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Sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale - illegittimità incarichi dirigenziali
56952 messaggi, letto 1785524 volte
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Da: inattendibile.09/01/2016 16:53:17
Ragazzi, non esageriamo ! ha sbagliato capra- caprese ad offendere senza che ce ne fosse bisogno e senza che fosse stato chiamato in causa e ha sbagliato chi ha risposto, anche se a seguito di provocazioni, e  senza volerlo e per legittima difesa , come ha detto lui, ha calcato la mano.

Da: capra capreee09/01/2016 16:54:34
Chi ti ha consentito di offendermi, diffamarmi e mancarmi di rispetto.

Innanzitutto ho risposto a un post anonimo a delle idiozie (per me sono emerite idiozie e quindi posso criticarle) scritte da uno che vuole solo provocare e che velatamente adotta comportamenti antisindacali (ribadisco che non sono iscritto ad alcun sindacato, vediamo se ora te lo ricordi). Dove sta l'offesa e la diffamazione?

MANCARMI DI RISPETTO.

Ancora continui con i tuoi atteggiamenti da mafioso?

Tony, dobbiamo farlo fuori...quel picciotto mi ha mancato di rispetto!!

Da: capra capreee09/01/2016 16:57:06
X INATTENDIBILE

Io non ho sbagliato di niente, a parte usare uno stile colorito e senza alcuna netiquette, ma il tizio mi vuole intimidire con minacce mafiose e questo è grave!

Sarò pure ineducato ma non mi permetterei mai di minacciare alcuno, cosa che il signorino invece ha fatto direttamente.

Da: apulissimo  09/01/2016 17:09:01
Buonasera a tutti. Riconduciamo il tutto alla moderazione e al rispetto reciproco.
Nell'occasione, rinnovo il mio precedente invito a disporre del misterioso allegato in PDF alla lettera del Salfi Piemonte del mese di dicembre su alcune procedure.
Grazie

Da: x capra caprese09/01/2016 17:11:32
Io non ho minacciato nessuno . Tu stai minacciando. ! Tu mi hai offeso e pesantemente senza nè conoscermi , e nemmeno io conosco te. Ed è un mio diritto conoscere e anche chiedere spiegazioni a chi mi chiama roditore, strupido , di falsità morale, emerito cretino, brutto scemo, becero individuo, evasore, solo ed esclusivamente per aver esternato un mio pensiero in questo forum senza coinvolgere e offendere nessuno e chicchesia. Il tuo non è stato uno stile colorito , ma una mitragliata di offese, diffdamazioni,  ed anche minacce. Dal momento che offendere in modo tanto pesante un semplice commentatore significa volerlo zittire e distoglierlo dall'esprimere le sue opinioni con violenza privata morale.  

Da: anti-antares x x capra 09/01/2016 17:12:38
Voi avete offeso Ben altro...( la nostra intelligenza ).
E non abbiamo vilipeso alcuna istituzione ( alla Costituzione noi siamo fedeli...)...ma solo criticato, aspramente, chi, indegnamente -lo reitero- , attualmente le dirige...
D'altronde noi "normali impiegati" abbiamo subito molti piu' vulnus dei pochi unti da Renzi,Monti ecc...E abbiamo, parimenti, subito offese e minacce.Non di poco conto.Unitamente alle tantissime umiliazioni...
Chiudiamola qui...
Meglio per tutti...
Non vi conviene esasperare, oltremodo, gli animi...Gli uffici ae sono pentole a pressione pronte, oramai, ad esplodere...

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Da: inattendibile.09/01/2016 17:15:44
Ora basta. Purtroppo stiamo tutti stanchi, a tutti saltano i nervi, chi per una ragione e chi per un altro, abbiamo tutti ragione e tutti torto,per colpe non nostre. Ma alla fine siamo tutti amici e compagni di ventura. Evitiamo di esagerare. Non ci facciamo del male. nessuno lo merita. !!

Da: capra capreee09/01/2016 17:26:27
senti cicciobello, prima lanci il sasso e poi ritiri la mano?

prima mi minacci e poi, a seguito della mia reazione legittima e giusta, ribalti la frittata e adesso sarei io quello che ti ha minacciato?

Assurdo! per fortuna scripta manent.

Inattendibile, hai ragione. La smetto qui, il livello di certi individui mi suggerisce di ignorarli.

Da: Giovanni De Gennaro09/01/2016 17:31:22
Per Michele Lorusso
condivido in pieno, raccolti 150 euro nel nostro ufficio.
speriamo di arrivarci, seppur a filo di lana

Da: perfettamente d''accordo.09/01/2016 17:41:26
Perfettamente d''accordo    06/01/2016 19.29.05
ESTRATTO DELLA SENTENZA N. 37/2015 DELLA CORTE COSTITUZIONALE:

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell'ambito di un'amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio. Anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta ï¿��«l'accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorsoï¿��» (sentenza n. 194 del 2002; ex plurimis, inoltre, sentenze n. 217 del 2012, n. 7 del 2011, n. 150 del 2010, n. 293 del 2009).
In apparenza, la disposizione impugnata non si pone in contrasto diretto con tali principi. Essa non conferisce in via definitiva incarichi dirigenziali a soggetti privi della relativa qualifica, bensì consente, in via asseritamente temporanea, l'assunzione di tali incarichi da parte di funzionari, in attesa del completamento delle procedure concorsuali.
Tuttavia, l'aggiramento della regola del concorso pubblico per l'accesso alle posizioni dirigenziali in parola si rivela, sia alla luce delle circostanze di fatto, precedenti e successive alla proposizione della questione di costituzionalità, nelle quali la disposizione impugnata si inserisce, sia all'esito di un più attento esame della fattispecie delineata dall'art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012.
4.2.âï¿�' Per colmare le carenze nell'organico dei propri dirigenti, l'Agenzia delle entrate ha, negli anni, fatto ampio ricorso ad un istituto previsto dall'art. 24 del proprio regolamento di amministrazione. Tale disposizione consente, ï¿��«[p]er inderogabili esigenze di funzionamento dell'Agenziaï¿��», la copertura provvisoria delle eventuali vacanze verificatesi nelle posizioni dirigenziali, previo interpello e previa specifica valutazione dell'idoneità degli aspiranti, mediante la stipula di contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l'attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti, ï¿��«fino all'attuazione delle procedure di accesso alla dirigenzaï¿��» e, comunque, fino ad un termine finale predeterminato. Questo termine finale è stato di volta in volta prorogato, a partire dal 2006, con apposite delibere del Comitato di gestione dell'Agenzia. Al momento della proposizione della questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, esso risultava fissato al 31 dicembre 2010. Successivamente alla proposizione della questione, il termine è stato prorogato altre due volte, da ultimo (con delibera n. 51 del 29 dicembre 2011) ï¿��«al 31 maggio 2012ï¿��».
Le reiterate delibere di proroga del termine finale hanno di fatto consentito, negli anni, di utilizzare uno strumento pensato per situazioni peculiari quale metodo ordinario per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti. Secondo la giurisprudenza, nell'ambito dell'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, l'illegittimità di questa modalità di copertura delle posizioni dirigenziali deriva dalla sua non riconducibilità, né al modello dell'affidamento di mansioni superiori a impiegati appartenenti ad un livello inferiore, né all'istituto della cosiddetta reggenza. Il primo modello, disciplinato dall'art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, prevede l'affidamento al lavoratore di mansioni superiori, nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi prorogabili fino a dodici, qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti, ma è applicabile solo nell'ambito del sistema di classificazione del personale dei livelli, non già delle qualifiche, e in particolare non è applicabile (ed è illegittimo se applicato) laddove sia necessario il passaggio dalla qualifica di funzionario a quella di dirigente (sentenza di questa Corte n. 17 del 2014; nella giurisprudenza di legittimità, ex plurimis, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 12 aprile 2006, n. 8529, e 26 marzo 2010, n. 7342).
Invero, l'assegnazione di posizioni dirigenziali a un funzionario può avvenire solo ricorrendo al secondo modello, cioè all'istituto della reggenza, regolato in generale dall'art. 20 del d.P.R. 8 maggio 1987, n. 266 (Norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo del 26 marzo 1987 concernente il comparto del personale dipendente dai Ministeri). La reggenza si differenzia dal primo modello perché serve a colmare vacanze nell'ufficio determinate da cause imprevedibili, e viceversa si avvicina ad esso perché è possibile farvi ricorso a condizione che sia stato avviato il procedimento per la copertura del posto vacante, e nei limiti di tempo previsti per tale copertura. Straordinarietà e temporaneità sono perciò caratteristiche essenziali dell'istituto (ex plurimis, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 22 febbraio 2010, n. 4063, 16 febbraio 2011, n. 3814, 14 maggio 2014, n. 10413). Ebbene, le reiterate proroghe del termine previsto dal regolamento di organizzazione dell'Agenzia delle entrate per l'espletamento del concorso per dirigenti e, conseguentemente, per l'attribuzione di funzioni dirigenziali mediante la stipula di contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l'attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti, hanno indotto la giurisprudenza amministrativa (TAR Lazio, Roma, seconda sezione, sentenze 30 settembre 2011, n. 7636, e 1ï¿��° agosto 2011, n. 6884) a ritenere carenti, nella fattispecie prevista dall'art. 24 del regolamento di amministrazione dell'Agenzia delle entrate, i due presupposti ricordati della straordinarietà e della temporaneità, a non configurarla come un'ipotesi di reggenza e quindi a considerarla in contrasto con la disciplina generale di cui agli artt. 19 e 52 del d.lgs. n. 165 del 2001.

IN UNA PAROLA: ILLEGITTIMI

Da: Perfettamente d''accordo    06/01/2016 19.

Da: Brutta aria09/01/2016 17:59:03
mah, secondo me il tipo che l'ha fatta di fuori ha confuso capra con qualcun altro! ma forse anche il forum con un altro perchè continua a parlare di 2 anni, 500 e rotti giorni...che poi secondo me è sempre lo stesso tipo che all'inizio si era fissato sui bilanci dei sindacati, poi su questo, poi su quello, e poi vai di copia incolla, poi basta me ne vado ma resta, poi di nuovo i bilanci dei sindacati, poi barra poi medici...la cosa che posso dire che gli interventi di capra, quando non gli plagiano il nick, anche quando a volte non mi trovano d'accordo sono sempre di pregio, sia stilistico che di contenuto.
vai capra, non ti stressare per un leone da tastiera! mi sa che è nervoso che l'hanno lasciato al palo, almeno questo si deduce dal tempo che trascorre qua dentro.

Da: ah black!!09/01/2016 19:48:44
che fu?

Da: ah black!!09/01/2016 19:53:06
peggio della RAI
solite e ripetute repliche

Da: perfettamente d''accordo09/01/2016 21:15:40


Da: Perfettamente d''accordo    06/01/2016 19.29.05
ESTRATTO DELLA SENTENZA N. 37/2015 DELLA CORTE COSTITUZIONALE:

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell'ambito di un'amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio. Anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta ï¿��«l'accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorsoï¿��» (sentenza n. 194 del 2002; ex plurimis, inoltre, sentenze n. 217 del 2012, n. 7 del 2011, n. 150 del 2010, n. 293 del 2009).
In apparenza, la disposizione impugnata non si pone in contrasto diretto con tali principi. Essa non conferisce in via definitiva incarichi dirigenziali a soggetti privi della relativa qualifica, bensì consente, in via asseritamente temporanea, l'assunzione di tali incarichi da parte di funzionari, in attesa del completamento delle procedure concorsuali.
Tuttavia, l'aggiramento della regola del concorso pubblico per l'accesso alle posizioni dirigenziali in parola si rivela, sia alla luce delle circostanze di fatto, precedenti e successive alla proposizione della questione di costituzionalità, nelle quali la disposizione impugnata si inserisce, sia all'esito di un più attento esame della fattispecie delineata dall'art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012.
4.2.âï¿�' Per colmare le carenze nell'organico dei propri dirigenti, l'Agenzia delle entrate ha, negli anni, fatto ampio ricorso ad un istituto previsto dall'art. 24 del proprio regolamento di amministrazione. Tale disposizione consente, ï¿��«[p]er inderogabili esigenze di funzionamento dell'Agenziaï¿��», la copertura provvisoria delle eventuali vacanze verificatesi nelle posizioni dirigenziali, previo interpello e previa specifica valutazione dell'idoneità degli aspiranti, mediante la stipula di contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l'attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti, ï¿��«fino all'attuazione delle procedure di accesso alla dirigenzaï¿��» e, comunque, fino ad un termine finale predeterminato. Questo termine finale è stato di volta in volta prorogato, a partire dal 2006, con apposite delibere del Comitato di gestione dell'Agenzia. Al momento della proposizione della questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, esso risultava fissato al 31 dicembre 2010. Successivamente alla proposizione della questione, il termine è stato prorogato altre due volte, da ultimo (con delibera n. 51 del 29 dicembre 2011) ï¿��«al 31 maggio 2012ï¿��».
Le reiterate delibere di proroga del termine finale hanno di fatto consentito, negli anni, di utilizzare uno strumento pensato per situazioni peculiari quale metodo ordinario per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti. Secondo la giurisprudenza, nell'ambito dell'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, l'illegittimità di questa modalità di copertura delle posizioni dirigenziali deriva dalla sua non riconducibilità, né al modello dell'affidamento di mansioni superiori a impiegati appartenenti ad un livello inferiore, né all'istituto della cosiddetta reggenza. Il primo modello, disciplinato dall'art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, prevede l'affidamento al lavoratore di mansioni superiori, nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi prorogabili fino a dodici, qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti, ma è applicabile solo nell'ambito del sistema di classificazione del personale dei livelli, non già delle qualifiche, e in particolare non è applicabile (ed è illegittimo se applicato) laddove sia necessario il passaggio dalla qualifica di funzionario a quella di dirigente (sentenza di questa Corte n. 17 del 2014; nella giurisprudenza di legittimità, ex plurimis, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 12 aprile 2006, n. 8529, e 26 marzo 2010, n. 7342).
Invero, l'assegnazione di posizioni dirigenziali a un funzionario può avvenire solo ricorrendo al secondo modello, cioè all'istituto della reggenza, regolato in generale dall'art. 20 del d.P.R. 8 maggio 1987, n. 266 (Norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo del 26 marzo 1987 concernente il comparto del personale dipendente dai Ministeri). La reggenza si differenzia dal primo modello perché serve a colmare vacanze nell'ufficio determinate da cause imprevedibili, e viceversa si avvicina ad esso perché è possibile farvi ricorso a condizione che sia stato avviato il procedimento per la copertura del posto vacante, e nei limiti di tempo previsti per tale copertura. Straordinarietà e temporaneità sono perciò caratteristiche essenziali dell'istituto (ex plurimis, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 22 febbraio 2010, n. 4063, 16 febbraio 2011, n. 3814, 14 maggio 2014, n. 10413). Ebbene, le reiterate proroghe del termine previsto dal regolamento di organizzazione dell'Agenzia delle entrate per l'espletamento del concorso per dirigenti e, conseguentemente, per l'attribuzione di funzioni dirigenziali mediante la stipula di contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l'attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti, hanno indotto la giurisprudenza amministrativa (TAR Lazio, Roma, seconda sezione, sentenze 30 settembre 2011, n. 7636, e 1ï¿��° agosto 2011, n. 6884) a ritenere carenti, nella fattispecie prevista dall'art. 24 del regolamento di amministrazione dell'Agenzia delle entrate, i due presupposti ricordati della straordinarietà e della temporaneità, a non configurarla come un'ipotesi di reggenza e quindi a considerarla in contrasto con la disciplina generale di cui agli artt. 19 e 52 del d.lgs. n. 165 del 2001.





Da: amateci 09/01/2016 21:50:22
Ci stiamo sui coglioni inutile negarlo e ci staremo sempre sui coglioni  noi da una parte...Voi dall'altra

Secondo me non c'è bisogno di offendere
anche perchè l'offesa più grande è quella fatta alla Costituzione le altre sono sciocchezze

Da: 11009/01/2016 22:56:36
Comunque, mal contati gli illegittimi si sono portati a casa, in modo illegittimo, circa euro  500.000,00 da quindici anni ad oggi, il resto sono solo chiacchere.

Da: furto più furto meno09/01/2016 23:31:22
a questo punto con le porcate che stiamo vedendo nella gestione del pubblico denaro questa situazione rientrerebbe nella normalità!
Ci siamo creati una bella repubblica di merda!!!!

Da: furto piu'' furto meno09/01/2016 23:33:21
a questo punto ritengo saremmo legittimati a farci giustizia con le nostre mani

Da: Gli unti del Signore10/01/2016 00:35:25
La P.A. è marcia. Con i fatti che stanno emergendo e che interessano sempre di più il peracottaro di Firenze l'affermazione trova sempre di più fondamento.
Se il capo dell'amministrazione è un poco di buono non si può pretendere che la struttura che governa sia molto meglio.
Vedremo fino a che punto scenderanno nella catena di comando.

Da: Gli unti del Signore10/01/2016 00:42:11
Stiamo scoprendo la mafia rossa:
ilfattoquotidiano.it/2016/01/09/banca-etruria-papa-renzi-e-rosi-la-coop-degli-affari-adesso-e-nel-mirino-dei-pm/2360830/
Mi sa tanto che ne vedremo delle belle!

Da: da il fatto ,quotidiano10/01/2016 11:02:36
anca Etruria, lite tra Belpietro e Zanetti: "Avete salvato i banchieri". "Tu sei fuori"

Polemica al fulmicotone tra il direttore di Libero, Maurizio Belpietro, e il sottosegretario all'Economia, Enrico Zanetti, durante Dimartedì (La7), sul caso Banca Etruria. A dare la stura alla discussione è Belpietro, che spiega: "Tutti ci siamo concentrati finora sul decreto Salva banche, ma prima ancora c'è il decreto Salva banchieri, con cui i truffati non potranno rivalersi sui consiglieri di amministrazione di quelle banche. Forse non ve ne siete accorti, ma con la scusa di recepire le norme europee, il governo Renzi ha introdotto questa norma il 13 novembre 2015". Il conduttore Giovanni Floris chiede lumi a Zanetti, che risponde: "L'azione spetta al commissario, esattamente come viene previsto in tutte le procedure fallimentari dal codice civile: sono i soggetti di garanzia a intervenire". Esplode la bagarre con la replica contrariata del direttore di Libero: "Non è vero, avete dovuto fare un decreto il 13 novembre per salvare i banchieri! Se avete fatto quel decreto, evidentemente prima quella norma non esisteva. Avete salvato i banchieri, anzi avete salvato il papà della Boschi!". "E' un inizio pessimo", sbotta il sottosegretario. "Allora mi spieghi perché quella norma" - ribatte Belpietro - "non c'è nella direttiva europea, che il governo dice di aver adottato. Anzi, se si leggono le norme, c'è scritto il contrario. Me lo vuole spiegare?". "Il direttore comincia con un colpo di scena" - osserva Zanetti - "ma invece mi sembra un autogol. Provo a spiegare tutto e mi scuso se prima ho interrotto. L'art. 2394 bis del codice civile prevede, per i casi di liquidazione e di fallimento, che le azioni spettino ai soggetti di garanzia, come il commissario liquidatore e il commissario straordinario. La risoluzione è una nuova procedura non contemplata tra gli istituti vigenti nel nostro ordinamento, motivo per cui abbiamo dovuto mettere quella norma". Belpietro ribadisce il suo dissenso, dinanzi a un Zanetti che scuote ripetutamente la testa: "Se la direttiva europea dice che bisogna salvaguardare gli azionisti e i correntisti e tutti devono avere il diritto di impugnare le decisioni prese, perché improvvisamente nel decreto del 13 novembre si stabilisce che gli italiani truffati non possono impugnare le decisioni? Perché?". La gazzarra esplode nuovamente qualche minuto dopo, quando il timoniere di Libero, rivolgendosi al viceministro dello Sviluppo Economico, Antonio Catricalà, ribadisce le sue osservazioni sulla norma governativa e aggiunge: "E' incredibile. Bankitalia dice che non c'entra nulla, la Consob idem. Ma chi vigila sulle banche?". Zanetti definisce 'avvilente' lo scaricabarile emerso in alcune dichiarazioni di Bankitalia e auspica una commissione d'inchiesta sulla vigilanza bancaria, anche ai livelli più alti. "Certo, una commissione bicamerale d'inchiesta tutta in mano al Pd, che quindi si assolverà. Ma di che cavolo state parlando?", obietta Belpietro. Il sottosegretario replica: "E allora cosa dobbiamo fare? Spiegami!". "Aprite gli archivi e fate vedere che cosa avete combinato. Desecretate!", risponde il direttore di Libero. "E come facciamo se non c'è una commissione d'inchiesta? Ma tu sei fuori!", sbotta Zanetti

Da: da il fattoquotidiano10/01/2016 11:15:14
Scanzi: "Banca Etruria? Aberrante che Boschi vada da Vespa e non ad Arezzo". Zanetti: "E' una fissazione"

Polemica concitata tra il giornalista de Il Fatto Quotidiano, Andrea Scanzi, e il sottosegretario all'Economia, Enrico Zanetti, durante Piazzapulita, su La7. Il tema dibattuto è il caso Banca Etruria, sul quale Scanzi osserva: "Il ministro Boschi è da un po' di tempo che non si fa vedere ad Arezzo. Chissà perché. Dopo essere riuscita a far perdere il sindaco di centrosinistra, scegliendo una sorta di Playmobil che nessuno ha votato, adesso è coinvolta con la famiglia nella vicenda della Banca Etruria. Le colpe del governo Renzi? Innanzitutto c'è un problema di metodi e di toni. La prima reazione del premier in una intervista, si fa per dire, a Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera è stata del tipo: 'Sì, però in fondo i risparmiatori lo sapevano'. In realtà non sapevano niente" - continua - "quindi bisogna avere molto rispetto nei confronti di persone che si sono fidate di banche di cui non si dovevano fidare. Finiamola col far passare questi poveri risparmiatori per speculatori. Certo, ora adesso sono diventati tutti esperti. Ma chi, quando fa un investimento, legge le 150 pagine in sanscrito bancario, che poi magari contengono delle regole che vengono cambiate in corsa?". Scanzi cita l'articolo di Giorgio Meletti su Il Fatto Quotidiano e analizza dettagliatamente la vicenda: "Il problema è dello Stato che non ha vigilato abbastanza. Devo dire che Zanetti ha un grande merito: è uno dei pochi del governo che in questi giorni ci mette la faccia. Ogni volta che succede qualcosa di sgradevole, guarda caso, Renzi manda in tv gli altri: non dico i pesci piccoli, ma non certo nomi grossi del Pd. Lui deve associare se stesso alle cose belle". E aggiunge: "Trovo aberrante che, mentre la città di Arezzo è scesa in piazza, il ministro Boschi, che è aretina, sia andata alla presentazione del libro di Vespa. Lo trovo un messaggio orrendo". "Siamo al limite della fissazione", insorge Zanetti. La polemica diventa rovente quando la firma de Il Fatto Quotidiano muove critiche sulla narrazione renziana, dove tutto è bello e funziona bene. "Sono solo 2mila i nuovi assunti a tempo indeterminato col Jobs Act, dal 1 gennaio 2015 ad oggi" - afferma Scanzi - "E quanto sono costati? Ben 3 miliardi di sgravi fiscali. Non mi sembra un gran trionfo. I 10 miliardi dovuti agli 80 euro dati ogni anno per prendere voti sono serviti a far vincere Renzi, ma non certo a smuovere l'economia. Questo governo, oltre a non essere nuovo, risponde innanzitutto alle banche, a Confindustria e, quando gli conviene, all'Europa. E se vuoi rilanciare il Paese, combatti l'evasione fiscale". Zanetti si infuria quando Scanzi si sofferma sull'aumento del tetto del contante e sulla soglia di punibilità del reato di evasione fiscale. E sbotta: "Ma vergognatevi!". "Si vergogni lei", ribatte Scanzi

Da: da il fatto quotidiano10/01/2016 11:16:52
anca Etruria, lite tra Belpietro e Zanetti: "Avete salvato i banchieri". "Tu sei fuori"

Polemica al fulmicotone tra il direttore di Libero, Maurizio Belpietro, e il sottosegretario all'Economia, Enrico Zanetti, durante Dimartedì (La7), sul caso Banca Etruria. A dare la stura alla discussione è Belpietro, che spiega: "Tutti ci siamo concentrati finora sul decreto Salva banche, ma prima ancora c'è il decreto Salva banchieri, con cui i truffati non potranno rivalersi sui consiglieri di amministrazione di quelle banche. Forse non ve ne siete accorti, ma con la scusa di recepire le norme europee, il governo Renzi ha introdotto questa norma il 13 novembre 2015". Il conduttore Giovanni Floris chiede lumi a Zanetti, che risponde: "L'azione spetta al commissario, esattamente come viene previsto in tutte le procedure fallimentari dal codice civile: sono i soggetti di garanzia a intervenire". Esplode la bagarre con la replica contrariata del direttore di Libero: "Non è vero, avete dovuto fare un decreto il 13 novembre per salvare i banchieri! Se avete fatto quel decreto, evidentemente prima quella norma non esisteva. Avete salvato i banchieri, anzi avete salvato il papà della Boschi!". "E' un inizio pessimo", sbotta il sottosegretario. "Allora mi spieghi perché quella norma" - ribatte Belpietro - "non c'è nella direttiva europea, che il governo dice di aver adottato. Anzi, se si leggono le norme, c'è scritto il contrario. Me lo vuole spiegare?". "Il direttore comincia con un colpo di scena" - osserva Zanetti - "ma invece mi sembra un autogol. Provo a spiegare tutto e mi scuso se prima ho interrotto. L'art. 2394 bis del codice civile prevede, per i casi di liquidazione e di fallimento, che le azioni spettino ai soggetti di garanzia, come il commissario liquidatore e il commissario straordinario. La risoluzione è una nuova procedura non contemplata tra gli istituti vigenti nel nostro ordinamento, motivo per cui abbiamo dovuto mettere quella norma". Belpietro ribadisce il suo dissenso, dinanzi a un Zanetti che scuote ripetutamente la testa: "Se la direttiva europea dice che bisogna salvaguardare gli azionisti e i correntisti e tutti devono avere il diritto di impugnare le decisioni prese, perché improvvisamente nel decreto del 13 novembre si stabilisce che gli italiani truffati non possono impugnare le decisioni? Perché?". La gazzarra esplode nuovamente qualche minuto dopo, quando il timoniere di Libero, rivolgendosi al viceministro dello Sviluppo Economico, Antonio Catricalà, ribadisce le sue osservazioni sulla norma governativa e aggiunge: "E' incredibile. Bankitalia dice che non c'entra nulla, la Consob idem. Ma chi vigila sulle banche?". Zanetti definisce 'avvilente' lo scaricabarile emerso in alcune dichiarazioni di Bankitalia e auspica una commissione d'inchiesta sulla vigilanza bancaria, anche ai livelli più alti. "Certo, una commissione bicamerale d'inchiesta tutta in mano al Pd, che quindi si assolverà. Ma di che cavolo state parlando?", obietta Belpietro. Il sottosegretario replica: "E allora cosa dobbiamo fare? Spiegami!". "Aprite gli archivi e fate vedere che cosa avete combinato. Desecretate!", risponde il direttore di Libero. "E come facciamo se non c'è una commissione d'inchiesta? Ma tu sei fuori!", sbotta Zanetti

Da: za-za-za-za-za10/01/2016 11:18:59
Dove sta Zazà
Era la festa di San Gennaro,
quanta folla per la via...
Con Zazá, compagna mia,
me ne andai a passeggiá.

C'era la banda di Pignataro
che suonava il "Parsifallo"
e il maestro, sul piedistallo,
ci faceva deliziá...

Nel momento culminante
del finale travolgente,
'mmiez'a tutta chella gente,
se fumarono a Zazá!...

Dove sta Zazá?!
Uh, Madonna mia...
Come fa Zazá,
senza Isaia?...
Pare, pare, Zazá,
che t'ho perduta, ahimé!
Chi ha truvato a Zazá
ca mm''a purtasse a me...
Jámmola a truvá...
sù, facciamo presto.
Jámmola a incontrá
con la banda in testa...
Uh, Zazá!
Uh, Zazá!
Uh, Zazá!
tuttuquante aîmm''a strillá:
Zazá, Zazá,
Isaia sta ccá!
Isaia sta ccá!
Isaia sta ccá!...

Zazá, Zazá,
za-za-za-za,
comm'aggi 'a fá pe' te truvá?!
I', senza te, nun pozzo stá...
Zazá, Zazá,
za-za-za-za...

Za-za-za-za-za-za-zá...

Era la festa di San Gennaro,
l'anno appresso cante e suone...
bancarelle e prucessione...
chi se po' dimenticá!?

C'era la banda di Pignataro,
centinaia di bancarelle
di torrone e di nocelle
che facevano 'ncantá.

Come allora quel viavai,
ritornò per quella via...
Ritornò pure Isaia,
sempre in cerca di Zazá...

Dove sta Zazá?
Uh! Madonna mia...
Come fa Zazá,
senza Isaia?
Pare pare, Zazá
che t'ho perduta, ahimé!
Chi ha truvato a Zazá,
ca mm''a purtasse a me...
Se non troverò
lei, ch'è tanto bella,
mm'accontenterò
'e trová 'a sorella...
T'amerò,
t'amerò,
t'amerò,
pure a lei glielo dirò
che t'amerò:
T'amerò, Zazá!
T'amerò, Zazá!
T'amerò, Zazá!
Zazá, Zazá,
za-za-za-za...
che t'amerò ll'aggi''a cuntá...
Con tua sorella aggi''a sfugá...
Zazá, Zazá,
za-za-za-za...

Zazá, Zazá,
za-za-za-za...
comm'aggi''a fá pe' te truvá?!
I', senza te, nun pòzzo stá!
Zazá, Zazá,
za-za-za-za-za...

Za-za-za-za-za-za-zá.
Altri brani dell'album

    Quelli come noi
    Chissà se va
    Parole parole
    Dove sta Zazà
    La gallina
    Felicità, tà tà
    Johnny Bassotto

Da: za-za-za-za-za10/01/2016 11:23:54
E se invece di chiedere il commissariamento dell'Agenzia delle Entrate o di chiedere le dimissioni del suo direttore si fosse occupato , e di occuparsi dei dirifenti illegittimi con la stessa frequenza, della Banca Etruria. Mhaaaa. Chi sa'.

Da: uno psichiatra bravo10/01/2016 11:30:27
cavolo, come hai ragione, mi hai convinto, genio!
ma tu pensa se si fosse occupato di Isis, delle violenze di Colonia, della fame nel mondo, del problema dell'integrazione...ma con tutti i problemi VERI che ci sono, che gliene deve fottere dell'AdE lo sa solo lui.

Da: ORPO SEMPLICE 10/01/2016 12:39:10
Ecco dove era finito Zanetti, a difendere l'indifendibile

Da: bla bla bla10/01/2016 16:20:16
buona domenica

---------- Messaggio inoltrato ----------
Da: Dirpubblica
Date: 10 gennaio 2016 01:17
Oggetto: L'Agenzia delle Entrate Tradisce la costituzione - 2a puntata
A: marco.perno57@gmail.com


Abbiamo aggiunto su http://www.dirpubblica.it/contents.aspx?id=1579 l'articolo integrale del Presidente aggiunto onorario del Consiglio di Stato, Salvatore Giacchetti, pubblicato sul n. 7 di LEX ITALIA del 08/07/2015, dal titolo: "Le Agenzie fiscali tra incarichi illegittimi, concorsi addomesticati e premi per accertamenti".

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www.dirpubblica.it

Da: bla bla bla10/01/2016 16:41:49
Rivista di diritto pubblico
http://www.lexitalia.it/a
Le Agenzie fiscali tra incarichi illegittimi, concorsi addomesticati e
premi per accertamenti
SALVATORE GIACCHETTI, La difficile convivenza tra Agenzie fiscali, equità fiscale e buon andamento della
pubblica amministrazione*.
SALVATORE GIACCHETTI
(Presidente aggiunto onorario
del Consiglio di Stato)
La difficile convivenza tra Agenzie fiscali, equità fiscale
e buon andamento della pubblica amministrazione
SOMMARIO: 1- La sentenza della Corte Costituzionale n. 37/2015. 2- La confederazione della pubblica
amministrazione sorta a seguito dell'istituzione delle Agenzie fiscali. 3- La non edificante istoria degli
incarichi dirigenziali presso talune Agenzie fiscali. 4- Istituzioni e rispetto della Costituzione. Il ruolo
dell'Avvocatura dello Stato. 5- La non edificante istoria di un concorso "pubblico" a dirigente dell'Agenzia
delle Dogane e Monopoli di Stato. 6- L'assurdo sistema degli accertamenti fiscali operati dall'Agenzia
delle Entrate. 7- La società civile potrà riappropriarsi del suo futuro solo quando lo Stato si sarà
riappropriato del suo passato.
1- La Corte Costituzionale, con sentenza n. 37/2015:
1) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme con cui, da dieci anni a questa parte, era stato istituito un
sistema che consentiva ai vertici delle Agenzie fiscali di affidare - in via del tutto discrezionale e insindacabile,
senza alcuna dimostrata valutazione di ordine meritocratico - incarichi dirigenziali asseritamente provvisori ma in
realtà a tempo indeterminato, con conseguente congruo aumento retributivo degli incaricati;
2) ha riconosciuto che la motivazione addotta dalle Agenzie a sostegno del loro operato, e cioè la necessità e
l'urgenza di dover coprire posti dirigenziali vacanti, era insussistente, dal momento che l'Amministrazione ben
avrebbe potuto provvedere a ciò - e senza oneri per l'erario - mediante l'istituto della reggenza temporanea.
In buona sostanza la Corte Costituzionale, così come aveva a suo tempo sanzionato l'illegittimità del Porcellum, ha
ora sanzionato l'illegittimità dell'attuale Dirigentellum, il nuovo mostro dell'ordinamento giuridico nazionale.
Il ministro Padoàn, appena conosciuta tale sentenza, ha dichiarato, con mestizia e sincero stupore, che la Corte
Costituzionale "non ha facilitato il lavoro dell'Agenzia".
Questa singolare dichiarazione crea in noi comuni cittadini una mestizia e uno stupore molto maggiori, che sul
piano giuridico possono esprimersi con alcuni interrogativi:
1) può un membro - e di primario rilievo - delle Istituzioni dolersi ufficialmente di una sentenza della Corte
Costituzionale?
2) aveva la Corte Costituzionale il "dovere" di facilitare il "lavoro" dell'Agenzia?
3) da quale livello deve cominciare l'ardua opera di prevenzione e contrasto della corruzione avviata dall'attuale
Governo?
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4) quali speranze può avere la società civile per il suo presente e per il suo futuro?
Per rendersi bene conto della questione è opportuno premettere una breve ricostruzione storica delle Agenzie
fiscali ed una breve esposizione dei criteri da esse adottati nella scelta del proprio personale dirigente, criteri
oggetto della citata sentenza della Corte Costituzionale che tanto ha meravigliato il ministro Padoàn.
2- Per ben comprendere la ragione per cui sono sorte le attuali Agenzie fiscali occorre tornare alla mentalità
dominante negli ultimi decenni del secolo scorso.
In tale periodo l'indubbio progresso del tenore di vita sotto il profilo economico, e l'indubbia incapacità del settore
pubblico di stare al passo con i tempi e di realizzare un analogo progresso organizzativo e operativo, avevano
innestato nel pensiero economico scientifico dominante - e, di rimbalzo, nelle Istituzioni - una sorta di isteria
collettiva fondata sullo svilimento del "pubblico" e sull'esaltazione del "privato", secondo cui la migliore politica di
uno stato moderno che volesse vittoriosamente competere con gli altri era quella di privatizzare tutto il
privatizzabile e di sollecitare ciò che restava di pubblico ad agire secondo moduli privatistici di tipo contrattuale. Di
conseguenza si attribuì alla privatizzazione il merito di promuovere uno sviluppo economico illimitato certificato da
un parallelo continuo aumento del PIL. Si tralasciò però di considerare che uno sviluppo economico illimitato è un
evento tecnicamente possibile soltanto in un sistema fornito di risorse illimitate, quale non è il nostro pianeta, e che
un continuo aumento del PIL non significa un identico proporzionale aumento del potere d'acquisto di ciascun
cittadino, dal momento che può concentrarsi nel primo centile della popolazione (come avviene oggi) e può
addirittura comportare una contemporanea regressione del potere d'acquisto dei centili inferiori (come pure
sembra avvenire oggi: il cardinale Bagnasco ha attestato che l'attuale ripresa economica "ancora non si vede nelle
parrocchie").
Le manifestazioni più significative di questa isteria sono state il decreto legislativo n. 30 luglio 1999 n. 300 e la
legge n. 11 febbraio 2005 n. 15. Il decreto n. 300/1999, sul piano strutturale, ha avviato una profonda
trasformazione delle Pubbliche Amministrazioni, istituendo - tra l'altro - le Agenzie fiscali, concepite come enti
pubblici economici e quindi abilitate a servirsi anche dei comuni poteri contrattuali di diritto privato. La legge n.
15/2005, sul piano procedurale, ha introdotto nell'art. 1 della legge 241 /1990 il principio innovatore del
comma 1-bis: "La pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le
norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente".
Quest'ultima riforma meramente procedurale ha fatto sorgere un'infinità di problemi teorici e pratici, sui quali si
può tranquillamente sorvolare dato che la norma non ha poi avuto significativa applicazione, perché i pubblici
impiegati per lo più non se la sono sentita di abbandonare la tradizionale e collaudata via pubblicistica, che li
esentava da particolari responsabilità, per avviarsi verso una nuova via privatistica in cui l'acquisizione della pur
limitata libertà contrattuale concessa dalla legge presentava il risvolto negativo dell'assunzione di una
responsabilità personale che, dati i tempi, poteva anche essere interpretata in chiave penalistica, sull'onda lunga
di "mani pulite".
La vera rivoluzione si è avuta con la creazione della Agenzie fiscali, dotate di propria personalità giuridica, alle quali
sono stati ripartiti i settori operativi fino ad allora esercitati direttamente dal MEF, mediante una "convenzione" (in
sostanza, un appalto di servizi) con cui:
- il Ministero stabiliva la programmazione strategica e nominava per un triennio (prorogabile) il Direttore
dell'Agenzia e, su proposta del Direttore dell'Agenzia, nominava gli altri componenti del Comitato di gestione;
- il Comitato di gestione deliberava il piano di programmazione operativa, che una volta approvato a sua volta dal
Ministero, veniva posto in attuazione;
- il Ministero non manteneva alcun diretto potere di vigilanza o di controllo sull'Agenzia (salvo il potere
eccezionale di sostituire il Direttore con un proprio commissario);
- all' Agenzia era attribuita la possibilità di creare o di partecipare a consorzi e a società commerciali, con
conseguente ragionevole previsione di poter disporre di numerosi posti di sottogoverno;
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- l'unico controllo interno era affidato ad un apposito Audit interno, da scegliere però con il metodo Incalza, e cioè
individuandolo non tra il personale del MEF (committente del servizio) ma tra il personale dell'Agenzia (appaltatore
del servizio), e che quindi sarebbe necessariamente risultato un controllore dell'Agenzia a sua volta controllato dal
Comitato di gestione dell'Agenzia stessa.
L'introduzione di questa innovazione, all'epoca, è stato reso possibile dalla convergenza di varie forze:
1) l'influsso dei poteri forti economico finanziari che avevano abilmente condizionato anche la dottrina economica
(vedasi il Nobel per l'economia assegnato nel 1974 a Von Hayeck) creando il mito della libertà di concorrenza
come bene e valore assoluto, e che - per essere più precisi - contando sulla loro forza volevano servirsi della
libertà per soffocare la concorrenza; sicché avevano tutto l'interesse ad avere a che fare con un interlocutore
necessario più "libero" e cioè più lontano da occhi indiscreti, e quindi ritenuto più malleabile;
2) l'interesse dei segretari dei partiti politici, che (salvo chi era già ricco di suo) tendevano ad assicurarsi il futuro
creandosi, con i contributi statali ai rispettivi partiti, le rispettive fondazioni personali con eventuali vigneti di alto
pregio; ed avevano quindi l'esigenza di tacitare amici e sostenitori con incarichi ad hoc, reperibili o nell'area delle
Agenzie stesse o nell'area delle società ad esse collegate;
3) l'aspirazione della dirigenza pubblica a competere, sul piano retributivo, con la ben più remunerata dirigenza
privata;
4) il miraggio della restante parte della burocrazia, che costituiva un ampio bacino di voti, di poter transitare, col
tempo ed avendone i meriti e i necessari titoli professionali, ai vertici dell'istituzione, così come accadeva nel
sistema disciplinato dal testo unico n. 3/1957;
5) la presenza di un sistema amministrativo antiquato e pieno di "lacci e laccioli".
Insomma allora si pensò, in buona fede, che la privatizzazione avrebbe potuto costituire una panacea utile a tutto e
a tutti. E qualcuno forse tenne presente anche il "metodo UE", come candidamente confessato nel 1999 da JeanClaude
Juncker, allora presidente dell'Eurogruppo: "Noi prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e
aspettiamo un po' per vedere cosa succede. Se non provoca proteste né rivolte, perché la maggior parte
della gente non capisce niente di cosa è stato deciso, andiamo avanti passo dopo passo fino al punto di
non ritorno".
Le persone in buona fede avevano però omesso di considerare che, per quanto riguardava le neonate Agenzie
fiscali:
sub 1) il ricorso a strumenti di diritto privato è utile solo a soggetti industriali o commerciali destinati ad operare in
un mercato concorrenziale: sicché, in tutto il pur variegato panorama di soggetti di pubblico interesse, le Agenzie
fiscali erano i soggetti meno adatti ad assumere i connotati di enti pubblici economici, sia perché non operanti in un
mercato concorrenziale sia perché la disciplina delle loro attività continuava ad essere minutamente ed
inderogabilmente regolata dalle leggi e dai regolamenti del settore, lasciando agli operatori margini di "libertà"
contrattuale scarsissimi e comunque identici a quelli esistenti nel precedente regime ministeriale; sicché tutta
l'operazione si risolveva in una mascheratura posta sullo stesso volto, dato che non modificava in nulla l'attività
istituzionale, ed incideva soltanto su eventuali attività collaterali di tipo societario o commerciale di entità modesta
se rapportata a quella istituzionale. Lo Stato si spogliava così di attribuzioni tipicamente sovrane, come se avesse
dato in appalto le Forze Armate o la Giurisdizione.
In ogni caso, anche le Agenzie fiscali avrebbero dovuto continuare ad ispirarsi alla Costituzione, il cui valore
primario non è la libera concorrenza, che altro non è che la riedizione incivilita (ma altrettanto letale) della legge
della selezione naturale in favore del più forte (la legge della jungla), ma la dignità della persona umana, come oggi
riconosce anche l'UE. nell'art. 1 dei suoi Diritti Fondamentali; il che presuppone non la selezione ma la mutua
cooperazione nel segno dell' "adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale" (art.
2 Cost.);
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sub 3) non si vedeva perché nelle Agenzie la dirigenza, cambiando casacca ma continuando a fare lo stesso
lavoro, avrebbe dovuto essere pagata il doppio o - spesso - di più;
sub 4) il miraggio di poter transitare, col tempo e per meriti di servizio, nei ruoli della dirigenza poteva rivelarsi -
come di fatto è avvenuto - una mera utopia, dal momento che la mancanza di un serio controllo governativo
avrebbe potuto indurre i vertici delle Agenzie a gestire discrezionalmente il dipendente personale dando valore
prevalente a "meriti" di fedeltà personale al capo; sicché l'ambita dirigenza nelle Agenzie avrebbe potuto rivelarsi
una casta chiusa, impenetrabile sia dall'esterno (in tempi recenti nessun candidato esterno ha potuto vincere i
concorsi alla dirigenza) sia dall'interno (nel caso di elementi non fidelizzati);
sub 5) il ripetuto, stolido e ingeneroso richiamo ai "lacci e laccioli", spesso proveniente da chi tra i lacci e i laccioli
considera anche le manette, non teneva conto che il sistema amministrativo non lo fa la burocrazia pubblica, dato
che "i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge" (art. 97 Cost.); e quindi non si possono
logicamente imputare alla burocrazia pubblica farraginosità che sono state imposte dal legislatore. La scelta del
decreto legislativo n. 300/1999 di cambiare la forma apparente del sistema anziché di modificare - aggiornandola e
semplificandola - la sostanza delle leggi regolatrici dell'attività delle Agenzie fiscali lascia molto perplessi: ed allora
costituì, in pratica, una ingenua dichiarazione di impotenza e/o di incapacità.
A ben vedere, quindi, appariva valida soltanto la ragione sub 2), e cioè l'interesse personale dei segretari dei
partiti. Ma non sembra proprio che meritasse il plauso dei cittadini.
Si veniva così a realizzare un sistema in cui lo Stato, di fatto, cedeva in appalto a soggetti terzi, posti in posizione di
parità dallo strumento convenzionale adottato per tale cessione, l'esercizio di fondamentali attività statali tipiche
della sovranità, creando, di fatto, un sistema di tipo prefederale, in cui nell'ambito della programmazione strategica
dello Stato, titolare formale del potere esecutivo, le Agenzie acquistavano un'ampia potestà organizzativa, limitata
soltanto da eventuali interventi repressivi in sede giurisdizionale. Un sistema di tipo prefederale articolato non su
base territoriale ma su base funzionale; sistema che quindi nulla aveva a che vedere con le ideologie risalenti a
Cattaneo e a Gioberti, oggi spesso richiamate in sede politica e che hanno costituito la base per il ribaltamento
della piramide degli enti pubblici territoriali operata nel 2001 dall'attuale art.114 della Costituzione: ideologie
ispirate all'esigenza di avvicinare le istituzioni ai cittadini, a quel "popolo" teorico detentore della sovranità, e che
traggono la loro legittimazione costituzionale anche dalla considerazione di essere fondate sul suffragio del popolo,
al quale sono soggette a rispondere quanto meno politicamente. Le Agenzie fiscali si presentano invece come
soggetti contrattualmente equiordinati allo Stato e che - salvo macroscopici eccessi, che le competenti magistrature
possono reprimere - sul piano organizzativo ed operativo rispondono solo a se stesse, all'insegna del "libera
Agenzia in libero Stato"; il che non sembra affatto in linea con l'ordinamento costituzionale.
Da quell'errore di partenza era prevedibile che potessero conseguire i problemi organizzativi del personale ed
operativi che poi di fatto si sono realizzati, e che hanno richiesto l'intervento correttivo della Corte Costituzionale.
3- Infatti, - la nomina politica (e quindi non per normale progressione di carriera ma - di regola - tra gli esterni) dei
vertici delle Agenzie poteva creare la conseguente necessità, specie per i nominati esterni, di crearsi uno staff di
loro piena fiducia.
Ciò in concreto è avvenuto mediante l'affidamento di incarichi dirigenziali assegnati sulla base di una selezione
non ufficialmente ed esternamente motivata e soprattutto conclusa con un affidamento in via temporanea e
revocabile: il che consentiva ai vertici di valutare nel tempo la "affidabilità" (intesa nel senso di "sicura obbedienza
al capo") di tali soggetti, e di scartare quelli che, non dando altrettante garanzie, fossero da considerare
"inaffidabili".
Una volta accertata l'affidabilità sorgeva però la conseguente necessità di stabilizzare nel tempo tutti gli
"affidabili", malgrado le norme che limitavano nel tempo gli incarichi dirigenziali. A ciò si provvide con l'ausilio di
compiacenti leggine a catena, che aderendo alla prospettazione di alcune Agenzie secondo cui esigenze
straordinarie e inderogabili rendevano necessario prorogare tali incarichi nell'interesse della funzionalità delle
stesse (esigenze straordinarie e inderogabili che la Corte Costituzionale ha dichiarato insussistenti) hanno
ripetutamente prorogato il termine di scadenza degli incarichi in questione, ed i relativi poteri dell'apparato
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dirigenziale sul personale dipendente.
In tempi recenti, poi, la situazione di potere dell'apparato dirigenziale sul personale dipendente si è ancora più
accentuata perché un provvidenziale parere dell'Avvocatura Generale dello Stato (questa volta Padoàn non può
dire di non essere stato aiutato) ha ritenuto di poter desumere dal testo unico n. 3/1957 e dal decreto legislativo n.
165/2001 (senza però indicare l'iter logico seguito) che su tutti i dipendenti della pubblica amministrazione gravi il
dovere di denunciare eventuali illeciti disciplinari da loro incidentalmente rilevati. Da ciò, secondo l'Avvocatura,
conseguirebbe che anche i dipendenti dell'Agenzia delegati dall'Autorità Giudiziaria a svolgere indagini, e che
sono quindi tenuti al rispetto del relativo segreto investigativo ai sensi degli artt. 379 bis c.p. e 329 c.p.p., siano
comunque tenuti a comunicare agli organi disciplinari dell'Agenzia eventuali illeciti disciplinari emersi nel corso
dell'indagine (e cioè, in pratica, ad avvisare i colleghi che l'Autorità Giudiziaria sta indagando su di loro) perché
nei loro confronti opererebbe la scriminante dell'art. 51 c.p. (adempimento di un dovere imposto da una norma
giuridica).
Ma in primo luogo un dovere penalmente rilevante di una gravità del genere, e che non ha alcun riscontro nel
settore dell'impiego privato non soltanto in Italia ma anche - a quanto risulta - nell'Unione Europea, avrebbe
richiesto una esplicita "norma giuridica", e non potrebbe essere semplicemente desunto (o meglio, presunto), dal
momento che - in pratica - impone a tutti i pubblici dipendenti il dovere di spionaggio, trasformandoli in una sorta di
polizia segreta della propria Amministrazione, che vede così sensibilmente rafforzato il suo controllo sul personale
dipendente. Ma questa situazione, propria di passati regimi totalitari e palesemente contraria all'attuale assetto
costituzionale, oggi non può essere accettata da nessuno stato democratico.
In secondo luogo, nessuno degli articoli invocati dall'Avvocatura fa desumere (o meglio presumere) alcunché al
riguardo; semmai la presunzione è in senso contrario, dal momento che, se un dovere del genere esistesse
davvero, il nuovo istituto del whisleblowing (art. 54 bis del decreto legislativo n. 165/2001, incautamente citato
dall'Avvocatura), che presuppone la facoltà e non l'obbligo di denuncia dell'illecito, sarebbe privo di senso,
perché non avrebbe alcun senso introdurre una facoltà di comportamento dove già esiste un obbligo di quel
comportamento; ad anzi, paradossalmente, esporrebbe ad un procedimento disciplinare il dipendente che indirizzi
la propria denuncia all'ANAC o alla Corte dei conti anziché alla propria amministrazione.
Infine, non è mai stato messo in discussione l'art. 17, comma 3, del t.u. n. 3/1957, che pone il divieto al pubblico
impiegato di violare la legge penale anche se ciò gli viene formalmente ordinato.
Pertanto, parlando a titolo personale, se fossi un pubblico dipendente che esercita mansioni investigative di polizia
giudiziaria su delega dell'Autorità Giudiziaria, se intendessi violare il segreto investigativo in favore della mia
Amministrazione non conterei poi molto sulla possibilità di avvalermi legittimamente della scriminante
dell'adempimento di un dovere.
4- Se quindi la Corte Costituzionale non fosse tempestivamente intervenuta, a circa 150 incaricati dirigenziali
dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di inos*******bile affidabilità, che - previo un concorso al quale accennerò
dopo - si intendeva trasformare in dirigenti pleno iure, sarebbe stato così affidato il compito di dirigere alcune
decine di migliaia di non dirigenti di non nota affidabilità; cristallizzando così una sfera di potere suscettibile di
operare al di fuori di un controllo diretto continuo dello Stato.
La Corte Costituzionale è quindi intervenuta un attimo prima che fosse superato quello che lo spensierato Juncker
aveva definito "punto di non ritorno". Nessuno ovviamente dubita della serietà e delle buone intenzioni degli attuali
vertici delle Agenzie, che indubbiamente hanno operato - sia pure con strumenti dichiarati illegittimi - nell'interesse
del buon andamento della propria Amministrazione e non per il proprio tornaconto personale. Ma, come tutte le
situazioni fondate sul fatto, questo non può far dimenticare che la situazione oggettiva che si sarebbe creata
sarebbe stata potenzialmente eversiva dell'ordinamento democratico e, in altre mani, avrebbe potuto avere
pesanti ricadute negative. E stato quindi un bene che un arco di tempo di azione amministrativa sia stato
trasformato in un passato prossimo illegittimo, tutto da dimenticare.
Ma questo passato prossimo, che ormai si credeva trapassato, è inaspettatamente riapparso dalle parole di un
autorevole membro del Governo, che ha ritenuto di poter fondatamente dolersi della circostanza che la citata
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sentenza della Corte Costituzionale "non ha facilitato il lavoro dell'Agenzia", omettendo di rilevare che - come
peraltro ben sapeva dalla sentenza - il lavoro in questione era stato un lavoro illegittimo e quindi "facilitarlo"
avrebbe costituito un'ulteriore e ben più grave illegittimità, inescusabile in quanto proveniente dalla Corte
Costituzionale. Nessuno pensa di disconoscere l'indubbia professionalità di economista di questo membro, al
quale si può al limite riconoscere l'attenuante di non essere un giurista; ma nessun componente delle Istituzioni,
come ha rilevato recentemente il Presidente Renzi, può gettare discredito su altre Istituzioni, e soprattutto non può
invocare un aiuto alla Corte Costituzionale per cristallizzare una situazione non solo illegittima ma anche
potenzialmente eversiva. Ci sono stati ministri indotti a dimettersi per molto meno, magari per un orologio o per un
vestito sartoriale, che nella logica corrente a quel livello possono anche passare - con un po' di buona volontà -
anche per normali regali d'uso. Ma qui è in gioco molto di più: è in gioco l'esistenza stessa di una pubblica
amministrazione al servizio della Nazione (art. 97 Cost.) e quindi del cittadino (art. 1 del decreto legislativo n.
33/2013), e quindi funzionale allo schema di stato democratico tracciato dalla Costituzione. Ed è a dir poco molto
singolare che il suddetto membro del Governo, invitato a dare chiarimenti, in sede di risposta ad una interrogazione
parlamentare relativa al comportamento dell'Agenzia, lo abbia fatto…limitandosi a leggere la memoria difensiva che
l'Avvocatura dello Stato aveva presentato in sede di dibattito dinanzi la Corte Costituzionale. Per questo membro,
insomma, bisognava continuare ad operare all'insegna del "non vedo, non sento, non ascolto", come se la
decisione della Corte non esistesse affatto; il che fa comprendere che aria continui a tirare nelle alte sfere
ministeriali, che a quanto risulta starebbero ipotizzando di riconoscere, ai titolari di incarichi dirigenziali
illegittimamente conferiti, una sorta di usucapione dell'incarico, previa leggina in tal senso. Mostro su mostro.
5- Può essere illuminante ripercorrere la svolgimento del citato concorso dirigenziale, il terzo mostro.
L'agenzia delle Dogane bandisce un concorso dirigenziale pubblico per esami, previa selezione per quiz, per
coprire i posti affidati in via provvisoria ad un ampio numero di incaricati dirigenziali.
I quiz, molto specialistici, vengono superati da tutti gli incaricati dirigenziali, che riescono tutti a dare risposte
esatte a tutte le domande - evento che, a mia memoria, prima di allora non si era mai verificato in alcun concorso
bandito dalla Pubblica Amministrazione - anche a quelle relative a settori di cui essi non avevano
professionalmente alcuna esperienza. Quando si dice la fortuna.
A questo punto un componente della commissione esaminatrice, dirigente generale dell'Agenzia, organizza un
corso di formazione previo inviti ad personam; corso al quale partecipa un gruppo di incaricati dirigenziali. Il corso
resta così sconosciuto non solo ai concorrenti esterni (pur trattandosi di concorso pubblico) ma anche ai
concorrenti interni ed al restante personale non dirigenziale (circa il 99% del totale). Nel corso viene esaminato in
particolare l'argomento della restitutio in integrum in sede disciplinare. Nello stesso periodo lo stesso dirigente di
vertice membro della Commissione d'esame dirama una circolare sul bunkeraggio (termine per me prima
sconosciuto, che significa rifornimento di combustibile delle navi), indirizzata soltanto ai dirigenti ed agli incaricati
dirigenziali, di cui quindi la stragrande maggioranza del personale resta all'oscuro; circolare ultraspecialistica
contenente istruzioni operative, che non viene nemmeno pubblicata nel sito dell'Agenzia, e di cui nessun
concorrente interno e nessun concorrente esterno può quindi venire a conoscenza, dal momento che si trattava di
istruzioni pratiche che non si trovano in alcun libro di testo.
In sede di esame scritto a Roma (prova pratica e prova teorica) non vengono ammessi i testi dei contratti collettivi
(testi pur pacificamente ammessi in tutti i pubblici concorsi, e che trattano anche la restituito in integrum), e i temi
estratti, beninteso a sorte, risultano essere la restituito in integrum (prova teorica) e il bunkeraggio (prova pratica); il
che ovviamente mette fuori combattimento non solo tutti gli esterni ma anche tutti gli interni non partecipanti al
corso di formazione (quando si dice la sfortuna) e fa inserire nella graduatoria dei vincenti tutti i partecipanti al
corso di formazione, che erano stati tutti destinatari della provvidenziale circolare interna a diffusione limitata
(quando si dice la fortuna, anzi la doppia fortuna).
Il risultato finale sarebbe quindi stato che tutti gli incaricati dirigenziali e solo alcuni addetti agli Uffici di vertice
dell'Agenzia avrebbero il superato il concorso (quando si dice la fortuna); e che nessun esterno e nessun interno
non corsista ce l'avrebbe fatta (quando si dice la sfortuna).
Questa risultato finale sarebbe stato evidentemente ritenuto del tutto normale sia dai vertici dell'Agenzia sia dal
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citato membro del Governo, che tanto si è risentito per la sentenza della Corte Costituzionale e tanto si è poi
adoperato per tentare di ripristinare lo status quo.
Se questa fosse stata davvero la normalità, non sarebbe restato che inginocchiarsi, chiudere gli occhi e invocare
l'intervento divino.
Ma fortunatamente non sono stati necessari interventi extra ordinem a quel livello. La graduatoria viene impugnata
dinanzi al TAR; ed in quella sede viene dedotta la violazione del principio della collegialità della correzione; ciò in
particolare perche il dirigente generale organizzatore del corso avrebbe corretto da solo gli elaborati, aprendoli,
esaminandoli, espungendo d'autorità tutti quelli da lui ritenuti insufficienti (circa il 90%), e sottoponendo all'esame
del plenum solo gli elaborati da lui ritenute meritevoli, ai quali avrebbe attribuito un punteggio provvisorio che poi
(quando si dice la disinvoltura) avrebbe sottoposto alla ratifica del plenum, che a quel punto, nulla sapendo di
bunkeraggio, non avrebbe potuto che ratificare la proposta. Viene anche impugnato dinanzi al Tribunale civile di
Roma, con querela di falso in atto pubblico, un verbale della commissione esaminatrice che, forse cominciando a
rendersi conto di avere un po' ecceduto in disinvoltura, aveva tentato di sanare ex post alcune delle irregolarità in
cui era incorsa.
Il Tar del Lazio, Sez. II, con sentenza n.6095/2015, annulla gli atti impugnati per palese violazione del principio
della collegialità dell'operato della commissione esaminatrice, rilevando che non c'era necessità di attendere
l'esito della querela di falso dal momento che la fondatezza di tale querela era da ritenere evidente, e concludendo
con un giudizio di "inaffidabilità" operativa di detta commissione, tanto da richiedere - non mi risultano analoghe
decisioni di tale severità - la sua sostituzione con una commissione nuova. Per un collegio in cui era presente
l'élite dirigenziale dell'Agenzia non c'è male, tenuto conto che espletare un regolare concorso dirigenziale è
estremamente semplice sotto il profilo tecnico, tanto da essere alla portata di qualsiasi piccolo comune di buona
volontà. In questo caso però sembra che ai commissari sia mancata proprio la volontà buona, dato che essi, pur
non essendo dei novellini ma persone di indubbia esperienza della pubblica amministrazione, si sarebbero
comportati con la nonchalance di chi è consapevole di adempiere ad un compito formale necessario ma inutile, con
conseguente irrilevanza pratica di eventuali violazioni delle norme - peraltro tassative - che disciplinano i pubblici
concorsi. La procedura concorsuale, di conseguenza, si sarebbe svolta in un quadro generale di inescusabili
superficialità che oltre tutto avrebbero provocato non solo notevoli danni economici ai concorrenti e
all'amministrazione ma anche avrebbero significativamente appannato l'immagine dell'Agenzia, tanto da far
ritenere ai lettori della sentenza che i competenti organi disciplinari dell'Agenzia, notoriamente molto severi nel
perseguire comportamenti ritenuti lesivi del decoro dell'Amministrazione, non avrebbero tardato a prendere atto di
quanto emerso in sede giurisdizionale e a trarne le necessarie doverose conseguenze.
L'Agenzia, che forse non aveva letto con attenzione la sentenza, appella; ed Consiglio di Stato, Sez. IV, nella
camera di consiglio del 2 luglio 2015, con le ordinanze nn. 2975/2015 e 4459/2015, respinge le domande di
sospensione della sentenza impugnata, condividendone espressamente l'impianto motivazionale.
A questo punto è auspicabile che l'Agenzia, anche per non appesantire ulteriormente l'onere delle spese di
giudizio che dovrà sostenere e dei danni civili ed erariali di cui potrà essere chiamata a rispondere, rinunzi
all'appello, dato che è ormai da escludere che l'attuale commissione possa portare a conclusione il concorso
dirigenziale in esame.
6- Ma la situazione più imbarazzante per il Governo è quella originata dal comportamento dell'Agenzia delle
Entrate, quale denunciato l'1 luglio 2015 in sede di interrogazione parlamentare da oltre 200 deputati di tutti i
maggiori partiti di governo e di opposizione, unanimemente schieratisi a difesa del pubblico interesse (vedi
http://www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0451&tipo=atti_indirizzo_controllo&pag=allegatob#si.4-09629); evento
molto raro, che attesta l'esistenza di una compatta consapevolezza politica e civile dell'esigenza di risolvere il
problema denunciato.
In tale interrogazione si premette che nel contratto di servizio a suo tempo stipulato tra lo Stato e l'Agenzia era
previsto:
a) che l'Agenzia, nel caso di ricorsi alla giustizia tributaria avverso l'esercizio della sua potestà impositiva,
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dovesse assicurare almeno il 59% di sentenze favorevoli: ciò evidentemente per dimostrare al Governo e ai
cittadini di avere esercitato con correttezza la propria potestà;
b) che se tale minimo di sentenze favorevoli non fosse stato raggiunto l'Agenzia non avrebbe potuto corrispondere
il premio annuale di risultato, che per i dirigenti generali è di 100.000 euro e per i dirigenti di seconda fascia è di
30.000 euro;
c) che, ai fini dei singoli premi, dovesse tenersi conto della quantità dei maggiori accertamenti effettuati e non della
loro qualità e del loro importo.
Ma tali previsioni non sarebbero state rispettate, dal momento che:
- quanto meno nel 2013 e 2014, l'Agenzia ha bensì dichiarato al Governo esiti favorevoli in numero tale da
superare il prescritto minimo del 59% e da poter corrispondere i premi al personale; ma confrontando i dati forniti
dall'Agenzia con quelli ufficiali pubblicati dal Ministero dell'Economia e delle Finanze in tema di
contenzioso tributario è risultato che in realtà tali esiti erano rimasto largamente al di sotto del 59%;
- la circostanza che dovesse tenersi conto del numero e non dell'importo ha fatto sì che il 90% degli accertamenti
si sia concentrato sulle fasce più deboli (e cioè sul reddito fisso), per le quali l'accertamento è più semplice e più
scarsa la capacità di opposizione, mentre sulle fasce più forti (banche, Trust, Holding internazionali ecc.) gli
accertamenti siano stati solo l'1%;
- un sottosegretario del Ministero dell'Economia e Finanze aveva in precedenza già chiesto chiarimenti al riguardo
all'Agenzia, ottenendone dati che il richiedente ha definito di mero marketing, e cioè di mera e non condivisibile
autopubblicità.
Alle considerazioni formulate dagli onorevoli interroganti potrebbe aggiungersi che il sistema a suo tempo
concordato tra Stato e Agenzia è risultato essere un inconsapevole ma palese esempio di diseducazione fiscale e
di mancata tutela dell'interesse erariale. Infatti, collegando i premi di risultato ad un numero fisso minimo di
accertamenti effettuati e non all'importo complessivo degli stessi, e cioè creando una logica premiale in cui due
accertamenti di un euro ciascuno valgono più - ai fini del conseguimento del premio di risultato - di un
accertamento di un milione di euro, sia il Ministero che l'Agenzia (parti contraenti dell'accordo di servizio a suo
tempo stipulato) non hanno evidentemente tenuto conto:
- che è presumibile che l'accertatore capace e di buona volontà, una volta raggiunto il minimo fisso, possa
rallentare il ritmo, e possa addirittura essere indotto, in caso di superamento del limite (per lui inutile, ai fini del
premio), ad accreditarsi il surplus l'anno successivo;
- che è presumibile che l'accertatore meno capace e di minor buona volontà, che sia arrivato vicino al limite, in
mancanza di meglio possa fare qualche accertamento pretestuoso, per lo più di minima o di addirittura irrisoria
entità, contando sul fatto che:
a) per somme di scarsa entità nessun contribuente - salvo chi, avendo tempo e denaro da perdere, tiene a fare la
questione di principio - si sobbarcherebbe l'onere di un ricorso che sarebbe palesemente antieconomico, pur con
l'amara consapevolezza di un comportamento impositivo preordinato a mettere - di fatto - il contribuente in
condizione di non poter far valere i propri diritti;
b) in caso di annullamento dell'accertamento in sede giurisdizionale o in sede di autotutela, gli accertamenti
dichiarati infondati né vengono scomputati ex post dal monte utile per ottenere il premio (che resta comunque un
diritto acquisito) né sono oggetto di eventuale responsabilità disciplinare;
- che la mancanza dei un limite minimo di accertamento favorevole all'erario ha determinato la notifica di cartelle
esattoriali di un centesimo, e di fermo auto (per di più senza informare l'interessato) per meno di venti centesimi
(vedi www.equitalia.uncentesimo);
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- che se tutti gli accertamenti infondati e non impugnati venissero invece impugnati e quindi accolti la media dei
ricorsi definiti favorevolmente per l'Agenzia subirebbe una significativa riduzione;
- che è presumibile che l'accertatore, dovendo lavorare sul numero, tenda a dedicarsi prevalentemente a casi
semplici e di rapida soluzione (che però, di norma, sono i meno fruttuosi per l'erario);
- che è presumibile che l'accertatore, trovato il primo sia pur minimo recupero, abbia un calo di attenzione
nell'esaminare il resto dell'operazione da verificare, dal momento che per lui sempre un punto di merito vale;
- che è presumibile che un evasore previdente possa inserire ad arte un piccolo errore subito rilevabile, contando
sul fatto che a quel punto possa verificarsi un calo di attenzione del verificatore.
In un quadro generale di questo genere è pienamente comprensibile che si sia verificata - secondo dati ufficiali
della Banca d'Italia - una evasione fiscale superiore ai duecento miliardi di euro annui, importo enorme che oltre
tutto prende in gran parte la via dell'estero e dei paradisi fiscali, con conseguente progressivo impoverimento
occulto del Paese (che potrebbe venirsi a trovare senza sufficiente liquidità senza sapere il perché, come di fatto è
già accaduto), e che ha stretti legami di sangue con la corruzione; sicché nel "sistema" in esame potrebbero
addirittura ravvisarsi gli estremi dell'alto tradimento economico e dell'attentato alla Costituzione sotto il profilo sia
dell'equità dell'imposizione fiscale sia del buon andamento della pubblica amministrazione. E pensare che un
congruo parziale recupero dell'attuale evasione fiscale potrebbe consentire l'abolizione di tutte le imposte sulla
casa e sui servizi comunali e un mese di vacanze pagate in albergo a tutti gli italiani, con evidente rilancio
dell'economia: meriterebbe un Nobel per l'economia e la coesione sociale!
Sono considerazioni di semplice buonsenso, che ben avrebbero potuto essere fatte al momento della stipula
dell'affidamento ddel servizio all'Agenzia, e che rispecchiano la realtà concreta; e la realpolitik, la politica del fare,
la politica per risultati, non possono fondarsi su accordi scollegati con la realtà concreta, accordi che oggi sarebbe
irresponsabile spingere oltre quel "punto di non ritorno" lucidamente teorizzato da Juncker. Non sarebbe quindi il
caso che il Presidente del Consiglio e il Ministro dell'economia e delle finanze, destinatari della suindicata
interrogazione parlamentare, prendessero la denuncia in attenta considerazione?
7- L'unica via d'uscita che oggi si presenta sembra essere il ritorno dello Stato ad essere realmente Stato e non
un semplice esangue participio passato del verbo essere, schiacciato dall'alto dall'UE, di fronte dai soggetti
"convenzionati", alle spalle dagli intrighi di palazzo, e dal basso dalle Regioni. Occorre quindi una forte volontà di
riprendere in mano la situazione.
A questo punto, oggi, il buon senso dovrebbe fare scattare la consapevolezza e la percezione del rischio, insito in
una situazione del genere, di consolidare situazioni dirigenziali che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittime
e "accordi di servizio" con le Agenzie fiscali che si sono dimostrati non rispondenti ai principi costituzionali in
materia di imposizione fiscale e di buon andamento della pubblica amministrazione.
L'attuale art. 7, f), del d.d.l. di cui all'Atto Senato n. 1577 prevede "il rafforzamento del ruolo di vigilanza" della
Presidenza del Consiglio dei Ministri sulle Agenzie fiscali. In realtà oggi non si tratta di "rafforzare" il ruolo" ma di
"istituire ex novo" tale ruolo: perché nell'attuale sistema di assoluta separazione tra MEF e Agenzie il MEF è del
tutto privo di poteri e di organi di vigilanza e controllo (sostitutivo o semplicemente repressivo) sulle Agenzie. E si
tratta soprattutto di ripensare il rapporto Stato-Agenzie fiscali, per realizzare una più concreta e produttiva politica
antievasione e quindi anticorruzione.
Questa, da parte dell'attuale Governo, è forse destinata ad essere la prova più significativa di reale soluzione di
continuità con un passato pieno di ombre e tutto da dimenticare. Solo quando lo Stato si sarà riappropriato del
proprio passato, rinunciando a delegarlo a scatola chiusa a terzi, la società civile potrà riappropriarsi del suo futuro,
uscendo da un presente quanto mai problematico

Da: Tutti inattendibili 10/01/2016 16:51:53
Ma quando se ne va l'Orlandi?
Vada a fare la deputata di sinistra sinistra.

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