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scritti esame avvocato 2010: possibili sentenze/tracce
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Da: gtr14/12/2010 14:38:17
la prima traccia e' la piu' facile : basta soffermarsi sugli incisi "partiolarmente complesso" , "specializzato nella materia fiscale" , per supportare ulteriormente la liberta' del cliente nell'affiancare un professionista gia' nominato. Nessuna giusta causa di recesso dunque.
Anzi , il primo professionista mantiene inalterato l'obbligo di non provocare danno al cliente con il suo comportamento ("svolge per un lungo periodo di tempo") in quanto potrebbe essere verosimile che il recesso possa non consetire al secondo professionista di avere il tempo necesario per l'esame, lo studio e la risoluzione della questione "particolarmente complessa" .

Da: regalito agli amici14/12/2010 14:49:17
Il contratto di prestazione d'opera intellettuale è disciplinato dagli artt. 2230 e ss. C.c. Trattasi di un tipico contratto sinallagmatico nel quale il professionista si impegna a rendere la propria attività nei limiti dell'oggetto della prestazione richiesta, mentre il cliente assume l'obbligo di provvedere al pagamento del giusto compenso.
Quanto alla prestazione del professionista è opportuno evidenziare come la stessa si differenzia rispetto alle altre prestazioni d'opera per il suo carattere marcatamente intellettuale. La disciplina codicistica consente al prestatore d'opera di svolgere la propria attività in favore del cliente, con ampia discrezionalità nella scelta delle modalità di esecuzione, e cioè con ampia facoltà di selezionare, tra le possibili soluzioni previste dalla scienza e dall'arte della singola professione, quella più confacente per la realizzazione degli interessi del cliente. Ovviamente quest'ultimo potrà dare indicazioni in ordine all'incarico conferito, le quali andranno osservate solo se compatibili con la visione tecnica del problema. Anche in tale ottica va inquadrata la norma contenuta nel secondo comma dell' art 2237 c.c.: è evidente infatti che, laddove si verifichino delle divergenze insormontabili in ordine alla conduzione dell'incarico, il professionista potrà recedere per giusta causa e pretendere dal cliente il rimborso delle spese sopportate e, qualora vi sia stata utilità per l'assistito, anche il giusto compenso per l'opera svolta.

E proprio sul concetto di "giusta causa" s'incentra il caso oggi prospettato: occorre cioè stabilire se la decisione della società beta di affiancare al commercialista inizialmente incaricato un avvocato esperto in materia fiscale, possa o meno costituire motivo di recesso per giusta causa da parte del primo. Orbene, com'è noto il rapporto su cui si basa il contratto d'opera professionale è essenzialmente di carattere fiduciario; nel momento in cui vien meno tale essenziale presupposto, cessano anche le condizioni per la proficua prosecuzione del rapporto. La volontà espressa dalla Società Beta nella missiva inoltrata al proprio commercialista va quindi interpretata al fine di appurare se la stessa integri perdita di fiducia nelle capacità professionali di quest'ultimo. In tale ottica bisogna ricordare che trattasi di una vertenza particolarmente complessa; pertanto alla Società Beta deve essere riconosciuta la facoltà di farsi assistere in giudizio, oltre cha da un esperto in materia tributaria, quale senz'altro è un commercialista, anche di un avvocato fiscalista; e ciò in considerazione delle diverse e non sovrapponibili competenze di ciascuno di loro. Il tutto al fine di far valere più compiutamente le proprie ragioni nel giudizio promosso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale. In tale ottica non v'è dubbio che la committente, lungi dal voler manifestare perplessità in ordine al lavoro ed alle capacità del Dr. Tizio, ha esercitato un suo sacrosanto diritto, senza peraltro muovere alcun appunto sull'operato di costui.

Pertanto nel caso di specie non ricorre il presupposto della "giusta causa" sancito all'art. 2237, secondo comma, c.c.; conseguentemente il recesso esercitato dal commercialista deve essere ritenuto del tutto arbitrario. La Società Beta potrà quindi legittimamente rifiutarsi di corrispondere al dr. Tizio le spese e le competenze per l'attività svolta, oltre che contestare decisamente la sua infondata pretesa risarcitoria (cfr. Corte App. Milano 24.9.2008).
Per contro, stante l'arbitrarietà del recesso esercitato dal professionista, è evidente che qualora lo stesso abbia comportato pregiudizio alla committente, sarà semmai quest'ultima ad avere il diritto di agire nei confronti del primo al fine di ottenere il risarcimento dell'eventuale danno subito, chiaro essendo il dettato di cui al terzo comma dell'art. 2237 c.c..

Da: praticante14/12/2010 14:51:18
io l'ho trovata su de jure...

Da: clelia14/12/2010 14:51:44
ma lo svolgimento della prima traccia dove lo trovo? intendo quella sul commercialista

Da: Coviello14/12/2010 14:57:29
Ragazzi ma quella di regalito agli amici sta fatta bene?E' la prima traccia?

Da: info14/12/2010 14:59:32
Ma  a Catanzaro a ke ora hanno iniziato??

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Da: clelia14/12/2010 15:01:05
il tempo a catanzaro scade alle 18

Da: un amico14/12/2010 15:01:39
qualcuno mi sa dire chi corregge gli elaborati di Bari?

Da: eeee14/12/2010 15:01:58
a Bari Quando scade?

Da: pupetta14/12/2010 15:03:44
a me quella di "regalito" non mi piace proprio. diffidate!

Da: Francesca14/12/2010 15:03:46
MA LA SOLUZIONE DELLA SECONDA TRACCIA????????????

Da: sandro 7514/12/2010 15:06:49
o ragazzi diteci se quella di regalito è fatta bene qui ne và di un anno di studio

Da: girgi14/12/2010 15:07:29
ma la prima traccia svolta a pagina 13 e' giusta?grazie

Da: un amico14/12/2010 15:08:09
Sono del parere, invece, che il "regalito" sia ben scritto, conciso e compendioso.
Chi corregge apprezza pareri simili!

Da: papiello14/12/2010 15:13:33
allora se riportare un po di giurisprudenza dal CODICE DI SIMONE 2010 sull'art. 2237 e sulla giusta causa di recesso è meglio...

Da: regalito agli amici14/12/2010 15:13:50
caro amico, tu si ke ne capisci! pupetta è invidiosa!

Da: KARLA14/12/2010 15:15:31
NON LA DEVI COPIARE PER INTERO MA SOLO DESUMERE DAL TESTO LA RISPOSTA. SONO TUTTE SENTENZE DELLA CASSAZIONE

Da: sandro 7514/12/2010 15:15:47
dai regalito dacci la seconda

Da: un amico14/12/2010 15:17:07
Sapete, per cortesia, chi corregge Bari?

Da: sandro 7514/12/2010 15:19:46
dai ragazzi ci diamo una mossa per la seconda che il tempo stringe

Da: pakozzo 14/12/2010 15:20:17
allora ho trovato questa come risposta al primo quisito
Spettabile società,

in riferimento al quesito posto e, segnatamente, alla fondatezza delle richieste di pagamento avanzate da Tizio nei vostri confronti in relazione all'attività professionale svolta a vostro favore, osservo quanto segue.
In primo luogo, si segnala che la collaborazione professionale prestata da Tizio parrebbe potersi inquadrare nella fattispecie contrattuale della prestazione d'opera intellettuale disciplinata, nello specifico, dagli artt. 2230 e seguenti del codice civile.
Infatti, partendo dalla disposizione di cui all'art. 2222 cod. civ., la quale individua nei suoi elementi essenziali il contratto d'opera, si può, in prima approssimazione, definire il contratto d'opera intellettuale come un contratto in forza del quale un soggetto (il professionista intellettuale) assume l'obbligo, nei confronti di un altro soggetto (il cliente), di eseguire, dietro compenso od onorario liberamente pattuito ovvero stabilito in base alla tariffa professionale, quando sia mancata una convenzione in merito, una determinata prestazione il cui contenuto è, per l'appunto, intellettuale.
Chiarito quanto precede, e con specifico riferimento al profilo del compenso da corrispondere al professionista per l'opera prestata, la norma che rileva è l'art. 2237 c.c. Ai sensi di tale norma mentre il cliente può recedere dal contratto, rimborsando al prestatore d'opera le spese sostenute e pagando il compenso per l'opera svolta, il prestatore d'opera può recedere dal legittimamente contratto solo ove ricorra una "giusta causa".
In tal caso il professionista ha diritto al rimborso delle spese fatte e al compenso per l'opera svolta, da determinarsi con riguardo al risultato utile che ne sia derivato al cliente. Al terzo comma, la norma precisa che , ad ogni buon conto, il recesso del prestatore d'opera deve essere esercitato in modo da evitare pregiudizio al cliente.

Da quanto appena richiamato si desume, dunque, che il contratto d'opera intellettuale, consente il recesso "ad nutum" del cliente (salvo deroga pattizia) in considerazione dell'evidente carattere fiduciario che caratterizza tale tipo di rapporto contrattuale: in particolare, il cliente può revocare l'incarico anche in assenza di una "giusta causa" - cosa invece necessaria per il prestatore d'opera - essendo quest'ultima rilevante unicamente al fine di giustificare una eventuale risoluzione per inadempimento, secondo le regole di carattere generale, e quindi legittimare le pretese di natura anche risarcitoria, oltre che restitutoria (Cassazione civile sez. II, 12 ottobre 2009, n. 21589).
Alla luce di tale principio, va preliminarmente verificata, dunque, la sussistenza della giusta causa richiesta dalla legge per attribuire al professionista il diritto di recedere e, quindi, nel caso che ci occupa, se la decisione della società di nominare un altro professionista in aggiunta a Tizio e successivamente alla nomina di quest'ultimo, possa legittimare il recesso del medesimo Tizio.
Sotto tale profilo va precisato che la «giusta causa» è quell'avvenimento esteriore che influendo sullo svolgimento del rapporto determina la prevalenza dell'interesse di una parte all'estinzione sull'interesse dell'altra alla conservazione del rapporto. Dunque, il concetto di giusta causa che qui rileva, dovrebbe consistere in una situazione sopravvenuta che attiene allo stesso svolgimento del rapporto, impedendo la realizzazione della funzione economico-giuridica e, quindi, il conseguimento della causa del negozio, fonte del rapporto, considerata nel suo aspetto funzionale (Cass., 1 ottobre 2008, n. 24367). E ciò perchè il fondamento della previsione contenuta nell'art. 2237 c.c. risiede nell'impossibilità che il rapporto di lavoro autonomo possa proseguire (Cass., 1 ottobre 2008, n. 24367).
Pertanto bisogna sciogliere il dubbio circa l'idoneità della nomina di Caio (quale ulteriore professionista da affiancare a Tizio per lo svolgimento della difesa della società) a costituire "giusta causa" nel senso appena precisato legittimante il recesso esercitato da Tizio con la sua missiva. La giurisprudenza chiamata a pronunciarsi sullo specifico punto, si è espressa nel senso che È privo di giusta causa il recesso del dottore commercialista dal mandato professionale determinato esclusivamente dalla nomina di un ulteriore difensore di fiducia (App. Milano, 24 settembre 2008). Tale decisione, del resto, appare coerente con i principi del nostro ordinamento: infatti, in termini generali, non pare possa rinvenirsi alcuna norma che esplicitamente o implicitamente possa impedire al cliente di conferire mandato a più professionisti, trattandosi di una scelta strategica o di opportunità assolutamente libera, come quella effettuata dalla società.
Nè parrebbe potersi desumere, dal concreto contesto, che la nomina successiva di Caio sia da qualificarsi quale espressione di sfiducia da parte della società nei confronti di Tizio senza una contestuale revoca del mandato conferito al secondo. Del resto, la nomina di Caio, quale professionista aggiunto, avviene in un momento successivo alla nomina di Tizio, il cui mandato continua giuridicamente ad esistere con pienezza di effetti anche in considerazione delle diverse competenze e qualifiche professionali dei due mandatari.
Infatti, per giurisprudenza consolidata La nomina, nel corso del giudizio, di un secondo procuratore non autorizza, di per sè sola, in difetto di univoche espressioni contrarie, a presumere che la stessa sia fatta in sostituzione del primo procuratore dovendosi invece presumere che sia stato aggiunto al primo un secondo procuratore, e che ognuno di essi sia munito di pieni poteri di rappresentanza processuale della parte, in base al principio del carattere ordinariamente disgiuntivo del mandato stabilito dall'art. 1716, comma 2, c.c. (Cass., 4 maggio 2005, n. 9260).
Potrebbe pertanto ipotizzarsi che la nomina di Caio sia stata motivata dalla speranza, per la società, di aumentare le percentuali di vittoria nei giudizi pendenti avanti la commissione tributaria, anche attraverso l'apporto congiunto di due professionisti diversamente specializzati in relazione alla stessa materia. Infine, sulla base degli elementi in fatto disponibili, neppure parrebbe configurarsi una revoca implicita del mandato conferito a Tizio in virtù della successiva nomina di Caio, argomentabile la ove la società avesse richiesto al primo, ad esempio, la restituzione dei documenti o l'astensione dal partecipare ulteriormente ai procedimenti pendenti.
Alla luce delle cosiderazioni fin qui svolte e dei precedenti giurisprudenziali sul tema, appare ragionevolmente sostenibile la non ricorrenza, nel caso che ci occupa, della "giusta causa" richiesta dalla norma dell'art. 2237 c.c. per legittimare il recesso di Tizio dal mandato ai tempi conferitogli dalla società in quanto non pare potersi riscontrare alcun elemento di espressione di sfiducia nei confronti del commercialista Tizio.
Tale mancanza assume decisivo rilievo anche in riferimento al fondamento delle richieste di pagamento avanzate dallo stesso Tizio; infatti, il secondo comma dell'art. 2237 c.c., prevede , come anticipato, che il professionista può recedere dal contratto per giusta causa e, in tale eventualità, ha diritto alla refusione delle spese ed al compenso per l'opera svolta, da determinarsi con riguardo al risultato utile che ne sia derivato al cliente.
Per converso, qualora il professionista receda in mancanza di giusta causa (come parrebbe essere nel caso di Tizio) e, quindi, nel caso di recesso ingiustificato, ai sensi dell'art. 2237 c.c. egli , come precisato dalla giurisprudenza, non ha diritto al rimborso delle spese fatte ed al compenso per l'opera svolta ma, al più, al solo rimborso delle spese borsuali sostenute per conto e nell'interesse del cliente salvo il risarcimento dell'eventuale pregiudizio causato al cliente stesso (App. Milano, 24 settembre 2008).
In virtù di tale principio a Tizio potrebbe, dunque, essere riconosciuto il solo diritto al rimborso delle spese borsuali sostenute e sempre a condizione che alla società non sia derivato, a causa di tale brusco ed immotivato recesso, un pregiudizio (ex art. 2237, terzo comma, c.c.). Fra l'altro, proprio su tale ultimo profilo, ed in conclusione, appare importante rilevare come, in linea di massima, la giurisprudenza ha altresì espresso il principio secondo il quale "il recesso ingiustificato dal contratto di una delle parti, integrando inadempimento della stessa, giustifica la condanna generica di questa al risarcimento del danno, indipendentemente dal concreto accertamento di uno specifico pregiudizio patrimoniale, posto che l'anticipato scioglimento del rapporto è di per sè un evento potenzialmente generatore di danno, avendo turbato e compromesso le aspettative economiche della parte adempiente, anche se fatti specifici di violazione contrattuale non abbiano, in ipotesi, prodotto direttamente alcun pregiudizio patrimoniale al contraente incolpevole" (Cass., 23 maggio 2000, n. 6690).

per il secondo quisito:

Rimanendo nell'ambito d'una concezione tradizionale del rapporto di prestazione d'opera intellettuale - non senza segnalare sin d'ora l'evoluzione determinatasi in materia nelle più recenti decisioni della giurisprudenza di legittimità - devesi considerare che le obbligazioni contratte nell'esercizio d'un'attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, s'impegna a svolgere detta attività onde porre in essere tutte le condizioni tecnicamente necessarie acciocché possa realizzarsi lo scopo perseguito dal cliente ma non acciocché questi di fatto tale risultato consegua.
A tal fine, trovando applicazione in subiecta materia il parametro della diligenza professionale fissato dall'art. 1176 secondo comma CC per il contraente tenuto ad una prestazione qualificata in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia previsto dal primo comma della stessa norma per il contraente tenuto ad una prestazione ordinaria, l'adempimento deve essere rapportato alla natura dell'attività esercitata, onde la diligenza da impiegare nello svolgimento dell'opera prestata in favore del cliente è quella sulla quale questi può fare affidamento secondo un criterio di normalità, id est la diligenza posta nell'esercizio della propria attività dal professionista di preparazione tecnica e d'attenzione medie.
La responsabilità del professionista, a sua volta, è di regola disciplinata dai principi comuni sulla responsabilità contrattuale del contraente tenuto ad una prestazione qualificata e può trovare fondamento in una gamma di condizioni soggettive sviluppantisi dalla semplice colpa lieve al dolo, criterio derogabile solo ove la prestazione professionale da eseguire in concreto comporti la soluzione di questioni tecniche di particolare difficoltà, nel qual caso la responsabilità si presenta attenuata potendosi configurare, giusta l'espressa previsione dell'art. 2236 CC applicabile in via di complementarità, nelle sole ipotesi di dolo o colpa grave.
Peraltro, il fatto che la realizzazione del risultato perseguito dal cliente non costituisca oggetto della prestazione cui si è obbligato il professionista non esime quest'ultimo dal dovere di prospettare al cliente tutte le circostanze contrarie, ch'egli sia in grado d'ipotizzare in virtù di quella preparazione tecnica e di quell'esperienza medie costituenti l'imprescindibile fondamento e la conditio sine qua non dell'esercizio dell'attività secondo quanto sopra evidenziato, per le quali, nonostante il corretto svolgimento dell'attività promessa, l'esito di questa possa risultare ostacolato, di tal che si conseguano effetti inferiori al previsto, o vanificato, non conseguendosene alcuno, o persino sfavorevole, determinandosi una situazione deteriore rispetto a quella antecedente; deve, infatti, il professionista porre il cliente in grado di decidere consapevolmente, sulla base di una valutazione ponderata di tutti gli elementi favorevoli e contrari della situazione dedotta in rapporto ragionevolmente prevedibili, se affrontare o meno i rischi, di varia natura a seconda dell'attività richiesta al professionista, ai quali questa lo esponga o possa eventualmente esporlo.
Riportando a tali principi, per quanto nella specie ne occupa, l'attività professionale dell'avvocato, devesi, dunque, considerare che questi s'impegna non tanto a conseguire il risultato positivo perseguito dal cliente, essendo incerto ed aleatorio l'esito del giudizio, quanto piuttosto a svolgere diligentemente la propria attività professionale ponendo in essere tutte le condizioni onde quel risultato possa essere conseguito; per il che, l'accertamento dell'eventuale inadempienza dell'avvocato all'obbligazione assunta accettando l'incarico professionale conferitogli non può, di regola, essere basato sic et simpliciter sul mancato raggiungimento del risultato utile perseguito dal cliente, ma deve, viceversa, essere consequenziale agli esiti dell'indagine svolta in ordine all'eventuale violazione dei doveri posti dallo svolgimento dell'attività professionale ed, in particolare, del dovere di diligenza.
Nell'ambito di quest'ultimo rientrano, a loro volta, i doveri d'informazione, di sollecitazione e di dissuasione, ai quali il professionista deve adempiere, così all'atto dell'assunzione dell'incarico come nel corso del suo svolgimento, prospettando, anzi tutto, al cliente le questioni di fatto e/o di diritto, rilevabili ab origine od insorte successivamente, riscontrate ostative al raggiungimento del risultato e/o comunque produttive d'un rischio di conseguenze negative o dannose, invitandolo, quindi, a comunicargli od a fornirgli gli elementi utili alla soluzione positiva delle questioni stesse, sconsigliandolo, in fine, dall'intraprendere o proseguire la lite ove appaia improbabile tale positiva soluzione e, di conseguenza, probabile un esito sfavorevole e dannoso.
A maggior ragione l'onere d'informare il cliente in ordine alle questioni di fatto o di diritto che impediscano o rendano difficoltoso il perseguire la realizzazione d'un determinato interesse ed ai rischi ai quali possa esporre il tentativo di tale realizzazione incombe sull'avvocato ove l'incarico professionale ricevuto ed accettato abbia ad oggetto non un'attività giudiziale conseguenza immediata e diretta del conferimento d'un mandato ad litem, bensì un'attività stragiudiziale (preordinata o meno che sia ad una successiva attività giudiziale, stante la latitudine dell'attività consultiva) intesa alla formulazione d'un parere; in tal caso, infatti, neppure può ravvisarsi nella prestazione d'opera intellettuale promessa un'obbligazione di mezzi, dacché l'opus richiesto rappresenta di per se stesso la realizzazione dell'interesse perseguito dal cliente nel conferire l'incarico, interesse che è, appunto, quello d'ottenere dal tecnico gli elementi di valutazione necessari ed i suggerimenti opportuni onde poter adottare consapevoli decisioni a seguito d'un apprezzamento ponderato di rischi e vantaggi.
Tanto considerato, all'esame del caso di specie appaiono fondati vari profili d'illegittimità dell'impugnata sentenza tra quelli denunziati dal ricorrente.
Erroneamente, anzi tutto, il tribunale ha ritenuto - pedissequamente conformandosi ad un precedente di quella corte territoriale, parimenti erroneo ove avesse deciso un caso analogo, il che neppure risulta dalla motivazione della sentenza de qua, sotto tal profilo carente - che il non aver fatto presente al Comune la possibilità d'un'eccezione di prescrizione del diritto da far valere in giudizio non generasse responsabilità a carico dell'avvocato in quanto la prescrizione estintiva non è rilevabile d'ufficio ma solo opponibile dalla parte interessata.
Devesi ritenere, infatti, che l'accertamento d'una eventuale prescrizione sia da considerare dall'esercente la professione legale adempimento rutinario preliminare già all'iniziale sommaria disamina degli elementi essenziali della questione affidatagli e che, pertanto, avendo ad oggetto l'applicazione d'un istituto generale del diritto civile e non comportando soluzione d'opinabili questioni di diritto od interpretazione particolarmente impegnativa di normative complesse, l'omissione o la malaccorta esecuzione di esso ridondi in responsabilità del professionista anche per semplice negligenza, secondo i principi in precedenza richiamati, dacché la mancata percezione d'una situazione di prescrizione costituisce una ipotesi d'ignoranza d'istituti elementari ovvero d'incuria o d'imperizia insuscettibili di giustificazione.
La questione, poi, che si pone all'esame di questa Corte è, all'evidenza, solo per alcuni versi analoga a quella, altra volta esaminata, della responsabilità dell'avvocato per aver promosso un'azione intesa al riconoscimento d'un diritto prescritto - azione cui, in vero, il cliente può anche avere comunque un consapevole interesse sotto vari profili, dacché l'agire in giudizio consente alle volte di per se stesso delle chances e, nello specifico, non ultima quella che un malaccorto avversario ometta di rilevare la prescrizione - per la quale si è ritenuto non potersi sic et simpliciter imputare all'avvocato la reiezione della domanda per accertata prescrizione del diritto azionato senza valutarne l'attività nel suo complesso nella fase di studio del caso litigioso e di consultazione con il cliente e nella successiva fase giudiziaria; il presente giudizio, infatti, oltre ad attenere in primis ad un preliminare rapporto di consulenza solo indirettamente connesso ad una successiva fase giudiziale, s'incentra proprio sulla questione della rilevanza della previa informazione da parte dell'avvocato in ordine alla verificatasi prescrizione onde il cliente possa, consapevole dell'eventuale alea, oltre che degli eventuali vantaggi immediati o mediati del giudizio, decidere se promuovere egualmente l'azione o meno, e la ratio della presente decisione è del tutto conforme a quella del precedente sopra riferito.
Nella specie, come accennato, il valutare le chances d'esito positivo dell'azione che il cliente aveva in animo di promuovere ed il renderne questi edotto, quindi l'accertare le eventuali circostanze ostative alla realizzazione del diritto vantato non meno della sussistenza degli elementi costitutivi del diritto stesso ed il comunicarne il risultato al cliente, rappresentavano, di fatto, l'oggetto specifico dell'opera intellettuale commessa con la richiesta di parere all'avvocato, onde questi, non rilevando l'intervenuta prescrizione del diritto e non informando il cliente della possibilità d'una fondata eccezione in tal senso ad opera della controparte, s'é all'evidenza reso inadempiente all'obbligazione assunta, avendo fornito un'opera inidonea allo scopo, in quanto viziata da una carenza, grave e non facilmente riconoscibile, ostativa al conseguimento di quella piena consapevolezza in ordine alle chances della lite cui il cliente mirava con l'affidamento dell'incarico.
D'altro canto, considerando, ad abundantiam, non solo la richiesta di preliminare parere, costituente autonomo rapporto specificamente instaurato al fine di consentire la deliberazione d'agire in giudizio da parte degli organi rappresentativi del Comune, ma anche il successivo rapporto instaurato con il conferimento del mandato ad litem, non di meno la responsabilità dell'avvocato risulterebbe evidente per aver questi promosso l'azione rendendosi inadempiente al dovere di previa informazione al cliente in ordine alla possibilità che la controparte eccepisse la prescrizione e, quindi, all'eventualità non solo dell'esito sfavorevole del giudizio ma anche della condanna alla rifusione delle spese in favore della controparte stessa, rischi che il cliente aveva il diritto di valutare onde consapevolmente determinarsi ad affrontarli o meno.
Nell'un caso, che è comunque assorbente, come nell'altro, l'inadempimento, occorre sottolineare, si è verificato non solo in relazione al dovere d'informazione ma anche ai doveri di dissuasione e di sollecitazione, giacché l'avvocato, nel far presente la possibilità d'un'eccezione di prescrizione, avrebbe dovuto prospettare al cliente l'inopportunità d'un'azione destinata a probabile esito sfavorevole o, quanto meno, richiedere sin d'allora al cliente l'eventuale conoscenza di circostanze idonee a contrastare l'eccezione di prescrizione e la disponibilità di prove al riguardo, procedendo, quindi ad un'ulteriore disamina ed agli esiti di questa conformando quindi il parere o condizionando la proposizione dell'azione. Tutti i rilevati profili d'inadempimento essendosi verificati prima dell'introduzione del giudizio, gli sviluppi successivi di questo sono, dunque, irrilevanti se non per l'essersi, di fatto, verificata la condizione di rischio colpevolmente non prospettata dall'avvocato al cliente.
Non senza considerare, ma per sola completezza, che la pura e semplice trasmissione al cliente della comparsa di costituzione della controparte, contenente la prevedibile e non prevista eccezione di prescrizione, né poteva far venir meno i due distinti inadempimenti già verificatisi o ad essi ovviare, la lesione dei diritti del cliente all'informazione ed alla consequenziale consapevole decisione di promuovere o meno la lite avendo già avuto luogo, né era, comunque, idonea, come viceversa erroneamente ritenuto nell'impugnata sentenza, ad integrare il diverso adempimento ai doveri d'informazione, sollecitazione, dissuasione in corso di causa.
Non risulta, infatti, che la trasmissione della comparsa di costituzione avversaria fosse stata accompagnata da una nota con la quale l'avvocato, illustrando ad un cliente privo delle cognizioni necessarie a valutare le implicazioni delle difese contenute in un atto giudiziario, la situazione determinatasi a seguito dell'avversa proposizione dell'eccezione, prospettasse l'opportunità di desistere dalla lite limitando il danno o richiedesse la collaborazione del cliente stesso onde argomentare e documentare una controeccezione.
Il tribunale afferma, infatti, che il Comune fosse "in grado di comprendere la portata risolutiva del giudizio dell'eccezione proposta" ma non giustifica affatto tale suo convincimento che risulta non solo immotivato ma anche erroneo in diritto ed in fatto, essendosi basata la decisione al riguardo su di una presunzione della quale non sono stati indicati gli indizi gravi, plurimi ed univoci che soli ne avrebbero consentito l'utilizzazione, mentre in senso contrario si sarebbe dovuto rilevare come si trattasse di piccolo Comune non dotato d'un ufficio competente - cui non poteva, ovviamente, supplire il segretario comunale sol perché laureato in legge (ed ammesso che lo fosse, circostanza dedotta dal controricorrente ma non dimostrata e comunque nuova) non rientrando la consulenza legale tra i suoi compiti istituzionali e come proprio tale incapacità di valutazione delle questioni giuridiche ne avesse indotto gli organi rappresentativi a fare affidamento su di un legale esterno espressamente incaricato del parere prima e della difesa poi.
D'altra parte, giova ribadire, le questioni relative alla trattazione giudiziale della controeccezione d'interruzione non rilevano, giacché la responsabilità della quale si discute non attiene alle modalità di svolgimento della difesa in corso di causa ma agli evidenziati iniziali inadempimenti ai doveri d'informazione, dissuasione, sollecitazione, onde gli ulteriori argomenti svolti nelle censure in ricorso restano assorbiti.
Devesi, tuttavia, rilevare che non può fondatamente imputarsi al Comune, come nell'impugnata sentenza, la mancata proposizione dell'appello nonostante l'invito rivolto dall'avvocato, non solo in quanto non è indicato se quest'ultimo avesse adeguatamente illustrato al cliente le ragioni per le quali il gravame avrebbe avuto concrete possibilità d'accoglimento, ma soprattutto in quanto é stato ripetutamente evidenziato da questa Corte come non rientri tra i doveri di correttezza, di cui all'art. 1227 CC, quello d'intraprendere un'azione giudiziaria con accollo dei costi e dei rischi relativi. (Cass. 14.8.97 n. 7618, 21.4.1993 n. 4672, 26.1.1980 n. 643).
In definitiva, l'appello non meritava accoglimento ed a tale decisione può pervenire questa Corte, decidendo nel merito ex art. 384 CPC per essere sufficienti all'uopo gli elementi di giudizio in fatto già acquisiti, con condanna dell'appellante alle spese liquidate come in dispositivo.
Il ricorso va, di conseguenza, accolto per quanto di ragione e l'impugnata sentenza va cassata senza rinvio mentre le spese seguono la soccombenza anch'esse liquidate come in dispositivo.

ma se qualcuno ne capisce può dare un giudizio?grazie

Da: pupetta14/12/2010 15:21:43
questa si che mi piace, quell'altra era proprio scarna e priva di contenuti

Da: odette14/12/2010 15:22:34
hai ragione pupetta, questa è fatta davvero bene

Da: beta14/12/2010 15:23:42
chi mi sa dire cortesemente la sentenza del 24 settembre 2009?????? grazie

Da: pablito14/12/2010 15:24:30
vedete che ai commissari verranno date tutte le soluzioni apparse sul web e annulleranno tutti i compiti. c'è una circolare ad hoc del ministero

Da: sandro 7514/12/2010 15:24:45
grande pakozzo c'è qualcuno del campo che riesca  a confermare le due soluzioni

Da: odette14/12/2010 15:26:03
è vera sta cosa, pablito, stiamoci attenti

Da: sandro 7514/12/2010 15:28:37
quindi il comportamento da adottare qual è

Da: ammazzapablito14/12/2010 15:28:51
Pablito baciami il culo!
Risolto!!!

Da: pupetta14/12/2010 15:29:04
prendiamo spunto da pakozzo e ricordiamoci della circolare che ha detto pablito

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