevante, infine, è l'art. 22 il quale stabilisce che il confine tra l'ambito di operatività della d.i.a. e quello del permesso di costruire non sia fisso: le Regioni possono ampliare o ridurre l'ambito applicativo dei due titoli abilitativi, ferme restando le sanzioni penali (art. 22, comma 4), ed è comunque fatta salva la facoltà dell'interessato di chiedere il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione degli interventi assoggettati a d.i.a. (art. 22, comma 7). Per la tesi in esame, una simile previsione dimostrerebbe che d.i.a. e permesso di costruire sono di titoli abilitativi di analoga natura, che si diversificano solo per il procedimento da seguire. Sarebbe, allora, irragionevole, oltre che lesivo dell'effettività della tutela giurisdizionale, pensare che il terzo controinteressato incontri limiti diversi a seconda del tipo di titolo abilitativo, che può dipendere da una scelta della parte o da una diversa normativa regionale. 8 N.R.G. 9524/2003 Sarebbe, invece, preferibile ritenere che il formarsi di un determinato titolo abilitativo, o di un altro, non comporti alcun cambiamento sotto il profilo della tutela del terzo e del conseguente intervento del giudice, in alcun modo limitato dalla decadenza del potere di intervento dell'amministrazione. 7.3. La tesi appena esposta, seppure spinta dal pregevole intento di evitare che l'introduzione della d.i.a. possa avere l'effetto di diminuire le possibilità di tutela giurisdizionale offerte al terzo controinteressato, si presta, tuttavia, ad alcune considerazioni critiche. 7.3.1. Innanzitutto, dalla formulazione letterale dell'art. 19 l. n. 241/1990 (che rappresenta la norma generale cui fare riferimento per la disciplina e la ricostruzione dell'istituto) emerge in maniera chiara come la d.i.a. venga dal legislatore nettamente contrapposta al provvedimento amministrativo: è prevista proprio la sostituzione con una dichiarazione del privato di ogni autorizzazione comunque denominata (il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei requisiti o presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione per il rilascio). Già da questo primo dato normativo, si evince, quindi, che la principale caratteristica e la vera novità dell'istituto consiste proprio nella sostituzione dei tradizionali modelli procedimentali in tema di autorizzazione con un nuovo schema ispirato alla liberalizzazione delle attività economiche private, con la conseguenza che per l'esercizio delle 9 N.R.G. 9524/2003 stesse non è più necessaria l'emanazione di un titolo provvedimentale di legittimazione. 7.3.2. Come è stato bene evidenziato in dottrina, per effetto della previsione della d.i.a. la legittimazione del privato all'esercizio dell'attività non è più fondata, infatti, sull'atto di consenso della P.A., secondo lo schema "norma-potere-effetto", ma è una legittimazione ex lege, secondo lo schema "norma-fatto-effetto", in forza del quale il soggetto è abilitato allo svolgimento dell'attività direttamente dalla legge, la quale disciplina l'esercizio del diritto eliminando l'intermediazione del potere autorizzatorio della P.A. A seguito della denuncia, il soggetto pubblico verifica la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti. Gli unici provvedimenti rinvenibili nella fattispecie sono quelli meramente eventuali che la P.A. può emanare nel termine di legge per impedire la prosecuzione dell'attività o per imporre la rimozione degli effetti, ovvero quelli adottati in "autotutela" successivamente alla scadenza di questo termine. Il potere di verifica di cui dispone l'amministrazione, a differenza di quanto accade nel regime a previo atto amministrativo, non è finalizzato all'emanazione dell'atto amministrativo di consenso all'esercizio dell'attività , ma al controllo, privo di discrezionalità , della corrispondenza di quanto dichiarato dall'interessato rispetto ai canoni normativi stabiliti per l'attività in questione. Con la d.i.a, quindi, al principio autoritativo si sostituisce il principio dell'autoresponsabiltà dell'amministrato che è legittimato ad agire in via 10 N.R.G. 9524/2003 autonoma valutando l'esistenza dei presupposti richiesti dalla normativa in vigore. La d.i.a., in definitiva, è un atto di un soggetto privato e non di una pubblica amministrazione, che ne è invece destinataria, e non costituisce, pertanto, esplicazione di una potestà pubblicistica. 7.3.3. Del resto, la tesi del provvedimento amministrativo che si forma tacitamente si scontra anche con la considerazione che il silenzioassenso rappresenta pur sempre rimedio all'inerzia della P.A. e, pertanto, presuppone il potere-dovere di quest'ultima di provvedere con atto formale sull'istanza del privato, accogliendola o respingendola, potere-dovere che, a fronte della denuncia di inizio di attività , l'Amministrazione non possiede affatto. Sicché, mentre a fondamento del valore provvedimentale del silenzio assenso si pone una domanda dell'interessato, a fondamento della d.i.a. vi è una mera dichiarazione o denuncia attestante l'esistenza delle condizioni richieste dalla legge per l'esercizio dell'attività . L'Amministrazione non rilascia nessun atto di assenso dovendo solo verificare la sussistenza dei prescritti requisiti affinché l'interessato possa autonomamente intraprendere la preannunciata attività quale espressione del suo diritto come legislativamente prefigurato 7.3.4. E' appena il caso di aggiungere che se la d.i.a. fosse davvero un atto destinato ad avviare un procedimento destinato a concludersi con un provvedimento di accoglimento per silentium, tra d.i.a. e silenzio-assenso sarebbe arduo cogliere una sostanziale differenza. Al contrario, la legge n. 241/1990 delinea in due articoli differenti, il 19 e il 20, così mostrando di voler tenere distinti i due istituti e di attribuire loro una diversa funzione: 11 N.R.G. 9524/2003 mentre con la d.i.a. si attua una liberalizzazione dell'attività privata non più soggetta ad autorizzazione, il silenzio assenso non incide in senso abrogativo sul regime autorizzatorio, ma costituisce una mera semplificazione procedimentale, prevedendo una modalità di conseguimento dell'autorizzazione equipollente ad un provvedimento esplicito di accoglimento. 7.4. A fronte di queste considerazioni sistematiche, perdono in gran parte il loro peso gli opposti argomenti invocati a sostegno della natura provvedimentale della d.i.a. Essi, come si è visto, si fondano soprattutto sulla constatazione che il legislatore fa più volte riferimento all'esercizio di un potere di autotutela (normalmente di annullamento di ufficio) che ha per oggetto proprio la denuncia di inizio di attività . Ora, poiché l'autotutela decisoria è attività amministrativa di secondo grado, che presuppone l'esistenza di un atto amministrativo da rimuovere, da tali previsioni sembra facile argomentare nel senso che la d.i.a. sia un provvedimento. 7.4.1. In realtà , il riferimento compiuto dal legislatore al potere di autotutela non deve essere enfatizzato. L'art. 19 l. n. 241/1990, che richiama gli artt. 21-quinquies e 21- nonies, e le norme del T.U. edilizia sopra citate che prevedono l'annullamento d'ufficio della d.i.a., non hanno, in realtà , voluto sancire implicitamente la natura provvedimentale di tale fattispecie. Evocando l'autotutela (e, in particolare, l'annullamento d'ufficio), il legislatore, più che prendere posizione sulla natura giuridica dell'istituto, ha voluto solo chiarire che, anche dopo la scadenza del termine perentorio di 12 N.R.G. 9524/2003 trenta giorni per l'esercizio del potere inibitorio, la P.A. conserva un potere residuale di autotutela, da intendere, però, come potere sui generis, che si differenzia della consueta autotutela decisoria proprio perché non implica un'attività di secondo grado insistente su un procedente provvedimento amministrativo. Come è stato bene evidenziato in dottrina, il riferimento agli artt. 21- quinquies e 21-nonies l. n. 241/1990, contenuto nella l. n. 241/1990 consente alla P.A. di esercitare un potere che tecnicamente non è di secondo grado, in quanto non interviene su una precedente manifestazione di volontà dell'amministrazione, ma che con l'autotutela classica condivide soltanto i presupposti e il procedimento. In questo senso, deve ritenersi che il richiamo agli artt. 21 quinquies e 21 nonies vada riferito alla possibilità di adottare non già atti di autotutela in senso proprio, ma di esercitare i poteri di inibizione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti, nell'osservanza dei presupposti sostanziali e procedimentali previsti dal tali norme. In tal modo, il legislatore, nel recepire l'orientamento giurisprudenziale che ammetteva la sussistenza in capo alla P.A. di un potere residuale di intervento anche dopo la scadenza dl termine, si fa pure carico di tutelare l'affidamento che può essere maturato in capo al privato per effetto del decorso del tempo. Non vi è dubbio, invero, che la d.i.a., pur essendo un atto che proviene da un privato, sia comunque suscettibile, a causa del decorso del tempo e del mancato tempestivo esercizio del potere inibitorio da parte della P.A., di consolidare, analogamente a quanto potrebbe fare un provvedimento espresso, una affidamento meritevole di protezione. 13 N.R.G. 9524/2003 Tale affidamento non è certamente così forte da escludere qualsiasi potere di intervento da parte della P.A., anche perché altrimenti per effetto della d.i.a., si andrebbe a consolidare una posizione più stabile rispetto a quella che deriva del provvedimento autorizzatorio (il quale, ricorrendo le condizioni di legge, può essere appunto rimosso in via di autotutela). Ed allora, superando anche i dubbi interpretativi in passato da qualcuno sollevati circa l'esistenza di un residuo potere di intervento da parte della p.a. una volta scaduto il termine perentorio di 30 gg., la legge n. 80/2005, nel riformulare l'art. 19 l. n. 241/1990, ha precisato che la P.A. può vietare lo svolgimento dell'attività ed ordinare l'eliminazione degli effetti già prodotti anche dopo che è scaduto il termine perentorio. Lo potrà fare, però, soltanto se vi sono i presupposti per l'esercizio del potere di autotutela (in particolare dell'annullamento d'ufficio) e, quindi, entro un ragionevole lasso di tempo, dopo aver valutato gli interessi in conflitto e sussistendone le ragioni di interesse pubblico. 7.4.2. Il richiamo contenuto nell'art. 19 all'autotutela decisoria (o meglio alle norme che la disciplinano e ne fissano le condizioni di esercizio) va, quindi, ridimensionato. Quel riferimento, anzi, potrebbe addirittura essere invocato contro la tesi del titolo abilitativo tacito: perché se la d.i.a. fosse veramente un provvedimento non vi sarebbe nemmeno bisogno di prevedere un potere di annullamento d'ufficio o di revoca, essendo a tal fine sufficiente le norma generali di cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies. 7.5. Appurato che la d.i.a. non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita, ma un atto privato, si tratta ora di capire quale siano gli strumenti di tutela a disposizione del terzo che si ritenga leso. 14 N.R.G. 9524/2003 7.6. Alcuni ritengono che il terzo possa agire con lo strumento del silenzio-rifiuto; ed è questa la tesi sostenuta dagli appellanti principale e incidentale. Secondo questa impostazione, il terzo, decorso il termine per l'esercizio del potere inibitorio senza che la P.A. sia intervenuta, sarebbe legittimato a richiedere all'Amministrazione di porre in essere i provvedimenti di "autotutela" previsti, attivando in caso di inerzia il rimedio di cui all'art. 21-bis l. n. 1034/1971. Questa soluzione non è, tuttavia, condivisibile, perché finisce per compromettere notevolmente la possibilità di tutela del terzo. Innanzitutto, questi avrebbe l'onere, prima di agire in giudizio, di presentare apposita istanza sollecitatoria alla P.A. Inoltre, e soprattutto, l'istanza sarebbe diretta a sollecitare non il potere inibitorio di natura vincolata (che si estingue decorso il termine perentorio di 30 gg), ma il c.d. potere di autotutela evocato tramite il richiamo agli artt. 21-quinquies e 21-nonies. Tale potere, tuttavia, è ampiamente discrezionale, dovendo l'Amministrazione prima di intervenire valutare gli interessi in conflitto (tenendo conto anche dell'affidamento ingeneratosi in capo al denunciante) e la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, che non coincide con il mero ripristino della legalità violata. Nell'eventuale giudizio avverso il silenzio-rifiuto, quindi, il G.A. non potrebbe che limitarsi ad una mera declaratoria dell'obbligo di provvedere, senza poter predeterminare il contenuto del provvedimento da 15 N.R.G. 9524/2003 adottare (Cons. Stato, sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5271), e tutto ciò renderebbe ancor più lunga e faticosa la tutela del terzo. 7.7. Al contrario, per individuare gli strumenti di tutela che il terzo può attivare, si deve partire da una premessa di fondo, che scaturisce dal principio costituzionale dell'effettività della tutela giurisdizionale: quella secondo cui la sostituzione del provvedimento espresso con la d.i.a. non può avere l'effetto di diminuire le possibilità di tutela giurisdizionale offerte al terzo contro interessato, costringendolo negli angusti limiti del giudizio contro il silenzio-rifiuto. Gli strumenti di tutela giurisdizionale del terzo debbono rimanere sostanzialmente immutati anche laddove l'intervento edilizio (o, più ingenerale, l'attività svolta) trovi fondamento nella d.i.a. anziché nel provvedimento. Va, quindi, certamente condivisa la preoccupazione di assicurare al terzo l'effettività della tutela giurisdizionale, preoccupazione che, come si è visto, sta alla base della tesi che ammette l'azione di annullamento della d.i.a. innanzi al Giudice amministrativo. Tale preoccupazione non può, tuttavia, condurre allo stravolgimento della natura dell'istituto, trasformando quella che è una dichiarazione privata in un atto dell'amministrazione o in una fattispecie ibrida che nasce privata e. diventa pubblica per effetto del tempo trascorso e del silenzio. L'effettività della tutela deve essere assicurata al terzo mediante strumenti diversi dall'azione di annullamento, che siano perfettamente compatibili con la natura privatistica della d.i.a. 16 N.R.G. 9524/2003 7.8. Tale strumento di tutela non può, allora, che essere identificato nell'azione di accertamento autonomo che il terzo può esperire innanzi al giudice amministrativo per sentire pronunciare che non sussistevano i presupposti per svolgere l'attività sulla base di una semplice denuncia di inizio di attività . Emanata la sentenza di accertamento, graverà sull'Amministrazione l'obbligo di ordinare la rimozione degli effetti della condotta posta in essere dal privato, sulla base dei presupposti che il giudice ha ritenuto mancanti. 7.8.1. Non si ignora che in ordine all'ammissibilità innanzi al Giudice amministrativo di un'azione di accertamento autonomo sono stati prospettati numerosi dubbi, sia in dottrina, sia in giurisprudenza. Sono dubbi che nascono, innanzi tutto, dalla considerazione secondo cui un giudizio di accertamento sarebbe ammissibile solo in una controversia tra soggetti in posizione di parità e rispetto ai quali il giudice detiene il potere di fissare la disciplina puntuale del rapporto concreto. Quando, viceversa, sussiste un soggetto in posizione di supremazia (la Pubblica Amministrazione), la soluzione del conflitto di interessi sarebbe demandata a tale soggetto, che detiene e gestisce il potere, ed il sindacato del giudice, in tali casi, non può che assumere la struttura del controllo successivo dei modi di esercizio del potere, laddove, viceversa, un giudizio di accertamento del rapporto comporrebbe una inammissibile sostituzione all'Amministrazione nella titolarità e nella gestione del potere. Ancora, ulteriori ostacoli all'ammissione dell'azione di accertamento autonomo nel processo amministrativo derivano, secondo l'insegnamento tradizionale: a) dalla negazione, invalsa soprattutto in passato, che 17 N.R.G. 9524/2003 l'interesse legittimo sia una posizione giuridica sostanziale avente la stessa dignità del diritto soggettivo; b) dalla mancanza di un riconoscimento espresso dell'azione di accertamento da parte del legislatore, a differenza di quanto accade negli ordinamenti di altri Paesi che tale azione conoscono (par. 43 della VGeO tedesca); c) dalla tradizionale configurazione del giudizio amministrativo come giudizio sull'atto, e non sul rapporto, nell'ambito del quale, pertanto, al di là dei casi espressamente previsti dalla legge, l'unica azione proponibile sarebbe quella volta ad ottenere l'annullamento del provvedimento illegittimo; d) dalla limitazione dei mezzi di prova utilizzabili dal giudice amministrativo, il quale, pertanto, non sarebbe in grado, per la povertà dei suoi poteri istruttori, di compiere un accertamento pieno del rapporto controverso. 7.9. L'evoluzione normativa e giurisprudenziale dell'ultimo decennio ha determinato il superamento di una così rigida chiusura all'azione di accertamento del processo amministrativo, offendo, al contempo, numerosi argomenti che depongono a favore di una diversa soluzione. 7.9.1. In primo luogo, come hanno anche recentemente evidenziato le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la nota sentenza 23 dicembre 2008, n. 30254, "sono ormai definitivamente tramontate precedenti ricostruzioni della figura dell'interesse legittimo e della giurisdizione amministrativa, che il primo configuravano come situazione funzionale a rendere possibile l'intervento degli organi della giustizia amministrativa, e della seconda predicavano la natura di giurisdizione di tipo oggettivo, e dunque di mezzo direttamente volto a rendere possibile, attraverso una 18 N.R.G. 9524/2003 nuova determinazione amministrativa, il ripristino della legalità violata e solo indirettamente a realizzare l'interesse del privato". Nella specie va inoltre considerato che, la nozione di interesse legittimo serve anche a contraddistinguere il nucleo di facoltà , inerenti al diritto di proprietà il cui esercizio è ex lege subordinato al potere conformativo della p.a.. Più propriamente alcune modalità di godimento (facoltà ) a seguito dell'intervenuta modifica legislativa non devono essere pregiudizialmente assentite dalla p.a., ma presuppongono l'invio di una informativa (d.i.a.), assistita da un progetto. Trascorso infruttuosamente il termine di 30 giorni, l'agere licere del privato, titolare del bene, si riespande pienamente. Rientra nel potere della p.a. accertare la corretta utilizzazione della misura liberalizzatrice da parte del privato e di intervenire tempestivamente nei casi di suo uso distorto. Ciò significa che la nozione di interesse legittimo, utilizzata originariamente per contrassegnare situazioni sostanziali che non raggiungevano la soglia di tutela propria del diritto soggettivo, serve oggi anche a contrassegnare il nucleo di facoltà che, all'interno del diritto soggettivo, possono essere esercitate solo a seguito del positivo esercizio da parte della p.a. dal suo potere conformativo. In questi casi, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sulla titolarità del diritto, quello amministrativo giudica dal suo contenuto, del suo grado di tutela, a seconda che venga o meno in conflitto con interessi di rilevanza pubblicistica (urbanistica, ambiente, paesaggio ecc.) 19 N.R.G. 9524/2003 In tal senso si è chiaramente espressa la Corte Costituzionale con la sentenza 6 luglio 2004 n. 204. La Corte ha sottolineato che l'art. 24 della Costituzione assicura agli interessi legittimi "le medesime garanzie assicurate ai diritti soggettivi quanto alla possibilità di farli valere davanti al giudice ed alla effettività della tutela che questi deve loro accordare". La stessa attribuzione al Giudice amministrativo del potere di disporre il risarcimento del danno ingiusto anche nell'ambito della competenza generale di legittimità (ex art. 7 della legge n. 205 del 2000) affonda le sua radici, secondo la Corte, nell'art. 24 della Costituzione "il quale garantendo alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implica che il giudice sia munito di adeguati poteri". Anche la Corte Costituzionale ha dato, dunque, il proprio avallo alla piena parificazione tra diritti soggettivi e interessi legittimi quanto a possibilità di farli valere in giudizio, all'effettività della tutela e all'adeguatezza dei poteri del giudice. Come attenta dottrina non ha mancato di rilevare, questo criterio interpretativo generale deve presiedere alla ricostruzione delle disposizioni legislative oggi vigenti in materia di processo amministrativo e, per quel che più rileva in questa sede, deve rappresentare il punto di partenza nella risoluzione della questione relativa all'ammissibilità di una azione di accertamento nel processo amministrativo da parte del terzo che si ritenga leso dell'attività iniziata sulla base della d.i.a. 7.9.2. In senso contrario all'azione atipica di accertamento, non pare risolutiva nemmeno la tradizionale considerazione secondo cui il giudizio amministrativo è un giudizio sull'atto e non sul rapporto. 20 N.R.G. 9524/2003 In primo luogo, tale affermazione riguarda il giudizio di annullamento (che presuppone che sia stato emanato un provvedimento di cui si contesta l'illegittimità ); non può invece assumere rilevanza nell'ambito di un giudizio che non mira alla eliminazione del provvedimento, ma vuole, come nel caso di specie, ottenere un accertamento giurisdizionale (di inesistenza dei presupposti della d.i.a.) al fine di sollecitare il successivo esercizio del potere amministrativo. In questo caso, mancando il provvedimento da scrutinare, l'oggetto del giudizio non può che essere il rapporto che, secondo il ricorrente dovrebbe essere poi recepito nel successivo provvedimento repressivo. In secondo luogo, anche la tradizionale configurazione del giudizio di annullamento come giudizio sull'atto (e non sul rapporto) non è più così pacifica come era in passato. Citando ancora la recente sentenza delle Sezioni Unite n. 30254/2008, più indici normativi testimoniano la trasformazione in atto dello stesso giudizio sulla domanda di annullamento, da giudizio sul provvedimento a giudizio sul rapporto. Basti pensare: all'impugnazione con motivi aggiunti dei provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all'oggetto del ricorso (art. 21, primo comma, l. Tar, modificato dall'art. 1 l. n. 205/2000); al potere del giudice di negare l'annullamento dell'atto impugnato per vizi di violazione di norme sul procedimento, quando giudichi palese, per la natura vincolata del provvedimento, che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (art. 21-octies l. n. 241/1990, introdotto dall'art. 21 bis l. n. 15/2005); al potere del giudice amministrativo di conoscere la 21 N.R.G. 9524/2003 fondatezza dell'istanza nel giudizio avverso il silenzio-rifiuto (art. 2, comma 5, l. n. 241/1990, come modificato dalla l. n. 80/2005 in sede di conversione del d.l. n. 35/2005). Il giudizio amministrativo, rimane perciò, un giudizio sull'atto, ma in una versione diversificata a seguito della normativa sopravvenuta, nella quale va inclusa quella in esame, nel senso che il rapporto di cui il giudice amministrativo accerta la legittimità o è quello già riflesso nell'atto impugnato o è quello di cui il ricorrente pretende la trasfusione in un successivo atto della p.a., mediante l'esecuzione del giudicato nel caso di perdurante inerzia della p.a.. 7.9.3. Non appare decisivo nemmeno l'ostacolo derivante dalla mancanza di una norma espressa che preveda l'azione di accertamento nel processo amministrativo. Come è stato efficacemente rilevato dalla dottrina che si è occupata del tema, sotto questo profilo ricorre nel processo amministrativo una situazione del tutto analoga a quella del processo civile, nel quale pure manca un esplicito riconoscimento normativo generale dell'azione di accertamento (specifiche azioni di accertamento sono previste nel codice civile solo per i diritti reali). Ciò nonostante, nel processo civile l'azione di accertamento è pacificamente ammessa. A tale pacifico riconoscimento dell'azione di accertamento nel giudizio civile si giunge partendo dalla premessa concettuale che il potere di accertamento del giudice sia connaturato al concetto stesso di giurisdizione, sicché si può dire che non sussista giurisdizione e potere giurisdizionale se l'organo decidente non possa 22 N.R.G. 9524/2003 quanto meno accertare quale sia il corretto assetto giuridico di un determinato rapporto. L'azione di accertamento nel nostro ordinamento non è quindi un'azione "tipica" (come lo è, ad esempio, nel diritto processuale civile l'azione costitutiva ex art. 2908 c.c.), in quanto non è necessario un espresso riconoscimento normativo per ammetterne la vigenza. L'ammissibilità di tale azione discende di per sé dall'esistenza della giurisdizione che implica appunto lo "ius dicere". Ad analoghe conclusioni può giungersi per il processo amministrativo: sulle orme della dottrina prima evocata, si può ritenere che anche nel processo amministrativo il potere di accertamento del giudice non possa essere limitato alle sole ipotesi tipiche specificamente previste. La tipicità dell'azione di annullamento era coerente con la visione originaria del processo amministrativo come un processo impostato sulla tutela degli interessi legittimi oppositivi ai quali corrispondeva una pretesa a un "non facere" in capo all'amministrazione, cioè un dovere di astensione dall'emanare il provvedimento restrittivo della sfera giuridica dell'interessato. L'art. 45 del T.U. e l'art. 26, comma 2, della legge istitutiva dei Tar che individuano come unico dispositivo di accoglimento la sentenza di annullamento rispecchiavano perfettamente tale visione. Una siffatta visione non corrisponde più all'evoluzione legislativa e giurisprudenziale che ha attribuito rilevanza e pari dignità agli interessi legittimi pretensivi. 7.9.4. A favore dell'ammissibilità di una azione atipica di accertamento gioca un ruolo decisivo anche l'art. art. 24 della Costituzione. 23 N.R.G. 9524/2003 Tale norma sancisce il diritto di azione per la tutela degli interessi legittimi in sé considerati, e dunque, indipendentemente dal problema dell'annullamento dell'atto amministrativo. Viene così costituzionalizzato il carattere strumentale del processo rispetto al diritto sostanziale, in linea con la nota formula dottrinale secondo cui il processo deve dare per quanto è possibile praticamente a chi ha un diritto tutto quelle e proprio quello ch'egli ha diritto di conseguire. Ne deriva che anche per gli interessi legittimi la garanzia costituzionale impone di riconoscere l'esperibilità dell'azione di accertamento autonomo di questa posizione sostanziale, almeno in tutti i casi in cui, mancando il provvedimento da impugnare, una simile azione risulti necessaria per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del ricorrente. A tale risultato non può opporsi il principio di tipicità delle azioni, in quanto, come è stato di recente rilevato, uno dei corollari dell'effettività della tutela è anche il principio della atipicità delle forme di tutela, non diversamente da quello che accade nel processo civile. E non vi è ragione di differenziare, in linea di principio, sotto il profilo delle implicazioni che possono trarsi dall'art. 24 della Costituzione, il processo amministrativo dal processo civile, soprattutto se si riconosce all'interesse legittimo, com'è ormai pacifico, una rilevanza sostanziale analoga a quella del diritto soggettivo. Deve, allora, condividersi l'opinione di quanti sostengono che l'esigenza dell'effettività della tutela non può dirsi soddisfatta solo perché l'ordinamento consenta un rimedio giurisdizionale qualsiasi al diritto (o 24 N.R.G. 9524/2003 all'interesse) che si assume violato o insoddisfatto: occorre invece che la tutela assicuri in modo specifico l'attuazione della pretesa sostanziale. E sarebbe una tutela non effettiva quella che, sulla base di una aprioristica e indimostrata negazione dell'azione di accertamento, costringesse il terzo controinteressato rispetto all'attività edilizia iniziata sulla base della d.i.a. a presentare una istanza all'Amministrazione volta all'esercizio del c.d. potere di autotutela per poi ricorrere, in caso di mancata risposta, al giudizio contro il silenzio-rifiuto. 7.9.5. Né, in senso contrario, può assumere rilievo la considerazione, prima ricordata, secondo cui un giudizio di accertamento del rapporto comporrebbe una inammissibile sostituzione all'Amministrazione nella titolarità e nella gestione del potere. L'azione di accertamento prospettata in questa sede non scaturisce, infatti, dalla mera esigenza di eliminare una incertezza sulla posizione giuridica sostanziale, ma dalla più pregnante esigenza di eliminare una lesione già in atto, determinata dalla difformità tra lo stato di fatto e lo situazione di diritto, a causa della già intrapresa realizzazione di un intervento edilizio non consentito in base alle semplice d.i.a. Non si tratta, dunque, di una tutela preventiva dell'interesse legittimo del terzo che sarebbe in contrasto con il fatto che l'ordinamento ha attribuito all'Amministrazione la gestione di determinati rapporti. Si tratta, viceversa, di una tutela a posteriori, richiesta a seguito della asserita lesione dell'interesse legittimo del terzo contro interessato rispetto alla d.i.a. (...)" | |
Da: per i napoletani concorsisti. | 14/01/2011 14:33:05 |
ciao ragazzi, vorrei seguire un corso privato per la magistratura a napoli, ma per una serie di motivi mi interesserebbe uno in prossimità del centro storico, sapreste aiutarmi???non quello di mancusi baroni....mi interesserebbe PAGANO che riveveva alla caserma garibaldi, ma nn riesco a reperire notizie e num tel....grazie ragazzi e in bocca al lupo | |
Da: per i napoletani... | 15/01/2011 15:29:31 |
nessuno sa nulla? | |
Da: concorsista | 20/01/2011 00:05:02 |
Su un sito finalizzato al concorso è pubblicato lo svolgimento del tema di civile di luglio. Secondo me è un clamoroso fuori traccia qualcuno l'ha letta? Pareri? | |
Da: x concorsista | 20/01/2011 10:15:46 |
quale sarebbe il sito finalizzato al concorso?? | |
Da: concorsista | 20/01/2011 12:20:45 |
Non me lo fanno scrivere... Cmq lo trovi a pag. 40 (è il sesto messaggio partendo dal basso) | |
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