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CONCORSO MAGISTRATURA 2019
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Da: G18 | 05/06/2019 21:57:57 |
La traccia chiedeva di analizzare la penale responsabilità del riscossore nei reati di: -esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone, alla luce della qualificazione del reato in esame come "di mano propria", in cui cioè l'esattore NON può concorrere come coautore nella condotta tipica, ma solo come concorrente morale. Può però integrare i reati di estorsione o violenza privata, ove ne ricorrano i presupposti -usura, alla luce del suo "doppio momento consumativo" : se il reato si consuma con la sola pattuizione, il riscossore violento che fallisce (per cause a lui estranee) l' "incasso" NON può rispondere né di 110+644 né di 56+644, poiché ovviamente la fattispecie si è già perfezionata (potrà però rispondere di tentata estorsione, tentato favoreggiamento reale o violenza privata). Se si verifica la dazione, allora risponderà di 110+644 | |
Da: Ma | 05/06/2019 22:02:35 |
è chiaro che prima di arrivare all'estorsione occorre escludere i reati di cui agli articoli 392 e 393 del codice civile. DIfatti il tema doveva necessariamente partire da qui, ossia dall'eventuale potere che ha l'incaricato di agire per la riscossione. È un adiectus, un mandatario con o senza rappresentanza? È una delegazione di credito. Ma una volta escluso l'esercizio arbitrario si doveva chiarire se davvero sussiste l'estorsione o se invece non rincorre una violenza privata. C'era infatti da considerare la minaccia di un male giusto e tante altro cose. Problematica è anche la sussistenza del danno. E questo solo per citare alcuni aspetti. Il concorso non c'entra nulla. La concussione è configurabile perché esiste copiosa giurisprudienza che qualifica l'agente della riscossione come incaricato di pubblico servizio. E se può rendersi responsabile di peculato non si capisce perché non possa rispondere di concussione se vi sono gli altri presupposti. Il diritto non è una cosa così assurda come sembrate rappresentarlo. | |
Da: cercavigiustiziamatrovasti | 05/06/2019 22:05:48 |
Ciao a tutti. Premesso che penale non è certo la mia materia io ho analizzato la condotta dell' incaricato alla riscossione partendo dalla art. 610 poi 611 e dopo 629. Per il 610 ho fatto un cenno al 339. Ho poi Evidenziato la pena crescente nelle tre ipotesi. Per fare un esempio di condotta ex 611 ho citato il reato di chi promette di procacciatore voti in cambio di denaro, ipotizzando che la ragione della riscossione fosse quella. Poi sono passata all estorsione sottolineando che in tal caso la sanzione è maggiore perché la persona offesa non aveva assunto alcuna obbligazione ed ho ipotizzato alcuni casi. Poi ho analizzato la responsabilità dell' agente nel caso dalla violenza e minacce fossero derivante ulteriori conseguenze lesive. Infine ho ipotizzato l applicabilità di una responsabilità aggiuntiva ex degli art. 416 e 416 bis nel caso in cui la attività di riscossione sia attuata stabilmente al servizio di un associazione mafiosa... Più o meno questo. Seguendo la traccia questo mi è venuto fuori. Nella brutta avevo anche analizzato la posizione del creditore ma poi ho deciso di tagliarla perché mi sembrava fuori tema... Chissà | |
Da: lucia.pallotta | 05/06/2019 22:22:48 |
Io nel vuoto più totale ho inventato che il riscoscossore non può risponder di esercizio arbitrario ma di estorsione, e poi una chicca: l' esercizio arbitrario é al più configurabile in capo al "msndante" se si accetta la teoria dell'autore mediato :D | |
Da: cercavigiustiziamatrovasti | 05/06/2019 22:23:20 |
@nina 123 scusa ti rispondo solo oggi perché non mi sono più collegata. Io non ho affrontato il discorso della nullità perché la linea del discorso che ho seguito non mi ci ha portato. Non ti abbattere perché come dici tu se a livello di ragionamento ti quadra allora secondo me è andata bene. Considera anche che a molte persone la traccia non è piaciuta quindi non sarà un tema sommerso da migliaia di temi di gente che conosceva l argomento. Quindi il ragionamento premia. Come è andato penale? | |
Da: Federix94 | 05/06/2019 22:25:43 |
Io ho esposto tre possibili soluzioni, concorso ex art. 117 nel reato ex art. 392 o 393, estorsione o violenza privata come fattispecie monosoggettive. Ho escluso la prima soluzione, perché l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni è reato proprio esclusivo per cui non dovrebbe operare il 117. Ho poi escluso anche l'estorsione, perché il profitto che altri riceve (il creditore) non sarebbe ingiusto se il credito è lecito. Quindi, ho applicato la fattispecie generale di violenza privata. Sulla possibilità di scriminare la condotta per adempimento del dovere, ho escluso anche questa perché il dovere da incarico non rientra nel 51cp | |
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Da: FGLAW lha spiegata | 05/06/2019 22:30:48 |
PROVA SCRITTA IN DIRITTO PENALE 5 GIUGNO 2019 - CONCORSO MAGISTRATURA ORDINARIA - CLICCANDO SUL LINK CHE SEGUE POTRETE VISIONARE LO SVOLGIMENTO DEL TEMA, I CONTENUTI DELLE LEZIONI DEL CONSIGLIERE ALBERTO MACCHIA TENUTE AL CORSO DI PREPARAZIONE FGLAW E I MATERIALI GIURISPRUDENZIALI SELEZIONATI http://www.fglaw.it/tracce_prove_scritte_concorso_magistratura_2019_4_5_e_7_giugno_prova_diritto_civile_penale_amministrativo_tracce_spiegate.html | |
Da: FGLAW lha spiegata | 05/06/2019 22:33:58 |
estratto dalla pagina del sito fglaw segnalata nel post precedente: ESAME DELLA GIURISPRUDENZA RILEVANTE A) SULLA POSSIBILITA' CHE TERZI NON TITOLARI DEL DIRITTO PONGANO IN ESSERE LE CONDOTTE DI ESERCIZIO ARBITRARIO DELLE PROPRIE RAGIONI. TESI TRADIZIONALE: La tesi che ammette che il terzo, agendo alla stregua di un negotiorum gestor dell'effettivo titolare del diritto, possa commettere il reato di cui all'art. 393 c.p. è stata sostenuta in giurisprudenza, tra l'altro, da: Cass., 9 aprile 2001, n. 14335: "In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, il soggetto attivo del reato può anche essere colui che non abbia la titolarità del diritto arbitrariamente esercitato, ma che agisca quale mero negotiorum gestor dell'effettivo titolare (fattispecie relativa all'arbitrario esercizio di un diritto del quale è risultato essere titolare il coniuge del soggetto agente)" Cass., 20 gennaio 2004, n. 1257: "In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, soggetto attivo del reato può essere anche persona diversa dal titolare del diritto illecitamente tutelato, quando questa abbia agito secondo lo schema della "negotiorum gestio" (fattispecie relativa a condotta di violenza sulle cose attuata per esercitare il presunto diritto di proprietà di un figlio dell'agente)"; Cass., 29 maggio 2013, n. 23322: "Soggetto attivo del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose può essere anche chi esercita il preteso diritto pur non avendone la titolarità , in quanto, ai fini della configurabilità del delitto, rileva che l'agente si comporti come se fosse il titolare della situazione giuridica e ne eserciti le tipiche facoltà (fattispecie in cui l'imputato, al fine di assicurare la somministrazione di energia elettrica al fondo del padre, aveva collocato nel fondo di un vicino dei pali perché l'Enel potesse esercitare la servitù di elettrodotto)". TESI INNOVATIVA: Soprattutto in seno alla Sezione II è maturato l'orientamento che ha perorato la natura di reato proprio ed esclusivo della fattispecie di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, con la conseguenza che ove sia il terzo a porre in essere la condotta violenta o minacciosa il reato dovrebbe essere necessariamente qualificato come estorsione. La tesi è stata sostenuta da Cass., sez. II, 3 novembre 2016, n. 46288, la quale ha argomentato come segue: "9.2. A parere del collegio, il denunciato contrasto di orientamenti è più apparente che reale. 9.2.1. Occorre premettere che, ai fini della risoluzione del problema in esame, non è possibile trarre utili indicazioni dalla Relazione del Guardasigilli al Re sul progetto del Codice penale, sul punto assolutamente silente. 9.2.2. La materialità dei due reati in questione non appare esattamente sovrapponibile (così Sez. 2^, n. 11453 del 17 febbraio 2016, Guarnieri, rv. 267123), poichè soltanto ai fini dell'integrazione dell'estorsione necessita il verificarsi di un effetto di "costrizione" sulla vittima, conseguente alla violenza o minaccia, queste ultime costituenti elemento costitutivo comune ad entrambi i reati (art. 392 c.p.: "mediante violenza sulle cose"; art. 393 c.p.: "usando violenza o minaccia alle persone"; art. 629 c.p.: "mediante violenza o minaccia"): all'uopo occorre, secondo la dottrina più recente, "che vi sia un nesso causale tra la condotta e la situazione di coazione psicologica che costituisce, a sua volta, l'evento intermedio tra la condotta stessa e l'atto di disposizione patrimoniale che arreca l'ingiusto profitto con altrui danno. Si tratta di un evento psicologico che deve essere causato direttamente dalla condotta del soggetto attivo del reato: se l'effetto di coazione trovasse nell'azione o nell'omissione dell'autore solo uno dei tanti antecedenti non potrebbe mai parlarsi di estorsione. La coazione psicologica si risolve, essenzialmente, nella compressione della libertà di autodeterminazione suscitata dalla paura del male prospettato"). 9.2.3. Nondimeno, la possibile valenza dimostrativa di tale disomogeneità può agevolmente essere ridimensionata, ove si pensi che l'effetto costrittivo della condotta estorsiva appare consustanziale proprio alla diversa finalità dell'agente, che mira ad ottenere una prestazione non dovuta, dalla quale l'agente trae profitto ingiusto, e la vittima un danno; diversamente, nell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni la violenza o minaccia deve mirare ad ottenere dal debitore proprio e soltanto la prestazione dovuta, come in astratto giudizialmente esigibile. 9.2.4. Sia l'art. 393 c.p., comma 3, che l'art. 629 c.p., comma 2 (in quest'ultimo caso, mediante richiamo dell'art. 628 c.p., comma 3, n. 1) prevedono che la pena è aumentata "se la violenza o minaccia è commessa con armi". La circostanza aggravante speciale de qua non legittima distinzioni tra armi bianche ed armi da fuoco, ed evidenzia la possibilità di qualificare come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza (o minaccia) alle persone, aggravato dall'uso di un'arma, anche le condotte poste in essere con armi tali da rendere la violenza (o minaccia) di particolare gravità , e comunque sproporzionata rispetto al fine perseguito, o tale da non lasciare possibilità di scelta alla vittima (secondo l'id quod plerumque accidit, disarmata). Detto riferimento appare decisivo, atteso che, in quest'ultimo caso, la condotta dovrebbe sempre integrare gli estremi del più grave delitto di estorsione, il che, per espressa previsione di legge, non è. 9.2.4.1. Quest'ultima argomentazione non risulta mai esaminata, nè quindi validamente confutata, nell'ambito dell'orientamento riepilogato sub p. 9.1., che si limita tout court a non considerarla. 9.2.5. A parere del collegio, una prima distinzione tra i reati in oggetto può riguardare il soggetto attivo. 9.2.5.1. Invero, il solo esercizio arbitrario delle proprie ragioni può essere commesso, ai sensi degli artt. 392 e 393 c.p., come soggetto agente, unicamente da "chiunque... sì fa arbitrariamente ragione da sè medesimo": detta espressa previsione (sin qui non adeguatamente valorizzata dalla dottrina, che si limita a darne una interpretazione meramente descrittiva, e del tutto trascurata dalla giurisprudenza) impone di ritenere che il solo esercizio arbitrario delle proprie ragioni (sia con violenza alle cose che con violenza alle persone) rientra, diversamente da quello di estorsione, tra i cc.dd. reati propri esclusivi o di mano propria, che si caratterizzano in quanto la loro esecuzione implica l'intervento personale diretto del soggetto designato dalla legge; la condotta tipica oggetto di incriminazione può, quindi, assumere rilievo penale nell'ambito della norma incriminatrice che la prevede e punisce, soltanto se posta in essere personalmente da un determinato soggetto attivo. 9.2.5.2. Tale rilievo potrà risultare decisivo nei casi di reati commessi in concorso, poichè, se la condotta tipica di violenza o minaccia prevista dagli artt. 392 e 393 c.p., è posta in essere da un terzo estraneo al rapporto obbligatorio fondato sulla pretesa civilistica asseritamente vantata nei confronti della p.o., che agisca su mandato del creditore, essa potrà assumere rilievo soltanto ex art. 629 c.p., giammai a titolo di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. In tutti gli altri casi, nei quali la condotta tipica è posta in essere da chi agisce per "farsi ragione da sè medesimo", sarà , al contrario, configurabile - in ipotesi (e salva la considerazione delle eventuali peculiarità dei singoli casi concreti) il concorso (per agevolazione, od anche morale) di terzi estranei alla pretesa civilistica vantata dall'agente nei confronti della p.o. nell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni. 9.2.5.3. Quanto appena osservato costituisce conseguenza diretta ed immediata della particolare oggettività giuridica dei reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, che sono posti a tutela dell'interesse statuale al ricorso obbligatorio alla giurisdizione (il c.d. monopolio giurisdizionale) nella risoluzione delle controversie, in riferimento al quale, se può - in determinati casi (ovvero in difetto della presentazione della querela da parte del soggetto a ciò legittimato) - essere tollerato che chi ne ha diritto si faccia ragione "da sè medesimo", non può mai essere tollerata l'intromissione del terzo estraneo che si sostituisca allo Stato, esercitandone le inalienabili prerogative nell'amministrazione della giustizia. 9.2.6. Nell'ambito della dottrina, può senza dubbio definirsi unanime il convincimento che i due reati in oggetto si distinguano in relazione al fine perseguito dall'agente. 9.2.6.1. Le dottrine tradizionali avevano autorevolmente evidenziato che, nel caso in cui l'agente "non agì per trarre ingiusto profitto dall'azione o dall'omissione imposta al soggetto passivo, ma per uno scopo diverso, potrà ricorrere il titolo di (..) esercizio arbitrario delle proprie ragioni, o altro; ma non quello di estorsione", osservando che "spesso però l'affermazione di voler esercitare un opinato diritto (...), non è che un pretesto per larvare l'estorsione", ed ammonendo i giudici quanto all'opportunità di adoperare "molta cautela nell'accertare il vero scopo dell'agente"; naturalmente, "pur mirando l'agente anche a conseguire il profitto relativo a un preteso diritto esistente o supposto, la estorsione sussiste) quando egli chieda più di ciò che tale diritto comporta". Ed ancora, che l'estorsione presenta tratti comuni con l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni, "ma a stabilirne la diversità basta l'elemento psicologico, che nel secondo consiste nel fine di esercitare un preteso diritto, quando si abbia la possibilità di ricorrere all'autorità giudiziaria". Altra dottrina, con pari autorevolezza, ha successivamente ritenuto che l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni "richiede il fine di esercitare un preteso diritto azionabile e l'estorsione la coscienza e volontà di conseguire un profitto non fondato su alcuna pretesa giuridica". Analogamente, la dottrina più recente afferma, altrettanto autorevolmente, che "il criterio discretivo tra estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni si fonda sulla finalità perseguita dall'agente: nell'esercizio arbitrario il soggetto attivo, supponendo di essere titolare di un diritto, agisce con lo scopo di esercitarlo, mentre nell'estorsione l'agente è consapevole di conseguire un ingiusto profitto". 9.2.7. Fermo quanto osservato nei p.p. 9.2.5. ss. quanto al soggetto attivo, ed alle conseguenze in tema di concorso di persone nel reato, deve, quindi, concludersi che i delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e di estorsione, pur caratterizzati da una materialità non esattamente sovrapponibile, si distinguono tendenzialmente in relazione all'elemento psicologico: nel primo, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione non meramente astratta ed arbitraria, ma ragionevole, anche se in concreto eventualmente infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nel secondo, invece, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella piena consapevolezza della sua ingiustizia. 9.2.7.1. A tal proposito, è, peraltro, necessario precisare, onde evitare possibili (ed anzi, per la verità , molto frequenti nella pratica) interpretazioni strumentali, che, ai fini dell'integrazione del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni: - la pretesa arbitrariamente attuata dall'agente deve corrispondere perfettamente all'oggetto della tutela apprestata in concreto dall'ordinamento giuridico, e non risultare in qualsiasi modo più ampia, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall'agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato (Sez. 5^, n. 2819 del 24 novembre 2014, dep. 2015, rv. 263589); - l'agente deve essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l'oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente: pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata, deve, peraltro, trattarsi di una pretesa non del tutto arbitraria (Sez. 5^, n. 23923 del 16 maggio 2014, rv. 260584), ovvero del tutto sfornita di una possibile base legale. Per la sussistenza del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni non è, infatti, necessario che il diritto oggetto dell'illegittima tutela privata sia realmente esistente, ma occorre pur sempre che l'autore agisca nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto in ipotesi suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale. 9.2.7.2. In applicazione del principio, è stata, ad esempio, già ritenuta la configurabilità del delitto di estorsione, e non di quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone, nei confronti del creditore che eserciti una minaccia per ottenere il pagamento di interessi usurari, poichè in tal caso egli è consapevole di porre in essere una condotta per ottenere il soddisfacimento di un profitto ingiusto, in quanto derivante da una pretesa contra ius (Sez. 2^, n. 9931 del 9 marzo 2015, Iovine, rv. 262566), e con riguardo alla pretesa (esplicitata in più occasioni con violenza e minacce) di ottenere, per conto di terzi creditori, l'adempimento di un debito dal padre del debitore, poichè essa non è tutelabile dinanzi l'Autorità giudiziaria, ma è diretta a procurarsi un profitto ingiusto, consistente nell'ottenere il pagamento del debito da un soggetto estraneo al sottostante rapporto contrattuale (Sez. 2^, n. 16658 del 16 gennaio 2014, D'Errico, rv. 259555, e n. 45300 del 28 ottobre 2015, Immordino, rv. 264967). 9.2.8. Alla speciale veemenza del comportamento violento o minaccioso potrà , peraltro, riconoscersi valenza di elemento sintomatico del dolo di estorsione. 9.2.8.1. E' noto, in generale, che la prova del dolo, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell'imputato, ha natura indiretta, dovendo essere desunta da elementi esterni ed, in particolare, da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più idonei ad esprimere il fine perseguito dall'agente. 9.2.8.2. Come acutamente osservato da Sez. 2^, n. 44476 del 3 luglio 2015, Brudetti, rv. 265320, erroneamente, collocata tra le sentenze che accolgono l'orientamento contrario a quello qui sostenuto (che, al contrario, in motivazione premette espressamente di condividere), "considerato che, come rilevato in dottrina, la doloscopia non è stata ancora inventata, e che quindi il dolo può essere tratto solo da dati esteriori, che ne indicano l'esistenza, e servono necessariamente a ricostruire anche il processo decisionale alla luce di elementi oggettivi, analizzati con un giudizio ex ante, appare evidente che le forme esteriori della condotta, e quindi la gravità della violenza e l'intensità dell'intimidazione veicolata con la minaccia, non sono momenti del tutto indifferenti nel qualificare il fatto in termini di estorsione piuttosto che di esercizio arbitrario ai sensi dell'art. 393 c.p.", ben potendo quindi costituire indici sintomatici di una volontà costrittiva, di sopraffazione, piuttosto che di soddisfazione di un diritto effettivamente esistente ed azionabile. 9.2.8.3. Anche Sez. 5^, n. 19230 del 3 maggio 2013, Palazzotto, rv. 256249, a sua volta erroneamente, collocata tra le sentenze che accolgono l'orientamento contrario a quello qui sostenuto, premette di ritenere "certamente esatto il rilievo che si legge nella impugnata sentenza, in base al quale il delitto di estorsione si differenzia da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con minaccia alla persona, non tanto per la materialità del fatto, che può essere identica, quanto per l'elemento intenzionale che, nell'estorsione, è caratterizzato, diversamente dall'altro reato, dalla coscienza dell'agente che quanto egli pretende non gli è dovuto", ed aggiunge che "nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta violenta o minacciosa è strettamente connessa alla finalità dell'agente di far valere il preteso diritto, rispetto al cui conseguimento si pone come elemento accidentale, e, pertanto, non può consistere in manifestazioni sproporzionate e gratuite di violenza, in presenza delle quali deve, al contrario, ritenersi che la coartazione dell'altrui volontà sia finalizzata a conseguire un profitto ex se ingiusto, configurandosi in tal caso il più grave delitto di estorsione". 9.2.8.4. Si è, ad esempio, già ritenuto che integra gli estremi dell'estorsione aggravata dal c.d. "metodo mafioso", e non dell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, la condotta consistente in minacce di morte o gravi lesioni personali formulate dal presunto creditore e da un terzo estraneo al rapporto obbligatorio in danno della persona offesa, estrinsecatesi nell'evocazione dell'appartenenza di entrambi ad una organizzazione malavitosa di matrice 'ndranghetistica, per l'estrema incisività della forza intimidatoria esercitata, costituente indice del fine di procurarsi un profitto ingiusto, esorbitante rispetto al fine di recupero di somme di denaro sulla base di un preteso diritto (Sez. 2^, n. 34147 del 30 aprile 2015, P.G. in proc. Agostino, rv. 264628: fattispecie in cui l'imputato, che aveva prestato alla persona offesa somme di denaro nell'esercizio abusivo di attività di intermediazione finanziaria, secondo la prospettazione difensiva, per recuperare gli importi erogati, avrebbe potuto proporre azione di indebito arricchimento, ex art. 2041 c.c.). 9.2.9. A ben vedere, il denunciato contrasto di orientamenti (cfr. p. 9 s. di queste Considerazioni in diritto) risulta più apparente che reale, riguardando, oltre che decisioni erroneamente considerate, mere enunciazioni di principio in realtà ininfluenti ai fini della decisione. 9.2.9.1. Nella fattispecie esaminata da Sez. 2^, n. 1921 del 18 dicembre 2015, dep. 2016, Li, rv. 265643, si era accertato che l'agente aveva richiesto al proprio debitore "una somma maggiore di quanto dalla stessa in precedenza richiesto perchè a suo dire bisognava pagare i ragazzi (cioè i concorrenti nel reato da lei chiamati ad agire con violenza e minacce nei confronti della persona offesa)": quindi, anche a prescindere dal fatto che "le modalità di soddisfacimento del preteso diritto erano travalicate in forme di particolare violenza, sistematicità e pervicacia", pure valorizzato, l'agente ed i terzi incaricati della riscossione avevano perseguito la soddisfazione di una pretesa giudizialmente non azionabile. 9.2.9.2. Nella fattispecie esaminata da Sez. 2^, n. 44657 dell'8 ottobre 2015, Lupo, rv. 265316, gli imputati avevano posto in essere condotte violente e minacciose nei confronti delle diverse persone offese - per lo più soggetti in situazione di grave crisi finanziaria finalizzate non solo al recupero di crediti originari, ma anche al perseguimento di un autonomo profitto rappresentato dall'acquisizione della percentuale concordata come "tangente" per la riscossione delle somme, e quindi per la soddisfazione di una pretesa giudizialmente non azionabile. 9.2.9.3. Nella fattispecie esaminata dalla già citata Sez. 2^, n. 44476 del 3 luglio 2015, Brudetti, rv. 265320, alla p.o., sottoposta ad una serie continua di gravi minacce da parte di più persone, singolarmente e in gruppo, "fu poi intimato di firmare cambiali in bianco (che effettivamente in seguito firmò a decine sul cruscotto di un'autovettura nei pressi dello stadio di (OMISSIS)) e venne anche prospettata (...) la possibilità di lavorare, unitamente ai fratelli, presso un'azienda della zona, onde guadagnare le somme necessarie a ripianare l'esposizione debitoria (prospettiva imposta con la forza dell'intimidazione, e non quale espressione sintomatica di una libera scelta lavorativa)": i soggetti agenti perseguivano, quindi, la soddisfazione di una pretesa giudizialmente non azionabile, non essendo mossi dal "ragionevole intento di affermazione di un preteso diritto". 9.2.9.4. Nella fattispecie esaminata da Sez. 6^, n. 17785 del 25 marzo 2015, Pipitone, rv. 263255, i contratti preliminari ai quali, con le violenze accertate, si intendeva indurre le pp.OO. a far seguire la stipula un contratto di vendita di quota, erano "stati stipulati nel 1989, non dagli attuali soci della (...) s.r.l. ma dagli originari soci della stessa (...); occorreva, dunque, un formale conferimento della relativa posizione negoziale nella società e di tanto manca agli atti la prova si che, dal punto di vista documentale, come evidenziato dal Tribunale, la pretesa ancorata al citato preliminare risulta comunque riferibile a soggetti diversi dagli odierni indagati (...)"; i soggetti agenti perseguivano, quindi, la soddisfazione di una pretesa giudizialmente non azionabile. 9.2.9.5. Nella fattispecie esaminata da Sez. 2^, 9759 del 10 febbraio 2015, Gargiuolo, rv. 263298, l'imputato, per riscuotere il suo credito, si era avvalso di due pregiudicati, che avevano minacciato la persona offesa di dare alle fiamme il suo locale e di cagionare gravi lesioni a lui ed ai suoi familiari ove non avesse pagato il debito, ed aveva quindi perseguito la soddisfazione di una pretesa giudizialmente non azionabile, avendo agito anche in danno di terzi estranei al rapporto obbligatorio vantato. 9.2.9.6. Nella fattispecie esaminata da Sez. 5^, n. 19230 del 3 maggio 2013, Palazzotto, rv. 2256249, ricorreva, con riferimento ad entrambi i tentativi di estorsione contestati e ritenuti, la circostanza aggravante di cui alla legge 203 del 1991, art. 7, "in quanto le modalità della minaccia, la sua stessa indeterminatezza, l'intervento di persona formalmente estranea al rapporto tra S. e T., la vicinanza di P. a personaggi della famiglia F. (ovviamente la separazione legale di questo imputato dalla moglie di per sè non può essere circostanza significativa), la richiesta di versare Euro 15.000 a favore proprio della famiglia mafiosa del quartiere, sono tutte circostanze che militano, come correttamente hanno ritenuto i giudici di appello, nel senso della sussistenza dell'utilizzazione del metodo mafioso. E se, erroneamente, anche il secondo giudice ha escluso, con riferimento al primo episodio estorsivo, la sussistenza della predetta aggravante (e tale errore non può essere corretto in mancanza di una impugnazione sul punto della parte pubblica), non vi è ragione per la quale non si debba riconoscerne la sussistenza e la operatività con riferimento al secondo episodio estorsivo". L'estrema incisività della forza intimidatoria esercitata costituiva, pertanto, indice del fine di procurarsi un profitto ingiusto, esorbitante rispetto al fine di soddisfazione di una legittima pretesa civilistica. 9.2.9.7. Appare inutile proseguire la disamina anche in riferimento alle decisioni, in apparenza contrarie, più risalenti. 9.2.10. Vanno, conclusivamente, affermati i seguenti principi di diritto: - il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (sia con violenza alle cose che con violenza alle persone) è posto a tutela dell'interesse statuale al ricorso obbligatorio alla giurisdizione (il c.d. monopolio giurisdizionale) nella risoluzione delle controversie; - il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (sia con violenza alle cose che con violenza alle persone) rientra tra i cc. dd. reati propri esclusivi o di mano propria, che si caratterizzano perchè la condotta tipica assume rilievo penale nell'ambito della norma incriminatrice che la prevede e punisce soltanto se posta in essere personalmente da un determinato soggetto attivo; ne consegue che, se la condotta tipica di violenza o minaccia prevista dagli artt. 392 e 393 c.p., è posta in essere da un terzo estraneo al rapporto obbligatorio fondato sulla pretesa civilistica asseritamente vantata nei confronti della p.o., che agisca su mandato del creditore, essa non potrà mai integrare il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ma soltanto altra fattispecie. (Nei casi in cui la condotta tipica è posta materialmente in essere da chi intende "farsi ragione da sè medesimo", è, al contrario, configurabile il concorso - per agevolazione, od anche morale - nell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni di terzi estranei alla pretesa civilistica vantata dall'agente nei confronti della p.o.); - il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (sia con violenza alle cose che con violenza alle persone) e quello di estorsione si distinguono quanto al soggetto attivo, perchè soltanto il primo è un reato proprio esclusivo o c.d. di mano propria, e quanto all'elemento psicologico, perchè, nel primo, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione non arbitraria, ma ragionevole, anche se infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nell'estorsione, invece, l'agente persegue il conseguimento di un profitto ingiusto, nella piena consapevolezza della sua ingiustizia; - per la sussistenza del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (sia con violenza alle cose che con violenza alle persone) occorre che l'autore agisca nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale, anche se detto diritto non sia realmente esistente. La pretesa arbitrariamente attuata dall'agente deve corrispondere perfettamente all'oggetto della tutela apprestata in concreto dall'ordinamento giuridico, e non mirare ad ottenere un qualsiasi quid pluris, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall'agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato; - ai fini della distinzione tra il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (sia con violenza alle cose che con violenza alle persone) e quello di estorsione, l'elevata intensità o gravità della violenza o della minaccia di per sè non legittima la qualificazione del fatto ex art. 629 c.p., poichè l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni può risultare - come l'estorsione aggravato dall'uso di armi, ma può costituire indice sintomatico del dolo di estorsione". Successivamente la Cassazione ha ribadito questo nuovo orientamento nelle sentenze Cass., sez. II, 17 maggio 2017, n. 24478, Cass., 11 luglio 2017, n. 33712 e Cass., 31 luglio 2018, n. 36928: "si tratta di giurisprudenza che rassicura sulla qualificazione del fatto come estorsione ogni volta che il titolare del diritto dia ad un terzo il mandato alla riscossione del credito: l'inquadramento dell'esercizio arbitrario come un reato proprio "esclusivo" esclude la delega della condotta di ragion fattasi e, di fatto, in relazione all'art. 393 cod. pen. Inibisce l'operatività della norma generale sul concorso di persone nel reato. La Cassazione ha infatti chiarito che nei reati propri cosiddetti "esclusivi" occorre che il soggetto qualificato (o intraneo), concorrente con altri, sia il personale esecutore del fatto tipico (ad esempio, nel reato di incesto), essendo questa l'indispensabile condizione per la sussistenza del reato proprio, prospettandosi, in difetto, reato comune ovvero nessun reato. Soltanto in tali ipotesi si esige, dunque, la personale realizzazione della fattispecie tipica ad opera dell'intraneo, e tale condizione va ricavata dalla descrizione letterale della condotta materiale o dalla natura del bene o interesse giuridicamente protetto o da altri elementi significativi - ad esempio, particolari rapporti tra autore e soggetto passivo. Diversamente nei reati "propri" comuni, ovvero non "esclusivi" non è indispensabile che proprio l'intraneo sia l'esecutore dell'azione tipica, che può materialmente essere realizzata da altro concorrente, purchè quello qualificato dia, secondo le regole generali, il suo contributo efficiente, in qualsiasi forma, compresa, quindi, quella omissiva della volontaria e concertata astensione dall'obbligo di impedire l'evento (Cass., sez. I 30 aprile 1991, n. 4820). Senza rinnegare tale ultimo approdo si rileva che ogni volta che il mandato alla riscossione del credito è conferito a soggetti dotati di particolare capacità persuasiva in quanto appartenenti a consorzi criminali con riconosciuta capacità criminale è ragionevole che l'azione violenta produca l'effetto costrittivo della libertà personale che, si è visto, è già da solo sufficiente a risolvere la vexata quaestio della diagnosi differenziale tra reati limitrofi. A ciò si aggiunga che di regola il terzo esattore è mosso da un interesse proprio non coincidente con quello del mandante, consistente nell'accrescimento della propria capacità criminale (fonte dell'assegnazione di ulteriori incarichi e generatore di profitti): il che consente, anche da questa ulteriore prospettiva di escludere il concorso nel reato proprio in quanto il profilo soggettivo dell'esecutore in tale caso non è sovrapponibile con quello dell'autore del reato di ragion fattasi, essendo preminente l'interesse personale all'accrescimento del proprio prestigio criminale rispetto alla soddisfazione del credito altrui (in tal senso Cass., sez. II, 18 marzo 2016, n. 11453; Cass., sez. II, 4 ottobre 2016, n. 41433)" (Cass., 31 luglio 2018, n. 36928). B) I CRITERI PRETORI PER DIFFERENZIARE LE FATTISPECIE DI ESERCIZIO ARBITRARIO DELLE PROPRIE RAGIONI (ART. 392-393 C.P.) ED ESTORSIONE (629 C.P) La differenza tra esercizio arbitrario e estorsione è problematica reiteratamente affrontata dalla giurisprudenza penale, la quale nel tempo, ha conosciuto una magmatica e complessa evoluzione in ordine ai criteri discretivi. Si è precisato che i delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e di estorsione, pur caratterizzati da una materialità non esattamente sovrapponibile, presentano in comune il nocciolo della violenza o minaccia, con la necessità di identificare idonei parametri onde differenziare le fattispecie contermini. La giurisprudenza tradizionale ha escluso la configurabilità del meno grave reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, applicando quello più grave di estorsione facendo leva originariamente sui seguenti criteri: 1) la tutelabilità dinanzi all'autorità giudiziaria del preteso diritto cui l'azione del reo era diretta (mancando tale presupposto, ad accertamento giudiziale preliminare, non potrebbe che sussistere il reato di estorsione); in più si è spesso precisato che la pretesa arbitrariamente attuata dall'agente deve corrispondere perfettamente all'oggetto della tutela apprestata in concreto dall'ordinamento giuridico, atteso che ciò che caratterizza il reato è la sostituzione, operata dall'agente, dello strumento di tutela pubblico, con quello privato. 2) il livello di gravità dell'azione minatoria, che, ove particolarmente intensa giustificherebbe il riconoscimento dell'estorsione (criterio ora superato dalla giurisprudenza più recente che ha evidenziato come il reato di cui all'art. 393 c.p. può realizzarsi anche attraverso l'uso delle armi); l'orientamento che si fonda sull'applicazione esclusiva di questo criterio valorizza, ai fini della predetta distinzione, la materialità del fatto, affermando che, nel delitto di cui all'art. 393 c.p., la condotta violenta o minacciosa non è fine a se stessa, ma è strettamente connessa alla finalità dell'agente di far valere il preteso diritto, rispetto al cui conseguimento si pone come elemento accidentale, per cui non può mai consistere in manifestazioni sproporzionate e gratuite di violenza; pertanto, quando la minaccia si estrinseca in forme di tal forza intimidatoria e di tale sistematica pervicacia che vanno al di là di ogni ragionevole intento di far valere un diritto, allora la coartazione dell'altrui volontà è finalizzata a conseguire un profitto che assume ex se i caratteri dell'ingiustizia (per tale ragioni in determinate circostanze e situazioni anche la minaccia dell'esercizio di un diritto, in sé non ingiusta, può diventare tale, se le modalità denotano soltanto una prava volontà ricattatoria, che fanno sfociare l'azione in mera condotta estorsiva). Secondo questo indirizzo, dunque, a fronte di un preteso diritto che sia possibile far valere davanti all'autorità giudiziaria, ai fini della distinzione tra esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione, occorrerebbe verificare il grado di gravità della condotta violenta o minacciosa, con la conseguenza che si rimarrebbe indubbiamente nell'ambito dell'estorsione, ove venga esercitata una violenza gratuita e sproporzionata rispetto al fine, ovvero se si eserciti una minaccia che non lasci possibilità di scelta alla vittima. 3) l'analisi esclusivamente incentrata sull'elemento soggettivo del reato (la fattispecie estorsiva si realizzerebbe, indipendentemente dall'intensità e dalla gravità della violenza o della minaccia, solo qualora essa miri all'attuazione di una pretesa non tutelabile davanti all'autorità giudiziaria: in sostanza nell'estorsione l'agente persegue il conseguimento di un profitto, pur nella consapevolezza di non averne diritto; nel delitto di cui all'art. 393 c.p., invece, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione, ragionevole, anche se infondata, di esercitare un suo diritto, giudizialmente azionabile, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria: occorrerebbe, pertanto, che l'agente sia soggettivamente - pur se erroneamente, ma plausibilmente - convinto dell'esistenza del proprio diritto, e che detto diritto riceva astrattamente tutela giurisdizionale). La giurisprudenza più recente, pur confermando la necessità dell'indagine sul presupposto sub 1 (Cass., sez. II, 16 gennaio 2017, n. 1901; Cass., sez. II, 17 maggio 2017, n. 24478), ha rivisitato questi criteri muovendosi sul piano strutturale e finalistico della fattispecie incriminatrice. Dal punto di vista STRUTTURALE si è affermato che il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni sia proprio ed esclusivo, con conseguenziale esclusione del 393 c.p. ed applicazione dell'art. 629 c.p. in presenza di condotte poste in essere da terzi estranei (sul presupposto che il reato di cui all'art. 393 c.p. sia proprio ed esclusivo Cass., sez. II, 17 maggio 2017, n. 24478, Cass., 11 luglio 2017, n. 33712 e Cass., 31 luglio 2018, n. 36928), ovvero, in ipotesi di richieste di adempimento del rapporto obbligatorio, rivolte nei confronti di terzi (spesso familiari) vicini al debitore minacciato (Cass., 16 gennaio 2014, n. 16658; Cass., 28 ottobre 2015, n. 45300; Cass., 3 novembre 2016, n. 46288; Cass., 20 dicembre 2017, n. 5092; Cass., 31 luglio 2018, n. 36928). Dal punto di vista FUNZIONALE si è posta al centro della scena la tutela della persona della vittima rilevando che l'estorsione è configurabile solo ove l'azione violenta o minacciosa sia idonea a coartare la vittima (ledendo la sua libertà di autodeterminazione), mentre l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni, invece, si ravvisa ove l'agente abbia posto in essere una più blanda condotta persuasiva (Cass., sez. VI, 10 marzo 2017, n. 11823; Cass., 2 febbraio 2018, n. 5092; Cass., 31 luglio 2018, n. 36928, sentenza che acutamente precisa che "la soddisfazione di un preteso diritto attraverso la coazione alla persona non può che essere ingiusto. Diversamente opinando l'uso della violenza costrittiva per regolare in via privata sarebbe sanzionata meno gravemente in presenza di un diritto e più gravemente in sua assenza: si tratta di un epilogo ermeneutico che si traduce nell'abbattimento della rilevanza penale della costruzione illecita giustificata da pretese patrimoniali, che contrasta con la dimensione assoluta e prioritaria dei diritti della persona"). | |
Da: FGLAW lha spiegata | 05/06/2019 22:35:50 |
LO SVOLGIMENTO DEL TEMA INVECE E' SUL SITO | |
Da: plynskin | 05/06/2019 22:37:42 |
Mi sembra evidente,visto il livello delle prime due,che anche la traccia di amministrativo farà sudare,soprattutto se si considera che l'unico prof.che ha sostituito i dimissionari fa costituzionale.Lascio a voi trarre le dovute conclusioni. | |
Da: Fglaw | 05/06/2019 22:45:52 |
sa anche dove si trova il santo Graal, la camera d'ambra e dove vive Moena Pozzi. | |
Da: @stud | 05/06/2019 22:55:56 |
Quanta gente si è ritirata oggi? | |
Da: lucia.pallotta | 05/06/2019 22:57:39 |
Dal gropo facebook "il sistema del diritto penale", mi srmbra fatto bene: Di seguito le coordinate normative, giurisprudenziali e dottrinali per affrontare la traccia di penale dettata oggi 5 giugno 2019. In bocca al lupo a tutti coloro che si accingono ad affrontare l'ultima prova! TRACCIA La responsabilità penale dell'incaricato alla riscossione di un credito di un terzo mediante violenza o minaccia. SVOLGIMENTO RAGIONATO a cura di Angelo Salerno 1. La traccia chiede di prendere in esame la rilevanza penale della condotta del terzo che, su incarico del creditore, ponga in essere una condotta violenta ovvero di minaccia per riscuotere le somme dovute. Elementi centrali della traccia attengono pertanto alla estraneità del soggetto agente al rapporto obbligatorio e all'incarico che questi riceve dal creditore perché riscuota, con violenza o minaccia, il credito ai danni del debitore. Viene dunque in rilievo la questione relativa alla fattispecie penale astratta in cui sussumere la condotta di violenza o minaccia posta in essere da parte del soggetto agente, terzo rispetto al rapporto obbligatorio, nei confronti del debitore. Nel contempo occorre valutare in che rapporto si pongano la condotta del terzo che riscuota il credito con violenza e minaccia e quella del creditore, onde stabilire se tali soggetti rispondano o meno, in concorso tra loro, del medesimo reato ovvero a titolo di reati distinti. 2. Le fattispecie penali che vengono in rilievo in relazione alla condotta di chi adoperi violenza o minaccia al fine di ottenere il pagamento di un credito, sebbene altrui, sono principalmente due: a) delitto di cui all'art. 393 c.p.: "Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone", che al comma primo punisce: "Chiunque, al fine indicato nell'articolo precedente [i.e. di esercitare un preteso diritto], e potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo usando violenza o minaccia alle persone". La condotta è inoltre aggravata, ai sensi dei commi secondo e terzo, "Se il fatto è commesso anche con violenza sulle cose" o "se la violenza o la minaccia alle persone è commessa con armi". b) delitto di cui all'art. 629 c.p.: "Estorsione", che al primo comma punisce: "Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno". 2.1. Il nucleo comune tra le due fattispecie in esame è costituito dalla condotta della "violenza o minaccia". Risaltano immediatamente, tuttavia, le differenze strutturali tra i due delitti: nell'ipotesi di cui all'art. 393 c.p., la violenza o la minaccia costituiscono le modalità con cui il titolare di un diritto, pur potendo ricorrere al giudice per azionarlo, si faccia arbitrariamente ragione da sé; al contrario, nel delitto di estorsione, mediante la violenza o la minaccia il soggetto agente costringe taluno a fare o ad omettere qualcosa, procurando per sé o per altri un ingiusto profitto. I. Un primo importante elemento di distinzione è dunque rappresentato dall'ingiusto profitto: nel caso di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, di cui all'art. 393 c.p., la violenza e la minaccia sono volte ad ottenere l'esercizio di un diritto, sicché l'ingiustizia - e il disvalore penale - si radica nelle modalità con cui il diritto viene esercitato e non nella natura illecita o indebita del vantaggio ottenuto; Al contrario, nelle ipotesi di estorsione, la violenza o la minaccia consentono al reo di procurare per sé o per altri un ingiusto profitto, che presuppone il carattere indebito di quanto si ottenga dalla persona offesa; II. Non assume carattere dirimente, invece, l'elemento della costrizione della persona offesa a fare o ad omettere qualche cosa, dal momento che tale condotta ben può concretizzarsi nelle ipotesi di esercizio arbitrario, se solo si considera che il legislatore non distingue il comportamento violento o minaccioso nelle due fattispecie criminose e prende in considerazione, al terzo comma dell'art. 393 c.p., finanche l'ipotesi in cui il soggetto agente si avvalga di armi per esercitare arbitrariamente il proprio preteso diritto. 3. Ciò nonostante non mancano tesi, in dottrina e in giurisprudenza, che valorizzano criteri ulteriori per distinguere le due fattispecie criminose in esame. a. Una parte della giurisprudenza segue la tesi che individua nell'elemento soggettivo il criterio utile a distinguere le due fattispecie criminose, sul presupposto che la posizione di chi agisce con l'intenzione di esercitare un pur preteso diritto non è equiparabile a quella di chi intenda invece, con la medesima condotta, procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, come nel caso di estorsione. Così si è espressa Cass. Sez. 2, Sentenza n. 46628 del 03/11/2015, secondo cui "I delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e di estorsione si distinguono in relazione all'elemento psicologico, poichè nel primo, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione ragionevole, anche se infondata, di esercitare un suo diritto, nel secondo, invece, egli persegue il conseguimento di un profitto nella consapevolezza della sua ingiustizia". b. A tale criterio altro orientamento affianca tuttavia un secondo discrimen legato alla gravità e intensità rispettivamente della violenza o della minaccia. In tal senso Cass. Sez. 2 - , Sentenza n. 56400 del 22/11/2018, secondo cui "In tema di distinzione tra il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e quelli di rapina ed estorsione, fermo restando che la linea di demarcazione è sancita dall'elemento intenzionale, non sono indifferenti, ai fini della qualificazione giuridica del fatto, la gravità della violenza e l'intensità della minaccia che, per essere ricondotte alla fattispecie meno grave, non devono trasmodare in manifestazioni sproporzionate e gratuite, travalicanti il ragionevole intento di far valere un diritto; dello stesso avviso è Cass. Sez. 2, Sentenza n. 33712 del 08/06/2017, in cui si afferma il seguente principio di diritto: "Integra il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta minacciosa che si estrinsechi in forme di tale forza intimidatoria da andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un preteso diritto, con la conseguenza che la coartazione dell'altrui volontà assume di per sé i caratteri dell'ingiustizia, trasformandosi in una condotta estorsiva". c. Al solo criterio della gravità della violenza e dell'intensità della minaccia si ispira un diverso orientamento, seguito in giurisprudenza di legittimità , secondo cui "Il delitto di estorsione è configurabile quando la condotta minacciosa o violenta, anche se finalisticamente orientata al soddisfacimento di un preteso diritto, si estrinsechi nella costrizione della vittima attraverso l'annullamento della sua capacità volitiva; è, invece, configurabile il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni quando un diritto giudizialmente azionabile venga soddisfatto attraverso attività violente o minatorie che non abbiano un epilogo costrittivo, ma più blandamente persuasivo"; così Cass. Sez. 2, Sentenza n. 36928 del 04/07/2018. Si è tuttavia criticata in dottrina la opinabilità del criterio in questione, legato a parametri incerti in quanto legati a fattori soggettivi e non determinabili ex ante. d. Fa infine leva sull'esclusiva titolarità del diritto un quarto orientamento, seguito da Sez. 1, Sentenza n. 6968 del 20/07/2017, secondo cui "Integra il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, e non quello di estorsione, la condotta di chi si adoperi con violenza o minaccia per realizzare un preteso diritto che potrebbe tutelare in sede giudiziale, anche se utilizza modalità di particolare forza intimidatoria, atteso che l'intensità o la gravità della violenza o della minaccia non costituiscono profili oggettivi incidenti sulla qualificazione giuridica del fatto". La Corte di Cassazione ha tuttavia precisato, in altra occasione, con Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24478 del 08/05/2017, che il diritto deve altresì risultare tutelabile innanzi all'autorità giudiziaria: "Integra il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l'azione violenta o minacciosa che, indipendentemente dall'intensità e dalla gravità della violenza o della minaccia, abbia di mira l'attuazione di una pretesa non tutelabile davanti all'autorità giudiziaria". 4. Nonostante la pluralità dei criteri seguiti dagli orientamenti esaminati, elemento comune alle stesse è rappresentato dalla necessaria titolarità del credito da parte del soggetto agente. Si legge infatti nelle massime della giurisprudenza di legittimità che "Integra il delitto di tentata estorsione e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone la pretesa (esplicitata in più occasioni con violenza e minaccia) di ottenere, per conto di terzi creditori, l'adempimento di un debito dal padre del debitore, poiché essa non è tutelabile dinanzi l'Autorità giudiziaria, ma è diretta a procurarsi un profitto ingiusto, consistente nell'ottenere il pagamento del debito da un soggetto estraneo al sottostante rapporto contrattuale". (Sez. 2, Sentenza n. 45300 del 28/10/2015). Ancora, la già citata Cass. Sez. 2, Sentenza n. 46288 del 28/06/2016, afferma che "Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sia con violenza sulle cose che sulle persone, rientra, diversamente da quello di estorsione, tra i cosiddetti reati propri esclusivi o di mano propria, perciò configurabili solo se la condotta tipica è posta in essere da colui che ha la titolarità del preteso diritto". 5. Una importante precisazione operata dalla giurisprudenza di legittimità attiene alla partecipazione o meno, alla condotta di riscossione violenta o con minaccia del titolare del diritto: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 46288 del 28/06/2016 afferma che "in caso di concorso di persone nel reato, solo ove la condotta tipica di violenza o minaccia sia posta in essere dal titolare del preteso diritto è configurabile il concorso di un terzo estraneo nell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni (per agevolazione, o anche morale), mentre, qualora la condotta sia realizzata da un terzo che agisca su mandato del creditore, essa può assumere rilievo soltanto ai sensi dell' art. 629 cod. pen". 6. Può dunque affermarsi, alla luce dell'analisi della giurisprudenza più recente della Corte di Cassazione, che l'azione del terzo che, con violenza o minaccia, abbia riscosso l'altrui credito, non potrà essere punita ai sensi dell'art. 393 c.p., difettando il requisito della titolarità del diritto esercitato che contraddistingue il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Il delitto è infatti qualificato dalla dottrina e dalla giurisprudenza come reato proprio, nonché esclusivo o di mano propria (al pari, ad esempio, dell'incesto o dell'autoriciclaggio o infine dell'evasione), che richiede pertanto non solo la titolarità della qualifica soggettiva di titolare del diritto esercitato ma, nel contempo, la personale partecipazione dell'intraneus. 7. Chiarito pertanto che in caso di azione posta in essere esclusivamente dal terzo si configurerà il delitto di estorsione ex art. 629 c.p. e non già quello di esercizio arbitrario ex art. 393 c.p., si pone dunque l'ulteriore questione della qualificazione della condotta del terzo che abbia agito in concorso con il titolare del credito. Sussiste infatti concorso tra creditore e terzo, quantomeno a titolo morale, quando il primo abbia incaricato il secondo della riscossione. Il succitato orientamento, infatti, consente di ritenere che, quando anche il titolare del diritto di credito abbia posto in essere la condotta violenta o minacciosa nei confronti del debitore, il terzo possa concorrere nel meno grave delitto di cui all'art. 393 c.p. ("in caso di concorso di persone nel reato, solo ove la condotta tipica di violenza o minaccia sia posta in essere dal titolare del preteso diritto è configurabile il concorso di un terzo estraneo nell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni (per agevolazione, o anche morale" - Sentenza n. 46288 del 28/06/2016). Tale soluzione contrasta tuttavia con i principi affermati, più di recente dalla Corte di Cassazione, in sentenza in relazione alla categoria dei reati c.d. a soggettività ristretta, come espressi nella recente sentenza SEZ. II PENALE - SENTENZA 18 aprile 2018, n.17235, in cui si legge che "La diversificazione dei titoli di reato in relazione a condotte lato sensu concorrenti non deve meravigliare, non costituendo una novità per il sistema penale vigente, che ricorre a questa soluzione in alcuni casi di realizzazione plurisoggettiva di fattispecie definite dalla dottrina 'a soggettività ristretta'. 3.3.8.1. Ad esempio, con riferimento al delitto di evasione (art. 385 c.p.), costituente, come l'autoriciclaggio, reato proprio, il concorso di terzi estranei non detenuti è autonomamente incriminato a titolo di procurata evasione, ex art. 386 c.p., valorizzando, come osservato dalla dottrina, 'il diverso giudizio di colpevolezza che investe la condotta dell'intraneo e dell'estraneo (l'istintiva tendenza alla libertà incide infatti in chiave di attenuazione sulla rimproverabilità soggettiva del recluso, rispetto a chi non si trovi ristretto in carcere'. […] 3.3.8.2. Analogamente, in tema di infanticidio, si prevede un trattamento sanzionatorio diverso per la madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, in quanto tali riferibili soltanto alla madre (art. 578, comma 1, c.p.), e per coloro che concorrono nel fatto di cui al primo comma (art. 578, comma 2, c.p.): la dottrina ha, in proposito, osservato che la possibilità del concorso di terzi estranei nel reato proprio c.d. 'a soggettività ristretta' commesso dalla madre 'è stata si contemplata, ma sottoposta ad un regime così peculiare da contraddire i canoni basilari della disciplina del concorso nel reato'. 3.3.8.3. Ad una differenziazione dei titoli di responsabilità il legislatore ha fatto ricorso anche in tema d'interruzione volontaria della gravidanza in violazione dei limiti di liceità (ex art. 19 L. n. 194 del 1978), prevedendo un'autonoma cornice edittale di pena, significativamente più mite, per la donna, 'in ragione della considerazione del giudizio di minore riprovazione morale del fatto della gestante'. 3.3.9. Come in sintesi osservato da una dottrina, 'schemi di previsioni a soggettività forte autorizzano la diversificazione dei titoli di reato ovvero delle risposte sanzionatorie; in tal senso, rispetto alle qualifiche di tipizzazione della colpevolezza, le indicazioni che emergono dalla parte speciale indicano soluzioni volte a differenziare le posizioni concorsuali". Secondo tale orientamento, pertanto, non potrebbe configurarsi un concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ex art. 393 c.p. dal momento che tale fattispecie, punita meno severamente, è riservata al titolare del diritto esercitato. Pertanto il terzo dovrà rispondere di estorsione, anche quando anche o solo il creditore abbia materialmente posto in essere la condotta, in quanto privo della qualifica soggettiva e della posizione privilegiata ad essa sottesa, che spetta invece al titolare del diritto esercitato. 8. Questo orientamento più rigoroso è stato tuttavia oggetto di aspre critiche in quanto si è osservato che l'art. 110 c.p. disciplina il concorso di persone nel "medesimo reato", sicché non è ipotizzabile una diversificazione dei titoli di reato a seconda che si tratti del titolare del diritto esercitato ovvero di chi con questi o per conto di questi - quando agiscano insieme - abbia posto in essere la violenza o la minaccia. Ne consegue che, anche quando il titolare del diritto si sia limitato a incaricare il terzo della riscossione del credito, questi, pur ponendo in essere materialmente la violenza o la minaccia, avrà agito non per procurare ad altri un ingiusto profitto (dal momento che la riscossione del credito è in favore del creditore) ma per esercitare - arbitrariamente - un preteso diritto. Diverso il caso in cui si dimostri che il terzo sia mosso da un interesse personale ad ottenere un ingiusto profitto per sé, quale ad esempio una ricompensa o una quota del credito riscosso, risultando in tal caso integrata la fattispecie di estorsione ed esulando la condotta da quella invece di esercizio di un diritto. 9. Ultimo profilo che conferma la necessità che il soggetto agente e la persona offesa siano parti del rapporto obbligatorio attiene all'ipotesi in cui la violenza e la minaccia siano rivolte a soggetti diversi dal debitore. In tal caso infatti la Corte di Cassazione, con Sentenza n. 5092 del 20/12/2017, della Seconda Sezione penale, ha affermato che "È configurabile il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, quando ad un'iniziale pretesa di adempimento di un credito effettuata con minaccia o violenza nei riguardi del debitore seguano ulteriori violenze e minacce di terzi estranei verso il nucleo familiare del debitore, sicchè l'iniziale pretesa arbitraria si trasforma in richiesta estorsiva, sia a causa delle modalità e della diversità dei soggetti autori delle violenze, che per l'estraneità dei soggetti minacciati alla pretesa azionata". 10. In conclusione, evidenziati i tratti distintivi tra i delitti di cui agli artt. 393 c.p. e 629 c.p., astrattamente ipotizzabili nell'ipotesi di riscossione, con violenza o minaccia, del credito altrui, e operata la distinzione tra le ipotesi in cui il titolare del credito agisca unitamente al terzo da quelle in cui il terzo operi autonomamente, deve registrarsi il diffuso orientamento giurisprudenziale volto a qualificare la condotta del terzo in termini di estorsione, avallato dalla recente giurisprudenza che ha valorizzato la categoria dei reati a soggettività ristretta. Tale soluzione è stata tuttavia criticata in quanto contrastante con i principi generali in materia di concorso di persone nel reato, ex art. 110 c.p., a partire dalla medesimezza del reato contestato ai concorrenti, che suggerisce di qualificare la condotta del terzo, che agisca per esercitare l'altrui diritto, su incarico del creditore, ai sensi dell'art. 393 c.p.; secondo tale impostazione, a prescindere dall'apporto materiale del creditore - che comunque concorre nel reato in qualità di mandante - il terzo potrà essere chiamato a rispondere di estorsione solo quando agisca procurando a sé un ingiusto profitto. | |
Da: Giugno 2019 | 1 - 05/06/2019 23:05:01 |
Due tracce terribili, ieri e oggi! Non dibattute e tutte da costruire Vorrei tentare il prossimo concorso ma la vedo durissima!!! In bocca al lupo per domani e comunque bravi a tutti coloro che oggi hanno ragionato, senza pensare alla pappa preconfezionata dai corsi . | |
Da: Navina | 05/06/2019 23:06:55 |
Le altre sue tracce please? | |
Da: Tre | 05/06/2019 23:14:40 |
Oggi ero talmente in un altra dimensione che non ho capito quali fossero le tracce non estratte. Qualcuno può gentilmente postarle. | |
Da: un cretino | 05/06/2019 23:18:48 |
Per domani prevedo una traccia sul regime di stabilità della burocrazia e del suo ruolo nell'imparzialità della p.a. | |
Da: Pm | 05/06/2019 23:29:15 |
No domani il 7! | |
Da: avv. Andrea | 05/06/2019 23:32:34 |
Bravissima Lucia | |
Da: lucia.pallotta | 05/06/2019 23:56:13 |
@ avv andrea Sì, nel copia/incolla vado fortissimo! :D | |
Da: Preoccupata | 06/06/2019 00:07:34 |
Ragazzi per favore potreste dire le tracce non estratte grazie! | |
Da: Troll1 | 06/06/2019 00:15:07 |
Perchè studiare quando basta saper tirare 3 calci ad un pallone o fare una recensione su youtube? | |
Da: Nina123 | 06/06/2019 00:44:57 |
@cercavigiustiziamatrovasti oggi è andata bene, l'argomento per fortuna lo conoscevo avendolo affrontato a studio. Traccia tosta però per chi non conosceva la questione. I corsi non l'hanno affrontata. Sinceramente sembrava quasi una traccia per il parere di penale dell'esame di avvocato. Ho avuto fortuna. A te come è andata? Comunque le tracce non estratte non le ricordo esattamemente ma una riguardava il concorso apparente di norme e l'altra il principio di irretroattività , in particolare nell'esecuzione. Tracce generali che avrebbe potuto fare davvero chiunque. Dal mio punto di vista è andata meglio così dato che una traccia così specifica fa molta selezione, ma capisco l'irritazione per chi si è trovato davvero spiazzato. In fiera ho sentito le ipotesi più disparate (e molte veramente assurde). Comunque nel mio padiglione molta gente allo scadere delle 4 ore se n'e andata. Vediamo venerdì che uscirà . Per il calcolo delle probabilità (e per via della presenza di un unico prof di costituzionale) prevedo una traccia molto generale. | |
Da: @nina123 | 1 - 06/06/2019 01:00:42 |
La gente che si ritirava l'hai vista solo tu. A me pare che hanno consegnato veramente in tanti. Altro che fare selezione... | |
Da: Prima traccia | 06/06/2019 01:10:08 |
Per quanto riguarda civile ho sentito che alcuni, me compreso, hanno affrontato solo la parte relativa alla nullità o meno del contratto, senza accennare all'usucapione (se non nella parte generale). Secondo voi può essere comunque sufficiente? O è escluso, visto che costituiva una parte rilevante della traccia (anzi, la più rilevante)? | |
Da: Tema trasparente | 06/06/2019 01:33:14 |
Propongo una petizione affinché sia posto un limite nella predisposizione delle tracce...e precisamente che non possano proporre questioni pratiche che non siano state trattate delle sezioni unite...in penale ieri si poteva dire tutto e il contrario di tutto.... | |
Da: Nina123 | 06/06/2019 01:40:29 |
Ah non sapevo fossi presente in tutti i padiglioni! Nel mio molti si sono ritirati, che vuoi che ti dica? Che me ne frega di inventarmelo? Ma che problemi avete? Per @prima traccia anche io non ho inserito l'usucapione e credo che fosse necessario metterlo. Purtroppo. | |
Da: abcstudio | 06/06/2019 01:48:11 |
scusate una domanda per chi ha già completato la preparazione ed ha avuto modo di raffrontare vari testi: che manuali consigliate per la parte speciale di penale? io per la parte generale ho usato Mantovani | |
Da: Romanista2 | 06/06/2019 04:41:04 |
Secondo voi sarebbe stato apprezzabile un riferimento al diritto romano? | |
Da: Prima traccia | 06/06/2019 06:27:44 |
@nina123 Quello che mi dispiace è che sono abbastanza soffisfatto del tema di panale in cui, quantomeno, ho adottato la soluzione della giurisprudenza, pur senza citarla perché non la conoscevo. Ma il mio tema di civile manca completamente della parte sull'usucapione. Non so se rischiare | |
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