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13 dicembre 2017: Parere PENALE
384 messaggi, letto 38997 volte

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Da: mariolina87 13/12/2017 14:48:30
@avv70 mancando la soluzione della prima ti consiglio di indicare la seconda ai tuoi amici
Rispondi

Da: Per Berzacla13/12/2017 14:54:15
Naturalente si deve purtroppo precisare che non si tratta di puro moralismo dato che lo svolgimento dell'esame non si basa sul rispetto esclusivo di norme morali ma anche di norme che ne tutelano il regolare svolgimento nell'interesse di tutti!
Rispondi

Da: avv70 13/12/2017 14:55:04
li potrei solo condondere...
Rispondi

Da: Lucio 85 13/12/2017 14:55:18
Non si consegna alle 18 a Napoli?
Rispondi

Da: avv70 13/12/2017 14:58:41
17
Rispondi

Da: rob13/12/2017 15:00:09
NAPOLI consegna alle 17:45
Rispondi

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Da: Per Luli9013/12/2017 15:00:13
La prima traccia ti sarà data è possibile anche sapere il tuo nome e chi sei che stai utilizzando il cellulare?
Rispondi

Da: Moralisti?13/12/2017 15:02:23
Non si tratta di morale ma di regole... C'è gente che lo sta facendo con le schermature ed invece al sud la solita arretratezza con cellulari funzionanti, colleghi conniventi, polizia giudiziaria ce ne sta che controlla? zona fumatori... Tanto poi alla fine fate la fame e vi lamentate... Ma i risultati sono proporzionati alla vostra fatica che fate nel voler sempre aggirare le regole.
Rispondi

Da: Soluzione traccia 113/12/2017 15:03:16
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Sentenza 29 settembre 2017, n. 22933

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore - Presidente -

Dott. GENOVESE Francesco Antonio - rel. Consigliere -

Dott. ACIERNO Maria - Consigliere -

Dott. NAZZICONE Loredana - Consigliere -

Dott. FALABELLA Massimo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3671/2017 proposto da:

Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Palermo;

-ricorrente -

contro

M.A., nella qualità di genitore della minore M.M.R., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Rao, giusta procura in calce al ricorso;

- controricorrente -

e contro

S.F.;

- intimata -

nonchè sul ricorso proposto da:

S.F., nella qualità di tutore provvisorio, già curatore speciale, della minore M.M.R., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall'avvocato Gaetana Valenti, giusta procura in calce al ricorso successivo;

- ricorrente successivo -

contro

Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Palermo;

-controricorrente -

e contro

M.A.;

- intimato -

avverso la sentenza n. 51/2016 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 21/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/07/2017 dal cons. GENOVESE FRANCESCO ANTONIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto dell'eccezione preliminare, nel merito per l'accoglimento per quanto di ragione di entrambi i ricorsi.

Svolgimento del processo

1. La Corte d'appello di Palermo, a seguito del rinvio disposto dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7391 del 2016, ha riformato la pronuncia del Tribunale per i minorenni di quella città (che aveva ritenuto il signor M.A., per le patologie da cui era affetto, non consapevole dei bisogni della figlia e delle necessità di cura ed accudimento della stessa), ed ha revocato lo stato di adottabilità della minore M.M.R., n. a (OMISSIS), già disposto con la sentenza di primo grado, affermando che, alla luce dell'eccezionalità della misura dell'adozione (l'extrema ratio) e dell'obbligatorietà, da parte delle istituzioni, della messa in campo delle misure di sostegno alla genitorialità, non poteva più ritenersi sussistente lo stato di abbandono, nel caso esaminato.

1.1. La sentenza di primo grado era stata impugnata dal genitore, il predetto sig. M.A., il quale aveva lamentato che nel corso del procedimento non erano emerse presunte sue condotte pregiudizievoli nei confronti della minore ma, al contrario, la cura tenuta verso la figlia (sia nei periodi in cui la madre era assente (per i ricoveri da patologie psichiatriche che l'affliggevano) e sia quando la minore era stata trasferita, nella prima fase, in una comunità), e che la patologia psichiatrica, da cui pure lui era affetto (una "psicosi schizofrenica cronica paranoidea" di tipo lieve), non avrebbe inciso sulla sua idoneità genitoriale.

2. Compiendo il nuovo accertamento dei fatti, attraverso una lettura della CTU già espletata nel corso del primo giudizio di appello (di cui riportava ampi stralci), la Corte territoriale rovesciava la sua precedente valutazione (che aveva formato oggetto di cassazione, con il menzionato rinvio) e concludeva affermando che gli elementi evidenziati dal primo giudice (ossia: a) la mancanza della consapevolezza della patologia psichiatrica che affliggeva anche lui, genitore; b) la mancanza di attenzione al comportamento (morboso e ambiguo) del proprio fratello, con lui convivente, verso la figlia minore; c) l'osservazione degli operatori della comunità, dove la bambina era stata collocata, circa la modesta interazione tra egli medesimo e la figlia, nel corso delle visite da lui compiute) erano generici e lacunosi.

2.1. La malattia non poteva rilevare di per sè e, comunque, era di grado lieve (come accertato dal CTU) sicchè essa poteva avere una effettiva incidenza nella specie solo ove ne fosse stata accertata l'interferenza con i doveri di "accudimento e cura della prole"; ciò che nella specie non sarebbe emerso in modo puntuale riguardo ai fatti osservati, risultando solo "scarne e poco approfondite" valutazioni espresse dagli operatori che non escluderebbero una "insuperabile incapacità di garantire alla minore le cure primarie" da parte del genitore.

2.2. Le ambigue attenzioni del fratello sarebbero state messe in sicurezza e prevenute per mezzo della dichiarata scelta di allontanarsi dall'abitazione comune e di trasferirsi (assieme alla figlia) in un altro immobile, appositamente acquistato.

2.3. L'osservazione del CTU, infine, che aveva concluso per la possibilità di favorire l'empowerment delle competenze genitoriali necessarie al M., attraverso il supporto dei servizi sociali ed una sua "presa in carico psico-sociale" da parte dei servizi di salute mentale, unitamente all'affidamento temporaneo etero-familiare della minore, con possibilità di avere con lei contatti costanti e regolati, costituiva la ragione della diversa conclusione raggiunta dai giudici in ordine all'esclusione dello stato di abbandono.

2.4. Non avevano pregio le obiezioni sollevate, e cioè: a) quella relativa alla durata della misura (protraibile fino a due anni e, comunque, ulteriormente prorogabile); b) quella riguardante la difficoltà di individuazione di un nucleo familiare disponibile, per la protrattasi permanenza della minore in una comunità e la necessità di impedire le ingerenze pregiudizievoli del nucleo familiare materno (potendosi ovviare a ciò con un affidamento fuori distretto); c) quella attinente alla mancata accettazione del M. circa la sua presa in carico da parte del DSM (dipartimento di salute mentale) e la sua collaborazione con la famiglia affidataria (perchè positivamente riscontrate dal CTU e comunque non ipotizzabili ex ante).

2.5. In sostanza, il sincero e solido legame affettivo del padre con la minore, e la volontà di mantenere con lei un rapporto genitoriale, poteva costituire il motore del suo nuovo atteggiamento ed il catalizzatore di quella collaborazione che gli richiedeva la gestione del suo rapporto con la figlia, in un ambito allargato e con la presenza di più attori legittimati ad interloquire.

3. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione: a) l'avv. S.F., n.q. di tutrice provvisoria (già curatrice speciale) della minore M.M.R.; b) il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Palermo.

4. Il signor M. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso (Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (L. n. 184 del 1983, artt. 1, 2, 4, 5, 8, 12 e 15; art. 3 Conv. Onu; L. n. 179 del 1991): art. 360 c.p.c., n. 3) la tutrice provvisoria lamenta che la Corte territoriale, nel ripetere il giudizio di merito, senza disporre alcun ulteriore accertamento (e limitandosi solo all'esame-audizione del M.), non abbia verificato in concreto l'applicazione dei principi di diritto di cui essa aveva già fatto malgoverno nella precedente fase del giudizio di gravame, in particolare, non compiendo l'accertamento demandatole in ordine alla verifica del concreto e prevalente interesse della minore al mantenimento (o alla recisione) del legame con il genitore.

1.1. In particolare, la Corte non avrebbe tenuto conto che la relazione del CTU, il dr. F., aveva posto al centro della sua indagine il solo genitore (peraltro, inconsapevole della sua patologia) senza alcuna verifica in ordine al legame instauratosi tra il padre e la figlia ed all'attenzione del primo circa le necessità di quest'ultima, bisognosa di cure specifiche e quotidiane.

1.2. In sostanza, sarebbe mancate un accertamento delle condizioni attuali della minore-preadolescente e del suo stato psicologico nonchè degli effetti che l'affidamento a quel genitore potrebbe provocare nella minore (tenendo conto delle problematiche che già la riguardavano).

2. Con il secondo motivo (Violazione dell'art. 112 c.p.c.: art. 360 c.p.c., n. 4) la tutrice provvisoria lamenta che la funzione genitoriale sarebbe stata valutata in astratto e mai correlata alle esigenze ed ai bisogni della minore, senza che il CTU avesse verificato le sue condizioni fisiche e psicologiche (il ritardo psicomotorio, i disturbi gravi dell'attenzione e del linguaggio, l'iperattività e i disturbi dismorfici) e se essi dipendessero dal contesto familiare; nè sarebbe stata osservata la relazione padre-figlia, cosicchè il giudice avrebbe gravemente errato a non rinnovare la CTU. Infatti, la bambina avrebbe recuperato un miglior livello di diverse sue funzioni, rispetto allo stato originario (non uso del linguaggio, emissione di suoni ed espressione a gesti, stato di non deambulante), proprio per il suo attuale inserimento in un contesto accudente e protettivo, particolarmente attento ai suoi bisogni, sicchè oggi sarebbe in grado di parlare in modo comprensibile, di praticare sport e relazionarsi positivamente con i coetanei e con gli adulti di riferimento.

3. Con l'unico motivo di ricorso (Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (L. n. 184 del 1983, artt. 1, 2, 4, 5, 8, 12 e 15; art. 3 Conv. Onu; L. n. 179 del 1991): art. 360 c.p.c., n. 3) la Procura Generale della Repubblica di Palermo ha sostanzialmente svolto le stesse doglianze sopra riassunte ed espresse dalla tutrice provvisoria.

4. Vanno, innanzitutto esaminate le eccezioni di inammissibilità relative al ricorso proposto dalla PG di Palermo, in quanto si assume, da parte del controricorrente, che esso: a) sia tardivo, in quanto notificato solo il 25 gennaio 2017, ossia oltre il termine del 21 gennaio, conseguente alla comunicazione della sentenza da parte della cancelleria (avvenuta il 22 dicembre 2016); b) rechi, come allegati, alcuni documenti che non possono trovare ingresso nel giudizio.

4.1. Preliminarmente va chiarito che ove nel giudizio di merito "vi siano più parti soccombenti dinanzi alla Corte d'appello, ciascuna di esse ha l'onere di proporre l'impugnazione" avverso il provvedimento terminativo nel termine stabilito "dalla sua notificazione, a prescindere dall'avvenuto deposito del ricorso per cassazione da parte di altro soccombente." (cfr., in altro tipo di procedimento, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 25216 del 2015).

4.2. Alla stregua di tale principio, va dichiarata l'inammissibilità del ricorso del PG in quanto portato alla notifica (come risulta dalla lettura del fascicolo di quella parte) solo il 23 gennaio 2017 e quindi oltre il termine di trenta giorni stabilito per proporlo.

4.3. Di conseguenza, rimane assorbita anche la doglianza relativa ai documenti allegati al ricorso per cassazione.

5. I due motivi del ricorso principale vanno esaminati congiuntamente ed accolti.

5.1. Questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 8527 del 2006) ha affermato il principio di diritto secondo cui, "perchè si realizzi lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità di un minore, devono risultare, all'esito di un rigoroso accertamento, carenze materiali ed affettive di tale rilevanza da integrare, di per sè, una situazione di pregiudizio per il minore, tenuto anche conto dell'esigenza primaria che questi cresca nella famiglia di origine, esigenza che non può essere sacrificata per la semplice inadeguatezza dell'assistenza o degli atteggiamenti psicologici e/o educativi dei genitori, con la conseguenza che, ai fini della dichiarazione di adottabilità, non basta che risultino insufficienze o malattie mentali dei genitori, anche a carattere permanente, essendo in ogni caso necessario accertare se, in ragione di tali patologie, il genitore sia realmente inidoneo ad assumere e conservare piena consapevolezza dei propri compiti e delle proprie responsabilità e ad offrire al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo e aiuto psicologico indispensabili per un'equilibrata e sana crescita psicofisica.".

5.2. Se, perciò, "non basta che risultino insufficienze o malattie mentali dei genitori, anche a carattere permanente, essendo in ogni caso necessario accertare se, in ragione di tali patologie, il genitore sia realmente inidoneo ad assumere e conservare piena consapevolezza dei propri compiti e delle proprie responsabilità e ad offrire al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo e aiuto psicologico indispensabili per un'equilibrata e sana crescita psicofisica", è certo che la tale valutazione di idoneità del genitore ad assicurare il minimo esigibile nei confronti del figlio minore deve essere, necessariamente, compiuta attraverso un controllo della relazione intrafamiliare e non già esclusivamente sulla persona dell'unico genitore avente qualche risorsa educativa (il padre).

5.3. Ha perciò perfettamente ragione l'odierna ricorrente a lamentare che l'accertamento sulla capacità genitoriale (con i menzionati caveat) sia stata inefficacemente eseguito osservando la figura del padre (della minore), senza che sia stata tenuto in debito conto anche lo stato psichico e comportamentale della minore (già affetta da ritardo psicomotorio, disturbi gravi dell'attenzione e del linguaggio, iperattività e i disturbi dismorfici), registrandone le cause, i progressi (o regressi) compiuti e, soprattutto, la possibilità - nel contesto familiare monoparentale - di poter conseguire quella crescita minima necessaria per il raggiungimento della sua autonomia e per la sua collocazione nella società nella quale essa vive.

5.4. La bambina, infatti, risultava aver avuto (se non ha ancora in atto) seri problemi psico-patologici, quali il non uso del linguaggio, l'emissione di suoni al posto delle parole, l'espressione a gesti, uno stato di persona non deambulante che sembrerebbero (non avendo formato oggetto di un apposito accertamento peritale) superati dall'attenzione positiva che vi avrebbero riposto i servizi sociali e, soprattutto, gli affidatari provvisori sicchè oggi - nella fase della preadolescenza - la minore sarebbe in grado di parlare in modo comprensibile, di praticare uno sport e di relazionarsi positivamente sia con i coetanei che con gli adulti di riferimento.

5.5. Osserva la Corte che la valutazione relativa alla sussistenza dello stato di abbandono (o la sua ricaduta, come paventano i ricorrenti) in tanto può essere completamente esclusa (sia pure dando un sostegno alla figura paterna, nei sensi menzionati nella sentenza impugnata) in quanto si sia radicalmente escluso che le patologie gravi che riguardavano la bambina non siano dipese dalla limitata capacità educativa del suo genitore, affetto dalle riscontrate patologie, anch'esse abbisognevoli di cure ed integrazioni e sostegni.

5.6. La mancata estensione della CTU, riguardante la valutazione della capacità genitoriale paterna, anche alla relazione padre-figlia non consente perciò di poter affermare, con la necessaria apprezzabile probabilità da parte della Corte di merito, che i seri inconvenienti che hanno afflitto la minore nei primi anni di vita non siano causalmente dipesi dal comportamento genitoriale e, soprattutto, che dallo stato di questo non possano conseguire, in ragione di un rinnovato rapporto con la figlia (ampiamente inserita in altro contesto educativo e familiare) ricadute o regressioni.

5.7. Del resto questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 24445 del 2015) ha affermato il principio di diritto secondo cui, "in tema di adozione del minore, il giudice, nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, deve fondare il suo convincimento effettuando un riscontro attuale e concreto, basato su indagini ed approfondimenti riferiti alla situazione presente e non passata, tenendo conto della positiva volontà di recupero del rapporto genitoriale da parte dei genitori.", ma anche compiendo un'osservazione attenta sullo stato psicologico ed evolutivo della minore.

5.8. Da ultimo, va rilevato che, nel corso del rinnovato giudizio di appello, la Corte territoriale non ha tenuto conto dell'esistenza di una previsione di legge espressamente stabilita a pena di nullità, ossia la L. n. 184 del 1983, art. 5, comma 1, u.p., come inserita dalla modifica apportata dalla L. n. 173 del 2015 (Modifiche alla L. 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare), il quale così dispone: "L'affidatario o l'eventuale famiglia collocataria devono essere convocati, a pena di nullità, nei procedimenti civili in materia di responsabilità genitoriale, di affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato ed hanno facoltà di presentare memorie scritte nell'interesse del minore".

5.9. La necessità della convocazione (dell'affidatario o della famiglia collocataria) nel corso del procedimento giurisdizionale, da cui deriva la nullità di quest'ultimo nel caso della sua inosservanza, è imposta dalla disposizione di legge avente natura processuale, perciò immediatamente applicabile ai procedimenti in corso, anche se instaurati a seguito della cassazione con rinvio.

5.10. Infatti, questa stessa sezione della Corte di cassazione (Sez. 1, Sentenza n. 23169 del 2006) ha già affermato il principio di diritto secondo cui "l'efficacia vincolante della sentenza di cassazione con rinvio, presupponendo il permanere della disciplina normativa in base alla quale è stato enunciato il principio di diritto ivi enunciato, viene meno in tale sede quando quella disciplina sia stata successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di "ius superveniens"".

5.11. Ed è proprio tale nuovo diritto, sopravvenuto, che imponeva ed impone al giudice di merito di convocare gli affidatari provvisori del minore a pena di nullità, consentendo loro di esercitare, altresì, la "facoltà di presentare memorie scritte nell'interesse del minore".

5.12. Un tale obbligatorio adempimento, nella specie, risulta particolarmente rilevante in quanto, come si è visto, le problematiche che affiggevano la minore non risultano essere state valutate all'attualità, e ciò in contrasto con il principio di diritto (che non può trovare deroga neppure in sede di rinvio) secondo cui, "in tema di adozione del minore, il giudice, nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, deve fondare il suo convincimento effettuando un riscontro attuale e concreto, basato su indagini ed approfondimenti riferiti alla situazione presente e non passata, tenendo conto della positiva volontà di recupero del rapporto genitoriale da parte dei genitori. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, fondata su osservazioni ed accertamenti datati oltre che sulla difficile storia personale dei genitori dei minori, senza effettuare alcuna comparazione con i significativi mutamenti successivi, rivolti al recupero della relazione con i medesimi e a un miglioramento delle condizioni di vita da offrire loro)." (Sez. 1, Sentenza n. 24445 del 2015 già citata).

6. In conclusione, il ricorso deve essere accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata, anche per le spese di questa fase, alla Corte a quo per un nuovo esame alla luce dei seguenti principi di diritto:

in tema di adozione del minore, il giudice, nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, deve fondare il suo convincimento effettuando un riscontro attuale e concreto, basato su indagini ed approfondimenti riferiti alla situazione presente e non passata, tenendo in considerazione non solo la figura genitoriale ma anche lo stato psicologico-evolutivo del minore, la sua evoluzione, il permanere di problematiche non superate e gli eventuali rischi di regressioni o peggioramenti, attraverso un'osservazione non solo della figura genitoriale ma anche di quella del minore;

ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 5, comma 1, u.p., come inserita dalla modifica apportata dalla L. n. 173 del 2015 (Modifiche alla L. 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare), la necessità della convocazione dell'affidatario o della famiglia collocataria nel corso del procedimento giurisdizionale relativo alla dichiarazione di adottabilità di un minore, è imposta a pena di nullità dalla richiamata disposizione di legge, avente natura processuale e perciò immediatamente applicabile ai procedimenti in corso, anche se instaurati a seguito della cassazione con rinvio.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso proposto dal P.G. presso la Corte d'appello di Palermo.

Accoglie il ricorso della tutrice provvisoria, cassa la sentenza impugnata, e rinvia la causa, anche per le spese di questa fase, alla Corte d'appello di Palermo in diversa composizione.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 14 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2017
Rispondi

Da: berzacla 13/12/2017 15:06:56
sei grande, hai dato uno spaccato del sud davvero rispondente alla realtà. bravo. tu si che devi essere un grande uomo e professionista
Rispondi

Da: Per berzacla13/12/2017 15:10:21
Non mi reputo nulla né grande uomo né grande professionista. Credo però che ci voglia più attenzione, meno connivenza per chi aggira le regole e più uguaglianza. Trovo assurdo che ci sia gente che stia usando il cellulare e ancora più assurdo che ci sia gente che aiuta da casa. Non è un gioco questo... E c'è gente che sta affrontando la prova con serietà e nel pieno rispetto delle regole.
Rispondi

Da: giovanna78 13/12/2017 15:13:34
ma va curcati
Rispondi

Da: Luca03 13/12/2017 15:14:03
131 bis no! La traccia vi dice che ha commesso vari reati specifici mi pare. Leggetevi gli articoli !!! E la traccia .
Rispondi

Da: Per giovanna7813/12/2017 15:15:04
Tipico esempio di ignoranza...
Rispondi

Da: cz13/12/2017 15:15:11
e che fai su questo sito tu?
le schermature sono ovunque, la polizia giudiziaria che tu invochi dovrebbe venire a casa tua, dal grande uomo di regole....
secondo te questo esame così assurdo e anacronistico, e corretto secondo una percentuale stabilita da far passare identifica il bravo o cattivo avvocato? e non anni si studi e anni di pratica prima e professione poi?
vai a fare merenda bimbominkia che è ora
Rispondi

Da: avv. trc13/12/2017 15:15:38
se siete avvocati che non fate la fame... che cazzo ci fate in questa chat?
andatevene a lavorare nordisti così campate anche noi.
via
Rispondi

Da: giovanna78 13/12/2017 15:15:56
la risposta è per moralisti
Rispondi

Da: 131bis13/12/2017 15:16:02
anche a bari si dice che ci sia il 131 bis come a Napoli
Rispondi

Da: avv. trc13/12/2017 15:18:39
napoli consegna alle 17,45
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 7974/2016 vuole, dunque, esprimere il principio di diritto secondo cui il ruolo dell'amministratore di sostegno è di aiutare a gestire i propri interessi patrimoniali le persone che non siano in grado di provvedervi autonomamente e non può estendersi fino a ricomprendere anche la cura della persona o la garanzia rispetto ai beni della vita e dell'incolumità individuale del soggetto posto sotto la sua assistenza, salvo diverse ed apposite previsioni contenute nel decreto di nomina.
In tali condizioni non è, pertanto, possibile ascrivere a Caia alcun reato di abbandono di incapace ex art. 591 c.p., che richiede, al contrario, per la sua configurabilità un soggetto che riveste una posizione di garanzia nei confronti del minore o dell'incapace.
questa la conclusione della traccia 1
Rispondi

Da: giovanna78 13/12/2017 15:18:39
invece di scrivere cazzate che denotano il tuo alto livello di frustrazione, vai a fare qualche letterina di diffida, almeno porti a casa l'aperitivo
Rispondi

Da: berzacla 13/12/2017 15:19:04
allora evita di dire cose a caso, denotando solamente un razzismo becero. io non condivido chi infrange le regole, ma mi reputo una persona di buon senso che non sta lì a giudicare con toni così assolutisti. Conosco molti colleghi del sud che valgono 1000 volte quelli del nord e che fanno le cose onestamente e con grande abnegazione e preparazione. Pensaci due volte prima di esternare così facilmente questi pensieri da medioevo
Rispondi

Da: per cz13/12/2017 15:19:20
Sisi ovunque... a Napoli, Bari, e chissà in quali altri sedi sono così schermati che stanno tutti qui online a leggere le vostre "teorie".
Pensi che perché ci siano dei difetti di questo esame allora sia corretto e giustificato che alcuni copino le tracce da internet e altri secondo le regole debbano fare tutto con le proprie conoscenze e capacità???? Ciò che dici è ridicolo e da persona che ragiona come un bambino di 5 anni... visto che non c'è equità allora che alcuni copino e che altri se la prendano in quel posto...
Rispondi

Da: Luca03 13/12/2017 15:21:16
E' configurabile la continuazione. Medesimo disegno criminoso
Rispondi

Da: Per berzacla13/12/2017 15:21:41
Le richieste di tracce mi sembra che arrivino da Napoli Bari... Utenti preoccupati che stranamente a Lecce non funzionano i cellulari...
Mi sembra che a Milano, Roma, Torino, Genova, Firenze etc. etc. non arrivino simili messaggi....
Rispondi

Da: URGENTE 12313/12/2017 15:22:33
consegna roma?! vi prego potete dire orario di consegna
Rispondi

Da: avv. trc13/12/2017 15:22:42
io lo sto facendo per milano e napoli, minus
Rispondi

Da: Per urgente 12313/12/2017 15:24:56
Sommario: 1. capacità giuridica: teoria organica. - 1.b. Soggetto e persona - 2. la Nascita. - 3. il Concepito. - 4. interessi non patrimoniali - 5. danno da procreazione. - 6. diritto ad avere i genitori - 7. diritto a non nascere se non sani
[1] E' addirittura paradossale riconoscerlo, ma ciò attorno a cui ruota l'ordinamento giuridico tutto rappresenta ancora oggi un volto non compiutamente svelato, un concetto per molti aspetti evanescente: la Persona, con specifico riguardo alla fase intrauterina dell'esistenza umana.
Nell'ordinamento giuridico vigente, ai fini della titolarità delle situazioni giuridiche soggettive (e quindi dell'imputazione del rapporto giuridico), è necessario il preliminare acquisto della capacità giuridica1. L'istituto si traduce nella capacità del soggetto di essere titolare di diritti e destinatario di doveri: la possibilità, quindi, di essere un centro di interessi cui imputare situazioni giuridiche soggettive. L'esercizio delle situazioni de quibus, invece, si traduce nell'idoneità ad attuare i diritti ed a svolgere le attività negoziali (capacità d'agire). Stretto ed essenziale, perciò, il rapporto tra soggetto e capacità, seppur, al riguardo, si siano nettamente distinti due autorevoli orientamenti dottrinali. Per un verso, autorevole voce di dottrina, ha sostenuto che le norme giuridiche siano norme di condotta che presuppongono un comportamento e quindi un soggetto. Questo, il soggetto, sarebbe centro dell'ordinamento ed il destinatario di tutte le norme: soggettività e capacità giuridica - in siffatta orbita - coincidono, (teoria organica). Per altra dottrina, sulla scia del formalismo di Kelsen, il soggetto sarebbe una mera presenza nella norma, al pari di tutti gli altri elementi formali, senza necessità di una sua autonomia al di là della norma stessa, (teoria atomistica). Se anche il secondo orientamento ha avuto il consenso in ambito di diritto internazionale pubblico, per quanto concerne il diritto civile, la teoria organica si è imposta in modo quasi del tutto pacifico. Ciò premesso, il presupposto logico - giuridico della tutela di un soggetto è la sua esistenza che coincide con l'acquisto della capacità giuridica, (generale). La ratio di questa disciplina risiede nella primaria necessità per l'ordinamento di individuare e riconoscere i soggetti cui esso si riferisce e che da esso meritano tutela: i soggetti - capaci giuridici sono coloro che rappresentano personalmente l'ordinamento stesso. Ma quali sono i soggetti2 del diritto di cui l'ordinamento si occupa?
[1.b] Una precisazione è d'obbligo: nell'ambito della teoria della soggettività giuridica3, opportunamente si distingue tra persona, in senso proprio, e soggetto, in senso tecnico. I due concetti non coincidono anche se possono, ovviamente, sovrapporsi. La questione non è irrilevante: proprio con riguardo allo statuto4 giuridico del concepito5 essa assume primaria importanza. Ed, infatti, pur ammettendo che lo stesso non sia "persona" intesa in senso statico, è pur vero che lo stesso, forse, potrebbe bene essere considerato "soggetto". Certo è, come evidenziato dalla migliore dottrina, che il nascituro ha "la speranza di divenire persona" (V. Donato)6 e, pertanto, può essere tutelato quale connotazione della persona intesa dinamicamente ovvero quale "tutela della vita nascente"7. Ad ogni modo, il concepito è punto di riferimento di norme giuridiche ma, invero, difficilmente può essere definito "persona", in senso tecnico - giuridico, senza ovviamente, alcun giudizio di valore etico o morale nell'affermazione in parola. La capacità giuridica sembra, in alcuni casi, prescindere dall'"essere" persona. Si potrebbe allora distinguere come se la capacità fosse una qualità che attiene al soggetto ma può sussistere anche quando questo "persona" non è. Così si rende il concetto di capacità indipendente ed il concepito, dunque, sarebbe una mera soggettività (V. Donato).
Siffatta impostazione sembra, peraltro, recepita dal legislatore che, in un testo normativo di recente conio, ha espressamente preso posizione in materia di status giuridico del concepito (anche nella fase embrionale8). La Legge 19 febbraio 2004, n. 40 recante "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita", all'art. 1 (finalità), infatti, così recita: "Al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito". Con questo enunciato normativo, ictu oculi, il disposto riconosce al concepito expressis verbis la natura giuridica di soggetto; richiamando quanto sin qui detto ciò non comporta, al contempo, il riconoscimento a siffatto soggetto della natura di "persona" ma, ovviamente, ne comporta l'inscrizione nel novero delle soggettività giuridiche i cui interessi sono presi in considerazione dall'ordinamento giuridico.
[2]. Per quanto concerne la disciplina di diritto comune, ai sensi dell'art. 1 del codice civile, la capacità giuridica si acquista al momento della nascita, fatto - fonte della capacità di imputazione delle situazioni giuridiche soggettive. Il problema, in verità, che si sono sempre posti autori della dottrina e la giurisprudenza sin dall'origine dell'istituto, è stato la individuazione del momento a quo della nascita e quindi la sua definizione in termini il più possibile efficaci a livello giuridico. La prima autorevole diatriba risale all'epoca repubblicana dell'antica societas romana; per i Sabiniani la nascita avveniva con qualsiasi segno di vita mentre per i Proculiani era necessario che il neonato emettesse un vagito. Superati i contrasti attraverso il ricorso alla scienza, parametro di certezza, risulta oggi consolidato e pacifico l'indirizzo che riconduce la soluzione ai criteri medico - legali per l'accertamento della vita del neonato. Si ha la nascita, quindi, quando ricorrono due importanti presupposti: la fuoriuscita del feto dall'alveo materno ed il compimento di un atto respiratorio; sono i due connotati che delineano l'autonomia vitale del nascituro, che, se anche morisse subito dopo il primo respiro, sarà considerato come nato e morto. In realtà, per parte della dottrina, sarebbe necessaria anche la prova della vitalità, ovvero la circostanza per cui il neonato abbia vissuto per almeno 180 giorni di vita intrauterina. Il requisito, tuttavia, non è richiesto dalla giurisprudenza. Questa, infatti, si è adeguata ai criteri scientifici di accertamento della nascita, anche attraverso il ricorso alle cd. prove docimasiche, senza, tuttavia, prevedere una disciplina del tutto identica. Sarà, pertanto, sufficiente, separazione materiale dalla madre ed il respiro. Differentemente dalla cultura antica, non è rilevante lo stato somatico del nascituro o lo stato di salute dello stesso: quand'anche si tratterà di un monstrum, (soggetto deforme, secondo il diritto romano), questi avrà capacità giuridica. Quando detto sino ad ora, tuttavia, non è esaustivo della disciplina prevista dal nostro codice. L'art. 1 c.c. , infatti, al comma II, prevede che "i diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all'evento della nascita". Si introduce, insomma, una figura soggettiva che, secondo i canoni del codice stesso, non è una persona - soggetto e non ha capacità giuridica. Come ne possa, perciò, discendere una tutela ha creato non poche diatribe.
[3]. Il concepito è l'essere umano allo stato primordiale del suo sviluppo biologico, ed in senso giuridico, la definizione comprende tutto il periodo che precede la nascita: prima di essere nato, il concepito non ha capacità giuridica e tutti i diritti riconosciuti dipendono da quell'evento. L'argomento è stato inevitabilmente influenzato dall'evoluzione storica del diritto e della società che ha portato ad una maggiore conoscenza scientifica e ad una maggiore esigenza di tutela della dignità e dell'uomo. Ma il problema è proprio capire quando si possa parlare di essere vivente, di persona umana, e, al di là di mere scoperte biologiche, quando se ne possa parlare in relazione ad una reazione dell'ordinamento. La tematica, infatti, comprende problematiche di bioetica, di politica, di scienza e di religione: il diritto, per quanto possibile, deve cercare di rimanere puro ed estraneo ad ideologie orientate o finalizzate ad un fine diverso da quello della tutela stessa. Nel nostro ordinamento in tanto si ha capacità giuridica in quanto si nasca. Per dottrina prevalente, il concepito non acquista capacità giuridica finché non è nato. Altra teoria contesta questa impostazione sostenendo che al concepito vengano in modo non equivoco riconosciuti diritti, cosicché se ne riconosce implicitamente la soggettività e la capacità. Si critica questa tesi sulla base di riscontri univoci: se, infatti, a titolo di esempio, in capo al concepito sussistesse capacità giuridica, allora alla sua morte dovrebbe conseguire una successione: ma così non è .La giurisprudenza della Cassazione non ha avuto modo di occuparsi in modo dettagliato dell'argomento, se non per alcuni profili, ed ha trattato della quaestio, spesso, attraverso obiter dicta. La soluzione, infine, sposata sembra ragionevole: il concepito sarebbe tutelato come un'aspettativa legittima, in ragione dei principi fondamentali del nostro sistema. Per altri, invece, si dovrebbe parlare di soggettività attenuata. Un'altra giurisprudenza, peraltro, ha ricostruito l'istituto in termini di capacità giuridica provvisoria. Altro indirizzo interessante ha parlato di acquisto della capacità giuridica in modo retroattivo in quanto l'art. 1 c.c. prevedrebbe, di fatto, una condizione sospensiva che, realizzata, determina l'acquisto ex tunc e non ex nunc. E' opportuno, a questo punto, analizzare quali siano stati gli spunti che hanno portato i giuristi a riconoscere la rilevanza giuridica del concepito. Si tratta di interessi patrimoniali e non patrimoniali. Innanzitutto il concepito ha capacità di succedere ai sensi dell'art. 462 c.c. e può essere destinatario di una donazione (art. 784 c.c.): questo è rappresentato dai genitori ai sensi dell'art. 320 c.c. In entrambi i casi, tuttavia, si parla sempre di interesse del nascituro e non diritto: si ritiene, infatti, che l'acquisto del diritto sia sottoposto ad una condizione sospensiva coincidente con la nascita. Se il nascituro indicato come successore non nasce, non erediterà nulla dal de cuius; se destinatario di una donazione non verrà alla luce, anche in questo caso non acquisterà alcun diritto. La tutela degli interessi patrimoniali del concepito, quindi, assume la forma della tutela di un aspettativa, ed è una sorta di tutela medio tempore con funzione conservativa e di garanzia. Il nascituro, inoltre, è possibile destinatario dei benefici ex art. 85 d.p.r. 1124/1965 ed ex art. 21, II legge 990/1969 (oggi v. d.lgs. 209/05), normative di riferimento rispettivamente per gli infortuni sul lavoro e la responsabilità per danni da sinistri stradali (oggi si veda il cd. Codice delle Assicurazioni private).
[4]. Il problema maggiore si pone in relazione agli interessi non patrimoniali che non trovano una disciplina organica o specifica e devono essere trattati in relazione ai principi generali dell'ordinamento. All'inizio si riteneva che non potesse essere riconosciuto alcun diritto non patrimoniale al concepito, sulla base di due considerazioni: innanzitutto le norme che riconoscono tutela al nascituro sono di carattere eccezionale e quindi tassative, (per cui se ne poteva parlare solo in relazione agli artt. 254 e 261 c.c.), secondariamente non avendo capacità giuridica non è un soggetto destinatario dei diritti stessi. L'argomentazione è stata superata rilevando che, subentrata la Costituzione, il codice civile deve adeguarsi ai principi fondamentali dello Stato che, in determinate norme prevedrebbe un riconoscimento ufficiale di alcuni "diritti" del concepito. Nello specifico si è così - innanzitutto - parlato di "diritto a nascere sano"9, che troverebbe il suo fondamento negli artt. 2 e 32 della Costituzione10. La situazione giuridica soggettiva in esame integrerebbe un vero e proprio diritto del nascituro, inteso a tutelarne l'integrità psico-fisica, quindi la salute: una tutela, cioè, in funzione della nascita affinché la stessa recasse con sé uno stato di benessere. La tesi è stata, medio tempore, supportata da rilevanti modifiche a livello di diritto interno ed esterno: la comunità europea da un lato ha sensibilizzato verso una maggiore tutela dell'embrione e del feto, usciti dalla categoria delle "cose" per entrare in quella delle "strutture bioniche umane". Dall'altro la normativa interna ha introdotto un riconoscimento formale del nascituro: con la legge sull'aborto (rectius: interruzione della gravidanza), art. 1 legge 194/78 e con la normativa in materia di consultori familiari, art. 1 legge 405/75. Ad oggi, quindi, il "diritto del concepito a nascere sano" può dirsi del tutto pacifico in giurisprudenza, seppure siano ancora contrastanti gli indirizzi in relazione agli strumenti di tutela. Del tutto significativa è poi la legge 40 del 2004 che, secondo taluni, avrebbe scritto una importante pagina in materia di status giuridico del nascituro. La normativa in esame, infatti, all'art. 1 afferma: "al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito". La disposizione normativa, expressis verbis, inscrive il concepito nel registro dei "soggetti". Certo, siffatta locuzione non risolve il problema afferente alla configurabilità, in caso di concepito - ma anche in caso di embrione - di un soggetto definibile come "persona umana".
[5]. Che sia inteso come soggetto o come persona, è indubbio che al concepito va riconosciuto il diritto a nascere sano con tutela anche nella fase intrauterina, a prescindere dall'esistenza (condicio sine qua non, però, per esercitare il diritto stesso). Dubbio è, invece, se possa o meno riconoscersi tutela anche nella situazione complessa del cd. danno da procreazione11: ci si chiede, cioè, se sia risarcibile il danno del nascituro nato malato per effetto della malattia trasmessa dai genitori (che è comunque un pregiudizio al diritto a nascere sano). Si tratta, più specificamente, dell'eredocontagio ovvero della trasmissione di una patologia dalla madre al feto per il tramite del sangue placentare. Autorevole dottrina ha contestato aspramente pronunce giurisdizionali che condannavano il genitore che - cosciente della malattia - aveva deciso di avere un bambino, nato poi, a sua volta con una patologia trasmessa: secondo la critica mossa, sarebbe un paradosso condannare un fatto che è contemporaneamente fonte della nascita che da la vita e fonte della condotta che determina la patologia (si pensi al bimbo nato da malattia veneria trasmessa dalla madre). Vorrebbe, inoltre, significare che è meglio la non - vita alla vita "viziata", o addirittura che alcune coppie non dovrebbero avere capacità di procreare. Il danno da procreazione risulta ad oggi rigettato in modo quasi maggioritario e pacifico per la giurisprudenza, che ritiene il diritto alla procreazione un diritto inviolabile della persona e perciò improduttivo di fatti ingiusti. Sulla stessa considerazione che la stessa legge sull'aborto tra madre e nascituro, fa prevalere la tutela della madre, poiché già in vita, (come sancito da una autorevole sentenza della Corte Costituzionale).
[6]. Danno risarcibile12, invece, è stato ritenuto quello alla salute cagionato da terzi o dai genitori ma non per effetto della procreazione: i danni che subisce il concepito durante la vita intrauterina, cioè, sono risarcibili dopo la nascita dello stesso13. Per un orientamento, tuttavia, non sarebbe possibile risarcire i danni non patrimoniali in quanto il feto non è capace di soffrire. La giurisprudenza ha superato questa obiezione sostenendo che sia invece risarcibile ma dal momento in cui, una volta nato, il soggetto percepisca la sofferenza conseguente al fatto lesivo della sfera soggettiva. Il caso specifico è quello dell'uccisione del genitore del concepito14: se venga uccisa la madre, la morte conseguente del nascituro non è risarcibile, mentre se muoia il padre, questa perdita si. Il discrimine, a ben vedere, è lo stesso degli interessi patrimoniali, poiché il risarcimento consegue alla nascita: per questo sarà risarcibile l'uccisione del padre, ma solo se il nascituro nasca, (cosa praticamente impossibile in caso di decesso della madre). Ma per giungere a questa considerazione è stato necessario superare diverse obiezioni, alcune radicate nella tradizione storica interpretativa di alcuni istituti. Innanzitutto si faceva notare che l'evento dannoso seguiva il fatto ingiusto dopo un lungo lasso di tempo, in violazione della presunta necessaria contemporaneità tra fatto ed evento ai fini del danno ingiusto ex art. 2043 c.c.. L'obiezione è stata superata sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina, sulla base di una interpretazione ragionevole e corretta dell'istituto ex art. 2043 c.c. e, tra l'altro, valorizzando la categoria dei cd. danni lungolatenti15: l'elemento della contemporaneità non è elemento della responsabilità aquiliana ma soprattutto non è più da considerarsi, l'art. 2043 c.c., come norma destinata alla riparazione delle lesioni dei soli diritti, riguardando anche gli interessi legittimi ed ogni situazione giuridica soggettiva meritevole di tutela, (Cass. SS.UU. 500/1999). La censura è stata superata anche sulla base della ricostruzione dell'istituto sul piano causale: fatto - evento ed evento - effetti sono due momenti della fattispecie che vengono regolati, il primo rapporto ex artt. 40 - 41 c.p. ; il secondo ex art. 1223 c.c. (per il richiamo operato dall'art. 2056 c.c.). Il fondamento della tutela accordata in caso di perdita del genitore è da rinvenire nel diritto del concepito ad avere i genitori, ex artt. 30 e 31 della Costituzione, altro valore costituzionale, quindi, che supera il limite dell'art. 1 c.c. Tra l'altro l'art. 32 cost. parla al I comma di "individui" e non persone, termine più ampio di proposito adottato nel comprendere anche le figure soggettive diverse dalla persona umana16. Ne discende, per quanto sin qui affermato, che bene sarà risarcito il danno non patrimoniale in capo al concepito, quaestio juris che orbita nel generale problema del "già e non ancora"17 nella responsabilità civile.
[7] Controverso è, invece, se sia o meno configurabile e, perciò, tutelabile un "diritto a non nascere se non sano" in capo al concepito. Questi, per esempio, i fatti. In taluni casi una madre non viene informata correttamente dello stato di salute del feto nell'embrione e, in particolare, delle gravissime malformazioni da cui lo stesso affetto. Ciò in quanto il ginecologo ha omesso di effettuare la sua prestazione con diligenza (es. errato esame ecografico). La madre, sicura di dare alla luce un figlio sano, partorisce un neonato tremendamente deforme che, in condizioni tali, si appresta a vivere una vita struggente ("wrongful life", definita dalla dottrina anglosassone). Dinnanzi ad una nascita "indesiderata", la madre - in rappresentanza del figlio - agisce contro il ginecologo chiedendo che sia condannato al risarcimento del danno: sostiene, in sintesi, che se ella avesse saputo dello stato del figlio, sicuramente avrebbe interrotto la gravidanza evitando al bimbo una vita sofferente. Chiede, cioè, che venga riconosciuto al bimbo un diritto a non nascere se non in condizioni di salute. Ma è ipotizzabile un diritto a non nascere se non sani? La più recente giurisprudenza è di contrario avviso (Cass. civ. 14488/200418). Diversi i motivi per cui non sarebbe configurabile un diritto in capo al concepito a non nascere: in primo luogo si eccepisce la mancanza di capacità giuridica in capo al nascituro; in secondo luogo si offrono argomenti concreti: come desumere la volontà di non nascere? Un diritto del genere, inoltre, sarebbe contrario al diritto alla vita ex art. 2 cost. e sarebbe comunque, se ammesso, un gesto simile all'eutanasia per cui, inammissibile nel nostro diritto civile, (atti di disposizione del proprio corpo vietati, art. 5 c.c.). Di recente la legge 40/2004 ha introdotto una disciplina per la procreazione assistita che introduce un capo rubricato "tutela del nascituro", ma, come è facile notare, non riguarda la tutela diretta del concepito; sembrerebbe, tuttavia, deporre nel senso da escludere il diritto in parola. Sempre recentemente, una esemplare pronuncia della Suprema Corte di Cassazione ha direttamente affrontato l'ammissibilità di un diritto del concepito a non nascere se non sano, cd. wrongful life. La questione è stata affrontata e risolta dalla Corte di Cassazione in un arresto recente - sentenza 16123/200619 - avente ad oggetto un caso del tutto simile a quello risolto da Cass., 29/4/2004, n. 14488. In siffatto arresto, la Suprema Corte. afferma che l'ordinamento positivo tutela il concepito e l'evoluzione della gravidanza esclusivamente verso la nascita, e non anche verso la "non nascita", essendo pertanto al più configurabile un "diritto a nascere" e a "nascere sani", suscettibile di essere inteso esclusivamente nella sua positiva accezione, sia sotto il profilo privatistico della responsabilità contrattuale o extracontrattuale o da "contatto sociale", sia sotto il profilo latamente pubblicistico, della predisposizione di tutti gli istituti normativi e di tutte le strutture di tutela, cura e assistenza della maternità idonei a garantire (nell'ambito delle umane possibilità) di nascere sano. E' esclusa invece la configurabilità in capo al concepito di un "diritto a non nascere" o a "non nascere se non sano", poiché dal combinato disposto degli artt. 4 e 6 della legge n. 194 del 197820 si evince che: a) l'interruzione volontaria della gravidanza è finalizzata solo ad evitare un pericolo per la salute della gestante, serio (entro i primi 90 giorni di gravidanza) o grave (successivamente a tale termine); b) trattasi di un diritto il cui esercizio compete esclusivamente alla madre; c) le eventuali malformazioni o anomalie del feto rilevano esclusivamente nella misura in cui possano cagionare un danno alla salute della gestante, e non già in sé e per sé considerate (con riferimento cioè al nascituro). E come emerge ulteriormente:
a) dalla considerazione che il diritto di "non nascere" sarebbe un diritto adespota (in quanto ai sensi dell'art. 1 cod. civ. la capacità giuridica si acquista solamente al momento della nascita e i diritti che la legge riconosce a favore del concepito - artt. 462, 687, 715 cod. civ. - sono subordinati all'evento della nascita, ma appunto esistenti dopo la nascita), sicché il cosiddetto diritto di "non nascere" non avrebbe alcun titolare appunto fino al momento della nascita, in costanza della quale proprio esso risulterebbe peraltro non esistere più;
b) dalla circostanza che ipotizzare un diritto del concepito a "non nascere" significherebbe configurare una posizione giuridica con titolare solamente (e in via postuma) in caso di sua violazione, in difetto della quale (per cui non si fa nascere il malformato per rispettare il suo "diritto di non nascere") essa risulterebbe pertanto sempre priva di titolare, rimanendone conseguentemente l'esercizio definitivamente precluso.
La Cassazione. ne trae, quale corollario, la conseguente esclusione della configurabilità ed ammissibilità del c.d. aborto "eugenetico", prescindente dal pericolo derivante dalle malformazioni fetali alla salute della madre, rilevando che l'interruzione della gravidanza al di fuori delle ipotesi di cui agli artt. 4 e 6 legge n. 194 del 1978 (accertate nei termini di cui agli artt. 5 ed 8), oltre a risultare in contrasto con i principi di solidarietà di cui all'art. 2 Cost. e di indisponibilità del proprio corpo ex art. 5 cod. civ., costituisce reato anche a carico della stessa gestante (art. 19 legge n. 194 del 1978). E' per converso il diritto del concepito a nascere, pur se con malformazioni o patologie, ad essere propriamente - anche mediante sanzioni penali - tutelato dall'ordinamento.
Alla luce di tutto quanto sin qui detto, è abbastanza chiaro che la materia in esame - seppur così rilevante in quanto involgente diritti della persona orbitante nella sfera esistenziale - è per gran parte frutto di un diritto di matrice pretoriale a conferma, peraltro, che - come sostenuto da grande Autore - l'ordinamento non è: l'ordinamento si fa" (Betti).
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Da: berzacla 13/12/2017 15:25:54
Guarda continua a pensare che il sud sia disonesto, a me non me ne frega nulla. Ma tu basi un giudizio su qualche utente di un forum come questo, e su delle richieste di aiuto, che ci sono sempre state ovunque, fin dagli esami di stato liceali. Io non sto giustificando chi viola le regole, ma mi fa ridere un discorso di razzismo territoriale per come lo imposti tu, basato su "mi pare" "credo" "sembra".
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Da: avv70 13/12/2017 15:27:06
qualcuno di buona volontà che m dice cosa è qsta sentenza ..del 2017, n. 22933 ???
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Da: Amas19 13/12/2017 15:27:47
Non cadete nell'errore di pensare che a Napoli, o al sud in generale, sia tutta una farsa. La percentuale di ammessi è sempre quella, non cambia niente. Poi, vi ricordo che siete liberi di affrontare l'esame dove volete, previa iscrizione semestrale presso l'ordine di riferimento. E allora provate ad andare in questi fantomatici paradisi dell'abilitazione, e magari l'anno successivo vi renderete conto che che ad accompagnarvi era Virgilio e non Beatrice.
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