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Da: poseidonia17/12/2008 13:04:34
io ho un dubbio: come si può configurare l'aberratio ictus plurilesiva o (secondo me meno correttamente) il preter a carico di Mevio se la condotta è scriminata da una causa di giust?
secondo me, premesso ke Mevio risponda al max  x omicidio colposo dell'inserviente, i punti su cui ragionare sono:
1)condotta omissiva di tizio che non ha custodito il delinquente
2)concorso colposo in omicidio colposo del solo inserviente ex art. 113 cp
(Tizio infatti non risponderà mai anke x l'omicidio del delinquente xè la causa di giust opera x tutti i correi ex art. 117cp)
cmq qst traccia è davvero incasinata!!!

Da: Serpe per Alessandro17/12/2008 13:05:30
Alessandro ascoltami nella prima traccia bisogna citare l'ARt. 331 del codice penale!!!!!!!
Fammi sapere!!!!!

Da: ANONIMA17/12/2008 13:05:59
La prima traccia:
Da giorni nel liceo della città Alfa è in corso un'occupazione studentesca, accompagnata da forti polemiche. Un gruppo di genitori si riunisce e chiede lo sgombero coattivo del liceo.
Il telegiornale della più importante emittente televisiva cittadina trasmette un servizio sull'evento .Mentre l'autore del servizio riferisce gli accadimenti, scorrono vecchie immagini di repertorio
in cui, tra l'altro, si vede il preside parlare al micorofono di un giornalista. L'autore del servizio, nel frattempo, riferisce che il preside ha dichiarato che non richiederà alla polizia lo sgombero coattivo del liceo. In verità il preside non ha mai rilasciato una dichiarazione del genere. Arrabbiato per l'attribuzione di tale dichiarazione, presenta querela per diffamazione nei confronti dell
dell'autore del servizio e del direttore del telegiornale. Quest'ultimo- asserisce il preside nella querela- aveva l'obbligo di impedire l'evento diffamatorio e, comunque, è responsabile a norma dell'art. 57 c.p.
Il direttore del telegiornale e l'autore del servizio giornalistico si recano insieme dall'Avvocato penalista e chiedono di conoscere quale è la situazione in cui versano.
Il candidato- assunte le vesti del legale- rediga motivato parere, illustrando gli istituti e le problematiche sottesi alla fattispecie in esame.


Questa la sentenza di riferimento:
(Cassazione - Sezione Quinta Penale, Sentenza 2 aprile 2004, n.15595: Diffamazione a mezzo stampa e diritto di cronaca giornalistica).

Da: seipunti x DI RIENTRO DALLUDIENZA17/12/2008 13:06:05
del ferimento di mevio volevo dire. errata corrige

Da: antonella17/12/2008 13:06:45
PER FAVORE UN PARERE RIASSUNTIVO DI TUTTO E SOPRATTUTTO DEFINITIVO, COMPLETO. GRAZIEEEEEEEEEEE

Da: ANONIMA17/12/2008 13:06:56
Questa perchè avete detto che non si può usare l'altra sentenza non ancora scritta sui codici annotati

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Da: sara..17/12/2008 13:07:17
c'è ermenegildo?

Da: Ale17/12/2008 13:07:25
Ma quanto manca per avere un paarere completo? non scrivete cose inutili riferito a chi occupa spazio con frasi fuori luogo!

Da: Parere I Traccia17/12/2008 13:07:48
Per la risoluzione del caso prospettato è opportuno soffermarsi sui concetti di diffamazione e diritto di cronaca.

In base allâart. 595 del c.p., si ha diffamazione tutte le volte in cui taluno, âcomunicando con più persone, offende lâaltrui reputazioneâ, e non ricorra in concreto una fattispecie di ingiuria, laddove la reputazione non è altro che la considerazione dei terzi nella quale si riflette la dignità personale.

La diffamazione, pertanto, consiste in una manifestazione del pensiero, che rileva, ai fini della consumazione del reato, nella misura in cui lâespressione offensiva venga a conoscenza di unâaltra persona o comunque sia da altri percepita.

Lâoffesa è rivolta nei confronti della reputazione della persona che può essere lesa o messa in pericolo da chiunque attribuisca al soggetto interessato qualità o fatti in qualche modo disonoranti.

Tale offesa implica in concreto, ma non necessariamente, che la persona si senta colpita nel proprio onore e che ne risenta la sua reputazione in termini di perdita di stima. Ma, dal momento che si verte nel campo dei beni morali, non è facilmente accertabile se questi vengano lesi effettivamente ovvero solo potenzialmente.

Lâoffesa alla reputazione costituisce il nucleo della norma incriminatrice, che punisce chi cerca di scalfire e, in effetti, scalfisce la stima di cui taluno gode tra i consociati, ciò che costituisce il valore sociale della persona.

La ratio della norma è evidente nelle ulteriori previsioni che aggravano la fattispecie di reato in argomento, previsioni che sanzionano con maggiore rigore la diffamazione che avviene mediante la stampa o che consiste nellâattribuzione di un fatto determinato. È agevole notare che in presenza di tali circostanze aumenta lâidoneità offensiva della condotta posta in essere dallâagente e la reputazione dellâoffeso risente di un danno più grave.

Lâoffesa può essere arrecata con qualsiasi mezzo (ad esempio attraverso la stampa, la radio o la televisione) e con qualunque modalità idonea, sia attraverso lâattribuzione di un fatto determinato, sia semplicemente tramite insinuazioni.

Tra le cause di giustificazione comuni che si applicano generalmente alla diffamazione vi sono l'esercizio di un diritto, come appunto può essere il diritto di cronaca.

Sicché, in alcuni casi, è pacifico che i diritti della personalità del singolo possano legittimamente essere violati; ciò avviene soprattutto nellâesercizio del diritto di cronaca e soltanto se ricorrano determinate e specifiche condizioni; in mancanza di queste, ogni lesione di tali diritti deve ritenersi illegittima ed illecita.

Una nota sentenza della Corte di Cassazione n. 5259 del 1984 (c.d. sentenza decalogo), ha proprio statuito circa le necessarie condizioni la cui esistenza consentirebbe di valutare la configurabilità della c.d. esimente del diritto di cronaca.

La Suprema Corte ha statuito, infatti, che âlâesercizio della libertà di diffondere, attraverso la stampa, notizie e commenti è legittimo se concorrono le condizioni della utilità sociale dellâinformazione; della verità dei fatti esposti; e, infine, della forma civile dellâesposizione degli stessiâ.

Passando ora allâanalisi della fattispecie proposta, la stessa riguarda, appunto, il reato di diffamazione per mezzo di una emittente televisiva locale, con riferimento ai diritti di un dirigente scolastico il quale propone querela avverso lâautore di un servizio televisivo e del direttore dello stesso telegiornale invocando lâart. 57 c.p. relativo ai reati commessi con il mezzo della stampa.

Nel servizio si affermava, peraltro contrariamente al vero, che il Preside del Liceo della città di alfa aveva assicurato agli alunni, coccupanti i locali scolastici, che non avrebbe chiesto lo sgombero con lâintervento delle forze dell'ordine.

Nel caso di specie, di certo non ricorre lâesimente dellâesercizio del diritto di cronaca la quale richiede, alla luce di un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, l'inderogabile necessità di un assoluto rispetto del limite interno della verità oggettiva, limite, in questo caso, violato poiché la notizia riportata dal telegiornale è risultata totalmente fasulla.

Tuttavia non sembra prospettabile la condanna per il reato ex art. 57 c.p., in quanto la Corte di Cassazione, di recente ha statuito che âl'inattendibilità dell'informazione non costituisce in sé offesa all'altrui reputazione, occorrendo che essa necessariamente si connoti di un portato lesivo delle qualità morali, intellettuali o professionali di una persona, valutato non già secondo la considerazione della stessa, ma in conformità all'opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storicoâ (Cass. pen. - sez V ï¿ï¿" n. 10735 del 10.03.2008).







Ora, l'accusa rivolta al responsabile di un istituto scolastico di volersi attivare per impedire un possibile sgombero coattivo dell'occupazione studentesca in atto da parte della forza pubblica non è in alcun modo lesiva della sua dignità professionale, in quanto attinente a una sfera di autonomia decisionale connessa alla funzione amministrativa del Dirigente Scolastico, assunta nell'interesse pubblico e volta a sopire pericolose provocazioni, evitando il rischio di maggiori guai per le persone e per le cose, nella prospettiva di liberare il più presto l'edificio dallo stato di paralisi e riprendere il corso scolastico.

Né, d'altra parte, al Preside è attribuita un'attività di illecita inerzia, quale una omissione penalmente rilevante, né una illecita solidarietà con i giovani studenti.

Dunque, si conclude per l'assenza dell'elemento oggettivo del reato che determina conseguenzialmente l'inesistenza dell'illecito contestato; pertanto, non sussiste il reato di diffamazione imputato dal querelante ai due querelati.

Da: alessandro17/12/2008 13:08:01
serpe che me ne faccio dell'art 331 cp?

Da: AVVISO AI NAVIGANTI17/12/2008 13:08:27
c'è qualche altro forum di discussione

Da: angie17/12/2008 13:08:53
PER FAVORE: SUSI DANIELA ALESSANDRO AIUTATECI
UN PARERE COMPLETO E DEFINITIVO SULLA DIFFAMAZIONE

Da: antonella17/12/2008 13:09:28
POSTIAMO QUELLA ESPOSTA DA: PARERE I TRACCIA?? COSA NE PENSI ALESSANDRO TI PREGO AIUTAMI SONO IN PANICO

Da: Daniela17/12/2008 13:09:28
Il caso in esame presuppone una preventiva disamina del reato di diffamazione.
Lâ ART 595 incrimina chi, al di fuori dei casi indicati dal precedente art. 594cp (ingiuria), comunicando con più persone offende lâ altrui reputazione.
Oggetto di tutela del delitto di diffamazione è lâ altrui reputazione che la dottrina prevalente intende in senso oggettivo e, cioè, nel significato di stima sociale e considerazione di cui si gode allâ interno di un contesto sociale. A ciò si contrappone lâ onor in senso soggettivo inteso come il âsentimento del proprio valore socialeâ ed è rimesso allâapprezzamento dellâindividuo stesso.
Lâ elemento oggettivo del reato in esame consta di 3 requisiti: 1)lâassenza dellâ offeso; 2)lâ offesa allâ altrui reputazione; 3) la comunicazione con più persone.
Lâ assenza del soggetto passivo al momento dellâ azione criminosa consiste nellâ impossibilità che la persona offesa percepisca direttamente lâ addebito diffamatorio  e possa, quindi, difendersi dallâ addebito o ritorcere lâ offesa. Ciò determina la maggiore gravità del reato in esame.
Il secondo requisito consiste nellâ offesa allâ altrui reputazione intendendo lâ offesa non già nel senso di lesione bensì come probabilità o possibilità che lâ uso di parole o atti destinati a ledere lâ onore provochi una effettiva lesione. La diffam, pertanto, è qualificata come reato di pericolo concreto essendo demandata di volta in volta al giudice lâ interpretazione della portata offensiva delle espressioni usate dallâ agente ed essendo sufficiente che tali espressioni determino anche solo il pericolo di lesione dellâ altrui reputazione.
Infine, per aversi il requisito della comunicazione con più persone occorre che lâ agente renda partecipi dellâ addebito diffamatorio almeno due persone le quali siano state in grado di percepire lâ offesa e di comprenderne il significato.
Il problema da affrontare, da sempre dibattuto in dottrina e giurisprudenza, è quello relativo alla operatività dellâ esimente dellâ esercizio del diritto ex art. 51 cp, sub specie di diritto di cronaca, rispetto alla condotta posta in essere dal giornalista il quale, nellâ esercizio della propria funzione istituzionale, informi la collettività su fatti storici obiettivamente lesivi della reputazione dei terzi, pur se rispondenti a verità.
La giurisprudenza di Cass ha elaborato taluni presupposti della scriminante in oggetto operanti alla stregua di veri e propri limiti interni e lâ assenza anche di uno solo rende in concreto non operativa la causa di giustificazione. La Corte ribadisce come il diritto di cronaca possa scriminare a condizione che ricorrano i tre noti requisiti: la verità della notizia propalata; lâinteresse pubblico alla sua conoscenza; la continenza formale nel momento espositivo.
In primo luogo rileva la verità della notizia, non potendo meritare tutela la diffusione di notizie false o tendenziose, non risultando le stesse utili nellâeconomia del processo di formazione di una valida opinione presso la collettività. Il parametro della verità, utilizzato unitamente agli altri due ai fini della valutazione dellâefficacia scriminante del diritto di cronaca, esprime la necessità della corrispondenza al vero tra fatti accaduti e fatti narrati (verità obiettiva) ovvero, secondo un orientamento più attento alla dimensione operativa della valutazione, la verità legittimamente ritenuta o putativa della notizia, desumibile dalla diligenza impiegata dal professionista nelle ricerche di riscontro della verità dei fatti oggetto di narrazione (in tal senso Cass. pen., sez. un. pen. 30 giugno 1984, la famosa sentenza cosiddetta del âdecalogoâ, con la quale la Cassazione dettò, nel 1984, una serie di regole alle quali il giornalista avrebbe dovuto attenersi nellâesercizio della professione).
In secondo luogo la Corte ha sempre sottolineato il rispetto del parametro della continenza formale da apprezzarsi alla stregua di corretta esposizione dei fatti oggetto di narrazione. Sul punto, lo si ricorda altrettanto velocemente, la giurisprudenza utilizza un differente metro di giudizio quante volte in luogo del diritto di cronaca si invochi quello di critica che, considerata la sua natura parziale ed orientata, non può che manifestarsi in veste meno ossequiosa del dato della continenza. Similmente può dirsi in relazione allâattività satirica, attesa la sua portata deformante dei fatti in una evidente logica caricaturale.
Da ultimo, il dato della cd. pertinenza vale ad isolare in termini scriminanti tutte quelle diffusioni di notizie che rivestano agli occhi della pubblica opinione un certo interesse. Ovviamente non è necessaria una rilevanza indifferenziata nel senso che la questione interessi la collettività indistinta, potendo assumer pregio il riportar notizie, anche in ragione di un eventuale tecnicismo, a favore di ridotto numero di utenti.
Il diritto di cronaca non esime dunque di per sé dal rispetto dell'altrui reputazione e riservatezza, ma giustifica intromissioni nella sfera privata dei cittadini solo quando possano contribuire alla formazione di una pubblica opinione su fatti oggettivamente rilevanti per la collettività.
È vero che anche le vicende private di persone impegnate nella vita politica o sociale possono risultare di interesse pubblico, quando possano desumersene elementi di valutazione della personalità o della moralità di chi debba godere della fiducia dei cittadini. Ma non è certo la semplice curiosità del pubblico a poter giustificare la diffusione di notizie sulla vita privata altrui, perché è necessario che tali notizie rivestano oggettivamente interesse per la collettività.
Eâ di rilevante importanza dare atto della scelta legislativa di evitare, nel rispetto del terzo comma dellâart. 21 Cost., forme preventive di autorizzazione alla stampa. Lâesigenza di garantire un controllo sul merito delle pubblicazioni viene dallâordinamento soddisfatta creando in capo ai soggetti che vedremo una peculiare posizione di garanzia.
Lâart. 3 della legge n. 47 del 1948 pone lâobbligo per ogni stampato periodico di dotarsi e di indicare un direttore ed un vicedirettore responsabile. Costoro lâart. 57 c.p. chiama a rispondere, a titolo colposo, dellâillecito posto in essere in essere mezzo stampa. Per la stampa non periodica, secondo il disposto dellâart. 57 bis c.p., responsabile risulterà lâeditore, a condizione che risulti ignoto o non imputabile lâautore materiale dellâarticolo, o lo stampatore, âse lâeditore non è indicato o non è imputabileâ.
Lâoriginaria versione dellâart. 57 c.p., la cui ammissibilità a fronte del mutato contesto normativo trovava conferma attraverso le parole della Corte costituzionale, imputava sic et simpliciter, in assenza di un quid soggettivo, ai soggetti cennati la responsabilità degli eventi illeciti derivanti dallâattività giornalistica presieduta. 
Il successivo intervento legislativo del 1958 (l. 127) ha innovato la disposizione codicistica subordinandone lâoperare al ricorrere di un dato: lâaddebitabiità colposa del tutto. Solo in presenza di un deficit di attenzioni da parte del direttore responsabile potrà allo stesso rimproverarsi lâillecito commesso dallâautore dellâarticolo.
A dire il vero quanto esposto è stato a lungo oggetto di critica, avendo parte considerevole degli addetti ai lavori inteso riduttivamente lâinciso âa titolo di colpaâ previsto allâart. 57 c.p. come rilevante solamente in chiave meramente sanzionatoria, senza che implicasse un effettivo riscontro del coefficiente psicologico. Più opportunamente, si è ritenuto imprescindibile lâaccertamento in concreto della rimpoverabilità della condotta lesiva, sottolineandosi, dunque, la ricerca necessaria del requisito soggettivo prescritto, secondo le direttive di cui allâart. 43 c.p.
Rebus sic stantibus, le fattispecie previste agli artt. 57, 57 bis e 58 vanno intese come autonome forme di illecito la cui condotta si sostanzia nella mancata osservanza di regole cautelari (il non aver impedito la pubblicazione illecita) cui fa da pendant lâevento costituito dal reato commesso mezzo stampa. Non emerge, quindi, una forma di concorso di persone nel reato, sub specie di agevolazione colposa, ma un illecito del tutto distinto da quello effettivamente lesivo come può arguirsi tanto avendo riguardo alla clausola dâesordio dellâart. 57 c.p. (ââ fuori dai casi di concorsoââ), quanto dallâesegesi dellâart. 58 bis c.p. che, estendendo lâoperatività della condizione obiettiva di punibilità propria presentata direttamente a carico del direttore e del vicedirettore nei confronti dellâautore della pubblicazione, non può, ragionando a contrario, che dar per scontata lâassenza di una dimensione propriamente concorsuale.( Sez. V, sentenza  14 novembre 2007, n. 42067.)
Eâ importante analizzare, ai fini della risoluzione del caso in esame,altra recente sentenza della Cass. Pen relativa ad un caso che riguarda il reato di diffamazione a mezzo stampa.
Il caso in esame riguarda, infatti, un giornalista condannato dal Tribunale di Roma per diffamazione aggravata dall'uso del mezzo della stampa per avere, nella sua veste di direttore responsabile del quotidiano "Leggo", consentito la pubblicazione di articolo redazionale in cui si affermava, peraltro contrariamente al vero, che il Preside di un Liceo di Roma aveva assicurato agli alunni che avevano occupato i locali scolastici che non avrebbe chiesto lo sgombero con lâintervento delle forze dell'ordine. La Corte d'Appello confermava la condanna. Avverso la sentenza di appello il giornalista ha promosso ricorso per Cassazione lamentando sia il mancato riconoscimento del diritto di cronaca, sia l'assenza di nota diffamatoria nell'affermazione di stampa obiettivamente non offensiva della reputazione del preposto all'istituto scolastico, poiché l'assicurazione di evitare lo sgombero coattivo da parte delle forse dell'ordine non si qualifica come illecito penale, potendosi qualificare anche come una mossa di buon senso protesa alla pacificazione degli animi. La Suprema Corte ha accolto il ricorso e cassato senza rinvio la sentenza impugnata. Infatti, la Corte ha  dichiarato  che, nel caso di specie, non ricorre l'esimente dell'esercizio del diritto di cronaca, la quale richiede, alla luce di un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, l'inderogabile necessità di un assoluto rispetto del limite interno della verità oggettiva, limite violato poiché la notizia riportata dal pezzo redazionale è risultata infedele. Tuttavia, ha aggiunto la Corte, l'inattendibilità dell'informazione non costituisce in sé offesa all'altrui reputazione, occorrendo che essa necessariamente si connoti di un portato lesivo delle qualità morali, intellettuali o professionali di una persona, valutato non già secondo la considerazione della stessa, ma in conformità all'opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico.
Passando ora allâanalisi della fattispecie proposta, la stessa riguarda, appunto, il reato di diffamazione  per mezzo di una emittente televisiva locale, con riferimento  ai diritti di un dirigente scolastico il quale propone querela avverso lâautore di un servizio televisivo e del direttore dello stesso telegiornale invocando lâart. 57 c.p. relativo ai reati commessi con il mezzo della stampa.
Nel servizio si affermava, peraltro contrariamente al vero, che il Preside del Liceo della città di alfa aveva assicurato agli alunni, occupanti i locali scolastici, che non avrebbe chiesto lo sgombero con lâintervento delle forze dell'ordine.
Nel caso di specie, poiché la notizia riportata dal telegiornale è risultata totalmente fasulla non è possibile invocare lâesimente dellâesercizio del diritto di cronaca la quale richiede come sostenuto dalla giurisprudenza, la necessità di un assoluto rispetto del limite interno della verità oggettiva.
L'accusa rivolta al responsabile di un istituto scolastico di volersi attivare per impedire un possibile sgombero coattivo dell'occupazione studentesca in atto da parte della forza pubblica non è in alcun modo lesiva della sua dignità professionale, in quanto attinente a una sfera di autonomia decisionale connessa alla funzione amministrativa del Dirigente Scolastico, assunta nell'interesse pubblico e volta a sopire pericolose provocazioni, evitando il rischio di maggiori guai per le persone e per le cose, nella prospettiva di liberare il più presto l'edificio dallo stato di paralisi e riprendere il corso scolastico. Né, d'altra parte, al Preside è attribuita un'attività di illecita inerzia, quale una omissione penalmente rilevante, né una illecita solidarietà con i giovani studenti.
Tuttavia non sembra prospettabile la condanna per il reato ex art. 57 c.p., in quanto la Corte di Cassazione, di recente ha statuito che âl'inattendibilità dell'informazione non costituisce in sé offesa all'altrui reputazione, occorrendo che essa necessariamente si connoti di un portato lesivo delle qualità morali, intellettuali o professionali di una persona, valutato non già secondo la considerazione della stessa, ma in conformità all'opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storicoâ (Cass. pen. - sez V â" n. 10735 del 10.03.2008).

Dunque, si conclude per l'assenza dell'elemento oggettivo del reato che determina diconseguenza  l'inesistenza dell'illecito contestato; pertanto, non sussiste il reato di diffamazione imputato dal querelante ai due querelati.



Da: ANONIMA SARDA17/12/2008 13:09:59
INFATTI CHE C'ENTRA IL 331 C.P.???? NON FATE CONFUSIONE!!!!

Da: ANONIMA17/12/2008 13:10:03
Confermo invece quella sentenza, ora l'abbiamo trovata sul codice UTET non è vero che non si può usare.....Sentenza n.10735/2008

Da: elsa17/12/2008 13:10:03
scusa anonima dove la trovo la 15595 del 2004?

Da: steff17/12/2008 13:10:27
per la seconda traccia ALESSANDROmi puoi dare le sentenze?

Da: valeAV17/12/2008 13:11:25
ragazzi sn arrivata solo ora....nn voreri aver capito male ma mi sa che ieri c ho azzzecatro di nuovo. aberratio ictus e preterintenzionale??? ho sentito dire. ;)

Ma nn consoco ancora le tracce ne nulla. Se mi notiziate vi do una mano finkè sn qui

Da: seipunti x TUTTI QUELLI DELLA 2 TRACCIA17/12/2008 13:11:59
1) MEVIO ha sparato per legittima difesa e per compiere un dovere. Quindi la condotta che ha determinato indirettamente la morte dell'inserviente è quella di Caio, delinquente che ha cominciato la sparatoria rimanendovi a sua volta ucciso.
2) TIZIO si è lasciato imprudentemente scappare Caio, anche se solo per un attimo; tuttavia egli lo ha liberato perchè lo stesso Caio ha finto un malore, accasciandosi sul divano.
3) La condotta omissiva di Tizio, qualora sia accertata, ma ho dei dubbi, ha provocato direttamente il ferimento del suo collega Mevio; a mio parere non la morte dell'inserviente.
Rispondetemi. Grazie.

Da: ANONIMA17/12/2008 13:12:00
su Juris data...ma lascia stare è una schifezza....ti ho confermato l'altra , ok?
Per ELSA

Da: valeAV17/12/2008 13:12:35
mica vi puo essere utile qsta??

Il delitto preterintenzionale è compatibile con l'aberratio ictus
Cass. pen. 22 gennaio 2007 n. 1796



Delitti contro la vita e l'incolumità individuale - Omicidio preterintenzionale


Il delitto preterintenzionale è compatibile con l'aberratio ictus, nel senso che quando, per effetto di lesioni o percosse che si vogliono infliggere a un soggetto, venga colpito, per errore di mezzi di esecuzione  del delitto, un terzo estraneo è applicabile l'art. 584 C.P. e non l'art. 586 C.P.

Da: Avalon17/12/2008 13:12:59
daniela il tuo è il parere completo?

intanto grazie mille!

Da: elsa17/12/2008 13:13:42
per anonima: posso confermare anche la 34717 del 2008

Da: sara..17/12/2008 13:13:57
ragazzi aiutatemi ho 1 urgente bisogno del parere di qualsiasio traccia..devo inviarlo al + presto

Da: AVVISO AI NAVIGANTI17/12/2008 13:14:01
CARMELA CI SEI

Da: Daniela17/12/2008 13:15:11
E' completo
spero che vada bene

Da: mario17/12/2008 13:15:18
l caso in esame presuppone una preventiva disamina del reato di diffamazione.
Lâ ART 595 incrimina chi, al di fuori dei casi indicati dal precedente art. 594cp (ingiuria), comunicando con più persone offende lâ altrui reputazione.
Oggetto di tutela del delitto di diffamazione è lâ altrui reputazione che la dottrina prevalente intende in senso oggettivo e, cioè, nel significato di stima sociale e considerazione di cui si gode allâ interno di un contesto sociale. A ciò si contrappone lâ onor in senso soggettivo inteso come il âsentimento del proprio valore socialeâ ed è rimesso allâapprezzamento dellâindividuo stesso.
Lâ elemento oggettivo del reato in esame consta di 3 requisiti: 1)lâassenza dellâ offeso; 2)lâ offesa allâ altrui reputazione; 3) la comunicazione con più persone.
Lâ assenza del soggetto passivo al momento dellâ azione criminosa consiste nellâ impossibilità che la persona offesa percepisca direttamente lâ addebito diffamatorio  e possa, quindi, difendersi dallâ addebito o ritorcere lâ offesa. Ciò determina la maggiore gravità del reato in esame.
Il secondo requisito consiste nellâ offesa allâ altrui reputazione intendendo lâ offesa non già nel senso di lesione bensì come probabilità o possibilità che lâ uso di parole o atti destinati a ledere lâ onore provochi una effettiva lesione. La diffam, pertanto, è qualificata come reato di pericolo concreto essendo demandata di volta in volta al giudice lâ interpretazione della portata offensiva delle espressioni usate dallâ agente ed essendo sufficiente che tali espressioni determino anche solo il pericolo di lesione dellâ altrui reputazione.
Infine, per aversi il requisito della comunicazione con più persone occorre che lâ agente renda partecipi dellâ addebito diffamatorio almeno due persone le quali siano state in grado di percepire lâ offesa e di comprenderne il significato.
Il problema da affrontare, da sempre dibattuto in dottrina e giurisprudenza, è quello relativo alla operatività dellâ esimente dellâ esercizio del diritto ex art. 51 cp, sub specie di diritto di cronaca, rispetto alla condotta posta in essere dal giornalista il quale, nellâ esercizio della propria funzione istituzionale, informi la collettività su fatti storici obiettivamente lesivi della reputazione dei terzi, pur se rispondenti a verità.
La giurisprudenza di Cass ha elaborato taluni presupposti della scriminante in oggetto operanti alla stregua di veri e propri limiti interni e lâ assenza anche di uno solo rende in concreto non operativa la causa di giustificazione. La Corte ribadisce come il diritto di cronaca possa scriminare a condizione che ricorrano i tre noti requisiti: la verità della notizia propalata; lâinteresse pubblico alla sua conoscenza; la continenza formale nel momento espositivo.
In primo luogo rileva la verità della notizia, non potendo meritare tutela la diffusione di notizie false o tendenziose, non risultando le stesse utili nellâeconomia del processo di formazione di una valida opinione presso la collettività. Il parametro della verità, utilizzato unitamente agli altri due ai fini della valutazione dellâefficacia scriminante del diritto di cronaca, esprime la necessità della corrispondenza al vero tra fatti accaduti e fatti narrati (verità obiettiva) ovvero, secondo un orientamento più attento alla dimensione operativa della valutazione, la verità legittimamente ritenuta o putativa della notizia, desumibile dalla diligenza impiegata dal professionista nelle ricerche di riscontro della verità dei fatti oggetto di narrazione (in tal senso Cass. pen., sez. un. pen. 30 giugno 1984, la famosa sentenza cosiddetta del âdecalogoâ, con la quale la Cassazione dettò, nel 1984, una serie di regole alle quali il giornalista avrebbe dovuto attenersi nellâesercizio della professione).
In secondo luogo la Corte ha sempre sottolineato il rispetto del parametro della continenza formale da apprezzarsi alla stregua di corretta esposizione dei fatti oggetto di narrazione. Sul punto, lo si ricorda altrettanto velocemente, la giurisprudenza utilizza un differente metro di giudizio quante volte in luogo del diritto di cronaca si invochi quello di critica che, considerata la sua natura parziale ed orientata, non può che manifestarsi in veste meno ossequiosa del dato della continenza. Similmente può dirsi in relazione allâattività satirica, attesa la sua portata deformante dei fatti in una evidente logica caricaturale.
Da ultimo, il dato della cd. pertinenza vale ad isolare in termini scriminanti tutte quelle diffusioni di notizie che rivestano agli occhi della pubblica opinione un certo interesse. Ovviamente non è necessaria una rilevanza indifferenziata nel senso che la questione interessi la collettività indistinta, potendo assumer pregio il riportar notizie, anche in ragione di un eventuale tecnicismo, a favore di ridotto numero di utenti.
Il diritto di cronaca non esime dunque di per sé dal rispetto dell'altrui reputazione e riservatezza, ma giustifica intromissioni nella sfera privata dei cittadini solo quando possano contribuire alla formazione di una pubblica opinione su fatti oggettivamente rilevanti per la collettività.
È vero che anche le vicende private di persone impegnate nella vita politica o sociale possono risultare di interesse pubblico, quando possano desumersene elementi di valutazione della personalità o della moralità di chi debba godere della fiducia dei cittadini. Ma non è certo la semplice curiosità del pubblico a poter giustificare la diffusione di notizie sulla vita privata altrui, perché è necessario che tali notizie rivestano oggettivamente interesse per la collettività.
Eâ di rilevante importanza dare atto della scelta legislativa di evitare, nel rispetto del terzo comma dellâart. 21 Cost., forme preventive di autorizzazione alla stampa. Lâesigenza di garantire un controllo sul merito delle pubblicazioni viene dallâordinamento soddisfatta creando in capo ai soggetti che vedremo una peculiare posizione di garanzia.
Lâart. 3 della legge n. 47 del 1948 pone lâobbligo per ogni stampato periodico di dotarsi e di indicare un direttore ed un vicedirettore responsabile. Costoro lâart. 57 c.p. chiama a rispondere, a titolo colposo, dellâillecito posto in essere in essere mezzo stampa. Per la stampa non periodica, secondo il disposto dellâart. 57 bis c.p., responsabile risulterà lâeditore, a condizione che risulti ignoto o non imputabile lâautore materiale dellâarticolo, o lo stampatore, âse lâeditore non è indicato o non è imputabileâ.
Lâoriginaria versione dellâart. 57 c.p., la cui ammissibilità a fronte del mutato contesto normativo trovava conferma attraverso le parole della Corte costituzionale, imputava sic et simpliciter, in assenza di un quid soggettivo, ai soggetti cennati la responsabilità degli eventi illeciti derivanti dallâattività giornalistica presieduta.
Il successivo intervento legislativo del 1958 (l. 127) ha innovato la disposizione codicistica subordinandone lâoperare al ricorrere di un dato: lâaddebitabiità colposa del tutto. Solo in presenza di un deficit di attenzioni da parte del direttore responsabile potrà allo stesso rimproverarsi lâillecito commesso dallâautore dellâarticolo.
A dire il vero quanto esposto è stato a lungo oggetto di critica, avendo parte considerevole degli addetti ai lavori inteso riduttivamente lâinciso âa titolo di colpaâ previsto allâart. 57 c.p. come rilevante solamente in chiave meramente sanzionatoria, senza che implicasse un effettivo riscontro del coefficiente psicologico. Più opportunamente, si è ritenuto imprescindibile lâaccertamento in concreto della rimpoverabilità della condotta lesiva, sottolineandosi, dunque, la ricerca necessaria del requisito soggettivo prescritto, secondo le direttive di cui allâart. 43 c.p.
Rebus sic stantibus, le fattispecie previste agli artt. 57, 57 bis e 58 vanno intese come autonome forme di illecito la cui condotta si sostanzia nella mancata osservanza di regole cautelari (il non aver impedito la pubblicazione illecita) cui fa da pendant lâevento costituito dal reato commesso mezzo stampa. Non emerge, quindi, una forma di concorso di persone nel reato, sub specie di agevolazione colposa, ma un illecito del tutto distinto da quello effettivamente lesivo come può arguirsi tanto avendo riguardo alla clausola dâesordio dellâart. 57 c.p. (ââ fuori dai casi di concorsoââ), quanto dallâesegesi dellâart. 58 bis c.p. che, estendendo lâoperatività della condizione obiettiva di punibilità propria presentata direttamente a carico del direttore e del vicedirettore nei confronti dellâautore della pubblicazione, non può, ragionando a contrario, che dar per scontata lâassenza di una dimensione propriamente concorsuale.( Sez. V, sentenza  14 novembre 2007, n. 42067.)
Eâ importante analizzare, ai fini della risoluzione del caso in esame,altra recente sentenza della Cass. Pen relativa ad un caso che riguarda il reato di diffamazione a mezzo stampa.
Il caso in esame riguarda, infatti, un giornalista condannato dal Tribunale di Roma per diffamazione aggravata dall'uso del mezzo della stampa per avere, nella sua veste di direttore responsabile del quotidiano "Leggo", consentito la pubblicazione di articolo redazionale in cui si affermava, peraltro contrariamente al vero, che il Preside di un Liceo di Roma aveva assicurato agli alunni che avevano occupato i locali scolastici che non avrebbe chiesto lo sgombero con lâintervento delle forze dell'ordine. La Corte d'Appello confermava la condanna. Avverso la sentenza di appello il giornalista ha promosso ricorso per Cassazione lamentando sia il mancato riconoscimento del diritto di cronaca, sia l'assenza di nota diffamatoria nell'affermazione di stampa obiettivamente non offensiva della reputazione del preposto all'istituto scolastico, poiché l'assicurazione di evitare lo sgombero coattivo da parte delle forse dell'ordine non si qualifica come illecito penale, potendosi qualificare anche come una mossa di buon senso protesa alla pacificazione degli animi. La Suprema Corte ha accolto il ricorso e cassato senza rinvio la sentenza impugnata. Infatti, la Corte ha  dichiarato  che, nel caso di specie, non ricorre l'esimente dell'esercizio del diritto di cronaca, la quale richiede, alla luce di un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, l'inderogabile necessità di un assoluto rispetto del limite interno della verità oggettiva, limite violato poiché la notizia riportata dal pezzo redazionale è risultata infedele. Tuttavia, ha aggiunto la Corte, l'inattendibilità dell'informazione non costituisce in sé offesa all'altrui reputazione, occorrendo che essa necessariamente si connoti di un portato lesivo delle qualità morali, intellettuali o professionali di una persona, valutato non già secondo la considerazione della stessa, ma in conformità all'opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico.
Passando ora allâanalisi della fattispecie proposta, la stessa riguarda, appunto, il reato di diffamazione  per mezzo di una emittente televisiva locale, con riferimento  ai diritti di un dirigente scolastico il quale propone querela avverso lâautore di un servizio televisivo e del direttore dello stesso telegiornale invocando lâart. 57 c.p. relativo ai reati commessi con il mezzo della stampa.
Nel servizio si affermava, peraltro contrariamente al vero, che il Preside del Liceo della città di alfa aveva assicurato agli alunni, occupanti i locali scolastici, che non avrebbe chiesto lo sgombero con lâintervento delle forze dell'ordine.
Nel caso di specie, poiché la notizia riportata dal telegiornale è risultata totalmente fasulla non è possibile invocare lâesimente dellâesercizio del diritto di cronaca la quale richiede come sostenuto dalla giurisprudenza, la necessità di un assoluto rispetto del limite interno della verità oggettiva.
L'accusa rivolta al responsabile di un istituto scolastico di volersi attivare per impedire un possibile sgombero coattivo dell'occupazione studentesca in atto da parte della forza pubblica non è in alcun modo lesiva della sua dignità professionale, in quanto attinente a una sfera di autonomia decisionale connessa alla funzione amministrativa del Dirigente Scolastico, assunta nell'interesse pubblico e volta a sopire pericolose provocazioni, evitando il rischio di maggiori guai per le persone e per le cose, nella prospettiva di liberare il più presto l'edificio dallo stato di paralisi e riprendere il corso scolastico. Né, d'altra parte, al Preside è attribuita un'attività di illecita inerzia, quale una omissione penalmente rilevante, né una illecita solidarietà con i giovani studenti.
Tuttavia non sembra prospettabile la condanna per il reato ex art. 57 c.p., in quanto la Corte di Cassazione, di recente ha statuito che âl'inattendibilità dell'informazione non costituisce in sé offesa all'altrui reputazione, occorrendo che essa necessariamente si connoti di un portato lesivo delle qualità morali, intellettuali o professionali di una persona, valutato non già secondo la considerazione della stessa, ma in conformità all'opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storicoâ (Cass. pen. - sez V ï¿" n. 10735 del 10.03.2008).

Dunque, si conclude per l'assenza dell'elemento oggettivo del reato che determina diconseguenza  l'inesistenza dell'illecito contestato; pertanto, non sussiste il reato di diffamazione imputato dal querelante ai due querelati.






DANIELA MA è COMPLETA ...LA POSSO MANDARE??O MANCA QUALCOSA??

Da: ANONIMA17/12/2008 13:15:45
Per ELSA...no...quella non usarla

Da: sara..17/12/2008 13:16:26
daniela è il parere completo?

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