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ESAME SCRITTO 2010
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Da: ale15/12/2010 12:07:42
no bersani non è così!
trib milano + cass 2010 dicono il contrario

Da: pluto 7715/12/2010 12:08:04
aiuto non sono del ramo. Per stasera vorrei parlare con mia cugina di qualcosa di interessante ma se non mi mettete lo svolgimento, che faccio?

Da: cu sapi15/12/2010 12:11:11
ritengo che i reati ipotizzabili rientrino nella fattispecie di cui all'articolo 572 c.p.

Da: nika7715/12/2010 12:11:24
Ale sei sparito
hai per caso fatto uno skema sulkla seconda traccia

Da: per tutti gli interessati15/12/2010 12:12:05
Continuate ad aiutare quelli con i palmari! Bravi complimenti, soprattutto per l'onore e il decoro professionale di tutta la categoria.

Da: per tutti gli interessati 215/12/2010 12:13:03
per tutti gli interessati... ma vaff............

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Da: ale15/12/2010 12:13:10
sto facendo la prima...

Da: XALE15/12/2010 12:13:36
rifletti  bene sulle consenguenze della tua condotta. Vediamo se tutti coloro i quali ora ti ringraziono saranno cosi solidali quando ti troverai a dover dare delle spiegazioni alle autorità. Te lo dico perchè penso di sapere chi si cela dietro "attenzione" e se mi ascolti scollegati e vai a farti un giro. Tutti pensano sia la solita bufala, il solito millantatore...purtroppo no è cosi...

Da: Antoniospaghetto15/12/2010 12:14:22
e come disse Laura Ravetto a Balllarò.....Questo è un BLACKBARRY non un cellulare............

Da: pakozzo 15/12/2010 12:14:58
ale, grazie da parte di tutti!lascvia perdere i commenti!

Da: XALE215/12/2010 12:16:38
XALE... MA VAFF.... VAI A LAVORAREEEEEEEE E NON CI UCCIDERE ...

Da: barbyby15/12/2010 12:18:12
raga avete le massime e le sent della 2 traccia?

Da: buon lavoro15/12/2010 12:18:51
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BARDOVAGNI Paolo - Presidente

Dott. PAGANO Filiberto - Consigliere

Dott. BRONZINI Giuseppe - Consigliere

Dott. CERVADORO Mirella - Consigliere

Dott. RAGO Geppino - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE di Ancona avverso la sentenza del 1/07/2008 del Tribunale di Macerata pronunciata nei confronti di:

ST. MA. nato il (OMESSO);

Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

udita la relazione fatta dal Consigliere dott. RAGO Geppino;

Udito il Procuratore Generale in persona del dott. STABILE Carmine ha concluso per l'inammissibilita'.

FATTO

1. Con sentenza del 1/07/2008, il Tribunale di Macerata assolveva ST. Ma. dal delitto di estorsione ai danni della madre Bo. Ad. perche' non punibile ex articolo 649 c.p..

2. Avverso la suddetta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Ancona deducendo VIOLAZIONE di LEGGE sotto il seguente profilo Recenti decisioni giurisprudenziali attendibilmente interpretano il concetto di "violenza alle persone", ai sensi e per gli effetti dell'articolo 649 c.p., u.c., come idoneo a ricomprendere anche la violenza cosiddetta morale, ossia quel contegno che, intimidendo il soggetto passivo, gli imponga di fare, tollerare od omettere qualche cosa, pur senza costringimento fisico, ma comunque in stato di coazione, per essere eliminata o gravemente ridotta la sua capacita' di determinarsi liberamente (cfr. S.C., Sez. 2, n. 19651/2007, Rv. 236780, e S.C., Sez. 6, n. 35528/2008). E, d'altra parte, nel caso concreto per cui e' processo, il Collegio giudicante avrebbe dovuto considerare che la minaccia si era manifestata non soltanto a livello verbale, con la pronuncia della frase intimidatoria riportata nel capo d'accusa, ma anche sul piano della fisica gestualita', con l'atto di brandire il coltello in atteggiamento di potenziale offesa imminente. Pare dunque da escludere che potesse operare la previsione di non punibilita'".

DIRITTO

3. St. Ma. fu rinviato a giudizio con il seguente capo d'imputazione: "del reato p. e p. dall'articolo 629 c.p., comma 2, perche', mediante minaccia consistita nel prendere un coltello da cucina in mano ed accostarselo alla gamba tenendolo basso e nel proferire le parole "mi sa che oggi va a fini' male", costringendo la madre Bo. Ad. , che si era rifiutata fino a quel momento di dargli del denaro, a prendere la propria borsa e a dargli il denaro, si procurava un ingiusto profitto con altrui danno. In (OMESSO)".

Il Tribunale, dopo avere accertato, in punto di fatto, che la Bo. , dopo la minaccia rivoltole dal figlio, "gli diede la somma di cinquanta euro ed il figlio se ne ando'": e', dunque, pacifico che il reato di estorsione fu consumato e che la condotta materiale si estrinseco' in un comportamento minaccioso. Il Tribunale, pur partendo da questi due presupposti di fatto, ha tratto la conseguenza, in punto di diritto, che, poiche' lo St. aveva tenuto un comportamento meramente minaccioso e non violento, il reato perpetrato non era punibile a norma dell'articolo 649 c.p., u.c. ed ha richiamato, a sostegno della suddetta decisione, la sentenza n. 20110/2002 riv 221854 di questa Corte di legittimita'. Sennonche', la decisione e' palesemente erronea essendo frutto di una non attenta lettura della sentenza invocata.

Infatti, nessuno (ne' in giurisprudenza ne' in dottrina) ha mai messo in discussione che, nelle ipotesi di delitto consumato di cui agli articoli 628 - 629 - 630 c.p., la causa di non punibilita' non opera sempre e comunque sia che il reato sia stato commesso con violenza o con minaccia, proprio perche' la testuale locuzione limitatrice "commesso con violenza alle persone" si riferisce unicamente ad "ogni altro delitto contro il patrimonio": id est ad ogni delitto contro il patrimonio ulteriore e diverso rispetto a quelli espressamente e nominativamente indicati (articoli 628, 629, 630 c.p.), dei quali dunque, pur se commessi in danno di prossimi congiunti, permane punibilita' e perseguibilita' d'ufficio ancorche' connotati dal ricorso alla minaccia e non anche dalla violenza alle persone: in terminis Cass. 22628/2001 Riv 219421. Invero, la problematica alla quale si riferisce il Tribunale riguarda tutt'altra questione e cioe' se la causa di non punibilita' concerna o meno anche le ipotesi tentate degli indicati delitti di rapina, estorsione e sequestro di persona e se nel concetto di violenza debba farsi rientrare anche la violenza psichica o la minaccia: su di che vi e' contrasto all'interno di questa stessa Corte di legittimita'.

Ma, la suddetta questione, resta estranea alla problematica del presente processo in relazione al quale e' sufficiente ribadire il seguente principio di diritto al quale il giudice di rinvio (da individuarsi nella Corte di Appello di Ancona) dovra' attenersi: "nelle ipotesi in cui i reati di cui agli articoli 628 - 629 - 630 c.p. sia stati consumati (e non solamente tentati) in danno dei prossimi congiunti indicati nell'articolo 649 c.p., comma 1, la causa di non punibilita' resta sempre e comunque esclusa essendo irrilevante che i suddetti delitti siano stati perpetrati con violenza o minaccia".

P.Q.M.

ANNULLA La sentenza impugnata quanto al capo a) e RINVIA Alla Corte di Appello di Ancona.

Da: salerno15/12/2010 12:19:08
ale ci scrivi qlcs sulla prima

Da: tantaconfusione15/12/2010 12:20:35
Nota a Commissione Tributaria Provinciale di Novara, 23 luglio 2010, n. 89, sez. I


Giur. merito 2010, 11, 2894

Costantino Scalinci




NOTA
La sentenza in commento definisce una questione specifica certamente originale, trattandosi di un caso in cui dinanzi al Giudice tributario è stata proposta un'impugnazione dell'atto di pignoramento dei crediti del debitore verso terzi ex art. 72-bis d.P.R. n. 602 del 1973, contenente l'ordine al terzo di pagare il credito direttamente al concessionario, fino a concorrenza del credito per cui si procede, ma la Commissione adita motiva il raggiunto convincimento del difetto di giurisdizione, nel solco dei criteri ermeneutici e delle coordinate perimetrali della giurisdizione esclusiva fiscale indicati dall'elaborazione giurisprudenziale a margine del disposto dell'art. 2 d.lg. n. 546 del 1992, e dell'ivi codificata esclusione delle «controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell'avviso di cui all'art. 50 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602».
La disposizione che pone i confini della giurisdizione tributaria, infatti, nella parte sopra riportata, identifica e perimetra un'area ulteriore, propria della giurisdizione delle commissioni tributarie, delimitata, negativamente, dal genere degli atti successivi alla notifica della cartella di pagamento e/o dell'avviso di intimazione di cui all'art. 50 comma 1 d.P.R. n. 602 del 1973, diversi da quelli «dell'esecuzione forzata». La formula normativa, pur non avendo un significato univoco, cioè, vale a tracciare una ideale linea di demarcazione tra gli atti di varia natura che abbiano come presupposto, almeno temporale, la notifica della cartella o dell'avviso, e gli atti «esecutivi» in senso proprio e stretto, successivi alla scadenza utile al pagamento spontaneo.
Proprio per questa ragione la Commissione piemontese, condivisibilmente, indica come decisiva l'individuazione della natura che, nel sistema delineato dalla legge, riveste il verbale di pignoramento presso terzi secondo la formulazione adottata dall'art. 2 comma 6 d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, ora art. 72-bis d.P.R. n. 602 del 1973. Il Collegio, pur dando atto dell'esistenza di alcuna giurisprudenza di merito di segno opposto, secondo la quale, specie in considerazione della circostanza che l'Agente della riscossione può, a sua discrezione, scegliere la procedura indicata in luogo della citazione del terzo avanti al giudice, l'atto contenente l'ordine di pagamento diretto al terzo non sarebbe un atto espropriativo ma un mero atto amministrativo collocato ancora all'interno della fase della riscossione, conclude che detto verbale ha natura di atto esecutivo successivo alla cartella di pagamento ed, in quanto tale, è escluso dalla giurisdizione del Giudice tributario. Secondo la Commissione di Novara, l'antecedenza ed alternatività all'esecuzione soggetta alle forme e alle garanzie predisposte dall'ordinamento processuale civile a garanzia della posizione del debitore non è un elemento qualificante, sia perché un simile modo di procedere non è affatto una novità nel sistema espropriativo esattoriale ma rappresenta una estensione di quanto l'art. 72 d.P.R. n. 602 del 1973, in tema di pignoramento di fitti e pigioni, già consentiva all'Agente della riscossione (cfr., nello stesso senso, Trib. Napoli, sez. V, sent. 9 marzo 2009), parimenti prevedendo, in caso di inottemperanza all'ordine di pagamento rivolto al terzo, dell'onere di procedere secondo le norme ordinarie processualistiche, sia in quanto non si è mai dubitato che detto ordine al terzo - tra l'altro, regolato nel contesto della disciplina dell'«espropriazione presso terzi» e dell'«espropriazione forzata» - costituisse atto dell'esecuzione e non atto della riscossione propriamente detta.
In definitiva, a dire del Giudice tributario piemontese l'atto contenente l'ordine al terzo di pagare il credito direttamente all'Agente della riscossione «presuppone l'esaurimento della fase della riscossione ed apre una nuova fase, appunto della espropriazione, entro cui il pignoramento comunque esercitato si colloca». Si tratterebbe di «uno strumento espropriativo semplificato», ascrivibile al genere degli atti dell'esecuzione, contro il quale sono ammissibili - a piena garanzia del debitore - gli strumenti di opposizione previsti dall'ordinamento processuale e non già l'impugnazione dinanzi al Giudice tributario, anche qualora, come nella specie, il credito da eseguire fosse in tutto o in parte di titolo fiscale.
Anche secondo Trib. Napoli, sez. V, sent. 9 marzo 2009, ancorché «lo svolgimento in un ambito totalmente non contenzioso con dispensa da qualsivoglia forma di controllo giudiziale (il che costituisce il quid proprium dell'istituto in questione rispetto sia alle espropriazioni forzate codicistiche che ai sistemi di riscossione coattiva esattoriale disciplinati dal d.P.R. 602 del 1973)» abbia indotto alcune corti «a definire il pignoramento de quo come ordine autoritativo, estrinsecazione dei poteri conferiti all'agente della riscossione quale soggetto privato esercente una pubblica funzione e, pertanto, ad escludere la praticabilità dei rimedi oppositivi (e delle strumentali misure cautelari) innanzi l'A.G.O., afferma che, al contrario, «il pignoramento in discorso» va «qualificato come modalità esecutiva tipicamente esattoriale» ed «è impugnabile dall'esecutato - nei circoscritti limiti tracciati dall'art. 57 d.P.R. n. 602 del 1973 - innanzi il Giudice Ordinario con l'opposizione all'esecuzione (art. 615 c.p.c.: ove il debitore contesti l'an della pretesa creditoria azionata dall'agente di riscossione) oppure mediante l'opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.: qualora si deducano vizi di nullità o irregolarità formale del pignoramento o della prodromica procedura esattoriale)».
Indubbiamente quella in questione è una procedura peculiare, tanto da aver indotto dubbi di legittimità costituzionale concretizzatisi nell'ord. 11 dicembre 2007, n. 87 (in Merito, 2008, 26) con la quale il Giudice dell'esecuzione del Tribunale di Genova ha rimesso al Giudice delle leggi il giudizio sulla asserita disparita di trattamento nei confronti degli esecutati in procedure esattoriali alle quali sono applicabili le diverse modalità di esecuzione mediante previa citazione in giudizio del terzo, previste dagli artt. 543 ss. c.p.c., a suo dire determinata proprio dal disposto dell'art. 72-bis d.P.R. n. 602 del 1973, nella misura in cui consente all'Agente della riscossione di ordinare discrezionalmente al terzo il pagamento diretto, riconoscendo a detto Agente una facoltà che, se esercitata, sottrae al controllo del giudice dell'esecuzione la procedura di espropriazione esattoriale mobiliare presso terzi di crediti del debitore. Il Giudice di merito ligure, nel citato provvedimento, sempre a sostegno della non manifesta infondatezza della sollevata que stione, osservava, altresì, che «il pignoramento eseguito in base alla norma censurata, con ordine coattivo di consegna immediata, in luogo di quello ex artt. 543 ess. c.p.c., ha reso più gravosa e meno efficace per l'esecutato la sua difesa». La Consulta dichiarava la questione manifestamente inammissibile con ordinanza 28 novembre 2008, n. 393 e, ciononostante, precisava che «la facoltà di scelta del concessionario tra due modalità di esecuzione forzata presso terzi non crea né una lesione del diritto di difesa dell'opponente né una rilevante disparità di trattamento tra i debitori esecutati, sia perché questi sono portatori di un interesse di mero fatto rispetto all'utilizzo dell'una o dell'altra modalità e possono in ogni caso proporre le opposizioni all'esecuzione o agli atti esecutivi di cui all'art. 57 d.P.R. n. 602 del 1973, sia perché non sussiste «un principio costituzionalmente rilevante di necessaria uniformità di regole procedurali» » [cfr., sul punto e a margine di questa pronuncia del Giudice delle leggi, anche Equitalia - Dir. Strategie di Riscossione - Ufficio Normativa, Direttiva di gruppo DSR/NC/2008/045 (prot. n. 103614) del 4 dicembre 2008].
Va, tuttavia, sottolineato che il Giudice ordinario partenopeo, nella succitata sentenza del 2009 pronunciata in un giudizio concernente un'opposizione ad atto di pignoramento presso terzi ex art. 72-bis d.P.R. n. 602 del 1973, utile alla riscossione di crediti in larga parte di natura tributaria, ha soggiunto che detta opposizione, proprio in ragione del titolo fiscale di parte della complessiva pretesa azionata, «sarebbe addirittura improponibile per carenza nell'ordinamento di una norma che riconosca e tuteli la posizione giuridica dedotta in giudizio, stante l'espresso divieto sancito dall'art. 57 d.P.R. n. 602 del 1973» (cfr., ancora, Trib. Napoli, sez. V, sent. 9 marzo 2009): dunque, una «improponibilità assoluta della domanda che attiene al fondamento della domanda stessa e non alla giurisdizione», in ragione della quale, secondo l'ordinanza 9 aprile 1999, n. 212 delle sezioni unite civili della Suprema Corte di Cassazione, va dichiarato «inammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione con il quale si chieda la determinazione del giudice avente giurisdizione a provvedere, in tema di esecuzione esattoriale, sull'opposizione all'esecuzione di cui all'art. 615 c.p.c. proprio in considerazione del disposto di cui all'art. 54 d.P.R. n. 602 del 1973» (una inammissibilità che «si estende anche alla individuazione del giudice competente a provvedere sulla sospensione cautelare richiesta nel giudizio di opposizione, dal momento che la giurisdizione su tale sospensione presuppone la giurisdizione di un giudice sull'opposizione»).
Analogamente, secondo la giurisprudenza della sezione semplice del Giudice di legittimità (cfr., per tutte, Cass., sez. III, sent.13 gennaio 2005, n. 565), «in tema di esecuzione esattoriale per la riscossione mediante ruoli di entrate di natura tributaria, il d.P.R. n. 602 del 1973 - nel precludere l'esperimento delle opposizioni di cui agli artt. 615-618 c.p.c. (art. 54), prevedendo soltanto il rimedio amministrativo del ricorso all'Intendente di finanza (art. 53) - configura un'ipotesi di improponibilità assoluta della domanda per carenza nell'ordinamento di una norma che riconosca e tuteli la posizione giuridica dedotta in giudizio, improponibilità che attiene al fondamento della domanda e non, come ritenuto dalla giurisprudenza meno recente, alla giurisdizione; pertanto - ai sensi dello stesso art. 54 comma 3, che prevede soltanto l'azione di risarcimento dei danni contro l'esattore - ai soggetti passivi dell'esecuzione è consentito proporre gli strumenti giudiziali di controllo soltanto dopo il compimento dell'esecuzione. Peraltro, poiché il divieto di opposizioni esecutive riguarda gli atti della procedura, non rileva in proposito la distinzione fra atti dell'esattore ed atti del giudice; diversamente, quando la disciplina della riscossione mediante ruoli viene estesa ad entrate non tributarie, non trova applicazione la parte di disciplina di cui al d.P.R. n. 602 del 1973 limitativa della possibilità di esperire le opposizioni esecutive». In definitiva, è proprio «la natura del credito a delineare i limiti delle possibili tutele che in sede esecutiva possono essere proposte» ed, in specie, «è la particolare natura del credito tributario che ha consentito di porre i limiti stabiliti in tema di opposizione alla esecuzione, agli atti esecutivi e di terzi, dagli artt. 57 e 58 d.P.R. n. 602 del 1973» (così, Cass., sez. un., ord. 25 maggio 2005, n. 10958).
Anche la Consulta, con ordinanza 16 giugno 2000, n. 204, afferma che il d.lg. 26 febbraio 1999, n. 46, ed in particolare l'art. 16, nel sostituire l'intero Titolo II del d.P.R. n. 602 del 1973, agli artt. 57 e 60 ha confermato «l'improponibilità delle opposizioni regolate dall'art. 615 c.p.c. ad eccezione di quelle aventi ad oggetto la pignorabilità dei beni, e delle opposizioni disciplinate dall'art. 617 c.p.c. concernenti la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo, disponendo che il giudice dell'esecuzione non può sospendere il processo esecutivo, salvo che ricorrano fondati motivi e vi sia fondato pericolo di grave e irreparabile danno», soggiungendo che «inoltre, l'art. 29 d.lg. n. 46 del 1999 dispone che per le entrate "non tributarie, il giudice competente a conoscere le controversie concernenti il ruolo può sospendere la riscossione se ricorrono gravi motivi", stabilendo che ad esse "non si applica la disposizione del comma 1 dell'art. 57 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, come sostituito dall'art. 16 del presente decreto e le opposizioni all'esecuzione ed agli atti esecutivi si propongono nelle forme ordinarie" e che "ad esecuzione iniziata il giudice può sospendere la riscossione solo in presenza dei presupposti di cui all'art. 60 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, come sostituito dall'art. 16 del presente decreto"». Le parole della Consulta costituiscono la migliore occasione per sottolineare che in ogni caso il decreto n. 602 del 1973 non esclude in assoluto la proponibilità dell'opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi allorché si tratti di un credito di natura tributaria, così come non preclude la possibilità di proporre altre forme di opposizione, poiché, invero, secondo l'art. 57 del citato Decreto, non sono ammesse le opposizioni regolate dall'art. 615 c.p.c., fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni, e le opposizioni regolate dall'art. 617 c.p.c. relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo, così come l'opposizione di terzi trova specifica menzione e parziale regolazione anche all'art. 58 dello stesso d.P.R. n. 602 del 1973.
Desta qualche perplessità la motivazione di altra recente pronuncia dei giudici tributari di merito apparentemente conforme a quella in commento, ed in particolare non persuadono le ragioni sulla base delle quali anche la Comm. Trib. Prov. di Milano (cfr., sez. III, sent. 7 giugno 2010, n. 256) ha escluso di potersi pronunciare «sull'asserita ed infondata eccezione di nullità dell'atto di pignoramento presso terzi», ritenendosi «priva di giurisdizione» ed indicando come «legittimato a pronunciarsi unicamente il Giudice Ordinario». Il Collegio lombardo, infatti, motiva l'enunciato difetto di giurisdizione soggiungendo che «il pignoramento presso terzi non è infatti compreso fra gli atti impugnabili avanti il Giudice tributario, alla stregua del disposto dell'art. 19 d.lg. 546 del 1992». Sebbene il disposto richiamato dai Giudici lombardi sia sempre più frequentemente indicato come norma sulla giurisdizione complementare all'enunciato di cui all'art. 2 stesso d.lg. n. 546 del 1992, non appare condivisibile verificare la sussistenza della giurisdizione tributaria sulla sola base dell'art. 19 e non già, prioritariamente, sulla base dei più generali ed autosufficienti limiti esterni indicati dal legislatore processuale sia in termini positivi e ratione materiae (natura tributaria della pretesa opposta), sia in termini negativi e per tipologia o funzione dell'atto da impugnare (esclusione degli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell'avviso ex art. 50 d.P.R. n. 602 del 1973), dal momento che anche atti non specificamente elencati nell'art. 19 d.lg. n. 546 sono impugnabili dinanzi alle Commissioni Tributarie qualora abbiano un oggetto tributario e non siano atti dell'esecuzione tributaria. Il punto, eluso dalla Commissione lombarda, era, quindi, prima di tutto la verifica della natura dell'atto ex art. 72-bis d.P.R. n. 602 del 1973, e non già, più semplicemente, della inclusione di tale atto nell'elenco di quelli impugnabili contenuto nel citato art. 19; senza contare che la Commissione milanese, in ogni caso, avrebbe dovuto escludere anche l'assimilabilità, per natura, dell'atto de quo ad uno degli atti specificamente elencati nella citata disposizione sul processo tributario, o motivare esplicitamente in ordine ad essa.
Il disposto sugli atti impugnabili dinanzi alle commissioni tributarie, l'art. 19 d.lg. n. 546 del 1992, fu naturalmente concepito come complementare alla norma principe sui limiti della giurisdizione delle Commissioni: il precedente articolo 2 dello stesso decreto delegato. Entrambe le disposizioni, in origine, furono pensate e formulate, dal legislatore processuale, come complementari elencazioni tassative o tendenzialmente tali. Pertanto, l'intervento sulla giurisdizione tributaria - una trasformazione epocale e «qualitativa» (non, cioè, mera estensione rispetto ai precedenti limiti) - avrebbe dovuto essere accompagnato da una più complessiva e coerente riscrittura di molta parte delle disposizioni generali di quel processo, verificando la tenuta delle indicazioni dell'art. 19 richiamato, ovvero attenuandone certe asperità, in molta parte già sfumate dalla sua rielaborazione giurisprudenziale, e magari cogliendo quella rara occasione, anche per rimeditare le norme sui soggetti del processo ed i legittimati a stare in giudizio. Sul punto la Suprema Corte di Cassazione ha, comunque, precisato che «l'elencazione degli "atti impugnabili", contenuta nell'art. 19 d.lg. n. 546 del 1992, pur dovendosi considerare tassativa, va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A., che in conseguenza dell'allargamento della giurisdizione tributaria operato con la l. n. 448 del 2001» (cfr., sez. V-trib., sent. 25 febbraio 2009, n. 4513), «fino a comprendervi le "notizie" o "note" comunicate dall'Ufficio che, pur non rivestendo l'aspetto formale proprio di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili, portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, suscitandone l'interesse (inteso con riferimento all'art. 100 c.p.c.) a chiederne il controllo di legittimità in sede giurisdizionale» ed, in specie, sino ad ammettere l'impugnabilità della «comunicazione con cui l'Ufficio revochi la sospensione della procedura di riscossione, precedentemente concessa in attesa di verificare il diritto allo sgravio, trattandosi di provvedimento riconducibile, nella sostanza, ad un diniego di sgravio, idoneo ad esplicitare la volontà negativa dell'Ufficio rispetto all'istanza avanzata dal contribuente e perciò rientrante nella previsione dell'art. 19, comma 1, lett. h), del d.lgs. n. 546 del 1992» (così, Cass., sez. V-trib., sent. 12 gennaio 2010, n. 285). Persino le Sezioni Unite civili hanno ribadito detto generale principio, nell'ammettere l'impugnabilità del fermo di beni mobili registrati ancor prima della sua espressa menzione nell'elenco normativo degli atti impugnabili dinanzi alle Commissioni Tributarie (cfr., ancora, Cass., sez. un., ord. 11 maggio 2009, n. 10672).
Sulla questione della giurisdizione in ordine all'atto di cui all'art. 72-bis d.P.R. n. 602 del 1973, inoltre, esiste un contrario orientamento espresso da alcuna giurisprudenza tributaria di merito, secondo la quale la giurisdizione sull'atto di cui all'art. 72-bis d.P.R. n. 602 del 1973, qualora funzionale all'esecuzione di una pretesa di natura tributaria, spetta alle Commissioni Tributarie e l'atto stesso è senz'altro impugnabile dinanzi al Giudice fiscale. In particolare, la Comm. Trib. Prov. di Treviso, sez. n. 7, con sent. 28 gennaio 2009, n. 23, dopo aver affermato la propria giurisdizione e l'impugnabilità dell'atto in questione allorché - come nella fattispecie in quell'occasione definita - sia funzionale alla riscossione di pretese tributarie in parte mai prima di allora partecipate al contribuente (il quale impugnava il pignoramento presso il terzo, notificatogli quale debitore, sostenendo di non aver mai ricevuto notifica di una delle cartelle di pagamento contenente la pretesa a base dell'intimazione al terzo debitor debitoris), afferma, più in generale, la giurisdizione tributaria e l'impugnabilità dell'atto in questione, in ragione della sua stessa natura non esecutiva in senso proprio, o stretto, o almeno nel senso - a dire degli stessi Giudici veneti - attribuito dal legislatore alla locuzione «atti dell'esecuzione forzata» nel contesto dell'art. 2 d.lg. n. 546 del 1992. Segnatamente il Collegio veneto osserva che «il pignoramento presso terzi» ex art. 72-bis d.P.R. n. 602 del 1973, è «un atto amministrativo posto in essere da un Agente delta riscossione», «diretto alla riscossione di tributi », e si inscrive in una «particolare procedura che si sostanzia nell'ordine rivolto al terzo, debitore del contribuente, di pagare ad esso Agente, senza passare attraverso la citazione del terzo a comparire avanti al Giudice dell'esecuzione»; pertanto, l'atto in esame, a dire del Giudice tributario veneto, non può «essere considerato un atto dell'esecuzione tributaria», anche perché la «procedura ... sotto il controllo del Giudice ordinario» «è stata sostituita con un atto promanante direttamente dall'Agente della riscossione il quale, in virtù dei poteri conferitigli dalla norma, ordina al terzo di pagate direttamente a egli medesimo», non vi è «nomina di un Giudice dell'Esecuzione e ... non c'è più la previsione di un ricorso che possa essere proposto a tale Giudice con tutte le garanzie che vi ineriscono». «Ne consegue» - conclude la Commissione di Treviso - «che la procedura di cui si discute non rientra nella esclusione» di cui all'art. 2 d.lg. n. 546 del 1992, anche in considerazione della circostanza che «ex art. 72-bis d.P.R. n. 602 del 73 il ricorso al Giudice è solo eventuale e si ha nel caso in cui il terzo pignorato non dia ottemperanza all'ordine di pagamento ricevuto», sì che deve escludersi che «l'ordine di pagamento emesso al terzo da parte dell'Agente della riscossione ex art. 72-bis d.P.R. n. 602 del 1973» «costituisca una esecuzione forzata tributaria nel senso della previsione di cui all'art. 2 d.lg. n. 546 del 1992», trattandosi, invece, «di una nuova e più snella forma di riscossione amministrativa del credito tributario legislativamente prevista» e di un «atto amministrativo tributario impugnabile avanti al Giudice Tributario con ricorso proposto avanti alla Commissione Tributaria competente», a nulla rilevando la circostanza che «l'art. 19» dello stesso d.lg. n. 546 «non menziona l'atto di pignoramento dei crediti presso terzi ex art. 72-bis d.P.R. n. 602 del 1973, tra quelli impugnabili avanti alle Commissioni Tributarie», nella misura in cui «tale elencazione è suscettibile di interpretazione estensiva secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione (sent. n. 27385 del 18 novembre 2008) ».
Alla luce della recente giurisprudenza di legittimità, nel valutare il pronunciato della Commissione piemontese che costituisce oggetto di questo breve commento va, in ogni caso, escluso che possa rilevare a radicare in qualche modo la giurisdizione la conclusiva allusione dei Giudici piemontesi circa l'opportunità - il vantaggio che conseguirebbe nella fattispecie concreta oggetto di quel giudizio - che il Giudice ordinario definisca complessivamente la questione, avendo giurisdizione anche per i crediti di natura non tributaria. Le sezioni unite civili della Suprema Corte di Cassazione, infatti, da ultimo con ordinanza 3 marzo 2010, n. 7612, hanno precisato che «è priva di rilievo la circostanza che, potendo la rateizzazione riguardare debiti di diversa natura, il debitore debba adire giudici diversi in relazione alla diversa natura dei debiti stessi, essendo, questo, un inconveniente di fatto comune all'intera materia della riscossione mediante ruoli».
Va inoltre considerato che nella formula del novellato art. 2 d.lg. n. 546 del 1992, il profilo di novità essenziale è nel sostanziale «ribaltamento» strutturale del rapporto tra giurisdizione per materia e giurisdizione residuale di struttura analitica e tipica (tenuto conto del quasi speculare sistema prima desumibile dal riparto tra AGO - art. 9 c.p.c. - e Commissioni tributarie - art. 2 vecchio testo d.lg. n. 546 del 1992) e, quindi, nella emancipazione «qualitativa» della giurisdizione delle Commissioni dall'assetto speciale e tassativo previgente, sino ad una dimensione ontologica «esclusiva»: un rivolgimento, con le dovute proporzioni, «copernicano», cui è connaturata la generalità e la concentrazione della funzione di ius dicere in materia fiscale. Anche le sezioni unite civili della Suprema Corte hanno contribuito a sedimentare una lettura restrittiva e, potremmo dire, testuale della seconda parte dell'art. 2 d.lg. n. 546 del 1992, affermando che il «fermo amministrativo ex art. 86 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602» si inscrive in una «procedura alternativa all'esecuzione forzata vera e propria, autonomamente disciplinata dal d.P.R. n. 602 cit.» e ciò induce ad escludere la «giurisdizione del giudice ordinario, che in materia tributaria è limitata alle controversie attinenti all'esecuzione forzata» (così, Cass., sez. un., ord. 11 maggio 2009, n. 10672).
Alla luce di quanto sopra sinteticamente precisato e riportato, pertanto, l'inquadramento dell'atto emesso ex art. 72-bis d.P.R. n. 602 del 1973 tra gli atti dell'esecuzione meriterebbe ben altro approfondimento e, comunque, permane questione complessa e ancora nebulosa, dal momento che si tratta di qualificare un atto contenente ordine al terzo debitor debitoris di provvedere ad un pagamento «spontaneo» in un termine perentorio e che, pur inscrivendosi tra i pignoramenti - come ripetutamente evidenziato dalla giurisprudenza di merito -, quell'atto costituisce procedura «alternativa» all'esecuzione in senso stretto, a sua volta eventuale e successiva, oltre che subordinata all'inadempimento spontaneo del terzo. Nel ragionare della natura dell'atto in questione, inoltre, meriterebbe di essere partitamente considerato ed approfondito il rapporto tra la procedura di cui all'art. 72-bis d.P.R. n. 602 e l'ordinario pignoramento presso terzi, in quanto quest'ultimo, per molti aspetti, è stato concepito e ricostruito come procedimento complesso destinato a perfezionarsi con l'individuazione dell'oggetto del pignoramento e l'accertamento del debito del terzo debitor debitoris.
La circostanza che, per quanto sopra illustrato, il riconoscimento della giurisdizione ordinaria comporterebbe la soggezione della fattispecie ai divieti e limiti alla tutela giurisdizionale contenuti nel d.P.R. n. 602 del 1973, quando, come nella specie, il credito da riscuotere abbia natura o titolo tributario, sembra destinata ad una rilevanza marginale nell'economia del descritto quadro interpretativo e ricostruttivo, ma può concorrere a stimolare letture alternative a quella prospettata dalla Commissione piemontese nella pronuncia in commento.
Per le ulteriori riflessioni che può indurre, sia in ordine alla natura dell'atto ex art. 72-bis d.P.R. n. 602 del 1973, sia in ordine ai cennati limiti alla tutela giurisdizionale che in quello stesso decreto sono posti in correlazione alla natura tributaria del credito, è appena il caso - davvero da ultimo - di ricordare e sottolineare l'ormai consolidato orientamento delle sezioni unite civili della Suprema Corte di Cassazione sulla natura dell'iscrizione ipotecaria ex art. 77 stesso d.P.R. n. 602 del 1973 e la relativa giurisdizione: il riferimento, in particolare, è alle reiterate pronunce in cui la Corte ha affermato che «le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione del provvedimento d'iscrizione di ipoteca sugli immobili, al quale l'Amministrazione finanziaria può ricorrere in sede di riscossione delle imposte sui redditi, ai sensi del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 77, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, se promosse in epoca anteriore all'entrata in vigore del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35 comma 26-quinquies, (introdotto dalla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248)», trattandosi «di un provvedimento preordinato all'espropriazione forzata, in relazione al quale la tutela giudiziaria, esperibile nelle forme dell'opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi, non può realizzarsi né dinanzi al giudice amministrativo, mancando l'esercizio di un potere di supremazia in materia di pubblici servizi, né dinanzi al giudice tributario, ai sensi del d.lg. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2 comma 1 (come modificato dalla l. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 12 comma 2) (così, per tutte, Cass., sez. un., ord. 16 giugno 2010, n. 14501; e già Cass., sez. un., ord. 24 marzo 2009, n. 7034).

Da: ziobobo15/12/2010 12:21:10
XALE, FUORI STA NEVICANDO , SFOGA LE TUE FRUSTRAZIONI NELLA NEVE,   E SPARISCI

Da: avvoatopraticante3315/12/2010 12:22:39
aiuto riferimenti per la seconda traccia

Da: nika7715/12/2010 12:22:45
che ne dite di qst per la sol. 2 traccia? cass. sez. II pen. sent. 20/07/2010 n. 28141

Da: tantaconfusione15/12/2010 12:23:12
LA CONFISCA DEL VEICOLO PREVISTA DALL'ART. 186, COMMI 2 E 7, COD. STR., TRA DISORIENTAMENTI INTERPRETATIVI E CAOS NORMATIVO


Resp. civ. e prev. 2010, 10, 2034

Riccardo Dies
Magistrato
Sommario: 1. L'uguale contenuto delle due sentenze. 2. Le diverse motivazioni: a) gli argomenti "letterali" delle Sezioni Unite. 3. (Segue). B) Gli argomenti di sistema delle Sezioni Unite. 4. (Segue). C) La motivazione della Consulta e le perduranti tensioni con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. 5. Aspetti operativi: a) sequestro preventivo. " 6. (Segue). B) Decreto penale di condanna. 7. La legge 29 luglio 2010, n. 120: la confisca del veicolo è stata trasformata in sanzione amministrativa accessoria?


1. L'UGUALE CONTENUTO DELLE DUE SENTENZE
La lettura coordinata delle sentenze in commento, pur fondate, come si vedrà, su percorsi argomentativi in parte differenziati, permette di individuare in tema di confisca del veicolo, prevista dall'art. 186 cod. str. per i reati di guida in stato di ubriachezza (con tasso alcolemico superiore alla soglia di 1,5 g/l) e di rifiuto degli accertamenti alcolimetrici (1)

(1) Le ipotesi di confisca in parola sono state introdotte dall'art. 4 del d.l. n. 92/2008 (in G.U. 26 maggio 2008, n. 122), con decorrenza dal 27 maggio 2008, per il più grave reato di guida in stato di ebbrezza e dalla l. n. 125/2008 (in G.U. 25 luglio 2008, n. 173), di conversione del sopra indicato decreto legge, per il caso di rifiuto degli accertamenti alcolimetrici, con decorrenza dal 26 luglio 2008. La riforma del 2008 ha poi introdotto, nel corpo dell'art. 187 cod. str., analoghe ipotesi di confisca per i reati di guida in stato di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti e di rifiuto degli accertamenti strumentali, medianti norme di rinvio alle corrispondenti norme contenute nell'art. 186 cod. str., alcuni punti fermi, di assoluto interesse ed in tutto condivisibili, che possono essere sintetizzati nel modo seguente: 1) la confisca prevista nelle due ipotesi ha la medesima natura "penale" e non di sanzione amministrativa accessoria; 2) ha natura essenzialmente sanzionatoria e non può, pertanto, essere qualificata in termini di misura di sicurezza patrimoniale, a norma dell'art. 240 c.p.; 3) conseguentemente ad essa non si applica l'art. 200 c.p. il quale, secondo l'interpretazione corrente, consente l'applicazione retroattiva delle misure di sicurezza, nel limitato senso che è possibile applicare una misura per un reato per il quale non era originariamente prevista oppure applicare una misura più grave, mentre è pacificamente escluso possa essere applicata una misura per fatti che nel momento in cui furono commessi non costituivano reato (2)

(2) Queste conclusioni sono fondate, da un lato, sul rilievo che l'art. 25, comma 3, Cost., non estende alle misure di sicurezza il principio di irretroattività, stabilito dal comma precedente per le pene e, dall'altro, dal riconoscimento di un collegamento tra i due commi e dalla circostanza che l'applicazione della misura di sicurezza presuppone la commissione di un reato, necessariamente regolata dal principio di irretroattività. L'ambito della retroattività delle misure di sicurezza, come sopra individuato, consente di affermare che la qualificazione in termini di misura di sicurezza della confisca ne consentiva l'applicazione retroattiva nel solo caso di guida in stato di ebbrezza , con tasso alcolemico superiore alla soglia di 1,5 g/l, previsto come reato anche prima della novella del 2008, non anche nel caso di rifiuto degli accertamenti alcolimetrici che, invece, prima della novella non era previsto come reato ma come semplice illecito amministrativo (per effetto della depenalizzazione ad opera del d.l. n. 117/2007, convertito con l. n. 160/2007)..
Il primo punto è affermato espressamente dalla sola sentenza delle Sezioni Unite (3)

(3) Viceversa la sentenza della Corte costituzionale non si pronuncia esplicitamente su questo aspetto ed anzi richiama in alcuni passaggi motivazionali le regole proprie dell'illecito amministrativo, per ricordare come anche le sanzioni amministrative siano rette dal principio di irretroattività (cfr. § 3.1.5) e la conclusione raggiunta in tema di confisca di ciclomotori o motoveicoli, prevista dall'art. 213, comma 2-sexies cod. str., che è pacificamente una sanzione amministrativa accessoria (cfr. § 5.2). Tuttavia questi riferimenti appaiono funzionali a sorreggere la conclusione principale, relativa alla natura sanzionatoria e non di misura di sicurezza della confisca del veicolo, non a confutare la sua natura penale che è sempre stata pacifica., chiamata a pronunciarsi proprio su questa questione in un procedimento in cui il Tribunale del riesame aveva annullato il sequestro del veicolo, disponendone la restituzione all'avente diritto, sul presupposto della pretesa natura amministrativa della confisca prevista dall'art. 186, comma 7, cod. str., e che il sequestro preventivo delle cose di cui è consentita la confisca (cfr. art. 321, comma 2, c.p.p.), sia riferito alla sola confisca penale e non possa, pertanto, essere applicato a cautela di una semplice sanzione amministrativa accessoria.
Gli altri due punti sono invece affermati da entrambe le sentenze, ma le Sezioni Unite non si limitano a qualificare in termini sanzionatori la misura della confisca, precisando che si tratta di una "sanzione penale accessoria", avvalorando con ciò l'accostamento alle pene accessorie, mentre solo la sentenza della Corte costituzionale era specificatamente chiamata a pronunciarsi in un caso in cui assumeva rilievo la possibilità di applicazione retroattiva della confisca prevista per il più grave reato di guida in stato di ebbrezza (4)

(4) La questione di legittimità costituzionale sia dell'art. 200 c.p. che dell'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str., è stata sollevata dal Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Lecce, chiamato a decidere su una richiesta di decreto penale di condanna per un reato commesso nel gennaio del 2008 e pertanto prima dell'entrata in vigore della norma che prevede in questo caso la confisca del veicolo, sulla base del presupposto interpretativo che l'espresso riferimento all'art. 240, comma 2, c.p., imponesse la qualificazione in termini di misura di sicurezza e l'applicazione retroattiva, a norma dell'art. 200 c.p.. La Consulta dopo aver escluso di poter risolvere il contrasto denunziato con l'art. 117 Cost., per il tramite dell'art. 7 CEDU, in via interpretativa, alla luce del diritto vivente e, in particolare, della (allora) costante o almeno prevalente giurisprudenza della Cassazione che aveva appunto reiteratamente affermato l'applicazione della misura anche alle condotte poste in essere prima del 27 maggio 2008 ha dichiarato incostituzionale l'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str., limitatamente alle parole "ai sensi dell'art. 240, comma 2, c.p.", eliminando cioè il riferimento normativo che imponeva quella conclusione (5)

(5) Viceversa, la questione sollevata con riferimento all'art. 200 c.p. è stata dichiarata inammissibile, perché una volta esclusa che nel caso in esame possa venire in considerazione una misura di sicurezza ed affermata invece la natura sanzionatoria della confisca del veicolo, l'applicabilità della norma indicata resta del pari esclusa..
Trattandosi di una sentenza di accoglimento, si deve concludere che la qualificazione della confisca in parola come vera e propria sanzione, e non come misura di sicurezza, con conseguente divieto di applicazione retroattiva, costituisca ormai un esito interpretativo imposto con forza di legge e non semplicemente suggerito da un sia pur autorevole precedente.
Va solo ancora precisato che l'impossibilità ravvisata di risolvere il conflitto con l'indicato parametro costituzionale in via interpretativa, non ha potuto tenere conto della sentenza delle Sezioni Unite che, pur precedente, è stata depositata solo in data 18 giugno 2010, dopo la decisione (26 maggio 2010) ed il deposito (4 giugno 2010) della sentenza della Consulta. Poiché, come si vedrà, la sentenza delle Sezioni Unite ha profondamente modificato il "diritto vivente", proprio con riferimento alla portata del richiamo contenuto nell'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str., all'art. 240, comma 2, c.p., escludendo sia la necessaria qualificazione della confisca in termini di misura di sicurezza sia la sua applicazione retroattiva, si può concludere che se fosse stata depositata prima, con ogni probabilità la Corte costituzionale si sarebbe limitata a pronunciare una sentenza interpretativa di rigetto, analogamente a quanto avvenuto in tema di confisca per equivalente (6)

(6) Cfr. Cort. cost., 2 aprile 2009, n. 97 (ord.), in Giur cost., 2009, 984, che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 200, 322-ter c.p. e 1, comma 143, l. n. 244/2007 (legge finanziaria del 2008, che ha esteso ai reati fiscali la misura della confisca per equivalente) proprio sulla base dell'erroneità del presupposto interpretativo da cui muoveva il giudice rimettente, alla luce del "diritto vivente" che in più di un'occasione aveva affermato la natura di vera e propria sanzione penale di questo tipo di confisca, con conseguente inapplicabilità ad essa dell'art. 200 c.p. Il precedente è specificamente richiamato nella sentenza in commento, proprio per sottolineare la diversità del "diritto vivente" nei due casi, oltre che della formulazione letterale delle due norme, con espresso richiamo all'art. 240 c.p. contenuto nel solo art. 186, comma 2, lett. c), cod. str..
2. LE DIVERSE MOTIVAZIONI: A) GLI ARGOMENTI "LETTERALI" DELLE SEZIONI UNITE
Venendo all'analisi delle motivazioni, le Sezioni Unite muovono dal rilievo che la confisca del veicolo prevista dall'art. 186, comma 7, cod. str., inserendosi nell'ambito della reintroduzione del reato di rifiuto a sottoporsi agli accertamenti strumentali, che in precedenza era stato depenalizzato, risponda alla ratio complessiva che sorregge quella scelta di politica criminale, ossia eliminare ogni interesse dell'indagato a sottrarsi alle prove previste, quando abbia fondati motivi di ritenere superata la soglia massima, tanto da rendere ragione della "completa parificazione, sotto il profilo sanzionatorio, del rifiuto ai test alcolimetrici alla più grave delle ipotesi di guida in stato di ebbrezza ". Una volta affermato il perfetto parallelismo tra le due ipotesi di confisca previste dall'art. 186 cod. str., si ha buon gioco nell'affermare la natura penale di entrambe le misure, dal momento che nessuno, né in dottrina né in giurisprudenza, ha mai dubitato della natura penale della confisca prevista per il più grave reato di guida in stato di ebbrezza , imposta del resto dalla lettera stessa della legge che, da un lato, non la qualifica espressamente come "amministrativa" e, dall'altro, compie un espresso riferimento all'art. 240 c.p. Ad ulteriore conforto della conclusione raggiunta, viene inoltre ricordato come la guida in stato di ebbrezza sia configurata unicamente come reato, mai come illecito amministrativo, con la conseguenza che la pretesa confisca amministrativa non accederebbe, come accade di norma, ad una sanzione amministrativa principale, ma ad una sanzione penale e la sua applicazione da parte del giudice penale non si giustificherebbe con la connessione tra illecito penale ed illecito amministrativo, ma in quanto sanzione amministrativa accessoria a reati per espressa previsione di legge, cosa possibile (7)

(7) Come dimostrato dalla sospensione e dalla revoca della patente proprio in tema di guida in stato di ebbrezza .ma certamente non usuale.
Risolto in poche battute il quesito posto alla loro attenzione, le Sezioni Unite si spingono oltre, impegnandosi a sciogliere l'ulteriore alternativa tra misura di sicurezza patrimoniale (riconducibile alla previsione dell'art. 240 c.p.) ovvero sanzione penale vera e propria, ed è proprio su questo punto che la sentenza presenta il carattere più innovativo e di maggior interesse, rispetto all'interpretazione corrente offerta sino ad allora dalla Cassazione, che propendeva decisamente verso la prima alternativa, motivando essenzialmente dall'espresso richiamo all'art. 240, comma 2, c.p., contenuto nell'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str. (8)

(8) In questo senso, con riferimento al caso previsto dall'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str., per lo più al fine di consentirne l'applicazione retroattiva ai reati commessi prima del 27 maggio 2008, cfr. Cass. pen., 28 agosto 2008, n. 36822, rv. 241269; Cass. pen., 27 gennaio 2009, n. 9986, rv. 243297; Cass. pen., 27 marzo 2009, n. 18517; Cass. pen, 3 aprile 2009, n. 38179, rv 245307; Cass. pen., 4 giugno 2009, n. 32932, rv. 244977; Cass. pen., 13 maggio 2009, n. 27478, rv. 245528; Cass. pen., 2 ottobre 2009, n. 1539, rv. 246295; Cass. pen., 19 gennaio 2010, n. 12406, rv. 246801. Analogamente, con riferimento al reato di guida in stato di stupefazione (art. 187 cod. str.), cfr. Cass. pen., 12 gennaio 2010, n. 12826. Per la confisca prevista nel caso di rifiuto degli accertamenti, cfr. Cass. pen., 10 giugno 2009, n. 32937. Invece, Cass. pen., 13 maggio 2009, n. 21499, rv. 243967; e Cass. pen., 28 settembre 2009, n. 48576, rv. 245361, affrontano il diverso problema della natura amministrativa ovvero penale della confisca in parola, giungendo alla conclusione della natura penale, in forza del rinvio al comma 2, lett. c), compiuto dal comma 7 dell'art. 186 cod. str., senza dire se la misura penale debba qualificarsi come misura di sicurezza ovvero come pena vera e propria., pur non mancando i precedenti contrari (9)

(9) In particolare, tre sentenze della Cassazione, nell'escludere l'inammissibilità dell'istanza di riesame del decreto di sequestro preventivo, a norma dell'art. 324, comma 7, c.p.p. (che esclude la revoca del sequestro "nei casi indicati dall'art. 240, comma 2 c.p."), pur non pronunciandosi direttamente sulla natura della confisca, hanno però espressamente escluso che il veicolo utilizzato per commettere il reato sia "cosa intrinsecamente pericolosa", con la conseguenza che il richiamo all'art. 240, comma 2, c.p., debba essere inteso non nel senso "di affermare che il caso disciplinato rientri tra quelli che detta disposizione contempla, ma semplicemente al fine di rimarcare l'obbligatorietà della confisca", con ciò gettando le basi per un'interpretazione in termini sanzionatori. Si tratta di Cass. pen., 29 ottobre 2009, n. 45935; Cass. pen., 25 settembre 2009, n. 39975, rv. 245312; e Cass. pen., 11 febbraio 2009, n. 13831, rv. 242479, in Guida dir., 2009, 18, 74, con nota di Amato, Carattere sanzionatorio e obbligatorietà assottigliano le motivazioni del giudice, il quale pone giustamente in evidenza come nella specie "la privazione della res prescinda dalla pericolosità (...) e si ispiri piuttosto all'esigenza che il legislatore vuole perseguire di punire (in uno con l'irrogazione della vera e propria sanzione criminale) il comportamento violativo del trasgressore privandolo dello "strumento" (il veicolo) di cui questi ha abusato utilizzandolo pur essendo in stato di ebbrezza o di alterazione da abuso di sostanze stupefacenti". Sulla base di argomentazioni molto simili, infatti, Cass. pen., 29 aprile 2009, n. 32916, rv. 244975, giunge a parlare di "provvedimento ablatorio patrimoniale a connotazioni sanzionatorie", escludendone l'applicazione retroattiva. Il precedente viene richiamato nella sentenza della Consulta ma non è ritenuto idoneo, in quanto "isolato", per definire il "diritto vivente". Per la giurisprudenza di merito sia consentito il richiamo a Trib. Rovereto, 21 gennaio 2010, in www.jurisdata.it, in cui si esclude l'applicazione retroattiva sia perché la garanzia dell'irretroattività deve essere estesa anche alle misura di sicurezza previste come reazione del reato, a norma dell'art. 7 CEDU, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, sia perché si tratta, in realtà, di una vera e propria pena. Analogamente cfr. Trib. Trento, 10 novembre 2008, ivi..
Per argomentare la natura di vera e propria sanzione viene utilizzato anzitutto un argomento di natura letterale e, in particolare, l'inciso "anche in caso di sospensione condizionale della pena", utilizzato dall'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str., per affermare l'ineluttabilità della confisca del veicolo (sempre che non appartenga a persona estranea al reato) in caso di condanna (o di patteggiamento), osservando come si tratterebbe di disposizione inutile se si trattasse di una confisca-misura di sicurezza (10)

(10) Cfr., infatti, l'art. 164, comma 3, c.p., che, nell'escludere l'applicazione delle misure di sicurezza in caso di sospensione condizionale della pena, fa salvo proprio il caso della confisca.ed invece pienamente comprensibile se intesa come un'ipotesi di confisca-pena accessoria, in funzione derogatoria della regola generale secondo la quale la sospensione condizionale si estende alle pene accessorie (art. 166 c.p.). L'inciso in parola viene quindi interpretato come una chiara dimostrazione che il legislatore ha inteso la confisca del veicolo come una "vera e propria sanzione penale accessoria alla inflizione della pena principale".
Sempre sul piano letterale, richiamandosi ad alcuni precedenti (11)

(11) Cfr. giurisprudenza citata alla nota 9., viene poi svalutato il richiamo all'art. 240, comma 2, c.p., escludendo che il veicolo possa essere fatto rientrare tra le cose "intrinsecamente pericolose", cui fa riferimento la norma appena citata (prezzo del reato e cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato), essendo invece evidente che rientri tra le cose che "servirono a commettere il reato", per le quali il comma 1 dell'art. 240 c.p. prevede la confisca facoltativa. Se ne desume che il richiamo al comma 2 dell'art. 240 c.p. "sia stato effettuato per affermare la natura obbligatoria della sanzione della confisca del veicolo (...) e non per qualificare tale sanzione come una misura di sicurezza in senso tecnico".
A ben vedere non manca un ulteriore argomento letterale, non valorizzato dalle Sezioni Unite, probabilmente perché di natura spuria ed idoneo a creare confusione sulla natura penale o amministrativa della confisca. Si tratta della previsione, contenuta nell'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str., terzo periodo, secondo la quale quando il veicolo appartiene a persona estranea al reato e non è pertanto possibile la confisca, il periodo della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente è raddoppiato (12)

(12) In tal modo il periodo minimo di sospensione della patente raggiunge la ragguardevole soglia dei due anni (e quello massimo dei 4) e, trattandosi di una sanzione amministrativa accessoria, non può essere in alcun modo ridotto per effetto del riconoscimento di circostanze attenuanti o di riti speciali a contenuto premiale.. Anche questa norma depone per la natura sanzionatoria della confisca, considerando che l'impossibilità di disporla implica un forte inasprimento di una misura dalla sicura natura sanzionatoria (13)

(13) Non si può negare che la sospensione della patente svolga anche una concorrente funzione di prevenzione speciale, ossia di contrasto alla pericolosità sociale manifestata dal conducente mediante la violazione, ma ciò non toglie che sia dalla legge qualificata come "sanzione amministrativa" a tutti gli effetti, con la conseguenza, tra l'altro, dell'impossibilità di applicazione retroattiva, a norma dell'art. 1, l. n. 689/1981. Il carattere spurio della misura emerge con chiarezza dall'art. 218, comma 2, cod. str., che individua i criteri da seguire nella determinazione del periodo di sospensione, nei limiti edittali previsti, da un lato, nella "gravità della violazione commessa ed alla entità del danno apportato" e, dall'altro, nel "pericolo che l'ulteriore circolazione potrebbe cagionare"., tanto da rendere plausibile che analoga funzione svolga anche la prima.
Del resto, va ricordato, come già si è anticipato, che la natura necessariamente "sanzionatoria" della confisca del veicolo, prevista dall'art. 186, comma 2, cod. str., è un dato che si impone con forza di legge sulla scorta della sentenza in commento della Consulta e non può pertanto essere messo in alcun modo in discussione.
Una volta risolto il problema della natura della confisca del veicolo per il più grave reato di guida in stato di ebbrezza nei termini sopra proposti, alla luce del riconosciuto "parallelismo" sanzionatorio col reato di rifiuto degli accertamenti strumentali, le Sezioni Unite hanno buon gioco nell'affermare identica natura anche della confisca del veicolo prevista per questa ipotesi, a maggior ragione considerando che essa è disciplinata unicamente con un rinvio alla precedente ipotesi.
A ben vedere, peraltro, il parallelismo tra le due ipotesi poteva più utilmente essere utilizzato a parti invertite, perché, se appare corretto muovere dall'ipotesi prevista dal comma 2 per argomentare la natura penale, e non amministrativa, della confisca, dal momento che solo in questo caso compare l'espresso riferimento all'art. 240 c.p., in riferimento al diverso problema posto dall'alternativa misura di sicurezza-pena, è preferibile muovere dall'ipotesi di cui al comma 7. Infatti, se nel primo caso, proprio l'espresso richiamo all'art. 240 c.p., oltre al sicuro nesso di pertinenzialità tra cosa e reato ed il fatto che, quale strumento del reato, il veicolo poteva essere sottoposto a confisca anche in applicazione della disciplina generale di cui all'art. 240, comma 1, c.p., poteva far legittimamente sorgere il dubbio che si trattasse di una misura di sicurezza patrimoniale, nel secondo caso nessun dubbio può porsi proprio sul piano sostanziale. Infatti, in questo caso, la confisca accede ad un reato di natura puramente omissiva, consistente nel rifiuto degli accertamenti strumentali obbligatori, che non necessariamente implica una guida in stato di ebbrezza e che ben può essere commesso da un soggetto perfettamente sobrio, con la conseguenza che il veicolo non può certo essere qualificato come strumento del reato, non avendo col reato alcun nesso di pertinenzialità diretta. Insomma, si tratta di una cosa che, da un lato, non rientrando in alcuna delle categorie cui si riferisce l'art. 240 c.p., non sarebbe passibile di confisca secondo la disciplina generale e, dall'altro, non è in alcun modo qualificabile come "cosa pericolosa", neppure in via astratta o presunta.
Alla luce dei rilievi che precedono, la natura sanzionatoria di questa ipotesi di confisca appare davvero difficilmente contestabile ed è piuttosto questo dato, unitamente al collegamento sistematico tra comma 7 e 2 dell'art. 186 cod. str., a costituire un argomento, ulteriore a quelli già sopra esposti, per affermare la natura di pena della confisca prevista dal comma 2, e non viceversa.
Comunque sia, a questo punto la sentenza in commento ritorna al problema originario, della natura amministrativa ovvero penale della confisca in questione, confutando i due argomenti letterali a sostegno dell'opposta interpretazione, originati da una non felice formulazione del comma 7 dell'art. 186 cod. str. Infatti, la sequenza testuale "la condanna... comporta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente... e della confisca del veicolo con le stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lett. c)", può indurre a ritenere, da un lato, che l'espressa qualificazione in termini di sanzione amministrativa accessoria sia estesa non solo alla sospensione della patente ma anche alla confisca del veicolo e, dall'altro, che il richiamo al comma 2, lett. c), debba essere inteso limitatamente alla fase esecutiva della confisca, senza incidere sull'aspetto della qualificazione giuridica.
In contrario, le Sezioni Unite giustamente osservano che la perdurante declinazione al singolare della qualificazione sanzione amministrativa, pur dopo l'introduzione della confisca nel corpo della norma, impone di riferirla alla sola sospensione della patente e non può essere estesa anche alla confisca, perché altrimenti si sarebbe dovuto usare il plurale. Quanto al richiamo al comma 2, lett. c), ancora sul piano strettamente testuale, esso viene esteso anche al rinvio all'art. 240, comma 2, c.p., nel senso limitato sopra precisato, ossia nel senso di ribadire l'obbligatorietà di tutte queste ipotesi di confisca, perché l'ultimo inciso del comma 2, lett. c), riferisce il termine "procedure" ai due periodi precedenti e, pertanto, non solo alla possibilità di affidare in custodia il veicolo al trasgressore (penultimo periodo) ma anche, appunto, alla previsione stessa della confisca del veicolo, "ai sensi dell'art. 240, comma 2, c.p." (terz'ultimo periodo).
Chiarita l'identica natura di sanzione penale accessoria di entrambe le ipotesi di confisca previste dall'art. 186 cod. str., le Sezioni Unite sentono il bisogno di indicare la conseguenza operativa più importante, pur non rilevante nel procedimento oggetto della decisione, ossia la piena applicazione del principio di irretroattività posto per le pene dall'art. 2 c.p. (e dall'art. 25, comma 2, Cost.) e ciò evidentemente al fine di chiarire l'erroneità della prevalente interpretazione contraria accolta in precedenza dalla stessa Cassazione.
3. (SEGUE). B) GLI ARGOMENTI DI SISTEMA DELLE SEZIONI UNITE
Ma al di là degli argomenti letterali, spesso equivoci in una normativa che certo non brilla per chiarezza e precisione tecnica, i motivi di fondo che sorreggono l'interpretazione delle Sezioni Unite sono ben altri e si sviluppano sul piano della ratio complessiva della normativa di settore e dei principi generali.
Invero, sin dall'inizio della motivazione ed immediatamente dopo aver ripercorso la tormentata vicenda normativa dell'art. 186 cod. str., le Sezioni Unite hanno con forza messo in evidenza "l'importanza, riconosciuta dal legislatore, nella strategia del contrasto al fenomeno del drive drinking, di sanzioni diverse da quelle tradizionali dell'arresto e/o dell'ammenda, spesso rese inefficaci dalla sospensione condizionale della pena o dall'accesso a sanzioni alternative", sottolineando, in particolare, come la sospensione della patente e la confisca obbligatoria del veicolo costituiscano "sotto il profilo general-preventivo, dei deterrenti assai efficaci", quali "sanzioni alternative o (...) accessorie, specifiche e strettamente connesse al reato da perseguire ed al fenomeno da contrastare". Insomma, dirimente è il ruolo di assoluto rilievo che deve essere riconosciuto alla misura della confisca del veicolo, nella strategia punitiva e di prevenzione generale perseguita in questo campo dal legislatore, "dovendosi tenere conto della complessiva strutturazione dell'istituto e della prevalente finalità della sanzione più che delle espressioni utilizzate".
È questa la parte maggiormente condivisibile della sentenza, perché la generale inadeguatezza delle pene tradizionali, in particolare dell'arresto ma anche dell'ammenda, a contrastare la criminalità stradale è un dato difficilmente contestabile e trova del resto riscontro proprio nello sforzo, non sempre ordinato, compiuto dal legislatore di differenziare la risposta sanzionatoria (14)

(14) A conferma dell'attualità dei rilievi svolti nel testo, cfr., da ultimo, il nuovo comma 9-bis dell'art. 186 cod. str., introdotto dall'art. 33 della l. n. 120/2010 (entrato in vigore il 30 luglio 2010), che prevede la possibilità di sostituire le pene detentive e pecuniarie tradizionali con quella del lavoro di pubblica utilità, prevista dalla normativa sulla competenza penale del giudice di pace. È poi previsto che il positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità determini l'estinzione del reato, la riduzione della metà della sospensione della patente e la revoca della confisca del veicolo. Inoltre, l'art. 57 legge cit. ha previsto che in luogo "della misura detentiva dell'arresto prevista dagli artt. 116, 186, 186-bis e 187" cod. str., a richiesta di parte, possa essere disposta la misura alternativa dell'affidamento in prova ai servizi sociali, prevista dall'ordinamento penitenziario.. Proprio i rilievi che precedono permettono, da un lato, di svelare l'intima natura della confisca del veicolo e le ragioni di politica criminale che ne sono a fondamento e, dall'altro, di superare le finzioni e le ipocrisie, in particolare in merito alla "pericolosità della cosa", che il tradizionale inquadramento tra le misure di sicurezza impone.
Al riguardo è sufficiente osservare come l'art. 240, comma 1, c.p., nel permettere la confisca delle cose che servirono a commettere il reato, categoria alla quale va ascritto il veicolo condotto in stato di ubriachezza, da un lato, la subordina alla condanna e, dall'altro, la configura come misura di sicurezza facoltativa, con conseguente obbligo per il giudice di motivare in ordine alla sussistenza nel caso concreto del requisito della pericolosità della cosa. Viceversa, l'art. 240, comma 2, c.p., configura la confisca per le cose intrinsecamente pericolose come obbligatoria e svincolata dal presupposto della condanna. Secondo la disciplina generale della confisca quale misura di sicurezza, pertanto, le cose che servirono a commettere il reato non possono ritenersi come intrinsecamente pericolose e la loro confisca è sempre subordinata ad un giudizio di merito sulla loro pericolosità, mentre quando la cosa esprime una pericolosità intrinseca, iscrivendosi nelle categorie contemplate nel comma 2 dell'art. 240 c.p., va obbligatoriamente confiscata, anche a prescindere da una sentenza di condanna.
Del tutto diversa è la disciplina prevista per la confisca in esame, perché, se permane il presupposto della condanna (o della sentenza di patteggiamento), l'obbligatorietà necessariamente la svincola dal presupposto della pericolosità della cosa, trovando applicazione anche in tutti i casi in cui, alla stregua della disciplina generale, il potere facoltativo di disporre la misura di sicurezza non potrebbe essere esercitato per mancanza in concreto di quel presupposto. Certo, è pur sempre possibile affermare che il requisito è, in questa particolare materia, affermato dalla legge, in forza di una presunzione iuris et de iure, ma la realtà è che un presupposto la cui sussistenza sia affermata in forza di una presunzione assoluta, insuscettibile di prova contraria, si risolve in pura funzione. Piena conferma viene del resto dal rilievo che la confisca in parola debba essere disposta, proprio in forza della perentoria clausola di obbligatorietà, anche quando il veicolo non possa essere messo in circolazione, ad es. perché incidentato, e non sia pertanto in grado di esprimere quella pericolosità sociale che la misura di sicurezza dovrebbe essere chiamata a contrastare.
Se poi la pericolosità sociale viene più correttamente intesa non in riferimento alla cosa in quanto tale ma al suo rapporto con l'imputato, ossia al suo possibile utilizzo illecito, si possono svolgere rilievi analoghi, perché la confisca del veicolo va obbligatoriamente disposta anche nei casi in cui il conducente-proprietario non possa più porsi alla guida , ad es. per le lesioni riportate o per aver subito la revoca della patente, ovvero, ancora, nelle ipotesi in cui il giudice, nel concedere la sospensione condizionale della pena, formuli un giudizio di prognosi favorevole, affermando che l'imputato si asterrà in futuro dal commettere ulteriori reati (cfr. art. 164, comma 1, c.p.) (15)

(15) Per la verità il rilievo che precede è idoneo ad incrinare la c.d. "pericolosità della cosa" quale fondamento della stessa confisca-misura di sicurezza prevista dall'art. 240 c.p., dal momento che la sua insensibilità alla sospensione condizionale della pena è regola posta in via generale dall'art. 164, comma 3, c.p. Non è un caso che la più attenta dottrina utilizzi anche questo dato normativo per argomentare come "la nozione di pericolosità delle cose si rileva quasi inafferrabile", riducendosi in una sorta di clausola di stile, giungendo alla conclusione che "la concreta articolazione del sistema consente dunque di dubitare del carattere preventivo della confisca e ne accentua invece la funzione repressiva o punitiva". Così Grasso, Commentario sistematico del codice penale, III, sub art. 240 c.p., 1994, 524..
È allora evidente che la confisca del veicolo sia prevista non per contrastare una pretesa pericolosità sociale, in realtà insussistente in un numero rilevante di casi, ma in funzione di reazione afflittiva ad un reato tutto incentrato sull'utilizzo illecito del veicolo medesimo (16)

(16) Nella legislazione speciale si è già verificato che l'obbligatorietà della confisca in ipotesi in cui sarebbe facoltativa a norma dell'art. 240 c.p., ne abbia rafforzato il carattere repressivo. Il riferimento attiene alla c.d. confisca doganale, prevista originariamente dall'art. 116, l. n. 1424/1940 (ora dall'art. 301, d.P.R. n. 43/1973), estesa anche alle cose che servirono e furono destinate a commettere il reato di contrabbando, anche se appartenenti a persona estranea al reato medesimo. Quest'ultimo inciso è stato dichiarato incostituzionale da Corte cost., 17 luglio 1974, n. 229, in Giur. cost., 1974, 2297, limitatamente al caso in cui al terzo proprietario non sia imputabile un difetto di vigilanza, perché altrimenti si finirebbe col configurare a carico di costui "una mera responsabilità oggettiva". La Consulta, pur non contestando formalmente la collocazione della misura tra le misure di sicurezza, estende tuttavia ad essa una garanzia fondamentale propria delle pene. Non solo, ma ad una natura marcatamente sanzionatoria sembra proprio riferirsi il passaggio secondo il quale la previsione dell'obbligatorietà è giustificata "ai fini di una lotta più incisiva ad un'attività penalmente illecita, e ritenuta dal legislatore, in base al suo libero apprezzamento, particolarmente lesiva degli interessi finanziari dello Stato oltreché per la sua diffusione anche per l'organizzazione capillare e le multiformi diramazioni di cui è in grado di disporre". L'argomento, infatti, è stato in dottrina così commentato: "individuato un fenomeno disfunzionale (nel caso, la piaga del contrabbando), sorge l'opportunità politico-criminale di piegare la confisca a finalità fino ad allora inedite, valorizzandone la capacità di deterrenza: la confisca (...) non è più legata a problematiche ed aleatorie valutazioni prognostiche, ma diviene componente necessaria della condanna per reato doganale": Fornari, Criminalità del profitto e tecniche sanzionatorie, Padova, 1997, 30. Si tratta di osservazioni pienamente adattabili anche alla confisca qui in esame.. In quest'ottica si spiega perfettamente il presupposto della sentenza di condanna (o di patteggiamento), che invece resta difficilmente giustificabile nella prospettiva della necessaria (ovvero presunta) pericolosità della cosa, come dimostrato dalla circostanza che non è richiesto nelle ipotesi di confisca obbligatoria previste dall'art. 240 cpv. c.p.
Del resto l'efficacia dissuasiva che questo tipo di sanzione possiede, comparativamente assai maggiore rispetto alle pene criminali classiche, non può certo essere messa in discussione, considerando l'alto grado di certezza della pena, che non può essere sospesa o sostituita con altre misure, nonché la prontezza di esecuzione che, sul piano della percezione da parte del destinatario, garantisce il collegamento col sequestro preventivo, a norma dell'art. 321, comma 2, c.p.p., che normalmente viene imposto al momento stesso dell'accertamento in strada da parte delle forze dell'ordine (17)

(17) Da questo punto di vista la scelta di una lotta "integrata" all'illecito, fondata non solo su sanzioni penali anomale o atipiche, che si affiancano a quelle classiche, ma anche su sanzioni extrapenali e, in particolare, di tipo amministrativo (ovvio il riferimento alla sospensione e revoca della patente), non può di per sé ritenersi un difetto, al netto delle gravi deficienze tecniche delle formulazioni normative, ormai tristemente una costante in questo campo, a condizione che sia orientata dalla prevedibile efficacia e sia poi verificata nell'esperienza. In generale, sulla fondamentale esigenza di effettività in campo penale, cfr. Paliero, Il principio di effettività nel diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, 430 ss.. Si tratta, pertanto, di una pena che tipicamente possiede tutti i requisiti classici di certezza e di immediatezza per poter utilmente svolgere la propria funzione di prevenzione generale, che anzi è ulteriormente rafforzata dal forte legame che spesso si instaura tra proprietario-conducente e veicolo, non tanto e non solo in relazione al relativo valore economico, peraltro spesso tutt'altro che trascurabile, quanto piuttosto ai rilevanti interessi che il relativo diritto di proprietà è tipicamente chiamato a soddisfare, ad es., sul piano della libertà di circolazione e del lavoro.
Sotto quest'ultimo punto di vista, si potrebbe tentare di rinvenire un'autonoma giustificazione politico-criminale nel concetto di abuso del diritto, nel senso che a fronte di un uso gravemente illecito della cosa idoneo a causare un grave pericolo alla sicurezza della circolazione stradale e, pertanto, alla pubblica incolumità, l'ordinamento reagisce con una misura ablatoria del diritto di proprietà in capo al responsabile. In questa prospettiva, si potrebbe cioè ritenere che la funzione sociale del diritto di proprietà, prevista dall'art. 42, comma 2, Cost., sia dalla legge ordinaria concretizzata, con riferimento ai veicoli, con un limite che precluda in assoluto gli usi maggiormente illeciti e pericolosi per l'incolumità delle persone, tanto da giustificarne l'ablazione in caso di trasgressione. Naturalmente i rilievi che precedono si attagliano unicamente alla confisca prevista per la guida in stato di ubriachezza, non anche a quella prevista per il rifiuto degli accertamenti, perché in questo caso il veicolo non è una cosa che è servita a commettere il reato e la sua natura di pena deve essere piuttosto ricondotta, sul piano politico-criminale, alla ratio della parificazione del trattamento punitivo dei due reati che, come si è visto, consiste nell'incentivare l'indagato a sottoporsi agli accertamenti strumentali obbligatori, eliminando qualsiasi possibile interesse a violare il comando imposto.
4. (SEGUE). C) LA MOTIVAZIONE DELLA CONSULTA E LE PERDURANTI TENSIONI CON LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO
Per certi versi più lineare è la motivazione della sentenza della Corte costituzionale in commento, che assume quale parametro costituzionale di riferimento l'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nella parte in cui prescrive che "non può essere inflitta una pena più grave di quella che sarebbe stata applicata al tempo in cui il reato è stato consumato", quale norma interposta per il tramite dell'art. 117 Cost., secondo l'impostazione delle fondamentali sentenze nn. 348 e 349 del 2007 (18)

(18) Come è ben noto, le sentenze citate nel testo hanno finalmente superato la tradizionale (e controversa) collocazione nella gerarchia delle fonti delle norme convenzionali tra le leggi ordinarie, riconoscendo loro il rango di norme "paracostituzionali" o interposte, sulla base della riforma del Titolo V della Costituzione (legge cost. n. 3/2001) e del conseguente nuovo testo dell'art. 117 Cost., secondo il quale "la potestà legislativa è esercitata (...) nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali". Sul punto è utile precisare come la CEDU, rispetto alla generalità dei trattati internazionali, presenta la peculiarità di aver previsto la competenza di un organo giurisdizionale al quale è affidata la funzione di interpretare in modo uniforme la Convenzione stessa, con la conseguenza che le norme della Convenzione devono essere intese nel significato loro attribuito dalle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, sia ai fini dell'adeguamento interpretativo da parte del giudice comune del diritto interno sia ai fini della verifica della compatibilità costituzionale da parte della Consulta. Per ciò che qui interessa, pertanto, il termine "pena" utilizzato dall'art. 7 della CEDU non può essere inteso alla stregua del diritto interno ma facendo necessario riferimento alla giurisprudenza della Corte europea..
Preso atto che il diritto vivente è nel senso di consentire, a norma dell'art. 200 c.p., l'applicazione retroattiva della confisca del veicolo prevista dall'art. 186 cod. str., sulla scorta della sua qualificazione come misura di sicurezza, la Consulta anzitutto, richiamandosi a suoi risalenti precedenti, avverte come "la confisca può presentarsi, nelle leggi che la prevedono, con varia natura giuridica", perché, se è costante il suo contenuto di privazione di beni economici, "può essere disposta per diversi motivi e indirizzata a varie finalità, sì da assumere, volta per volta, natura e funzione di pena o di misura di sicurezza ovvero anche misura giuridica civile e amministrativa" (19)

(19) Corte cost. n. 29/1961. Analogamente cfr. Corte cost. n. 46/1964. Più di recente sono state le Sezioni Unite penali ad avvertire che "con il termine confisca, in sostanza, al di là del mero aspetto nominalistico, si identificano misure ablative di natura diversa, a seconda del contesto normativo in cui lo stesso viene utilizzato" e, con specifico riferimento alle numerose ipotesi di confisca del prezzo o profitto del reato c.d. di valore o per equivalente, prolificate non solo nell'ambito della legislazione speciale (cfr. artt. 9 e 19, d.lgs. n. 231/2001, in tema di responsabilità degli enti) ma anche nel codice penale (cfr. artt. 644 u.c. c.p. e 322-ter c.p.), "i tratti distintivi di una vera e propria sanzione". Così Sez. Un. pen., 27 marzo 2008, n. 26654, rv. 239925, in Cass. pen., 2008, 4544, con nota di Pistorelli, Confisca del profitto del reato e responsabilità degli enti nell'interpretazione delle Sezioni Unite. Si tratta, del resto, di esiti interpretativi in dottrina ormai largamente consolidati soprattutto nell'ambito dei reati economici e della confisca del profitto, a maggior ragione se per equivalente. Per tutti cfr. Fornari, op. cit., 19 ss.; Alessandri, Criminalità economica e confisca del profitto, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, 2006, 2108 ss.; e Vergine, Confisca e sequestro per equivalente, Assago, 2009, 11 ss.. Si tratta, del resto, di un rilievo ormai classico anche in dottrina, non solo con riferimento alle variegate ipotesi di confisca disseminate nella legislazione speciale, ma finanche all'interno delle ipotesi previste dall'art. 240 c.p. (20)

(20) Cfr., per tutti, Vassalli, La confisca dei beni, Padova, 1951, 26, il quale richiamandosi alla dottrina sotto il codice Zanardelli, riconosce "l'impossibilità di definire l'istituto in modo unitario, assumendo la confisca una diversa natura giuridica a seconda del suo diverso carattere e delle sue diverse funzioni", finendo con l'escludere la natura preventiva (ossia di misura di sicurezza) anche di alcune delle ipotesi previste dall'art. 240 c.p. (in particolare quelle relativa al prezzo, prodotto e profitto), ravvisando in esse "carattere e funzione sostanzialmente repressivi". Analogamente, più di recente, Id., Confisca doganale e cose appartenenti a persone estranee al reato, in Giur. cost., 1977, I, 416..
La differenza di natura delle singole ipotesi di confisca è, tuttavia, utilizzata dalla Consulta per sottolineare la necessità di distinguerle, in ragione della differente disciplina prevista per le pene e per le misure di sicurezza, anche a livello costituzionale (cfr. art. 25, commi 2 e 3), finendo col giustificare l'applicazione retroattiva delle misure di sicurezza, a norma dell'art. 200 c.p. con "la finalità, loro propria, di assicurare una efficace lotta contro il pericolo criminale, finalità che potrebbe richiedere che il legislatore, sulla base di circostanze da esso discrezionalmente valutate, preveda che sia applicata una misura di sicurezza a persone che hanno commesso determinati fatti prima sanzionati con la sola pena". È bensì vero che l'esigenza di permettere di reagire alla pericolosità sociale con sempre nuovi e più adeguati strumenti è riferita soprattutto alle misure di sicurezza personali, ma essendo l'oggetto di giudizio una confisca, si deve necessariamente ammettere che la sentenza in commento sia una chiara conferma alla tradizionale giurisprudenza della Cassazione che applica retroattivamente anche la confisca-misura di sicurezza.
È proprio questa la parte meno condivisibile e più conservatrice della pronuncia, anche se limitata dall'osservazione che questa conclusione vale solo per le misure di sicurezza propriamente dette, ossia quelle definibili tali all'esito di un controllo in ordine alla loro "corrispondenza non solo nominale, ma anche contenutistica, alla natura spiccatamente preventiva di detti strumenti", onde scongiurare la c.d. truffa delle etichette, ossia il tentativo del legislatore di escludere le garanzie fondamentali in materia penale, tra le quali l'irretroattività, a determinate pene, con l'espediente di definirle come misure di sicurezza. Né a salvare la conclusione qui criticata possono valere due ulteriori condivisibili affermazioni della Consulta. La prima, che analoga è la preoccupazione alla base della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che ha elaborato propri criteri, in aggiunta a quello della qualificazione formale del diritto nazionale, per stabilire la sussistenza di una "pena", ai fini dell'art. 7 CEDU. La seconda, che, nel caso il pieno controllo sulla natura dia esito negativo, nel senso che la misura abbia solo il nome di misura di sicurezza, ma il contenuto di pena, ad essa vanno estese tutte le garanzie proprie delle pene previste dall'art. 25, comma 2, e dall'art. 7 CEDU, ivi compresa l'irretroattività, come è appunto avvenuto nel caso di specie.
Tutto ciè è difficilmente contestabile, ma nonostante le rassicurazioni compiute dalla Consulta, residua un irriducibile contrasto di fondo con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo per così dire "di merito", ossia in ordine alla concreta individuazione dei casi necessariamente assistiti dalle garanzie penali e conseguentemente all'ambito a queste assegnato, perché la nozione di "pena" accolta, ai fini dell'art. 7 CEDU, appare notevolmente più estesa di quella cui si riferisce la Consulta. Invero, nel precedente richiamato dalla stessa pronuncia in commento (21)

(21) Corte EDU, 9 febbraio 1995, Welch c. Regno Unito, in Dir. uomo lib. fond., 2006, 340, pronunciata in riferimento alla confisca, prevista dalla legislazione inglese, di ogni bene acquisito nei 6 anni precedenti alla condanna penale per traffico di stupefacenti, sulla scorta di una presunzione che si tratti di proventi del reato., la Corte di Strasburgo non si limita ad affermare che "per rendere efficace la tutela offerta dall'art. 7 (...) deve essere libera di andare oltre le apparenze e valutare essa stessa se una determinata misura costituisca una "pena" ai sensi della predetta disposizione", ma in modo assai più pregnante individua criteri di identificazione della pena del tutto fluidi, proprio allo scopo di estendere le garanzie fondamentali dettate in materia. Illuminante è il seguente passaggio: "il punto di partenza di ogni valutazione sull'esistenza di una pena consiste nello stabilire se la misura in questione sia stata irrogata in seguito ad una condanna per un "reato". Altri elementi possono essere ritenuti pertinenti in proposito: la natura e lo scopo della misura in contestazione; la sua qualificazione in diritto interno; i procedimenti connessi alla sua adozione ed esecuzione, nonché la sua severità". Altrettanto illuminante è l'esito del giudizio che riscontra una vera e propria pena, benché espressamente si riconosca "lo scopo preventivo della confisca", che era stato opposto dal governo inglese per ammetterne l'applicazione retroattiva e ciò sulla base della semplice osservazione secondo la quale "non può escludersi che una legge che conferisce ai tribunali poteri di confisca così ampi persegua anche lo scopo di punire il delinquente. Infatti, gli scopi di prevenzione e riparazione si conciliano con quello repressivo e possono essere considerati elementi costitutivi della stessa nozione di pena" (22)

(22) Con queste poche battute la Corte europea sintetizza con grande efficacia le critiche da sempre mosse dalla dottrina al sistema del doppio binario, che impone cioè l'applicazione cumulativa di pena e misura di sicurezza, fondato su una pretesa netta distinzione di funzione tra i due tipi di sanzione, che non trova riscontro nella realtà, proprio perché si deve ritenere che "alla pena non siano estranei scopi di prevenzione speciale, così come la misura di sicurezza ha anch'essa una funzione di prevenzione generale grazie a quelle componenti afflittive che ad esse si collegano". Così, per tutti, Grasso, op. cit., 362. Con più specifico riferimento al nostro sistema si deve aggiungere, da un lato, che la funzione di prevenzione speciale della pena è imposta dal principio costituzionale secondo il quale le pene devono tendere alla rieducazione del condannato (art. 27, comma 3 Cost.) e, dall'altro, che pena e misura di sicurezza tendono a confondersi anche sul piano pratico, dal momento che la colonia agricola e la casa di lavoro vengono scontate in stabilimenti identici a quelli destinati all'espiazione delle pene detentive, col risultato che davvero non si comprende la ragione di questa duplicazione di provvedimenti sanzionatori..
Alla luce di questi criteri, non vi possono essere dubbi che la nozione di pena ai sensi dell'art. 7 CEDU si estende anche alle misure di sicurezza in senso proprio (23)

(23) Si tratta anzi di nozione ancora più allargata del binomio pena-misura di sicurezza, come definito dal diritto interno. La successiva giurisprudenza della Corte europea conferma la tendenza ad estendere progressivamente l'ambito delle garanzie proprie delle pene. Così, per limitarsi, ai precedenti che hanno direttamente coinvolto il nostro Paese, sono in esso comprese le disposizioni processuali che incidano direttamente sulla pena (cfr. Corte EDU, 17 settembre 2009, Scopola c. Italia), le sanzioni pecuniarie di natura amministrativa, quando abbiano funzione repressiva e non di mera riparazione pecuniaria (cfr. Corte EDU, 21 marzo 2006, Valico c. Italia) ed anche la stessa confisca amministrativa (cfr. Corte EDU, 30 agosto 2007, Sud Fondi c. Italia). Particolare interesse assume l'ultimo precedente citato, relativo alla ben nota vicenda di "Punta Perotti", perché la natura di pena della confisca urbanistica è stata riconosciuta a dispetto della sua riconosciuta funzione preventiva, concorrente con quella repressiva e benché possa conseguire anche ad una sentenza di proscioglimento dal reato di abusiva lottizzazione, così dimostrando come la Corte europea, al fine di evitare ogni elusione delle garanzie dettate dall'art. 7 CEDU, sappia smarcarsi dai criteri in precedenza individuati, anche da quello definito come principale, ossia la sentenza penale di condanna. In tal caso, infatti, ha ritenuto sufficiente che l'accertamento prodromico alla confisca fosse compiuto in un processo penale. Al riguardo cfr., Balsamo, La speciale confisca contro la lottizzazione abusiva davanti alla Corte europea, in Cass. pen., 2008, 3504. Cfr., da ultimo, Corte EDU, 20 gennaio 2009, Sud Fondi c. Italia, in Cass. pen., 2009, 3180, con nota di Balsamo, La Corte europea e la confisca contro la lottizzazione abusiva: nuovi scenari e problemi aperti, che ha ritenuto illegale la confisca relativa all'abusiva lottizzazione di "Punta Perotti", perché la legge sulla cui base era stata disposta non era sufficientemente determinata e, pertanto, chiara ed accessibile (tanto è vero che gli imputati furono assolti dal reato per errore scusabile a causa dell'oscurità della normativa).
Diversa è, invece, la giurisprudenza della Corte europea con riferimento alla confisca quale misura preventiva antimafia, che non viene considerata "pena", essenzialmente perché le misure di prevenzione non presuppongono un reato e la colpevolezza dell'imputato. Così Corte EDU, 22 febbraio 1994, Raimondo c. Italia; Corte EDU, 15 giugno 1999, Prisco c. Italia; Corte EDU, 5 luglio 2001, Arcuri c. Italia., le quali pertanto non possono trovare applicazione retroattiva, come invece afferma la sentenza in commento (24)

(24) A questa conclusione era già pervenuta la migliore dottrina, prima ancora della sentenza della Corte di Strasburgo citata nel testo, almeno con riferimento alle misure di sicurezza personali applicabili ai soggetti imputabili e alla confisca, residuando solo un dubbio per le misure di sicurezza personali applicate ai soggetti non imputabili, in ragione della possibile finalità terapeutica o educativa, che può trasformarle in provvedimenti pro individuo. Così, per tutti, Grasso, op cit., 391..
Non sembra, pertanto, che si possa dubitare neppure del contrasto tra l'art. 200 c.p., così come interpretato sia dalla Cassazione che dalla sentenza della Corte costituzionale in commento, con la nozione di pena imposta dall'art. 7 CEDU, proprio perché consente un'applicazione retroattiva delle misura di sicurezza, ossia di sanzioni a tutti gli effetti penali, secondo la nozione, per così dire, allargata di cui all'art. 7 CEDU. Insomma, le vaghe distinzioni fondate su pretese differenze di funzioni, proprie dei singoli diritti nazionali e liberamente manipolabili dagli interpreti, se possono valere a distinguere pene in senso stretto e misure di sicurezza con riferimento a specifici momenti di disciplina, sono del tutto ininfluenti con riferimento alle garanzie fondamentali, con la conseguenza che il principio di legalità, in tutte le sue articolazioni, compresa l'irretroattività, non può che applicarsi senza alcuna deroga anche alle misure di sicurezza.
Stando così le cose, se proprio si riteneva di non poter prescindere dal "diritto vivente" e dalla forza vincolante del richiamo all'art. 240, comma 2, c.p., contenuto nell'art. 186, comma 2, cod. str., si sarebbe dovuto concludere per l'illegittimità dell'art. 200 c.p. piuttosto che dell'art. 186 cod. str. La Consulta, invece, ha preferito agire sulla norma della legislazione speciale, sottraendo la misura della confisca dalla categoria delle misure di sicurezza, con ciò salvando la norma di sistema ma perpetuando la sua tensione con le garanzie fondamentali.
In alternativa, si sarebbe potuto pronunciare una sentenza interpretativa di rigetto, agendo ancora sull'art. 200 c.p., aderendo a quella autorevole, anche se minoritaria, dottrina che da tempo ha proposto un'interpretazione restrittiva, secondo la quale la norma non detta affatto una particolare disciplina della successione di leggi nel tempo per le misure di sicurezza, limitandosi a regolare le concrete modalità di esecuzione (25)

(25) Così, Pagliaro, voce Legge penale nel tempo, in Enc. dir., 1973, 1066. Più di recente Fiandaca-Musco, Diritto penale, Parte generale, 2007, 810 ss. Al di là dei profili di opinabilità sul piano letterale, questa interpretazione consente di superare il contrasto tra art. 200 c.p. e principio di legalità, perché riconduce la disciplina della successione di leggi, anche per le misure di sicurezza, all'art. 2 c.p., proponendosi come interpretazione adeguatrice del diritto interno alle norme della CEDU.. Viceversa, se proprio si voleva assumere una posizione conservatrice, sarebbe stato forse meglio limitarsi ad una interpretazione adeguatrice dell'art. 186 cod. str., come ha poi fatto la sentenza delle Sezioni Unite, svalutando il richiamo all'art. 240, comma 2, c.p., e come si era già fatto in tema di confisca per equivalente (26)

(26) Cfr. nota 6., anche perché la forza vincolante del "diritto vivente" avrebbe potuto essere messo in discussione, considerando che si trattava di un orientamento interpretativo di una disposizione di legge assai "giovane", entrata in vigore da appena 2 anni e che i primi contrasti iniziavano a manifestarsi sia nella giurisprudenza della Cassazione che nella giurisprudenza di merito (27)

(27) Cfr. nota 9. Ritiene fosse preferibile una sentenza interpretativa di rigetto anche Amato, Un'illegittimità costituzionale derivata dal contrasto con la regola generale della Convenzione europea, in Guida dir., 2010, 27, 67..
Invece, affermare che il richiamo all'art. 240 c.p. imponesse l'applicazione retroattiva, nonostante la natura sostanziale non di misura di sicurezza ma di vera e propria pena, con conseguente declaratoria di illegittimità costituzionale del richiamo medesimo, pur consentendo di risolvere in modo corretto il caso oggetto di giudizio, con esclusione di ogni applicazione retroattiva ed anzi col pregio della forza vincolante, ha necessariamente reso evidente il contrasto tra la disciplina delle misure di sicurezze propriamente intese e le garanzie penali imposte dall'art. 7 della CEDU.
5. ASPETTI OPERATIVI: A) SEQUESTRO PREVENTIVO
A prescindere dalle possibili riflessioni di sistema, si deve tuttavia ammettere che le sentenze in commento abbiano definitivamente risolto, ed in modo condivisibile, il più grave problema operativo in merito alla confisca prevista dall'art. 186 cod. str., superando qualsiasi tentazione di applicazione retroattiva che la prassi aveva in precedenza proposto.
Ma la nuova qualificazione quale confisca-pena rischia di aprire nuovi fronti di problematicità in riferimento alla possibilità di disporre il sequestro preventivo del veicolo, a norma dell'art. 321 c.p., e di applicare la confisca anche col decreto penale di condanna che occorre ora affrontare, benché non siano direttamente considerati dalle sentenze in commento.
Sul primo punto, va premesso che l'art. 321 c.p.p. prevede il sequestro preventivo in due distinte ipotesi: a) quando la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati (comma 1); b) delle cose di cui è consentita la confisca (comma 2). È stata poi aggiunta (28)

(28) Dall'art. 6, comma 3 della l. n. 97/2001 che ha introdotto nell'art. 321 c.p.p. il comma 2-bis.l'ulteriore previsione in base alla quale nei procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., il giudice dispone il sequestro dei beni di cui è consentita la confisca (cfr. comma 2-bis), con ciò permettendo il sequestro preventivo del prezzo e del profitto del reato, anche nella forma c.d. per equivalente, a norma dell'art. 322-ter c.p.
Ciò chiarito, una considerazione unitaria della funzione cautelare in termini "preventivi" per le ipotesi di cui ai primi due commi potrebbe portare alla paradossale conclusione per la quale il sequestro preventivo del veicolo non sarebbe più automaticamente consentito, proprio in relazione alla riconosciuta funzione essenzialmente repressiva della confisca. Questa conclusione potrebbe fondarsi sulla considerazione che il comma 1 presuppone una pericolosità della cosa, in relazione all'aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato commesso ovvero all'agevolazione di reati ulteriori, e che il comma 2 si riferisce unicamente alla confisca-misura di sicurezza, anch'essa fondata sulla pericolosità della cosa, sia pure valutata ex ante dal legislatore. Conferma a questa impostazione verrebbe proprio dalla previsione dell'ultima ipotesi, ossia dalla possibilità di procedere ad un sequestro preventivo di cose di cui è consentita la confisca, anche a prescindere dalla pericolosità delle cose, come tipicamente accade proprio per la confisca c.d. per equivalente. Ma allora, si potrebbe ragionare, se il sequestro preventivo delle cose di cui è consentita la confisca per equivalente, ossia di una specifica ipotesi di confisca-pena, ha richiesto una espressa previsione di legge, si deve concludere che in tutte le altre ipotesi di confisca-pena, il sequestro preventivo non sarebbe possibile, se non a norma del comma 1, ossia motivando in ordine alla pericolosità in concreto della cosa, perché, altrimenti, la nuova previsione sarebbe inutile essendo il sequestro preventivo anche dei beni sottoponibili alla confisca di cui all'art. 322-ter c.p. già possibile a norma del comma 2.
Nella nostra materia, il sequestro preventivo del veicolo sarebbe possibile solo motivando che sussiste il pericolo di un suo ulteriore utilizzo illecito, ad es. sulla base di precedenti specifici ovvero dello stato di alcolismo dell'imputato. In caso contrario il sequestro "preventivo" non sarebbe possibile.
Si tratta tuttavia di conclusioni che vanno certamente respinte, perché tratte da premesse che non possono essere in alcun modo condivise. Anzitutto, secondo le indicazioni della migliore dottrina, va escluso che la funzione del sequestro previsto nei primi due commi dell'art. 321 c.p.p. sia la medesima, dovendosi al contrario ravvisarsi "due istituti distinti nelle finalità, anche se unificati dalle modalità operative", tanto che nel comma 2 il carattere preventivo del sequestro assume una "connotazione del tutto autonoma (...) in ragione della sua specifica finalità, che è unicamente quella di vincolare i beni al fine di renderne efficace una loro eventuale confisca" (29)

(29) Garavelli, Commentario breve al codice di procedura penale, a cura di Conso-Grevi, 2005, sub art. 321 c.p.p., III e VIII.. D'altra parte, circoscrivere l'art. 321, comma 2, c.p.p., ai soli beni passibili della confisca-misura di sicurezza appare del tutto arbitrario proprio alla luce della persistente polisemia che il termine assume nei vari contesti, come più volte affermato sia dalla Corte costituzionale che dalla Cassazione (30)

(30) Si consideri inoltre che, come già più volte si è sottolineato, persino nella categoria della confisca-misura di sicurezza il presupposto della "pericolosità della cosa" è spesso più apparente che reale. La realtà è che funzione preventiva e funzione repressiva si combinano variamente a seconda dei contesti normativi di rifermento e della concreta disciplina adottata, tanto all'interno della categoria della confisca-misura di sicurezza quanto in quella della confisca-pena. Se cosè è, appare del tutto arbitrario condizionare l'operatività del meccanismo cautelare, dalla legge previsto in via generale, da classificazioni puramente formali.. Se ne deve concludere che il sequestro preventivo previsto dall'art. 321, comma 2, c.p.p., a differenza di quello previsto dal comma 1, non presupponga affatto una pericolosità della cosa accertata in concreto, ma solo il presupposto della confiscabilità, in base al codice penale o alle leggi speciali, come espressamente affermato dalla giurisprudenza della Cassazione (31)

(31) Cass. pen., 19 gennaio 1994, n. 151, rv. 198258, in Cass. pen., 1995, 3459, con nota di Mendoza, Sequestro preventivo tipico e sequestro preventivo funzionale alla confisca. Secondo Cass. pen., 25 giugno 1999, n. 2415, rv. 214173 "il comma 2 dell'art. 321 c.p.p. consente il sequestro delle cose confiscabili non solo ai sensi della norma generale di cui all'art. 240 c.p., ma in virtù di qualunque altra disposizione dell'ordinamento giuridico", comprese quelle relative alle misure preventive antimafia..
È bensì vero che una simile interpretazione rischia di rendere evanescente il significato innovativo del comma 2-bis dell'art. 321 c.p.p., al quale tuttavia può essere assegnato un valore meramente "rafforzativo", ossia una funzione di eliminare ogni dubbio sulla possibilità di disporre il sequestro preventivo in ordine ad una ipotesi di confisca caratterizzata da una marcata atipicità, rispetto alla disciplina generale, consentendo l'apprensione di beni privi di qualsiasi vincolo di pertinenzialità col reato commesso.
Con riferimento più specifico alla confisca in esame, la soluzione proposta appare del resto imposta anche alla luce della sentenza delle Sezioni Unite in commento, che ha affermato la natura penale della confisca prevista dall'art. 186, comma 7, cod. str., proprio al dichiarato fine di consentirne il sequestro preventivo, senza minimamente porsi il problema che la finalità sanzionatoria della confisca possa precludere questa conclusione. Con riferimento poi all'ipotesi di cui al comma 2 della norma citata, va pure avvertivo che, al di là di tutti i discorsi sulla funzione della misura, in fondo la legislazione speciale ha reso obbligatoria una confisca che sarebbe facoltativa in base alla disciplina generale e sarebbe contraddittorio che una norma che renda obbligata una soluzione normalmente solo eventuale determini il risultato di sfornirla dell'apparato cautelare. Né manca una indicazione testuale che contraddica la tesi qui criticata, perché il penultimo periodo dell'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str., nello stabilire che il veicolo sottoposto a sequestro possa essere affidato in custodia al trasgressore, salvo che abbia commesso altri reati di guida in stato di ubriachezza, sembra presupporre sempre il sequestro del veicolo, anche a prescindere dall'accertamento concreto della pericolosità della cosa. La sussistenza di una situazione tipizzata di pericolosità della cosa ha infatti conseguenze solo sulla possibilità di affidare in custodia il veicolo al trasgressore o meno e non condiziona in alcun modo il provvedimento cautelare.
Infine, come già si è avuto modo di notare, l'efficacia general-preventiva di questa inedita pena che è la confisca del veicolo, riposa almeno in parte proprio sulla possibilità di "anticipazione" garantita dal sequestro preventivo (32)

(32) Ciò non determina violazione della presunzione di innocenza perché "l'anticipazione di pena" assume rilievo sul piano empirico, ossia della percezione da parte del destinatario, che condiziona l'efficacia deterrente della pena, ma non impedisce di qualificare tecnicamente il sequestro come provvedimento cautelare, fondato sul fumus delicti e sul periculum di elusione della pena, dal momento che l'alienazione del veicolo a terzi di buona fede nelle more del giudizio la renderebbe inapplicabile.. Né può far cambiare conclusione il giusto rilievo secondo il quale in tutte le ipotesi di confisca-pena, con prevalente funzione repressiva, la funzione del relativo sequestro "preventivo" tende a virare in senso decisamente "conservativo", perchè è chiaro che in questo caso la finalità è quella di assicurare il buon esito della pena, contro il rischio di facili elusioni.
6. (SEGUE). B) DECRETO PENALE DI CONDANNA
In termini decisamente più problematici, rispetto al passato, si pone l'ulteriore questione operativa controversa, ossia se la confisca del veicolo possa essere disposta anche mediante decreto penale di condanna, posto che la norma speciale non lo prevede, facendo riferimento alle sole sentenze di condanna o di patteggiamento, e che l'art. 460, comma 2, c.p.p., prescrive che il giudice "ordina la confisca nei casi previsti dall'art. 240, comma 2, del codice penale o la restituzione delle cose sequestrate".
Al riguardo va ricordato che il testo originario dell'art. 460, comma 2, c.p.p., prevedeva che il giudice "ordina la confisca o la restituzione delle cose in sequestro", con ciò consentendo di disporre col decreto penale di condanna ogni tipo di confisca, anche quelle facoltative e quelle obbligatorie previste dalla legislazione speciale. La norma venne poi modificata, nei termini sopra riportati, nel 1999 (33)

(33) Precisamente dall'art. 37, comma 2, lett. a), della l. n. 479/1999., allo scopo di escludere la confisca facoltativa, in modo da uniformare la disciplina con quella del patteggiamento, che all'epoca escludeva la confisca, appunto al di fuori dai casi previsti dall'art. 240 cpv. c.p., dal momento che si era constatato che molte opposizioni erano dirette a patteggiare senza confisca (34)

(34) Quando poi la disciplina del patteggiamento venne modificata con la legge sul c.d. patteggiamento allargato (l. n. 134/2003) nel senso di consentire la confisca in tutti i casi previsti dall'art. 240 c.p., il legislatore si dimenticò di modificare, in modo corrispondente, l'art. 460, comma 2, c.p.p., col risultato (non voluto) di invertire il rapporto originario tra i due riti speciali con riferimento a questo particolare contenuto..
Ricordata l'origine della norma, già prima delle sentenze in commento non era mancato chi aveva escluso la possibilità di disporre la confisca del veicolo col decreto penale di condanna, sul rilievo che, da un lato, la norma speciale contemplava solo la sentenza di condanna o di patteggiamento e, dall'altro, che la confisca in parola, pur obbligatoria, non poteva considerarsi rientrante nei casi previsti dall'art. 240, comma 2, c.p.p., essendo piuttosto una cosa che è servita a commettere il reato (35)

(35) Cosi Cozzella, Il nuovo art. 186, comma 2, lett. c) codice della strada: è consentita la confisca del veicolo in caso di decreto penale di condanna?, in Giur. merito, 2009, 2522 ss.. L'interpretazione in parola poteva giovarsi della prevalente giurisprudenza della Cassazione in tema di confisca prevista dalla normativa in materia di rifiuti (36)

(36) Cfr. Cass. pen., 18 gennaio 2008, n. 7475, rv. 239008; Cass. pen., 22 maggio 2008, n. 26548, rv. 240343; Cass. pen., 19 marzo 2009, n. 24659, rv. 244019; e Cass. pen., 7 luglio 2009, n. 36063, rv. 244607. In particolare le ultime due sentenze citate hanno valorizzato non solo l'aspetto formale e l'inammissibilità di una estensione analogica in malam partem, ma anche la differente natura tra la confisca prevista dall'art. 240 cpv. c.p. in relazione a cose intrinsecamente pericolose e, pertanto, misura di sicurezza a tutti gli effetti e le confische previste dalla leggi speciali che "prescindono dalla pericolosità intrinseca della cosa e spesso costituiscono sanzioni vere e proprie" (cfr. sentenza n. 36063/2009). Con specifico riferimento alla confisca dell'area adibita a discarica abusiva viene definita "una forma di rappresaglia nei confronti dell'autore del reato" che "mira a colpirlo nei suoi beni", configurandosi come sanzione aggiuntiva, che sarebbe comprensibile che il legislatore avesse voluto escluderla nei casi di decreto penale di condanna, tipicamente meno gravi, perché "sarebbe irrazionale consentire una forte mitigazione di pena ed imporre nel contempo una misura di sicurezza tanto radicale" (cfr. sentenza n. 24659/2009). In senso contrario, tuttavia, cfr. Cass. pen., 4 dicembre 2007, n. 4545, rv. 238853, che argomenta l'opposta conclusione "secondo un'interpretazione teleologica e sistematica delle norme in materia, in base alla quale anche nel rito monitorio il giudice ha il dovere di disporre la confisca ogni volta che sia obbligatoria o ai sensi dell'art. 240, comma 2, c.p.p., o ai sensi delle leggi speciali"..
Tuttavia, con due successive pronunce la Cassazione ha affermato la necessità di disporre la confisca del veicolo, a norma dell'art. 186 cod. str., anche col decreto penale di condanna, sia in forza dell'espresso richiamo all'art. 240, comma 2, c.p.p., da intendersi "non come riferimento alla natura ed alle caratteristiche delle cose ivi elencate, bensì nel senso della previsione dell'obbligatorietà della confisca", sia accogliendo una interpretazione ampia di "sentenza di condanna, comprensiva dunque anche del decreto penale" (37)

(37) Cass. pen., 21 ottobre 2009, n. 43501, rv. 245422; e Cass. pen., 24 febbraio 2010, n. 14514, rv. 247025.. Il contrasto con la giurisprudenza sviluppatasi nella materia dei rifiuti viene superato col rilievo che la confisca in esame è sostenuta "da una ratio legis correlata a pressanti esigenze di prevenzione, del tutto specifiche alla materia speciale della circolazione stradale dei veicoli".
La soluzione poteva essere condivisa perché era ragionevole pensare che l'espresso richiamo all'art. 240, comma 2, c.p., conferisse all'obbligatorietà della confisca in esame la stessa forza prevista nel sistema per la confisca di cui alla norma richiamata, a maggior ragione ove si consideri la maggiore perentorietà della formula linguistica che la prevede ("è sempre disposta"), a confronto con quella utilizzata in materia di rifiuti (38)

(38) Cfr. l'art. 256, comma 3, d.lgs. n. 152/2006 ("alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p., consegue la confisca...").. D'altra parte, deve essere pure osservato che, salvo specifiche deroghe all'estensione ai decreti penali del regime delle sentenze, per il resto i due strumenti devono ritenersi parificati e si tratta di regola che trova fondamento nella natura stessa del decreto penale di condanna, che è provvedimento a cognizione piena come la sentenza e a differenza della sentenza di patteggiamento, tanto che risulterebbe contraddittorio ammettere la confisca solo in quest'ultimo caso, anche considerando l'origine del tutto estemporanea dell'attuale formulazione dell'art. 460, comma 2, c.p.p.
Tuttavia ora la questione sembra porsi in modo differente ed ancora più problematico, perché, da un lato, la sentenza della Consulta ha eliminato il richiamo all'art. 240 cpv. e, dall'altro, la sentenza delle Sezioni Unite, nel qualificare la confisca come sanzione penale accessoria, sembra richiamare la categoria delle pene accessorie vere e proprie, che però sono espressamente escluse dal decreto penale di condanna dalla norma che definisce il contenuto premiale del rito speciale, ossia l'art. 460, comma 5, c.p.p. In effetti, venuto meno l'argomento fondato sul richiamo dell'art. 240 cpv. c.p., anche quello fondato sull'interpretazione estensiva della norma speciale, con riferimento all'espressione "sentenza di condanna", rischia di evaporare proprio in ragione dell'espressa disciplina derogatoria prevista per il decreto penale di condanna per le pene accessorie.
Sennonché non mancano argomenti contrari. Anzitutto, si può osservare come la declaratoria di incostituzionalità del riferimento all'art. 240, comma 2, c.p., non ha minimamente intaccato la forza vincolante della clausola di obbligatorietà, che costituiva il fondamento della soluzione in precedenza accolta, essendo giustificata da tutt'altre ragioni e, precisamente, dalla ritenuta esclusione delle garanzie fondamentali in materia penale. Non sarebbe allora corretto ritenere che l'obbligatorietà della confisca ne risulti modificata e sminuita, a maggior ragione ove si consideri come in effetti essa emerga in modo chiaro anche dalla parte della norma non intaccata dalla declaratoria di incostituzionalità, laddove prescrive appunto che la confisca "è sempre disposta". Del resto, indiretta ma importante conferma dell'obbligo di disporre la confisca anche col decreto penale di condanna viene dalla sentenza della Consulta in commento, originata proprio da una richiesta di decreto da parte del PM, perché se non fosse consentito disporla in quella sede, la questione di incostituzionalità sollevata dal GIP avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile, per difetto di rilevanza, dal momento che la norma sospetta non avrebbe comunque potuto trovare applicazione nel procedimento a quo. Il fatto che la questione sia stata decisa nel merito costituisce pertanto prova che per la Corte costituzionale è pacifico che anche il GIP possa e debba applicare la confisca in parola col decreto penale di condanna.
Con riferimento poi alla pronuncia delle Sezioni Unite si può osservare che la parte meno condivisibile della sentenza è proprio quella che qualifica la sanzione di confisca in termini di accessorietà, rispetto alle pene classiche, trattandosi di affermazione che si pone in netto contrasto col ruolo centrale riconosciutole nell'armamentario di strumenti messo in campo dal legislatore con funzione di prevenzione dell'illecito. Non si può fare a meno di notare, infatti, che escludere l'applicabilità della confisca col decreto penale di condanna, che è un rito speciale molto utilizzato in questa materia, significherebbe sconfessare proprio la strategia di prevenzione generale configurata dal legislatore, minando la stessa effettività della nuova sanzione. La qualificazione più corretta sembra allora essere quella di pena principale, che si affianca a quelle classiche, senza alcun vincolo di accessorietà (39)

(39) La soluzione non costituisce una novità assoluta nell'ordinamento perché l'art. 9 del d.lgs. n. 231/2001, in tema di responsabilità degli enti, configura la confisca appunto in termini di sanzione principale, accanto alle sanzioni pecuniarie ed interdittive. Analogamente come pena principale è configurata la confisca dal progetto di riforma del codice penale elaborato dalla Commissione Nordio..
La considerazione quale pena principale sembra del resto confermata dalla particolare disciplina cui è stata sottoposta dal legislatore, scarsamente compatibile con la sua pretesa accessorietà. Da un lato, infatti, la confisca resta insensibile alla sospensione condizionale della pena e, dall'altro, è necessariamente disposta dal giudice e non consegue automaticamente dalla sentenza di condanna. Entrambi gli aspetti di disciplina indicati non solo contrastano con la disciplina generale delle pene accessorie, di cui agli artt. 20 e 164, comma 3, c.p., ma confermano il ruolo centrale riconosciutole dal legislatore, tanto da imporne sempre l'applicazione e la statuizione in sentenza.
7. LA LEGGE 29 LUGLIO 2010, N. 120: LA CONFISCA DEL VEICOLO È STATA TRASFORMATA IN SANZIONE AMMINISTRATIVA ACCESSORIA?
Tutte le riflessioni sopra svolte e la stessa elaborazione delle Sezioni Unite e della Corte costituzionale rischiano di nascere vecchie e già superate a causa dell'iperattività del legislatore in questa materia. Infatti, la legge 29 luglio 2010, n. 120 (40)

(40) Entrata in vigore il 30 luglio 2010 per la parte qui considerata, perché l'art. 33, u.c. dispone che le disposizioni di modifica degli artt. 186, 186-bis e 187 entrano in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale., ha proceduto ad una complessiva riforma del codice della strada che ha investito anche la disciplina della confisca e del sequestro del veicolo, contenuta nell'ultima parte dell'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str. (41)

(41) Anche l'art. 187 cod. str. è stato modificato in modo corrispondente. Il più grave reato di guida in stato di ebbrezza ha poi subito ulteriori modifiche, quali l'innalzamento del limite edittale minimo della pena detentiva dell'arresto (da 3 a 6 mesi) ed aspetti di dettaglio della disciplina della revoca della patente, che non saranno oggetto di trattazione in questa sede..
In particolare, per ciò che qui interessa, vengono in rilievo tre novità. Anzitutto, è stato eliminato il riferimento all'art. 240, comma 2, c.p. In questo modo il legislatore ha provveduto ad uniformare il testo della norma alla sentenza della Corte costituzionale in commento. In secondo luogo, è stata eliminata la possibilità di affidare in custodia al trasgressore il veicolo sequestrato. Infine, è stato inserito, a chiusura della norma, l'inciso "ai fini del sequestro si applicano le disposizioni di cui all'art. 224-ter".
A sua volta l'art. 224-ter cod. str., inserito ex novo dall'art. 44 della legge, detta un'articolata disciplina del "procedimento di applicazione delle sanzioni amministrative della confisca amministrativa e del fermo amministrativo in conseguenza di ipotesi di reato", come recita la rubrica della norma. Il comma 1 di quest'ultimo articolo prevede che, nelle ipotesi di reato per le quali è prevista la sanzione amministrativa accessoria della confisca, si proceda al sequestro ai sensi dell'art. 213 cod. str. (ossia la norma che disciplina in via generale sequestro e confisca amministrativa), in quanto compatibile, ma con la precisazione che il veicolo dovrà essere obbligatoriamente affidato ai soggetti di cui all'art. 214-bis cod. str., ossia ai c.d. custodi-acquirenti. Inoltre, sempre il nuovo art. 224-ter cod. str. dispone anche che nelle stesse ipotesi sia trasmessa al Prefetto copia della sentenza o del decreto penale di condanna, affinché possa disporre la confisca amministrativa e che avverso il provvedimento di sequestro sia ammessa opposizione ai sensi dell'art. 205 cod. str., ossia avanti all'autorità giudiziaria civile. Infine, viene dettata una disciplina apposita per i casi di declaratoria di estinzione del reato, devolvendo al Prefetto la valutazione circa la sussistenza delle condizioni per disporre la sanzione amministrativa accessoria, nonché di sentenza di proscioglimento, con previsione di restituzione del veicolo all'intestatario.
Alla luce di questi interventi normativi i primi autorevoli commenti hanno concluso nel senso che il legislatore ha qualificato in termini amministrativi non solo il sequestro ma anche la confisca del veicolo prevista dall'art. 186 (e 187) cod. str., analogamente a quanto già previsto per la sospensione e la revoca della patente (42)

(42) Cfr., Relazione III/8/10 del 3 agosto 2010 dell'ufficio del Massimario della Cassazione, in www.cortedicassazione.it, sezione novità. Brichetti-Pistorelli, Massima severità per chi rifiuta il test spirometrico, in Guida dir., inserto 4-35 del 4 settembre 2010, 19 ss.. La disciplina del sequestro effettuata con espresso richiamo al nuovo art. 224-ter cod. str. esclude, inoltre, che si possa ancora procedere al sequestro preventivo del veicolo a norma dell'art. 321 c.p.p., possibile solo nel caso sia prevista una confisca della cosa di natura penale, dovendosi invece procedere esclusivamente al sequestro amministrativo. Alla stessa conclusione è pervenuta la Circolare ministeriale 300/A/10777/10/101/3/3/9, che ha anche precisato che trovano applicazione le procedure di sequestro di cui all'art. 213 cod. str. e che dopo la condanna il veicolo sequestrato è oggetto di confisca con provvedimento del Prefetto. Poiché la Circolare citata costituisce nella sostanza le istruzioni per l'uso destinate agli operatori di polizia, è pressoché certo che questi si asterranno dall'inviare i verbali di sequestro in Procura per la successiva convalida, con la conseguenza che l'interpretazione sopra esposta si affermerà nella prassi, prima ancora che nei commenti.
Questa interpretazione consente, da un lato, di liberare la giurisdizione penale dal carico della gestione dei sequestri e delle confische dei veicoli, che resta interamente devoluta all'autorità amministrativa e, dall'altro, permette di superare tutti i problemi in tema di sequestro e di decreto penale di condanna, di cui sopra si è detto, essendo certo, da un lato, che si potrà disporre il solo sequestro amministrativo e, dall'altro, che anche in caso di decreto penale di condanna potrà essere disposta la sanzione amministrativa accessoria della confisca, dal momento che il nuovo art. 224-ter, comma 2, cod. str., espressamente prevede la comunicazione al Prefetto anche del decreto penale di condanna, proprio al fine di consentire l'applicazione della confisca. Inoltre è certo che col decreto penale di condanna possano essere applicate le sanzioni amministrative accessorie, come sino ad ora avvenuto pacificamente per la sospensione e la revoca della patente.
Sennonché non sembra proprio che si tratti di conclusioni scontate, anzitutto perché la perdurante natura penale della confisca potrebbe ancora essere argomentata dalla circostanza che l'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str., continua ad affermare che essa è disposta dal giudice con la sentenza di condanna o di patteggiamento. Proprio con riguardo alla distinzione tra pene e sanzioni amministrative la migliore dottrina, nel sottolineare l'assenza di criteri sostanziali, ha affermato che "ogni qual volta noi troviamo una sanzione a contenuto afflittivo (...) la quale non può essere inflitta che dalla giurisdizione penale e per fatti di cui solo la giurisdizione penale stessa può accertare la sussistenza e le responsabilità, noi dobbiamo riconoscere in detta sanzione una pena criminale" (43)

(43) Vassalli, La confisca dei beni, cit., 67, che fa salva l'ipotesi dell'espressa contraria volontà della legge.. Non varrebbe obiettare che in questo caso sussiste un'espressa previsione legale in senso contrario, perché nessuna norma configura esplicitamente la confisca come sanzione amministrativa accessoria e ciò vale a differenziare assai bene il caso in esame dalla sospensione e della revoca della patente, che invece sono espressamente qualificate come sanzioni amministrative accessorie. Va inoltre osservato che, per il caso della sospensione e revoca della patente, il codice della strada detta una complessa disciplina di raccordo delle competenze dell'autorità giudiziaria e dell'autorità amministrativa, con previsione di una competenza di natura cautelare e provvisoria in capo all'autorità amministrativa (cfr. art. 223 cod. str.) e l'adozione da parte dell'autorità amministrativa, dopo la pronuncia della sentenza, del provvedimento della sospensione della patente per la durata stabilita dall'autorità giudiziaria (cfr. art. 224 cod. str.).
Inoltre, la sanzione amministrativa accessoria della confisca è applicata sempre dal Prefetto, a norma dell'art. 213, comma 3, cod. str., mai dall'autorità giudiziaria, sicché una diversa disciplina sembra imporre una espressa disciplina derogatoria che nel caso in esame manca.
Non sembra che a tal fine possa essere utilizzato il rinvio all'art. 224-ter cod. str. contenuto nell'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str., perché si tratta di un rinvio doppiamente limitato dalla stessa legge. In primo luogo, è compiuto "ai fini del sequestro" e non può pertanto essere esteso anche alla confisca. In secondo luogo il rinvio è operato non alla norma che disciplina in termini generali il sequestro e la sanzione amministrativa accessoria della confisca, ossia l'art. 213 cod. str., ma alla norma che si limita a dettare il relativo "procedimento di applicazione". Insomma per diversamente qualificare la confisca del veicolo sarebbe stato sufficiente aggiungere, alla fine del periodo che la prevede, "a norma dell'art. 213", mentre si è deciso di richiamare il solo procedimento di applicazione per il sequestro.
Non solo, ma la ricorrenza di ulteriori ipotesi di reato per le quali è prevista la sanzione amministrativa accessoria della confisca del veicolo, quale ad es. la confisca del ciclomotore e del motoveicolo prevista dall'art. 213, comma 2-sexies, cod. str., nei quali la sanzione amministrativa accessoria è comunque sempre disposta dall'autorità amministrativa, previa comunicazione della sentenza penale di condanna, induce a ritenere che l'analoga disciplina prevista dall'art. 224-ter cod. str. sia appunto riferita a queste ipotesi e non già alla confisca del veicolo prevista dagli artt. 186 e 187 cod. str. Affermare che anche in tal caso la confisca sia disposta dal Prefetto, dopo la comunicazione della sentenza e del decreto penale di condanna divenuti irrevocabili, è in chiara contraddizione con la disposizione secondo la quale la confisca è disposta dal giudice nella sentenza penale (44)

(44) Infine, non mancano ulteriori argomenti testuali a sostegno della perdurante natura penale della confisca. Anzitutto, l'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str., continua a disporre che la confisca deve essere disposta in sentenza di condanna "anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena", precisazione del tutto inutile se davvero si trattasse di una sanzione amministrativa accessoria, essendo pacifico che la sospensione condizionale della pena non ha alcuna influenza su questo tipo di misure. Piena conferma viene dalla disciplina dettata in ordine alle sicure sanzioni amministrative accessorie conseguenti al reato, ossia la sospensione o la revoca della patente, che non contiene coerentemente alcun riferimento alla sospensione condizionale della pena. In secondo luogo, il nuovo comma 9-bis dell'art. 186 cod. str., introdotto dalla novella, nel consentire la sostituzione delle pene classiche (arresto ed ammenda) col lavoro di pubblica utilità, configura il relativo positivo svolgimento come causa di estinzione del reato, da dichiarare all'esito di un procedimento di esecuzione, la quale comporta la revoca della confisca del veicolo sequestrato. Questa atipica causa di revoca della confisca sembra meglio giustificarsi se si qualifica come pena in senso proprio, piuttosto che come sanzione amministrativa accessoria, dal momento che le pene non possono sopravvivere all'estinzione del reato, a differenza delle sanzioni amministrative, come confermato dal combinato disposto di cui agli artt. 200, comma 4, e 221, comma 2, cod. str., per le sanzioni principali, dall'art. 224, comma 3, cod. str., per le sanzioni accessorie della sospensione e revoca della patente e, ora, dal nuovo art. 224-ter, comma 6, cod. str., per la confisca quale sanzione amministrativa accessoria. È bensì vero che l'argomento non appare decisivo, perché il comma 9-bis cit. dispone che l'estinzione del reato determina conseguenze anche sulla sospensione della patente, che è ridotta della metà, ma la circostanza, da un lato, che si tratta di una semplice riduzione e non di una revoca e, dall'altro, che l'ulteriore sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente resta immutata, conforta la conclusione raggiunta..
D'altra parte, l'interpretazione qui criticata non è priva di controindicazioni, perché pone delicati problemi di diritto transitorio. Ci si può legittimamente chiedere, infatti, se la diversa qualificazione giuridica della confisca abbia o meno determinato una successione nel tempo di sanzioni di tipo diverso, nel senso che alla confisca di natura penale in precedenza prevista sia subentrata la confisca di natura amministrativa, prevista dalla novella. Se così fosse, poiché manca una disciplina transitoria, si porrebbero tutti i delicati problemi da tempo emersi in caso di successione tra sanzioni penali e sanzioni amministrative (45)

(45) In tema di depenalizzazione, in particolare, Sez. Un. pen., 16 marzo 1994, n. 7394, rv. 197698, in Cass. pen., 1994, 2659; e ivi, 1995, 1806, con nota di Albano, Nuovo codice della strada, depenalizzazione e diritto transitorio, hanno affermato che, in assenza di una disciplina transitoria analoga a quella dettata dagli artt. 40 e 41 l. n. 689/1981, i fatti pregressi alla depenalizzazione vanno esenti da qualsiasi sanzione, non quella penale perché abrogata, non quella amministrativa per il divieto di applicazione retroattiva. Successivamente, ma in un passaggio meramente incidentale, Sez. Un. pen., 27 ottobre 2004, n. 1327, rv. 229635, hanno affermato l'opposto principio della generale applicazione della disciplina di cui agli artt. 40 e 41, l. n. 689/1981 (che comporta l'applicazione della sanzione amministrativa, quale disciplina più favorevole). Così anche Cass. pen., 25 gennaio 2005, n. 7180, rv. 233577. Il caso in esame presenta la particolarità che l'illecito è rimasto reato e muta la sola qualificazione giuridica di un'unica sanzione, il cui contenuto resta peraltro immutato, sicché l'esito affermato dalle prime sentenze qui citate sarebbe davvero paradossale. Viceversa il problema si pone nella sua accezione classica, con riferimento alla depenalizzazione del meno grave reato di guida in stato di ebbrezza , con tasso alcolemico accertato entro la soglia di 0,8 g/l, operata dall'art. 33, comma 1, lett. a), l. n. 120/2010., con grave incertezza della disciplina applicabile in riferimento ai reati commessi prima dell'entrata in vigore della novella, ossia il 30 luglio 2010.
Può allora legittimamente proporsi un'interpretazione alternativa, che ritenga il rinvio operato all'art. 224-ter cod. str., da un lato, limitato al solo sequestro e, dall'altro, alle sole sue modalità esecutive, con particolare riferimento all'individuazione dei soggetti che possono essere nominati custodi. In questa prospettiva, cioè, la legge avrebbe semplicemente inteso unificare la procedura esecutiva del sequestro amministrativo e di quello penale da parte delle forze dell'ordine, fermo restando che il secondo debba essere convalidato dal GIP, trattandosi pur sempre di un sequestro preventivo, a norma dell'art. 321 c.p.p. La perdurante natura penale, sia del sequestro che della confisca, non potrebbe invece essere posta in discussione, con tutte le conseguenze ed i problemi che sopra si sono evidenziati.
Non manca un'ulteriore interpretazione possibile, maggiormente aderente alla lettera della legge e, per così dire, intermedia, che qualifichi in termini amministrativi il solo sequestro, che verrebbe pertanto ad assumere un ruolo cautelare-anticipatorio, rispetto alla misura penale della confisca. È vero che si tratterebbe di una soluzione piuttosto strana, di una misura cautelare di natura amministrativa che accede ad una confisca di tipo penale, ma potrebbe trovare una sua logica proprio nell'intento di uniformare tutte le procedure e formalità gravanti sulla polizia giudiziaria, prima del provvedimento definitivo. Da questo punto di vista si tratterebbe di una soluzione elaborata sulla falsa riga dei provvedimenti provvisori che adotta il Prefetto nel caso di sospensione della patente, a norma dell'art. 223 cod. str. (46)

(46) Corrisponderebbero anche i meccanismi di tutela, perché sia contro i provvedimenti provvisori di sospensione della patente, di cui all'art. 223 cod. str., sia contro il sequestro amministrativo, di cui al nuovo art. 224-ter cod. str., è ammessa opposizione a norma dell'art. 205 cod. str., avanti all'autorità giudiziaria civile, senza che ciò interferisca sulla competenza dell'autorità giudiziaria penale a disporre la sanzione definitiva (in un caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione o della revoca della patente, nell'altro la sanzione penale della confisca)..
Come si può vedere, ancora gravi sono i problemi di interpretazione e di applicazione della disciplina prevista per la confisca del veicolo dall'art. 186 cod. str.

Da: x i bacchettoni15/12/2010 12:23:14
...tanto là dentro, dove vorrei aiutare, i blackberry sono spenti ed anche per andare in bagno è un casino.... niente privacy... in bocca al lupo a chi riesce a dare una mano inviando articoli e sentenze, non ci vedo nulla di male tanto comunque il parere lo devono ben scrivere loro! non mi pare un grave reato o sbaglio?

Da: no ai palmari15/12/2010 12:24:05
spero solo che vi becchino tutti

Da: Wikileaks15/12/2010 12:25:07
no ai palmari spero di beccarti io

Da: help15/12/2010 12:25:25
scusate devo aiutare una mia amica. a napoli hanno dettato?

Da: ale15/12/2010 12:26:34
dalla traccia nn si evincono fatti commessi nel 2009. non prendiamo abbagli, ragioniamo

Da: av15/12/2010 12:27:10
vi prego ci sono soluzioni ??????????????????

Da: aiuto15/12/2010 12:27:13


Per la prima traccia.
punti da affrontare dopo l'esame del reato di stalking
Uno dei primi problemi applicativi sollevato dalla nuova disposizione è quello di farne un'applicazione rispettosa del principio di irretroattività della norma penale.
A generare incertezze è, in primo luogo, l'ipotesi in cui solo una parte delle condotte di minaccia o molestia sia realizzata dopo l'entrata in vigore del decreto legge, collocandosi, la restante parte, in epoca antecedente. I primi autori che hanno affrontato la questione hanno osservato come l'art. 2 c.p., al 1° e al 4° co., ricolleghi il divieto di retroattività della norma incriminatrice al momento della commissione del reato. Ne consegue che la nuova disposizione di legge sarà applicabile qualora la consumazione del reato si collochi temporalmente dopo l'entrata in vigore della novella, raggiungendo, successivamente a tale data, la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice (PISTORELLI, 10).
A favore di questa soluzione, si veda T. Milano 17.4.2009, in cui si stabilisce che il delitto di stalking deve ritenersi commesso dopo l'entrata in vigore del D.L. 23.2.2009, n. 11, qualora anche un solo atto di minaccia o molestia sia stato compiuto dopo tale data, con la conseguenza che il nuovo reato si potrà applicare anche a condotte poste in essere, reiteratamente, in parte prima e in parte dopo il suo ingresso nel nostro ordinamento. Contra, Uff. Indagini Preliminari Reggio Emilia, ord., 12.3.2009, secondo cui, per verificare la sussistenza del reato, non si potranno prendere in considerazione i singoli episodi di minaccia o molestia commessi prima dell'entrata in vigore della norma, ma solo quelli successivi.
Atra questione spinosa si ha nel caso in cui, prima dell'entrata in vigore della novella, le minacce o le molestie abbiano già raggiunto un livello di reiterazione sufficiente per integrare la condotta tipica del reato. In tal caso è evidente che se anche l'evento si è verificato in epoca antecedente l'entrata in vigore della norma, essa non risulterà applicabile, ancorché le minacce o le molestie proseguano anche dopo tale data (PISTORELLI, 11). Se, poi, la serialità delle condotte illecite dovesse ripresentarsi nonostante la vigenza del divieto penale, a quel punto vi saranno gli estremi per ritenere quel comportamento penalmente sanzionabile

Da: confusione15/12/2010 12:27:38
LA CONFISCA DEL VEICOLO PREVISTA DALL'ART. 186, COMMI 2 E 7, COD. STR., TRA DISORIENTAMENTI INTERPRETATIVI E CAOS NORMATIVO


Resp. civ. e prev. 2010, 10, 2034

Riccardo Dies
Magistrato
Sommario: 1. L'uguale contenuto delle due sentenze. 2. Le diverse motivazioni: a) gli argomenti "letterali" delle Sezioni Unite. 3. (Segue). B) Gli argomenti di sistema delle Sezioni Unite. 4. (Segue). C) La motivazione della Consulta e le perduranti tensioni con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. 5. Aspetti operativi: a) sequestro preventivo. " 6. (Segue). B) Decreto penale di condanna. 7. La legge 29 luglio 2010, n. 120: la confisca del veicolo è stata trasformata in sanzione amministrativa accessoria?


1. L'UGUALE CONTENUTO DELLE DUE SENTENZE
La lettura coordinata delle sentenze in commento, pur fondate, come si vedrà, su percorsi argomentativi in parte differenziati, permette di individuare in tema di confisca del veicolo, prevista dall'art. 186 cod. str. per i reati di guida in stato di ubriachezza (con tasso alcolemico superiore alla soglia di 1,5 g/l) e di rifiuto degli accertamenti alcolimetrici (1)

(1) Le ipotesi di confisca in parola sono state introdotte dall'art. 4 del d.l. n. 92/2008 (in G.U. 26 maggio 2008, n. 122), con decorrenza dal 27 maggio 2008, per il più grave reato di guida in stato di ebbrezza e dalla l. n. 125/2008 (in G.U. 25 luglio 2008, n. 173), di conversione del sopra indicato decreto legge, per il caso di rifiuto degli accertamenti alcolimetrici, con decorrenza dal 26 luglio 2008. La riforma del 2008 ha poi introdotto, nel corpo dell'art. 187 cod. str., analoghe ipotesi di confisca per i reati di guida in stato di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti e di rifiuto degli accertamenti strumentali, medianti norme di rinvio alle corrispondenti norme contenute nell'art. 186 cod. str., alcuni punti fermi, di assoluto interesse ed in tutto condivisibili, che possono essere sintetizzati nel modo seguente: 1) la confisca prevista nelle due ipotesi ha la medesima natura "penale" e non di sanzione amministrativa accessoria; 2) ha natura essenzialmente sanzionatoria e non può, pertanto, essere qualificata in termini di misura di sicurezza patrimoniale, a norma dell'art. 240 c.p.; 3) conseguentemente ad essa non si applica l'art. 200 c.p. il quale, secondo l'interpretazione corrente, consente l'applicazione retroattiva delle misure di sicurezza, nel limitato senso che è possibile applicare una misura per un reato per il quale non era originariamente prevista oppure applicare una misura più grave, mentre è pacificamente escluso possa essere applicata una misura per fatti che nel momento in cui furono commessi non costituivano reato (2)

(2) Queste conclusioni sono fondate, da un lato, sul rilievo che l'art. 25, comma 3, Cost., non estende alle misure di sicurezza il principio di irretroattività, stabilito dal comma precedente per le pene e, dall'altro, dal riconoscimento di un collegamento tra i due commi e dalla circostanza che l'applicazione della misura di sicurezza presuppone la commissione di un reato, necessariamente regolata dal principio di irretroattività. L'ambito della retroattività delle misure di sicurezza, come sopra individuato, consente di affermare che la qualificazione in termini di misura di sicurezza della confisca ne consentiva l'applicazione retroattiva nel solo caso di guida in stato di ebbrezza , con tasso alcolemico superiore alla soglia di 1,5 g/l, previsto come reato anche prima della novella del 2008, non anche nel caso di rifiuto degli accertamenti alcolimetrici che, invece, prima della novella non era previsto come reato ma come semplice illecito amministrativo (per effetto della depenalizzazione ad opera del d.l. n. 117/2007, convertito con l. n. 160/2007)..
Il primo punto è affermato espressamente dalla sola sentenza delle Sezioni Unite (3)

(3) Viceversa la sentenza della Corte costituzionale non si pronuncia esplicitamente su questo aspetto ed anzi richiama in alcuni passaggi motivazionali le regole proprie dell'illecito amministrativo, per ricordare come anche le sanzioni amministrative siano rette dal principio di irretroattività (cfr. § 3.1.5) e la conclusione raggiunta in tema di confisca di ciclomotori o motoveicoli, prevista dall'art. 213, comma 2-sexies cod. str., che è pacificamente una sanzione amministrativa accessoria (cfr. § 5.2). Tuttavia questi riferimenti appaiono funzionali a sorreggere la conclusione principale, relativa alla natura sanzionatoria e non di misura di sicurezza della confisca del veicolo, non a confutare la sua natura penale che è sempre stata pacifica., chiamata a pronunciarsi proprio su questa questione in un procedimento in cui il Tribunale del riesame aveva annullato il sequestro del veicolo, disponendone la restituzione all'avente diritto, sul presupposto della pretesa natura amministrativa della confisca prevista dall'art. 186, comma 7, cod. str., e che il sequestro preventivo delle cose di cui è consentita la confisca (cfr. art. 321, comma 2, c.p.p.), sia riferito alla sola confisca penale e non possa, pertanto, essere applicato a cautela di una semplice sanzione amministrativa accessoria.
Gli altri due punti sono invece affermati da entrambe le sentenze, ma le Sezioni Unite non si limitano a qualificare in termini sanzionatori la misura della confisca, precisando che si tratta di una "sanzione penale accessoria", avvalorando con ciò l'accostamento alle pene accessorie, mentre solo la sentenza della Corte costituzionale era specificatamente chiamata a pronunciarsi in un caso in cui assumeva rilievo la possibilità di applicazione retroattiva della confisca prevista per il più grave reato di guida in stato di ebbrezza (4)

(4) La questione di legittimità costituzionale sia dell'art. 200 c.p. che dell'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str., è stata sollevata dal Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Lecce, chiamato a decidere su una richiesta di decreto penale di condanna per un reato commesso nel gennaio del 2008 e pertanto prima dell'entrata in vigore della norma che prevede in questo caso la confisca del veicolo, sulla base del presupposto interpretativo che l'espresso riferimento all'art. 240, comma 2, c.p., imponesse la qualificazione in termini di misura di sicurezza e l'applicazione retroattiva, a norma dell'art. 200 c.p.. La Consulta dopo aver escluso di poter risolvere il contrasto denunziato con l'art. 117 Cost., per il tramite dell'art. 7 CEDU, in via interpretativa, alla luce del diritto vivente e, in particolare, della (allora) costante o almeno prevalente giurisprudenza della Cassazione che aveva appunto reiteratamente affermato l'applicazione della misura anche alle condotte poste in essere prima del 27 maggio 2008 ha dichiarato incostituzionale l'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str., limitatamente alle parole "ai sensi dell'art. 240, comma 2, c.p.", eliminando cioè il riferimento normativo che imponeva quella conclusione (5)

(5) Viceversa, la questione sollevata con riferimento all'art. 200 c.p. è stata dichiarata inammissibile, perché una volta esclusa che nel caso in esame possa venire in considerazione una misura di sicurezza ed affermata invece la natura sanzionatoria della confisca del veicolo, l'applicabilità della norma indicata resta del pari esclusa..
Trattandosi di una sentenza di accoglimento, si deve concludere che la qualificazione della confisca in parola come vera e propria sanzione, e non come misura di sicurezza, con conseguente divieto di applicazione retroattiva, costituisca ormai un esito interpretativo imposto con forza di legge e non semplicemente suggerito da un sia pur autorevole precedente.
Va solo ancora precisato che l'impossibilità ravvisata di risolvere il conflitto con l'indicato parametro costituzionale in via interpretativa, non ha potuto tenere conto della sentenza delle Sezioni Unite che, pur precedente, è stata depositata solo in data 18 giugno 2010, dopo la decisione (26 maggio 2010) ed il deposito (4 giugno 2010) della sentenza della Consulta. Poiché, come si vedrà, la sentenza delle Sezioni Unite ha profondamente modificato il "diritto vivente", proprio con riferimento alla portata del richiamo contenuto nell'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str., all'art. 240, comma 2, c.p., escludendo sia la necessaria qualificazione della confisca in termini di misura di sicurezza sia la sua applicazione retroattiva, si può concludere che se fosse stata depositata prima, con ogni probabilità la Corte costituzionale si sarebbe limitata a pronunciare una sentenza interpretativa di rigetto, analogamente a quanto avvenuto in tema di confisca per equivalente (6)

(6) Cfr. Cort. cost., 2 aprile 2009, n. 97 (ord.), in Giur cost., 2009, 984, che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 200, 322-ter c.p. e 1, comma 143, l. n. 244/2007 (legge finanziaria del 2008, che ha esteso ai reati fiscali la misura della confisca per equivalente) proprio sulla base dell'erroneità del presupposto interpretativo da cui muoveva il giudice rimettente, alla luce del "diritto vivente" che in più di un'occasione aveva affermato la natura di vera e propria sanzione penale di questo tipo di confisca, con conseguente inapplicabilità ad essa dell'art. 200 c.p. Il precedente è specificamente richiamato nella sentenza in commento, proprio per sottolineare la diversità del "diritto vivente" nei due casi, oltre che della formulazione letterale delle due norme, con espresso richiamo all'art. 240 c.p. contenuto nel solo art. 186, comma 2, lett. c), cod. str..
2. LE DIVERSE MOTIVAZIONI: A) GLI ARGOMENTI "LETTERALI" DELLE SEZIONI UNITE
Venendo all'analisi delle motivazioni, le Sezioni Unite muovono dal rilievo che la confisca del veicolo prevista dall'art. 186, comma 7, cod. str., inserendosi nell'ambito della reintroduzione del reato di rifiuto a sottoporsi agli accertamenti strumentali, che in precedenza era stato depenalizzato, risponda alla ratio complessiva che sorregge quella scelta di politica criminale, ossia eliminare ogni interesse dell'indagato a sottrarsi alle prove previste, quando abbia fondati motivi di ritenere superata la soglia massima, tanto da rendere ragione della "completa parificazione, sotto il profilo sanzionatorio, del rifiuto ai test alcolimetrici alla più grave delle ipotesi di guida in stato di ebbrezza ". Una volta affermato il perfetto parallelismo tra le due ipotesi di confisca previste dall'art. 186 cod. str., si ha buon gioco nell'affermare la natura penale di entrambe le misure, dal momento che nessuno, né in dottrina né in giurisprudenza, ha mai dubitato della natura penale della confisca prevista per il più grave reato di guida in stato di ebbrezza , imposta del resto dalla lettera stessa della legge che, da un lato, non la qualifica espressamente come "amministrativa" e, dall'altro, compie un espresso riferimento all'art. 240 c.p. Ad ulteriore conforto della conclusione raggiunta, viene inoltre ricordato come la guida in stato di ebbrezza sia configurata unicamente come reato, mai come illecito amministrativo, con la conseguenza che la pretesa confisca amministrativa non accederebbe, come accade di norma, ad una sanzione amministrativa principale, ma ad una sanzione penale e la sua applicazione da parte del giudice penale non si giustificherebbe con la connessione tra illecito penale ed illecito amministrativo, ma in quanto sanzione amministrativa accessoria a reati per espressa previsione di legge, cosa possibile (7)

(7) Come dimostrato dalla sospensione e dalla revoca della patente proprio in tema di guida in stato di ebbrezza .ma certamente non usuale.
Risolto in poche battute il quesito posto alla loro attenzione, le Sezioni Unite si spingono oltre, impegnandosi a sciogliere l'ulteriore alternativa tra misura di sicurezza patrimoniale (riconducibile alla previsione dell'art. 240 c.p.) ovvero sanzione penale vera e propria, ed è proprio su questo punto che la sentenza presenta il carattere più innovativo e di maggior interesse, rispetto all'interpretazione corrente offerta sino ad allora dalla Cassazione, che propendeva decisamente verso la prima alternativa, motivando essenzialmente dall'espresso richiamo all'art. 240, comma 2, c.p., contenuto nell'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str. (8)

(8) In questo senso, con riferimento al caso previsto dall'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str., per lo più al fine di consentirne l'applicazione retroattiva ai reati commessi prima del 27 maggio 2008, cfr. Cass. pen., 28 agosto 2008, n. 36822, rv. 241269; Cass. pen., 27 gennaio 2009, n. 9986, rv. 243297; Cass. pen., 27 marzo 2009, n. 18517; Cass. pen, 3 aprile 2009, n. 38179, rv 245307; Cass. pen., 4 giugno 2009, n. 32932, rv. 244977; Cass. pen., 13 maggio 2009, n. 27478, rv. 245528; Cass. pen., 2 ottobre 2009, n. 1539, rv. 246295; Cass. pen., 19 gennaio 2010, n. 12406, rv. 246801. Analogamente, con riferimento al reato di guida in stato di stupefazione (art. 187 cod. str.), cfr. Cass. pen., 12 gennaio 2010, n. 12826. Per la confisca prevista nel caso di rifiuto degli accertamenti, cfr. Cass. pen., 10 giugno 2009, n. 32937. Invece, Cass. pen., 13 maggio 2009, n. 21499, rv. 243967; e Cass. pen., 28 settembre 2009, n. 48576, rv. 245361, affrontano il diverso problema della natura amministrativa ovvero penale della confisca in parola, giungendo alla conclusione della natura penale, in forza del rinvio al comma 2, lett. c), compiuto dal comma 7 dell'art. 186 cod. str., senza dire se la misura penale debba qualificarsi come misura di sicurezza ovvero come pena vera e propria., pur non mancando i precedenti contrari (9)

(9) In particolare, tre sentenze della Cassazione, nell'escludere l'inammissibilità dell'istanza di riesame del decreto di sequestro preventivo, a norma dell'art. 324, comma 7, c.p.p. (che esclude la revoca del sequestro "nei casi indicati dall'art. 240, comma 2 c.p."), pur non pronunciandosi direttamente sulla natura della confisca, hanno però espressamente escluso che il veicolo utilizzato per commettere il reato sia "cosa intrinsecamente pericolosa", con la conseguenza che il richiamo all'art. 240, comma 2, c.p., debba essere inteso non nel senso "di affermare che il caso disciplinato rientri tra quelli che detta disposizione contempla, ma semplicemente al fine di rimarcare l'obbligatorietà della confisca", con ciò gettando le basi per un'interpretazione in termini sanzionatori. Si tratta di Cass. pen., 29 ottobre 2009, n. 45935; Cass. pen., 25 settembre 2009, n. 39975, rv. 245312; e Cass. pen., 11 febbraio 2009, n. 13831, rv. 242479, in Guida dir., 2009, 18, 74, con nota di Amato, Carattere sanzionatorio e obbligatorietà assottigliano le motivazioni del giudice, il quale pone giustamente in evidenza come nella specie "la privazione della res prescinda dalla pericolosità (...) e si ispiri piuttosto all'esigenza che il legislatore vuole perseguire di punire (in uno con l'irrogazione della vera e propria sanzione criminale) il comportamento violativo del trasgressore privandolo dello "strumento" (il veicolo) di cui questi ha abusato utilizzandolo pur essendo in stato di ebbrezza o di alterazione da abuso di sostanze stupefacenti". Sulla base di argomentazioni molto simili, infatti, Cass. pen., 29 aprile 2009, n. 32916, rv. 244975, giunge a parlare di "provvedimento ablatorio patrimoniale a connotazioni sanzionatorie", escludendone l'applicazione retroattiva. Il precedente viene richiamato nella sentenza della Consulta ma non è ritenuto idoneo, in quanto "isolato", per definire il "diritto vivente". Per la giurisprudenza di merito sia consentito il richiamo a Trib. Rovereto, 21 gennaio 2010, in www.jurisdata.it, in cui si esclude l'applicazione retroattiva sia perché la garanzia dell'irretroattività deve essere estesa anche alle misura di sicurezza previste come reazione del reato, a norma dell'art. 7 CEDU, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, sia perché si tratta, in realtà, di una vera e propria pena. Analogamente cfr. Trib. Trento, 10 novembre 2008, ivi..
Per argomentare la natura di vera e propria sanzione viene utilizzato anzitutto un argomento di natura letterale e, in particolare, l'inciso "anche in caso di sospensione condizionale della pena", utilizzato dall'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str., per affermare l'ineluttabilità della confisca del veicolo (sempre che non appartenga a persona estranea al reato) in caso di condanna (o di patteggiamento), osservando come si tratterebbe di disposizione inutile se si trattasse di una confisca-misura di sicurezza (10)

(10) Cfr., infatti, l'art. 164, comma 3, c.p., che, nell'escludere l'applicazione delle misure di sicurezza in caso di sospensione condizionale della pena, fa salvo proprio il caso della confisca.ed invece pienamente comprensibile se intesa come un'ipotesi di confisca-pena accessoria, in funzione derogatoria della regola generale secondo la quale la sospensione condizionale si estende alle pene accessorie (art. 166 c.p.). L'inciso in parola viene quindi interpretato come una chiara dimostrazione che il legislatore ha inteso la confisca del veicolo come una "vera e propria sanzione penale accessoria alla inflizione della pena principale".
Sempre sul piano letterale, richiamandosi ad alcuni precedenti (11)

(11) Cfr. giurisprudenza citata alla nota 9., viene poi svalutato il richiamo all'art. 240, comma 2, c.p., escludendo che il veicolo possa essere fatto rientrare tra le cose "intrinsecamente pericolose", cui fa riferimento la norma appena citata (prezzo del reato e cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato), essendo invece evidente che rientri tra le cose che "servirono a commettere il reato", per le quali il comma 1 dell'art. 240 c.p. prevede la confisca facoltativa. Se ne desume che il richiamo al comma 2 dell'art. 240 c.p. "sia stato effettuato per affermare la natura obbligatoria della sanzione della confisca del veicolo (...) e non per qualificare tale sanzione come una misura di sicurezza in senso tecnico".
A ben vedere non manca un ulteriore argomento letterale, non valorizzato dalle Sezioni Unite, probabilmente perché di natura spuria ed idoneo a creare confusione sulla natura penale o amministrativa della confisca. Si tratta della previsione, contenuta nell'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str., terzo periodo, secondo la quale quando il veicolo appartiene a persona estranea al reato e non è pertanto possibile la confisca, il periodo della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente è raddoppiato (12)

(12) In tal modo il periodo minimo di sospensione della patente raggiunge la ragguardevole soglia dei due anni (e quello massimo dei 4) e, trattandosi di una sanzione amministrativa accessoria, non può essere in alcun modo ridotto per effetto del riconoscimento di circostanze attenuanti o di riti speciali a contenuto premiale.. Anche questa norma depone per la natura sanzionatoria della confisca, considerando che l'impossibilità di disporla implica un forte inasprimento di una misura dalla sicura natura sanzionatoria (13)

(13) Non si può negare che la sospensione della patente svolga anche una concorrente funzione di prevenzione speciale, ossia di contrasto alla pericolosità sociale manifestata dal conducente mediante la violazione, ma ciò non toglie che sia dalla legge qualificata come "sanzione amministrativa" a tutti gli effetti, con la conseguenza, tra l'altro, dell'impossibilità di applicazione retroattiva, a norma dell'art. 1, l. n. 689/1981. Il carattere spurio della misura emerge con chiarezza dall'art. 218, comma 2, cod. str., che individua i criteri da seguire nella determinazione del periodo di sospensione, nei limiti edittali previsti, da un lato, nella "gravità della violazione commessa ed alla entità del danno apportato" e, dall'altro, nel "pericolo che l'ulteriore circolazione potrebbe cagionare"., tanto da rendere plausibile che analoga funzione svolga anche la prima.
Del resto, va ricordato, come già si è anticipato, che la natura necessariamente "sanzionatoria" della confisca del veicolo, prevista dall'art. 186, comma 2, cod. str., è un dato che si impone con forza di legge sulla scorta della sentenza in commento della Consulta e non può pertanto essere messo in alcun modo in discussione.
Una volta risolto il problema della natura della confisca del veicolo per il più grave reato di guida in stato di ebbrezza nei termini sopra proposti, alla luce del riconosciuto "parallelismo" sanzionatorio col reato di rifiuto degli accertamenti strumentali, le Sezioni Unite hanno buon gioco nell'affermare identica natura anche della confisca del veicolo prevista per questa ipotesi, a maggior ragione considerando che essa è disciplinata unicamente con un rinvio alla precedente ipotesi.
A ben vedere, peraltro, il parallelismo tra le due ipotesi poteva più utilmente essere utilizzato a parti invertite, perché, se appare corretto muovere dall'ipotesi prevista dal comma 2 per argomentare la natura penale, e non amministrativa, della confisca, dal momento che solo in questo caso compare l'espresso riferimento all'art. 240 c.p., in riferimento al diverso problema posto dall'alternativa misura di sicurezza-pena, è preferibile muovere dall'ipotesi di cui al comma 7. Infatti, se nel primo caso, proprio l'espresso richiamo all'art. 240 c.p., oltre al sicuro nesso di pertinenzialità tra cosa e reato ed il fatto che, quale strumento del reato, il veicolo poteva essere sottoposto a confisca anche in applicazione della disciplina generale di cui all'art. 240, comma 1, c.p., poteva far legittimamente sorgere il dubbio che si trattasse di una misura di sicurezza patrimoniale, nel secondo caso nessun dubbio può porsi proprio sul piano sostanziale. Infatti, in questo caso, la confisca accede ad un reato di natura puramente omissiva, consistente nel rifiuto degli accertamenti strumentali obbligatori, che non necessariamente implica una guida in stato di ebbrezza e che ben può essere commesso da un soggetto perfettamente sobrio, con la conseguenza che il veicolo non può certo essere qualificato come strumento del reato, non avendo col reato alcun nesso di pertinenzialità diretta. Insomma, si tratta di una cosa che, da un lato, non rientrando in alcuna delle categorie cui si riferisce l'art. 240 c.p., non sarebbe passibile di confisca secondo la disciplina generale e, dall'altro, non è in alcun modo qualificabile come "cosa pericolosa", neppure in via astratta o presunta.
Alla luce dei rilievi che precedono, la natura sanzionatoria di questa ipotesi di confisca appare davvero difficilmente contestabile ed è piuttosto questo dato, unitamente al collegamento sistematico tra comma 7 e 2 dell'art. 186 cod. str., a costituire un argomento, ulteriore a quelli già sopra esposti, per affermare la natura di pena della confisca prevista dal comma 2, e non viceversa.
Comunque sia, a questo punto la sentenza in commento ritorna al problema originario, della natura amministrativa ovvero penale della confisca in questione, confutando i due argomenti letterali a sostegno dell'opposta interpretazione, originati da una non felice formulazione del comma 7 dell'art. 186 cod. str. Infatti, la sequenza testuale "la condanna... comporta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente... e della confisca del veicolo con le stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lett. c)", può indurre a ritenere, da un lato, che l'espressa qualificazione in termini di sanzione amministrativa accessoria sia estesa non solo alla sospensione della patente ma anche alla confisca del veicolo e, dall'altro, che il richiamo al comma 2, lett. c), debba essere inteso limitatamente alla fase esecutiva della confisca, senza incidere sull'aspetto della qualificazione giuridica.
In contrario, le Sezioni Unite giustamente osservano che la perdurante declinazione al singolare della qualificazione sanzione amministrativa, pur dopo l'introduzione della confisca nel corpo della norma, impone di riferirla alla sola sospensione della patente e non può essere estesa anche alla confisca, perché altrimenti si sarebbe dovuto usare il plurale. Quanto al richiamo al comma 2, lett. c), ancora sul piano strettamente testuale, esso viene esteso anche al rinvio all'art. 240, comma 2, c.p., nel senso limitato sopra precisato, ossia nel senso di ribadire l'obbligatorietà di tutte queste ipotesi di confisca, perché l'ultimo inciso del comma 2, lett. c), riferisce il termine "procedure" ai due periodi precedenti e, pertanto, non solo alla possibilità di affidare in custodia il veicolo al trasgressore (penultimo periodo) ma anche, appunto, alla previsione stessa della confisca del veicolo, "ai sensi dell'art. 240, comma 2, c.p." (terz'ultimo periodo).
Chiarita l'identica natura di sanzione penale accessoria di entrambe le ipotesi di confisca previste dall'art. 186 cod. str., le Sezioni Unite sentono il bisogno di indicare la conseguenza operativa più importante, pur non rilevante nel procedimento oggetto della decisione, ossia la piena applicazione del principio di irretroattività posto per le pene dall'art. 2 c.p. (e dall'art. 25, comma 2, Cost.) e ciò evidentemente al fine di chiarire l'erroneità della prevalente interpretazione contraria accolta in precedenza dalla stessa Cassazione.
3. (SEGUE). B) GLI ARGOMENTI DI SISTEMA DELLE SEZIONI UNITE
Ma al di là degli argomenti letterali, spesso equivoci in una normativa che certo non brilla per chiarezza e precisione tecnica, i motivi di fondo che sorreggono l'interpretazione delle Sezioni Unite sono ben altri e si sviluppano sul piano della ratio complessiva della normativa di settore e dei principi generali.
Invero, sin dall'inizio della motivazione ed immediatamente dopo aver ripercorso la tormentata vicenda normativa dell'art. 186 cod. str., le Sezioni Unite hanno con forza messo in evidenza "l'importanza, riconosciuta dal legislatore, nella strategia del contrasto al fenomeno del drive drinking, di sanzioni diverse da quelle tradizionali dell'arresto e/o dell'ammenda, spesso rese inefficaci dalla sospensione condizionale della pena o dall'accesso a sanzioni alternative", sottolineando, in particolare, come la sospensione della patente e la confisca obbligatoria del veicolo costituiscano "sotto il profilo general-preventivo, dei deterrenti assai efficaci", quali "sanzioni alternative o (...) accessorie, specifiche e strettamente connesse al reato da perseguire ed al fenomeno da contrastare". Insomma, dirimente è il ruolo di assoluto rilievo che deve essere riconosciuto alla misura della confisca del veicolo, nella strategia punitiva e di prevenzione generale perseguita in questo campo dal legislatore, "dovendosi tenere conto della complessiva strutturazione dell'istituto e della prevalente finalità della sanzione più che delle espressioni utilizzate".
È questa la parte maggiormente condivisibile della sentenza, perché la generale inadeguatezza delle pene tradizionali, in particolare dell'arresto ma anche dell'ammenda, a contrastare la criminalità stradale è un dato difficilmente contestabile e trova del resto riscontro proprio nello sforzo, non sempre ordinato, compiuto dal legislatore di differenziare la risposta sanzionatoria (14)

(14) A conferma dell'attualità dei rilievi svolti nel testo, cfr., da ultimo, il nuovo comma 9-bis dell'art. 186 cod. str., introdotto dall'art. 33 della l. n. 120/2010 (entrato in vigore il 30 luglio 2010), che prevede la possibilità di sostituire le pene detentive e pecuniarie tradizionali con quella del lavoro di pubblica utilità, prevista dalla normativa sulla competenza penale del giudice di pace. È poi previsto che il positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità determini l'estinzione del reato, la riduzione della metà della sospensione della patente e la revoca della confisca del veicolo. Inoltre, l'art. 57 legge cit. ha previsto che in luogo "della misura detentiva dell'arresto prevista dagli artt. 116, 186, 186-bis e 187" cod. str., a richiesta di parte, possa essere disposta la misura alternativa dell'affidamento in prova ai servizi sociali, prevista dall'ordinamento penitenziario.. Proprio i rilievi che precedono permettono, da un lato, di svelare l'intima natura della confisca del veicolo e le ragioni di politica criminale che ne sono a fondamento e, dall'altro, di superare le finzioni e le ipocrisie, in particolare in merito alla "pericolosità della cosa", che il tradizionale inquadramento tra le misure di sicurezza impone.
Al riguardo è sufficiente osservare come l'art. 240, comma 1, c.p., nel permettere la confisca delle cose che servirono a commettere il reato, categoria alla quale va ascritto il veicolo condotto in stato di ubriachezza, da un lato, la subordina alla condanna e, dall'altro, la configura come misura di sicurezza facoltativa, con conseguente obbligo per il giudice di motivare in ordine alla sussistenza nel caso concreto del requisito della pericolosità della cosa. Viceversa, l'art. 240, comma 2, c.p., configura la confisca per le cose intrinsecamente pericolose come obbligatoria e svincolata dal presupposto della condanna. Secondo la disciplina generale della confisca quale misura di sicurezza, pertanto, le cose che servirono a commettere il reato non possono ritenersi come intrinsecamente pericolose e la loro confisca è sempre subordinata ad un giudizio di merito sulla loro pericolosità, mentre quando la cosa esprime una pericolosità intrinseca, iscrivendosi nelle categorie contemplate nel comma 2 dell'art. 240 c.p., va obbligatoriamente confiscata, anche a prescindere da una sentenza di condanna.
Del tutto diversa è la disciplina prevista per la confisca in esame, perché, se permane il presupposto della condanna (o della sentenza di patteggiamento), l'obbligatorietà necessariamente la svincola dal presupposto della pericolosità della cosa, trovando applicazione anche in tutti i casi in cui, alla stregua della disciplina generale, il potere facoltativo di disporre la misura di sicurezza non potrebbe essere esercitato per mancanza in concreto di quel presupposto. Certo, è pur sempre possibile affermare che il requisito è, in questa particolare materia, affermato dalla legge, in forza di una presunzione iuris et de iure, ma la realtà è che un presupposto la cui sussistenza sia affermata in forza di una presunzione assoluta, insuscettibile di prova contraria, si risolve in pura funzione. Piena conferma viene del resto dal rilievo che la confisca in parola debba essere disposta, proprio in forza della perentoria clausola di obbligatorietà, anche quando il veicolo non possa essere messo in circolazione, ad es. perché incidentato, e non sia pertanto in grado di esprimere quella pericolosità sociale che la misura di sicurezza dovrebbe essere chiamata a contrastare.
Se poi la pericolosità sociale viene più correttamente intesa non in riferimento alla cosa in quanto tale ma al suo rapporto con l'imputato, ossia al suo possibile utilizzo illecito, si possono svolgere rilievi analoghi, perché la confisca del veicolo va obbligatoriamente disposta anche nei casi in cui il conducente-proprietario non possa più porsi alla guida , ad es. per le lesioni riportate o per aver subito la revoca della patente, ovvero, ancora, nelle ipotesi in cui il giudice, nel concedere la sospensione condizionale della pena, formuli un giudizio di prognosi favorevole, affermando che l'imputato si asterrà in futuro dal commettere ulteriori reati (cfr. art. 164, comma 1, c.p.) (15)

(15) Per la verità il rilievo che precede è idoneo ad incrinare la c.d. "pericolosità della cosa" quale fondamento della stessa confisca-misura di sicurezza prevista dall'art. 240 c.p., dal momento che la sua insensibilità alla sospensione condizionale della pena è regola posta in via generale dall'art. 164, comma 3, c.p. Non è un caso che la più attenta dottrina utilizzi anche questo dato normativo per argomentare come "la nozione di pericolosità delle cose si rileva quasi inafferrabile", riducendosi in una sorta di clausola di stile, giungendo alla conclusione che "la concreta articolazione del sistema consente dunque di dubitare del carattere preventivo della confisca e ne accentua invece la funzione repressiva o punitiva". Così Grasso, Commentario sistematico del codice penale, III, sub art. 240 c.p., 1994, 524..
È allora evidente che la confisca del veicolo sia prevista non per contrastare una pretesa pericolosità sociale, in realtà insussistente in un numero rilevante di casi, ma in funzione di reazione afflittiva ad un reato tutto incentrato sull'utilizzo illecito del veicolo medesimo (16)

(16) Nella legislazione speciale si è già verificato che l'obbligatorietà della confisca in ipotesi in cui sarebbe facoltativa a norma dell'art. 240 c.p., ne abbia rafforzato il carattere repressivo. Il riferimento attiene alla c.d. confisca doganale, prevista originariamente dall'art. 116, l. n. 1424/1940 (ora dall'art. 301, d.P.R. n. 43/1973), estesa anche alle cose che servirono e furono destinate a commettere il reato di contrabbando, anche se appartenenti a persona estranea al reato medesimo. Quest'ultimo inciso è stato dichiarato incostituzionale da Corte cost., 17 luglio 1974, n. 229, in Giur. cost., 1974, 2297, limitatamente al caso in cui al terzo proprietario non sia imputabile un difetto di vigilanza, perché altrimenti si finirebbe col configurare a carico di costui "una mera responsabilità oggettiva". La Consulta, pur non contestando formalmente la collocazione della misura tra le misure di sicurezza, estende tuttavia ad essa una garanzia fondamentale propria delle pene. Non solo, ma ad una natura marcatamente sanzionatoria sembra proprio riferirsi il passaggio secondo il quale la previsione dell'obbligatorietà è giustificata "ai fini di una lotta più incisiva ad un'attività penalmente illecita, e ritenuta dal legislatore, in base al suo libero apprezzamento, particolarmente lesiva degli interessi finanziari dello Stato oltreché per la sua diffusione anche per l'organizzazione capillare e le multiformi diramazioni di cui è in grado di disporre". L'argomento, infatti, è stato in dottrina così commentato: "individuato un fenomeno disfunzionale (nel caso, la piaga del contrabbando), sorge l'opportunità politico-criminale di piegare la confisca a finalità fino ad allora inedite, valorizzandone la capacità di deterrenza: la confisca (...) non è più legata a problematiche ed aleatorie valutazioni prognostiche, ma diviene componente necessaria della condanna per reato doganale": Fornari, Criminalità del profitto e tecniche sanzionatorie, Padova, 1997, 30. Si tratta di osservazioni pienamente adattabili anche alla confisca qui in esame.. In quest'ottica si spiega perfettamente il presupposto della sentenza di condanna (o di patteggiamento), che invece resta difficilmente giustificabile nella prospettiva della necessaria (ovvero presunta) pericolosità della cosa, come dimostrato dalla circostanza che non è richiesto nelle ipotesi di confisca obbligatoria previste dall'art. 240 cpv. c.p.
Del resto l'efficacia dissuasiva che questo tipo di sanzione possiede, comparativamente assai maggiore rispetto alle pene criminali classiche, non può certo essere messa in discussione, considerando l'alto grado di certezza della pena, che non può essere sospesa o sostituita con altre misure, nonché la prontezza di esecuzione che, sul piano della percezione da parte del destinatario, garantisce il collegamento col sequestro preventivo, a norma dell'art. 321, comma 2, c.p.p., che normalmente viene imposto al momento stesso dell'accertamento in strada da parte delle forze dell'ordine (17)

(17) Da questo punto di vista la scelta di una lotta "integrata" all'illecito, fondata non solo su sanzioni penali anomale o atipiche, che si affiancano a quelle classiche, ma anche su sanzioni extrapenali e, in particolare, di tipo amministrativo (ovvio il riferimento alla sospensione e revoca della patente), non può di per sé ritenersi un difetto, al netto delle gravi deficienze tecniche delle formulazioni normative, ormai tristemente una costante in questo campo, a condizione che sia orientata dalla prevedibile efficacia e sia poi verificata nell'esperienza. In generale, sulla fondamentale esigenza di effettività in campo penale, cfr. Paliero, Il principio di effettività nel diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, 430 ss.. Si tratta, pertanto, di una pena che tipicamente possiede tutti i requisiti classici di certezza e di immediatezza per poter utilmente svolgere la propria funzione di prevenzione generale, che anzi è ulteriormente rafforzata dal forte legame che spesso si instaura tra proprietario-conducente e veicolo, non tanto e non solo in relazione al relativo valore economico, peraltro spesso tutt'altro che trascurabile, quanto piuttosto ai rilevanti interessi che il relativo diritto di proprietà è tipicamente chiamato a soddisfare, ad es., sul piano della libertà di circolazione e del lavoro.
Sotto quest'ultimo punto di vista, si potrebbe tentare di rinvenire un'autonoma giustificazione politico-criminale nel concetto di abuso del diritto, nel senso che a fronte di un uso gravemente illecito della cosa idoneo a causare un grave pericolo alla sicurezza della circolazione stradale e, pertanto, alla pubblica incolumità, l'ordinamento reagisce con una misura ablatoria del diritto di proprietà in capo al responsabile. In questa prospettiva, si potrebbe cioè ritenere che la funzione sociale del diritto di proprietà, prevista dall'art. 42, comma 2, Cost., sia dalla legge ordinaria concretizzata, con riferimento ai veicoli, con un limite che precluda in assoluto gli usi maggiormente illeciti e pericolosi per l'incolumità delle persone, tanto da giustificarne l'ablazione in caso di trasgressione. Naturalmente i rilievi che precedono si attagliano unicamente alla confisca prevista per la guida in stato di ubriachezza, non anche a quella prevista per il rifiuto degli accertamenti, perché in questo caso il veicolo non è una cosa che è servita a commettere il reato e la sua natura di pena deve essere piuttosto ricondotta, sul piano politico-criminale, alla ratio della parificazione del trattamento punitivo dei due reati che, come si è visto, consiste nell'incentivare l'indagato a sottoporsi agli accertamenti strumentali obbligatori, eliminando qualsiasi possibile interesse a violare il comando imposto.
4. (SEGUE). C) LA MOTIVAZIONE DELLA CONSULTA E LE PERDURANTI TENSIONI CON LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO
Per certi versi più lineare è la motivazione della sentenza della Corte costituzionale in commento, che assume quale parametro costituzionale di riferimento l'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nella parte in cui prescrive che "non può essere inflitta una pena più grave di quella che sarebbe stata applicata al tempo in cui il reato è stato consumato", quale norma interposta per il tramite dell'art. 117 Cost., secondo l'impostazione delle fondamentali sentenze nn. 348 e 349 del 2007 (18)

(18) Come è ben noto, le sentenze citate nel testo hanno finalmente superato la tradizionale (e controversa) collocazione nella gerarchia delle fonti delle norme convenzionali tra le leggi ordinarie, riconoscendo loro il rango di norme "paracostituzionali" o interposte, sulla base della riforma del Titolo V della Costituzione (legge cost. n. 3/2001) e del conseguente nuovo testo dell'art. 117 Cost., secondo il quale "la potestà legislativa è esercitata (...) nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali". Sul punto è utile precisare come la CEDU, rispetto alla generalità dei trattati internazionali, presenta la peculiarità di aver previsto la competenza di un organo giurisdizionale al quale è affidata la funzione di interpretare in modo uniforme la Convenzione stessa, con la conseguenza che le norme della Convenzione devono essere intese nel significato loro attribuito dalle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, sia ai fini dell'adeguamento interpretativo da parte del giudice comune del diritto interno sia ai fini della verifica della compatibilità costituzionale da parte della Consulta. Per ciò che qui interessa, pertanto, il termine "pena" utilizzato dall'art. 7 della CEDU non può essere inteso alla stregua del diritto interno ma facendo necessario riferimento alla giurisprudenza della Corte europea..
Preso atto che il diritto vivente è nel senso di consentire, a norma dell'art. 200 c.p., l'applicazione retroattiva della confisca del veicolo prevista dall'art. 186 cod. str., sulla scorta della sua qualificazione come misura di sicurezza, la Consulta anzitutto, richiamandosi a suoi risalenti precedenti, avverte come "la confisca può presentarsi, nelle leggi che la prevedono, con varia natura giuridica", perché, se è costante il suo contenuto di privazione di beni economici, "può essere disposta per diversi motivi e indirizzata a varie finalità, sì da assumere, volta per volta, natura e funzione di pena o di misura di sicurezza ovvero anche misura giuridica civile e amministrativa" (19)

(19) Corte cost. n. 29/1961. Analogamente cfr. Corte cost. n. 46/1964. Più di recente sono state le Sezioni Unite penali ad avvertire che "con il termine confisca, in sostanza, al di là del mero aspetto nominalistico, si identificano misure ablative di natura diversa, a seconda del contesto normativo in cui lo stesso viene utilizzato" e, con specifico riferimento alle numerose ipotesi di confisca del prezzo o profitto del reato c.d. di valore o per equivalente, prolificate non solo nell'ambito della legislazione speciale (cfr. artt. 9 e 19, d.lgs. n. 231/2001, in tema di responsabilità degli enti) ma anche nel codice penale (cfr. artt. 644 u.c. c.p. e 322-ter c.p.), "i tratti distintivi di una vera e propria sanzione". Così Sez. Un. pen., 27 marzo 2008, n. 26654, rv. 239925, in Cass. pen., 2008, 4544, con nota di Pistorelli, Confisca del profitto del reato e responsabilità degli enti nell'interpretazione delle Sezioni Unite. Si tratta, del resto, di esiti interpretativi in dottrina ormai largamente consolidati soprattutto nell'ambito dei reati economici e della confisca del profitto, a maggior ragione se per equivalente. Per tutti cfr. Fornari, op. cit., 19 ss.; Alessandri, Criminalità economica e confisca del profitto, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, 2006, 2108 ss.; e Vergine, Confisca e sequestro per equivalente, Assago, 2009, 11 ss.. Si tratta, del resto, di un rilievo ormai classico anche in dottrina, non solo con riferimento alle variegate ipotesi di confisca disseminate nella legislazione speciale, ma finanche all'interno delle ipotesi previste dall'art. 240 c.p. (20)

(20) Cfr., per tutti, Vassalli, La confisca dei beni, Padova, 1951, 26, il quale richiamandosi alla dottrina sotto il codice Zanardelli, riconosce "l'impossibilità di definire l'istituto in modo unitario, assumendo la confisca una diversa natura giuridica a seconda del suo diverso carattere e delle sue diverse funzioni", finendo con l'escludere la natura preventiva (ossia di misura di sicurezza) anche di alcune delle ipotesi previste dall'art. 240 c.p. (in particolare quelle relativa al prezzo, prodotto e profitto), ravvisando in esse "carattere e funzione sostanzialmente repressivi". Analogamente, più di recente, Id., Confisca doganale e cose appartenenti a persone estranee al reato, in Giur. cost., 1977, I, 416..
La differenza di natura delle singole ipotesi di confisca è, tuttavia, utilizzata dalla Consulta per sottolineare la necessità di distinguerle, in ragione della differente disciplina prevista per le pene e per le misure di sicurezza, anche a livello costituzionale (cfr. art. 25, commi 2 e 3), finendo col giustificare l'applicazione retroattiva delle misure di sicurezza, a norma dell'art. 200 c.p. con "la finalità, loro propria, di assicurare una efficace lotta contro il pericolo criminale, finalità che potrebbe richiedere che il legislatore, sulla base di circostanze da esso discrezionalmente valutate, preveda che sia applicata una misura di sicurezza a persone che hanno commesso determinati fatti prima sanzionati con la sola pena". È bensì vero che l'esigenza di permettere di reagire alla pericolosità sociale con sempre nuovi e più adeguati strumenti è riferita soprattutto alle misure di sicurezza personali, ma essendo l'oggetto di giudizio una confisca, si deve necessariamente ammettere che la sentenza in commento sia una chiara conferma alla tradizionale giurisprudenza della Cassazione che applica retroattivamente anche la confisca-misura di sicurezza.
È proprio questa la parte meno condivisibile e più conservatrice della pronuncia, anche se limitata dall'osservazione che questa conclusione vale solo per le misure di sicurezza propriamente dette, ossia quelle definibili tali all'esito di un controllo in ordine alla loro "corrispondenza non solo nominale, ma anche contenutistica, alla natura spiccatamente preventiva di detti strumenti", onde scongiurare la c.d. truffa delle etichette, ossia il tentativo del legislatore di escludere le garanzie fondamentali in materia penale, tra le quali l'irretroattività, a determinate pene, con l'espediente di definirle come misure di sicurezza. Né a salvare la conclusione qui criticata possono valere due ulteriori condivisibili affermazioni della Consulta. La prima, che analoga è la preoccupazione alla base della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che ha elaborato propri criteri, in aggiunta a quello della qualificazione formale del diritto nazionale, per stabilire la sussistenza di una "pena", ai fini dell'art. 7 CEDU. La seconda, che, nel caso il pieno controllo sulla natura dia esito negativo, nel senso che la misura abbia solo il nome di misura di sicurezza, ma il contenuto di pena, ad essa vanno estese tutte le garanzie proprie delle pene previste dall'art. 25, comma 2, e dall'art. 7 CEDU, ivi compresa l'irretroattività, come è appunto avvenuto nel caso di specie.
Tutto ciè è difficilmente contestabile, ma nonostante le rassicurazioni compiute dalla Consulta, residua un irriducibile contrasto di fondo con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo per così dire "di merito", ossia in ordine alla concreta individuazione dei casi necessariamente assistiti dalle garanzie penali e conseguentemente all'ambito a queste assegnato, perché la nozione di "pena" accolta, ai fini dell'art. 7 CEDU, appare notevolmente più estesa di quella cui si riferisce la Consulta. Invero, nel precedente richiamato dalla stessa pronuncia in commento (21)

(21) Corte EDU, 9 febbraio 1995, Welch c. Regno Unito, in Dir. uomo lib. fond., 2006, 340, pronunciata in riferimento alla confisca, prevista dalla legislazione inglese, di ogni bene acquisito nei 6 anni precedenti alla condanna penale per traffico di stupefacenti, sulla scorta di una presunzione che si tratti di proventi del reato., la Corte di Strasburgo non si limita ad affermare che "per rendere efficace la tutela offerta dall'art. 7 (...) deve essere libera di andare oltre le apparenze e valutare essa stessa se una determinata misura costituisca una "pena" ai sensi della predetta disposizione", ma in modo assai più pregnante individua criteri di identificazione della pena del tutto fluidi, proprio allo scopo di estendere le garanzie fondamentali dettate in materia. Illuminante è il seguente passaggio: "il punto di partenza di ogni valutazione sull'esistenza di una pena consiste nello stabilire se la misura in questione sia stata irrogata in seguito ad una condanna per un "reato". Altri elementi possono essere ritenuti pertinenti in proposito: la natura e lo scopo della misura in contestazione; la sua qualificazione in diritto interno; i procedimenti connessi alla sua adozione ed esecuzione, nonché la sua severità". Altrettanto illuminante è l'esito del giudizio che riscontra una vera e propria pena, benché espressamente si riconosca "lo scopo preventivo della confisca", che era stato opposto dal governo inglese per ammetterne l'applicazione retroattiva e ciò sulla base della semplice osservazione secondo la quale "non può escludersi che una legge che conferisce ai tribunali poteri di confisca così ampi persegua anche lo scopo di punire il delinquente. Infatti, gli scopi di prevenzione e riparazione si conciliano con quello repressivo e possono essere considerati elementi costitutivi della stessa nozione di pena" (22)

(22) Con queste poche battute la Corte europea sintetizza con grande efficacia le critiche da sempre mosse dalla dottrina al sistema del doppio binario, che impone cioè l'applicazione cumulativa di pena e misura di sicurezza, fondato su una pretesa netta distinzione di funzione tra i due tipi di sanzione, che non trova riscontro nella realtà, proprio perché si deve ritenere che "alla pena non siano estranei scopi di prevenzione speciale, così come la misura di sicurezza ha anch'essa una funzione di prevenzione generale grazie a quelle componenti afflittive che ad esse si collegano". Così, per tutti, Grasso, op. cit., 362. Con più specifico riferimento al nostro sistema si deve aggiungere, da un lato, che la funzione di prevenzione speciale della pena è imposta dal principio costituzionale secondo il quale le pene devono tendere alla rieducazione del condannato (art. 27, comma 3 Cost.) e, dall'altro, che pena e misura di sicurezza tendono a confondersi anche sul piano pratico, dal momento che la colonia agricola e la casa di lavoro vengono scontate in stabilimenti identici a quelli destinati all'espiazione delle pene detentive, col risultato che davvero non si comprende la ragione di questa duplicazione di provvedimenti sanzionatori..
Alla luce di questi criteri, non vi possono essere dubbi che la nozione di pena ai sensi dell'art. 7 CEDU si estende anche alle misure di sicurezza in senso proprio (23)

(23) Si tratta anzi di nozione ancora più allargata del binomio pena-misura di sicurezza, come definito dal diritto interno. La successiva giurisprudenza della Corte europea conferma la tendenza ad estendere progressivamente l'ambito delle garanzie proprie delle pene. Così, per limitarsi, ai precedenti che hanno direttamente coinvolto il nostro Paese, sono in esso comprese le disposizioni processuali che incidano direttamente sulla pena (cfr. Corte EDU, 17 settembre 2009, Scopola c. Italia), le sanzioni pecuniarie di natura amministrativa, quando abbiano funzione repressiva e non di mera riparazione pecuniaria (cfr. Corte EDU, 21 marzo 2006, Valico c. Italia) ed anche la stessa confisca amministrativa (cfr. Corte EDU, 30 agosto 2007, Sud Fondi c. Italia). Particolare interesse assume l'ultimo precedente citato, relativo alla ben nota vicenda di "Punta Perotti", perché la natura di pena della confisca urbanistica è stata riconosciuta a dispetto della sua riconosciuta funzione preventiva, concorrente con quella repressiva e benché possa conseguire anche ad una sentenza di proscioglimento dal reato di abusiva lottizzazione, così dimostrando come la Corte europea, al fine di evitare ogni elusione delle garanzie dettate dall'art. 7 CEDU, sappia smarcarsi dai criteri in precedenza individuati, anche da quello definito come principale, ossia la sentenza penale di condanna. In tal caso, infatti, ha ritenuto sufficiente che l'accertamento prodromico alla confisca fosse compiuto in un processo penale. Al riguardo cfr., Balsamo, La speciale confisca contro la lottizzazione abusiva davanti alla Corte europea, in Cass. pen., 2008, 3504. Cfr., da ultimo, Corte EDU, 20 gennaio 2009, Sud Fondi c. Italia, in Cass. pen., 2009, 3180, con nota di Balsamo, La Corte europea e la confisca contro la lottizzazione abusiva: nuovi scenari e problemi aperti, che ha ritenuto illegale la confisca relativa all'abusiva lottizzazione di "Punta Perotti", perché la legge sulla cui base era stata disposta non era sufficientemente determinata e, pertanto, chiara ed accessibile (tanto è vero che gli imputati furono assolti dal reato per errore scusabile a causa dell'oscurità della normativa).
Diversa è, invece, la giurisprudenza della Corte europea con riferimento alla confisca quale misura preventiva antimafia, che non viene considerata "pena", essenzialmente perché le misure di prevenzione non presuppongono un reato e la colpevolezza dell'imputato. Così Corte EDU, 22 febbraio 1994, Raimondo c. Italia; Corte EDU, 15 giugno 1999, Prisco c. Italia; Corte EDU, 5 luglio 2001, Arcuri c. Italia., le quali pertanto non possono trovare applicazione retroattiva, come invece afferma la sentenza in commento (24)

(24) A questa conclusione era già pervenuta la migliore dottrina, prima ancora della sentenza della Corte di Strasburgo citata nel testo, almeno con riferimento alle misure di sicurezza personali applicabili ai soggetti imputabili e alla confisca, residuando solo un dubbio per le misure di sicurezza personali applicate ai soggetti non imputabili, in ragione della possibile finalità terapeutica o educativa, che può trasformarle in provvedimenti pro individuo. Così, per tutti, Grasso, op cit., 391..
Non sembra, pertanto, che si possa dubitare neppure del contrasto tra l'art. 200 c.p., così come interpretato sia dalla Cassazione che dalla sentenza della Corte costituzionale in commento, con la nozione di pena imposta dall'art. 7 CEDU, proprio perché consente un'applicazione retroattiva delle misura di sicurezza, ossia di sanzioni a tutti gli effetti penali, secondo la nozione, per così dire, allargata di cui all'art. 7 CEDU. Insomma, le vaghe distinzioni fondate su pretese differenze di funzioni, proprie dei singoli diritti nazionali e liberamente manipolabili dagli interpreti, se possono valere a distinguere pene in senso stretto e misure di sicurezza con riferimento a specifici momenti di disciplina, sono del tutto ininfluenti con riferimento alle garanzie fondamentali, con la conseguenza che il principio di legalità, in tutte le sue articolazioni, compresa l'irretroattività, non può che applicarsi senza alcuna deroga anche alle misure di sicurezza.
Stando così le cose, se proprio si riteneva di non poter prescindere dal "diritto vivente" e dalla forza vincolante del richiamo all'art. 240, comma 2, c.p., contenuto nell'art. 186, comma 2, cod. str., si sarebbe dovuto concludere per l'illegittimità dell'art. 200 c.p. piuttosto che dell'art. 186 cod. str. La Consulta, invece, ha preferito agire sulla norma della legislazione speciale, sottraendo la misura della confisca dalla categoria delle misure di sicurezza, con ciò salvando la norma di sistema ma perpetuando la sua tensione con le garanzie fondamentali.
In alternativa, si sarebbe potuto pronunciare una sentenza interpretativa di rigetto, agendo ancora sull'art. 200 c.p., aderendo a quella autorevole, anche se minoritaria, dottrina che da tempo ha proposto un'interpretazione restrittiva, secondo la quale la norma non detta affatto una particolare disciplina della successione di leggi nel tempo per le misure di sicurezza, limitandosi a regolare le concrete modalità di esecuzione (25)

(25) Così, Pagliaro, voce Legge penale nel tempo, in Enc. dir., 1973, 1066. Più di recente Fiandaca-Musco, Diritto penale, Parte generale, 2007, 810 ss. Al di là dei profili di opinabilità sul piano letterale, questa interpretazione consente di superare il contrasto tra art. 200 c.p. e principio di legalità, perché riconduce la disciplina della successione di leggi, anche per le misure di sicurezza, all'art. 2 c.p., proponendosi come interpretazione adeguatrice del diritto interno alle norme della CEDU.. Viceversa, se proprio si voleva assumere una posizione conservatrice, sarebbe stato forse meglio limitarsi ad una interpretazione adeguatrice dell'art. 186 cod. str., come ha poi fatto la sentenza delle Sezioni Unite, svalutando il richiamo all'art. 240, comma 2, c.p., e come si era già fatto in tema di confisca per equivalente (26)

(26) Cfr. nota 6., anche perché la forza vincolante del "diritto vivente" avrebbe potuto essere messo in discussione, considerando che si trattava di un orientamento interpretativo di una disposizione di legge assai "giovane", entrata in vigore da appena 2 anni e che i primi contrasti iniziavano a manifestarsi sia nella giurisprudenza della Cassazione che nella giurisprudenza di merito (27)

(27) Cfr. nota 9. Ritiene fosse preferibile una sentenza interpretativa di rigetto anche Amato, Un'illegittimità costituzionale derivata dal contrasto con la regola generale della Convenzione europea, in Guida dir., 2010, 27, 67..
Invece, affermare che il richiamo all'art. 240 c.p. imponesse l'applicazione retroattiva, nonostante la natura sostanziale non di misura di sicurezza ma di vera e propria pena, con conseguente declaratoria di illegittimità costituzionale del richiamo medesimo, pur consentendo di risolvere in modo corretto il caso oggetto di giudizio, con esclusione di ogni applicazione retroattiva ed anzi col pregio della forza vincolante, ha necessariamente reso evidente il contrasto tra la disciplina delle misure di sicurezze propriamente intese e le garanzie penali imposte dall'art. 7 della CEDU.
5. ASPETTI OPERATIVI: A) SEQUESTRO PREVENTIVO
A prescindere dalle possibili riflessioni di sistema, si deve tuttavia ammettere che le sentenze in commento abbiano definitivamente risolto, ed in modo condivisibile, il più grave problema operativo in merito alla confisca prevista dall'art. 186 cod. str., superando qualsiasi tentazione di applicazione retroattiva che la prassi aveva in precedenza proposto.
Ma la nuova qualificazione quale confisca-pena rischia di aprire nuovi fronti di problematicità in riferimento alla possibilità di disporre il sequestro preventivo del veicolo, a norma dell'art. 321 c.p., e di applicare la confisca anche col decreto penale di condanna che occorre ora affrontare, benché non siano direttamente considerati dalle sentenze in commento.
Sul primo punto, va premesso che l'art. 321 c.p.p. prevede il sequestro preventivo in due distinte ipotesi: a) quando la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati (comma 1); b) delle cose di cui è consentita la confisca (comma 2). È stata poi aggiunta (28)

(28) Dall'art. 6, comma 3 della l. n. 97/2001 che ha introdotto nell'art. 321 c.p.p. il comma 2-bis.l'ulteriore previsione in base alla quale nei procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., il giudice dispone il sequestro dei beni di cui è consentita la confisca (cfr. comma 2-bis), con ciò permettendo il sequestro preventivo del prezzo e del profitto del reato, anche nella forma c.d. per equivalente, a norma dell'art. 322-ter c.p.
Ciò chiarito, una considerazione unitaria della funzione cautelare in termini "preventivi" per le ipotesi di cui ai primi due commi potrebbe portare alla paradossale conclusione per la quale il sequestro preventivo del veicolo non sarebbe più automaticamente consentito, proprio in relazione alla riconosciuta funzione essenzialmente repressiva della confisca. Questa conclusione potrebbe fondarsi sulla considerazione che il comma 1 presuppone una pericolosità della cosa, in relazione all'aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato commesso ovvero all'agevolazione di reati ulteriori, e che il comma 2 si riferisce unicamente alla confisca-misura di sicurezza, anch'essa fondata sulla pericolosità della cosa, sia pure valutata ex ante dal legislatore. Conferma a questa impostazione verrebbe proprio dalla previsione dell'ultima ipotesi, ossia dalla possibilità di procedere ad un sequestro preventivo di cose di cui è consentita la confisca, anche a prescindere dalla pericolosità delle cose, come tipicamente accade proprio per la confisca c.d. per equivalente. Ma allora, si potrebbe ragionare, se il sequestro preventivo delle cose di cui è consentita la confisca per equivalente, ossia di una specifica ipotesi di confisca-pena, ha richiesto una espressa previsione di legge, si deve concludere che in tutte le altre ipotesi di confisca-pena, il sequestro preventivo non sarebbe possibile, se non a norma del comma 1, ossia motivando in ordine alla pericolosità in concreto della cosa, perché, altrimenti, la nuova previsione sarebbe inutile essendo il sequestro preventivo anche dei beni sottoponibili alla confisca di cui all'art. 322-ter c.p. già possibile a norma del comma 2.
Nella nostra materia, il sequestro preventivo del veicolo sarebbe possibile solo motivando che sussiste il pericolo di un suo ulteriore utilizzo illecito, ad es. sulla base di precedenti specifici ovvero dello stato di alcolismo dell'imputato. In caso contrario il sequestro "preventivo" non sarebbe possibile.
Si tratta tuttavia di conclusioni che vanno certamente respinte, perché tratte da premesse che non possono essere in alcun modo condivise. Anzitutto, secondo le indicazioni della migliore dottrina, va escluso che la funzione del sequestro previsto nei primi due commi dell'art. 321 c.p.p. sia la medesima, dovendosi al contrario ravvisarsi "due istituti distinti nelle finalità, anche se unificati dalle modalità operative", tanto che nel comma 2 il carattere preventivo del sequestro assume una "connotazione del tutto autonoma (...) in ragione della sua specifica finalità, che è unicamente quella di vincolare i beni al fine di renderne efficace una loro eventuale confisca" (29)

(29) Garavelli, Commentario breve al codice di procedura penale, a cura di Conso-Grevi, 2005, sub art. 321 c.p.p., III e VIII.. D'altra parte, circoscrivere l'art. 321, comma 2, c.p.p., ai soli beni passibili della confisca-misura di sicurezza appare del tutto arbitrario proprio alla luce della persistente polisemia che il termine assume nei vari contesti, come più volte affermato sia dalla Corte costituzionale che dalla Cassazione (30)

(30) Si consideri inoltre che, come già più volte si è sottolineato, persino nella categoria della confisca-misura di sicurezza il presupposto della "pericolosità della cosa" è spesso più apparente che reale. La realtà è che funzione preventiva e funzione repressiva si combinano variamente a seconda dei contesti normativi di rifermento e della concreta disciplina adottata, tanto all'interno della categoria della confisca-misura di sicurezza quanto in quella della confisca-pena. Se cosè è, appare del tutto arbitrario condizionare l'operatività del meccanismo cautelare, dalla legge previsto in via generale, da classificazioni puramente formali.. Se ne deve concludere che il sequestro preventivo previsto dall'art. 321, comma 2, c.p.p., a differenza di quello previsto dal comma 1, non presupponga affatto una pericolosità della cosa accertata in concreto, ma solo il presupposto della confiscabilità, in base al codice penale o alle leggi speciali, come espressamente affermato dalla giurisprudenza della Cassazione (31)

(31) Cass. pen., 19 gennaio 1994, n. 151, rv. 198258, in Cass. pen., 1995, 3459, con nota di Mendoza, Sequestro preventivo tipico e sequestro preventivo funzionale alla confisca. Secondo Cass. pen., 25 giugno 1999, n. 2415, rv. 214173 "il comma 2 dell'art. 321 c.p.p. consente il sequestro delle cose confiscabili non solo ai sensi della norma generale di cui all'art. 240 c.p., ma in virtù di qualunque altra disposizione dell'ordinamento giuridico", comprese quelle relative alle misure preventive antimafia..
È bensì vero che una simile interpretazione rischia di rendere evanescente il significato innovativo del comma 2-bis dell'art. 321 c.p.p., al quale tuttavia può essere assegnato un valore meramente "rafforzativo", ossia una funzione di eliminare ogni dubbio sulla possibilità di disporre il sequestro preventivo in ordine ad una ipotesi di confisca caratterizzata da una marcata atipicità, rispetto alla disciplina generale, consentendo l'apprensione di beni privi di qualsiasi vincolo di pertinenzialità col reato commesso.
Con riferimento più specifico alla confisca in esame, la soluzione proposta appare del resto imposta anche alla luce della sentenza delle Sezioni Unite in commento, che ha affermato la natura penale della confisca prevista dall'art. 186, comma 7, cod. str., proprio al dichiarato fine di consentirne il sequestro preventivo, senza minimamente porsi il problema che la finalità sanzionatoria della confisca possa precludere questa conclusione. Con riferimento poi all'ipotesi di cui al comma 2 della norma citata, va pure avvertivo che, al di là di tutti i discorsi sulla funzione della misura, in fondo la legislazione speciale ha reso obbligatoria una confisca che sarebbe facoltativa in base alla disciplina generale e sarebbe contraddittorio che una norma che renda obbligata una soluzione normalmente solo eventuale determini il risultato di sfornirla dell'apparato cautelare. Né manca una indicazione testuale che contraddica la tesi qui criticata, perché il penultimo periodo dell'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str., nello stabilire che il veicolo sottoposto a sequestro possa essere affidato in custodia al trasgressore, salvo che abbia commesso altri reati di guida in stato di ubriachezza, sembra presupporre sempre il sequestro del veicolo, anche a prescindere dall'accertamento concreto della pericolosità della cosa. La sussistenza di una situazione tipizzata di pericolosità della cosa ha infatti conseguenze solo sulla possibilità di affidare in custodia il veicolo al trasgressore o meno e non condiziona in alcun modo il provvedimento cautelare.
Infine, come già si è avuto modo di notare, l'efficacia general-preventiva di questa inedita pena che è la confisca del veicolo, riposa almeno in parte proprio sulla possibilità di "anticipazione" garantita dal sequestro preventivo (32)

(32) Ciò non determina violazione della presunzione di innocenza perché "l'anticipazione di pena" assume rilievo sul piano empirico, ossia della percezione da parte del destinatario, che condiziona l'efficacia deterrente della pena, ma non impedisce di qualificare tecnicamente il sequestro come provvedimento cautelare, fondato sul fumus delicti e sul periculum di elusione della pena, dal momento che l'alienazione del veicolo a terzi di buona fede nelle more del giudizio la renderebbe inapplicabile.. Né può far cambiare conclusione il giusto rilievo secondo il quale in tutte le ipotesi di confisca-pena, con prevalente funzione repressiva, la funzione del relativo sequestro "preventivo" tende a virare in senso decisamente "conservativo", perchè è chiaro che in questo caso la finalità è quella di assicurare il buon esito della pena, contro il rischio di facili elusioni.
6. (SEGUE). B) DECRETO PENALE DI CONDANNA
In termini decisamente più problematici, rispetto al passato, si pone l'ulteriore questione operativa controversa, ossia se la confisca del veicolo possa essere disposta anche mediante decreto penale di condanna, posto che la norma speciale non lo prevede, facendo riferimento alle sole sentenze di condanna o di patteggiamento, e che l'art. 460, comma 2, c.p.p., prescrive che il giudice "ordina la confisca nei casi previsti dall'art. 240, comma 2, del codice penale o la restituzione delle cose sequestrate".
Al riguardo va ricordato che il testo originario dell'art. 460, comma 2, c.p.p., prevedeva che il giudice "ordina la confisca o la restituzione delle cose in sequestro", con ciò consentendo di disporre col decreto penale di condanna ogni tipo di confisca, anche quelle facoltative e quelle obbligatorie previste dalla legislazione speciale. La norma venne poi modificata, nei termini sopra riportati, nel 1999 (33)

(33) Precisamente dall'art. 37, comma 2, lett. a), della l. n. 479/1999., allo scopo di escludere la confisca facoltativa, in modo da uniformare la disciplina con quella del patteggiamento, che all'epoca escludeva la confisca, appunto al di fuori dai casi previsti dall'art. 240 cpv. c.p., dal momento che si era constatato che molte opposizioni erano dirette a patteggiare senza confisca (34)

(34) Quando poi la disciplina del patteggiamento venne modificata con la legge sul c.d. patteggiamento allargato (l. n. 134/2003) nel senso di consentire la confisca in tutti i casi previsti dall'art. 240 c.p., il legislatore si dimenticò di modificare, in modo corrispondente, l'art. 460, comma 2, c.p.p., col risultato (non voluto) di invertire il rapporto originario tra i due riti speciali con riferimento a questo particolare contenuto..
Ricordata l'origine della norma, già prima delle sentenze in commento non era mancato chi aveva escluso la possibilità di disporre la confisca del veicolo col decreto penale di condanna, sul rilievo che, da un lato, la norma speciale contemplava solo la sentenza di condanna o di patteggiamento e, dall'altro, che la confisca in parola, pur obbligatoria, non poteva considerarsi rientrante nei casi previsti dall'art. 240, comma 2, c.p.p., essendo piuttosto una cosa che è servita a commettere il reato (35)

(35) Cosi Cozzella, Il nuovo art. 186, comma 2, lett. c) codice della strada: è consentita la confisca del veicolo in caso di decreto penale di condanna?, in Giur. merito, 2009, 2522 ss.. L'interpretazione in parola poteva giovarsi della prevalente giurisprudenza della Cassazione in tema di confisca prevista dalla normativa in materia di rifiuti (36)

(36) Cfr. Cass. pen., 18 gennaio 2008, n. 7475, rv. 239008; Cass. pen., 22 maggio 2008, n. 26548, rv. 240343; Cass. pen., 19 marzo 2009, n. 24659, rv. 244019; e Cass. pen., 7 luglio 2009, n. 36063, rv. 244607. In particolare le ultime due sentenze citate hanno valorizzato non solo l'aspetto formale e l'inammissibilità di una estensione analogica in malam partem, ma anche la differente natura tra la confisca prevista dall'art. 240 cpv. c.p. in relazione a cose intrinsecamente pericolose e, pertanto, misura di sicurezza a tutti gli effetti e le confische previste dalla leggi speciali che "prescindono dalla pericolosità intrinseca della cosa e spesso costituiscono sanzioni vere e proprie" (cfr. sentenza n. 36063/2009). Con specifico riferimento alla confisca dell'area adibita a discarica abusiva viene definita "una forma di rappresaglia nei confronti dell'autore del reato" che "mira a colpirlo nei suoi beni", configurandosi come sanzione aggiuntiva, che sarebbe comprensibile che il legislatore avesse voluto escluderla nei casi di decreto penale di condanna, tipicamente meno gravi, perché "sarebbe irrazionale consentire una forte mitigazione di pena ed imporre nel contempo una misura di sicurezza tanto radicale" (cfr. sentenza n. 24659/2009). In senso contrario, tuttavia, cfr. Cass. pen., 4 dicembre 2007, n. 4545, rv. 238853, che argomenta l'opposta conclusione "secondo un'interpretazione teleologica e sistematica delle norme in materia, in base alla quale anche nel rito monitorio il giudice ha il dovere di disporre la confisca ogni volta che sia obbligatoria o ai sensi dell'art. 240, comma 2, c.p.p., o ai sensi delle leggi speciali"..
Tuttavia, con due successive pronunce la Cassazione ha affermato la necessità di disporre la confisca del veicolo, a norma dell'art. 186 cod. str., anche col decreto penale di condanna, sia in forza dell'espresso richiamo all'art. 240, comma 2, c.p.p., da intendersi "non come riferimento alla natura ed alle caratteristiche delle cose ivi elencate, bensì nel senso della previsione dell'obbligatorietà della confisca", sia accogliendo una interpretazione ampia di "sentenza di condanna, comprensiva dunque anche del decreto penale" (37)

(37) Cass. pen., 21 ottobre 2009, n. 43501, rv. 245422; e Cass. pen., 24 febbraio 2010, n. 14514, rv. 247025.. Il contrasto con la giurisprudenza sviluppatasi nella materia dei rifiuti viene superato col rilievo che la confisca in esame è sostenuta "da una ratio legis correlata a pressanti esigenze di prevenzione, del tutto specifiche alla materia speciale della circolazione stradale dei veicoli".
La soluzione poteva essere condivisa perché era ragionevole pensare che l'espresso richiamo all'art. 240, comma 2, c.p., conferisse all'obbligatorietà della confisca in esame la stessa forza prevista nel sistema per la confisca di cui alla norma richiamata, a maggior ragione ove si consideri la maggiore perentorietà della formula linguistica che la prevede ("è sempre disposta"), a confronto con quella utilizzata in materia di rifiuti (38)

(38) Cfr. l'art. 256, comma 3, d.lgs. n. 152/2006 ("alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p., consegue la confisca...").. D'altra parte, deve essere pure osservato che, salvo specifiche deroghe all'estensione ai decreti penali del regime delle sentenze, per il resto i due strumenti devono ritenersi parificati e si tratta di regola che trova fondamento nella natura stessa del decreto penale di condanna, che è provvedimento a cognizione piena come la sentenza e a differenza della sentenza di patteggiamento, tanto che risulterebbe contraddittorio ammettere la confisca solo in quest'ultimo caso, anche considerando l'origine del tutto estemporanea dell'attuale formulazione dell'art. 460, comma 2, c.p.p.
Tuttavia ora la questione sembra porsi in modo differente ed ancora più problematico, perché, da un lato, la sentenza della Consulta ha eliminato il richiamo all'art. 240 cpv. e, dall'altro, la sentenza delle Sezioni Unite, nel qualificare la confisca come sanzione penale accessoria, sembra richiamare la categoria delle pene accessorie vere e proprie, che però sono espressamente escluse dal decreto penale di condanna dalla norma che definisce il contenuto premiale del rito speciale, ossia l'art. 460, comma 5, c.p.p. In effetti, venuto meno l'argomento fondato sul richiamo dell'art. 240 cpv. c.p., anche quello fondato sull'interpretazione estensiva della norma speciale, con riferimento all'espressione "sentenza di condanna", rischia di evaporare proprio in ragione dell'espressa disciplina derogatoria prevista per il decreto penale di condanna per le pene accessorie.
Sennonché non mancano argomenti contrari. Anzitutto, si può osservare come la declaratoria di incostituzionalità del riferimento all'art. 240, comma 2, c.p., non ha minimamente intaccato la forza vincolante della clausola di obbligatorietà, che costituiva il fondamento della soluzione in precedenza accolta, essendo giustificata da tutt'altre ragioni e, precisamente, dalla ritenuta esclusione delle garanzie fondamentali in materia penale. Non sarebbe allora corretto ritenere che l'obbligatorietà della confisca ne risulti modificata e sminuita, a maggior ragione ove si consideri come in effetti essa emerga in modo chiaro anche dalla parte della norma non intaccata dalla declaratoria di incostituzionalità, laddove prescrive appunto che la confisca "è sempre disposta". Del resto, indiretta ma importante conferma dell'obbligo di disporre la confisca anche col decreto penale di condanna viene dalla sentenza della Consulta in commento, originata proprio da una richiesta di decreto da parte del PM, perché se non fosse consentito disporla in quella sede, la questione di incostituzionalità sollevata dal GIP avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile, per difetto di rilevanza, dal momento che la norma sospetta non avrebbe comunque potuto trovare applicazione nel procedimento a quo. Il fatto che la questione sia stata decisa nel merito costituisce pertanto prova che per la Corte costituzionale è pacifico che anche il GIP possa e debba applicare la confisca in parola col decreto penale di condanna.
Con riferimento poi alla pronuncia delle Sezioni Unite si può osservare che la parte meno condivisibile della sentenza è proprio quella che qualifica la sanzione di confisca in termini di accessorietà, rispetto alle pene classiche, trattandosi di affermazione che si pone in netto contrasto col ruolo centrale riconosciutole nell'armamentario di strumenti messo in campo dal legislatore con funzione di prevenzione dell'illecito. Non si può fare a meno di notare, infatti, che escludere l'applicabilità della confisca col decreto penale di condanna, che è un rito speciale molto utilizzato in questa materia, significherebbe sconfessare proprio la strategia di prevenzione generale configurata dal legislatore, minando la stessa effettività della nuova sanzione. La qualificazione più corretta sembra allora essere quella di pena principale, che si affianca a quelle classiche, senza alcun vincolo di accessorietà (39)

(39) La soluzione non costituisce una novità assoluta nell'ordinamento perché l'art. 9 del d.lgs. n. 231/2001, in tema di responsabilità degli enti, configura la confisca appunto in termini di sanzione principale, accanto alle sanzioni pecuniarie ed interdittive. Analogamente come pena principale è configurata la confisca dal progetto di riforma del codice penale elaborato dalla Commissione Nordio..
La considerazione quale pena principale sembra del resto confermata dalla particolare disciplina cui è stata sottoposta dal legislatore, scarsamente compatibile con la sua pretesa accessorietà. Da un lato, infatti, la confisca resta insensibile alla sospensione condizionale della pena e, dall'altro, è necessariamente disposta dal giudice e non consegue automaticamente dalla sentenza di condanna. Entrambi gli aspetti di disciplina indicati non solo contrastano con la disciplina generale delle pene accessorie, di cui agli artt. 20 e 164, comma 3, c.p., ma confermano il ruolo centrale riconosciutole dal legislatore, tanto da imporne sempre l'applicazione e la statuizione in sentenza.
7. LA LEGGE 29 LUGLIO 2010, N. 120: LA CONFISCA DEL VEICOLO È STATA TRASFORMATA IN SANZIONE AMMINISTRATIVA ACCESSORIA?
Tutte le riflessioni sopra svolte e la stessa elaborazione delle Sezioni Unite e della Corte costituzionale rischiano di nascere vecchie e già superate a causa dell'iperattività del legislatore in questa materia. Infatti, la legge 29 luglio 2010, n. 120 (40)

(40) Entrata in vigore il 30 luglio 2010 per la parte qui considerata, perché l'art. 33, u.c. dispone che le disposizioni di modifica degli artt. 186, 186-bis e 187 entrano in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale., ha proceduto ad una complessiva riforma del codice della strada che ha investito anche la disciplina della confisca e del sequestro del veicolo, contenuta nell'ultima parte dell'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str. (41)

(41) Anche l'art. 187 cod. str. è stato modificato in modo corrispondente. Il più grave reato di guida in stato di ebbrezza ha poi subito ulteriori modifiche, quali l'innalzamento del limite edittale minimo della pena detentiva dell'arresto (da 3 a 6 mesi) ed aspetti di dettaglio della disciplina della revoca della patente, che non saranno oggetto di trattazione in questa sede..
In particolare, per ciò che qui interessa, vengono in rilievo tre novità. Anzitutto, è stato eliminato il riferimento all'art. 240, comma 2, c.p. In questo modo il legislatore ha provveduto ad uniformare il testo della norma alla sentenza della Corte costituzionale in commento. In secondo luogo, è stata eliminata la possibilità di affidare in custodia al trasgressore il veicolo sequestrato. Infine, è stato inserito, a chiusura della norma, l'inciso "ai fini del sequestro si applicano le disposizioni di cui all'art. 224-ter".
A sua volta l'art. 224-ter cod. str., inserito ex novo dall'art. 44 della legge, detta un'articolata disciplina del "procedimento di applicazione delle sanzioni amministrative della confisca amministrativa e del fermo amministrativo in conseguenza di ipotesi di reato", come recita la rubrica della norma. Il comma 1 di quest'ultimo articolo prevede che, nelle ipotesi di reato per le quali è prevista la sanzione amministrativa accessoria della confisca, si proceda al sequestro ai sensi dell'art. 213 cod. str. (ossia la norma che disciplina in via generale sequestro e confisca amministrativa), in quanto compatibile, ma con la precisazione che il veicolo dovrà essere obbligatoriamente affidato ai soggetti di cui all'art. 214-bis cod. str., ossia ai c.d. custodi-acquirenti. Inoltre, sempre il nuovo art. 224-ter cod. str. dispone anche che nelle stesse ipotesi sia trasmessa al Prefetto copia della sentenza o del decreto penale di condanna, affinché possa disporre la confisca amministrativa e che avverso il provvedimento di sequestro sia ammessa opposizione ai sensi dell'art. 205 cod. str., ossia avanti all'autorità giudiziaria civile. Infine, viene dettata una disciplina apposita per i casi di declaratoria di estinzione del reato, devolvendo al Prefetto la valutazione circa la sussistenza delle condizioni per disporre la sanzione amministrativa accessoria, nonché di sentenza di proscioglimento, con previsione di restituzione del veicolo all'intestatario.
Alla luce di questi interventi normativi i primi autorevoli commenti hanno concluso nel senso che il legislatore ha qualificato in termini amministrativi non solo il sequestro ma anche la confisca del veicolo prevista dall'art. 186 (e 187) cod. str., analogamente a quanto già previsto per la sospensione e la revoca della patente (42)

(42) Cfr., Relazione III/8/10 del 3 agosto 2010 dell'ufficio del Massimario della Cassazione, in www.cortedicassazione.it, sezione novità. Brichetti-Pistorelli, Massima severità per chi rifiuta il test spirometrico, in Guida dir., inserto 4-35 del 4 settembre 2010, 19 ss.. La disciplina del sequestro effettuata con espresso richiamo al nuovo art. 224-ter cod. str. esclude, inoltre, che si possa ancora procedere al sequestro preventivo del veicolo a norma dell'art. 321 c.p.p., possibile solo nel caso sia prevista una confisca della cosa di natura penale, dovendosi invece procedere esclusivamente al sequestro amministrativo. Alla stessa conclusione è pervenuta la Circolare ministeriale 300/A/10777/10/101/3/3/9, che ha anche precisato che trovano applicazione le procedure di sequestro di cui all'art. 213 cod. str. e che dopo la condanna il veicolo sequestrato è oggetto di confisca con provvedimento del Prefetto. Poiché la Circolare citata costituisce nella sostanza le istruzioni per l'uso destinate agli operatori di polizia, è pressoché certo che questi si asterranno dall'inviare i verbali di sequestro in Procura per la successiva convalida, con la conseguenza che l'interpretazione sopra esposta si affermerà nella prassi, prima ancora che nei commenti.
Questa interpretazione consente, da un lato, di liberare la giurisdizione penale dal carico della gestione dei sequestri e delle confische dei veicoli, che resta interamente devoluta all'autorità amministrativa e, dall'altro, permette di superare tutti i problemi in tema di sequestro e di decreto penale di condanna, di cui sopra si è detto, essendo certo, da un lato, che si potrà disporre il solo sequestro amministrativo e, dall'altro, che anche in caso di decreto penale di condanna potrà essere disposta la sanzione amministrativa accessoria della confisca, dal momento che il nuovo art. 224-ter, comma 2, cod. str., espressamente prevede la comunicazione al Prefetto anche del decreto penale di condanna, proprio al fine di consentire l'applicazione della confisca. Inoltre è certo che col decreto penale di condanna possano essere applicate le sanzioni amministrative accessorie, come sino ad ora avvenuto pacificamente per la sospensione e la revoca della patente.
Sennonché non sembra proprio che si tratti di conclusioni scontate, anzitutto perché la perdurante natura penale della confisca potrebbe ancora essere argomentata dalla circostanza che l'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str., continua ad affermare che essa è disposta dal giudice con la sentenza di condanna o di patteggiamento. Proprio con riguardo alla distinzione tra pene e sanzioni amministrative la migliore dottrina, nel sottolineare l'assenza di criteri sostanziali, ha affermato che "ogni qual volta noi troviamo una sanzione a contenuto afflittivo (...) la quale non può essere inflitta che dalla giurisdizione penale e per fatti di cui solo la giurisdizione penale stessa può accertare la sussistenza e le responsabilità, noi dobbiamo riconoscere in detta sanzione una pena criminale" (43)

(43) Vassalli, La confisca dei beni, cit., 67, che fa salva l'ipotesi dell'espressa contraria volontà della legge.. Non varrebbe obiettare che in questo caso sussiste un'espressa previsione legale in senso contrario, perché nessuna norma configura esplicitamente la confisca come sanzione amministrativa accessoria e ciò vale a differenziare assai bene il caso in esame dalla sospensione e della revoca della patente, che invece sono espressamente qualificate come sanzioni amministrative accessorie. Va inoltre osservato che, per il caso della sospensione e revoca della patente, il codice della strada detta una complessa disciplina di raccordo delle competenze dell'autorità giudiziaria e dell'autorità amministrativa, con previsione di una competenza di natura cautelare e provvisoria in capo all'autorità amministrativa (cfr. art. 223 cod. str.) e l'adozione da parte dell'autorità amministrativa, dopo la pronuncia della sentenza, del provvedimento della sospensione della patente per la durata stabilita dall'autorità giudiziaria (cfr. art. 224 cod. str.).
Inoltre, la sanzione amministrativa accessoria della confisca è applicata sempre dal Prefetto, a norma dell'art. 213, comma 3, cod. str., mai dall'autorità giudiziaria, sicché una diversa disciplina sembra imporre una espressa disciplina derogatoria che nel caso in esame manca.
Non sembra che a tal fine possa essere utilizzato il rinvio all'art. 224-ter cod. str. contenuto nell'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str., perché si tratta di un rinvio doppiamente limitato dalla stessa legge. In primo luogo, è compiuto "ai fini del sequestro" e non può pertanto essere esteso anche alla confisca. In secondo luogo il rinvio è operato non alla norma che disciplina in termini generali il sequestro e la sanzione amministrativa accessoria della confisca, ossia l'art. 213 cod. str., ma alla norma che si limita a dettare il relativo "procedimento di applicazione". Insomma per diversamente qualificare la confisca del veicolo sarebbe stato sufficiente aggiungere, alla fine del periodo che la prevede, "a norma dell'art. 213", mentre si è deciso di richiamare il solo procedimento di applicazione per il sequestro.
Non solo, ma la ricorrenza di ulteriori ipotesi di reato per le quali è prevista la sanzione amministrativa accessoria della confisca del veicolo, quale ad es. la confisca del ciclomotore e del motoveicolo prevista dall'art. 213, comma 2-sexies, cod. str., nei quali la sanzione amministrativa accessoria è comunque sempre disposta dall'autorità amministrativa, previa comunicazione della sentenza penale di condanna, induce a ritenere che l'analoga disciplina prevista dall'art. 224-ter cod. str. sia appunto riferita a queste ipotesi e non già alla confisca del veicolo prevista dagli artt. 186 e 187 cod. str. Affermare che anche in tal caso la confisca sia disposta dal Prefetto, dopo la comunicazione della sentenza e del decreto penale di condanna divenuti irrevocabili, è in chiara contraddizione con la disposizione secondo la quale la confisca è disposta dal giudice nella sentenza penale (44)

(44) Infine, non mancano ulteriori argomenti testuali a sostegno della perdurante natura penale della confisca. Anzitutto, l'art. 186, comma 2, lett. c), cod. str., continua a disporre che la confisca deve essere disposta in sentenza di condanna "anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena", precisazione del tutto inutile se davvero si trattasse di una sanzione amministrativa accessoria, essendo pacifico che la sospensione condizionale della pena non ha alcuna influenza su questo tipo di misure. Piena conferma viene dalla disciplina dettata in ordine alle sicure sanzioni amministrative accessorie conseguenti al reato, ossia la sospensione o la revoca della patente, che non contiene coerentemente alcun riferimento alla sospensione condizionale della pena. In secondo luogo, il nuovo comma 9-bis dell'art. 186 cod. str., introdotto dalla novella, nel consentire la sostituzione delle pene classiche (arresto ed ammenda) col lavoro di pubblica utilità, configura il relativo positivo svolgimento come causa di estinzione del reato, da dichiarare all'esito di un procedimento di esecuzione, la quale comporta la revoca della confisca del veicolo sequestrato. Questa atipica causa di revoca della confisca sembra meglio giustificarsi se si qualifica come pena in senso proprio, piuttosto che come sanzione amministrativa accessoria, dal momento che le pene non possono sopravvivere all'estinzione del reato, a differenza delle sanzioni amministrative, come confermato dal combinato disposto di cui agli artt. 200, comma 4, e 221, comma 2, cod. str., per le sanzioni principali, dall'art. 224, comma 3, cod. str., per le sanzioni accessorie della sospensione e revoca della patente e, ora, dal nuovo art. 224-ter, comma 6, cod. str., per la confisca quale sanzione amministrativa accessoria. È bensì vero che l'argomento non appare decisivo, perché il comma 9-bis cit. dispone che l'estinzione del reato determina conseguenze anche sulla sospensione della patente, che è ridotta della metà, ma la circostanza, da un lato, che si tratta di una semplice riduzione e non di una revoca e, dall'altro, che l'ulteriore sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente resta immutata, conforta la conclusione raggiunta..
D'altra parte, l'interpretazione qui criticata non è priva di controindicazioni, perché pone delicati problemi di diritto transitorio. Ci si può legittimamente chiedere, infatti, se la diversa qualificazione giuridica della confisca abbia o meno determinato una successione nel tempo di sanzioni di tipo diverso, nel senso che alla confisca di natura penale in precedenza prevista sia subentrata la confisca di natura amministrativa, prevista dalla novella. Se così fosse, poiché manca una disciplina transitoria, si porrebbero tutti i delicati problemi da tempo emersi in caso di successione tra sanzioni penali e sanzioni amministrative (45)

(45) In tema di depenalizzazione, in particolare, Sez. Un. pen., 16 marzo 1994, n. 7394, rv. 197698, in Cass. pen., 1994, 2659; e ivi, 1995, 1806, con nota di Albano, Nuovo codice della strada, depenalizzazione e diritto transitorio, hanno affermato che, in assenza di una disciplina transitoria analoga a quella dettata dagli artt. 40 e 41 l. n. 689/1981, i fatti pregressi alla depenalizzazione vanno esenti da qualsiasi sanzione, non quella penale perché abrogata, non quella amministrativa per il divieto di applicazione retroattiva. Successivamente, ma in un passaggio meramente incidentale, Sez. Un. pen., 27 ottobre 2004, n. 1327, rv. 229635, hanno affermato l'opposto principio della generale applicazione della disciplina di cui agli artt. 40 e 41, l. n. 689/1981 (che comporta l'applicazione della sanzione amministrativa, quale disciplina più favorevole). Così anche Cass. pen., 25 gennaio 2005, n. 7180, rv. 233577. Il caso in esame presenta la particolarità che l'illecito è rimasto reato e muta la sola qualificazione giuridica di un'unica sanzione, il cui contenuto resta peraltro immutato, sicché l'esito affermato dalle prime sentenze qui citate sarebbe davvero paradossale. Viceversa il problema si pone nella sua accezione classica, con riferimento alla depenalizzazione del meno grave reato di guida in stato di ebbrezza , con tasso alcolemico accertato entro la soglia di 0,8 g/l, operata dall'art. 33, comma 1, lett. a), l. n. 120/2010., con grave incertezza della disciplina applicabile in riferimento ai reati commessi prima dell'entrata in vigore della novella, ossia il 30 luglio 2010.
Può allora legittimamente proporsi un'interpretazione alternativa, che ritenga il rinvio operato all'art. 224-ter cod. str., da un lato, limitato al solo sequestro e, dall'altro, alle sole sue modalità esecutive, con particolare riferimento all'individuazione dei soggetti che possono essere nominati custodi. In questa prospettiva, cioè, la legge avrebbe semplicemente inteso unificare la procedura esecutiva del sequestro amministrativo e di quello penale da parte delle forze dell'ordine, fermo restando che il secondo debba essere convalidato dal GIP, trattandosi pur sempre di un sequestro preventivo, a norma dell'art. 321 c.p.p. La perdurante natura penale, sia del sequestro che della confisca, non potrebbe invece essere posta in discussione, con tutte le conseguenze ed i problemi che sopra si sono evidenziati.
Non manca un'ulteriore interpretazione possibile, maggiormente aderente alla lettera della legge e, per così dire, intermedia, che qualifichi in termini amministrativi il solo sequestro, che verrebbe pertanto ad assumere un ruolo cautelare-anticipatorio, rispetto alla misura penale della confisca. È vero che si tratterebbe di una soluzione piuttosto strana, di una misura cautelare di natura amministrativa che accede ad una confisca di tipo penale, ma potrebbe trovare una sua logica proprio nell'intento di uniformare tutte le procedure e formalità gravanti sulla polizia giudiziaria, prima del provvedimento definitivo. Da questo punto di vista si tratterebbe di una soluzione elaborata sulla falsa riga dei provvedimenti provvisori che adotta il Prefetto nel caso di sospensione della patente, a norma dell'art. 223 cod. str. (46)

(46) Corrisponderebbero anche i meccanismi di tutela, perché sia contro i provvedimenti provvisori di sospensione della patente, di cui all'art. 223 cod. str., sia contro il sequestro amministrativo, di cui al nuovo art. 224-ter cod. str., è ammessa opposizione a norma dell'art. 205 cod. str., avanti all'autorità giudiziaria civile, senza che ciò interferisca sulla competenza dell'autorità giudiziaria penale a disporre la sanzione definitiva (in un caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione o della revoca della patente, nell'altro la sanzione penale della confisca)..
Come si può vedere, ancora gravi sono i problemi di interpretazione e di applicazione della disciplina prevista per la confisca del veicolo dall'art. 186 cod. str.

Da: per cosa c''è di male15/12/2010 12:27:51
Di male c'è anche la disparità tra quelli senza palmare e i furbi con a disposizione le sentenze integrali sull'argomento.

Da: robb15/12/2010 12:28:55
ragazzi ma in merito alla traccia 2 sugli alcolisti?

Da: vergognatevi15/12/2010 12:30:10
Sto chiamando la corte d'appello per segnalare questa vergogna!

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