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ESAME AVVOCATO - SESSIONE 2011
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Da: ask3214/12/2011 12:50:18
   



nella seconda siamo in presenza di un CONTRATTO ESTIMATORIO???CIVILISTI AIUTOOOOOOOOOOOOOOOOOO

Da: valan89jjwn14/12/2011 12:50:36
ragazzi qualkuno ha trovat la sent n 31688 del 2008??puo' riportarla qui...???grazie!

Da: ME14/12/2011 12:50:39
ragazzi,ma le soluzioni nn ci sono ancora?

Da: II TRACCIA14/12/2011 12:51:48
Cassazione, sez. II, 17 gennaio 2011, n. 989 Perseguibile d'ufficio l'appropriazione indebita aggravata

Da: bill bryson14/12/2011 12:52:02
chi mi riporta il testo della cass 31688/08? grazie

Da: ...14/12/2011 12:52:13
no..

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Da: ericarta 14/12/2011 12:53:06
nessuna soluzione???

Da: coccodrillo14/12/2011 12:53:48
Cass. pen. Sez. VI, (ud. 09-04-2008) 29-07-2008, n. 31688



Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

1. - Con la decisione in epigrafe la Corte d'appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto ha confermato la sentenza del 7 ottobre 2004 con cui il G.u.p. del Tribunale di Taranto, in sede di giudizio abbreviato, aveva ritenuto C.M. responsabile dei reati di peculato (art. 314 c.p.) e di detenzione di materiale pedopornografico (art. 600 quater c.p.), condannandolo alla pena di un anno e sei mesi di reclusione, con la sospensione condizionale dell'esecuzione della pena.

All'imputato, dipendente dell'Istituto Talassografico "(OMISSIS)", organo di ricerca del C.N.R., era stato contestato di aver utilizzato il computer, di cui aveva la disponibilità in ragione dell'attività di ricerca che svolgeva, per collegarsi sulla rete internet al fine di visionare e memorizzare materiale pornografico e pedopornografico, di cui è stato trovato in possesso in notevole quantità (oltre settemila immagini).

2. - L'imputato e il difensore hanno proposto distinti ricorsi, contenenti identici motivi che possono essere riportati unitariamente.

Con il primo motivo è stata dedotta la manifesta illogicità della motivazione e la violazione dell'art. 314 c.p.: si sostiene l'insussistenza del reato di peculato in quanto nella specie la condotta dell'imputato non avrebbe prodotto alcun depauperamento del patrimonio dello Stato economicamente apprezzabile, in quanto la connessione alla rete internet, tramite il computer dell'ufficio, per l'acquisizione di files pornografici non ha determinato alcun costo a carico dell'Amministrazione del CNR; si evidenzia che lo scaricamento dei files non avrebbe comportato alcuna interruzione del lavoro istituzionale svolto dall'imputato; infine, si sottolinea come la sentenza non avrebbe offerto alcuna motivazione in ordine alla presunta lesione dell'oggetto giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.

Con il secondo motivo i ricorrenti hanno dedotto la manifesta illogicità della motivazione e la violazione dell'art. 600 quater c.p.: si censura la sentenza sotto il profilo del difetto motivazionale in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di detenzione di materiale pedopornografico, in quanto non sarebbe stata presa in attenta considerazione la modalità attraverso cui l'imputato acquisiva i files, modalità che non consentiva alcuna preventiva selezione del materiale dal momento che venivano "scaricati" circa trenta files al minuto. La sentenza, sul punto dedotto con i motivi d'appello, non avrebbe offerto alcuna motivazione, desumendo la sussistenza del reato con esclusivo riferimento alla condotta oggettiva e al numero di immagini documentate, omettendo ogni seria valutazione circa il profilo soggettivo, che avrebbe dovuto portare ad escludere che l'imputato abbia consapevolmente acquisito immagini di contenuto pedopornografico.

Infine, con l'ultimo motivo lamentano la mancata concessione della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, in relazione alla quale la sentenza non avrebbe offerto alcuna giustificazione concreta.

Motivi della decisione

3. - Preliminarmente deve procedersi alla diversa qualificazione del fatto contestato al capo d) dell'imputazione, in quanto la condotta attribuita a C.M. non configura il delitto di peculato, bensì il meno grave reato di abuso d'ufficio.

L'elemento oggettivo del peculato è costituito, soprattutto dopo le modifiche apportate dalla L. n. 86 del 1990, dall'appropriazione, che si realizza con una condotta del tutto incompatibile con il titolo per cui si possiede, da cui deriva una estromissione totale del bene dal patrimonio dell'avente diritto, con il conseguente incameramento dello stesso da parte dell'agente; sul piano soggettivo, inoltre, si realizza il mutamento dell'atteggiamento psichico dell'agente nel senso che alla rappresentazione di essere possessore della cosa per conto di altri succede quella di possedere per conto proprio.

Si tratta di elementi che caratterizzano anche l'ipotesi del peculato d'uso, sebbene in tal caso l'appropriazione è finalizzata ad un uso esclusivamente momentaneo della cosa. Invece, non ricorre la figura di peculato, ma quella di abuso d'ufficio, quando si sia in presenza di una distrazione a profitto proprio, che si concretizzi semplicemente in un uso indebito del bene che non comporti la perdita dello stesso e la conseguente lesione patrimoniale a danno dell'avente diritto (Sez. 6^, 12 dicembre 2000, n. 381, Genchi ed altri).

La fattispecie in esame corrisponde pienamente a quest'ultima ipotesi. Infatti, come risulta dalle stesse sentenze di merito, la linea telefonica dell'istituto talassografico, che consentiva il collegamento ad internet, prevedeva da contratto un costo forfetario, cioè indipendente dal tempo di connessione, e l'imputato, che aveva la disponibilità del computer nonchè il libero accesso ad internet per lo svolgimento della sua attività di ricerca, scaricava il materiale pedopornografico durante le ore lavorative, mentre si dedicava alle sue specifiche mansioni. Già questi elementi appaiono sufficienti ad escludere la configurabilità del delitto di peculato.

Nella condotta dell'imputato, così come ricostruita in sentenza, manca sicuramente il danno cagionato all'amministrazione, dal momento che l'uso della linea di connessione ad internet non ha comportato maggiori costi a carico dell'amministrazione. E se è vero quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, secondo cui la natura plurioffensiva del peculato implica che l'eventuale mancanza di danno patrimoniale conseguente all'appropriazione non esclude la sussistenza del reato, atteso che rimane pur sempre leso dalla condotta dell'agente l'altro interesse, diverso da quello patrimoniale, protetto dalla norma, cioè quello del buon andamento della pubblica amministrazione, tuttavia ciò che non è stato considerato dai giudici d'appello è che nel caso in esame difetta proprio la condotta "appropriativa" che, come si è visto, caratterizza la fattispecie astratta di cui all'art. 314 c.p..

In altri termini, non vi è stata alcuna esclusiva "acquisizione" di beni da parte dell'imputato ed è mancato ogni tipo di atteggiamento di "interversione" nel possesso dei beni appartenenti all'amministrazione, ma solo un uso indebito della linea telefonica, con un sicuro profitto a proprio vantaggio, che configura il diverso reato di abuso d'ufficio. Più precisamente, non è dato individuare l'elemento dell'appropriazione da parte del C. del personal computer e della linea telefonica, così come contestato nel capo di imputazione. Tali beni, considerato il contesto in cui sono stati illegittimamente utilizzati non sono mai usciti dal patrimonio della pubblica amministrazione, ma sono stati semplicemente distratti a profitto proprio dell'imputato, che ne ha fatto un uso arbitrario, per conseguire indirettamente un personale tornaconto.

Giova ribadire che con la novella del 1990, la figura dell'appropriazione è diversa e autonoma rispetto a quella della distrazione a profitto proprio - quest'ultima, infatti, è rifluita nell'abuso d'ufficio, il cui bene protetto è esclusivamente il buon andamento della amministrazione pubblica e non anche il patrimonio altrui. La distrazione si concreta in un semplice "abuso dell'uso della cosa", senza tuttavia la perdita della stessa e la conseguente lesione patrimoniale.

Del reato di cui all'art. 323 c.p., secondo la formulazione in vigore dopo la riforma introdotta dalla L. n. 234 del 1997, ricorrono, nella specie, tutti gli elementi costitutivi: nel comportamento tenuto dall'imputato, dipendente di un istituto di ricerca di diritto pubblico, è riscontrabile la violazione di legge, in quanto vi è stato un uso delle attrezzature dell'ente pubblico di ricerca per un fine diverso da quello voluto dalla legge e comunque estraneo alla pubblica amministrazione, con l'effetto che l'utilizzazione per scopi personali ha finito con il travalicare lo schema di legalità e ha rappresentato, nella sua oggettività, offesa dell'interesse tutelato, perchè si è posta come causa efficiente dell'ingiusto vantaggio patrimoniale conseguito dall'agente; l'intenzionalità dell'evento è conclamata dalla stessa dinamica dei fatti.

4. - Inquadrato, pertanto, l'addebito contenuto nel capo d) dell'imputazione nel paradigma di cui all'art. 323 c.p., si deve prendere atto, tuttavia, della intervenuta prescrizione sia di questo reato, che del reato di cui all'art. 600 quater c.p., dovendo escludersi che ricorra una delle cause previste dall'art. 129 c.p.p., comma 2. Ed invero, considerato che la consumazione di questi reati si è esaurita nell'aprile 2000, avuto riguardo alla pena edittale prevista per tali illeciti (reclusione inferiore a cinque anni), il termine di prescrizione, nella sua massima estensione (anni sette e mesi sei ex art. 157 c.p., comma 1, n. 4 e art. 160 c.p., comma 3), anche considerando il periodo aggiuntivo di tre mesi e otto giorni determinato dai rinvii delle udienze, è ad oggi interinante decorso.

La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio con la formula corrispondente.

P.Q.M.

Qualificato il reato di cui al capo d) dell'imputazione come abuso d'ufficio ex art. 323 c.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè i reati sono estinti per prescrizione.

Così deciso in Roma, il 9 aprile 2008.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2008

Da: azzurra1705 14/12/2011 12:54:29
soluzione 1 - CORRETTA AL 100%
SEMPRONIO SARà PERSEGUIBILE PER IL DELITTO DI CUI ALL'ART. 323 C.P.

Da: estrella81 x legal75 e tutti!14/12/2011 12:54:34
Trovo più pertinente sent. del 2011...

Da: raf14/12/2011 12:55:01
scusate qualcuno ha postato il parere della seconda traccia??

Da: POSTATE14/12/2011 12:55:20
Qualcuno può postare il PARERE definitivo?
Grazie

Da: HELP14/12/2011 12:55:20
ragazzi, please...richiedono suggerimenti sulla prima traccia: la sentenza del 2011 non è sui codici e qnd dall'interno nn possono far riferimento a questa..c'è qualche penalista????

Da: ofkv14/12/2011 12:55:27
oooo

Da: aiutiamoli14/12/2011 12:55:53
ho sbagliato a scrivere due cose ineffetti,la prima che il maresciallo ha scritto(questo non lo sappiamo)il numero di RG,la seconda è che ho scritto numero falso,ma ho sbagliato terminologia,fatto sta che sicuramente sono state richieste delle informazioni all'ufficio anagrafe del Comune apponendo un numero di RG senza un'autorizzazione,visto l'insospettirsi del comandante che viene a sapere della cosa casualmente,questo mi fa pensare che non vi è stata alcuna autorizzazione in merito,potrebbe configurarsi un'ipotesi di reato di falso in atto pubblico?

Da: POSTATE14/12/2011 12:55:59
Qualcuno può postare il PARERE definitivo?
Grazie

Da: legal75xestrella14/12/2011 12:56:06
ok allora inseriamo quella, io non la riesco a trovare

Da: spagna 14/12/2011 12:56:31
dove sei Ale

Da: cicci84cicci 14/12/2011 12:56:32
Postate per favore la sentenza 20094 del 2011 grazie!!!

Da: mitch8214/12/2011 12:56:40
raga ma le sentenze giuste per la traccia 1 e 2 quali sono???

Da: www14/12/2011 12:56:43
I due pareri sviluppati, grazie!!!

Da: POSTATE14/12/2011 12:57:38
Qualcuno può postare il PARERE definitivo?
Grazie

Da: ME14/12/2011 12:57:42
AVVOCATI COMPETENTI IN MATERIA !!!!!!!!!!!!PERFAVORE  SCRIVETE SULLA 2 TRACCIA ,CERCANO SOLUZIONI!!!!!!!!!!!!!!1PERFAVORE,SONO DISPERATI DA LECCE

Da: legal75xestrella14/12/2011 12:57:48
la sentenza 2011 dovrebbe essere solo su ipsoa

Da: mariml8214/12/2011 12:58:25
forza ragazzi...e speriamo ke quest'anno milano aiuti napoli!

Da: fra14/12/2011 12:59:12
per AZZURRA 1705
dove trovo la soluzione di cui parli?
grazie

Da: francicrisa 14/12/2011 12:59:15
GENTILMENTE DAI SU IL PARERE SULLA TRACCIA N.2

Da: milano vs napoli14/12/2011 12:59:17
cantaci !

Da: coccodrillo14/12/2011 12:59:26
Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 04-05-2011) 20-05-2011, n. 20094


ABUSO DI UFFICIO
Abuso di ufficio, in genere

CASSAZIONE PENALE
Ricorso
(ammissibilità e inammissibilità)




Fatto - Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con sentenza in data 12/4/2005 il G.I.P. del Tribunale di Trieste assolveva perchè il fatto non sussiste M.D. dal reato di cui all'art. 323 c.p., comma 56, per avere in assenza di qualsivoglia legittimazione, quale ispettore della Polizia di Stato, abusato del proprio ufficio, utilizzando col pretesto di compiere accertamenti afferenti l'ufficio, il fax in dotazione della Sezione, per richiedere informazioni all'ACI di (OMISSIS) sulla autovetture di lusso, immatricolate in provincia di (OMISSIS) al fine di procurare un ingiusto vantaggio alla moglie, assicuratrice, che solo previo pagamento avrebbe potuto acquisire tali notizie, evento non verificatosi, per l'intervento dei superiori che avevano intercettato il fax.

All'imputato era anche contestato il reato di peculato ex art. 314 c.p., oggetto di separato provvedimento di archiviazione, mentre il proscioglimento seguiva dopo che le parti avevano concordato una pena di giorni venti di reclusione sostituita con la corrispondente sanzione pecuniaria e senza la sospensione condizionale.

In motivazione il giudice di primo grado riteneva che il concorrente delitto di peculato rappresentasse violazione più grave dell'abuso di ufficio che, come tale, fosse in quello assorbito, e che in ogni caso una volta ritenuta la insussistenza del peculato per la irrilevanza del danno patrimoniale alla stregua delle motivazioni contenute nel provvedimento di archiviazione, non poteva per ciò stesso rivivere l'imputazione di abuso di ufficio.

A seguito di gravame del P.M. la Corte di Appello di Trieste condivideva le osservazioni dell'organo requirente in ordine alla diversa oggettività giuridica del bene tutelato dalle due norme incriminatici e alla diversità delle persone offese dai rispettivi reati e con la sentenza indicata in epigrafe, ritenuta sussistente l'ipotesi di reato in contestazione, recuperato l'accordo intervenuto tra le parti in sede di indagini preliminari, in riforma della sentenza impugnata dichiarava l'imputato colpevole del reato ascritto e lo condannava alla pena, come in precedenza patteggiata, dichiarandola interamente condonata.

Contro tale decisione ricorre l'imputato a mezzo del suo difensore e ne denuncia con il primo motivo il vizio di motivazione e la violazione della legge penale in riferimento alla errata valutazione dei rapporti tra le fattispecie di cui agli artt. 314 e 323 c.p., insistendo nella tesi sostenuta dal giudice di primo grado in ordine alla identità oggettiva della condotta posta in essere da M., che nella prospettiva accusatoria aveva dato luogo ad una duplice qualificazione giuridica del fatto e alla sovrapponibilità della condotta di abuso in quella di peculato o quanto meno all'assorbimento del primo reato nel secondo.

Con il secondo motivo denuncia la contraddittorietà della motivazione in riferimento alla ritenuta sussistenza del fatto, essendo funzionale ai doveri dell'ufficio il fine prevalente e primario della condotta posta in essere dall'imputato. Lamenta infine con il terzo motivo la contraddittorietà della motivazione, che da un lato aveva ritenuto l'ACI persona offesa del reato di abuso e dall'altro aveva riconosciuto l'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6 del risarcimento del danno cagionato dall'utilizzo del fax mediante il versamento di Euro 50,00 alla Polizia di stato.

Il ricorso è inammissibile. Il primo motivo è manifestamente infondato.

Ed invero diversa è l'oggettività del bene giuridico tutelato dalle due norme incriminatici. Mentre nel delitto di peculato la condotta consiste nell'appropriazione di danaro o altra cosa mobile altrui, di cui il responsabile abbia il possesso o la disponibilità per ragioni del suo ufficio - onde la violazione dei doveri di ufficio costituisce esclusivamente la modalità della condotta, cioè dell'appropriazione -, nella figura criminosa di abuso di ufficio - di carattere sussidiario - la condotta si identifica con l'abuso funzionale, cioè con l'esercizio delle potestà e con l'uso dei mezzi inerenti ad una funzione pubblica per finalità differenti da quelle per le quali l'esercizio del potere è concesso, e finalizzate, mediante attività di rilevanza giuridica o comportamenti materiali, a procurare un vantaggio patrimoniale per sè o per altri ovvero ad arrecare ad altri un ingiusto danno (Cass. Sez. 6 16/10/95-10/1/96 n. 607 Rv.203404; 4/6/97-8/6/98 n. 6753 Rv.

211011; 14/11/01-17/1/02 n. 1905 Rv. 220431).

Nel caso in esame esente da vizi logici o interne contraddizioni, oltre che in linea con il suindicato principio, si rivela la considerazione del giudice del gravame, secondo la quale l'abuso, contestato all'imputato, è consistito in realtà nell'avere chiesto indebitamente, simulando una inesistente necessità di informazioni afferenti l'ufficio, e per scopi del tutto privati - per favorire la moglie, procacciatrice di affari per conto di un'agenzia di assicurazioni - utilizzando il fax dell'Ufficio, informazioni all'ACI di (OMISSIS) sulle autovetture di grossa cilindrata immatricolate a (OMISSIS); informazioni che i privati avrebbero potuto ottenere solamente a pagamento.

Non riconducibile ai casi di ricorso previsti dall'art. 606 c.p.p., comma 1 è la censura di cui al secondo motivo, laddove introduce come "thema decidendum" una rivisitazione del "meritum causae", preclusa come tale in sede di scrutinio di legittimità.

Manifestamente infondata è la censura di cui al terzo motivo, concernente una pretesa confusione nella individuazione della persona offesa dal reato, giacchè è del tutto evidente nel caso in esame non solo la diversità del bene giuridico, ma anche della persona offesa dal reato, che nel caso in esame è lo Stato, cui l'imputato ha rimborsato il costo dell'utilizzo del fax, mentre l'ACI è solo persona danneggiata dal reato, avendo subito il danno, conseguente al mancato pagamento del compenso, che sarebbe spettato, ove la richiesta fosse pervenuta dal privato.

Segue alla declaratoria di inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della cassa delle ammende della somma, ritenuta di giustizia ex art. 616 c.p.p., di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.


questa sent è certamente pertinente più dell'altra

Da: danielllllll14/12/2011 13:00:31
legal75 e estrella ....
quale traccia state sviluppnando??

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