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13 dicembre 2017: Parere PENALE
384 messaggi, letto 38997 volte

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Da: Esperienza13/12/2017 16:17:42
Per Giulia: usciranno alle 18
Rispondi

Da: Romaaaa 13/12/2017 16:18:07
Vorrei saperlo anche io, Romaaaaa
Rispondi

Da: Per Esperienza e per avv. trc13/12/2017 16:19:03
Esperienza commento perfetto il tuo. Peccato che stai parlando con gente che non potrà mai comprendere quello che dici perché probabilmente non sono mai sati abituati a lavorare e a sgobbare.

Ne è un mero esempio avv. trc che continua a chiedere di pagare le loro pensioni... Basterebbe che ti mettessi a lavorare denunciando simili episodi
Rispondi

Da: avv. trc13/12/2017 16:19:04
il tempo scade alle 17,50 a roma
Rispondi

Da: avv. trc13/12/2017 16:25:07
non ho voglia di essere serio con te. sono fiduciario per il centro sud di 6 assicurazioni e 2 banche... laureato a 23 anni con 110 e con pratica nel più grande studio di napoli oltre 2 master a boston e londra. per questo non mi fa paura chi fa certe cose. per me questo esame va abolito, tutti dovrebbero diventare avvocati dopo la pratica. la concorrenza può far paura solo ai mediocri che parlano parlano, solo dietro lo schermo di un monitor. buona fortuna minus
Rispondi

Da: Esperienza13/12/2017 16:29:15
avv. trc:
con due master a boston e londra (suppongo nba) stai a fa ancora er fiduciario di due banche?!
cazzo sei finito male, io senza Master ne ho 3
Rispondi

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Da: avv. trc13/12/2017 16:32:20
probabilmente farai il fiduciario come i mei praticanti.
ma parlare con i repressi non mi va
Rispondi

Da: Sapone13/12/2017 16:33:50
Ripeto la mia domanda

Siete sicuri che sia truffa la seconda traccia??
Non potrebbe essere estorsione??
Lui minaccia un'azione legale senza averne il titolo
Secondo una sentenza del 2012, si configura l'estorsione

Cosa ne pensate?
Rispondi

Da: per avv.trc13/12/2017 16:36:02
Direi che potevi risparmiarti i master se poi sei finito a lavorare per 6 assicurazioni e appena 2 banche... ahahahah Spero faccia parte del tuo non essere serio e che te abbia altri clienti sennò non vorrei essere volgare in relazione all'utilizzo che puoi fare dei due master.........

Ma si apriamo a tutti.... Tanto la nostra professione già è stata rovinata dai cani che copiano in sede di esame apriamola eliminando anche questo esame mi sembra una buona idea!

Che ne dici di rendere questo esame più equo, più serio e ancora più duro testando le capacità degli esaminandi in una sede unica con cellulari inutilizzabili???
Rispondi

Da: Esperienza13/12/2017 16:38:09
Posto che sono repressa e depressa per natura, nello specifico nei periodi di ciclo: sai noi donne.
Ma mi chiedo: un grandissimo avvocato come te, viene qui a parlare con noi piccoli leoncini da tastiera: cazzo  non me lo aspetto proprio da un fiduciario di 6 Assicurazioni, che poi?? MA NON CI SARANNO QUESTIONI DI INCOMPATIBILITA???
Sai a noi poveri avvocati hanno insegnato che non si può essere fiduciari di più assicurazioni.
però tant'è, SEI MEJO TE


Rispondi

Da: per Sapone13/12/2017 16:38:36
La giurisprudenza esclude dall'alveo dell'art 640 la c.d. truffa processuale ovvero la condotta di chi, inducendo in errore il giudice in un processo civile o amministrativo mediante artifici o raggiri, ottenga una decisione favorevole. Tale esclusione si giustifica in quanto, pur non dovendosi necessariamente identificarsi la persona indotta in errore e quella che subisce le conseguenze patrimoniali negative di tale induzione, il reato non è configurabile quando il soggetto indotto in errore sia un giudice il quale adotti un provvedimento di disposizione patrimoniale favorevole all'agente; tale provvedimento, infatti, non costituisce un libero atto di gestione di interessi altrui e non è espressione di liberà negoziale ma si qualifica piuttosto come esplicazione del potere giurisdizionale di natura pubblicistica la cui finalità è l'attuazione di norme giuridiche e la risoluzione dei conflitti di interessi fra le parti. Tale principio vale anche in ipotesi di decreto ingiuntivo, dal momento che il giudice, quando influisce negativamente sul patrimonio di una delle parti lo fa non perchè compie un atto di disposizione espressivo dell'autonomia privata e della libertà di consenso, ma perchè esercita il potere eminentemente pubblicistico, connesso all'esercizio della giurisdizione: Cass. Pen. Sez. II, n. 41127 del 14/06/2013.
L'inganno di una delle parti del processo nei riguardi del giudice può assumere rilevanza solo nei casi particolari previsti dall'art. 374 c.p. dell'atto di ispezione o di esperimento giudiziale ovvero della frode del perito nell'esecuzione di un incarico, costituenti le sole ipotesi di frode processuale.
In senso contrario, ma si tratta di opinione minoritaria, si è osservato che i reati specifici riguardanti la frode nel giudizio di cui all'art. 374 c.p. non esauriscono le ipotesi criminose possibili di condotte fraudolente e che la norma in questione contiene un'apposita clausola di riserva idonea a ricomprendere le ipotesi in cui il giudice, ingannato dall'attività fraudolenta precostituita da una parte abbia inciso pregiudizialmente sul patrimonio della parte contraria.
13. Differenza tra truffa e insolvenza fraudolenta
Il reato di truffa si distingue da quello di insolvenza fraudolenta (art. 641 c.p.) perché nella truffa la frode è attuata mediante la simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore, mentre nell'insolvenza fraudolenta la frode è attuata con la dissimulazione del reale stato di insolvenza dell'agente. Il quid pluris del più grave reato di truffa è pertanto costituito dall'esistenza del raggiro o dell'artificio, di guisa che è configurabile la truffa quando la condotta dell'agente si manifesta, appunto, attraverso artifizi e raggiri tali da influire sulla volontà del soggetto passivo, inducendolo alla conclusione del contratto, mentre nell'ipotesi di insolvenza fraudolenta la volontà del soggetto passivo di concludere il contratto non è viziata dall'inganno altrui e le modalità dell'azione consistono, semplicemente, nella dissimulazione dello stato di insolvenza, attestante, dal punto di vista soggettivo, il preordinato proposito di non adempiere (Cass. Pen. n. 16723 del 13/1/2015, Rv. 263360).
14. Differenza tra truffa e furto aggravato dal mezzo fraudolento
Il discrimen tra la fattispecie prevista e punita dall'art. 640 c.p. e il furto aggravato dall'uso del mezzo fraudolento risiede nella direzione dell'artificio e del raggiro. Se gli artifici e i raggiri realizzati dall'agente hanno consentito a quest'ultimo di aver modo di disporre personalmente del patrimonio della vittima e se l'atto di disposizione patrimoniale è stato posto in essere non personalmente da quest'ultima, ma piuttosto dall'autore stesso della condotta fraudolenta, vanno ravvisati gli estremi del delitto di furto aggravato dall'uso di mezzo fraudolento. Ed invero la linea di demarcazione che sussiste tra i reati collaborativi e quelli ad aggressione unilaterale passa inevitabilmente attraverso il ruolo svolto dalla vittima: nel delitto di truffa, la partecipazione del soggetto passivo si concretizza nel compimento di un atto di disposizione patrimoniale, causalmente collegato all'errore determinato dall'attività ingannatoria perpetrata dall'agente, a sua volta causativo di un danno patrimoniale per la vittima e di un corrispondente ingiusto arricchimento per l'agente.
Rispondi

Da: Assicurazioni13/12/2017 16:39:56
Probabilmente capita la persona avv. trc avrà grandissime cause con finti CID e periti corrotti
Rispondi

Da: Esperienza13/12/2017 16:41:11
ah sì sì giusto, dimenticavo i finti CID!
Rispondi

Da: marcolino8913/12/2017 16:44:40
Questa intendi?
Il parere sottoposto all'attenzione del candidato richiede di valutare la penale responsabilità di Caia per le condotte da lei tenute in qualità di Amministratore di sostegno dell'anziano Tizio, affetto da demenza senile tipo Alzheimer.

In particolare, Caia veniva nominata dal giudice tutelare nel 2016 allo scopo di gestire il trattamento pensionistico di Tizio e di impugnare a nome di quest'ultimo un contratto stipulato nel 2015 sotto la spinta di artifici e raggiri perpetrati da terzi. Nel maggio 2017, a seguito di alcune segnalazioni da parte dei vicini, i vigili del fuoco accedevano d'urgenza all'abitazione di Tizio e lo rinvenivano in uno stato di abbandono, in pessime condizioni igieniche, senza cibo e bevande e circondato dai rifiuti.

La vicenda richiede, dunque, di premettere innanzitutto brevi cenni in merito al delitto di abbandono di persone minori e incapaci di cui all'art. 591 c.p., chiarendo, in particolare, se si tratti di delitto proprio o comune e, conseguentemente, quale sia la qualifica soggettiva richiesta in capo all'agente.

Ciò condurrà ad analizzare, per completezza, il tema della posizione di garanzia ex art. 40 comma 2 c.p. e, specificamente, delle fonti dalle quali può scaturire tale obbligo. Sarà infatti necessario chiarire, quali soggetti possano ricoprire una cd. posizione di garanzia e in quali circostanze.

Infine, si tratterà di valutare se la qualifica giuridica di amministratore di sostegno possa di per sé sola configurare una posizione di garanzia e, conseguentemente, determinare se l'amministratore di sostegno sia soggetto attivo ex art. 591 c.p. in ogni caso, ovvero solamente nelle ipotesi in cui tale responsabilità si evinca dalla nomina stessa o dalle circostanze specifiche del caso di specie.

Procedendo nell'ordine logico proposto si tratta innanzitutto di definire l'ambito applicativo del reato di cui all'art. 591 c.p. rubricato "abbandono di persone minori o incapaci".

Tale ipotesi delittuosa, disciplinata tra i delitti contro la persona, punisce chiunque, avendo la cura o la custodia di una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, la abbandoni.

Trattasi di reato di pericolo, proprio, che può essere posto in essere solo da chi abbia una relazione di cura e/o custodia con la persona offesa (come si dirà più ampiamente in seguito), volto a tutelare la vita e l'integrità fisica di persone incapaci di provvedere da sé alla propria incolumità, nonché alla tutela del valore etico-sociale della sicurezza della persona fisica contro determinate situazioni di pericolo (in tal senso: Cass. pen., Sez. IV, 20 novembre 2001 n. 45431).

Quanto all'elemento oggettivo, esso è costituito da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura o custodia, da cui possa conseguire uno stato di pericolo anche solo eventuale per l'incolumità di una persona (ex multis: Cass. pen., Sez. II, 8 marzo 2013 n. 10994).

Appare utile evidenziare, come lo stato di abbandono possa essere determinato da condotte sia attive che passive che portino ad una mancata cura o custodia del soggetto passivo.

Infine, il delitto in parola è punito a titolo di dolo generico, consistenze nella coscienza e volontà di abbandonare a se stesso il soggetto passivo che non abbia la capacità di provvedere alle proprie esigenze (così ad esempio: Cass. pen., n. 15147/2007; 10994/2012).

Al fine di meglio sondare i margini applicativi del reato in questione e, in particolare, della sua applicabilità a soggetti che rivestano una posizione di garanzia nei confronti del soggetto passivo, occorre dunque precisare che cosa debba intendersi per posizione di garanzia.

Tale breve disamina deve necessariamente prendere le mosse dall'art. 40 cpv. c.p. a norma del quale "non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo". Tale disposizione, che pone la cd. clausola di equivalenza equiparando negli effetti il non impedire al cagionare, ha funzione estensiva consentendo infatti di punire ipotesi di reato commissivo anche nel caso in cui l'evento sia stato prodotto tramite una omissione.

Quanto alle fonti dell'obbligo di impedire l'evento, la dottrina tradizionale ha individuato tutta una serie di ipotesi in cui scaturirebbe tale obbligo in capo al soggetto passivo (e, in particolare esso potrebbe derivare: dalla legge, dal contratto, da un ordine dell'autorità giudiziaria, dalla precedente attività pericolosa, dalla consuetudine e dalla volontaria assunzione dell'obbligo stesso). Altri interpreti hanno, invece, criticato tale approccio formalista ritenendo di dover valutare nel concreto, ai fini dell'imputazione di un certo evento non impedito, la sostanziale posizione di garanzia del suo non verificarsi.

Ebbene, la giurisprudenza sul punto si è assestata su una posizione che potremmo definire intermedia, ritenendo necessaria una previsione formale di tale obbligo, accompagnata però nella sostanza, da una concreta presa in carico della situazione da parte del garante, dalla violazione di una regola cautelare, e dell'elemento soggettivo necessario (in tal senso: Cass. pen., 2015 n. 5404).

Allo stesso modo, nel caso dell'art. 591 c.p., non vi sono limiti rispetto alla fonte da cui possa derivare l'obbligo giuridico alla custodia e alla cura. Proprio in virtù di tale considerazione, si è posto dunque il problema di comprendere se l'amministratore di sostegno possa, in virtù della sua qualifica soggettiva, essere ritenuto soggetto responsabile ai sensi del 591 c.p..

Ci si è chiesti, cioè, se l'amministratore di sostegno, in qualità di soggetto che ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibilità della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, debba essere considerato garante nei confronti dell'incapace di cui è nominato amministratore (art. 404 c.c.).

Si sottolinea, peraltro, come tale figura si ponga come tertium genus rispetto alla figura del tutore previsto per l'interdetto e l'inabilitato ai sensi degli artt. 414 e 415 c.c. Sul punto è recentemente intervenuta la Corte Costituzionale che, investita della tematica del discrimen tra le tre figure, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 409, 404 e 405 c.c., ritenendo sufficienti i criteri selettivi per distinguere tra i tre istituti. In particolare, la distinzione dovrebbe essere operata dal giudice nel caso di specie, valutando la soluzione che comprima il meno possibile la libertà del soggetto beneficiario e che, allo stesso modo, ne tuteli in maniera sufficiente gli interessi. Ha precisato la Consulta, per quanto qui di interesse, come la figura dell'amministratore di sostegno possa essere usata per attribuire i poteri specificamente correlati alle esigenze del caso di specie (Corte Cost., sent. 440/2005).

Tale approdo consente cioè di precisare come la figura dell'amministratore di sostegno non debba essere intesa come figura preconfezionata ed intercambiabile in tutte le ipotesi di una più ridotta infermità fisica o psichica rispetto alle ipotesi degli interdetti o inabilitati, bensì debba essere modulata caso per caso tenendo in debito conto le esigenze del beneficiario.

Tale rilievo non appare privo di valore per il caso che qui ci occupa, poiché l'argomentare della Corte consente di escludere che la qualifica di amministratore di sostegno possa in sé e per sé importare una responsabilità ex art. 591 c.p. nel caso di materiale abbandono del beneficiario. Occorre, piuttosto, valutare se la fonte dei poteri dell'amministratore di sostegno prevedesse un onere in capo ad esso di cura e vigilanza. In altre parole, sarà necessario esaminare il decreto di nomina emesso dal giudice tutelare per valutare l'ambito di operatività dell'amministratore di sostegno e i relativi obblighi giuridici che ne scaturiscono.

Non può inoltre tacersi il fatto che l'amministratore di sostegno, pur avendo obblighi di relazionare periodicamente sulle condizioni di vita e sociali e sulle attività svolte dal beneficiario, il compito rimane quello di assistere la persona nello svolgimento dei propri interessi patrimoniali.

Ciò comporta, dunque, che la sola qualifica soggettiva di amministratore di sostegno non può essere ritenuta sufficiente indice della esistenza della relazione di vigilanza e cura richiesta ai fini dell'applicabilità dell'art. 591 (In tal senso anche Cass. pen., Sez. V, n. 7974/2015).

Poste tali premesse sul piano astratto, è possibile procedere alla sussunzione delle stesse nel caso di specie.

Si osserva in primo luogo come Caia fosse stata nominata amministratrice di sostegno dell'anziano e malato Tizio nel 2016, allo scopo di seguire il suo testamento pensionistico, nonché l'impugnazione di un contratto concluso in quanto circuito da terzi.

Orbene, escluso anche alla luce della giurisprudenza richiamata che la sola investitura di Caia da parte del giudice tutelare possa bastare ai fini di riconoscerla la qualifica soggettiva necessaria ai sensi dell'art. 591 c.p., occorre precisare quanto segue.

I dati a disposizione emergenti dalla traccia, paiono indicare una specifica indicazione a Caia in ordine alla sola tutela giuridica e patrimoniale degli interessi di Tizio, peraltro circostanziati in maniera precisa. Non sembra, cioè, potersi desumere da tali elementi un precipuo obbligo giuridico di vigilanza e cura, ma piuttosto uno specifico e limitato ambito di operatività entro il quale agire, nel rispetto e in osservanza delle aspirazioni e dei desideri di Tizio.

Ciò posto, non pare irrilevante, a parere dello scrivente, osservare che l'arco temporale intercorso tra la nomina di Caia e il rinvenimento di Tizio in stato di abbandono è di più di un anno.

Oltre a ciò, deve evidenziarsi altresì, nel silenzio della traccia, che non sembrano esservi stati contatti tra Caia e Tizio in quel lasso temporale, in parziale violazione dei doveri dell'amministratore di sostegno che sempre deve interfacciarsi col beneficiario e relazionare sulle sue condizioni, pur non avendo un generale obbligo di tutela della vita e dell'incolumità del beneficiario. Tale considerazione potrebbe far propendere nel senso della potenziale applicabilità del reato di cui all'art. 591 c.p.

Deve, in senso opposto, tuttavia, osservarsi come non sembra configurabile in capo all'amministratrice di sostegno quella coscienza e volontà necessaria al fine dell'integrazione del reato. Non sembra cioè che sia possibile addebitare, a titolo di dolo, l'abbandono posto in essere da Caia. Sembra, al contrario, potersi concludere nel senso che Caia abbia male svolto il suo compito di amministratore di sostegno, tenendo una condotta negligente ed imperita.

In considerazione, dunque, dell'elemento soggettivo previsto dalla disposizione di cui all'art. 591 c.p. che impone di riconoscere in capo al soggetto agente, la coscienza e volontà di abbandonare un incapace di provvedere a se stesso, e considerata l'assenza nel decreto di nomina di un più generale obbligo di vigilanza e cura verso Tizio, non si ritiene di poter concludere nel senso della penale responsabilità di Caia.

Tali conclusioni appaiono, del resto, in linea con la più recente giurisprudenza e in particolare con la pronuncia di Cass. pen., Sez. V, 7974/2015 secondo cui:

"L'amministratore di sostegno non risponde del reato di abbandono di persone incapaci, in quanto, salvo che sia diversamente stabilito nel decreto di nomina, lo stesso, a differenza del tutore, non è investito di una posizione di garanzia rispetto ai beni della vita e dell'incolumità individuale del soggetto incapace, ma solo di un compito di assistenza nella gestione dei suoi interessi patrimoniali."
Rispondi

Da: O forse intendevi questa?13/12/2017 16:46:49
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Sentenza 29 settembre 2017, n. 22933

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore - Presidente -

Dott. GENOVESE Francesco Antonio - rel. Consigliere -

Dott. ACIERNO Maria - Consigliere -

Dott. NAZZICONE Loredana - Consigliere -

Dott. FALABELLA Massimo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3671/2017 proposto da:

Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Palermo;

-ricorrente -

contro

M.A., nella qualità di genitore della minore M.M.R., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Rao, giusta procura in calce al ricorso;

- controricorrente -

e contro

S.F.;

- intimata -

nonchè sul ricorso proposto da:

S.F., nella qualità di tutore provvisorio, già curatore speciale, della minore M.M.R., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall'avvocato Gaetana Valenti, giusta procura in calce al ricorso successivo;

- ricorrente successivo -

contro

Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Palermo;

-controricorrente -

e contro

M.A.;

- intimato -

avverso la sentenza n. 51/2016 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 21/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/07/2017 dal cons. GENOVESE FRANCESCO ANTONIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto dell'eccezione preliminare, nel merito per l'accoglimento per quanto di ragione di entrambi i ricorsi.

Svolgimento del processo

1. La Corte d'appello di Palermo, a seguito del rinvio disposto dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7391 del 2016, ha riformato la pronuncia del Tribunale per i minorenni di quella città (che aveva ritenuto il signor M.A., per le patologie da cui era affetto, non consapevole dei bisogni della figlia e delle necessità di cura ed accudimento della stessa), ed ha revocato lo stato di adottabilità della minore M.M.R., n. a (OMISSIS), già disposto con la sentenza di primo grado, affermando che, alla luce dell'eccezionalità della misura dell'adozione (l'extrema ratio) e dell'obbligatorietà, da parte delle istituzioni, della messa in campo delle misure di sostegno alla genitorialità, non poteva più ritenersi sussistente lo stato di abbandono, nel caso esaminato.

1.1. La sentenza di primo grado era stata impugnata dal genitore, il predetto sig. M.A., il quale aveva lamentato che nel corso del procedimento non erano emerse presunte sue condotte pregiudizievoli nei confronti della minore ma, al contrario, la cura tenuta verso la figlia (sia nei periodi in cui la madre era assente (per i ricoveri da patologie psichiatriche che l'affliggevano) e sia quando la minore era stata trasferita, nella prima fase, in una comunità), e che la patologia psichiatrica, da cui pure lui era affetto (una "psicosi schizofrenica cronica paranoidea" di tipo lieve), non avrebbe inciso sulla sua idoneità genitoriale.

2. Compiendo il nuovo accertamento dei fatti, attraverso una lettura della CTU già espletata nel corso del primo giudizio di appello (di cui riportava ampi stralci), la Corte territoriale rovesciava la sua precedente valutazione (che aveva formato oggetto di cassazione, con il menzionato rinvio) e concludeva affermando che gli elementi evidenziati dal primo giudice (ossia: a) la mancanza della consapevolezza della patologia psichiatrica che affliggeva anche lui, genitore; b) la mancanza di attenzione al comportamento (morboso e ambiguo) del proprio fratello, con lui convivente, verso la figlia minore; c) l'osservazione degli operatori della comunità, dove la bambina era stata collocata, circa la modesta interazione tra egli medesimo e la figlia, nel corso delle visite da lui compiute) erano generici e lacunosi.

2.1. La malattia non poteva rilevare di per sè e, comunque, era di grado lieve (come accertato dal CTU) sicchè essa poteva avere una effettiva incidenza nella specie solo ove ne fosse stata accertata l'interferenza con i doveri di "accudimento e cura della prole"; ciò che nella specie non sarebbe emerso in modo puntuale riguardo ai fatti osservati, risultando solo "scarne e poco approfondite" valutazioni espresse dagli operatori che non escluderebbero una "insuperabile incapacità di garantire alla minore le cure primarie" da parte del genitore.

2.2. Le ambigue attenzioni del fratello sarebbero state messe in sicurezza e prevenute per mezzo della dichiarata scelta di allontanarsi dall'abitazione comune e di trasferirsi (assieme alla figlia) in un altro immobile, appositamente acquistato.

2.3. L'osservazione del CTU, infine, che aveva concluso per la possibilità di favorire l'empowerment delle competenze genitoriali necessarie al M., attraverso il supporto dei servizi sociali ed una sua "presa in carico psico-sociale" da parte dei servizi di salute mentale, unitamente all'affidamento temporaneo etero-familiare della minore, con possibilità di avere con lei contatti costanti e regolati, costituiva la ragione della diversa conclusione raggiunta dai giudici in ordine all'esclusione dello stato di abbandono.

2.4. Non avevano pregio le obiezioni sollevate, e cioè: a) quella relativa alla durata della misura (protraibile fino a due anni e, comunque, ulteriormente prorogabile); b) quella riguardante la difficoltà di individuazione di un nucleo familiare disponibile, per la protrattasi permanenza della minore in una comunità e la necessità di impedire le ingerenze pregiudizievoli del nucleo familiare materno (potendosi ovviare a ciò con un affidamento fuori distretto); c) quella attinente alla mancata accettazione del M. circa la sua presa in carico da parte del DSM (dipartimento di salute mentale) e la sua collaborazione con la famiglia affidataria (perchè positivamente riscontrate dal CTU e comunque non ipotizzabili ex ante).

2.5. In sostanza, il sincero e solido legame affettivo del padre con la minore, e la volontà di mantenere con lei un rapporto genitoriale, poteva costituire il motore del suo nuovo atteggiamento ed il catalizzatore di quella collaborazione che gli richiedeva la gestione del suo rapporto con la figlia, in un ambito allargato e con la presenza di più attori legittimati ad interloquire.

3. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione: a) l'avv. S.F., n.q. di tutrice provvisoria (già curatrice speciale) della minore M.M.R.; b) il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Palermo.

4. Il signor M. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso (Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (L. n. 184 del 1983, artt. 1, 2, 4, 5, 8, 12 e 15; art. 3 Conv. Onu; L. n. 179 del 1991): art. 360 c.p.c., n. 3) la tutrice provvisoria lamenta che la Corte territoriale, nel ripetere il giudizio di merito, senza disporre alcun ulteriore accertamento (e limitandosi solo all'esame-audizione del M.), non abbia verificato in concreto l'applicazione dei principi di diritto di cui essa aveva già fatto malgoverno nella precedente fase del giudizio di gravame, in particolare, non compiendo l'accertamento demandatole in ordine alla verifica del concreto e prevalente interesse della minore al mantenimento (o alla recisione) del legame con il genitore.

1.1. In particolare, la Corte non avrebbe tenuto conto che la relazione del CTU, il dr. F., aveva posto al centro della sua indagine il solo genitore (peraltro, inconsapevole della sua patologia) senza alcuna verifica in ordine al legame instauratosi tra il padre e la figlia ed all'attenzione del primo circa le necessità di quest'ultima, bisognosa di cure specifiche e quotidiane.

1.2. In sostanza, sarebbe mancate un accertamento delle condizioni attuali della minore-preadolescente e del suo stato psicologico nonchè degli effetti che l'affidamento a quel genitore potrebbe provocare nella minore (tenendo conto delle problematiche che già la riguardavano).

2. Con il secondo motivo (Violazione dell'art. 112 c.p.c.: art. 360 c.p.c., n. 4) la tutrice provvisoria lamenta che la funzione genitoriale sarebbe stata valutata in astratto e mai correlata alle esigenze ed ai bisogni della minore, senza che il CTU avesse verificato le sue condizioni fisiche e psicologiche (il ritardo psicomotorio, i disturbi gravi dell'attenzione e del linguaggio, l'iperattività e i disturbi dismorfici) e se essi dipendessero dal contesto familiare; nè sarebbe stata osservata la relazione padre-figlia, cosicchè il giudice avrebbe gravemente errato a non rinnovare la CTU. Infatti, la bambina avrebbe recuperato un miglior livello di diverse sue funzioni, rispetto allo stato originario (non uso del linguaggio, emissione di suoni ed espressione a gesti, stato di non deambulante), proprio per il suo attuale inserimento in un contesto accudente e protettivo, particolarmente attento ai suoi bisogni, sicchè oggi sarebbe in grado di parlare in modo comprensibile, di praticare sport e relazionarsi positivamente con i coetanei e con gli adulti di riferimento.

3. Con l'unico motivo di ricorso (Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (L. n. 184 del 1983, artt. 1, 2, 4, 5, 8, 12 e 15; art. 3 Conv. Onu; L. n. 179 del 1991): art. 360 c.p.c., n. 3) la Procura Generale della Repubblica di Palermo ha sostanzialmente svolto le stesse doglianze sopra riassunte ed espresse dalla tutrice provvisoria.

4. Vanno, innanzitutto esaminate le eccezioni di inammissibilità relative al ricorso proposto dalla PG di Palermo, in quanto si assume, da parte del controricorrente, che esso: a) sia tardivo, in quanto notificato solo il 25 gennaio 2017, ossia oltre il termine del 21 gennaio, conseguente alla comunicazione della sentenza da parte della cancelleria (avvenuta il 22 dicembre 2016); b) rechi, come allegati, alcuni documenti che non possono trovare ingresso nel giudizio.

4.1. Preliminarmente va chiarito che ove nel giudizio di merito "vi siano più parti soccombenti dinanzi alla Corte d'appello, ciascuna di esse ha l'onere di proporre l'impugnazione" avverso il provvedimento terminativo nel termine stabilito "dalla sua notificazione, a prescindere dall'avvenuto deposito del ricorso per cassazione da parte di altro soccombente." (cfr., in altro tipo di procedimento, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 25216 del 2015).

4.2. Alla stregua di tale principio, va dichiarata l'inammissibilità del ricorso del PG in quanto portato alla notifica (come risulta dalla lettura del fascicolo di quella parte) solo il 23 gennaio 2017 e quindi oltre il termine di trenta giorni stabilito per proporlo.

4.3. Di conseguenza, rimane assorbita anche la doglianza relativa ai documenti allegati al ricorso per cassazione.

5. I due motivi del ricorso principale vanno esaminati congiuntamente ed accolti.

5.1. Questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 8527 del 2006) ha affermato il principio di diritto secondo cui, "perchè si realizzi lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità di un minore, devono risultare, all'esito di un rigoroso accertamento, carenze materiali ed affettive di tale rilevanza da integrare, di per sè, una situazione di pregiudizio per il minore, tenuto anche conto dell'esigenza primaria che questi cresca nella famiglia di origine, esigenza che non può essere sacrificata per la semplice inadeguatezza dell'assistenza o degli atteggiamenti psicologici e/o educativi dei genitori, con la conseguenza che, ai fini della dichiarazione di adottabilità, non basta che risultino insufficienze o malattie mentali dei genitori, anche a carattere permanente, essendo in ogni caso necessario accertare se, in ragione di tali patologie, il genitore sia realmente inidoneo ad assumere e conservare piena consapevolezza dei propri compiti e delle proprie responsabilità e ad offrire al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo e aiuto psicologico indispensabili per un'equilibrata e sana crescita psicofisica.".

5.2. Se, perciò, "non basta che risultino insufficienze o malattie mentali dei genitori, anche a carattere permanente, essendo in ogni caso necessario accertare se, in ragione di tali patologie, il genitore sia realmente inidoneo ad assumere e conservare piena consapevolezza dei propri compiti e delle proprie responsabilità e ad offrire al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo e aiuto psicologico indispensabili per un'equilibrata e sana crescita psicofisica", è certo che la tale valutazione di idoneità del genitore ad assicurare il minimo esigibile nei confronti del figlio minore deve essere, necessariamente, compiuta attraverso un controllo della relazione intrafamiliare e non già esclusivamente sulla persona dell'unico genitore avente qualche risorsa educativa (il padre).

5.3. Ha perciò perfettamente ragione l'odierna ricorrente a lamentare che l'accertamento sulla capacità genitoriale (con i menzionati caveat) sia stata inefficacemente eseguito osservando la figura del padre (della minore), senza che sia stata tenuto in debito conto anche lo stato psichico e comportamentale della minore (già affetta da ritardo psicomotorio, disturbi gravi dell'attenzione e del linguaggio, iperattività e i disturbi dismorfici), registrandone le cause, i progressi (o regressi) compiuti e, soprattutto, la possibilità - nel contesto familiare monoparentale - di poter conseguire quella crescita minima necessaria per il raggiungimento della sua autonomia e per la sua collocazione nella società nella quale essa vive.

5.4. La bambina, infatti, risultava aver avuto (se non ha ancora in atto) seri problemi psico-patologici, quali il non uso del linguaggio, l'emissione di suoni al posto delle parole, l'espressione a gesti, uno stato di persona non deambulante che sembrerebbero (non avendo formato oggetto di un apposito accertamento peritale) superati dall'attenzione positiva che vi avrebbero riposto i servizi sociali e, soprattutto, gli affidatari provvisori sicchè oggi - nella fase della preadolescenza - la minore sarebbe in grado di parlare in modo comprensibile, di praticare uno sport e di relazionarsi positivamente sia con i coetanei che con gli adulti di riferimento.

5.5. Osserva la Corte che la valutazione relativa alla sussistenza dello stato di abbandono (o la sua ricaduta, come paventano i ricorrenti) in tanto può essere completamente esclusa (sia pure dando un sostegno alla figura paterna, nei sensi menzionati nella sentenza impugnata) in quanto si sia radicalmente escluso che le patologie gravi che riguardavano la bambina non siano dipese dalla limitata capacità educativa del suo genitore, affetto dalle riscontrate patologie, anch'esse abbisognevoli di cure ed integrazioni e sostegni.

5.6. La mancata estensione della CTU, riguardante la valutazione della capacità genitoriale paterna, anche alla relazione padre-figlia non consente perciò di poter affermare, con la necessaria apprezzabile probabilità da parte della Corte di merito, che i seri inconvenienti che hanno afflitto la minore nei primi anni di vita non siano causalmente dipesi dal comportamento genitoriale e, soprattutto, che dallo stato di questo non possano conseguire, in ragione di un rinnovato rapporto con la figlia (ampiamente inserita in altro contesto educativo e familiare) ricadute o regressioni.

5.7. Del resto questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 24445 del 2015) ha affermato il principio di diritto secondo cui, "in tema di adozione del minore, il giudice, nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, deve fondare il suo convincimento effettuando un riscontro attuale e concreto, basato su indagini ed approfondimenti riferiti alla situazione presente e non passata, tenendo conto della positiva volontà di recupero del rapporto genitoriale da parte dei genitori.", ma anche compiendo un'osservazione attenta sullo stato psicologico ed evolutivo della minore.

5.8. Da ultimo, va rilevato che, nel corso del rinnovato giudizio di appello, la Corte territoriale non ha tenuto conto dell'esistenza di una previsione di legge espressamente stabilita a pena di nullità, ossia la L. n. 184 del 1983, art. 5, comma 1, u.p., come inserita dalla modifica apportata dalla L. n. 173 del 2015 (Modifiche alla L. 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare), il quale così dispone: "L'affidatario o l'eventuale famiglia collocataria devono essere convocati, a pena di nullità, nei procedimenti civili in materia di responsabilità genitoriale, di affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato ed hanno facoltà di presentare memorie scritte nell'interesse del minore".

5.9. La necessità della convocazione (dell'affidatario o della famiglia collocataria) nel corso del procedimento giurisdizionale, da cui deriva la nullità di quest'ultimo nel caso della sua inosservanza, è imposta dalla disposizione di legge avente natura processuale, perciò immediatamente applicabile ai procedimenti in corso, anche se instaurati a seguito della cassazione con rinvio.

5.10. Infatti, questa stessa sezione della Corte di cassazione (Sez. 1, Sentenza n. 23169 del 2006) ha già affermato il principio di diritto secondo cui "l'efficacia vincolante della sentenza di cassazione con rinvio, presupponendo il permanere della disciplina normativa in base alla quale è stato enunciato il principio di diritto ivi enunciato, viene meno in tale sede quando quella disciplina sia stata successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di "ius superveniens"".

5.11. Ed è proprio tale nuovo diritto, sopravvenuto, che imponeva ed impone al giudice di merito di convocare gli affidatari provvisori del minore a pena di nullità, consentendo loro di esercitare, altresì, la "facoltà di presentare memorie scritte nell'interesse del minore".

5.12. Un tale obbligatorio adempimento, nella specie, risulta particolarmente rilevante in quanto, come si è visto, le problematiche che affiggevano la minore non risultano essere state valutate all'attualità, e ciò in contrasto con il principio di diritto (che non può trovare deroga neppure in sede di rinvio) secondo cui, "in tema di adozione del minore, il giudice, nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, deve fondare il suo convincimento effettuando un riscontro attuale e concreto, basato su indagini ed approfondimenti riferiti alla situazione presente e non passata, tenendo conto della positiva volontà di recupero del rapporto genitoriale da parte dei genitori. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, fondata su osservazioni ed accertamenti datati oltre che sulla difficile storia personale dei genitori dei minori, senza effettuare alcuna comparazione con i significativi mutamenti successivi, rivolti al recupero della relazione con i medesimi e a un miglioramento delle condizioni di vita da offrire loro)." (Sez. 1, Sentenza n. 24445 del 2015 già citata).

6. In conclusione, il ricorso deve essere accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata, anche per le spese di questa fase, alla Corte a quo per un nuovo esame alla luce dei seguenti principi di diritto:

in tema di adozione del minore, il giudice, nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, deve fondare il suo convincimento effettuando un riscontro attuale e concreto, basato su indagini ed approfondimenti riferiti alla situazione presente e non passata, tenendo in considerazione non solo la figura genitoriale ma anche lo stato psicologico-evolutivo del minore, la sua evoluzione, il permanere di problematiche non superate e gli eventuali rischi di regressioni o peggioramenti, attraverso un'osservazione non solo della figura genitoriale ma anche di quella del minore;

ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 5, comma 1, u.p., come inserita dalla modifica apportata dalla L. n. 173 del 2015 (Modifiche alla L. 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare), la necessità della convocazione dell'affidatario o della famiglia collocataria nel corso del procedimento giurisdizionale relativo alla dichiarazione di adottabilità di un minore, è imposta a pena di nullità dalla richiamata disposizione di legge, avente natura processuale e perciò immediatamente applicabile ai procedimenti in corso, anche se instaurati a seguito della cassazione con rinvio.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso proposto dal P.G. presso la Corte d'appello di Palermo.

Accoglie il ricorso della tutrice provvisoria, cassa la sentenza impugnata, e rinvia la causa, anche per le spese di questa fase, alla Corte d'appello di Palermo in diversa composizione.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 14 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2017
Rispondi

Da: avv. trc13/12/2017 16:48:24
ahhhh, la conoscete bene la professione ahhhhhhhh
Rispondi

Da: avv. trc13/12/2017 16:51:26
26 febbraio 2016, n. 7974
questa è la sentenza non uscite fuori traccia
Rispondi

Da: per avv. trc13/12/2017 16:53:46
Mi sembra chiaro che per te questa sia la professione.... Questo tuo messaggio rende bene l'idea del fatto che nonostante questi 2 fantomatici master tu consideri questa come professione ed è così che la farai evidentemente. Sappiamo bene purtroppo come vanno le cose in certi ambienti.... Un giorno si copia con il cellulare durante la prova del parere di penale... Il giorno dopo non avendo alcuna capacità si può solo mettere in atto la truffa all'assicurazione! E poi ci si lamenta se le assicurazioni costano tanto... Ma se continuate così... Al sud in particolare (non è razzismo ma non è un caso se i premi al sud sono più alti ed il costo del noleggio idem)!!!
Rispondi

Da: Esperienza13/12/2017 16:56:06
ma dai ma mica crederete che questo è fiduciario, sarà fiduciario del suo gatto semmai!
Dai non scherziamo
Rispondi

Da: Goldenbrunnen13/12/2017 16:56:28
Il reato di cui all'art. 591 c.p. rubricato in abbandono di persone incapaci è solo doloso e non colposo. Pensate a chi dimentica nell'auto una bambina non risponde del reato di cui all'art. 591 ma di omicidio colposo se la bambina muore in macchina.
Rispondi

Da: art. 591 c.p anche colposo13/12/2017 17:00:35
basti considerare che La responsabilità del preponente ai sensi dell'art. 2049 cod. civ. sorge per il solo fatto che il comportamento illecito del preposto sia stato agevolato o reso possibile dalle incombenze a lui demandate dal preponente, purché però il primo non abbia agito per finalità o scopi esclusivamente personali e del tutto avulsi dalle incombenze o da quello che è legittimo attendersi da lui e così al di fuori dell'ambito dell'incarico affidatogli, venendo meno in tal caso il nesso di occasionalità necessaria tra le prime ed il fatto illecito del preposto ed il danno.
È questo il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte nella sentenza in esame, nella quale viene affrontato e risolto il tema dell'esatta delimitazione dell'ambito di applicazione dell'art. 2049 c.c. in caso di condotta dolosa del sottoposto del tutto avulsa dalle mansioni affidate o legittimamente attese.
Nella fattispecie, un portinaio di uno stabile, intervenuto per la rottura di una tubatura, a seguito di un litigio aveva colpito con un pugno alla tempia il condomino presso il cui appartamento stava operando. Il soggetto ferito dal pugno, già affetto da problemi visivi, perdeva in conseguenza del colpo definitivamente la vista.
La vittima citava per il risarcimento dei danni sia l'aggressore sia, invocandone la responsabilità ai sensi dell'art. 2049 cod. civ., il Condominio.
In secondo grado, la Corte d'Appello di Roma aveva esteso la responsabilità dell'accadimento anche al Condominio, condannandolo, in solido con l'autore dell'aggressione, a corrispondere alla vittima un risarcimento milionario, in ragione del fatto che "il portiere aveva aggredito il condomino nell'appartamento dove quest'ultimo viveva e dove si era recato per verificare il funzionamento di tubature e quindi nell'espletamento di mansioni generalmente riconducibile a quelle di un portiere - o assimilato di un edificio condominiale".
La Cassazione ha, invece, rigettato la tesi della corte d'appello sulla base della assenza, rispetto all'aggressione, di qualsiasi collegamento con l'attività lavorativa.
Osserva la Suprema Corte, infatti, che in materia di art. 2049 c.c. può dirsi consolidata la giurisprudenza di legittimità secondo la quale "i "padroni e committenti" sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti e… ai fini dell'applicabilità della norma di cui all'art. 2049 cod. civ., non è richiesto l'accertamento del nesso di causalità tra l'opera del preposto e l'obbligo del preponente, nonché della sussistenza di un rapporto di subordinazione tra l'autore dell'illecito ed il preponente medesimo e del collegamento dell'illecito stesso con le mansioni svolte dal preposto, essendo sufficiente, per il detto fine, un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che l'incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso, anche se il dipendente (o, comunque il collaboratore dell'imprenditore) abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purché sempre nell'ambito dell'incarico affidatogli, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro".
Insomma, impedisce la configurabilità della responsabilità in esame l'assoluta estraneità della condotta del preposto alle sue mansioni e compiti, quand'anche deviate o distorte. Occorre cioè che il preposto abbia perseguito finalità coerenti con quelle in vista delle quali le mansioni gli furono affidate e non finalità proprie alle quali il committente non sia neppure mediatamente interessato o compartecipe.
In sostanza, le condotte del preposto debbono essere in qualche modo collegate alle ragioni, anche economiche, della preposizione e ricondursi al novero delle normali potenzialità di sviluppo di queste, se del caso considerate alla stregua dell'ordinaria responsabilità per colpa collegata alla violazione dell'altrui affidamento.
È, in tal senso, significativo che la più recente giurisprudenza abbia precisato che l'automatismo dell'insorgenza della responsabilità del preponente si attenua a mano a mano che la condotta del preposto si allontana dalle mansioni e dalle incombenze.
Nella fattispecie, osserva la Corte, "sferrare un pugno ad un condomino o ad un inquilino dell'edificio condominiale causandogli lesioni personali gravissime, non attenuate ed anzi aggravate dalla pregressa situazione di evidente infermità della vittima - non rientra certamente nelle mansioni o funzioni del portiere, né corrisponde al normale sviluppo di sequenze di eventi connessi all'ordinario espletamento di queste ultime… e tanto meno può sostenersi che l'aggressione del condomino o dell'inquilino rientri, nemmeno sotto forma di degenerazione od eccesso però non impossibili, tra quelle condotte esclusivamente personali che normalmente ci si può attendere da chi espleta le funzioni di portiere, diversamente, ad esempio, da quanto può accadere per altre categorie di preposti, quali coloro che sono a guardia degli ingressi o incaricati della sicurezza di locali pubblici o aperti al pubblico".
In conclusione, deve essere esclusa la responsabilità del Condominio per il fatto doloso del portiere - o altro dipendente o assimilato - nel corso dello svolgimento delle relative mansioni, quando la relativa condotta sia del tutto avulsa dalle mansioni affidate e l'espletamento di quelle abbia costituito una mera occasione non necessaria per la condotta.
Rispondi

Da: Furbetta85.13/12/2017 17:01:35
Katia di Napoli tu di che ordine sei?
Rispondi

Da: TR1ST3ZZ413/12/2017 17:02:18
Certo che pensare al povero candidato sperduto e abbandonato nella sua scrivania, con il suo misero cellularino che cerca aiuto in un forum come questo, copiando la soluzione, trovata da chi sa chi e come, mette molta amarezza. Ammettere di non sapere un cazzo di diritto e copiare da un perfetto sconosciuto di un forum è da pezzenti sfigati di razza. Verranno certamente segati agli scritti o all'orale con. Dispiace per questi episodi e ancora di più per chi coopera con queste realtà degradanti. Speriamo siano solo episodi.
Rispondi

Da: Esperienza13/12/2017 17:03:21
sarà dell'ordine dei Templari!
Rispondi

Da: Esperienza13/12/2017 17:08:51
Hai ragione scusa, ti abbiamo disturbato.
Che vuoi sapere?
Che cosa è una circostanza aggravante?
Rispondi

Da: Luca03 13/12/2017 17:10:24
Ma dov'e' la estorsione? Aoooooo. Dice che è intenzionato. Nel estorsiome ci vuole la prospettazione di un male ingiusto cioè la minaccia; qui lo sta raggirando. No vabbè
Rispondi

Da: TR1ST3ZZ413/12/2017 17:14:07
@luca03 Dai consegna, tanto non lo passi anche se copi, non sai farlo, lascia perdere. non sai neppure gli elementi costitutivi del reato. Torna a casa studiati il fiandaca-musco come fanno tutti e torni l'anno prossimo.
Rispondi

Da: Esperienza13/12/2017 17:15:28
Ma che ne sa questo del Fiandaca-musco?!?!?!?
questo sarà il praticante di Avv. trc e t'ho detto tutto!!!
Rispondi

Da: Luca03 13/12/2017 17:20:30
Tristezza; va bene faccio come dici tu. Consegno e vado a casa. Tanto per te è estorsione vero? Però non dirmi che sei avvocato perché non vorrei più fare questo lavoro nella mia vita se ci sono professionisti come te. Allora, consegno eh.. vado a casa
Rispondi

Da: Luca03 13/12/2017 17:21:51
Esperienza e Tristezza ma voi che siete così bravi che fate qua? Non avete assistiti che chiedono di voi?
Rispondi

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