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Esame avvocato Spagna
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Da: bla bla bla | 06/06/2010 11:51:44 |
sì ma per ora contro questo innalzamento di barriera nessuna impugnazione è stata manco presentata! altro che "saranno annulate", altro che "dovranno pagare anche il risarcimento dei danni"... staremo a vedere!!! allo stato attuale: diritto 1 - furbacchioni 0 | |
Da: kitty x Avila | 06/06/2010 12:03:27 |
Ciao tra 1 settimana iniziamo gli esami! Voglio solo puntualizzare e precisare x i non informati che il percorso spagnolo è durissimo! A me mancano pochi esami e poi avrò la homologacion, ma mi vengono i nervi quando leggo interventi fatti da persone che pensano che andare in spagna significhi mettere 2 crocette e magari in italiano!! Io ho studiato quasi 1 anno intero full time ho ridato 19 esami in spagnolo e nonostante io abbia anche la laurea in lingue e che quindi parli bene spagnolo, il percorso è stato durissimo. io non credo che essere abogado sia una deminutio, anzi io credo di avere un titolo in più e quando passerò l'esame anche in italia non farò mistero del mio essere abogado, ma lo evidenzierò con orgoglio! Besos | |
Da: panglos | 06/06/2010 12:09:14 |
accidenti, laurea in legge e laurea in lingue!!! sei un genio!! ma visto che in italia non si possono frequentare 2 facoltà contemporaneamente... quanti anni hai? | |
Da: x martire | 06/06/2010 12:12:10 |
troppo lunghi da leggere i tuoi post... ti dispiace pubblicarli a fascicoli o in comode dispense? | |
Da: Mario | 06/06/2010 12:17:02 |
x Martire della Libertà Condivido in pieno le Tue tesi -e mi spiace che altri vedi blabla bla- irridano tali prospettazioni, ma trovandomi in dirittura d'arrivo per l'omologazione(spero terminarla la prossima settimana) devo portarmi avanti. In Lombardia mi dicono sia un fuoco di sbarramento da parte dei COA, a Roma invece iscriverebbero senza problemi tanto che alcuni colleghi vorrebbero domiciliarsi nella città eterna al fine di evitare ulteriore spese per ricorsi al Tar; al proposito hai notizia di Roma? Preciso essere titolare di mio studio, aver risieduto in Spagna per ragioni professionali dal 1998 al 2003, essere stato amministratore di società nella penisola iberica nonchè soprattutto essere domiciliato in uno studio di Madrid dal 2009(dove mi reco regolarmente ogni mese in due occasioni), parlo correttamente lo spagnolo, il portoghese e l'inglese e nessun problema di clienti in Italia....dovrei sentirmi da meno dei colleghi in Italia? penso proprio di no, tanto lavoro, tanto studio e rinuncie famigliari e non: questa è la via spagnola, altro che Cepu.... | |
Da: x Mario | 06/06/2010 12:36:57 |
MILANO, non ha messo barriere, sono fiscali nella documentazione, che se è ok, non ci sono problemi. | |
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Da: x Mario | 06/06/2010 13:04:16 |
Per lâesercizio in Italia, per i primi tre anni, la norma è alquanto aleatoria. La norma prevede che, per i primi tre anni, si debba esercitare la professione di âconcertoâ, con un avvocato iscritto nellâelenco ordinario. Però, non è chiaro che si intenda per di concerto. Câè chi asserisce â"posizione minoritaria- ed è propenso per una visione restrittiva ovvero, che lâabogado, addirittura debba essere accompagnato anche in udienza con un avvocato; chi asserisce che, la delega debba essere con difesa congiunta, chi ammette anche la disgiunta e, infine, câè chi insiste che, il rapporto avvocato / abogado, sia di mera supervisore per la deontologia e, che lo ius postulandi dellâabogado sia identico allâavvocato. Infine, câè la convinzione sempre più diffusa che, il supervisore avvocato, non necessariamente debba essere dello stesso foro dellâabogado e, chi sostiene il contrario. Bohh, attendo lumi. | |
Da: flo | 06/06/2010 13:21:52 |
ammazza che palleeee, ma perchè intasate sto forum con insulti, giudizi ed ogni tipologia di opinione? non mi ricordo chi un paio di pagine indietro ha manifestato l'intenzione di fare gli esami a settembre-ottobre... bè anche io!! per chi è avvocato/praticante/studente e non farà l'esame in spagna....e non ce rompete i cojoniiii!!! per chi farà l'esame in Spagna....e non cadiamo in provocazioni!!!! hasta pronto!! | |
Da: Mario | 06/06/2010 14:42:17 |
Circa l'esercizio congiunto abogado/avvocato il codice non prescrive alcuna norma stringente, quindi debbo dedurre che la firma del collega "italiano" avalli -senza alcuna conseguenza disciplinare per lo stesso- la frequentazione ed il contemporaneo apprendimento congiunto dell'abogado con l'avvocato iscritto all'Albo italiano. Peraltro alcun enunciato limita l'esercizio della professione -ad esempio nei limiti del praticante abilitato- per l'abogado durante i 3 anni; cio' a dire che un patrocinatore in scadenza di abilitazione nel contempo diventato abogado potrebbe patrocinare in Cassazione... Il punto è precedente: quanto tempo deve decorrere dalla data di propria iscrizione al Colegio de Abogados en Espana prima di proporre istanza al COA di conpetenza? ed ancora è necessario un precedente esercizio della professione in Spagna ? Unica cosa certa è che una volta iscritti nel Registro Stabiliti non si puo' piu' essere cancellati.....qualcuno ha qualche news in proposito? | |
Da: x Mario | 06/06/2010 15:00:14 |
la questione del "concerto" con l'avvocato italiano non c'entra. è un'evidente forzatura sostenere che il professionista che esercita il diritto alla libera circolazione e stabilimento debba poi per ben tre anni essere sostanzialmente impedito nel suo lavoro autonomo. la questione è invece quella dell'interpretazione del CNF per cui ai c.d. italoabogados non si applica sic et simpliciter la normativa comunitaria, poiché questi non sarebbero professionisti europei (ancorché di cittadinanza italiana) che vogliono lavorare in italia, bensì soggetti che conseguono i titoli all'estero per poi divenire professionisti al loro rientro in italia | |
Da: x x Mario | 06/06/2010 15:56:47 |
dalla lettura di quanto detto da Martire, che risulta essere persona dotta in materia, pare evidente che, la resistenza del CNF, non avrà lunga vita, così com'è. Dichiamo che, fino ad oggi, ha il CNF, riadattato -inaudita altera parte- una sentenza inconferente con il casi di nostro interesse. Ora che, si è in procinto di una vera pronuncia su di un caso analogo al tema in discussione, la cosa dovrebbe prendere una piega diversa, letta la conclusione dell'avvocatura generale. Sulla questione di quanto tempo stare in Spagna ad esercitare, dipende 6/8 mesi. Se passa la conclusione dell'avvocatura anche meno. Infine, è vero, una volta iscritti, non si può cancellare | |
Da: Mario | 06/06/2010 16:41:35 |
In effetti la penso così anch'io e così mi comporterò per l'iscrizione al mio COA, tanto piu' che ho intenzione di proseguire la mia attività anche in Spagna per il futuro. Ho avuto un soprassalto quando un collega di Roma mi ha confermato che l'Ordine locale consente la semplice domiciliazione presso un collega del circondario della capitale ed iscrive con la semplice avvenuta iscrizione al Colegio de Abogados por exemplo de Madrid...... Nel contempo devo rettificare il mio precedente assunto sul patrocinio in Cassazione durante il triennio, occorre aver svolto la professione per almeno 12 anni nel paese di provenienza; mi sembra corretta come esigenza. Torno a chiedere qualcuno ha notizie di Roma e/o COA della Lombardia escluso Milano? | |
Da: x Mario | 06/06/2010 16:53:42 |
a Saronno hanno l'elenco delgi avvocati stabiliti | |
Da: x Mario | 06/06/2010 16:58:36 |
scusa, no Saronno, Bustarsizio | |
Da: Mario | 06/06/2010 17:09:52 |
Si, ho capito anche a Brescia, Bergamo e Crema c'è un collega già inserito....intendevo se iscrivono con la semplice produzione del certificado de afiliacion de Colegio de Abogados de Madrid o en Espana o richiedono la trasmissione di documentazione atta a dimostrare il precedente esercizio professionale en Espana ?? | |
Da: x Mario | 06/06/2010 17:51:02 |
l'iter è il seguente: prima fai istanza. Se non vogliono iscriverti perchè non dimostri il precedente esercizio, per LEGGE ti devono convocare e chiedere con un termine di integrare la documentazione. Quindi, se è tutto in regola non possono silurarti. Quando hanno detto no!, è perchè c'è gente che chiamata al colloquio, hanno detto di aver fatto tutto l'iter di omologa in due ore. | |
Da: c''è chi dice no | 06/06/2010 18:14:23 |
ma quelli che hanno detto di aver fatto l'omologa in due ore e si sono visti respingere l'istanza hanno fatto ricorso al TAR? | |
Da: x Mario | 06/06/2010 18:21:43 |
non ho idea x il TAR. Il caso è nelle pagine passate. | |
Da: Mario | 07/06/2010 11:09:49 |
Nelle pagine precedenti però non si completa la quaestio, la quale risulta essere conoscere precedenti specifici e le relative modalità di presentazione dell'istanza. Mi pare pero' difficile che il collega istante davanti al COA sia così fesso da presentarsi senza una minima dimostrazione di compiuto iter di studi in Spagna corredato da una seppur banale frequentazione delle aule giudiziarie del paese iberico. Non sò chi sia riuscito a compiere l'iter in Spagna in meno di 12/18 mesi, il nodo centrale resta quello di sapere se qualcuno ha vinto il proposto ricorso al Tar contro il rigetto del COA. | |
Da: martire della verit | 07/06/2010 12:45:26 |
Per fare chiarezza riporto la seguente sentenza, che da delle coordinate su come deve avvenire il riconoscimento del titolo di avvocato e, in caso di diniego, come opporsi agli organi competenti Corte giustizia CE, 19 settembre 2006 Nel procedimento C-506/04, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, dalla Cour administrative (Lussemburgo), con decisione 7 dicembre 2004, pervenuta in cancelleria il 9 dicembre 2004, nel procedimento {Graham J. Wilson} contro Ordre des avocats du barreau de Luxembourg, LA CORTE (Grande Sezione), composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C. W. A. Timmermans e A. Rosas, presidenti di sezione, dai sigg. J.-P. Puissochet, R. Schintgen, K. Lenaerts (relatore), E. Juhász, E. Levits, A. " Caoimh e L. Bay Larsen, giudici, avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl cancelliere: sig.ra K. Sztranc-S-awiczek, amministratore vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 14 marzo 2006, considerate le osservazioni presentate: - per il sig. {Wilson}, dal sig. L. Lorang, avocat, dal sig. C. Vajda, QC, e dalla sig.ra V. Sloane, barrister; - per l'ordre des avocats du barreau de Luxembourg, dai sigg. C. Ossola e C. Kaufhold, avocats; - per il governo lussemburghese, dal sig. S. Schreiner, in qualità di agente, assistito dal sig. L. Dupong, avocat; - per il governo francese, dalla sig.ra C. Bergeot-Nunes e dal sig. G. de Bergues, in qualità di agenti; - per il governo italiano, dal sig. I. M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. A. Cingolo, avvocato dello Stato; - per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra R. Caudwell, in qualità di agente, assistita dalla sig.ra M. Demetriou, barrister; - per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. A. Bordes e H. Støvlbæk, in qualità di agenti, sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza dell'11 maggio 2006, ha pronunciato la seguente Inizio documento FattoDiritto Sentenza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CE, volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica (GU L 77, pag. 36). 2 Tale domanda è stata presentata nell'ambito di una controversia sorta in seguito al rifiuto, da parte del conseil de l'ordre des avocats du barreau de Luxembourg (Consiglio dell'ordine degli avvocati del foro di Lussemburgo; in prosieguo: il "consiglio dell'ordine") d'iscrivere il sig. {Graham J. Wilson}, cittadino del Regno Unito, all'albo dell'ordine degli avvocati di Lussemburgo. Contesto normativo La direttiva 98/5 3 Ai sensi dell'art. 2, primo comma, della direttiva 98/5: "Gli avvocati hanno il diritto di esercitare stabilmente le attività di avvocato precisate all'articolo 5 in tutti gli altri Stati membri con il proprio titolo professionale di origine". 4 L'art. 3 della direttiva 98/5, rubricato "Iscrizione presso l'autorità competente", dispone quanto segue: "1. L'avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello nel quale ha acquisito la sua qualifica professionale deve iscriversi presso l'autorità competente di detto Stato membro. 2. L'autorità competente dello Stato membro ospitante procede all'iscrizione dell'avvocato su presentazione del documento attestante l'iscrizione di questi presso la corrispondente autorità competente dello Stato membro di origine. Essa può esigere che l'attestato dell'autorità competente dello Stato membro di origine non sia stato rilasciato prima dei tre mesi precedenti la sua presentazione. Essa dà comunicazione dell'iscrizione all'autorità competente dello Stato membro di origine. (-)". 5 L'art. 5 della direttiva 98/5, intitolato "Campo di attività", stabilisce quanto segue: "1. Salvo i paragrafi 2 e 3, l'avvocato che esercita con il proprio titolo professionale di origine svolge le stesse attività professionali dell'avvocato che esercita con il corrispondente titolo professionale dello Stato membro ospitante, e può, in particolare, offrire consulenza legale sul diritto del proprio Stato membro d'origine, sul diritto comunitario, sul diritto internazionale e sul diritto dello Stato membro ospitante. Esso rispetta comunque le norme di procedura applicabili dinanzi alle giurisdizioni nazionali. 2. Gli Stati membri che autorizzano una determinata categoria di avvocati a redigere sul loro territorio atti che conferiscono il potere di amministrare i beni dei defunti o riguardanti la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, che in altri Stati membri sono riservati a professioni diverse da quella dell'avvocato, possono escludere da queste attività l'avvocato che esercita con un titolo professionale di origine rilasciato in uno di questi ultimi Stati membri. 3. Per l'esercizio delle attività relative alla rappresentanza ed alla difesa di un cliente in giudizio e nella misura in cui il proprio diritto riservi tali attività agli avvocati che esercitano con un titolo professionale dello Stato membro ospitante, quest'ultimo può imporre agli avvocati che ivi esercitano con il proprio titolo professionale di origine di agire di concerto con un avvocato che eserciti dinanzi alla giurisdizione adita e il quale resta, eventualmente, responsabile nei confronti di tale giurisdizione, oppure con un "avoué" patrocinante dinanzi ad essa. Ciononostante, per assicurare il buon funzionamento della giustizia, gli Stati membri possono stabilire norme specifiche di accesso alle Corti supreme, quali il ricorso ad avvocati specializzati". 6 L'art. 9 della direttiva 98/5, rubricato "Motivazione e ricorso giurisdizionale", dispone quanto segue: "Le decisioni con cui viene negata o revocata l'iscrizione di cui all'articolo 3 e le decisioni che infliggono sanzioni disciplinari devono essere motivate. Tali decisioni sono soggette a ricorso giurisdizionale di diritto interno". 7 L'art. 10, della direttiva 98/5, rubricato "Assimilazione all'avvocato dello Stato membro ospitante", contiene le seguenti disposizioni: "1. L'avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine e che abbia comprovato l'esercizio per almeno tre anni di un'attività effettiva e regolare nello Stato membro ospitante, e riguardante il diritto di tale Stato, ivi compreso il diritto comunitario, è dispensato dalle condizioni di cui all'articolo 4, paragrafo 1, lettera b) della direttiva [del Consiglio 21 dicembre 1988] 89/48/CEE [relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni (GU 1989 L 19, pag. 16)] per accedere alla professione di avvocato dello Stato membro ospitante. Per attività effettiva e regolare si intende l'esercizio reale dell'attività senza interruzioni che non siano quelle dovute agli eventi della vita quotidiana. (-) 3. Un avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine, che dimostri un'attività effettiva e regolare per un periodo di almeno tre anni nello Stato membro ospitante, ma di durata inferiore relativamente al diritto di tale Stato membro, può ottenere dall'autorità competente di detto Stato membro l'accesso alla professione di avvocato dello Stato membro ospitante e il diritto di esercitarla con il titolo professionale corrispondente a tale professione in detto Stato membro, senza dover rispettare le condizioni di cui all'articolo 4, paragrafo 1, lettera b) della direttiva 89/48 (-), alle condizioni e secondo le modalità qui di seguito indicate: a) L'autorità dello Stato membro ospitante prende in considerazione l'attività effettiva e regolare nel corso del periodo sopra precisato, nonché le conoscenze e le esperienze professionali nel diritto dello Stato membro ospitante, nonché la partecipazione del richiedente a corsi o seminari che vertono sul diritto dello Stato membro ospitante, compreso l'ordinamento della professione e la deontologia professionale. (-)". Il diritto nazionale 8 Ai sensi dell'art. 5 della legge 10 agosto 1991 sulla professione di avvocato (Mémorial A 1991, pag. 1110; in prosieguo: la "legge 10 agosto 1991"): "Nessuno può esercitare la professione di avvocato se non ha ottenuto l'iscrizione all'albo di un ordine degli avvocati stabilito nel Granducato di Lussemburgo". 9 L'art. 6 della legge 10 agosto 1991 dispone quanto segue: "(1) Ai fini dell'iscrizione all'albo è necessario: a) presentare le necessarie garanzie d'onorabilità. b) dimostrare di ottemperare alle condizioni d'ammissione al tirocinio. Eccezionalmente, il Consiglio dell'ordine può dispensare da determinati requisiti di ammissione al tirocinio coloro che abbiano completato il tirocinio professionale nel loro Stato d'origine e possano comprovare una pratica professionale di almeno cinque anni. c) avere la cittadinanza lussemburghese o la cittadinanza di uno Stato membro delle Comunità europee. Il Consiglio dell'ordine, sentito il parere del Ministro della Giustizia può, dietro prova di reciprocità da parte del paese non membro della Comunità europea di cui il candidato è cittadino, dispensare quest'ultimo dalla predetta condizione. Lo stesso vale per i candidati che godono dello status di rifugiati politici e che beneficiano del diritto d'asilo nel Granducato di Lussemburgo. (2) Prima di potere essere iscritti all'albo, i candidati avvocati, presentati dal presidente dell'ordine o dal suo delegato, prestano il seguente giuramento dinanzi alla Cour de cassation: "Giuro fedeltà al Granduca, obbedienza alla costituzione e alle leggi dello Stato, di non venire mai meno al rispetto dovuto ai tribunali e di non patrocinare alcuna causa che io non creda giusta secondo coscienza"". 10 Tali requisiti per l'iscrizione sono stati modificati dall'art. 14 della legge 13 novembre 2002, che recepisce nel diritto lussemburghese la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CE, volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica e recante: 1. modifica della legge modificata 10 agosto 1991, sulla professione di avvocato; 2. modifica della legge 31 maggio 1999, sulla domiciliazione delle società (Mémorial A 2002, pag. 3202; in prosieguo: la "legge 13 novembre 2002"). 11 Il detto art. 14 ha aggiunto, in particolare, all'art. 6, n. 1, della legge 10 agosto 1991, il punto d), che stabilisce il seguente requisito per l'iscrizione: "abbia padronanza della lingua della legislazione e delle lingue amministrative e giudiziarie ai sensi della legge 24 febbraio 1984 sul regime linguistico". 12 La lingua della legislazione è disciplinata dall'art. 2 della legge 24 febbraio 1984, sul regime linguistico (Mémorial A 1984, pag. 196) nei seguenti termini: "Gli atti legislativi e i relativi regolamenti d'attuazione sono redatti in francese. Quando gli atti legislativi e regolamentari sono accompagnati da una traduzione, fa fede solo il testo francese. Quando regolamenti diversi da quelli di cui al comma precedente sono emanati da un organismo dello Stato, dei comuni o degli enti pubblici in una lingua diversa dal francese, fa fede solo il testo nella lingua utilizzata da tale organismo per la stesura. Questo articolo non deroga alle disposizioni applicabili in materia di convenzioni internazionali". 13 Le lingue amministrative e giudiziarie sono disciplinate dall'art. 3 della legge 24 febbraio 1984, sul regime linguistico, nei seguenti termini: "In materia amministrativa, contenziosa o non contenziosa, e in materia giudiziaria è possibile utilizzare la lingua francese, tedesca o lussemburghese, fatte salve le disposizioni speciali vigenti in specifiche materie". 14 Ai sensi dell'art. 3, n. 1, della legge 13 novembre 2002, l'avvocato che ha conseguito la qualifica in uno Stato membro diverso dal Granducato di Lussemburgo (in prosieguo: l'"avvocato europeo") deve aver ottenuto l'iscrizione all'albo di uno degli ordini degli avvocati di quest'ultimo Stato membro per potervi esercitare con il proprio titolo d'origine. 15 In forza dell'art. 3, n. 2, della stessa legge: "Il Consiglio dell'ordine degli avvocati del Granducato di Lussemburgo, cui l'avvocato europeo presenti istanza di poter esercitare con il suo titolo professionale d'origine, procede all'iscrizione dell'avvocato europeo all'albo degli avvocati di tale ordine al termine di un colloquio che permette al Consiglio dell'ordine di verificare che l'avvocato europeo abbia la padronanza almeno delle lingue di cui all'art. 6, n. 1, lett. d), della legge 10 agosto 1991, dietro presentazione dei documenti elencati all'art. 6, n. 1, lett. a), c), prima frase, e d) della legge 10 agosto 1991 e dell'attestato di iscrizione dell'avvocato europeo presso l'autorità competente dello Stato membro d'origine (-) (-)". 16 In conformità all'art. 3, n. 3, della legge 13 novembre 2002, le decisioni di diniego dell'iscrizione di cui al n. 2 di tale articolo devono essere motivate e notificate all'avvocato interessato e possono essere "impugnate ai sensi degli artt. 26, nn. 7 e segg., della legge 10 agosto 1991 alle condizioni e modalità ivi precisate". 17 L'art. 26, n. 7, della legge 10 agosto 1991 prevede, tra l'altro, in caso di diniego dell'iscrizione all'albo di un ordine di avvocati, la possibilità di adire il Conseil disciplinaire et administratif. 18 La composizione di tale organo è disciplinata come segue dall'art. 24 di detta legge: "1. La presente legge prevede l'istituzione di un Conseil disciplinaire et administratif composto da cinque avvocati iscritti all'elenco I degli avvocati, di cui quattro sono eletti a maggioranza relativa dall'assemblea generale dell'ordine di Lussemburgo e uno dall'assemblea generale dell'ordine di Diekirch. L'assemblea generale dell'ordine di Lussemburgo elegge quattro supplenti e l'assemblea generale dell'ordine di Diekirch elegge un supplente. Tutti i membri effettivi sono, laddove impossibilitati, sostituiti conformemente al grado di anzianità da un supplente dell'ordine di appartenenza e, laddove fossero impossibilitati i supplenti del proprio ordine, da un supplente dell'altro ordine. 2. Il mandato dei membri è di due anni a partire dal 15 settembre successivo alla loro elezione. In caso di vacanza di un posto di membro effettivo o membro supplente, il sostituto sarà cooptato dal Conseil disciplinaire et administratif. Le funzioni dei membri effettivi e supplenti cooptati terminano alla data di scadenza delle funzioni del rispettivo membro eletto sostituito. I membri del Conseil disciplinaire et administratif possono essere rieletti. 3. Il Conseil disciplinaire et administratif elegge un presidente ed un vicepresidente. Laddove presidente e vicepresidente fossero impossibilitati a svolgere le loro funzioni, il Conseil è presieduto dal membro titolare che vanta maggiore anzianità. Il membro più giovane del Consiglio svolge la funzione di segretario. 4. Per essere membro del Conseil disciplinaire et administratif è necessario avere la cittadinanza lussemburghese, essere iscritti nell'elenco I degli avvocati da almeno cinque anni e non essere membro di un Consiglio dell'ordine. 5. Qualora non fosse possibile comporre il Conseil disciplinaire et administratif secondo le modalità predette, i suoi membri sono designati dal Consiglio dell'ordine cui appartengono i membri da sostituire". 19 L'art. 28, n. 1, della legge 10 agosto 1991 prevede la possibilità di impugnare le decisioni del Conseil disciplinaire et administratif. 20 Nella versione precedente alla legge 13 novembre 2002, il n. 2 di tale articolo disponeva quanto segue: "A tale scopo è creato un Conseil disciplinaire et administratif d'appel (Consiglio disciplinare ed amministrativo d'appello) composto da due magistrati della Corte d'appello e da un aggiunto giudiziario iscritto nell'elenco I degli avvocati. I membri togati e i rispettivi supplenti, nonché il cancelliere assegnato al Consiglio, sono nominati con decreto granducale su proposta della Corte suprema per la durata di due anni. Le rispettive indennità sono fissate con regolamento granducale. L'aggiunto giudiziario e il suo sostituto sono nominati con decreto granducale per la durata di due anni. Sono scelti da una lista di tre avvocati, iscritti nell'elenco I degli avvocati da almeno cinque anni, proposta da ciascun Consiglio dell'ordine per ogni funzione. La funzione di aggiunto giudiziario è incompatibile con quella di membro di un Consiglio dell'ordine o con quella di membro del Conseil disciplinaire et administratif. Il Conseil disciplinaire et administratif d'appel si riunisce nei locali della Corte suprema ed usufruisce dei suoi servizi di cancelleria". 21 L'art. 28, n. 2, della legge 10 agosto 1991, come modificato dall'art. 14 della legge 13 novembre 2002, dispone ora: "A tale scopo è creato un Conseil disciplinaire et administratif d'appel composto da due magistrati della Corte d'appello e da tre avvocati-aggiunti giudiziari iscritti nell'elenco I dell'albo degli avvocati. (-) Gli avvocati-aggiunti giudiziari ed i loro sostituti sono nominati con decreto granducale per la durata di due anni. Sono scelti da una lista di cinque avvocati presso la Corte iscritti all'elenco I dell'albo degli avvocati da almeno cinque anni, proposta da ciascun Consiglio dell'ordine per ogni funzione. (-) Il giudice con maggiore anzianità di servizio presiede il Conseil disciplinaire et administratif d'appel". 22 In conformità all'art. 8, n. 3, della legge 10 agosto 1991, come modificato dall'art. 14, V, della legge 13 novembre 2002, l'albo degli avvocati di ciascun ordine contiene quattro elenchi, ossia: "1. L'elenco I degli avvocati che soddisfano i requisiti degli artt. 5 e 6 e che hanno superato l'esame di fine tirocinio previsto dalla legge; 2. L'elenco II degli avvocati che soddisfano i requisiti degli artt. 5 e 6; 3. L'elenco III degli avvocati onorari; 4. L'elenco IV degli avvocati che esercitano con il titolo professionale di origine". Causa principale e questioni pregiudiziali 23 Il sig. {Wilson} è un barrister di nazionalità britannica. Egli è membro dell'ordine degli avvocati d'Inghilterra e del Galles dal 1975. Esercita la professione di avvocato nel Lussemburgo dal 1994. 24 Il 29 aprile 2003 il sig. {Wilson} veniva convocato dal consiglio dell'ordine per sostenere il colloquio previsto dall'art. 3, n. 2, della legge 13 novembre 2002. 25 Il 7 maggio 2003 il sig. {Wilson} si presentava a tale colloquio accompagnato da un avvocato lussemburghese, ma il consiglio dell'ordine non consentiva che quest'ultimo assistesse al detto colloquio. 26 Con lettera raccomandata di data 14 maggio 2003, il consiglio dell'ordine notificava al sig. {Wilson} la sua decisione di negargli l'iscrizione all'albo degli avvocati nell'elenco IV degli avvocati che esercitano con il titolo professionale d'origine. Tale decisione veniva motivata nei seguenti termini: "Dopo che il consiglio dell'ordine la ha informata che non ammette l'assistenza di un avvocato, non prevista dalla legge, lei ha rifiutato di sostenere il colloquio senza essere assistito dall'avv. (-). Il consiglio dell'ordine, pertanto, non è in grado di verificare le sue conoscenze linguistiche ai sensi dell'art. l'art. 6, n. 1, lett. d), della legge 10 agosto 1991 (-)". 27 In tale lettera, il consiglio dell'ordine informava il sig. {Wilson} che, "[c]onformemente all'art. 26, n. 7, della legge 10 agosto 1991, la presente decisione può essere oggetto di impugnazione da esperire mediante ricorso dinanzi al Conseil disciplinaire et administratif (casella postale 575, L-1025, Lussemburgo) entro un termine di quaranta giorni dall'invio della presente". 28 Con atto introduttivo 28 luglio 2003, il sig. {Wilson} ha presentato un ricorso di annullamento avverso tale decisione di diniego dinanzi al tribunal administratif de Luxembourg (Tribunale amministrativo di Lussemburgo). 29 Con sentenza 13 maggio 2004, tale tribunale si è dichiarato incompetente a decidere il detto ricorso. 30 Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria della Cour administrative (Corte d'appello amministrativa) il 22 giugno 2004, il sig. {Wilson} ha proposto appello avverso la detta sentenza. 31 Il giudice del rinvio spiega che la questione della compatibilità con l'art. 9 della direttiva 98/5 del procedimento di ricorso istituito dalla normativa lussemburghese si ripercuote direttamente su quella della competenza dei giudici amministrativi a dirimere la controversia della causa principale. Nel merito, esso si pone la questione della compatibilità con il diritto comunitario delle disposizioni lussemburghesi che istituiscono una verifica delle conoscenze linguistiche degli avvocati europei che desiderano esercitare in Lussemburgo. 32 In tali circostanze, la Cour administrative ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: "1) Se l'art. 9 della direttiva 98/5/ (-) debba essere interpretato nel senso che esclude un procedimento di ricorso quale quello previsto dalla legge 10 agosto 1991, come modificata dalla legge 13 novembre 2002; 2) più in particolare, se organi quali il Conseil disciplinaire et administratif e il Conseil disciplinaire et administratif d'appel rappresentino organi competenti a conoscere dei "ricors[i] giurisdizional[i] di diritto interno" ai sensi dell'art. 9 della direttiva 98/5 e se [tale articolo] debba essere interpretato nel senso che esclude un mezzo di ricorso che imponga di adire uno o più organi di tale natura prima di poter adire su una questione di diritto una "corte o un tribunale" ai sensi del [detto articolo]; 3) se le autorità competenti di uno Stato membro siano autorizzate a subordinare il diritto di un avvocato di un [altro] Stato membro di esercitare stabilmente la professione di avvocato con il proprio titolo professionale di origine, nei settori di attività specificati dall'art. 5 della direttiva [98/5], al requisito della padronanza delle lingue di tale [primo] Stato membro; 4) in particolare, se le autorità competenti possano disporre che tale diritto all'esercizio della professione sia subordinato al superamento, da parte dell'avvocato, di un esame orale di lingua in tutte o in alcune delle tre lingue principali dello Stato membro ospitante, al fine di consentire alle autorità competenti di verificare se l'avvocato conosca le tre lingue e, in tal caso, quali debbano essere le garanzie procedurali eventualmente richieste". Sulla prima e la seconda questione Sulla competenza della Corte a risolvere tali questioni e sulla loro ricevibilità 33 L'ordre des avocats du barreau de Luxembourg (ordine degli avvocati del foro di Lussemburgo), sostenuto dal governo lussemburghese, afferma che le prime due questioni non rientrano nella competenza della Corte. A suo avviso, infatti, con tali questioni il giudice del rinvio chiede l'interpretazione dell'art. 9 della direttiva 98/5 alla luce delle disposizioni nazionali. Orbene, esso è dell'avviso che la Corte non è competente né a verificare la compatibilità di disposizioni nazionali con il diritto comunitario, né ad interpretare tali disposizioni. 34 È vero che, nell'ambito di un procedimento ex art. 234 CE, non spetta alla Corte pronunciarsi sulla compatibilità di norme del diritto interno con disposizioni del diritto comunitario (v., in particolare, sentenza 7 luglio 1994, causa C-130/93, Lamaire, Racc. pag. I-3215, punto 10). Inoltre, nell'ambito del sistema di cooperazione giudiziaria istituito dal detto articolo, l'interpretazione delle norme nazionali incombe ai giudici nazionali e non alla Corte (v., in particolare, sentenza 12 ottobre 1993, causa C-37/92, Vanacker e Lesage, Racc. pag. I-4947, punto 7). 35 Per contro, la Corte è competente a fornire al giudice nazionale tutti gli elementi d'interpretazione propri del diritto comunitario che gli consentano di valutare la compatibilità di norme di diritto interno con la normativa comunitaria (v, in particolare, sentenza Lamaire, cit., punto 10). 36 Nel caso di specie, le prime due questioni implicano una richiesta di interpretazione dell'art. 9 della direttiva 98/5, destinata a consentire al giudice del rinvio di valutare la compatibilità del procedimento istituito dalla normativa lussemburghese con tale articolo. Pertanto, esse rientrano nella competenza della Corte. 37 L'ordre des avocats du barreau de Luxembourg sostiene inoltre che la decisione di rinvio non contiene indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle modalità di funzionamento degli organi competenti a conoscere del ricorso oggetto della causa principale, il che, a suo avviso, impedisce alla Corte di fornire una risposta utile al giudice del rinvio sulle prime due questioni. 38 A tale proposito, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, l'esigenza di giungere ad un'interpretazione del diritto comunitario che sia utile per il giudice nazionale impone che quest'ultimo definisca l'ambito di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o che esso spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate (v., in particolare, sentenze 21 settembre 1999, causa C-67/96, Albany, Racc. pag. I-5751, punto 39, e 11 aprile 2000, cause riunite C-51/96 e C-191/97, Deliège, Racc. I-2549, punto 30). 39 Le informazioni fornite nelle decisioni di rinvio pregiudiziale devono non solo consentire alla Corte di dare risposte utili, ma altresì dare ai governi degli Stati membri, nonché agli altri interessati, la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell'art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia. Spetta alla Corte vigilare affinché tale possibilità sia salvaguardata, tenuto conto del fatto che, a norma della suddetta disposizione, agli interessati vengono notificate solo le decisioni di rinvio (v. in particolare, sentenze Albany, cit., punto 40, e 12 aprile 2005, causa C-145/03, Keller, Racc. pag. I-2529, punto 30). 40 Nel caso di specie, da un lato, dalle osservazioni presentate dalle parti della causa principale emerge che i governi degli Stati membri e la Commissione delle Comunità europee sono stati in grado di prendere posizione adeguatamente sulle prime due questioni. 41 Dall'altro, la Corte si considera sufficientemente edotta dalle informazioni contenute nella decisione di rinvio e nelle osservazioni che le sono state presentata da potere risolvere efficacemente le questioni che le sono state sottoposte. 42 Da quanto esposto risulta che la Corte deve risolvere le prime due questioni. Nel merito 43 Con le prime due questioni, che occorre trattare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede alla Corte, in sostanza, di interpretare la nozione di ricorso giurisdizionale di diritto interno ai sensi dell'art. 9 della direttiva 98/5 con riferimento ad una procedura di ricorso come quella prevista dalla normativa lussemburghese. 44 In proposito, occorre ricordare che l'art. 9 della direttiva 98/5 stabilisce che le decisioni dell'autorità competente dello Stato membro ospitante che respingono l'iscrizione di un avvocato che desidera esercitarvi le sue attività con il suo titolo professionale d'origine devono essere soggette a ricorso giurisdizionale di diritto interno. 45 Da tale disposizione si evince che gli Stati membri sono tenuti ad adottare provvedimenti sufficientemente efficaci per raggiungere lo scopo della direttiva 98/5 e a garantire che i diritti in tal modo attribuiti possano essere effettivamente fatti valere dagli interessati dinanzi ai giudici nazionali (v., per analogia, sentenza 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston, Racc. pag. 1651, punto 17). 46 Come sottolineato dal governo francese e dalla Commissione, il controllo giurisdizionale imposto dalla detta disposizione è espressione di un principio generale del diritto comunitario che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che è inoltre sancito agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (v., in particolare, sentenze Johnston, cit., punto 18; 15 ottobre 1987, causa 222/86, Heylens e a., Racc. pag. 4097, punto 14; 27 novembre 2001, causa C-424/99, Commissione/Austria, Racc. pag. I-9285, punto 45, e 25 luglio 2002, causa C-459/99, MRAX, Racc. pag. I-6591, punto 101). 47 Ai fini dell'effettiva tutela giurisdizionale dei diritti previsti dalla direttiva 98/5, l'organo chiamato a decidere i ricorsi contro le decisioni di diniego dell'iscrizione di cui all'art. 3 di tale direttiva deve corrispondere alla nozione di giudice come definita dal diritto comunitario. 48 La detta nozione è stata definita, nella giurisprudenza della Corte di giustizia relativa alla nozione di giudice nazionale ai sensi dell'art. 234 CE, enunciando una serie di requisiti che l'organo in questione deve presentare, quali la sua origine legale, il suo carattere permanente, l'obbligatorietà della sua giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento, il fatto che l'organo applichi norme giuridiche (v., in questo senso, tra le altre, sentenze 30 giugno 1966, causa 61/65, Vaassen-Göbbels, Racc. pag. 377, 395, e 17 settembre 1997, causa C-54/96, Dorsch Consult, Racc. pag. I-4961, punto 23) nonché l'indipendenza e l'imparzialità (v., in questo senso, tra le altre, sentenze 11 giugno 1987, causa 14/86, Pretore di Salò/X, Racc. pag. I-2545, punto 7; 21 aprile 1988, causa 338/85, Pardini, Racc. pag. 2041, punto 9, e 29 novembre 2001, causa C-17/00, De Coster, Racc. pag. I-9445, punto 17). 49 La nozione di indipendenza, intrinseca alla funzione giurisdizionale, implica innanzi tutto che l'organo interessato si trovi in posizione di terzietà rispetto all'autorità che ha adottato la decisione oggetto del ricorso (v., in questo senso, in particolare, sentenza 30 marzo 1993, causa C-24/92, Corbiau, Racc. pag. I-1277, punto 15 e 30 maggio 2002, causa C-516/99, Schmid, Racc. pag. I-4573, punto 36). 50 Essa presenta inoltre due aspetti. 51 Il primo aspetto, avente carattere esterno, presuppone che l'organo sia tutelato da pressioni o da interventi dall'esterno idonei a mettere a repentaglio l'indipendenza di giudizio dei suoi membri per quanto riguarda le controversie loro sottoposte (v., in questo senso, sentenze 4 febbraio 1999, causa C-103/97, Köllensperger e Atzwanger, Racc. pag. I-551, punto 21, e 6 luglio 2000, causa C?407/98, Abrahamsson e Anderson, Racc. pag. I-5539, punto 36; v. anche, nello stesso senso, Corte eur. D.U., sentenza Campbell e Fell c. Regno Unito del 28 giugno 1984, serie A n. 80, § 78). Tale indispensabile libertà da siffatti elementi esterni richiede talune garanzie idonee a tutelare la persona che svolge la funzione giurisdizionale, come, ad esempio, l'inamovibilità (v., in questo senso, sentenza 22 ottobre 1998, cause riunite C-9/97 e C-118/97, Jokela e Pitkäranta, Racc. pag. I-6267, punto 20). 52 Il secondo aspetto, avente carattere interno, si ricollega alla nozione di imparzialità e riguarda l'equidistanza dalle parti della controversia e dai loro rispettivi interessi concernenti l'oggetto di quest'ultima. Questo aspetto impone il rispetto dell'obiettività (v., in questo senso, sentenza Abrahamsson e Anderson, cit., punto 32) e l'assenza di qualsivoglia interesse nella soluzione da dare alla controversia all'infuori della stretta applicazione della norma giuridica. 53 Tali garanzie di indipendenza e di imparzialità implicano l'esistenza di disposizioni, relative, in particolare, alla composizione dell'organo e alla nomina, durata delle funzioni, cause di astensione, di ricusazione e di revoca dei suoi membri, che consentano di fugare qualsiasi legittimo dubbio che i singoli possano nutrire in merito all'impermeabilità del detto organo rispetto a elementi esterni ed alla sua neutralità rispetto agli interessi contrapposti (v, al riguardo, citate sentenze Dorsch Consult, punto 36; Köllensperger e Atzwanger, punti 20-23, nonché De Coster, punti 18-21; v. anche, in questo senso, Corte eur. D.U., sentenza De Cubber c. Belgio del 26 ottobre 1984, serie A n. 86, § 24). 54 Nel caso di specie, la composizione del Conseil disciplinaire et administratif, come stabilita dall'art. 24 della legge 10 agosto 1991, è caratterizzata dalla esclusiva presenza di avvocati di nazionalità lussemburghese, iscritti nell'elenco I dell'albo degli avvocati - ossia l'elenco degli avvocati che esercitano con il titolo professionale lussemburghese e che hanno superato l'esame di fine tirocinio - eletti dalle rispettive assemblee generali dell'ordine degli avvocati di Lussemburgo e di quello di Diekirch. 55 Per quanto riguarda il Conseil disciplinaire et administratif d'appel, la modifica apportata all'art. 28, n. 2, della legge 10 agosto 1991 dall'art. 14 della legge 13 novembre 2002 attribuisce peso preponderante ai membri aggiunti, che devono essere iscritti nel medesimo elenco e sono presentati dal consiglio di ciascuno degli ordini di cui al punto precedente di questa sentenza, rispetto ai magistrati di professione. 56 Come rilevato dall'avvocato generale al paragrafo 47 delle conclusioni, le decisioni di diniego dell'iscrizione di un avvocato europeo adottate dal conseil de l'ordre - i cui membri, a norma dell'art. 16 della legge 10 agosto 1991, sono avvocati iscritti nell'elenco I dell'albo degli avvocati - in primo grado sono soggette al controllo di un organo composto esclusivamente di avvocati iscritti nello stesso elenco e, in appello, di un organo prevalentemente composto di tali avvocati. 57 Pertanto, in tali condizioni, un avvocato europeo cui il conseil de l'ordre abbia negato l'iscrizione nell'elenco IV dell'albo degli avvocati ha dei motivi legittimi di temere che, a seconda dei casi, la totalità o la maggior parte dei membri di tali organi abbiano un comune interesse contrario al suo, ossia quello di confermare una decisione che esclude dal mercato un concorrente che ha acquisito la sua qualifica professionale in un altro Stato membro, nonché di paventare il venir meno dell'equidistanza dagli interessi in causa (v., in questo senso, Corte eur. D.U., sentenza Langborger c. Svezia del 22 giugno 1989, serie A, n. 155, § 35). 58 Le disposizioni che disciplinano la composizione di organi come quelle in esame nella causa principale non risultano quindi idonee a fornire un'adeguata garanzia di imparzialità. 59 Contrariamente a quanto afferma l'ordre des avocats du barreau de Luxembourg, i timori suscitati da tali norme in materia di composizione non possono essere fugati dalla possibilità di esperire un ricorso in cassazione, prevista dall'art. 29, n. 1, della legge 10 agosto 1991, avverso le sentenze del Conseil disciplinaire et administratif d'appel. 60 L'art. 9 della direttiva 98/5, infatti, pur non escludendo la previa presentazione di un ricorso dinanzi ad un organo non giurisdizionale, non prevede però che l'interessato possa esperire il rimedio giurisdizionale solo dopo l'eventuale esaurimento di rimedi di altra natura. In ogni caso, quando un ricorso dinanzi ad un organo non giurisdizionale è previsto dalla normativa nazionale, il detto art. 9 richiede un acceso effettivo ed entro un termine ragionevole (v., per analogia, sentenza 15 ottobre 2002, cause riunite C-238/99 P, C-244/99 P, C-C-245/99 P, C-247/99 P, C-250/99 P-C-252/99 P e C-254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I-8375, punti 180-205 e 223-234) ad un giudice ai sensi del diritto comunitario, competente a pronunciarsi sia in fatto che in diritto. 61 Ebbene, a prescindere dalla questione della compatibilità del previo passaggio per due organi non giurisdizionali con il requisito del termine ragionevole, la competenza della Cour de cassation del Granducato di Lussemburgo è limitata alle questioni di diritto, per cui essa non dispone di una piena giurisdizione (v., in questo senso, Corte eur. D.U., sentenza Incal c. Turchia del 9 giugno 1998, Recueil des arrêts e décisions 1998-IV, pag. 1547, § 72). 62 Alla luce di quanto precede, occorre risolvere le prime due questioni dichiarando che l'art. 9 della direttiva 98/5 va interpretato nel senso che osta ad un procedimento di ricorso nel contesto del quale la decisione di diniego dell'iscrizione di cui all'art. 3 della detta direttiva deve essere contestata, in primo grado, dinanzi ad un organo composto esclusivamente di avvocati che esercitano con il titolo professionale dello Stato membro ospitante e, in appello, dinanzi ad un organo composto prevalentemente di siffatti avvocati, quando il ricorso in cassazione dinanzi al giudice supremo di tale Stato membro consente un controllo giurisdizionale solo in diritto e non in fatto. Sulla terza e la quarta questione 63 Con la terza e la quarta questione, che vanno esaminate congiuntamente, il giudice del rinvio vuole appurare se, ed eventualmente a quali condizioni, il diritto comunitario consenta allo Stato membro ospitante di subordinare il diritto di un avvocato ad esercitare stabilmente le sue attività nel detto Stato membro con il suo titolo professionale d'origine ad una verifica della padronanza delle lingue di tale Stato membro. 64 In proposito, come emerge dal sesto 'considerando' della direttiva 98/5, con essa il legislatore comunitario ha inteso, in particolare, porre fine alle disparità tra le norme nazionali relative ai requisiti d'iscrizione presso le autorità competenti, da cui derivavano ineguaglianze ed ostacoli alla libera circolazione (v. anche, in tal senso, sentenza 7 novembre 2000, causa C-168/98, Lussemburgo/Parlamento e Consiglio, Racc. pag. I-9131, punto 64). 65 In tale contesto, l'art. 3 della direttiva 98/5 prevede che l'avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello nel quale ha acquisito la sua qualifica professionale deve iscriversi presso l'autorità competente di detto Stato membro, la quale è tenuta a procedere all'iscrizione "su presentazione del documento attestante l'iscrizione di questi presso la corrispondente autorità competente dello Stato membro di origine". 66 In considerazione dell'obiettivo della direttiva 98/5, richiamato al precedente punto 64, si deve ritenere, come fanno il governo del Regno Unito e la Commissione, che il legislatore comunitario, con l'art. 3 della direttiva medesima, abbia effettuato la completa armonizzazione dei requisiti preliminari richiesti ai fini dell'esercizio del diritto conferito dalla direttiva stessa. 67 La presentazione all'autorità competente dello Stato membro ospitante di un certificato di iscrizione presso l'autorità competente dello Stato membro d'origine risulta, in tal modo, l'unico requisito cui deve essere subordinata l'iscrizione dell'interessato nello Stato membro ospitante, che gli consente di esercitare la sua attività in quest'ultimo Stato membro con il suo titolo professionale d'origine. 68 Tale analisi trova conferma nell'esposizione dei motivi della proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica [COM(94) 572 def.], ove, nel commento all'art. 3, si precisa che "[l]'iscrizione [presso l'autorità competente dello Stato membro ospitante] avviene di diritto qualora il richiedente presenti il documento attestante la propria iscrizione presso l'autorità competente dello Stato membro di origine". 69 Come la Corte ha gia avuto occasione di rilevare, il legislatore comunitario, al fine di facilitare l'esercizio della libertà fondamentale di stabilimento di una determinata categoria di avvocati migranti, ha preferito non optare per un sistema di previo controllo delle conoscenze degli interessati (v. sentenza Lussemburgo/Parlamento e Consiglio, cit., punto 43). 70 La direttiva 98/5, pertanto, non consente che l'iscrizione di un avvocato europeo presso l'autorità competente dello Stato membro ospitante possa essere subordinata ad un colloquio inteso a consentire all'autorità medesima di valutare la padronanza, da parte dell'interessato, delle lingue di tale Stato membro. 71 Come sottolineato dal sig. {Wilson}, dal governo del Regno Unito e dalla Commissione, la rinuncia ad un sistema di previo controllo delle conoscenze, in particolare linguistiche, dell'avvocato europeo coesiste tuttavia, nella direttiva 98/5, con una serie di norme volte a garantire, ad un livello accettabile nella Comunità, la protezione degli assistiti ed una buona amministrazione della giustizia (v. sentenza Lussemburgo/Parlamento e Consiglio, cit., punti 32 e 33). 72 Ad esempio, l'obbligo imposto dall'art. 4 della direttiva 98/5 agli avvocati europei di esercitare nello Stato membro ospitante con il proprio titolo professionale di origine è diretto, secondo il nono 'considerando' della direttiva medesima, a consentire di operare la distinzione tra tali avvocati e quelli integrati nella professione del detto Stato membro, in modo che l'assistito sia informato del fatto che il professionista cui affida la tutela dei propri interessi non ha conseguito la propria qualifica nello Stato membro medesimo (v., in tal senso, sentenza Lussemburgo/Parlamento e Consiglio, cit., punto 34) e non possiede necessariamente adeguate conoscenze linguistiche per la gestione della causa. 73 Quanto alle attività relative alla rappresentanza ed alla difesa di un cliente in giudizio, gli Stati membri possono imporre agli avvocati europei che esercitano con il proprio titolo professionale di origine, a termini dell'art. 5, n. 3, della direttiva 98/5, di agire di concerto con un avvocato che eserciti dinanzi alla giurisdizione adita e il quale resta, eventualmente, responsabile nei confronti di tale giurisdizione, oppure con un "avoué" patrocinante dinanzi ad essa. Tale facoltà consente di ovviare ad eventuali carenze dell'avvocato europeo quanto alla padronanza delle lingue giudiziarie dello Stato membro ospitante. 74 Ai sensi degli artt. 6 e 7 della direttiva 98/5, l'avvocato europeo non è tenuto solo al rispetto delle regole professionali e deontologiche dello Stato membro di origine, ma anche di quelle dello Stato membro ospitante, a pena di incorrere in sanzioni disciplinari e nella propria responsabilità professionale (v. sentenza Lussemburgo/Parlamento e Consiglio, cit., punti 36-41). Tra le regole deontologiche applicabili agli avvocati ricorre generalmente, come previsto dal codice di deontologia adottato dal Consiglio degli ordini forensi europei (CCBE), l'obbligo per i professionisti interessati, corredato di sanzioni disciplinari, di non assumere incarichi in merito ai quali essi siano, o dovrebbero essere, consapevoli della loro incompetenza, ad esempio per una carenza nelle conoscenze linguistiche (v., in tal senso, sentenza Lussemburgo/Parlamento e Consiglio, cit., punto 42). La comunicazione con la clientela, con le autorità amministrative e con le associazioni professionali dello Stato membro ospitante, al pari del rispetto delle regole deontologiche emanate dalle autorità del detto Stato membro, infatti, è tale da richiedere all'avvocato europeo adeguate conoscenze linguistiche ovvero il ricorso ad un'assistenza in caso di conoscenze insufficienti. 75 Come osservato dalla Commissione, si deve ancora sottolineare che uno degli obiettivi della direttiva 98/5, a termini del suo quinto 'considerando', consiste nel rispondere "dando agli avvocati la possibilità di esercitare stabilmente con il loro titolo professionale d'origine in uno Stato membro ospitante, [-] alle esigenze degli utenti del diritto, che a motivo del flusso crescente delle attività commerciali, dovuto particolarmente alla creazione del mercato interno, chiedono consulenze in occasione di operazioni transfrontaliere nelle quali si trovano spesso strettamente connessi il diritto internazionale, il diritto comunitario e i diritti nazionali". Siffatte questioni internazionali, al pari delle cause disciplinate dal diritto di uno Stato membro diverso dallo Stato membro ospitante, possono non richiedere un grado di conoscenza delle lingue di quest'ultimo Stato membro tanto elevato quanto quello richiesto per la gestione di cause in cui sia applicabile il diritto del detto Stato membro. 76 Si deve osservare, infine, che l'assimilazione dell'avvocato europeo all'avvocato dello Stato membro ospitante, che la direttiva 98/5 intende facilitare, a termini del suo quattordicesimo 'considerando', richiede, ai sensi dell'art. 10 della direttiva medesima, che l'interessato dimostri un'attività effettiva e regolare per un periodo di almeno tre anni attinente al diritto di tale Stato membro ovvero, nell'ipotesi di durata inferiore, ogni altra conoscenza, attività formativa o esperienza professionale relativa al detto diritto. Una siffatta misura consente all'avvocato europeo che intenda integrarsi nella professione dello Stato membro ospitante di acquisire familiarità con la lingua ovvero le lingue di tale Stato membro. 77 Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre risolvere la terza e la quarta questione dichiarando che l'art. 3 della direttiva 98/5 deve essere interpretato nel senso che l'iscrizione di un avvocato presso l'autorità competente di uno Stato membro diverso da quello in cui egli ha acquisito la sua qualifica, ai fini dell'esercizio, in tale Stato, della sua attività con il titolo professionale d'origine, non può essere subordinata ad un previo controllo della padronanza delle lingue dello Stato membro ospitante. Sulle spese 78 Nei confronti delle parti nella causa principale, il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Inizio documento P.Q.M. Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: 1) L'art. 9 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CE, volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, va interpretato nel senso che osta ad un procedimento di ricorso nel contesto del quale la decisione di diniego dell'iscrizione di cui all'art. 3 della detta direttiva deve essere contestata, in primo grado, dinanzi ad un organo composto esclusivamente di avvocati che esercitano con il titolo professionale dello Stato membro ospitante e, in appello, dinanzi ad un organo composto prevalentemente di siffatti avvocati, quando il ricorso in cassazione dinanzi al giudice supremo di tale Stato membro consente un controllo giurisdizionale solo in diritto e non in fatto. 2) L'art. 3 della direttiva 98/5 deve essere interpretato nel senso che l'iscrizione di un avvocato presso l'autorità competente di uno Stato membro diverso da quello in cui egli ha acquisito la sua qualifica ai fini dell'esercizio, in tale Stato, della sua attività con il titolo professionale d'origine, non può essere subordinata ad un previo controllo della padronanza delle lingue dello Stato membro ospitante. Riporto altresì questa sentenza molto significativa CORTE DELLE COMUNITA' EUROPEE SENTENZA DELLA CORTE 7 novembre 2000 (1) «Ricorso di annullamento - Libertà di stabilimento - Riconoscimento reciproco dei diplomi - Armonizzazione - Obbligo di motivazione - Direttiva 98/5/CE - Esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica» Nella causa C-168/98, Granducato di Lussemburgo, rappresentato inizialmente dal signor N. Schmit, direttore delle relazioni economiche internazionali e della cooperazione presso il ministero degli Affari esteri, quindi dal signor P. Steinmetz, direttore dell'ufficio affari giuridici e culturali presso il medesimo ministero, in qualità di agenti, assistiti dall'avv.J. Welter, del foro di Lussemburgo, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo, 100, boulevard de la Pétrusse, ricorrente, contro Parlamento europeo , rappresentato inizialmente dai signori C. Pennera, capodivisione presso il servizio giuridico, e A. Baas, amministratore presso il medesimo servizio, quindi dai signori C. Pennera e J. Sant'Anna, amministratore principale presso il servizio giuridico, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il segretariato generale del Parlamento europeo, Kirchberg, e Consiglio dell'Unione europea, rappresentato dalla signora M.C. Giorgi, consigliere giuridico, e dal signor F. Anton, membro del servizio giuridico, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor A. Morbilli, direttore generale della direzione «Affari giuridici» della Banca europea per gli investimenti, 100, boulevard Konrad Adenauer, convenuti, sostenuti da Regno di Spagna, rappresentato dalla signora M. López-Monís Gallego, abogado del Estado, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo presso la sede dell'ambasciata di Spagna, 4-6, boulevard E. Servais, da Regno dei Paesi Bassi, rappresentato dal signor M.A. Fierstra, capo del servizio di diritto europeo presso il Ministero degli Affari esteri, in qualità di agente, Bezuidenhoutseweg, 67, La Haye, da Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato dal signor J.E. Collins, Assistant Treasury Solicitor, in qualità di agente, assistito dal signor D. Anderson, barrister, con domicilio eletto in Lussemburgo presso la sede dell'ambasciata del Regno Unito, 14, boulevard Roosevelt, e da Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai signori A. Caeiro, consigliere giuridico principale, e B. Mongin, membro del servizio giuridico, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor C. Gómez de la Cruz, membro del medesimo servizio, Centre Wagner, Kirchberg, intervenienti, avente ad oggetto la domanda d'annullamento della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CE, volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica (GU L 77, pag. 36), LA CORTE, composta dai signori G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, C. Gulmann (relatore), A. La Pergola, M. Wathelet e V. Skouris, presidenti di sezione, D.A.O. Edward, J.-P. Puissochet, P. Jann, L. Sevón, R. Schintgen e dalla signora F. Macken, giudici, avvocato generale: D. Ruiz-Jarabo Colomer, cancelliere: H. von Holstein, cancelliere aggiunto, vista la relazione d'udienza, sentite le difese orali svolte dalle parti all'udienza del 25 gennaio 2000, nel corso della quale il Granducato di Lussemburgo è stato rappresentato dal signor P. Steinmetz, assistito dall'avv. J. Welter, il Parlamento dal signor C. Pennera, il Consiglio dal signor F. Anton, il Regno di Spagna dalla signora M. López-Monís Gallego, il Regno dei Paesi Bassi dalla signora J. van Bakel, consigliere giuridico aggiunto presso il Ministero degli Affari esteri, in qualità di agente, il Regno Unito dal signor J.E. Collins, assistito dal signor M. Hoskins, barrister, e la Commissione dal signor B. Mongin, sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 24 febbraio 2000, ha pronunciato la seguente Sentenza 1. Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 4 maggio 1998, il Granducato di Lussemburgo ha proposto un ricorso, ai sensi dell'art. 173, primo comma, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 230, primo comma, CE), diretto all'annullamento della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CE, volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica (GU L 77, pag. 36). 2. Con ordinanze del presidente della Corte 16 settembre, 19 ottobre, 11 novembre e 9 dicembre 1998, il Regno di Spagna, la Commissione delle Comunità europee, il Regno dei Paesi Bassi e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sono statiammessi a intervenire a sostegno delle conclusioni del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione europea. La direttiva 98/5 3. La direttiva 98/5 è stata adottata in base alla procedura di cui all'art. 189 B del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 251 CE), sul fondamento dell'art. 49 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 40 CE), in quanto essa contiene disposizioni relative all'esercizio della professione di avvocato come lavoratore subordinato, e dell'art. 57, nn. 1 e 2, prima e terza frase, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 47, nn. 1 e 2, prima e terza frase, CE), in quanto essa disciplina l'esercizio della professione di avvocato come libero professionista. 4. L'art. 2, primo comma, della detta direttiva stabilisce che gli avvocati hanno il diritto di esercitare stabilmente le attività di avvocato precisate all'articolo 5 in tutti gli altri Stati membri con il proprio titolo professionale di origine. 5. L'art. 5, n. 1, dello stesso testo dispone che l'avvocato che esercita con il proprio titolo professionale di origine svolge le stesse attività professionali dell'avvocato che esercita con il corrispondente titolo professionale dello Stato membro ospitante, e può, in particolare, offrire consulenza legale sul diritto del proprio Stato membro d'origine, sul diritto comunitario, sul diritto internazionale e sul diritto dello Stato membro ospitante. 6. L'art. 5, n. 2, riconosce tuttavia agli Stati membri che autorizzano una determinata categoria di avvocati a redigere sul loro territorio atti che conferiscono il potere di amministrare i beni dei defunti o riguardanti la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, che in altri Stati membri sono riservati a professioni diverse da quella dell'avvocato, il potere di escludere da queste attività l'avvocato che esercita con un titolo professionale di origine rilasciato in uno di questi ultimi Stati membri. L'art. 5, n. 3, aggiunge che, per l'esercizio delle attività relative alla rappresentanza ed alla difesa di un cliente in giudizio e se e in quanto il proprio diritto riservi tali attività agli avvocati che esercitano con un titolo professionale dello Stato membro ospitante, quest'ultimo può imporre agli avvocati che ivi esercitano con il proprio titolo professionale di origine di agire di concerto con un avvocato che eserciti dinanzi alla giurisdizione adita e il quale resta, eventualmente, responsabile nei confronti di tale giurisdizione, oppure con un «avoué» patrocinante dinanzi ad essa. Esso, per altro, al fine di assicurare il buon funzionamento della giustizia, consente agli Stati membri di stabilire norme specifiche di accesso alle Corti supreme, quali il ricorso ad avvocati specializzati. 7. Gli artt. 3, 4, 6 e 7 dettano norme relative, rispettivamente: -all'iscrizione, presso l'autorità competente, dell'avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello nel quale ha acquisito la sua qualifica professionale; -alla formulazione del titolo professionale utilizzato dall'avvocato che esercita con il proprio titolo professionale di origine; -alle regole professionali e deontologiche applicabili; -ai procedimenti disciplinari. 8. L'art. 10, n. 1, stabilisce che l'avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine e che abbia comprovato l'esercizio per almeno tre anni di un'attività effettiva e regolare nello Stato membro ospitante, e riguardante il diritto di tale Stato, ivi compreso il diritto comunitario, può accedere alla professione di avvocato dello Stato membro ospitante senza che debbano essere soddisfatti i requisiti del tirocinio d'adattamento per un periodo massimo di tre anni o della prova attitudinale previsti dall'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni (GU 1989, L 19, pag. 16). 9. L'art. 10, n. 3, della direttiva 98/5 prevede che l'avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine, che dimostri un'attività effettiva e regolare per un periodo di almeno tre anni nello Stato membro ospitante, ma di durata inferiore relativamente al diritto di tale Stato membro, può ugualmente ottenere dall'autorità competente di detto Stato membro, previa presa in considerazione di determinati elementi integrativi da parte di quest'ultima, l'accesso alla professione di avvocato dello Stato membro ospitante e il diritto di esercitarla con il titolo professionale corrispondente a tale professione in detto Stato membro, senza dover rispettare le condizioni relative ad un tirocinio di adattamento o ad una prova attitudinale di cui all'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva 89/48. 10. L'art. 10, n. 2, riserva ad un avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine in uno Stato membro ospitante la facoltà di chiedere in qualsiasi momento il riconoscimento del proprio diploma a norma della direttiva 89/48, allo scopo di accedere alla professione di avvocato dello Stato membro ospitante e di esercitarla con il titolo professionale corrispondente a tale professione in detto Stato membro. 11. Gli artt. 11 e 12 disciplinano l'esercizio in comune della professione di avvocato. 12. Ove l'esercizio in comune della professione sia consentito agli avvocati che esercitano l'attività col titolo professionale corrispondente nello Stato membro ospitante, l'art. 11 consente, a determinate condizioni, agli avvocati che esercitano l'attività nel detto Stato con il proprio titolo professionale di origine: -di praticare la loro attività professionale nell'ambito di una succursale o di un'agenzia dello studio collettivo di cui essi sono membri nello Stato membro di origine; -di accedere ad una forma d'esercizio in comune della professione quando essi provengono dallo stesso studio collettivo o dallo stesso Stato membro d'origine; -di esercitare in comune con altri avvocati provenienti da Stati membri diversi che esercitano parimenti con il loro titolo professionale di origine e/o con avvocati dello Stato membro ospitante. 13. L'art. 12 stabilisce che gli avvocati che esercitano in comune possono menzionare la denominazione dello studio collettivo di cui fanno parte nello Stato membro di origine e che lo Stato membro ospitante può esigere che, oltre alla detta denominazione, siano indicati anche la forma giuridica dello studio collettivo nello Stato membro di origine e/o i nomi dei membri dello studio collettivo che esercitano nello Stato membro ospitante. Nel merito 14. Il Granducato di Lussemburgo deduce tre motivi d'annullamento relativi, rispettivamente, ad una violazione dell'art. 52, secondo comma, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 43, secondo comma, CE), ad una violazione dell'art. 57, n. 2, seconda frase, del Trattato e ad una violazione dell'art. 190 del Trattato CE (divenuto art. 253 CE). 15. A sostegno dei detti motivi, esso chiama in causa gli artt. 2, 5 e 11 della direttiva 98/5, relativi, rispettivamente, al diritto dell'avvocato migrante di esercitare con il proprio titolo professionale d'origine, al campo di attività del detto avvocato e all'esercizio in comune della professione. Sulla violazione dell'art. 52, secondo comma, del Trattato 16. Il motivo fondato sull'art. 52, secondo comma, del Trattato si suddivide in due parti, la prima concernente l'introduzione di una disparità di trattamento tra cittadini nazionali e migranti e la seconda una lesione dell'interesse generale relativamente, da un lato, alla protezione dei consumatori e, dall'altro, ad una buona amministrazione della giustizia. Sulla prima parte 17. Il Granducato di Lussemburgo sostiene che l'art. 52, secondo comma, del Trattato introdurrebbe un principio di assimilazione del lavoratore autonomo migrante al suo omologo nazionale. La regola del trattamento nazionale implicherebbe che l'uguaglianza, o la non discriminazione, dovrebbe commisurarsi alla legislazione dello Stato membro ospitante e non a quella dello Stato membro di provenienza o d'origine del lavoratore autonomo migrante, e che il diritto di stabilimento non potrebbe essere concesso in violazione dei principi imperativi che disciplinano le professioni autonome e che sono comuni ai diritti dei diversi Stati membri. 18. Secondo il ricorrente, se un'armonizzazione può giustificare la dispensa da ogni controllo delle conoscenze di diritto internazionale, di diritto comunitario e di quelle relative al diritto dello Stato membro d'origine, non si potrebbe concepire una dispensa relativamente al diritto nazionale dello Stato membro ospitante. Infatti, le conoscenze da acquisire nel campo del diritto nazionale dei diversi Stati membri non sarebbero identiche e nemmeno sostanzialmente simili, diversamente dalle conoscenze oggetto di dispensa nell'ambito di altre formazioni; del resto, la specificità delle nozioni di diritto nazionale sarebbe stata riconosciuta dalla direttiva 89/48. 19. Il Granducato di Lussemburgo ricorda che l'art. 52 del Trattato costituirebbe un'espressione particolare del principio generale della parità di trattamento. 20. Orbene, sopprimendo qualsiasi obbligo di formazione preliminare relativamente al diritto dello Stato membro ospitante e consentendo che gli avvocati migranti esercitino nell'ambito del relativo ordinamento giuridico, la direttiva 98/5 introdurrebbe una disparità di trattamento tra avvocati nazionali e migranti ingiustificata in relazione alla detta disposizione del Trattato, che non autorizzerebbe il legislatore comunitario ad eliminare, nell'ambito di una direttiva che non introduce l'armonizzazione delle condizioni di formazione, un requisito di qualificazione preliminare. 21. La ricorrente aggiunge che la direttiva 98/5 negherebbe al tempo stesso la differenza essenziale che esisterebbe, e dovrebbe sussistere, tra stabilimento e prestazione di servizi, in quanto la direttiva del Consiglio 22 marzo 1977, 77/249/CEE, intesa a facilitare l'esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati (GU L 78, pag. 17), consentirebbe già essa stessa all'avvocato di esercitare la professione nell'ambito dell'ordinamento giuridico dello Stato membro ospitante senza dover dimostrare la conoscenza delle norme di tale ordinamento. 22. Il Parlamento e il Consiglio, sostenuti dalle parti intervenienti, contestano l'esistenza di una discriminazione alla rovescia. A loro avviso, gli avvocati che esercitano con il loro titolo professionale di origine e gli avvocati che esercitano con il titolo professionale dello Stato membro ospitante si troverebbero in due situazioni diverse, poiché i primi si troverebbe soggetti a molteplici restrizioni in relazione alle condizioni di esercizio della loro attività. In ogni caso, la fissazione di limiti al processo di liberalizzazione dell'accesso alle attività autonome non farebbe parte delle funzioni dell'art. 52 del Trattato. 23. A questo proposito, si deve notare che il divieto di discriminazione enunciato dalla detta norma è solo un'espressione specifica del principio generale di uguaglianza che, facendo parte dei principi fondamentali del diritto comunitario, deve essere rispettato dal legislatore comunitario e che impone di non trattare in modo diverso situazioni analoghe, salvo che una differenza di trattamento sia obiettivamente giustificata (v., in questo senso, sentenze 5 ottobre 1994, causa C-280/93, Germania/Consiglio, Racc. pag. I-4973, punto 67, e 15 aprile 1997, causa C-27/95, Bakers of Nailsea, Racc. pag. I-1847, punto 17). 24. Nella fattispecie, è giocoforza constatare che il legislatore comunitario non ha violato il detto principio, giacché le posizioni, da un lato, dell'avvocato migrante che esercita con il suo titolo professionale d'origine e, dall'altro, dell'avvocato che esercita con il titolo professionale dello Stato membro ospitante non sono paragonabili. 25. Infatti, a differenza del secondo, che può dedicarsi a tutte le attività con libertà di accesso o riservate dallo Stato membro ospitante all'avvocatura, al primo possono essere interdette talune attività e, nell'ambito della rappresentanza e della difesa di un cliente in giudizio, gli possono essere imposti taluni obblighi. 26. Così, l'art. 5, n. 2, della direttiva 98/5 consente allo Stato membro ospitante, a determinate condizioni, di escludere dal campo di attività dell'avvocato migrante che esercita con il titolo professionale di origine la redazione degli atti che conferiscono il potere di amministrare i beni dei defunti o riguardanti la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari. 27. Ancora, l'art. 5, n. 3, primo comma, consente allo Stato membro ospitante, a determinate condizioni, di imporre agli avvocati che esercitano con il proprio titolo professionale di origine di agire di concerto con un avvocato che eserciti con il titolo professionale del detto Stato dinanzi alla giurisdizione adita, oppure con un «avoué» patrocinante dinanzi ad essa. Il secondo comma dello stesso articolo autorizza gli Stati membri a stabilire norme specifiche di accesso alle Corti supreme, quali il ricorso ad avvocati specializzati. 28. Si deve sottolineare, inoltre, che, ai sensi dell'art. 4, n. 1, della direttiva 98/5, l'avvocato che esercita in uno Stato membro con il proprio titolo professionale di origine è tenuto ad esercitare facendo uso di questo titolo, che «deve essere indicato (...) in modo comprensibile e tale da evitare confusioni con il titolo professionale dello Stato membro ospitante». 29. Pertanto, è infondata la censura relativa all'esistenza di una discriminazione a danno dell'avvocato che esercita con il titolo professionale dello Stato membro ospitante. Conseguentemente, la prima parte del primo motivo deve essere respinta. Sulla seconda parte 30. Il Granducato di Lussemburgo afferma di contestare la validità della direttiva 98/5 nell'interesse dei consumatori e della buona amministrazione della giustizia. Esso sottolinea che, secondo la giurisprudenza della Corte, l'applicazione di norme professionali agli avvocati, in particolare le norme in tema di organizzazione, di qualificazione, di deontologia, di controllo e di responsabilità, fornisce la necessaria garanzia di integrità e di esperienza ai destinatari finali [dei servizi legali] e alla buona amministrazione della giustizia (sentenza 12 dicembre 1996, causa C-3/95, Reisebüro Broede, Racc. pag. I-6511, punto 38). Orbene, sopprimendo qualsiasi obbligo di formazione relativo al diritto dello Stato membro ospitante, la direttiva 98/5 lederebbe l'interesse generale, in particolare quello della protezione dei consumatori, perseguitodai diversi Stati membri tramite il requisito dell'acquisizione di una qualifica definita per via legislativa per poter accedere alla professione di avvocato ed esercitare la medesima. A questo proposito, ammettere la possibilità di acquisire la formazione attraverso la pratica implicherebbe necessariamente che la pratica preceda la formazione. Inoltre, sostenere che l'avvocato che esercita con il proprio titolo professionale di origine non farebbe ricorso al diritto dello Stato membro ospitante che egli non conosce equivarrebbe a disconoscere le esigenze imperative che escludono l'assunzione di un simile rischio; la rilevanza quantitativa di quest'ultimo non dovrebbe avere alcuna incidenza sulla valutazione della sua inaccettabilità. 31. Il Parlamento e il Consiglio, sostenuti dagli intervenienti, sostengono che la direttiva 98/5 avrebbe preso in considerazione ragioni imperative d'interesse generale, in particolare quella della protezione dei consumatori, agli artt. 4, 5, 6 e 7. Il Parlamento e il Regno Unito sottolineano che, in virtù delle regole di deontologia, gli avvocati sarebbero comunque tenuti a non occuparsi di cause in merito alle quali essi siano, o dovrebbero essere, consapevoli della loro incompetenza e che ogni violazione della detta regola costituirebbe un illecito disciplinare. 32. Si deve rilevare che, in mancanza di un intervento comunitario, gli Stati membri possono, a determinate condizioni, imporre provvedimenti nazionali che perseguano un obiettivo legittimo compatibile con il Trattato e giustificato da ragioni imperative di interesse generale, ivi compresa la tutela dei consumatori. In determinate circostanze, essi possono, quindi, adottare o mantenere in vigore misure che ostacolano la libera circolazione. Sono in particolare ostacoli di questo tipo che l'art. 57, n. 2, del Trattato consente alla Comunità di eliminare, al fine di facilitare l'accesso alle attività autonome e all'esercizio delle medesime. Nell'adottare tali misure, il legislatore comunitario tiene conto dell'interesse generale perseguito dai diversi Stati membri e dispone un livello di protezione di questo interesse che risulti accettabile nella Comunità (v., in questo senso, sentenza 13 maggio 1997, causa C-233/94, Germania/Parlamento e Consiglio, Racc. pag. I-2405, punti 16 e 17). Ai fini della determinazione del livello di protezione accettabile, il legislatore comunitario dispone di un ampio potere discrezionale. 33. Nella fattispecie, si deve osservare che diverse disposizioni della direttiva 98/5 enunciano norme volte alla protezione dei consumatori e a una buona amministrazione della giustizia. 34. Così, l'art. 4 stabilisce che l'avvocato migrante che esercita con il proprio titolo professionale di origine è tenuto ad esercitare facendo uso di questo titolo, cosicché il consumatore è informato del fatto che il professionista cui affida la difesa dei propri interessi non ha ottenuto la qualifica nello Stato membro ospitante e che la formazione iniziale di questo potrebbe non comprendere il diritto nazionale del detto Stato. 35. Come già illustrato, l'art. 5, nn. 2 e 3, consente allo Stato membro ospitante, a certe condizioni, di vietare l'esercizio di determinate attività all'avvocato migrante e,nell'ambito della rappresentanza e della difesa di un cliente in giudizio, di imporgli determinati obblighi. 36. L'art. 6, n. 1, stabilisce che l'avvocato che esercita con il proprio titolo professionale d'origine è soggetto non solo alle regole professionali e deontologiche del proprio Stato membro di origine, ma anche alle stesse regole professionali e deontologiche cui sono soggetti gli avvocati che esercitano col corrispondente titolo professionale dello Stato membro ospitante per tutte le attività che esercita sul territorio di detto Stato. 37. L'art. 6, n. 3, autorizza lo Stato membro ospitante ad imporre all'avvocato che esercita con il proprio titolo professionale di origine l'obbligo di sottoscrivere un'assicurazione per la responsabilità professionale o l'obbligo di affiliarsi ad un fondo di garanzia professionale, secondo la normativa vigente nel suo territorio, a meno che l'avvocato interessato sia già coperto da una garanzia di tale natura secondo la normativa dello Stato membro di origine, e salva la possibilità di esigere, qualora l'equivalenza sia solo parziale, la sottoscrizione di un'assicurazione o di una garanzia complementare. 38. Ai sensi dell'art. 7, n. 1, se l'avvocato che esercita con il proprio titolo professionale di origine non ottempera agli obblighi vigenti nello Stato membro ospitante, si applicano le regole in materia di procedimenti disciplinari, le relative sanzioni e i mezzi di ricorso previsti nel detto Stato. 39. L'art. 7, nn. 2 e 3, fissa, in materia disciplinare, obblighi di reciproca informazione e cooperazione tra l'autorità competente dello Stato membro di origine e quella dello Stato membro ospitante. 40. L'art. 7. n. 4, aggiunge che l'autorità competente dello Stato membro di origine decide, secondo le proprie norme sostanziali e procedurali, quali conseguenze debbano trarsi dalla decisione presa in materia disciplinare dall'autorità competente dello Stato membro ospitante nei confronti dell'avvocato che ivi esercita con il proprio titolo professionale d'origine. 41. Infine, l'art. 7, n. 5, dispone che la revoca temporanea o definitiva dell'abilitazione all'esercizio della professione disposta dall'autorità competente dello Stato membro di origine comporta automaticamente, per l'avvocato che ne è oggetto, il divieto temporaneo o definitivo di esercitare con il proprio titolo professionale di origine nello Stato membro ospitante. 42. Del resto, si deve osservare che effettivamente le regole deontologiche applicabili agli avvocati comportano generalmente, come previsto dall'art. 3.1.3 del codice di deontologia adottato dal Consiglio degli ordini forensi europei (CCBE), l'obbligo per i professionisti interessati, corredato di sanzioni disciplinari, di non assumere incarichi in merito ai quali essi siano, o dovrebbero essere, consapevoli della loro incompetenza, ferma restando la possibilità di attivare le pertinenti norme in materia di responsabilità. 43. Pertanto, risulta che il legislatore comunitario, al fine di facilitare l'esercizio della libertà fondamentale di stabilimento di una determinata categoria di avvocati migranti, ha preferito, ad un sistema di controllo a priori di una qualifica nel diritto nazionale dello Stato membro ospitante, una formula che comprenda un'informazione per il consumatore, alcuni limiti alla portata o alle modalità di esercizio di determinate attività della professione, il cumulo delle norme professionali e deontologiche da osservare, l'assicurazione obbligatoria, nonché un regime disciplinare che associa le autorità competenti dello Stato membro di origine e dello Stato membro ospitante. Lo stesso legislatore non ha soppresso l'obbligo di conoscenza del diritto nazionale applicabile nelle pratiche trattate dall'avvocato interessato, ma ha semplicemente dispensato quest'ultimo dalla dimostrazione preventiva del possesso di tale conoscenza. Pertanto, ha ammesso l'eventuale assimilazione progressiva delle conoscenze mediante la pratica, assimilazione facilitata dall'esperienza acquisita in altri ambiti giuridici nello Stato membro di origine. Ha altresì potuto prendere in considerazione l'effetto dissuasivo del regime disciplinare e di quello della responsabilità professionale. 44. Operando una simile scelta delle modalità e del livello di protezione dei consumatori e di garanzia di una buona amministrazione della giustizia, il legislatore comunitario ha rispettato i limiti del suo potere discrezionale. 45. Conseguentemente, la seconda parte del primo motivo deve essere parimenti respinta. Sulla violazione dell'art. 57, n. 2, seconda frase, del Trattato 46. Nell'ambito del secondo motivo, il Granducato di Lussemburgo sostiene che la direttiva 98/5 non avrebbe dovuto essere adottata a maggioranza qualificata in base alla procedura di cui all'art. 189 B del Trattato, bensì all'unanimità, in conformità dell'art. 57, n. 2, seconda frase, del Trattato. 47. Esso ricorda che, ai sensi dell'art. 57, n. 2, del Trattato: «In ordine alle stesse finalità [agevolare l'accesso alle attività non salariate e l'esercizio di queste], il Consiglio stabilisce (...) le direttive intese al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative all'accesso alle attività non salariate e all'esercizio di queste. Il Consiglio delibera all'unanimità, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, per quelle direttive la cui esecuzione, in uno Stato membro almeno, comporti una modifica dei vigenti principi legislativi del regime delle professioni, per quanto riguarda la formazione e le condizioni di accesso delle persone fisiche. Negli altri casi il Consiglio delibera in conformità della procedura di cui all'articolo 189 B». 48. A suo avviso, in diversi Stati membri la direttiva 98/5 modificherebbe, con i suoi artt. 2, 5 e 11, proprio alcuni principi fondamentali esistenti in materia di formazione e accesso delle persone fisiche alla professione di avvocato. 49. Per quanto riguarda la formazione, la modifica sarebbe palese, giacché non sarebbero più richieste né una formazione preliminare avente ad oggetto il diritto dello Stato membro ospitante né un riconoscimento dell'equivalenza in seguito ad una prova attitudinale. 50. Quanto all'accesso alla professione, anche in questo caso i principi che lo disciplinano sarebbero modificati dalla direttiva 98/5, in quanto questa: -agli artt. 2 e 5 autorizzerebbe il pieno esercizio della professione di avvocato con il titolo professionale di origine, il che prima sarebbe stato impossibile nella maggior parte degli Stati membri, ed eliminerebbe l'obbligo per gli avvocati migranti di conoscere il diritto dello Stato membro ospitante; -all'art. 11 liberalizzerebbe l'esercizio in comune della professione di avvocato anche negli Stati membri che non autorizzavano tale forma di esercizio e tale modalità di accesso. 51. Il ricorrente sottolinea in particolar modo che la direttiva 98/5 eliderebbe il principio legislativo del controllo della conoscenza del diritto lussemburghese da parte di chi si candida alla professione di avvocato, a danno della protezione dei consumatori. 52. Il Parlamento e il Consiglio affermano che l'art. 57, n. 2, seconda frase, del Trattato dovrebbe essere interpretato in maniera restrittiva, poiché si tratterebbe di una disposizione eccezionale, di deroga alla procedura ordinaria. A loro avviso, nella fattispecie le condizioni per l'applicazione della citata disposizione non sarebbero soddisfatte. Il Parlamento, sostenuto dal Regno di Spagna, sottolinea che la direttiva 98/5 fisserebbe il principio del mutuo riconoscimento dei titoli professionali acquisiti secondo le modalità previste da ciascuno Stato membro, al fine di garantire il diritto di stabilimento degli avvocati, sulla base di uno dei detti titoli, su tutto il territorio comunitario. Se ne deduce che, in tal senso, l'atto impugnato perterrebbe all'art. 57, n. 1, del Trattato. La Commissione, dal canto suo, sostiene che la direttiva 98/5 introdurrebbe un meccanismo di mutuo riconoscimento delle autorizzazioni all'esercizio della professione che, in quanto tale, perterrebbe all'art. 57, nn. 1 e 2, prima e terza frase, del Trattato. 53. Per quanto riguarda l'esercizio in comune della professione di avvocato, il Consiglio, il Regno dei Paesi Bassi e la Commissione affermano che esso in ogni caso perterrebbe alle modalità di esercizio della professione e non ai principi legislativi relativi all'accesso alla medesima. 54. Si deve ricordare che l'art. 57, n. 1, del Trattato recita: «Al fine di agevolare l'accesso alle attività non salariate e l'esercizio di queste, il Consiglio, deliberando in conformità della procedura di cui all'articolo 189 B, stabilisce direttive intese al reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli». 55. Si deve osservare, poi, che la direttiva 98/5, che è volta effettivamente a facilitare, in particolare, l'esercizio della professione di avvocato come libero professionista, agli artt. 2 e 5, fatte salve talune eccezioni, sancisce il diritto di ogni avvocato di esercitare stabilmente, in tutti gli altri Stati membri e con il proprio titolo professionale di origine, le stesse attività professionali dell'avvocato che esercita con il corrispondente titolo professionale dello Stato membro ospitante, compresa la consulenza legale sul diritto di quest'ultimo. 56. La direttiva istituisce altresì un meccanismo di mutuo riconoscimento dei titoli professionali degli avvocati migranti che desiderino esercitare con il loro titolo professionale di origine. Tale meccanismo completa quello introdotto dalla direttiva 89/48 che, per quanto riguarda gli avvocati, mira a consentire l'esercizio illimitato della professione con il titolo professionale dello Stato membro ospitante. 57. Contrariamente a quanto affermato dal Granducato di Lussemburgo, gli artt. 2 e 5 della direttiva 98/5 appartengono quindi all'ambito di applicazione dell'art. 57, n. 1, del Trattato, e non del n. 2, seconda frase, dello stesso articolo. 58. Conseguentemente, l'argomento relativo a una modifica dei principi legislativi esistenti nella disciplina delle professioni ai sensi dell'art. 57, n. 2, seconda frase, del Trattato, modifica che avrebbe richiesto l'adozione all'unanimità della direttiva 98/5, non è pertinente per quanto riguarda gli artt. 2 e 5 di quest'ultima. 59. Quanto all'art. 11 della direttiva 98/5, relativo all'esercizio in comune della professione di avvocato, è sufficiente constatare che esso non disciplina una condizione di accesso alla professione di avvocato, ma una modalità d'esercizio della stessa. Inoltre, come sottolineano il Parlamento, il Consiglio, il Regno di Spagna e la Commissione, la detta disposizione non impone allo Stato membro ospitante di ammettere tale modalità se esso non consente l'esercizio in comune della professione per gli avvocati che esercitano con il titolo professionale appropriato. Conseguentemente, le norme relative all'esercizio in comune della professione sono state legittimamente adottate sul fondamento dell'art. 57, n. 2, prima e terza frase, del Trattato. 60. Da quanto sopra esposto risulta che il secondo motivo deve essere respinto. Sulla violazione dell'art. 190 del Trattato 61. Il Granducato di Lussemburgo sostiene che la direttiva 98/5 violerebbe l'obbligo di motivazione di cui all'art. 190 del Trattato, in quanto essa non conterrebbe alcuna fondata giustificazione della rinuncia a qualsiasi requisito di formazione preliminare avente ad oggetto il diritto dello Stato membro ospitante, né conterrebbe maggiori chiarimenti circa la necessità di accordare, da un parte, un accesso immediato alla professione con piena competenza sin dal primo giorno, anche nell'ambito del diritto nazionale, all'avvocato che eserciti con il titolo professionale di origine e, dall'altra, un esercizio successivo illimitato con il detto titolo. Secondo il ricorrente, infine, lemotivazioni del terzo, quarto e quattordicesimo 'considerando' sarebbero parzialmente contraddittorie. Le affermazioni dei detti 'considerando, che fanno riferimento all'obiettivo dell'ottenimento da parte dell'avvocato migrante del titolo professionale dello Stato membro ospitante al termine di un determinato periodo, sarebbero in contrasto con la scelta di legittimare l'esercizio con il titolo professionale di origine senza limite di durata. 62. Occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, la portata dell'obbligo di motivazione dipende dalla natura dell'atto di cui trattasi e, relativamente ad atti destinati ad un'applicazione generale, la motivazione può limitarsi ad indicare, da un lato, la situazione complessiva che ha condotto alla sua adozione e, dall'altro, gli obiettivi generali che esso si prefigge. Se l'atto contestato evidenzia nella sua essenza lo scopo perseguito dall'istituzione, sarebbe eccessivo pretendere una motivazione specifica per le diverse scelte d'indole tecnica operate (v., in particolare, sentenza 19 novembre 1998, causa C-150/94, Regno Unito/Consiglio, Racc. pag. I-7235, punti 25 e 26). 63. Nella fattispecie, la direttiva 98/5 contiene una descrizione coerente e sufficiente del quadro d'insieme che ha portato alla sua adozione: -l'eliminazione fra gli Stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone e dei servizi costituisce uno degli obiettivi della Comunità; per i cittadini degli Stati membri tale libertà di circolazione comporta, in particolare, la facoltà di esercitare, nell'ambito di un rapporto di lavoro autonomo o subordinato, una professione in uno Stato membro diverso da quello in cui essi hanno acquisito le loro qualifiche professionali (primo 'considerando); -un avvocato in possesso di tutte le qualifiche prescritte in uno Stato membro può fin da ora, in applicazione della direttiva 89/48, chiedere il riconoscimento del proprio diploma per stabilirsi in un altro Stato membro, allo scopo di integrarsi nella professione di avvocato dello Stato membro ospitante, ivi esercitandola con il titolo professionale di quest'ultimo (secondo 'considerando); -nell'ambito della prestazione dei servizi, la direttiva 77/249 consente già agli avvocati di uno Stato membro, a certe condizioni, di esercitare la loro attività professionale in un altro Stato membro, operando con il diritto del loro Stato membro di origine, con il diritto comunitario, con il diritto internazionale e con il diritto dello Stato membro ospitante (decimo 'considerando); -solo alcuni Stati membri consentono ad avvocati provenienti da altri Stati membri di esercitare attività professionali, sotto forma diversa dalla prestazione di servizi, sul proprio territorio con il loro titolo professionale d'origine; tuttavia, negli Stati membri che riconoscono tale diritto le modalità del suo esercizio sono profondamente diverse; una siffatta disparità di situazioni dà luogo a disparità di trattamento e a distorsioni della concorrenza fra gli avvocatidegli Stati membri e costituisce un ostacolo alla libera circolazione (sesto 'considerando). 64. La direttiva 98/5 contiene altresì una descrizione degli obiettivi generali che essa si propone di raggiungere: -avvocati pienamente qualificati che non si integrano rapidamente nella professione dello Stato membro ospitante, in particolare superando la prova attitudinale prevista dalla direttiva 89/48, devono poter ottenere tale integrazione dopo un certo periodo di esercizio della professione nello Stato membro ospitante con il proprio titolo professionale d'origine oppure continuare la loro attività con il titolo professionale d'origine (terzo 'considerando); -un'azione comunitaria in materia mira, da un lato, a offrire agli avvocati un metodo più semplice, rispetto al sistema generale di riconoscimento, che consenta loro di integrarsi nella professione di uno Stato membro ospitante e, dall'altro, a rispondere alle esigenze di consulenza degli utenti del diritto in occasione di operazioni transfrontaliere (quinto 'considerando); -essa è volta altresì a risolvere i problemi legati alla distorsione della concorrenza e agli ostacoli alla libera circolazione che derivano dalle modalità profondamente diverse di esercizio della professione con il titolo professionale di origine negli Stati membri che autorizzano già tale esercizio (sesto 'considerando); -la direttiva è volta a garantire una corretta informazione dei consumatori, prevedendo che gli avvocati non integrati nella professione dello Stato membro ospitante sono tenuti ad esercitare nel detto Stato membro con il titolo professionale di origine (nono 'considerando). 65. E' pertanto evidente che il legislatore comunitario, nell'ambito dell'adozione di un atto di portata generale, ha adempiuto l'obbligo di motivazione di cui all'art. 190 del Trattato. 66. In base al detto obbligo, esso non era tenuto a motivare specificamente la scelta effettuata, ai fini dell'attuazione dei suoi obiettivi generali, relativa alla dispensa dalla dimostrazione di una formazione preventiva riguardante il diritto dello Stato membro ospitante nonché dalla concessione del conseguente diritto di esercizio immediato della professione nell'ambito del relativo ordinamento giuridico. Tanto meno è tenuto a motivare specificamente la scelta, effettuata ai medesimi fini, di non limitare nel tempo il diritto di esercitare la professione nello Stato membro ospitante con il titolo professionale di origine. Del resto, il legislatore comunitario non è tenuto a porre dei limiti temporali a una misura volta a facilitare l'esercizio della libertà di stabilimento,posto che tale libertà, per definizione, presuppone la possibilità di una partecipazione stabile e continua alla vita economica dello Stato membro ospitante. 67. Infine, non è riscontrabile alcuna contraddizione tra i 'considerando che si riferiscono all'obiettivo dell'ottenimento da parte dell'avvocato migrante del titolo professionale dello Stato membro ospitante al termine di un determinato periodo, da una parte, e la scelta del legislatore comunitario di autorizzare senza limite di tempo l'esercizio con il titolo professionale di origine, dall'altra. Infatti, i due tipi di esercizio della professione sono soggetti a regimi distinti, dato che al secondo sono imposti limiti propri che circoscrivono la dispensa dalla dimostrazione del possesso di una formazione preliminare nel diritto dello Stato membro ospitante. Inoltre, come è stato sottolineato, una misura comunitaria volta a facilitare la libertà di stabilimento non richiede una limitazione dei suoi effetti nel tempo. 68. Conseguentemente, il terzo motivo deve essere parimenti respinto. 69. Non essendo stato accolto nessuno dei tre motivi dedotti, il ricorso deve essere respinto. Sulle spese 70. Ai sensi dell'art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Il Granducato di Lussemburgo è rimasto soccombente e dev'essere quindi condannato alle spese, conformemente alle richieste del Parlamento e del Consiglio. L'art. 69, n. 4, del regolamento di procedura dispone che gli Stati membri e le istituzioni intervenuti nella causa sopportano le proprie spese. Il Regno di Spagna, il Regno dei Paesi Bassi, il Regno Unito e la Commissione sopporteranno pertanto le proprie spese. Per questi motivi, LA CORTE dichiara e statuisce: 1)Il ricorso è respinto. 2)Il Granducato di Lussemburgo è condannato alle spese. 3)Il Regno di Spagna, il Regno dei Paesi Bassi, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord nonché la Commissione delle Comunità europee sopporteranno le proprie spese. Rodríguez Iglesias Gulmann La Pergola Wathelet Skouris Edward Puissochet Jann Sevón SchintgenMacken Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 7 novembre 2000. Il cancelliere Il presidente R. Grass G.C. Rodríguez Iglesias | |
Da: claro que sì! | 07/06/2010 15:14:26 |
martire, per fare chiarezza, perché non fai un riassunto della sentenza o almeno evidenzi in neretto le parti importanti? | |
Da: martire della verit | 07/06/2010 15:39:43 |
è che kakkio... non posso sempre mettere i sottotitoli per i non udenti. sia nel dispositivo che nell'argomentazioni di diritto (premesse comprese) sono enunciati tutti i principi e le norme che devono trovare aopllicazione e come devono essere attuate. | |
Da: Mario | 07/06/2010 15:40:49 |
Grande Martire, la visionerò con calma. Qualcuno puo' confermare i 4/5 mesi per ottenere la credencial da parte del Ministerio en Madrid? hasta pronto | |
Da: martire della verit | 07/06/2010 16:02:53 |
io so che il rilascio della credencial varia da un minimo di un mese a max 2/3 mesi Per stare nei tempi bisogna aver terminato gli esami entro aprile/giugno 2011. Dopo si ricade nella nuova normativa visto che è impossibile ottenere prima del 31 ottobre 2001 la credencial. per collegiarsi le norme transitorie della ley del 2006 di riforma dell'ordinamento forense espressamente dispongono che bisogna essere laureati prima del I novembre 2011 ovvero avere ottenuta omologa della laurea (credencial) prima di questa data | |
Da: x Mario | 07/06/2010 16:04:14 |
sì, è il tempo minimo per la credencial. Per il CNF, ho paura che Martire, vi citerà innanzi la Corte europea per i diritti dell'uomo, per revisione titoli professionali!! | |
Da: ops | 07/06/2010 16:09:11 |
ragazzi ma alcune università spagnole non accettano le materie sostenute in altre università vero? Visto che a Burgos il 17 e 18 daro' 4 materie, mi chiedo se possa dare le altre in autunno in un'altra università, nell'eventualità che a Burgos non si celebri la convocatoria di settembre, e che queste mi siano riconosciute. Aiuto! | |
Da: martire della verità | 07/06/2010 16:10:33 |
peggio! Violazione libera circolazione delle persone e libertà di stabilimento | |
Da: rob | 07/06/2010 16:24:31 |
in sostanza le sessioni rimanenti sono ottobre febbraio????? | |
Da: martire della verit | 07/06/2010 16:33:22 |
Norme disciplinanti LA PROFESSIONE DI AVVOCATO: DIRETTIVA 77/249/CEE RECEPITA CON L. 9.2.82, n.31 DIRETTIVA 98/5/CE recepita con D.L.vo 2.2.01, n.96 DIRETTIVA 89/48/CEE recepita con D.L.vo 27.1.92, n.115 | |
Da: rob | 07/06/2010 16:54:07 |
in sostanza le sessioni rimanenti sono ottobre febbraio????? | |
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