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Esami AVVOCATO - discussione precedente
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Da: gianlu17/12/2008 11:50:35
raga....ma sulla prima confermate la sentenza?

Da: Ale17/12/2008 11:50:36
poca polemica... SOLO SOLUZIONI CERTE!!!!

Da: dada17/12/2008 11:51:06
DANiela,confidiamo in te!

Da: -------------17/12/2008 11:51:06
si sanno gli abbinamenti?

Da: serena17/12/2008 11:51:16
Agli avvocatoni navigati che disdegnano il lavoro di caloro che cercano di aiutare i candidati in aula: nn x farmi gli affari vostri....ma che ci fate su un forum alle 11,50 di mercoledì mattina....non dovreste essere in tribunale a trattare le vostre importantissime cause dei vostri eminentissimi clienti???? Non dovreste neanche conoscerle qst sedi!!! Ridicoli!!!

Da: ely17/12/2008 11:51:38
ciao Ale, perdonami non ho capito bene dopo posso trovare le soluzioni della prima e seconda traccia?? mi aiuti per piacere??

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Da: alessandro17/12/2008 11:52:51
per la prima traccia, cioè la diffamazione
la sent di riferimento è la 10735/2008

Da: dom17/12/2008 11:52:54
ely ma tu sei quella di ieri?

Da: AVV.FI17/12/2008 11:53:01
penso che si tratti di nesso di causalità tra omessa custodia e eventi successivi tra cui l'uccisione...cmq è assurdo avere le soluzioni da un forum quante centinaia o migliaia di persone accanto a te stanno studiando la stessa traccia...PATETICO!!!

Da: -------------17/12/2008 11:53:58
per gli abbinamenti, chi mi aiuta?

Da: alessandro17/12/2008 11:54:10
La diffamazione, così come lâingiuria, consiste in una manifestazione del pensiero, che rileva, ai fini della consumazione del reato, nella misura in cui lâespressione offensiva venga a conoscenza di unâaltra persona o comunque sia da altri percepita.
Lâoffesa è rivolta nei confronti della reputazione della persona - che al momento possiamo intendere come la âpersonalità socialeâ, il valore sociale di un determinato individuo - che può essere lesa o messa in pericolo da chiunque attribuisca al soggetto interessato qualità o fatti in qualche modo disonoranti.
1. Il reato di diffamazione.

La diffamazione, così come lâingiuria, consiste in una manifestazione del pensiero [1], che rileva, ai fini della consumazione del reato, nella misura in cui lâespressione offensiva venga a conoscenza di unâaltra persona o comunque sia da altri percepita.

Lâoffesa è rivolta nei confronti della reputazione della persona - che al momento possiamo intendere come la âpersonalità socialeâ, il valore sociale di un determinato individuo - che può essere lesa o messa in pericolo da chiunque attribuisca al soggetto interessato qualità o fatti in qualche modo disonoranti. Tale offesa implica in concreto, ma non necessariamente, che la persona si senta colpita nel proprio onore e che ne risenta la sua reputazione in termini di perdita di stima. Ma, dal momento che si verte nel campo dei beni morali, non è facilmente accertabile se questi vengano lesi effettivamente ovvero solo potenzialmente.

A questo punto occorre domandarsi se si tratti di reato di lesione o di pericolo e valutare, dunque, se la ratio della norma incriminatrice si identifica con la lesione ovvero con il pericolo di lesione del bene-reputazione. Ciò rileva al fine di determinare il grado di tutela del bene giuridico in questione (rendendo incerto il momento consumativo del reato).

Si premette che il reato si consuma nel momento in cui lâespressione offensiva è comunicata ad altre persone e si verifica la diffusione della propalazione offensiva. Dal testo della norma sembra desumersi che, in caso di comunicazione fatta separatamente a più persone, la consumazione segue la seconda comunicazione e tutte le altre rilevano ai fini della gravità del reato per il maggior danno che ne deriva.

La Suprema Corte di Cassazione ha affermato sul punto che âla diffamazione è un reato formale ed istantaneo che si consuma con la comunicazione con più persone lesiva dellâaltrui reputazione onde diviene irrilevante, ai fini del perfezionamento della fattispecie, una maggiore espansione quando si sia realizzata la propalazione minima, sempre che si rimanga nello stesso contesto di azioneâ [2].

Secondo parte della dottrina siamo in presenza di un reato di pericolo e non è necessario, per la configurabilità del reato, che âil biasimo abbia trovato credito presso coloro che lo hanno appreso e, quindi, non si esige che la reputazione sia distrutta o diminuitaâ [3]. Secondo altra parte della dottrina si tratta, invece, di un reato di danno e lâoffesa presa in considerazione dalla norma è lâeffettiva lesione del bene-reputazione [4].

La lettera della norma sembra deporre nel primo senso, dal momento che manca in questa un richiamo espresso allâeffettiva perdita di stima. In ogni caso le difficoltà di inquadramento nellâuna o nellâaltra categoria di reati dipendono anche dalla natura del bene tutelato, che non consente una sua precisa e concreta identificazione.

Riguardo alla configurabilità del tentativo, questo potrebbe anche configurarsi in astratto, ma la possibilità che si realizzi in concreto è limitata anche dal fatto che, essendo un reato perseguibile a querela di parte, si presuppone, perché si configuri, che il soggetto passivo sia venuto a conoscenza dellâoffesa rivoltagli.

2. Il bene giuridico tutelato.

Si ha diffamazione tutte le volte in cui taluno, âcomunicando con più persone, offende lâaltrui reputazioneâ e non ricorra in concreto una fattispecie di ingiuria.

Tale ultima precisazione, contenuta nella clausola âfuori dei casi indicati nellâarticolo precedenteâ, sta a significare che un primo requisito negativo del reato in questione è lâassenza dellâoffeso, il quale si trova nellâimpossibilità di giustificarsi ed eventualmente rispondere allâoffesa.

È proprio da ciò che discende, peraltro, la maggiore gravità della diffamazione rispetto allâingiuria âper la maggiore quantità ed estensione del danno e per la viltà e la particolare pericolosità del colpevoleâ [5].

A tale requisito negativo se ne aggiunge un altro, che incide sulla struttura del reato e sulle modalità di aggressione del bene tutelato dalla norma, dato dalla divulgazione dellâoffesa. Lâazione incriminata si verifica, dunque, rendendo edotte altre persone della notizia diffamante nei confronti di qualcuno, che è assente, il quale ne riceve nocumento per la sua reputazione.

Lâoffesa alla reputazione costituisce il nucleo della norma incriminatrice, che punisce chi cerca di scalfire e, in effetti, scalfisce la stima di cui taluno gode tra i consociati, ciò che costituisce il valore sociale della persona. La ratio della norma è evidente nelle ulteriori previsioni che aggravano la fattispecie di reato in argomento, previsioni che sanzionano con maggiore rigore la diffamazione che avviene mediante la stampa o che consiste nellâattribuzione di un fatto determinato. È agevole notare che in presenza di tali circostanze aumenta lâidoneità offensiva della condotta posta in essere dallâagente e la reputazione dellâoffeso risente di un danno più grave.

La norma de qua è collocata nel capo II, âDei delitti contro lâonoreâ, del titolo XII, âDei delitti contro la personaâ, del libro II del codice penale. Tale titolo prevede e punisce i delitti che offendono direttamente beni essenziali dellâindividuo e tra questi è ricompreso, per lâappunto, lâonore. Giova rammentare che i delitti contro lâonore, contenuti del capo in esame, sono due: oltre alla diffamazione è sanzionata anche lâingiuria. Nel codice è, comunque, possibile rinvenire altre offese allâonore sanzionate penalmente, ma si tratta di fattispecie incriminatrici che prendono in considerazione la lesione di interessi di maggior rilievo sociale.

Basti pensare allâabrogazione della norma che prevedeva e puniva il reato di oltraggio a un pubblico ufficiale (art. 341 CP), che è stata considerata dalla giurisprudenza norma assorbente rispetto a quella che prevede il reato di ingiuria. Norma questâultima che contiene solo una parte delle fattispecie che dapprima potevano essere ricondotte nellâambito di applicazione della prima norma, che âtutelava alternativamente il prestigio o lâonore del pubblico ufficialeâ e non âlâonore e il decoro della persona offesaâ [6].

Autorevole dottrina intende per onore âil complesso delle condizioni da cui dipende il valore sociale della persona, lâinsieme delle doti morali, intellettuali, fisiche e delle altre qualità che concorrono a determinare il pregio dellâindividuo nellâambiente in cui viveâ [7]. Vengono, dunque, in rilievo sia lâaspetto soggettivo (le qualità delle persona) che quello oggettivo (il valore sociale) dellâonore.

La dottrina germanica, invero, sottolineando il profilo soggettivo del bene-onore, sosteneva che questâultimo, in quanto racchiude il valore intrinseco dellâuomo, non può in alcun modo essere leso da un altro uomo [8].

Il nostro ordinamento considera lâonore sotto due aspetti lâuno di natura soggettiva, lâaltro di natura oggettiva, che vanno oltre il valore più intimo dellâuomo. Il primo consiste in ciò che la dottrina ha definito come il âsentimento del proprio valore socialeâ ed è rimesso allâapprezzamento dellâindividuo stesso, mentre il secondo - ed è quello che più ci interessa - è rappresentato dal giudizio degli altri sulle sue doti, dalla reputazione e dalla considerazione di cui gode nella comunità. Ciò vale anche quando la lettera dellâart. 594 CP sembra riferirsi allâonore come allâinsieme delle qualità morali, indicando le altre qualità col termine decoro.

La lettera del codice penale è chiara nel ricomprendere nellâambito del reato di ingiuria la lesione dellâonore e in quello del reato di diffamazione lâoffesa della reputazione. Come precisato entrambi i termini afferiscono al concetto principe di onore.

Del resto, mediante le dichiarazioni ingiuriose o diffamatorie non si fa altro che attribuire a un soggetto qualità o fatti disonoranti, in grado di ledere tanto il sentimento del proprio valore sociale, quanto la reputazione dellâindividuo. Malgrado, soprattutto in passato, si sia tentato da parte di alcuni autori [9] di relegare lâoffesa alla reputazione nellâambito della diffamazione e quella al sentimento dellâonore nellâambito dellâingiuria, non si può negare che in concreto il fatto criminoso possa avere ripercussioni su entrambi gli aspetti.

Dâaltronde, la giurisprudenza in tema di diffamazione non parla soltanto di opinione o stima di cui gode lâindividuo, ma anche di âsenso della dignità personale in conformità allâopinione del gruppo socialeâ [10] o ancora di âdecoro professionaleâ [11]. Vieppiù, sembra riconoscersi lâesistenza di un minimum di personalità sociale, che rende doveroso un corrispondente rispetto minimo nei confronti di tutte le persone. Al di là di tale soglia viene, poi, riconosciuta unâulteriore tutela della reputazione, che è collegata alla posizione sociale che riveste il soggetto interessato. Rilevano, quindi, anche le qualità della persona offesa.

Indubbiamente, si tratta di una considerazione âastrattaâ delle particolari doti sociali della persona che procede per categorie: si parla in proposito di relatività della reputazione e nelle ipotesi concrete lâoffesa va commisurata al rispetto medio dovuto alle diverse categorie degli avvocati, dei magistrati, degli sposi et coetera.

Il minimum di valore sociale tutelato è da rapportare al contesto sociale in cui è inserito e, su tali basi, la giurisprudenza ha affermato che non integra il reato di diffamazione la mera âinfrazione alla suscettibilità e alla gelosa riservatezzaâ del soggetto passivo, avuto riguardo non solo alla totalità della popolazione, ma anche ai più limitati contesti di categorie professionali e di specialisti di un determinato settore [12]. Di tal guisa, il sentimento del proprio valore sociale, sul piano squisitamente oggettivo e quindi della reputazione, è âlimitatoâ dallâapprezzamento che la comune opinione fa o può socialmente fare su quella data persona. È ciò che rileva in tema di diffamazione.

Sintetizzando, la relatività del concetto di reputazione si ricollega, anzitutto, al momento storico di riferimento (basti pensare allâepiteto âfascistaâ utilizzato oggi in raffronto al ventennio fascista), in secondo luogo al contesto sociale e, infine, al più limitato eventuale ambito di categoria cui appartiene lâoffeso. Inevitabilmente, si tratta di un concetto elastico âi cui parametri sono destinati a non rimanere fissi nel tempo bensì a seguire â il mutamento della cultura e dei costumi socialiâ [13].

Nondimeno, per verificare tale concetto è necessario âtenere presenti tutti gli indici che siano suscettibili di assumere rilievo al fine di individuare consistenza ed estensione della reputazione di un determinato soggettoâ [14]. Pertanto, dal momento che la reputazione racchiude in sé le peculiarità personali, familiari e lavorative di un dato individuo, non si può non tenere in considerazione anche queste per valutare lâidoneità offensiva della comunicazione che si reputa diffamante. Non si tratta di spostare sul piano soggettivo il concetto di reputazione, che per forza di cose è intrinsecamente oggettivo, ma di rapportarlo alla posizione sociale o professionale dellâoffeso, la cui reputazione proprio in ragione di tale considerazione potrebbe anche non ritenersi lesa o messa in pericolo.

Si pensi, ad esempio, a Sempronio che dichiara a più persone lâignoranza di Tizio in una data disciplina, che nulla ha a che vedere con questi per professione, ambiente sociale in cui opera, etc.. In tale ipotesi lo stato o il grado sociale di Tizio potrebbe far considerare le dichiarazioni di Sempronio offensive della reputazione di Tizio? potrebbe costui, che non ha mai studiato diritto penale, offendersi perché qualcuno ha detto ad altri che non conosce quella particolare categoria di reati che la dottrina germanica denomina âAusserungsdeliktsâ?

Quanto affermato sopra risulta di notevole rilevanza, perché la verifica della natura diffamatoria delle âcomunicazioniâ dellâagente è essenziale per lâaccertamento del reato. Infatti, sembra banale dirlo, perché possa configurarsi la diffamazione, deve sussistere lâoffesa alla reputazione. Se già, in virtù dellâaccertamento di fatto operato dal giudice, non si riscontrerà lâidoneità offensiva della condotta, perché ad esempio lâambiente in cui è stata posta in essere o il suo particolare contesto consentono di esprimersi in termini quasi offensivi, lâindagine sullâelemento oggettivo del reato porterà alla conclusione che il fatto non costituisce reato.

Si pensi alla lotta politica e alle espressioni pungenti e suggestive, sovente, utilizzate dai politici per apostrofare colleghi e personaggi pubblici, al fine di comunicare più efficacemente con i cittadini e carpirne il consenso [15]. Peraltro, anche coloro che ascoltano, da spettatori, tali dibattiti tra politici non colgono il significato offensivo ex se dellâespressione eventualmente utilizzata, se non come strettamente collegato al problema di interesse pubblico, più rilevante, su cui si controverte [16].

Se nel caso appena citato la tutela della reputazione viene contenuta dal particolare contesto in cui si realizza la comunicazione offensiva, la relatività del concetto di reputazione non può però comportare una modifica in peius della tutela apprestata dallâordinamento quando una data persona sia per qualsivoglia motivo disistimata o disonorata. Il che vuol dire che quel minimum di valore sociale, di cui parlavamo prima, va riconosciuto a tutte le persone, che, in quanto tali, hanno una dignità personale e un diritto allâintegrità morale che è indipendente dalla buona o cattiva fama posseduta.

Il rispetto sociale è dovuto a chiunque e il nostro ordinamento non può tollerare aggressioni alla reputazione di soggetti, che, pur essendo già compromessi per altri motivi, non possono avere lesa la propria dignità personale o professionale impunemente. Ciò, del resto, contrasterebbe con i principi della nostra Carta costituzionale e, in particolare, con lâart. 3, che - come detto - assicura pari dignità sociale a tutti i cittadini.

La giurisprudenza in tali ipotesi ha ritenuto, più volte, di tutelare lâonorabilità di tutte le persone, anche in presenza di eventi disonorevoli, âessendo la reputazione tutelata tanto come stima che una persona si è conquistata presso gli altri per i suoi meriti, quanto come rispetto sociale minimo cui ogni persona ha diritto, in quanto tale, indipendentemente dalla buona o cattiva fama che abbiaâ [17].

È vero, dunque, che taluno possa godere di una maggior tutela della propria reputazione per la posizione sociale o professionale che riveste in seno alla comunità, ma non è altrettanto vero che altri possano risentire delle loro malefatte con gratuite e ulteriori aggressioni diffamatorie a discapito della loro dignità personale. La Corte di Cassazione ha mantenuto tale orientamento anche trattando del diritto di cronaca giudiziaria.

È il caso solo di accennare allâorientamento di una parte della dottrina, secondo cui, invero, in tali ipotesi non si potrebbe garantire la tutela dellâonore a chi ha una reputazione negativa, realizzandosi vieppiù unâipotesi di reato impossibile ai sensi dellâart. 49 CP [18].

Occorre, infine, operare la distinzione tra la lesione del bene giuridico della reputazione e quella del bene dellâidentità personale, al fine di delimitare lâambito delle condotte offensive che possono configurare una responsabilità penale per diffamazione.

In genere, quando viene diffusa una determinata notizia o una raffigurazione che incide in qualche misura sul giudizio che altri possano avere sulla persona, oggetto della notizia e della raffigurazione, e sul suo valore sociale, può configurarsi una fattispecie di diffamazione ex art. 595 CP. Perché ciò accada è, però, necessario che si realizzi unâoffesa alla reputazione e non basta che âvi sia distorsione della effettiva identità personale o alterazione, travisamento, offuscamento, contestazione del patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionaleâ [19]. In questi ultimi casi potrebbe, al più, configurarsi un illecito civile per lesione del diritto allâidentità personale.

Così, ad esempio, mentre non costituisce reato il fatto che il giornalista esprima in certi termini la scelta politica di un dato soggetto, potrebbe ravvisarsi una sua responsabilità penale nel momento in cui attribuisce alla stessa persona unâopinione che costituisce âun abuso della libertà di manifestazione per il suo contrasto con valori fondamentali comunemente sentitiâ [20]. In alcuni casi, poi, potrebbero sussistere entrambe le lesioni, come nel caso in cui le propalazioni offensive concernano i compiti istituzionali di un magistrato, offeso in ugual misura nella sua reputazione e nella sua dignità ed identità personale [21].

Da: Frank17/12/2008 11:54:40
ma non rompere leballe.... o aiuti o le ne vai

Da: stefano17/12/2008 11:54:46
seconda traccia:
tizio è responsabile ex art. 387 c.p.
la sentenza si trova in qualsiasi codice commentato trovando l articolo!

Da: anto17/12/2008 11:54:50
grazie Alessandro. se puoi ci aiuti sulla 2 traccia

Da: x ALESSANDRO17/12/2008 11:54:59
sCUSAMI ALLORA X LA 1 TRACCIA IL DIRETTORE NON è COLPEVOLE PERCHè IL FATTO NON LEDE LA REPUTAZIONE DEL PRESIDE...GIUSTO?

ART 596 BIS CP  E SENT N°10735/2008

E' LA RISPOSTA DEFINITIVA?

PS DOPO OGGI PUOI FARE UNA GRAN BELLA LETTERINA A BABBONATALE...SEI STATO TANTO BUONO...

Da: seipunti17/12/2008 11:55:05
AVV.FI
penso che si tratti di nesso di causalità tra omessa custodia e eventi successivi tra cui l'uccisione...cmq è assurdo avere le soluzioni da un forum quante centinaia o migliaia di persone accanto a te stanno studiando la stessa traccia...PATETICO!!!

CONCORDO CON LA DISAMINA GIURIDICA. Sul resto non mi esprimo.

Da: axe17/12/2008 11:55:06
Premesso che il finto malore non è sicuramente reato preterintenzionale, ma si tratta di raggiro e quindi il suo agire è doloso, premesso ancora che il reato preterintenzionale, quando si possa configurare, sarebbe attinente alla posizione di Mevio.
Qui INTERESSA SOLO LA POSIZIONE GIURIDICA DI TIZIO.

Sto cercando gli articoli del codice in riferimento alla situazione di Tizio, oltre che qualche sentenza.

Da: alessia17/12/2008 11:55:25
fate lavorare gli avvocati per favore

Da: alessandro17/12/2008 11:55:32
1. Definizioni

    * Diritto di cronaca: è un diritto di libertà che discende dall'articolo 21 della Costituzione (nella libertà di espressione del pensiero deve infatti ricomprendersi anche la libertà di diffondere notizie e informazioni) e può essere considerato una scriminante (v. art. 51 del C.p.) rispetto al reato di diffamazione. La Cassazione nella sentenza n. 5259 del 18 ottobre 1984 (c.d. Decalogo del Giornalista) ha considerato legittimo l'esercizio del diritto di cronaca quando sussistano: utilità sociale dell'informazione, verità e forma civile dell'esposizione.
    * Diritti della personalità: diritti afferenti alla persona in quanto tale, come quelli alla riservatezza, all'onore e alla reputazione.
    * Onore: ha valore soggettivo, in quanto rappresenta la percezione che ognuno ha di sé stesso e della propria dignità.
    * Reputazione: si configura come l'onore in un'accezione oggettiva, cioè come la stima che gli altri hanno di una persona.
    * Diffamazione: reato sanzionato dall'art. 595 del Codice penale, che recita: "chiunque (â) comunicando con più persone offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa (â)".
    * Diffamazione a mezzo stampa: il comma 3 dell'articolo 595 del Codice penale, considera il fatto che la diffamazione venga amplificata dai media un aggravante. L'art. 596-bis rende responsabili (come previsto dall'art. 57 del C.p.) anche il direttore responsabile, l'editore e lo stampante.

2. Il bilanciamento tra diritto di cronaca e diritti della personalità

Il legislatore costituente non ha posto limiti espliciti alla libertà di espressione del pensiero, se non quello del buon costume (art. 21 della Costituzione). La Corte Costituzionale nella sent. n. 120 del 28.11.1968 ha poi ribadito che "la libertà di manifestazione del pensiero non può trovare limitazione se non nelle disposizioni legislative dirette alla tutela di altri beni ed interessi fatti oggetto di protezione costituzionale". Questa sentenza ha quindi sancito la totale riserva di legge per qualsiasi limite da porre alla libertà di espressione.

Il reato di diffamazione, così come codificato dall'art. 595 del Codice penale, configura una tra le più frequenti di queste limitazioni.

Il giudice chiamato a valutare la sussistenza del reato di diffamazione da parte di un giornalista ai danni di una persona, dovrà quindi valutare con ragionevolezza il bilanciamento tra il diritto di cronaca (diritto ad informare e diritto ad essere informati) e il diritto al rispetto della reputazione.

Su tale interpretazione pesano diversi fattori:

    * la notorietà del personaggio ricorrente e l'utilità sociale delle informazioni che lo riguardano;
    * la verità di tali informazioni: nonostante l'orientamento espresso dalla Cassazione (Cass. pen. sez. un. del 30 giugno 1984), gran parte della giurisprudenza ha ritenuto sufficiente a provare la sussistenza della scriminante del diritto di cronaca la verità putativa. E' questo un concetto relativo di verità, legato alla diligenza del giornalista. Può considerarsi verità putativa quella versione dei fatti ricostruita con la massima accuratezza e diligenza, rispetto alle fonti disponibili nel momento della ricostruzione;
    * la continenza, ossia la forma misurata e non eccedente nell'offesa gratuita dell'esposizione dei fatti.

Deve altresì considerarsi che in numerosi casi di diffamazione la giustizia civile supplisce a quella penale. Il nostro ordinamento non impedisce infatti al danneggiato che decida di non esercitare il diritto di querela e di no adire quindi le vie penali, di farsi valere in sede civile per il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito. La diffamazione infatti costituisce un comportamento illecito anche non tenendo conto della sanzione particolare prevista dal diritto penale.

Inoltre per i reati a mezzo stampa, l'art. 11 della legge n. 47 del 1948 sottolinea specificamente la responsabilità civile, in solido, degli autori del reato, del proprietario della pubblicazione e dell'editore.

Ulteriore conferma della percorribilità della via civile e della capacità del giudice civile di irrogare sanzioni aventi natura, non meramente reintegratrice, ma anche afflittiva, proviene dall'art. 12 della stessa legge sulla stampa. In questo articolo, infatti, oltre al risarcimento, previsto ai sensi dell'articolo 185 del C.p., viene data la possibilità al diffamato di chiedere una riparazione pecuniaria commisurata all'offesa.

2.1. Principali riferimenti normativi

    Art. 595 del Codice penale: reato di diffamazione;
    Art. 596-bis del Codice penale: reato di diffamazione a mezzo stampa;
    Art. 57 del Codice penale: reati commessi con il mezzo della stampa;
    Art. 8 della legge 47/1948 (modificato dall'art. 42 della legge 416/81): rettifica per diffamazione a mezzo stampa;
    Art. 10 della legge 223/1990: rettifica in materia televisiva;
    Art. 2043 del Codice civile: risarcimento per fatto illecito.

Da: x ahahahaha17/12/2008 11:55:51
sei un cojone, risparmiati sti commenti.
perchè non ci vediamo così ti rompo il culo?

Da: lillo17/12/2008 11:55:56
cass. pen. 34717/08

Da: lillo17/12/2008 11:56:19
dddddddddddd

Da: matilde17/12/2008 11:56:20
NAPOLI E' CORRETTA DA BARI

Da: Mara17/12/2008 11:56:21
SCUSATE MI SI ERA BLOCCATO IL PC NEWS DI UN PARERE TERMINTAO?ALE SEI DA AMMIRARE...

Da: michele17/12/2008 11:56:24
X ALESSANDRO E DANIELA
sono d'accordo con ale sul fatto che la sent 10735 risolve il problema alla base e che la sentenza da me citata , in ognicaso, escluderebbe l'applicabilità dell'art 57 al direttore televisivo, inoltre io inserirei solo per inciso la differenza tra intervista in diretta ed il servizio circa la responsabilità del giornalista

Da: alessandro17/12/2008 11:56:48
al fine di rendere tutela agli interessi personali e professionali, l'ordinamento, ha previsto una serie di strumenti di protezione della reputazione che possiamo così sintetizzare.
a) Il diritto di rettifica: da poter esercitare quando la notizia diffusa con il mezzo della stampa risulta essere non rispondente al vero o lesiva della sua dignità.
Con la legge n. 223/1990, tale principio è stato esteso anche per la rettifica di notizie diffuse attraverso il mezzo televisivo o radiofonico.
Il diritto di rettifica dei dati personali è previsto anche dal D,Lgs. 196/2003 c.d. legge sulla privacy), secondo la quale ogni soggetto può esercitare il diritto di ottenere l'aggiornamento, la rettificazione ovvero, qualora vi abbia interesse, l'integrazione dei propri dati personali. In caso di rifiuto espresso o tacito, ovvero di risposta non soddisfacente, ci si può rivolgere alternativamente all'autorità giudiziaria o al Garante per la protezione dei dati personali per ottenere l'attuazione in via coattiva di tali diritti.
b) La denuncia penale.: poiché la lesione dell'onore e della reputazione rappresenta un reato punito dal codice penale, chi subisce atti diffamatori può, come accennato, inoltrare alla competente autorità giudiziaria una denuncia â" querela al fine di dare impulso ad un processo penale a carico del colpevole e costituirsi parte civile ai fini del risarcimento dei danni morali e patrimoniali subiti.
b) La tutela cautelare civile ( artt. 669 bis e seguenti) : si esprime anticipatamente rispetto alla lesione dell'onore e della reputazione e si concretizza nella c.d. azione inibitoria, atta a conseguire una pronuncia giudiziale idonea ad impedire ad un soggetto di compiere un comportamento illecito, ovvero di interromperlo se è già in atto. Lo scopo è quello di impedire che il fatto lesivo della reputazione abbia inizio o di interrompere l'esecuzione se l'attività è già in atto. Ulteriore finalità è quella di rimuovere gli effetti già, eventualmente, prodotti ed impedire altri pregiudizi per il futuro (per esempio, attraverso il sequestro del mezzo materialmente utilizzato per recare offesa alla reputazione e all'onore).
c) Il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali: ci si riferisce al risarcimento del danno c.d. 'per equivalente', che consiste nella attribuzione al danneggiato di una somma di danaro utile a compensare il pregiudizio sofferto. Si ricorre a tale forma risarcitoria, per lo più, quando non è possibile ricorrere al risarcimento in forma specifica per l'impossibilità di fare regredire la situazione al momento precedente, utilizzando, magari, strumenti processuali cautelari come quelli sopra citati.
Per quanto riguarda questa forma di riparazione del danno patito, esso stesso presuppone, una suddivisione in:
- danno patrimoniale: quando si verifica una perdita o un mancato guadagno (c.d. danno emergente e lucro cessante);
- danno non patrimoniale: nel caso in cui la circostanza illecita reca con sé anche situazioni quali sofferenze, risentimento, turbamenti della personalità, dolore, stress, imbarazzo, preoccupazione, menomazione delle potenzialità relazionali, etc.
Bisogna inoltre tenere presente che i comportamenti diffamatori a mezzo stampa configurano un 'trattamento di dati personali' ai sensi del D.Lgs. 196/2003.
Il D.Lgs. 196/2003, infatti, prescrive il risarcimento dei danni per trattamento illecito dei dati personali, prevedendo una forma singolare in ordine all'aspetto probatorio.
Essa stabilisce che chi cagiona danni per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento degli stessi ai sensi dell'articolo 2050 del codice civile, ovvero con l'inversione dell'onere della prova.
L'art. 2050 precisa, infatti, che «chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno».
In altre parole, l'attività di trattamento di dati personali (al pari di chi usa combustibili o materiale rischioso) è equiparata all'esercizio di una attività pericolosa e determina un'inversione dell'onere della prova per effetto della quale il danneggiato dovrà solo provare l'esistenza del danno, mentre la colpa del danneggiante si presume, a meno che quest'ultimo non provi di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno stesso.

Da: AVV.FI17/12/2008 11:57:02
seeee vabbè se vi copiate sto compito vi fanno presidente di cassazione!!!! è ULTRONEO!!!! cmq alessandro...hai la segretaria????

Da: Frank17/12/2008 11:57:25
aleeeeeeeeeeee nn capisco nulla quale deov mandare?
la prima o l'ultima... o tutt'è due????

Da: peppe17/12/2008 11:57:27
c'è giurisprudenza contraria alla 34717/08?

Da: angie17/12/2008 11:57:29
daniela, alessandro lasciate perdere gli idioti e aiutateci per favore

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