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ESAME AVVOCATO - SESSIONE 2011
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Da: maresciallo e...?14/12/2011 10:57:33
l'unica certa, da quel che ho capito è quella sul maresciallo. Notizie sulla seconda????

Da: ale14/12/2011 10:57:43
cass 989/11

Da: Aemxle14/12/2011 10:58:04
DA lecce sicure queste al 1000%, tutti a lavoro ragazzi

TRACCIA 1
Sempronio, maresciallo della stazione dei carabinieri del comune di Delta, avvalendosi della propria casella di posta elettronica non certificata, con dominio riferito al proprio ufficio e accesso riservato, mediante password, invia all'ufficio dell'anagrafe del comune una e-mail, da lui sottoscritta con la quale chiede che gli siano forniti tutti gli elenchi di tutti gli individui di sesso maschile e femminile nati negli anni 1993 e 1994, precisando che tale informazioni sono necessarie per lo svolgimento di un indagine di polizia giudiziaria, indicando il numero di procedimento penale di riferimento della locale procura della repubblica. di tale richiesta viene casualmente a conoscenza il comandante della stazione, il quale intuisce immediatamente, come poi effettivamente si accerterà, che non esiste alcuna indagine che richiede quel genere di accertamento.
Si accerta altresì che Caia, moglie del maresciallo Sempronio è titolare di un'autoscuola, sicché l'acquisizione dei nominativi dei residenti nel comune che da poco compiuto o si accingono a compiere la maggiore età è finalizzata ad indirizzare mirate proposte pubblicitarie per i corsi di guida. Di tanto il maresciallo Sempronio rende un ampia confessione mediante memoria scritta indirizzata al pubblico ministero. In seguito temendo le conseguenze penali del fatto commesso, Sempronio si rivolge ad un avvocato.
Il candidato, assunte le vesti del legale, analizzato il fatto valuti le fattispecie eventualmente configurabili redigendo motivato parere.

TRACCIA 2
Il 20 gennaio del 2011 tizio riceve da caio della merce in conto vendita. I contraenti convengono che tizio debba esporre la merce nel proprio negozio, al fine di venderla ad un prezzo preventivamente determinato, nel termine di 4 mesi. L'accordo negoziale prevede che, alla scadenza stabilita, tizio debba corrispondere a caio il prezzo concordato, ovvero restituire la merce rimasta invenduta. Nel corso dei 4 mesi tizio e caio continuano ad intrattenere regolarmente rapporti commerciali, nonché di personale frequentazione sicché, alla scadenza del termine pattuito per la eventuale restituzione della merce rimasta invenduta, caio non domanda nulla in merito alla esecuzione del primitivo contratto, ne' tizio lo rende edotto del fatto che la merce e' rimasta totalmente invenduta. Soltanto agli inizi del mese di luglio, a seguito di una discussione per divergenze di opinione in merito ad altri affari, caio chiede conto della avvenuta esecuzione del contratto, ricevendo da tizio risposte evasive. Alla fine del mese di luglio i rapporti tra i due si rompono definitivamente. Al rientro dalle vacanze estive caio fa un ulteriore tentativo di contattare tizio per la restituzione della merce ovvero del corrispettivo e apprende dalla segretaria di tizio che la merce e' rimasta invenduta. Decide quindi di tutelare le proprie ragioni in sede penale. Il candidato assunte le vesti di legale di caio rediga motivato parere analizzando la fattispecie configurabile nel caso esposto. Soffermandosi in particolare sulle problematiche correlate alla procedibilità dell'azione penale.

Da: Avv Lapo14/12/2011 10:58:07
SENTENZA SULLA TRACCIA ABUSO D'UFFICIO



Cassazione penale, sez. VI 04/05/2011 n. 20094 (data dep. 20 maggio 2011)


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GARRIBBA Tito - Presidente -
Dott. MILO Nicola - Consigliere -
Dott. GRAMENDOLA Francesc - rel. Consigliere -
Dott. CORTESE Arturo - Consigliere -
Dott. LANZA Luigi - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) M.D. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 850/2005 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
18/12/2008;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/05/2011 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCO PAOLO GRAMENDOLA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Fraticelli M., che
ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. Passeri Isabella che ha concluso come da
ricorso.






OSSERVA IN FATTO E DIRITTO
Con sentenza in data 12/4/2005 il G.I.P. del Tribunale di Trieste assolveva perchè il fatto non sussiste M.D. dal reato di cui all'art. 323 c.p., comma 56, per avere in assenza di qualsivoglia legittimazione, quale ispettore della Polizia di Stato, abusato del proprio ufficio, utilizzando col pretesto di compiere accertamenti afferenti l'ufficio, il fax in dotazione della Sezione, per richiedere informazioni all'ACI di (OMISSIS) sulla autovetture di lusso, immatricolate in provincia di (OMISSIS) al fine di procurare un ingiusto vantaggio alla moglie, assicuratrice, che solo previo pagamento avrebbe potuto acquisire tali notizie, evento non verificatosi, per l'intervento dei superiori che avevano intercettato il fax.
All'imputato era anche contestato il reato di peculato ex art. 314 c.p., oggetto di separato provvedimento di archiviazione, mentre il proscioglimento seguiva dopo che le parti avevano concordato una pena di giorni venti di reclusione sostituita con la corrispondente sanzione pecuniaria e senza la sospensione condizionale.
In motivazione il giudice di primo grado riteneva che il concorrente delitto di peculato rappresentasse violazione più grave dell'abuso di ufficio che, come tale, fosse in quello assorbito, e che in ogni caso una volta ritenuta la insussistenza del peculato per la irrilevanza del danno patrimoniale alla stregua delle motivazioni contenute nel provvedimento di archiviazione, non poteva per ciò stesso rivivere l'imputazione di abuso di ufficio.
A seguito di gravame del P.M. la Corte di Appello di Trieste condivideva le osservazioni dell'organo requirente in ordine alla diversa oggettività giuridica del bene tutelato dalle due norme incriminatici e alla diversità delle persone offese dai rispettivi reati e con la sentenza indicata in epigrafe, ritenuta sussistente l'ipotesi di reato in contestazione, recuperato l'accordo intervenuto tra le parti in sede di indagini preliminari, in riforma della sentenza impugnata dichiarava l'imputato colpevole del reato ascritto e lo condannava alla pena, come in precedenza patteggiata, dichiarandola interamente condonata.
Contro tale decisione ricorre l'imputato a mezzo del suo difensore e ne denuncia con il primo motivo il vizio di motivazione e la violazione della legge penale in riferimento alla errata valutazione dei rapporti tra le fattispecie di cui agli artt. 314 e 323 c.p., insistendo nella tesi sostenuta dal giudice di primo grado in ordine alla identità oggettiva della condotta posta in essere da M., che nella prospettiva accusatoria aveva dato luogo ad una duplice qualificazione giuridica del fatto e alla sovrapponibilità della condotta di abuso in quella di peculato o quanto meno all'assorbimento del primo reato nel secondo.
Con il secondo motivo denuncia la contraddittorietà della motivazione in riferimento alla ritenuta sussistenza del fatto, essendo funzionale ai doveri dell'ufficio il fine prevalente e primario della condotta posta in essere dall'imputato. Lamenta infine con il terzo motivo la contraddittorietà della motivazione, che da un lato aveva ritenuto l'ACI persona offesa del reato di abuso e dall'altro aveva riconosciuto l'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6 del risarcimento del danno cagionato dall'utilizzo del fax mediante il versamento di Euro 50,00 alla Polizia di stato.
Il ricorso è inammissibile. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Ed invero diversa è l'oggettività del bene giuridico tutelato dalle due norme incriminatici. Mentre nel delitto di peculato la condotta consiste nell'appropriazione di danaro o altra cosa mobile altrui, di cui il responsabile abbia il possesso o la disponibilità per ragioni del suo ufficio - onde la violazione dei doveri di ufficio costituisce esclusivamente la modalità della condotta, cioè dell'appropriazione -, nella figura criminosa di abuso di ufficio - di carattere sussidiario - la condotta si identifica con l'abuso funzionale, cioè con l'esercizio delle potestà e con l'uso dei mezzi inerenti ad una funzione pubblica per finalità differenti da quelle per le quali l'esercizio del potere è concesso, e finalizzate, mediante attività di rilevanza giuridica o comportamenti materiali, a procurare un vantaggio patrimoniale per sè o per altri ovvero ad arrecare ad altri un ingiusto danno (Cass. Sez. 6 16/10/95-10/1/96 n. 607 Rv.203404; 4/6/97-8/6/98 n. 6753 Rv.
211011; 14/11/01-17/1/02 n. 1905 Rv. 220431).
Nel caso in esame esente da vizi logici o interne contraddizioni, oltre che in linea con il suindicato principio, si rivela la considerazione del giudice del gravame, secondo la quale l'abuso, contestato all'imputato, è consistito in realtà nell'avere chiesto indebitamente, simulando una inesistente necessità di informazioni afferenti l'ufficio, e per scopi del tutto privati - per favorire la moglie, procacciatrice di affari per conto di un'agenzia di assicurazioni - utilizzando il fax dell'Ufficio, informazioni all'ACI di (OMISSIS) sulle autovetture di grossa cilindrata immatricolate a (OMISSIS); informazioni che i privati avrebbero potuto ottenere solamente a pagamento.
Non riconducibile ai casi di ricorso previsti dall'art. 606 c.p.p., comma 1 è la censura di cui al secondo motivo, laddove introduce come "thema decidendum" una rivisitazione del "meritum causae", preclusa come tale in sede di scrutinio di legittimità.
Manifestamente infondata è la censura di cui al terzo motivo, concernente una pretesa confusione nella individuazione della persona offesa dal reato, giacchè è del tutto evidente nel caso in esame non solo la diversità del bene giuridico, ma anche della persona offesa dal reato, che nel caso in esame è lo Stato, cui l'imputato ha rimborsato il costo dell'utilizzo del fax, mentre l'ACI è solo persona danneggiata dal reato, avendo subito il danno, conseguente al mancato pagamento del compenso, che sarebbe spettato, ove la richiesta fosse pervenuta dal privato.
Segue alla declaratoria di inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della cassa delle ammende della somma, ritenuta di giustizia ex art. 616 c.p.p., di Euro 1.000,00.



P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 maggio 2011.
Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2011

Da: coccodrillo14/12/2011 10:58:14
sull'abuso d'ufficio assolutamente pertinente e corretta la sent. 20094 del 2008 cass pen
caso analogo

Da: ale14/12/2011 10:58:28
per la 2^
cass 989/11

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Da: ale14/12/2011 10:58:56
coccodrillo la cass del 2008 NON è pertinente...

Da: ale-lecce14/12/2011 11:00:07
avv lapo nn riesco a trovare qsta sentenza!!!

Da: estrella8114/12/2011 11:00:29
a primo colpo, sempre che le tracce siano queste, dico abuso d'ufficio x la 1 ed appropriazione indebita x 2. Provo a fare qualcosa ragazzi, ma diamoci da fare tutti. Stamattina purtroppo sto nei casini! cerchiamo sentenze!

Da: Avv Lapo14/12/2011 11:02:08
io l'ho trovata su De Jure

Da: sil14/12/2011 11:02:19
A napoli hanno dettato?

Da: mafy84 14/12/2011 11:02:38
TRACCE CERTE, conferma da Napoli.
TRACCIA 1
Sempronio, maresciallo della stazione dei carabinieri del comune di Delta, avvalendosi
della propria casella di posta elettronica non certificata, con dominio riferito al proprio
ufficio e accesso riservato, mediante password, invia all'ufficio dell'anagrafe del
comune una e-mail, da lui sottoscritta con la quale chiede che gli siano forniti tutti gli
elenchi di tutti gli individui di sesso maschile e femminile nati negli anni 1993 e 1994,
precisando che tale informazioni sono necessarie per lo svolgimento di un indagine di
polizia giudiziaria, indicando il numero di procedimento penale di riferimento della
locale procura della repubblica. di tale richiesta viene casualmente a conoscenza il
comandante della stazione, il quale intuisce immediatamente, come poi effettivamente
si accerterà, che non esiste alcuna indagine che richiede quel genere di accertamento.
Si accerta altresì che Caia, moglie del maresciallo Sempronio è titolare di
un'autoscuola, sicché l'acquisizione dei nominativi dei residenti nel comune che da
poco compiuto o si accingono a compiere la maggiore età è finalizzata ad indirizzare
mirate proposte pubblicitarie per i corsi di guida. Di tanto il maresciallo Sempronio
rende un ampia confessione mediante memoria scritta indirizzata al pubblico ministero.
In seguito temendo le conseguenze penali del fatto commesso, Sempronio si rivolge ad
un avvocato.
Il candidato, assunte le vesti del legale, analizzato il fatto valuti le fattispecie
eventualmente configurabili redigendo motivato parere.
TRACCIA 2
Il 20 gennaio del 2011 tizio riceve da caio della merce in conto vendita. I contraenti
convengono che tizio debba esporre la merce nel proprio negozio, al fine di venderla ad
un prezzo preventivamente determinato, nel termine di 4 mesi. L'accordo negoziale
prevede che, alla scadenza stabilita, tizio debba corrispondere a caio il prezzo
concordato, ovvero restituire la merce rimasta invenduta. Nel corso dei 4 mesi tizio e
caio continuano ad intrattenere regolarmente rapporti commerciali, nonché di personale
frequentazione sicché, alla scadenza del termine pattuito per la eventuale restituzione
della merce rimasta invenduta, caio non domanda nulla in merito alla esecuzione del
primitivo contratto, ne' tizio lo rende edotto del fatto che la merce e' rimasta totalmente
invenduta. Soltanto agli inizi del mese di luglio, a seguito di una discussione per
divergenze di opinione in merito ad altri affari, caio chiede conto della avvenuta
esecuzione del contratto, ricevendo da tizio risposte evasive. Alla fine del mese di
luglio i rapporti tra i due si rompono definitivamente. Al rientro dalle vacanze estive
caio fa un ulteriore tentativo di contattare tizio per la restituzione della merce ovvero
del corrispettivo e apprende dalla segretaria di tizio che la merce e' rimasta invenduta.
Decide quindi di tutelare le proprie ragioni in sede penale. Il candidato assunte le vesti
di legale di caio rediga motivato parere analizzando la fattispecie configurabile nel caso
esposto. Soffermandosi in particolare sulle problematiche correlate alla procedibilità
dell'azione penale.

Da: legal75xestrella14/12/2011 11:02:45
Buongiorno Estrella, ti do una mano, su quale ti orienti?

Da: an14/12/2011 11:02:56
estrella sei dei nostri???

Da: coccodrillo14/12/2011 11:03:17
per ale scusami ho scritto male l'anno è 20094/2011quella corretta

Da: ale14/12/2011 11:05:22
giusto coccodrillo

Da: collaboriamo14/12/2011 11:06:08
confermate anche a catania

Da: estrella81 x legal75 e tutti.14/12/2011 11:06:26
Ragazzi ci sono. mi oriento sulla prima. Forse riesco a mettere qualcosa insieme. la seconda sembra più tosta. la sent indicata da coccodrillo mi pare ok! butto giù qualcosa. appena pronto pubblico e lascio a voi le correzioni. a più tardi.

Da: legal75xestrella14/12/2011 11:07:35
Dottrina Aggiornata

Il bene protetto e la persona offesa

L'oggetto giuridico del delitto p. e p. dall'art. 323 c.p., è identificato nel buon andamento e nell'imparzialità della P.A., tali requisiti sono altresì richiamati dall'art. 97 Cost.

È importante distinguere tra abuso produttivo di un danno ingiusto ed abuso causativo di un vantaggio patrimoniale.

Nella prima ipotesi ricorrerà l'elemento della prevaricazione, nella seconda quello del favoritismo.

Tale distinzione si rivela importante al fine di individuare la persona offesa.

Al riguardo, la giurisprudenza(1) prevalente ritiene che nella prima ipotesi richiamata ovvero della prevaricazione, la persona che subisce un danno riveste qualità di persona offesa del reato poiché in tale ipotesi, il delitto è idoneo a ledere oltre l'interesse pubblico  al buon andamento della P.A., il concorrente interesse del privato a non essere turbato nei suoi diritti dal comportamento illegittimo del pubblico ufficiale.

Pertanto, nell'ipotesi della prevaricazione, si avrà reato plurioffensivo.

Per quanto riguarda invece l'ipotesi del favoritismo, caratterizzata dal verificarsi di un ingiusto vantaggio patrimoniale, riceverà tutela penale oltre al buon andamento della P.A., anche la par condicio civium.

Infatti, la P.A. può arricchire un privato rispetto ad un altro soltanto nel caso in cui ciò si rivela il mezzo legittimo previsto per assicurare il buon andamento della stessa, ad es tramite gare di appalto per forniture.

Pertanto, nell'ipotesi di favoritismo, oltre al buon andamento della P.A., sarà tutelata anche l'imparzialità della P.A.

A questo punto è interessante individuare quali problematiche possano sorgere nell'ipotesi in cui con una sola violazione di legge si sia prodotto tanto un danno ingiusto tanto un illecito vantaggio patrimoniale.

Può essere configurabile un concorso formale di reati?

Secondo l'opinione dello scrivente no, poiché l'art. 323 c.p. apre con la clausola di sussidiarietà che prescrive: "salvo che il fatto costituisca più grave reato".

Quindi, il legislatore ha voluto riferirsi ad un fatto non a più fatti.

Per quanto riguarda, l'ipotesi del favoritismo, la persona danneggiata dall'operato del P.U. non potrà assumere secondo la giurisprudenza(2) la qualità di persona offesa.

Tutto ciò trova fondamento nella natura del bene giuridico costituito dalla par condicio civium, in quanto i medesimi cives sono portatori di un interesse diffuso ma non di un interesse legittimo o di un diritto soggettivo.

Tuttavia, tale interesse diffuso può perdere la sua veste originaria e divenire un interesse tutelato dalla legge, nel caso in cui sia stata prodotta una lesione alla par condicio tra i partecipi alla medesima procedura concorsuale.

Comunque, in questi casi (si pensi ad es. alle imprese partecipanti ad una gara di appalto) appare difficile negare la sussistenza oltre che di un vantaggio patrimoniale, anche  di un danno ingiusto.

In riferimento alla scriminante del consenso dell'avente diritto prevista dall'art. 50 c.p., si può ritenere applicabile la medesima purchè si tratti di diritti disponibili.

Tuttavia in merito all'ipotesi del favoritismo, la scriminante in esame sembra di difficile attuazione pratica poiché risulterebbe sempre necessario il consenso di tutti i concorrenti ad una procedura pubblica.

Il soggetto attivo

L'abuso d'ufficio è reato proprio, quindi può essere commesso soltanto da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio.

Il soggetto che sia in aspettativa commetterà comunque il delitto in esame poiché tale istituto determina soltanto una sospensione del servizio ma non anche del rapporto di pubblico impiego.

I soggetti estranei alla P.A. potranno essere autori del reato soltanto ove abbiano concorso con gli intranei ai sensi dell'art. 117 c.p.

La clausola limitatrice dello "svolgimento nelle funzioni o nel servizio".

Il legislatore del 1997 ha introdotto nella fattispecie incriminatrice una clausola limitatrice della rilevanza penale delle condotte tipizzate

Infatti è necessario che il soggetto attivo ponga in essere la condotta tipica nello svolgimento delle sue funzioni o del servizio.

Over ricorra soltanto un abuso delle qualità di pubblico ufficiale oppure una spendita del nome, potrà esservi una condotta rilevante sotto il profilo disciplinare ma non penale.

Per esemplificare, non commetterà il delitto in esame l'insegnante statale che esorti i genitori dei suoi alunni a prendere contatto con i figli per corsi di ripetizione nelle ore pomeridiane.

In questo caso non ricorre uno sviamento dell'attività pubblica, ma soltanto un abuso del mero status.

L'opinione esposta è stata confermata anche dalla giurisprudenza(3).

Soltanto una pronuncia(4) ha ritenuto ravvisabile in ipotesi del genere la sussistenza del reato in esame.

È interessante rilevare che nella prassi amministrativa è frequente l'ipotesi delle "raccomandazioni" da parte di un funzionario del tutto estraneo all'ufficio cui spetta decidere.

Per una parte della dottrina, tale condotta sarebbe atipica per difetto dell'inerenza allo svolgimento delle funzioni o del servizio(5).

Si deve rilevare che in merito alla raccomandazione, possono verificarsi due ipotesi, ovvero la medesima può trovare accoglimento oppure essere respinta.

Nel primo caso, se l'adesione avrà provocato una condotta violatrice di una norma di legge o di regolamento unitamente ad un ingiusto vantaggio patrimoniale si dovrà ritenere integrato il delitto di abuso d'ufficio a titolo di concorso dell'estraneo nel reato proprio ai sensi dell'art. 117 c.p.

Nel secondo caso avremo una mera istigazione non raccolta, non punibile nemmeno a titolo di tentativo ex art. 115 c.p.

È poi necessario distinguere più precisamente, tra difetto di competenza assoluta e relativa.

Infatti, ricorre un caso tipico di violazione di norme di legge ove venga violato il riparto di competenza tra uffici dell'amministrazione.

Si ha difetto di competenza relativa quando il pubblico funzionario esercita un potere che non gli spetta, ma sia pur sempre collocato nell'ambito di un "sistema unitario" cui detto potere è attribuito.

Si ha difetto di competenza assoluta o carenza di potere laddove il p.u. eserciti un potere che in materia del tutto estranea alla branca di amministrazione alla quale appartiene.

Nella ipotesi di incompetenza relativa sarà integrato il delitto di abuso d'ufficio, come confermato da giurisprudenza recentissima(6).

Nella  vicenda relativa alla pronuncia appena richiamata, la Giunta Comunale recepiva nella delibera la proposta presentata dal dirigente del Servizio Urbanistico riguardante l'approvazione di un preliminare di sistemazione urbanistica. La Suprema Corte ha ritenuto ricorrente l'ipotesi dell'incompetenza relativa in quanto l'assessore all'urbanistica che faceva parte della Giunta Comunale, esercitava un potere spettante al dirigente del Servizio Urbanistico e la Giunta Comunale si pronunciava su una materia riservata per legge al Consiglio Comunale.

Per quanto riguarda il vizio di incompetenza assoluta, sarà integrato ove ne ricorrano gli estremi, il delitto di usurpazione di pubbliche funzioni p. e p. dall'art. 347 c.p.(7)

Bisogna altresì precisare che assumono rilevanza penale anche le condotte meramente materiali ovvero quelle che non si estrinsecano in atti amministrativi.

Infatti, la giurisprudenza(8) ha affermato da tempo che in materia di abuso, la nozione di atto è più ampia di quella di provvedimento e comprende qualunque specie di atto, interno o esterno, decisionale, consultivo, preparatorio, ed anche le condotte materiali.

Inoltre, in sede di lavori preparatori, furono respinti degli emendamenti che subordinavano la punibilità ex art. 323 c.p. alla produzione di effetti giuridici da parte degli atti posti in essere o al termine del procedimento amministrativo, con la motivazione che con questa formulazione si sarebbero escluse dalla previsione della disposizione novellata le attività materiali.

D'altronde, anche la giurisprudenza più recente(9) ha confermato l'opinione esposta.

Nella specie si è affermata la responsabilità di un medico specialista che aveva inviato i pazienti presso l'ambulatorio privato di cui egli era socio in quanto la struttura ospedaliera pubblica non era dotata dell'attrezzatura necessaria per compiere le attività successive alla visita dei pazienti quali l'esame del fondo oculare; tali prestazioni erano stare ritenute fondamentali dal medico.

Quest'ultimo aveva altresì richiesto ed ottenuto le spese degli onorari relativi alle prestazioni sanitarie nella struttura privata.

La violazione di norme di legge e regolamentari. Il principio di riserva di legge

Prima di esaminare le condotte tipiche del delitto in esame, è interessante verificare se quella caratterizzata dalla violazione di norme di regolamento violi il principio costituzionale della riserva di legge di cui all'art. 25 comma 2° Cost.

Al riguardo, è stato dedotto il carattere di norma parzialmente in bianco del delitto di cui all'art. 323 c.p.

Secondo questa opinione ricorrerebbe violazione della suddetta norma costituzionale laddove si faccia riferimento alle norme regolamentari(10), anche n virtù del fatto che le medesime non danno luogo ad un'integrazione meramente tecnica del precetto(11).

Si tratterebbe nell'ipotesi di una fattispecie aperta, priva di un nucleo penalistico e quindi incapace di selezionare la condotta penalmente rilevante tra le numerose condotte antigiuridiche caratterizzate dalla violazione di norme di legge o di regolamento.

Questa conclusione non sembra condivisibile proprio perché la stessa contiene al contrario di quanto affermato, un nucleo significativo che permette di selezionare le condotte penalmente rilevanti.

Infatti, non è incriminata qualsiasi violazione di obblighi, ma soltanto un più ristretto numero di situazioni individuate dall'ingiustizia dell'esito(12). Proprio l'ingiustizia dell'esito costituisce un requisito ulteriore di illiceità speciale e non può essere ricondotta ad una generica antidoverosità della condotta.

Quindi, soltanto la condotta produttrice del danno o dell'ingiusto vantaggio integrerà il reato in esame.

La condotta della violazione di norme di legge o di regolamento

La prima condotta ad essere tipizzata è quella posta in essere "in violazione di norme di legge o di regolamento". La limitazione del paradigma normativo alla legge ed al regolamento è in grado di garantire la certezza e la stabilità del precetto.

Inoltre, tale limitazione esclude il sindacato del giudice penale sull'esercizio della discrezionalità amministrativa.

Il concetto di legge è qui inteso in senso specifico e formale ovvero comprensivo delle leggi costituzionali, parlamentari, regionali, decreti legislativi e oltre che delle leggi provinciali delle province autonome di Trento e Bolzano. Infatti, il legislatore ha affiancato al concetto suddetto, il regolamento.

Per quanto attiene il concetto di legge una parte della dottrina(13) e della giurisprudenza(14), in ossequio al principio di precisione della fattispecie espunge dalle "norme di legge" rilevanti ex art. 323 c.p. quelle aventi un contenuto di principio e le clausole generali.

Altra giurisprudenza, laddove ha ritenuto che non ricorresse la figura dell'eccesso di potere, ha fatto ricorso a norme di legge che ponevano un mero principio per individuare la condotta vietata.

Si è così fatto ricorso all'art. 2043 c.c. per ritenere colpevole ex art. 323 c.p., il titolare di una cattedra universitaria che non aveva permesso ad un professore associato in medicina di partecipare all'attività operatoria, in tal modo menomando il suo interesse legittimo alla manifestazione della sua personalità(15).

La giurisprudenza(16)ha ravvisato la violazione di norme di legge nell'inosservanza del dovere di motivazione di cui all'art. 3 L. 241/90.

Per quanto riguarda il concetto di regolamento, si è affermata la tesi formale e restrittiva per ragioni di certezza del diritto.

Quindi, il concetto di regolamento ricomprende solo gli atti normativi adottati ai sensi della L. n. 400/88 e del TUEL.

In questo senso è orientata la giurisprudenza(17) prevalente, per la quale i decreti ministeriali non possono intendersi come regolamenti ai sensi dell'art. 323 c.p.

Tutto questo vale anche per le deliberazioni di una giunta comunale con le quali si disciplina un dato servizio pubblico(18), per le circolari(19) (a meno che la violazione sia da ricondurre alla norma di legge o di regolamento che la medesima ha correttamente interpretato).

Si può agevolmente concludere per l'irrilevanza delle ordinanze con tingibili ed urgenti adottabili dal Sindaco o dal Prefetto.

Infatti, queste ultime, oltre a difettare del dato formale che permetta di qualificarle come regolamenti, mancano del carattere dell'astrattezza, requisito fondamentale del concetto sostanziale di atto amministrativo.

Incerta è invece la riconducibilità dei regolamenti comunitari e dei regolamenti degli organi costituzionali al concetto di regolamento ai sensi dell'art. 323 c.p.

Al riguardo sembra preferibile la risposta affermativa poiché si tratta di atti dotati del carattere formale richiesto. La dottrina(20) è di opinione contraria.

Controversa è la possibilità degli statuti comunali e provinciali di costituire parametro di individuazione della condotta di cui all'art. 323 c.p.

Una dottrina(21) in virtù della sovraordinazione di tali fonti rispetto ai regolamenti comunali e provinciali sostiene la soluzione favorevole.

Tuttavia, sembra più verosimile la tesi contraria(22) che sostiene il divieto di analogia in malam partem.

Pertanto, in virtù di tale argomento, il precetto penale deve ritenersi integrato soltanto dalle norme qualificabili come regolamento, anche previo riconoscimento dell'irragionevole disparità di trattamento cui dà luogo la norma.

È interessante rilevare se ricorra abolitio criminis ove la norma violata sia stata abrogata.

La giurisprudenza(23) sostiene l'irrilevanza dell'intervenuta abrogazione della norma richiamata dall'art. 323 c.p.

Questa soluzione ad avviso anche di chi scrive può ritenersi corretta in quanto è un'applicazione pratica del principio della successione mediata di leggi penali.

Pertanto, deve affermarsi la sussistenza dell'abuso d'ufficio ogni qualvolta l'abrogazione della norma integrativa non abbia fatto venire meno il disvalore penale della condotta.

La rilevanza della condotta della violazione di norme procedimentali

Una parte della giurisprudenza(24) ha elaborato un criterio selettivo delle norme integratrici dell'art. 323 c.p. ulteriore a quello formale del carattere legale o regolamentare della fonte.

Secondo questa giurisprudenza, le norme procedimentali non integrano la fattispecie in esame poiché svolgono la loro funzione solo all'interno del procedimento e non incidono sulla decisione amministrativa.

Tale orientamento è stato fortemente ridimensionato(25) e secondo la giurisprudenza(26) prevalente, è rilevante soltanto l'efficacia causale della violazione riscontrata rispetto ad uno degli eventi tipizzati nella fattispecie in esame.

Non è rilevante il carattere procedimentale di una norma di legge o di regolamento.

Si è così affermata la rilevanza penale dell'omessa istruttoria volta a verificare l'idoneità dei candidati a riconoscere un incarico esterno presso una Ausl.

La soluzione esposta è da condividere anche in virtù della struttura della fattispecie di cui all'art. 323 c.p.

Infatti, si tratta di un reato di evento e quindi occorre la prova certa del nesso di efficacia causale tra violazione di legge o di regolamento ed uno degli eventi tipici.

La problematica della violazione mediata di norme.

La giurisprudenza più recente ha applicato il criterio della violazione mediata delle norme.

Si è così affermato in materia urbanistica, che in virtù di quanto stabilito dall'art. 12 D.P.R. n. 380/2001, il permesso di costruire deve essere rilasciato in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici.

Pertanto, il rilascio di un titolo abilitativo che viola i predetti strumenti urbanistici, dà luogo ad una violazione dello stesso art. 12 D.P.R. n. 380/2001.

Altra pronuncia(27) ha precisamente affermato che i piani di recupero e di riqualificazione urbana devono ritenersi equiparati alle norme regolamentari.

Nella specie una Società aveva ottenuto concessioni edilizie che consentivano la costruzione di una struttura di vendita di livello superiore a quello assentito nel Progetto generale di massima del Piano integrato di recupero.

La dottrina prevalente(28) riconosce questo indirizzo, soltanto voci minoritarie(29) sono di contrario avviso.

Secondo l'orientamento minoritario, il rinvio a fonti subregolamentari violerebbe il principio di tassatività della fattispecie.

Tale affermazione non sembra condivisibile poiché come già detto, l'abuso d'ufficio è reato di evento.

Quindi, ogni volta che sia posto in essere uno degli eventi tipizzati dal legislatore, l'evento stesso configura determinatezza alla fattispecie in esame.

È importante precisare che sussiste comunque violazione mediata di legge anche laddove l'atto che rinvia alla legge sia un atto privato.

L'ipotesi è oggi frequente a causa della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, che trova importantissima fonte di disciplina nel contratto collettivo oltre che le norme contenute nello Statuto dei lavoratori.

Tale affermazione trova conferma nello stesso dato normativo costituito dall'art. 55 del TUEL (D.lgs. n.165/2001).

Infatti, tale norma prescrive che resta ferma la disciplina vigente in materia di responsabilità, civile, penale, ammnistrativa, contabile dei dipendenti pubblici.

Tale orientamento è sostenuto anche dalla giurisprudenza.(30)

Sempre in riferimento all'espressione "violazione di norme di legge o di regolamento" è utile precisare, come già anticipato, che il difetto di competenza integra la violazione suddetta.

La dottrina è al riguardo unanime, mentre in giurisprudenza(31) si registrano orientamenti contrastanti.

La violazione dell'obbligo di astensione

Per l'integrazione del delitto in esame, anche per la condotta relativa alla violazione dell'obbligo di astensione, è richiesta la produzione dell'evento del danno ingiusto o dell'ingiusto vantaggio patrimoniale.

Tale opinione è stata riconosciuta dalla giurisprudenza.(32)

Occorre inoltre la certezza dell'efficacia causale della condotta di astensione in merito alla produzione all'evento tipizzato.

Dobbiamo chiederci se la locuzione "omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto" imponga un rinvio alle leggi od ai regolamenti ai fini dell'individuazione dell'obbligo menzionato, oppure se sia la medesima a prescriverlo direttamente  assumendo così il ruolo di norma primaria che prescrive un obbligo generalizzato di astensione.

L'orientamento dottrinale prevalente(33) sostiene la prima ipotesi.

Sembra però più logico sostenere che l'art. 323 c.p. contenga il precetto in esame.

La giurisprudenza(34) aderisce al secondo orientamento.

Ad avviso dello scrivente, è interessante precisare che in tema di composizione di una commissione esaminatrice, la giurisprudenza più recente(35) ha ritenuto che l'obbligo di astensione debba essere espressamente previsto dalla legge.

Nella specie la Cassazione non ha ritenuto sussistente il reato di abuso d'ufficio nella condotta tenuta dal Direttore di un Centro di fisiologia clinica che aveva partecipato come membro della commissione  giudicatrice di un concorso per l'assunzione di personale già impiegato presso il Centro stesso.

La suddetta pronuncia ha messo in evidenza che le cause d'incompatibilità siano tassative data la necessità di assicurare certezza all'azione amministrativa e stabilità alla composizione delle commissioni giudicatrici.

Bisogna precisare il concetto di interesse.

Un orientamento dottrinale minoritario(36) sostiene l'esclusiva rilevanza patrimoniale dell'interesse, ma l'orientamento maggioritario(37) ed anche la giurisprudenza(38) sostengono la rilevanza di tutti gli interessi personali anche non economici ed anche quello affettivo.

Non è rilevante il c.d. interesse zonale, ovvero l'interesse comune a tutti gli appartenenti ad una zona geografica, socio economica, ideologica come ad es. un partito politico o una categoria professionale.

Qui l'interesse è comune ad un'intera categoria di persone ed assume la natura di interesse diffuso.

Per "prossimi congiunti" la nozione è contenuta 307 c.p.

Secondo tale norma è prossimo congiunto l'ascendente, il discendente, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii ed i nipoti. Gli affini sono esclusi qualora il coniuge sia deceduto e non vi sia prole.

Per quanto riguarda la figura del convivente more uxorio si è rilevato(39) che l'interesse del partner convivente integrerà il delitto in esame.

Dopo avere previsto "i prossimi congiunti" la norma di cui all'art. 323 c.p. menziona: "negli altri casi prescritti".

È ragionevole ritenere che tale espressione intenda allargare la portata applicativa del dovere di astensione.

Tale opinione è sostenuta da un orientamento dottrinale(40) mentre un altro orientamento(41) si attiene ad un'interpretazione strettamente esegetica.

Secondo il primo degli orientamenti il dovere di astenersi "negli altri casi" potrà fondarsi anche su norme che si trovino in qualunque disciplina normativa non solo in quelle formali.

Tra le più importanti normative delineanti obblighi di astensione vi è ad es. l'art. 78 TUEL che impone un dovere di astensione laddove siano in gioco interessi dei propri parenti ed affini fino al quarto grado.

Soltanto ove il pubblico ufficiale, portatore di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, adotti (in violazione del dovere di astensione) un provvedimento normativo generale ad es. un PRG, lo stesso non risponderà del delitto di cui all'art. 323 c.p.

Infatti, in questo caso, l'esclusione della responsabilità sorge per effetto dell'applicazione della scriminante di cui all'art. 51 c.p.

In applicazione di questo assunto, la giurisprudenza(42) ha ritenuto lecita la condotta posta in essere dal consigliere comunale che approva un PRG riguardante anche i propri interessi.

Il consigliere comunale è stato invece ritenuto responsabile ai sensi dell'art. 323 c.p(43). per avere partecipato a delibere su opposizioni a PRG riconducibili ad interessi personali dello stesso.

Infine, è importante precisare che per la giurisprudenza(44), il dovere di astensione riguarda anche le attività materiali non solo il compimento di atti formali.

In dottrina vi è un orientamento contrario.(45)

Si può ragionevolmente ritenere che il delitto di abuso d'ufficio possa essere commesso anche mediante omissione. Tutto ciò avviene allorché una norma di legge o di regolamento preveda l'obbligo di agire.

Al riguardo, la dottrina è unanime.(46)

È dello stesso avviso la giurisprudenza(47) che ha ritenuto la sussistenza del reato in esame, nella condotta dei vigili urbani che non procedevano all'accertamento di alcune violazioni in materia di circolazione stradale.

L'eccesso di potere

Per quanto riguarda il vizio dell'atto amministrativo rappresentato dall'eccesso di potere, il medesimo è stato oggetto di accese controversie sulla rilevanza penale.

Si premette che tale figura fu introdotta nel nostro ordinamento con la L. n.5992/1889.

Il Consiglio di Stato però fin dal 1892 intese tale vizio come inidoneità del provvedimento a realizzare lo scopo per il cui raggiungimento, il potere pubblico è stato conferito ad un organo. Fu così creato il concetto di sviamento della funzione pubblica dal suo fine tipico.

In tal modo, la discrezionalità amministrativa si trovava seriamente esposta a sindacato giudiziale.

La giurisprudenza amministrativa dilatò ancora di più la portata applicativa di tale nozione.

Poiché in molti casi era difficoltoso distinguere con precisione l'interesse pubblico perseguito dall'atto amministrativo, furono individuate le cd. Figure sintomatiche dell'eccesso di potere.

Si trattava della contraddittorietà della motivazione del provvedimento, disparità di trattamento, travisamento dei fatti posti a fondamento di una data decisione amministrativa, difetto di istruttoria, violazione delle circolari, illogicità delle statuizioni, ingiustizia manifesta.

Ove la giurisprudenza ravvisava una di queste figure sintomatiche, la stessa era solita annullare l'atto amministrativo.

La pubblica amministrazione raramente riusciva a fornire una prova contraria proprio perché non era chiaro quale fosse l'interesse pubblico.

In un quadro del genere, il concetto di eccesso di potere, si presenta spesso vago  e suscettibile di dare luogo a decisioni giurisprudenziali irrazionali.

È agevole notare che un concetto del genere si rivela incompatibile con i principi fondamentali del diritto penale, in primo luogo quello della tassatività della fattispecie.

Il legislatore penale si è per così dire, visto costretto ad espungere del tutto l'eccesso di potere dalla fattispecie di cui all'art. 323 c.p.

La giurisprudenza ritenne di seguire l'intenzione del legislatore fin dalla fondamentale sentenza Tosches.(48)

Anche le successive decisioni(49) sono state dello stesso avviso.

Anche un orientamento dottrinale(50) condivide tale impostazione.

Un'autorevole dottrina(51) ha però osservato che punire l'eccesso di potere non significa, per il giudice, sindacare la discrezionalità amministrativa.

Infatti, l'eccesso di potere riguarda il modo di formazione dell'atto ed inoltre, esercitare la discrezionalità amministrativa contro l'interesse pubblico significa non esercitare il potere legittimamente conferito dalla legge.(52)

Tale orientamento ha altresì evidenziato che il sindacato della discrezionalità amministrativa, riguarda solo il risultato dell'atto amministrativo.

La rilevanza penale dell'eccesso di potere è sostenuta(53) da varie argomentazioni.

Una di queste sostiene che molte delle ipotesi di eccesso di potere sono state trasformate in violazione di legge a seguito della loro recezione nella L. n. 241/1990;

un'altra di queste afferma che in ogni caso, l'eccesso di potere comporta una violazione di legge, più precisamente la violazione dell'art. 97 Cost., tale norma impone il buon andamento della P.A.

Un orientamento dottrinale contrario(54) replica affermando che il rinvio ai principi generali contenuti nell'art. 97 Cost., come norme integranti il delitto di cui all'art. 323 c.p., non sia attuabile poiché la norma di principio avrebbe soltanto lo scopo di introdurre criteri guida su cui devono poi essere costruite vere regole di condotta.

Se così non fosse, sarebbe violato il principio di tassatività della fattispecie penale.

Attualmente, si può affermare che il legislatore ha inteso espungere dalla fattispecie il vizio di eccesso di potere sia per ragioni di possibile controllo giudiziale sull'operato della P.A., sia per ragioni di determinatezza;

si rivela però necessario non rinunciare del tutto alla rilevanza penale dell'eccesso di potere, poiché il controllo giudiziale sull'azione amministrativa assume una funzione di garanzia per il cittadino ed il medesimo si estrinseca in un controllo di legittimità dell'atto, ma non di merito;

la fattispecie in esame consente il richiamo all'art. 97 Cost.;

in sintesi gli unici ostacoli alla rilevanza penale del vizio in esame sono costituiti dalla vaghezza del parametro e dal rischio potenziale di creare una norma imprecisa.

Una pronuncia giurisprudenziale(55) ha sostenuto la rilevanza dell'art. 97 Cost. ai sensi dell'art. 323 c.p.

Tuttavia, la maggior parte delle decisioni che statuiscono la rilevanza penale dell'eccesso di potere, preferiscono non porsi formalmente in contrasto con la giurisprudenza maggioritaria ed applicano al riguardo, "vie di fuga" per affermare la sussistenza del delitto di abuso d'ufficio.

Infatti, in base a tale impostazione è stata affermata(56) la responsabilità penale di un Assessore che, irritato per essere stato multato dalla Polizia Municipale, inviava missive al Sindaco, lamentandosi della condotta del Comandante dei vigili urbani e chiedendo altresì la promozione di procedimenti disciplinari nei confronti del predetto.

Per altre decisioni(57), la violazione della norma di legge comprende anche la mancata osservanza della ratio della norma.

Tale conclusione è ad avviso dello scrivente ragionevole poiché vanificare la ratio di una norma equivale a violare la predetta.

Tale opinione trova fondamento anche nell'art. 12 delle Preleggi, il quale prescrive che la norma può essere ricavata dalla disposizione di legge, soltanto in base al significato letterale della medesima.

In conclusione, possiamo affermare che ove sia violata la ratio legis, l'eccesso di potere sarà sempre dotato di rilevanza penale ed in tale specie l'interesse pubblico a cui l'atto è finalizzato, sarà sempre agevolmente individuabile.

Ove ricorra soltanto una delle figure sintomatiche dell'eccesso di potere, il medesimo non avrà mai disvalore penale, proprio perché in tal caso, si rivela ardua l'individuazione dell'interesse pubblico perseguito.

A questo punto è utile evidenziare che soltanto l'ipotesi base dell'eccesso di potere sarà rilevante ai sensi dell'art. 323 c.p., mentre le altre ipotesi saranno rilevanti solo in sede amministrativa.

Il danno ingiusto e l'ingiusto vantaggio patrimoniale

Come già anticipato in precedenza, il reato di abuso d'ufficio è reato di evento.

Sono eventi del reato, l'ingiusto vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto.

Per danno s'intende la lesione di una situazione giuridica del privato a qualsiasi titolo coinvolta nella Pubblica Amministrazione.

Per vantaggio patrimoniale s'intende qualsiasi apprezzabile miglioramento della sfera economica del beneficiario(58).

La giurisprudenza(59) ad esempio ha ritenuto vantaggio patrimoniale la dichiarazione di edificabilità di un terreno.

Una isolata pronuncia(60) non ha ritenuto configurabile l'ingiusto vantaggio nella condotta di un professore presso l'Università che aveva  pilotato un esame universitario  per favorire un determinato soggetto.

Nella specie, il Professore a contratto presso l'Università degli Studi di Napoli aveva preventivamente rivelato al candidato gli argomenti sui quali sarebbe stato interrogato.

La Cassazione ha ritenuto nel caso di superamento di un esame universitario, l'insussistenza sia di un  incremento patrimoniale sia di un accrescimento di natura patrimoniale.

Per quanto riguarda il requisito d'ingiustizia del danno o del vantaggio, si deve notare che tale qualifica fu introdotta già in occasione della novella del 1990.

Un autorevole orientamento dottrinale(61) ritiene tale aggettivo pleonastico, poiché ciò che è frutto di un a condotta di abuso è necessariamente ingiusto.

Un altro orientamento(62) sostiene invece il requisito della c.d. "doppia ingiustizia".

Secondo questa opinione, l'evento del reato in esame, deve essere ingiusto in via autonoma dalla condotta (illecita) che lo ha prodotto.

La prima tesi è criticabile poiché ritenere pleonastico il dato testuale deve essere, nei limiti del possibile, evitato.

La seconda tesi è anch'essa criticabile, poiché nei casi concreti, darebbe luogo alla liceità del favoritismo.

Infatti, si potrebbero ritenere lecite le condotte violatrici delle norme sulle procedure concorsuali, laddove le medesime abbiano favorito alcuni concorrenti a scapito di altri.

La giurisprudenza(63) ha aderito alla seconda tesi soltanto una volta.

Una terza teoria, attualmente seguita dalla giurisprudenza(64), si colloca a metà strada fra le suddette.

Questo orientamento non ritiene pleonastico l'aggettivo ingiusto, ma al contempo, non esige il requisito dell'autonoma ingiustizia del medesimo.

Per questa teoria il vantaggio ingiusto ricorre ogni qualvolta lo stesso non abbia fondamento in un corrispondente diritto sostanziale.

Per esempio non costituirà abuso d'ufficio il pagamento di un avvocato, da parte di una P.A., con denaro prelevato da un capitolo di spesa diverso da quello per i pagamenti a soggetti esterni all'amministrazione.

In tal caso, il vantaggio patrimoniale non potrà essere ingiusto, perché il difensore aveva comunque diritto al corrispettivo per le prestazioni professionali svolte.

L'ingiusto danno e l'ingiusto vantaggio patrimoniale, in quanto eventi del reato, ne determinano il locus ed il tempus commissi delicti.

Consumazione del reato

Il momento consumativo del reato, si avrà nel momento in cui la condotta produce l'evento, anche se detto momento fosse sensibilmente posteriore all'elemento materiale del reato.

Così, la giurisprudenza(65) in ambito concorsuale ha ritenuto che il momento consumativo, si identifica con la proclamazione del vincitore del concorso. Non ha rilievo, sotto questo profilo, il momento della dettatura delle tracce del compito assegnato.

Un'importante conseguenza di tale impostazione si rileva laddove l'ingiusto vantaggio patrimoniale si produca in più rate (ad esempio una sovvenzione pubblica che venga erogata in più stadi), il momento consumativo del reato, si avrà con il pagamento dell'ultima rata.

Per quanto riguarda il locus commissi delicti, esso si identifica con il luogo in cui è stato prodotto l'evento.

Ad esempio se la società Beta con sede a Milano ha ottenuto dal Ministero romano una sovvenzione pubblica in violazione della normativa di settore, l'ingiusto vantaggio patrimoniale è avvenuto a Milano.

Di conseguenza, sarà competente territorialmente il Tribunale di Milano.

L'errore sulle norme di legge o di regolamento

Prima di analizzare l'elemento soggettivo del delitto di cui all'art. 323 c.p., è interessante rilevare la problematica dell'errore sulla norma di legge o di regolamento violata.

La giurisprudenza(66) ritiene che si tratti di errore sul precetto penale, ed in quanto tale, irrilevante ai sensi dell'art. 5 c.p.

Tale opinione trova fondamento nella teoria dell'incorporazione delle norme di legge o di regolamento nella norma di cui all'art. 323 c.p.

Anche un orientamento dottrinale(67) sostiene questa conclusione.

Tale opinione non sembra però condivisibile.

Infatti, la violazione di norme di legge o di regolamento non esprime in pieno il senso del divieto penale, poiché è necessaria la sussistenza di uno degli eventi previsti, ed inoltre, chi erra sull'elemento menzionato, si trova nelle condizioni previste dall'art. 47 c.p., ovvero non si rende conto del disvalore penale del fatto.

Al riguardo, un orientamento dottrinale(68) sostiene l'impostazione suddetta ed argomenta che l'agente nella specie, non si rappresenta l'ingiustizia dell'evento, pertanto, non sussiste il dolo della fattispecie.

Tutto ciò non significa esigere la conoscenza esatta della norma di legge o di regolamento violata  al fine di ritenere sussistente il dolo della fattispecie.

Si esige dall'agente soltanto la conoscenza di massima del contenuto della norma violata.

Ad esempio, sarà integrato il reato di abuso d'ufficio, nel caso della Giunta comunale che paghi il corrispettivo all'avvocato per la difesa di un membro in una vicenda che lo riguarda nella qualità di privato cittadino e precedente l'assunzione della qualifica di assessore, anche ove sia dimostrata la mancata conoscenza dell'art. 40 TUEL e dell'art. 28 del C.C.N.L. enti locali del 14.09.2000.

Infatti, è sufficiente dimostrare la conoscenza della regola culturale che impone il divieto di spendere denaro pubblico per affari privati dei pubblici funzionari.

L'elemento soggettivo

Più in particolare, per quanto riguarda l'elemento soggettivo, dobbiamo precisare il significato dell'avverbio "intenzionalmente", riferito all'evento.

La dottrina(69) sostiene che l'art. 323 c.p., richieda il dolo intenzionale e siano esclusi dalla punibilità il dolo diretto ed a maggior ragione il dolo eventuale.

Al riguardo, tale dottrina sostiene che l'avverbio in esame è stato impiegato riguardo al momento della volizione dell'evento, non al momento della rappresentazione.

Questa tesi è stata ulteriormente ridimensionata dalla giurisprudenza. Infatti, la Cassazione(70) ha escluso la sussistenza del reato ogni qualvolta il fatto tipico sia stato posto in essere al fine di realizzare un interesse pubblico.

Una tale opinione non può però essere ritenuta condivisibile.

Infatti, una ricostruzione nei termini suddetti, porterebbe sempre ad ingiustificate declaratorie di assoluzione.

Il Giudice si vedrebbe obbligato ad assolvere ogni volta in cui manchi la certezza che l'agente abbia agito al solo fine di realizzare l'ingiusto vantaggio patrimoniale o l'ingiusto danno.

Orbene, secondo tale impostazione il dolo intenzionale tipico dell'abuso d'ufficio sarebbe trasformato in dolo esclusivo.

Tale conclusione non può essere accettabile(71) poiché il legislatore quando ha voluto configurare il dolo esclusivo come elemento tipico della fattispecie, lo ha espresso formalmente.

Costituisce un esempio di tale scelta l'art. 508 c.p., il quale contiene la specifica locuzione: "al solo scopo di".

È interessante notare che tale fattispecie è denominata "a movente tipizzato" mentre il delitto di abuso d'ufficio non è mai stato ritenuto tale.

L'avere agito al fine di perseguire un pubblico interesse, potrà avere rilevanza soltanto sul piano del quantum della pena, ai sensi dell'art. 133 c.p. oppure come attenuante ai sensi dell'art. 62 n. 1) o ex art. 62-bis c.p.

La giurisprudenza più recente(72), a conferma dell'opinione su esposta, ha affermato che l'evento del reato in esame deve essere voluto dall'agente  non è al riguardo sufficiente l'accettazione del rischio della produzione del medesimo.

Nella specie, la Cassazione non ha ravvisato la sussistenza del delitto di cui all'art. 323 c.p., nella "ritenuta" strumentalizzazione di una procedura di accordo di programma.

Detto accordo di programma, in seguito a modifiche apportate, prescriveva la realizzazione a spese della Società di una rotatoria tra la strada provinciale e quella comunale adiacenti all'area del progettato nuovo insediamento industriale e la modificazione della destinazione urbanistica dell'area adiacente alla fabbrica già esistente della Società, allo scopo di consentire a tale Società l'edificazione di un nuovo stabilimento industriale.

La Suprema Corte ha ritenuto lecite le condotte poste in essere dai membri  del Consiglio Comunale e dal Presidente della Provincia durante l'iter amministrativo (azionato dalla Società) per ottenere l'accordo di programma.

In tali condotte la Cassazione ha ravvisato un rilevante interesse pubblico volto all'incremento occupazionale e socio economico del territorio.

Come già anticipato, nella fattispecie in esame è richiesto il dolo intenzionale.

Bisogna rilevare che il dolo intenzionale costituisce la  trasposizione del dolo specifico che caratterizzava la fattispecie prima della novella del 1997.

Orbene, la capacità selettiva del dolo intenzionale, può venire meno nel caso di realizzazione plurisoggettiva del reato in esame.

Infatti, la giurisprudenza(73) afferma che si possa concorrere ex art. 110 c.p. in un reato a dolo specifico anche per chi agisca con dolo diretto o eventuale, purché almeno uno dei rei operi con il dolo intenzionale tipizzato e gli altri ne siano consapevoli.

Per esempio, i membri di un collegio risponderanno di abuso d'ufficio ove siano consapevoli dell'altrui intenzione di trarre vantaggio patrimoniale o di arrecare un danno, come conseguenza di una deliberazione illegittima.(74)

La giurisprudenza non è però dello stesso avviso.

Il concorso nel reato

Come abbiamo già visto, il reato di abuso d'ufficio può essere commesso anche da più soggetti.

Come per la generalità dei reati propri, è possibile che al reato concorra anche il privato estraneo.

La giurisprudenza(75) ha voluto precisare che per l'integrazione del reato, non è sufficiente la mera coincidenza fra la richiesta del privato ed il provvedimento illegittimo del pubblico ufficiale.

Si richiede la prova della previa intesa tra il privato ed il pubblico agente, o che il primo abbia svolto un'attività casualmente rilevante di determinazione, istigazione o altra forma di sollecitazione a commettere il reato.

Una tale opinione non è conforme però ai principi generali del concorso di persone nel reato.

Infatti, secondo la relativa disciplina, non è affatto necessario un previo accordo tra i concorrenti del reato.

Il delitto di cui all'art. 323 c.p., non può neppure essere considerato reato plurisoggettivo improprio, ovvero quei reati in cui la violazione, rilevante ai fini dell'integrazione, riguarda normativamente soltanto uno dei soggetti.

Infatti, la fattispecie in esame, non è necessariamente plurisoggettiva.

Pertanto, possiamo affermare, che la condotta del privato beneficiario sarà rilevante laddove sia caratterizzata da un contributo concorsuale e dal dolo previsto dall'art. 323 c.p., oppure abbia la consapevolezza che l'altro correo abbia la stessa intenzionalità.

Tale opinione è stata recepita anche dalla giurisprudenza.(76)

A questo punto, ci possiamo domandare se il privato possa rispondere del reato in esame qualora si trovi nel descritto stato volitivo ma il p.u. nel compiere quanto richiestogli, non abbia la consapevolezza della violazione delle norme.

Tutto questo può capitare ad esempio nel caso di presentazione di falsa attestazione del reddito imponibile al fine di ottenere una sovvenzione.

La giurisprudenza(77) ha escluso tale possibilità sostenendo l'incompatibilità tra l'art. 48 e l'art. 323 c.p.

Si è sostenuto che il dolo dell'intraneus sia essenziale ai fini dell'offesa, poiché senza il predetto requisito, non vi è violazione del dovere e quindi manca la lesione ai beni giuridici protetti.

Il rapporto con altre figure di reato

La locuzione "salvo che il fatto costituisca più grave reato" è una clausola di consunzione e preclude sempre ed in ogni caso il concorso formale tra l'abuso d'ufficio ed altri reati il cui fatto tipico includa quello dell'abuso, purché siano puniti più gravemente.

Per "fatto" s'intende una delle due condotte abusive. Infatti, se tale termine fosse inteso come fatto tipico del reato di abuso, ovvero condotta più evento, la clausola di riserva resterebbe priva di ogni applicazione pratica oltre ad essere in tal caso dotata di una "specialità ulteriore" rispetto alla fattispecie incriminatrice di cui all'art. 323 c.p.

La giurisprudenza ha ritenuto così il reato in esame assorbito in quello di peculato(78), in quello di concussione(79), in quello di truffa aggravata(80) e nella corruzione quando l'atto abusivo sia stato l'oggetto dell'accordo corruttivo(81).

C'è invece un orientamento che ha affermato il concorso con il reato di turbativa d'asta(82).

Infine, per quanto riguarda i delitti di falso, secondo un orientamento dottrinale(83), il concorso non è ipotizzabile, in virtù dell'assunto secondo cui la violazione di leggi penali generali non può costituire violazione di norme ex art. 323 c.p., poiché tale fattispecie richiama soltanto le norme disciplinanti le modalità di svolgimento dell'azione amministrativa.

La giurisprudenza(84) non ha accolto tale opinione.

Infatti, l'attività della P.A. è disciplinata anche da norme generali ed inoltre, la clausola dello "svolgimento delle funzioni o del servizio" non seleziona assolutamente le norme richiamabili nella fattispecie.

Può verificarsi che il p.u., nello svolgimento delle funzioni, commetta un falso realizzando intenzionalmente uno degli eventi tipici del reato di abuso d'ufficio.

In tal caso dobbiamo verificare se ricorre un concorso apparente di norme oppure un concorso formale di reati.

Sul punto la giurisprudenza è divisa.

Un orientamento(85) sostiene che il fatto di abuso non può mai essere sussunto in quello di falso anche se le condotte coincidono.

Tutto questo perché ciascuna delle norme incriminatrici tutela un bene diverso ed inoltre, la medesima condotta produce due distinti fatti di reato ovvero il falso ed un ingiusto danno o un ingiusto vantaggio patrimoniale ed un secondo costituito da un falso e da un pericolo per la fede pubblica conseguente.

Il secondo orientamento(86) sostiene che in tal caso opera comunque la clausola di riserva e quindi si verificherà l'assorbimento del reato di abuso nel reato di falso laddove quest'ultimo sia più gravemente sanzionato.

Sembra preferibile il secondo orientamento per varie ragioni.

Infatti, il criterio della diversità dei beni protetti, già non risolve quanto prescritto dall'art. 15 c.p. in tema di specialità tra norme e,  soprattutto, per quanto attiene la "stessa materia" è privo di ogni rilevanza.

Infine, il primo orientamento, ritiene che il "fatto" ai sensi della clausola di riserva sia il fatto tipico e non la sola condotta abusiva finendo così per negare l'operatività della clausola medesima.

Una recentissima pronuncia(87) ha stabilito che ricorre l'ipotesi di consunzione ove la condotta tipica dell'abuso d'ufficio sia sussumibile nel paradigma di una fattispecie incriminatrice più grave.

Nella specie un notaio aveva attestato nel relativo rogito, la volontà delle parti  di permutare un terreno agricolo con alcuni quadri d'autore e con separata scrittura privata redatta dallo stesso notaio, risultava la reale volontà delle parti di stipulare una compravendita del terreno menzionato in luogo della permuta.

La prima condotta attestava falsamente la volontà delle parti procurandogli altresì un ingiusto vantaggio mentre la seconda cagionava ingiusto danno ai proprietari dei terreni agricoli confinanti, i quali non avevano avuto la possibilità di esercitare il diritto di prelazione in ordine al suddetto terreno.

Dobbiamo poi rilevare che nel caso in cui il reato concorrente con l'abuso sia meno grave del primo, si riterrà integrato l'abuso in base all'applicazione del principio generale della specialità, non in virtù dell'applicazione della clausola di riserva.

Un'applicazione di tale assunto è per esempio l'assorbimento del reato di omissione di atti d'ufficio in quello di abuso, purché la condotta sicuramente tipica del delitto di cui all'art. 328 c.p. produca anche uno degli eventi previsti dall'art. 323 c.p.

Il tentativo

Per quanto riguarda la configurabilità del tentativo in ordine all'abuso, si deve rispondere affermativamente in virtù del fatto che si tratta di un reato di evento.

È agevole notare che la frazionabilità dell'iter esecutivo non è affatto collegata alla circostanza che l'atto illegittimo sia inserito all'interno di un procedimento costituito da una moltitudine di atti.

Il tentativo sussisterà non solo nell'ipotesi in cui la condotta tipizzata, accompagnata dal dolo di realizzare uno degli eventi tipici, non abbia dato luogo ad uno di tali risultati, ma anche nel caso di incertezza probatoria sul nesso causale tra condotta ed evento tipico comunque venuto ad esistenza.

L'aggravante di cui all'all'art. 323 2° comma c.p.

Infine, l'art. 323 c. 2° c.p. prevede una circostanza aggravante speciale ad effetto comune, laddove l'ingiusto vantaggio o il danno sia di rilevante gravità.

L'elemento della gravità deve essere valutato in base a parametri oggettivi, tuttavia appare ragionevole un criterio soggettivo da applicarsi in via sussidiaria.(88)

In virtù del carattere di specialità dell'aggravante in esame, la giurisprudenza(89) ha ritenuto inapplicabile all'abuso d'ufficio l'aggravante di cui all'art. 61 n. 7 c.p.

Da: io7514/12/2011 11:07:36
Sulle banche dati (aggiornate) la sentenza del 2011 non esiste.

Da: Avv Lapo14/12/2011 11:08:21
allora rigurado la prima è sicuro 20094/2011 che ho gia postato sulla seconda Seconda traccia: 
La sentenza dovrebbe essere 17 gennaio 2011 n° 989

Da: ciro14/12/2011 11:08:22
il parere di avv lapo è giusta?

Da: ...14/12/2011 11:10:08
soluzione della 1 traccia perfavoreee...

Da: coccodrillo14/12/2011 11:10:16
la sent del 2011 è su ipsoa non create confusione è corretta e va benissimo per la fattispecie. mi metto al lavoro.

Da: ale14/12/2011 11:10:45
ma come diavolo chiedete già la soluzione?
andate a far merenda nel frattempo così non intasate il forum

Da: we14/12/2011 11:13:24
per la seconda, l'aggravante non sussiste quando è cessato il rapporto

Da: coccodrillo14/12/2011 11:13:36
per la soluzione dopo tre secondi ci vuole un mago...un avvocato non basta...

Da: orny7814/12/2011 11:15:34
Spunti per la prima traccia

art. 323 c.p. (Abuso d'ufficio)

"Salvo che il fatto costituisca un più grave reato,

il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio

che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio,

in violazione delle norme di legge  o di regolamento,

ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse

proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti,

intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio

patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni".

Così come si evince chiaramente dalla lettura del predetto articolo, i soggetti attivi del delitto in oggetto possono essere soltanto il pubblico ufficiale e l'incaricato di un pubblico servizio. Invece, i soggetti passivi sono la Pubblica Amministrazione ed il privato che dall'abuso abbia a subire un danno ingiusto. Si osserva, altresì, che il reato di abuso d'ufficio finalizzato ad arrecare ad altri un danno ingiusto ha natura plurioffensiva, in quanto è idoneo a ledere, oltre all'interesse pubblico al buon andamento ed alla trasparenza della pubblica amministrazione anche il concorrente interesse delle persone private a non essere turbate nei propri diritti costituzionalmente garantiti dal comportamento illegittimo ed ingiusto del pubblico ufficiale.

Il bene giuridico tutelato dalla fattispecie penale incriminatrice, di cui all'art. 323 c.p., è quello dell'imparzialità, dell'efficienza, del buon andamento e della trasparenza della Pubblica Amministrazione. Più in particolare, l'efficienza deve essere intesa come la capacità di perseguire i fini che la legge assegna alla Pubblica Amministrazione in aderenza all'interesse pubblico. L'imparzialità della Pubblica Amministrazione deve essere intesa come la necessità che venga rispettata la par condicio fra i cittadini nei confronti della P.A.

Il momento consumativo del delitto di abuso d'ufficio si realizza nel tempo e nel luogo in cui si verifica il danno o il vantaggio patrimoniale; il tentativo è certamente configurabile.

Inoltre, in riferimento all'elemento soggettivo del reato di abuso d'ufficio si osserva che viene richiesta la presenza del dolo generico intenzionale, come si ricava dall'espressione"intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale". Pertanto, si deve rilevare che il dolo eventuale risulta insufficiente per integrare l'abuso d'ufficio. Proprio su quest'ultimo punto la Suprema Corte ha precisato quanto segue: "Nel delitto di abuso d'ufficio, per la configurabilità dell'elemento soggettivo è richiesto che l'evento costituito dall'ingiusto vantaggio patrimoniale o dal danno ingiusto sia voluto dall'agente e non semplicemente previsto ed accettato come possibile conseguenza della propria condotta, per cui deve escludersi la sussistenza del dolo, sotto il profilo dell'intenzionalità, qualora risulti, con ragionevole certezza, che l'agente si sia proposto il raggiungimento di un fine pubblico, proprio del suo ufficio". Cassazione penale, sezioneVI, sentenza16maggio2005, n. 18419

L'elemento oggettivo dell'abuso d'ufficio si riscontra in una condotta che viola norme di legge, regolamenti ed omette il rispetto dell'obbligo giuridico di astensione in presenza di un interesse proprio, di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti. Più in particolare, la predetta condotta illecita deve essere eseguita per procurare a sé o ad altri un vantaggio patrimoniale oppure per arrecare ad altri un danno ingiusto. In sintesi, il danno deve essere conseguenza di un atto illegittimo e l'abuso deve presentarsi come contrario all'ordinamento giuridico. In riferimento all'abuso d'ufficio, è da qualificare come"ingiusto"il vantaggiocontrajusossiaquellochenonspetta in base al diritto oggettivoregolante la materia.

Per ciò che concerne il danno non è sufficiente che esso sia la conseguenza naturale della condotta posta in essere dall'agente per un fine diverso, ma è necessario che esso sia la conseguenza immediata ed diretta del comportamento dell'agente. Più in particolare, si osserva che il danno deve essere voluto dal soggetto agente quale obiettivo del proprio operato.

Si osserva, altresì, che la condotta di abuso d'ufficio risulta anche compatibile con un comportamento meramente omissivo del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio. Inoltre, affinché risulti integrato il reato in questione non si richiede la formale adozione di un atto amministrativo. Infatti, il reato può essere integrato anche da atti di diritto privato o meramente endoprocedimentali ovvero da atti materiali.

Restano ancora da analizzare, per completezza espositiva, gli aspetti procedurali del reato di cui in oggetto. Pertanto, si tratta di un reato di competenza del Tribunale in composizione collegiale (art. 33-bis) che è procedibile d'ufficio (art. 50 c.p.p.), dove le misure precautelari dell'arresto e del fermo di indiziato di delitto non vengono consentite. Inoltre, per il reato in questione viene ammessa la sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, di cui all'art. 289 c.p.p.

In riferimento ai rapporti con altri reati, si rileva che l'art. 323 c.p. ha attribuito all'abuso d'ufficio un ruolo sussidiario e che ne subordina l'operatività alla circostanza che nello stesso fatto non vengano ravvisati i presupposti di un più grave reato contro la Pubblica Amministrazione.

Infine, in ultima analisi, lo scrivente ritiene di osservare che l'abuso d'ufficio è un reato proprio, di danno, di evento ed a forma libera, in quanto può essere realizzato mediante una qualsiasi azione idonea al raggiungimento dello scopo.





















Da: Avv Lapo14/12/2011 11:15:35
@Coccodrillo io ho postato la sentenza mica un parere...mi metto sotto a redigere se lavoriamo in team facciamo un bel lavoro

Da: out14/12/2011 11:15:43
L'abuso d'ufficio è consumato...
Il maresciallo ha ottenuto i dati sensibili e li ha ceduti alla moglie, che a contrario, per averli avrebbe dovuto sostenere un esborso monetario


non sono dati sensibili e non è peculato. SOLO ABUSO DI UFFICIO

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