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Esame avvocato Spagna
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Da: Castigo divino la vendetta01/09/2010 10:28:03
Il parere di Izzo e' stato disatteso dal ministero e ancor prima il CNF , in una mail diretta ad un abogado ormai ben noto se ne era dovuto discostare.

Tanto più che , dopo aver definito lo studio Izzo "terzo e indipendente" si sono rinvenuti su Internet innumerevoli reperti dai quali emergono svariati mandati ad litem conferiti dal CNF allo stesso Izzo.

Basta cercare su Google.

Sarebbe curioso sapere quanto e' costato questo parere ,buttato nel cesso dallo stesso Ministero.

Magari in Congresso qualcuno potrebbe chiederne conto , visto che la questione abogados sembrava essere il titolo della campagna elettorale.

Per farsi legittimare quella follia del parere , quano hanno speso?

Da: x  angioino01/09/2010 12:12:23
Se eri un abogado e sei transitato tra gli ordinari  non pensare che la questione non riguardi anche te , in quanto il tuo titolo è identico al mio . Se vinciamo noi vinci anche tu, in caso contrario perdi anche tu perchè i diritti quesiti si configurano solo se il titolo è ab orgine abilitante.........mi viene da ridere quando sento quelli che dicono " io sono apposto perchè iscritto in quanto non possono ledere i miei  diritti quesiti " in realtà la questione è identica per tutti ed ha la stessa valenza.

Da: flo  x avv e merlo01/09/2010 12:20:00
io sto preparando penal e financero poi non so..
sono un pò indecisa x murcia pubblica perchè non vorrei fare un viaggio a vuoto.
@merlo su quali dispense stai studiando?
Io stavo valutando la possibilità di andare ad avila a novembre e nel frattempo cercare di preparare più materie possibili, ma ancora non ho deciso niente!!

Da: avv x flo01/09/2010 12:43:45
io a murcia daro' 5 esami. Penal, procesal, administr, trabajo, financiero. A che punto stai? Perche' viaggio a vuoto? il temario e' molto generale.

Da: Fundador01/09/2010 13:34:16
La questione avvocati stabiliti-avvocati ordinari è un po' diversa.
Bisogna vedere come un abogado è ransitato tra gli ordinari, ci sono più modi.
L'avocato stabilito è debole perché non ha nessun atto amministrativo presupposto. E' iscritto in forza di un certificato tradotto di un ordine straniero. Ma non c'è nessun atto amministrativo interno che ne dichiari l'idoneità, tranne la delibera dell'ordine che lo ammette tra gli avvocati stabiliti, sezione speciale.
E l'ordine può cancellarlo proprio perché non c'è nessun atto amministrativo interno che gli dice "iscrivilo" (come è ad esempio il certificato di superamento di esame in cd appello).


Da: pan per focaccia01/09/2010 13:39:15
Ai sensi del parere del cnf, chi è iscritto non dovrebbe essere cancellato. Se rispettano il parere non cancellano.
Se qualcuno può sperare di salvarsi sono proprio i già iscritti. Quelli da iscrivere nessuna speranza.

E' disponibile l'App ufficiale di Mininterno per Android.
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Da: x  pan per focaccia01/09/2010 14:00:09
ma lascia perdere il parere.............sul piano giuridico non c 'è alcuna differenza l'iscrizione ha valore solo se il titolo è abilitante ,se  è abiltante devono iscrivere anche i nuovi se non è abilitante (ipotesi non fondata ) tutti fuori........è cosi' semplice lo capisce anche uno iscritto al primo anno

Da: pan per focaccia01/09/2010 14:31:44
Non so se sarà applicato, ma il parere del cnf è l'unico atto normativo che prende in considerazione la questione abocados.
Ed è quello che sarà invocato. Spiace buttarvi a mare ragazzi ma eravate stati avvertiti di lasciar perdere la spagna. E dopotutto siete ricorsi alla spagna in modo tanto becero che in una certa misura vi sta pure bene sbatterci il grugno

Da: Giustiniano01/09/2010 14:43:05
Non dite fesserie, il parere del CNF vale eccome! E' l'ordine di massima rappresentanza dell'avvocatura italiana e non dovrebbe valere? Allora perchè il COA di Vicenza, comportandosi nel pieno rispetto delle attribuzioni, ha chiesto il parere del CNF? Al COA di Vicenza e Piacenza mancavano forse gli avvocati?!?!?
L'indirizzo del CNF è DETERMINANTE visto che è l'organo giudicante in caso di contenzioso sulle iscrizioni.. sarebbe da sciocchi disattenderlo per poi vedersi perdenti in un ricorso, non credete? adesso poi tirate fuori tutte le teorie che vi pare, ma la diferenza tra gli stabiliti e quelli non ancora inscritti è abissale! e se vogliono far fuori le agenzie, motivo vero di questa crociata, a loro interessa più non inscrivere i nuovi (che tanto non ricorreranno mai) che cancellare i vecchi, dei quali su 100 una grossa percentuale ricorrerà al CNF uscendono vittorioso... su 22.000 a roma 100 sono NULLA... a loro interessa solo che nei prossimi mesi non si presentino altri 1.000 abogados a bussare alla porta, nel frattempo, bloccando la cosa per qualche mese saranno scaduti i termini ragionevoli per conseguire il titolo in spagna... proprio scemi non sono, in fondo dovevano porre un freno alla cosa... si stava esagerando, quelle pubblicità in prima pagina facevano venire il volta stomaco  a molti...

Da: alex x tutti01/09/2010 14:56:03
cerco dispense x avila

jackien@inwind.it

Da: eccoci01/09/2010 15:08:43
a me le pubblicita' delle agenzie fanno venire il voltastomaco, come ben detto da qualcuno.
ma mi fanno venire il voltastomaco anche le esternazioni di personaggi che con volgarita' e ignoranza attaccano e diffamano padri di famiglia che lavorano duramente per portare a casa la pagnotta.
io per colpa del signor maurizio de tilla che infanga dei professionisti tramite i cosiddetti "comunicati stampa" dell'oua sono stato messo alla porta dallo studio presso cui lavoravo e presso cui mi guadagnavo da vivere, e ho una famiglia da mantenere.
ho fatto un po' di banali ricerche e ho capito che quasi sicuramente tutta questa campagna e' stata montata ad arte perche' questo signore vuole farsi eleggere al cnf e si propone con sparate populistiche ed eclatanti.
glielo daro' il cnf, statene certi :)

Da: x  pan per focaccia01/09/2010 15:27:23
Staremo a vedere come andrà a finire , su una cosa sono d'accordo basta con le pubblicità fasulle ............fine del vergognoso mercato

Da: X tutti01/09/2010 15:43:25
II. La mia esperienza professionale in Italia
Dopo aver conseguito il diploma di avvocato presso il Tribunale di
appello di Lugano nel giugno 2001, mi sono trasferita a Milano
per motivi personali. Dopo una breve parentesi professionale
presso una banca svizzera in Milano, nella primavera del 2002 ho
iniziato a collaborare con uno studio legale attivo soprattutto
nell'ambito dei settori «M&A, private equity, banking and finance,
project financing» e altre materie connesse, come anche
nel campo del contenzioso. Sempre a quell'epoca ho presentato
un'apposita richiesta all'Ordine degli Avvocati di Milano, ed ho
ottenuto l'iscrizione nella sezione speciale degli avvocati stabiliti.
L'esperienza lavorativa nel suddetto studio legale mi ha permesso
di conoscere e approfondire una serie di strumenti del sistema
giuridico italiano indispensabili per svolgere questo tipo
di professione. Anche se l'attività da me svolta a Milano si è concentrata
soprattutto su prestazioni e pratiche extragiudiziali,
non è mancato il contatto con il diritto processuale italiano e con
i Tribunali di volta in volta competenti. In particolare, vista l'allora
mia posizione di avvocato iscritto nella sezione speciale
dell'albo degli avvocati stabiliti, mi è stato fortemente consigliato
da più parti di seguire con un avvocato italiano anche delle
pratiche giudiziali, per poter poi dimostrare di avere veramente
avuto a che fare con il diritto italiano.
Inoltre ogni anno ho presentato al Consiglio dell'Ordine degli
Avvocati di Milano un'attestazione della Camera per l'avvocatura
e il notariato del Tribunale di appello di Lugano con la quale
quest'ultima confermava la mia iscrizione nel Registro cantonale
(ticinese) degli avvocati.
Infine, dopo avere esercitato la professione in qualità di avvocato
stabilito per il triennio previsto dal decreto legislativo 96/
20017, nella primavera del 2005 ho scritto una lettera al Consiglio
dell'Ordine degli Avvocati di Milano, in cui ho esposto in maniera
dettagliata il tipo di pratiche da me trattate e la loro connessione
con il diritto italiano, allegando tutto quanto potesse provare il
mio coinvolgimento8, e ho chiesto formalmente di essere iscritta
all'Albo degli Avvocati con il titolo di avvocato (integrato).
Con mio grande sollievo l'iscrizione mi è stata concessa dopo
qualche mese e senza alcun problema.
In conclusione, l'esperienza professionale in Italia della scrivente,
sia come avvocato stabilito che come avvocato (integrato)
italiano a tutti gli effetti, non può che dirsi positiva, e ciò malgrado
la sentenza C-145/99 del 7 marzo 2002 della Corte di giustizia
Ue9 che ha censurato le regole italiane relative alla residenza,
alle modalità degli esami attitudinali e al divieto di aprire
un proprio studio. Non posso dire di aver incontrato «resistenze
» di alcun tipo. Semmai ho avuto l'impressione di aver fatto
da «apripista» come avvocato svizzero a Milano.

Da: X tutti01/09/2010 15:47:07

  

18/02/2008
L'ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE FORENSE IN ITALIA DA PARTE DI AVVOCATI CON TITOLO PROFESSIONALE CONSEGUITO ALL'ESTERO.
Il legale che non si sia abilitato in Italia non può fornire, in Italia, prestazioni legali sia di carattere processuale che di carattere extra-processuale. Questa prerogativa appartiene ai soli avvocati abilitati nella Comunità Europea e trova fondamento nella Direttiva CEE n. 77/249/CEE del 22 marzo 1977, "intesa a facilitare l'esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati" poi seguita dalla Direttiva 98/5/CE del 16 febbraio 1998, che già detta le condizioni per "l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica", direttiva cui lo Stato Italiano si è conformato con il d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96, istituisce, tra le altre cose, una Sezione Speciale in cui devono essere iscritti gli avvocati provenienti dalla comunità europea. Quando l'avvocato iscritto in un ordine di altro pase comunitario intenda fornire, in Italia, servizi legali in maniera occasionale, nessun obbligo di comunicazione o di iscrizione gli è imposto. La mancanza di abilitazione gli impedisce, in ogni caso, il patrocinio in Giudizio. Se invece l'avvocato comunitario intenda esercitare, in forma stabile, in Italia, ha il dovere di iscriversi all'albo degli avvocati della circoscrizione in cui ha fissato il domicilio professionale. Oltre agli ordinari requisiti di cittadinanza, l'avvocato "stabilito" deve possedere: -il titolo professionale estero corrispondente al titolo italiano di "avvocato"; -l'iscrizione in un albo forense di altro paese comunitario; L'iscrizione va richiesta non appena il legale abbia trasferito in Italia il proprio domicilio professionale ed i requisiti di possesso del titolo e della iscrizione all'estero possono essere autocertificati dall'interessato. Il Consiglio dell'Ordine deve respingere la richiesta di iscrizione: -se il richiedente non è cittadino di un Pase della Comunità Europea; - se il richiedente non è iscritto in altro Ordine forense, all'estero, o è iscritto in un ordine di un paese non appartenente alla Comunità Europea; -se il richiedente non possiede uno dei titoli professionali elencati nel d.lgs. citato (Avocat e Advocaat per il Belgio , Advokat per la Danimarca, Rechtsanwalt per la Repubblica federale di Germania, etc. etc.) ; - se il richiedente non risulta residente in Italia. L'iscrizione dell'avvocato stabilito è eseguita nella speciale sezione all'uopo creata dagli Ordini dopo l'entrata in vigore del d.lgs. 96/2001. L'iscrizione consente di esercitare la professione forense e di fornire prestazioni legali ed extra-legali alla stregua dei colleghi iscritti nell'albo ordinario, salve le limitazioni disposte dallo stesso d.lgs. 96/2001, che sono, fondamentalmente, di due tipi: -l'avvocato stabilito può difendere in Giudizio con la supervisione di altro collega; -l'avvocato stabilito deve esibire il titolo originario. Tali limitazioni valgono anche per l'esercizio in forma associata e valgono solo per il triennio di ambientamento, trascorso il quale l'avvocato stablito ha diritto a iscriversi all'albo ordinario. La perdita di iscrizione nell'albo di provenienza o la perdita del titolo professionale estero comportano, allo stesso tempo, il venir meno dell'abilitazione professionale. Ciò impedisce all'avvocato stabilito di continuare l'esercizio in Italia (fin quando non avrà ripristinato la sua iscrizione all'estero). Affinché l'Ordine italiano possa controllare questa circostanza, è stabilito che " successivamente all'iscrizione, l'avvocato stabilito è tenuto a presentare annualmente al Consiglio dell'ordine un attestato di iscrizione all'organizzazione professionale di appartenenza, rilasciato in data non antecedente a tre mesi dalla data di presentazione, ovvero dichiarazione sostitutiva." Art. 6, comma 10, D. Lgs. 96/2001.
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Da: MERLO X FLO E AVV01/09/2010 15:58:34
Concordo sui temari anche se civil e internacional sono piuttosto vasti..
Sto studiando alcune parti dal manuale della Uned, mentre per il resto mi aiuto con dispense che ho recuperato da un amico.
Per pagare la tassa  come vi organizzate?

Da: X tutti01/09/2010 16:09:00



















        











    
                                        

        
    
    
    
    
    


       
    

       
   



   
    SENTENZA DELLA CORTE (Quinta sezione)

7 marzo 2002
(Causa C-145/99)
Commissione delle Comunità europee / Repubblica italiana
«Inadempimento di uno Stato - Artt. 52 e 59 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 43 CE e 49 CE) - Direttiva 89/48/CEE - Accesso alla professione di avvocato ed esercizio della stessa»

________________________________________

Nella causa C-145/99,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. E. Traversa e B. Mongin, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata dal sig. U. Leanza, in qualità di agente, assistito dalla sig.ra F. Quadri, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,
avente ad oggetto il ricorso diretto a far dichiarare che:
- mantenendo, in violazione dell'art. 59 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 49 CE), il divieto generale imposto agli avvocati stabiliti in altri Stati membri ed esercitanti in Italia in regime di libera prestazione di servizi di disporre in tale Stato dell'infrastruttura necessaria all'effettuazione delle loro prestazioni,
- subordinando, in violazione dell'art. 52 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 43 CE), l'iscrizione come avvocato ad un albo italiano al possesso della cittadinanza italiana ed al possesso di qualifiche acquisite esclusivamente in Italia, nonché al mantenimento della residenza in una circoscrizione giudiziaria italiana,
- applicando in forma discriminatoria nei confronti degli avvocati provenienti da altri Stati membri le «misure compensative» (prova attitudinale) previste dall'art. 4 della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanciscono formazioni professionali di una durata minima di tre anni (GU 1989, L 19, pag. 16), e
- recependo in maniera incompleta la direttiva 89/48, stante l'assenza di una regolamentazione che stabilisce le modalità della prova attitudinale per gli avvocati provenienti da altri Stati membri,
la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dagli artt. 52 e 59 del Trattato nonché alla direttiva 89/48,
LA CORTE (Quinta Sezione),
composta dai sigg. S. von Bahr, presidente della Quarta Sezione, facente funzione di presidente della Quinta Sezione, D.A.O. Edward (relatore), A. La Pergola, M. Wathelet e C.W.A. Timmermans, giudici,
avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore
vista la relazione d'udienza,
sentite le difese orali svolte dalle parti all'udienza del 15 febbraio 2001, nel corso della quale la Commissione è stata rappresentata dal sig. E. Traversa e la Repubblica italiana dal sig. I. Braguglia, avvocato dello Stato,
sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 3 maggio 2001,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 21 aprile 1999, la Commissione delle Comunità europee ha proposto, in forza dell'art. 169 del Trattato CE (divenuto art. 226 CE), un ricorso diretto a far dichiarare che:
- mantenendo, in violazione dell'art. 59 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 49 CE), il divieto generale imposto agli avvocati stabiliti in altri Stati membri ed esercitanti in Italia in regime di libera prestazione di servizi di disporre in tale Stato dell'infrastruttura necessaria all'effettuazione delle loro prestazioni,
- subordinando, in violazione dell'art. 52 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 43 CE), l'iscrizione come avvocato ad un albo italiano al possesso della cittadinanza italiana ed al possesso di qualifiche acquisite esclusivamente in Italia, nonché al mantenimento della residenza in una circoscrizione giudiziaria italiana,
- applicando in forma discriminatoria nei confronti degli avvocati provenienti da altri Stati membri le «misure compensative» (prova attitudinale) previste dall'art. 4 della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanciscono formazioni professionali di una durata minima di tre anni (GU 1989, L 19, pag. 16), e
- recependo in maniera incompleta la direttiva 89/48, stante l'assenza di una regolamentazione che stabilisce le modalità della prova attitudinale per gli avvocati provenienti da altri Stati membri,
la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dagli artt. 52 e 59 del Trattato nonché alla direttiva 89/48.
2. Con ordinanza del presidente della Corte 5 luglio 1999, la domanda d'intervento a sostegno della domanda della Commissione presentata dall'avv. J. Lau è stata dichiarata manifestamente irricevibile.
Ambito normativo
La normativa comunitaria
3. La direttiva 89/48 stabilisce un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanciscono formazioni professionali di una durata minima di tre anni.
4. Ai sensi dell'art. 1, lett. g), primo comma, della direttiva 89/48, una «prova attitudinale» è definita come «un esame riguardante esclusivamente le conoscenze professionali del richiedente effettuato dalle autorità competenti dello Stato membro ospitante allo scopo di valutare la capacità del richiedente ad esercitare in tale Stato una professione regolamentata».
5. Il secondo, terzo e quarto comma della stessa disposizione sono formulati come segue:
«Per consentire il controllo, le autorità competenti redigono un elenco delle materie che, attraverso un confronto tra la formazione richiesta nello Stato rispettivo e quella ricevuta dal richiedente, non sono comprese nel diploma o nel/nei titolo/i presentato/i dal richiedente.
La prova attitudinale deve prendere in considerazione il fatto che il richiedente è un professionista qualificato nello Stato membro d'origine o di provenienza. Essa verte su materie da scegliere tra quelle che figurano nell'elenco e la cui conoscenza è una condizione essenziale per poter esercitare la professione nello Stato membro ospitante. Questa prova può anche comprendere la conoscenza della deontologia applicabile alle attività in questione nello Stato membro ospitante. Le modalità della prova attitudinale sono determinate dalle autorità competenti di detto Stato membro nel rispetto delle norme del diritto comunitario.
Le autorità competenti dello Stato membro ospitante stabiliscono lo status, in detto Stato membro, del richiedente che desidera prepararsi per sostenere la prova attitudinale in tale Stato».
6. L'art. 3 della direttiva 89/48, che precisa i principi riguardanti l'accesso ad una professione regolamentata e al suo esercizio, così dispone:
«Quando nello Stato membro ospitante l'accesso o l'esercizio di una professione regolamentata è subordinato al possesso di un diploma, l'autorità competente non può rifiutare ad un cittadino di un altro Stato membro, per mancanza di qualifiche, l'accesso a/o l'esercizio di tale professione, alle stesse condizioni che vengono applicate ai propri cittadini:
a) se il richiedente possiede il diploma che è prescritto in un altro Stato membro per l'accesso o l'esercizio di questa stessa professione sul suo territorio, e che è stato ottenuto in un altro Stato membro, oppure
b) se il richiedente ha esercitato a tempo pieno tale professione per due anni durante i precedenti dieci anni in un altro Stato membro in cui questa professione non è regolamentata ai sensi dell'articolo 1, lettera c) e del primo comma dell'articolo 1, lettera d), ed è in possesso di uno o più titoli di formazione:
- rilasciati da un'autorità competente di uno Stato membro, designata conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative di questo Stato membro,
- da cui risulti che il titolare ha seguito con successo un ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni oppure di durata equivalente a tempo parziale, in un'università o un istituto di istruzione superiore o in altro istituto dello stesso livello di formazione di uno Stato membro, e, se del caso, che ha seguito con successo la formazione professionale richiesta oltre al ciclo di studi post-secondari, e
- che l'hanno preparato all'esercizio di tale professione.
E' assimilato al titolo di formazione di cui al primo comma qualsiasi titolo o insieme di titoli che sia stato rilasciato da un'autorità competente in uno Stato membro qualora sancisca una formazione acquisita nella Comunità e sia riconosciuto come equivalente da detto Stato membro, a condizione che il riconoscimento sia stato notificato agli altri Stati membri e alla Commissione».
7. L'art. 4 della direttiva 89/48 autorizza lo Stato membro ospitante a subordinare l'accesso ad una professione regolamentata a talune condizioni. Così, ai sensi del n. 1 di tale disposizione, l'art. 3 della detta direttiva non osta a che lo Stato membro ospitante prescriva che il richiedente:
«(...)
b) compia un tirocinio di adattamento, per un periodo massimo di tre anni, o si sottoponga a una prova attitudinale:
- quando la formazione ricevuta conformemente all'articolo 3, lettere a) e b) verte su materie sostanzialmente diverse da quelle contemplate nel diploma prescritto nello Stato membro ospitante oppure,
- quando, nel caso di cui all'articolo 3, lettera a), la professione regolamentata nello Stato membro ospitante comprende una o più attività professionali regolamentate che non esistono nella professione regolamentata nello Stato membro di origine o provenienza del richiedente, e tale differenza è caratterizzata da una formazione specifica prescritta nello Stato membro ospitante e vertente su materie sostanzialmente diverse da quelle contemplate dal diploma dichiarato dal richiedente, oppure
- quando, nel caso di cui all'articolo 3, lettera b), la professione regolamentata nello Stato membro ospitante comprende una o più attività professionali regolamentate che non esistono nella professione esercitata dal richiedente nello Stato membro di origine o di provenienza e tale differenza è caratterizzata da una formazione specifica prescritta nello Stato membro ospitante e vertente su materie sostanzialmente diverse da quelle contemplate dal titolo o dai titoli dichiarati dal richiedente.
(...)».
8. L'art. 4, n. 1, lett. b), secondo comma, della direttiva 89/48 stabilisce inoltre che, «in deroga a tale principio, lo Stato ospitante può prescrivere un tirocinio di adattamento o una prova attitudinale se si tratta di professioni il cui esercizio richiede una conoscenza precisa del diritto nazionale e nelle quali la conoscenza e/o l'assistenza per quanto riguarda il diritto nazionale costituisce un elemento essenziale e costante dell'attività (...)».
9. L'art. 4, n. 2, della direttiva 89/48 vieta agli Stati membri di richiedere cumulativamente dal richiedente che produca la prova della sua esperienza professionale e che compia un tirocinio di adattamento o si sottoponga ad una prova attitudinale.
La normativa italiana
10. Le disposizioni essenziali riguardanti l'accesso alla professione d'avvocato e l'esercizio di quest'ultima in Italia si trovano nel regio decreto legge del 27 novembre 1933, n. 1578, recante il titolo «Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore» (GURI n. 281 del 5 dicembre 1933, pag. 5521; in prosieguo: il «decreto legge n. 1578/33»).
11. L'art. 17, primo comma, del decreto legge n. 1578/33 recita:
«Per l'iscrizione all'albo degli avvocati è necessario:
1° essere cittadino italiano o italiano appartenente a regioni non unite politicamente all'Italia
(...)
4° essere in possesso della laurea in giurisprudenza conferita o confermata da un'università della Repubblica;
5° avere compiuto lodevolmente e proficuamente un periodo di pratica, frequentando lo studio di un avvocato ed assistendo alle udienze civili e penali della Corte d'appello o del Tribunale per almeno due anni consecutivi, posteriormente alla laurea, nei modi che saranno stabiliti con le norme da emanarsi a termini dell'articolo 10, ovvero avere esercitato, per lo stesso periodo di tempo, il patrocinio davanti alle preture ai sensi dell'articolo 8.
(...)
7° avere la residenza nella circoscrizione del Tribunale nel cui albo l'iscrizione è domandata».
12. La legge 9 febbraio 1982, n. 31, intitolata «Libera prestazione di servizi da parte degli avvocati cittadini di altri Stati membri della Comunità europea» (GURI n. 42 del 12 febbraio 1982, pag. 1030; in prosieguo: la «legge n. 31/82»), provvede a trasporre la direttiva del Consiglio 22 marzo 1977, 77/249/CEE, intesa a facilitare l'esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati (GU L 78, pag. 17). L'art. 2 della legge n. 31/82 prevede:
«Prestazione di servizi professionali.
Le persone di cui all'art. 1 [i cittadini degli Stati membri abilitati nello Stato membro di provenienza a esercitare la professione d'avvocato] sono ammesse all'esercizio delle attività professionali di avvocato, in sede giudiziale e extragiudiziale, con carattere di temporaneità e secondo le modalità stabilite dal presente titolo.
Per l'esercizio delle attività professionali di cui al comma precedente, non è consentito stabilire nel territorio della Repubblica uno studio, né una sede principale o secondaria».
13. Il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 115 (GURI n. 40 del 18 febbraio 1992, pag. 6; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 115/92»), provvede a trasporre la direttiva 89/48. L'art. 6, comma 2, di quest'ultimo stabilisce quanto segue:
«Il riconoscimento (del titolo di formazione professionale) è subordinato al superamento di una prova attitudinale se riguarda le professioni di avvocato, di commercialista e di consulente della proprietà industriale».
14. L'art. 8, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 115/92 così dispone:
«1. La prova attitudinale consiste in un esame volto ad accertare le conoscenze professionali e deontologiche ed a valutare la capacità all'esercizio della professione, tenendo conto che il richiedente il riconoscimento è un professionista qualificato nel Paese di origine o di provenienza.
2. Le materie su cui svolgere l'esame devono essere scelte in relazione alla loro importanza essenziale per l'esercizio della professione».
15. L'art. 9 del decreto legislativo n. 115/92 è redatto come segue:
«Con decreti del Ministro competente, ai sensi dell'articolo 11 [nel presente caso: il Ministro di Grazia e Giustizia], di concerto con il Ministro per il Coordinamento delle politiche comunitarie e con il Ministro dell'Università e della Ricerca scientifica e tecnologica, sentito il Consiglio di Stato, sono emanate disposizioni e direttive generali per l'applicazione degli articoli 5, 6, 7 e 8, con riferimento alle singole professioni ed alle relative formazioni professionali».
16. L'art. 12, commi 1, 3, 5, 6 e 7, del decreto legislativo n. 115/92 prevede quanto segue:
«1. La domanda di riconoscimento deve essere presentata al Ministero competente, corredata della documentazione relativa ai titoli da riconoscere, rispondente ai requisiti indicati all'articolo 10.
(...)
3. Entro trenta giorni dal ricevimento della domanda, il Ministero accerta la completezza della documentazione esibita, comunicando agli interessati le eventuali necessarie integrazioni.
(...)
5. Sul riconoscimento provvede il Ministro competente con decreto da emettersi nel termine di quattro mesi dalla presentazione della domanda o della sua integrazione a norma del precedente comma 3.
6. Nei casi di cui all'articolo 6 (misure compensative), il decreto stabilisce le condizioni del tirocinio di adattamento o della prova attitudinale, individuando l'ente o l'organo competente a norma dell'articolo 15.
7. I decreti di cui al precedente comma 5 sono pubblicati sulla Gazzetta ufficiale.
(...)».
17. L'art. 15, comma 1, del decreto in parola così dispone:
«Gli adempimenti relativi all'esecuzione e valutazione del tirocinio di adattamento e della prova attitudinale sono di competenza degli enti e degli organi che presiedono alla tenuta degli albi, elenchi o registri professionali.
(...)».
18. La legge 22 febbraio 1994, n. 146, avente ad oggetto «Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alla Comunità europea, legge comunitaria 1993» (Supplemento ordinario n. 39 alla GURI n. 52 del 4 marzo 1994, pag. 1; in prosieguo: la «legge n. 146/94»), dispone all'art. 10:
«I cittadini degli Stati membri della Comunità europea sono equiparati ai cittadini italiani ai fini dell'iscrizione nell'albo degli avvocati di cui all'art. 17 del Regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578 (...) recante ordinamento della professione di avvocato».
Procedimento precontenzioso
19. Secondo il procedimento di cui all'art. 169, primo comma, del Trattato, la Commissione, dopo aver invitato la Repubblica italiana a presentare le sue osservazioni con lettera 8 ottobre 1998, ha inviato un parere motivato a tale Stato membro, invitandolo ad adottare le misure necessarie per conformarsi agli obblighi che risultano dagli artt. 52 e 59 del Trattato e dalla direttiva 89/48 entro due mesi dalla notifica di detto parere. Non essendo stata convinta dalla risposta del governo italiano allo stesso parere, la Commissione ha deciso di presentare il ricorso in esame.
Sulla prima censura
20. Con la prima censura la Commissione sostiene che l'art. 59 del Trattato è in contrasto con l'art. 2, secondo comma, della legge n. 31/82, in quanto tale disposizione nazionale vieta agli avvocati stabiliti in altri Stati membri e che intendono fornire prestazioni di servizi in Italia di disporre di una certa infrastruttura in tale Stato membro.
21. Il governo italiano sostiene, in sostanza, che tale divieto mira ad evitare che sia elusa la libertà di stabilimento. Senza l'esistenza di tale divieto, gli avvocati che esercitano il loro diritto alla libera prestazione di servizi potrebbero infatti creare, con la copertura di una determinata struttura, uno stabilimento. Tuttavia, esso aggiunge che, per eliminare qualsiasi dubbio a proposito della compatibilità dell'art. 2, secondo comma, della legge n. 31/82 con l'art. 59 del Trattato, un disegno di legge che prevede l'abrogazione della detta disposizione nazionale è stato sottoposto all'esame del Parlamento italiano.
22. A tale proposito, occorre rammentare che la Corte ha già statuito che il carattere temporaneo di una prestazione di servizi non esclude la possibilità per il prestatore di servizi, ai sensi del Trattato, di dotarsi nello Stato membro ospitante di una determinata infrastruttura (ivi compreso un ufficio o uno studio), se questa infrastruttura è necessaria al compimento della prestazione di cui trattasi (sentenza 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-4165, punto 27).
23. Ne consegue che il divieto generale, figurante all'art. 2, secondo comma, della legge n. 31/82 opposto ad un avvocato stabilito in uno Stato membro diverso dalla Repubblica italiana ed esercitante in Italia il suo diritto alla libera prestazione dei servizi di creare uno studio o una sede principale o secondaria in tale ultimo Stato membro è incompatibile con l'art. 59 del Trattato.
24. Pertanto la prima censura della Commissione va accolta.
Sulla seconda censura
Sulla prima parte
25. Con la prima parte della sua seconda censura la Commissione sostiene che l'obbligo per l'avvocato di risiedere nel circondario del tribunale da cui dipende il foro al quale è iscritto, di cui all'art. 17, n. 1, punto 7, del decreto legge n. 1578/33, è in contrasto con la libertà di stabilimento sancita dall'art. 52 del Trattato.
26. Il governo italiano replica che l'obbligo di residenza risponde ad esigenze di organizzazione giudiziaria nel senso che esso facilita i controlli inerenti all'esistenza di un ordine professionale locale. Esso sottolinea tuttavia che, nella pratica, non è più richiesto ad avvocati cittadini degli Stati membri diversi dalla Repubblica italiana di soddisfare tale obbligo, come emerge dal parere n. 6/1994 del Consiglio nazionale degli avvocati. Detto governo aggiunge che il disegno di legge di riforma della professione di avvocato prevede di sostituire il requisito della residenza con quello del domicilio professionale, il che implica la possibilità per l'interessato di fissare o di mantenere la sua residenza ufficiale in uno Stato membro e il suo domicilio professionale in un altro Stato membro.
27. La Corte ha ripetutamente statuito che il diritto di stabilimento sancito dall'art. 52 del Trattato implica la facoltà di creare e di conservare, salve restando le norme professionali, più di un centro di attività nel territorio della Comunità (v., in tal senso, sentenze 12 luglio 1984, causa 107/83, Klopp, Racc. pag. 2971, punto 19; 20 maggio 1992, causa C-106/91, Ramrath, Racc. pag. I-3351, punti 20-22 e 28, e 18 gennaio 2001, causa C-162/99, Commissione/ Italia, Racc. pag. I-541, punto 20).
28. L'obbligo di residenza criticato dalla Commissione è pertanto incompatibile con l'art. 52 del Trattato nel senso che osta a che un avvocato stabilito in uno Stato membro diverso dalla Repubblica italiana conservi uno stabilimento in Italia.
29. L'argomentazione del governo italiano secondo la quale non vi è violazione del detto art. 52, dato che l'obbligo di residenza, in pratica, non viene applicato, non può essere accolta.
30. Infatti è giurisprudenza costante che l'incompatibilità di una normativa nazionale con le disposizioni comunitarie, persino direttamente applicabili, può essere definitivamente eliminata solo tramite disposizioni interne vincolanti che abbiano lo stesso valore giuridico di quelle da modificare. Semplici prassi amministrative, per natura modificabili a piacimento dell'amministrazione e prive di adeguata pubblicità, non possono essere considerate valido adempimento degli obblighi del Trattato (v., in particolare, sentenze 13 marzo 1997, causa C-197/96, Commissione/Francia, Racc. pag. I-1489, punto 14, e 9 marzo 2000, causa C-358/98, Commissione/Italia, Racc. pag. I-1255, punto 17).
31. La prima parte della seconda censura della Commissione è pertanto fondata.
Sulla seconda parte
32. Con la seconda parte della seconda censura la Commissione chiede alla Corte di dichiarare che l'art. 17, n. 1, punti 1, 4 e 5 del decreto legge n. 1578/33 viola la libertà di stabilimento poiché in tale disposizione l'accesso alla professione di avvocato è subordinato al possesso della cittadinanza italiana e di una laurea italiana in giurisprudenza, nonché al compimento di un tirocinio di due anni dinanzi agli organi giurisdizionali italiani.
33. A tale proposito è pacifico che il requisito di cittadinanza è stato abrogato dall'art. 10 della legge n. 146/94, secondo il quale i cittadini degli Stati membri diversi dalla Repubblica italiana sono equiparati ai cittadini italiani ai fini dell'iscrizione all'ordine degli avvocati. Parimenti, le disposizioni relative al possesso di una laurea italiana in giurisprudenza e al compimento di un tirocinio sono state abrogate dal decreto legislativo n. 115/92, che prevede un procedimento per il riconoscimento del titolo professionale di avvocato ottenuto in un altro Stato membro.
34. La Commissione considera tuttavia che i requisiti di certezza del diritto non siano rispettati, dato che le modifiche apportate all'art. 17, n. 1, del decreto legge n. 1578/33 non sono state trascritte in tale disposizione. L'esistenza di due norme contraddittorie renderebbe più difficile per un privato la conoscenza delle norme giuridiche applicabili e complicherebbe pertanto l'esercizio dei diritti comunitari di cui godono gli avvocati cittadini degli altri Stati membri.
35. Il governo italiano si riferisce a tal proposito al principio della preminenza, in caso di successione di leggi nel tempo, della norma successiva su quella precedente nel caso in cui queste ultime siano incompatibili tra di loro.
36. A tale proposito, è pacifico, da un lato, che le disposizioni modificative figuranti nella legge n. 146/94 e nel decreto legislativo n. 115/92 sono vincolanti e, dall'altro, che esse hanno come effetto l'abrogazione degli obblighi, figuranti all'art. 17, n. 1, del decreto legge n. 1578/33, relativi al possesso della cittadinanza italiana e di una laurea in giurisprudenza, nonché al compimento di un tirocinio di due anni dinanzi agli organi giurisdizionali italiani, per aver accesso alla professione di avvocato.
37. Orbene, le dette disposizioni modificative soddisfano i due requisiti prescritti dalla Corte affinché il diritto nazionale sia compatibile con il diritto comunitario primario, condizioni secondo le quali l'incompatibilità di una normativa nazionale con le disposizioni comunitarie, persino direttamente applicabili, può essere definitivamente soppressa solo tramite disposizioni interne vincolanti che abbiano lo stesso valore giuridico di quelle da modificare (v., in particolare, sentenza 9 marzo 2000, Commissione/Italia, citata, punto 17).
38. Nel caso di specie l'abrogazione delle pertinenti disposizioni del decreto legge n. 1578/33 con la legge n. 146/94 e con il decreto legislativo n. 115/92 risulta automaticamente dall'applicazione del principio della preminenza delle leggi successive, principio comune alle tradizioni giuridiche degli Stati membri.
39. Pertanto occorre dichiarare che, nel caso di specie, i requisiti relativi alla certezza del diritto non sono stati violati.
40. Di conseguenza, la seconda parte della seconda censura della Commissione non può essere accolta.
Sulla terza e quarta censura
41. La terza e quarta censura della Commissione, che occorre esaminare insieme, riguardano la trasposizione e l'applicazione, nella pratica, dell'art. 4 della direttiva 89/48 riguardante la prova attitudinale prevista da tale disposizione.
Argomentazione delle parti
42. Con la quarta censura la Commissione addebita alla Repubblica italiana di aver trasposto in modo incompleto la direttiva 89/48, poiché essa non ha elaborato una normativa che stabilisca le modalità d'applicazione della prova attitudinale come definita dall'art. 1, lett. g), primo comma, della detta direttiva.
43. La Commissione sostiene che il decreto legislativo n. 115/92, che mira a trasporre gli artt. 1, lett. g), e 4 della direttiva 89/48, prevede, agli artt. 9 e 11, che «le disposizioni e direttive generali» per l'applicazione della prova attitudinale devono essere promulgate dal Ministro della giustizia italiano. Orbene, tali misure non sarebbero state adottate.
44. In pratica, gli artt. 1, lett. g), e 4 della direttiva 89/48 sarebbero trasposti dalle autorità italiane con singoli decreti ministeriali, in quanto per ciascun candidato verrebbe elaborata una prova attitudinale personale. Secondo la Commissione, tale prassi amministrativa colloca i candidati in una situazione di incertezza giuridica che non permette loro di prevedere le materie sulle quali si articolerà la prova attitudinale né il numero di queste ultime, il modo in cui tale prova sarà divisa tra esame scritto ed esame orale, i criteri di valutazione degli esami e altri aspetti essenziali dello svolgimento della detta prova.
45. Con la terza censura la Commissione contesta l'applicazione concreta fatta dalle autorità italiane della prova attitudinale prevista dall'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva 89/48 per gli avvocati provenienti da altri Stati membri.
46. Secondo la Commissione, alla luce delle informazioni in suo possesso, vale a dire il testo dei singoli decreti ministeriali di riconoscimento dei titoli professionali, di cui all'art. 12, n. 5, del decreto legislativo n. 115/92, e delle informazioni ricevute nell'ambito delle denunce di avvocati provenienti da Stati membri diversi dalla Repubblica italiana mediante le quali essa era stata interpellata, emerge che la prova attitudinale può riguardare dieci materie, nonché l'organizzazione giudiziaria e la deontologia dell'avvocato, e si compone di un esame scritto e di un esame orale. L'esame scritto, che consiste nella redazione di un atto giudiziario o di un parere, riguarda tre materie scelte dalla commissione d'esame fra le dieci possibili, nonché l'organizzazione giudiziaria e la deontologia dell'avvocato, mentre l'esame orale, che consiste nel rispondere a brevi quesiti pratici, riguarda tutte le materie nonché l'organizzazione giudiziaria e la deontologia dell'avvocato.
47. La Commissione rimprovera alle autorità italiane l'applicazione di una prassi discriminatoria a causa dell'eccessiva difficoltà della prova attitudinale rispetto all'esame d'abilitazione al quale si devono sottoporre gli avvocati italiani. Quest'ultimo esame comporterebbe parimenti una parte scritta ed una parte orale. Tuttavia, l'esame scritto riguarderebbe solo tre materie, di cui una viene scelta dal richiedente, e l'esame orale soltanto cinque materie, tutte scelte dal richiedente, alle quali si aggiungono questioni sull'organizzazione giudiziaria e sulla deontologia dell'avvocato.
48. Secondo le statistiche dell'anno 1998 fornite dalla Commissione nella sua replica, su ventinove avvocati cittadini degli altri Stati membri che hanno chiesto ed ottenuto il riconoscimento del loro titolo professionale in Italia, diciotto hanno superato una prova attitudinale riguardante una sola materia. La Commissione osserva tuttavia che, per gli altri undici richiedenti, la prova attitudinale si incentrava rispettivamente, in un caso, su sette materie, in un altro, su nove materie e, per quanto riguarda altri otto casi, su tutte le materie nonché sull'organizzazione giudiziaria e sulla deontologia dell'avvocato.
49. Il governo italiano sostiene che il decreto legislativo n. 115/92 traspone in maniera completa la direttiva 89/48.
50. Per quanto riguarda il contenuto dettagliato della prova attitudinale, il detto governo sottolinea che l'esistenza di un certo potere discrezionale è necessaria, dato che sono diverse le competenze professionali degli avvocati acquisite in ciascuno Stato membro. Esso sostiene inoltre che la prova attitudinale prende in considerazione la qualifica professionale acquisita da un avvocato in uno Stato membro diverso dalla Repubblica italiana e che il decreto legislativo n. 115/92 e la sua applicazione rispondono a quanto prescritto dal diritto comunitario.
Giudizio della Corte
51. L'art. 1, lett. g), secondo comma, della direttiva 89/48 prevede che, per permettere l'organizzazione della prova attitudinale, le autorità competenti dello Stato membro ospitante «redigono un elenco delle materie che, attraverso un confronto tra la formazione richiesta nello Stato rispettivo e quella ricevuta dal richiedente, non sono comprese nel diploma o nel/nei titolo/i presentato/i dal richiedente».
52. Così, il contenuto preciso della prova attitudinale deve essere stabilito caso per caso, dopo aver proceduto ad un raffronto puntuale delle qualifiche e dell'esperienza del richiedente - il quale, come si rileva nel nono 'considerando della direttiva 89/48, «è una persona già formata professionalmente in un altro Stato membro» - con l'elenco delle materie considerate indispensabili alla formazione della professione di cui trattasi.
53. L'art. 1, lett. g), della direttiva 89/48, sebbene non richieda che gli Stati membri regolino in dettaglio tutti gli aspetti della prova attitudinale, non li esonera tuttavia dall'obbligo di precisare e di pubblicare le materie considerate indispensabili per l'esercizio della professione e le modalità della detta prova attitudinale, affinché i richiedenti possano conoscere, in generale, la natura e il contenuto della prova alla quale eventualmente saranno sottoposti. In mancanza di tale normativa, l'attuazione, caso per caso, del confronto previsto dall'art. 1, lett. g), secondo comma, della direttiva 89/48 rischia di essere arbitraria, e persino discriminatoria.
54. Orbene, è pacifico che il decreto legislativo n. 115/92 non definisce né le materie considerate indispensabili per l'esercizio della professione d'avvocato in Italia né le modalità della prova attitudinale, creando in tal modo una situazione d'incertezza, e persino d'insicurezza giuridica. Non si può quindi considerare che il detto decreto legislativo abbia trasposto in modo completo la direttiva 89/48.
55. Occorre dichiarare quindi che la Repubblica italiana non ha trasposto completamente la direttiva 89/48, di modo che la quarta censura della Commissione è fondata.
56. Quanto alle fattispecie richiamate dalla Commissione a sostegno della sua terza censura, sebbene possano quanto meno avvalorare l'impressione che, in pratica, l'attuazione della prova attitudinale manchi di coerenza e di trasparenza, occorre tuttavia rilevare che non sono stati dati alla Corte elementi sufficienti atti ad accertare un inadempimento degli obblighi derivanti dalla direttiva 89/48 quanto all'attuazione,caso per caso, della detta prova attitudinale. Di conseguenza, la terza censura della Commissione non può essere accolta.
57. Tenuto conto di tutte le considerazioni di cui sopra occorre dichiarare che:
- mantenendo, in violazione dell'art. 59 del Trattato, il divieto generale imposto agli avvocati stabiliti in altri Stati membri ed esercitanti in Italia in regime di libera prestazione di servizi di disporre in tale Stato dell'infrastruttura necessaria all'effettuazione delle loro prestazioni,
- obbligando, in violazione dell'art. 52 del Trattato, gli avvocati a risiedere nella circoscrizione del tribunale da cui dipende l'albo al quale essi sono iscritti, e
- recependo in maniera incompleta la direttiva 89/48, stante l'assenza di una regolamentazione che stabilisce le modalità della prova attitudinale per gli avvocati provenienti da altri Stati membri,
la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dagli artt. 52 e 59 del Trattato nonché alla direttiva 89/48.
58. Per il resto occorre respingere il ricorso.
Sulle spese
59. Ai sensi dell'art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Tuttavia, a norma del disposto di cui al successivo n. 3, primo comma, la Corte può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese se le parti soccombono rispettivamente su uno o più punti. Atteso che la Repubblica italiana e la Commissione sono rimaste parzialmente soccombenti, ciascuna parte sopporterà le proprie spese.
Per questi motivi,
LA CORTE (Quinta Sezione)
dichiara e statuisce:
1) - mantenendo, in violazione dell'art. 59 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 49 CE), il divieto generale imposto agli avvocati stabiliti in altri Stati membri ed esercitanti in Italia in regime di libera prestazione di servizi di disporre in tale Stato dell'infrastruttura necessaria all'effettuazione delle loro prestazioni,
- obbligando, in violazione dell'art. 52 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 43 CE), gli avvocati a risiedere nella circoscrizione del tribunale da cui dipende l'albo al quale essi sono iscritti, e
- recependo in maniera incompleta la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1998, 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanciscono formazioni professionali di una durata minima di tre anni, stante l'assenza di una regolamentazione che stabilisce le modalità della prova attitudinale per gli avvocati provenienti da altri Stati membri,
la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dagli artt. 52 e 59 del Trattato nonché alla direttiva 89/48.
2) Per il resto il ricorso è respinto.
3) La Repubblica italiana e la Commissione delle Comunità europee sopporteranno le proprie spese.
von Bahr
Edward
La Pergola
Wathelet
Timmermans
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 7 marzo 2002.
Il cancelliere
R. Grass
Il presidente della Quinta Sezione
P. Jann
________________________________________1: Lingua processuale: l'italiano

   
        
       

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Da: eccoci per castigo divino01/09/2010 16:28:05
il parere di izzo e' un obbrobrio, chi lo ha scritto e' senza vergogna.
al congresso un bel poi' di cose verranno tirate fuori, statene certi. e chi ha tentato di costruire una carriera per se' e i suoi clientes dovra' fare i conti con il proprio passato.
e' ora che qualcuno dica basta, certa gente ha davvero esagerato.

Da: X eccoci01/09/2010 16:53:29
Lascia stare l'astio e impegnamoci con argomentazioni giuridiche ad ottenere la giusta applicazione delle norme imperative. Del resto che gli ordini possano vagliare le situazioni è legittimo. Non è legittimo che possano sorvolare in quei casi ove l'abbuso del diritto è palese e provato o cancellare chi legittimamente è iscritto.

Da: Giustiniano01/09/2010 16:59:15
Vagliare le situazioni è llegittimo?!?!?!? ma che dite? state scherando? vi rendete conto che non è un gioco???
La situazione di tutti, dico TUTTI gli iscritti è stata già valutata al momento dell'iscrizione... non è che una mattina si svegliano e dicono, no ci siamo sbagliato, abbiamo scherzato... ti tolgo il titolo perchè io COA mi sono sbagliato, trovati un altro lavoro... noi nel frattempo abbiamo messo firme, ci siamo impegnati (economicamente e moralmente) ... il CNF raccomandava, come prescritto nella legge che regola la professione un controllo e bisogna, ripeto BISOGNA dare per scontato che questo controllo sia stato fatto... non possiamo essere soggetti a ricontrolli arbitrari! anche perchè dopo anni è molto più difficile ricostruire la proprio situazione, specie quando si sono lasciati i "vecchi impieghi"!

Da: eccoci01/09/2010 17:03:58
vogliono fare campagna elettorale su di noi... bene, facciamola anche noi e senza quartiere. tanto noi non abbiamo niente da perdere, questa gentaglia gia' ci sta togliendo decoro e in alcuni casi anche i mezzi di sostentamento. chi ha voglia di reagire come me? io faro' tutto quello che posso ma se agisco da solo non sono sicuro del risultato, la querela a de tilla e' stata archiviata e nessuno ha fatto opposizione all'archiviazione.

vanno scoperti tutti gli altarini, tutte le immondizie di chi ci ha scelto a comodo bersaglio per farsi pubblicita'. ricordiamoci che se malauguratamente queste persone si impadroniscono del cnf saranno guai per tutti, finiremo davero in mano a una orda di quanto di peggio l'avvocatura peggiore riesce ad esprimere.
fatelo anche voi, se avete a cuore il vostro futuro. de tilla&company devono restare sommersi in tutto il marcio che hanno alle spalle e bisogna darsi da fare adesso prima che riescano a farsi eleggere. hanno puntato sul pdl per un colpo di mano con cui blindare vergognosamente la professione a proprio vantaggio e a danno dell'intera italia, ora provano un colpo di mano per impradonirsi delle leve di controllo dell'avvocatura stessa. ma ci rendiamo conto di cosa sta succedendo? i peggiori pretendono di prendere le redini, non oso pensare a dove andremo a finire. avete visto cosa e' successo con la cassa forense? io sono seriamente preoccupato, ho parlato con molti avvocati e tutti quelli senza amicizie pelose o schiavi di qualche signorotto locale non si capacitano di come certi personaggi abbiano la faccia tosta di continuare a farsi vedere in giro.
purtroppo pero' la strategia di "buttarla in caciara" finora ha funzionato e ci calcano la mano puntando ad obiettivi sempre piu' alti. ora il salto di qualita': dall'oua al cnf.

non dobbiamo permetterglielo, mai. poi sarebbero dolori, sconfessare il presidente di un organo "politico" come l'oua e' relativamente semplice, contrastare il cnf molto meno. fino ad ora il cnf era sinonimo di serieta', cosa potrebbe diventare? mi vengono i brividi....

Da: X giustiniano01/09/2010 17:06:18
Forse dimentichi che per i tre anni di purgatorio devi consegnare il certificato di iscrizione all'albo professionale di origine e questo il controllo che intendevo e solo quello

Da: x  GIUSTINIANO01/09/2010 17:06:35
Questo ti fa capire le idee chiare che hanno ................

Da: la peste01/09/2010 17:16:48
Ma da quello che si legge e dalle reazioni inconsulte un profano si chiederebbe "tanto timore di questa convocazione non sara mica dovuto agli scheletri che si occultano o si tentano di occultare

Da: x tutti01/09/2010 17:24:18

cercavate il Giudice competente eccolo


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo - Primo Presidente

Dott. PAPA Enrico - Presidente di Sezione

Dott. SETTIMJ Giovanni - Consigliere

Dott. MERONE Antonio - Consigliere

Dott. FORTE Fabrizio - Consigliere

Dott. NAPPI Aniello - Consigliere

Dott. TOFFOLI Saverio - Consigliere

Dott. SPIRITO Angelo - Consigliere

Dott. TIRELLI Francesco - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Pa. Se., elettivamente domiciliato in Roma, via Pacuvio 34, presso lo studio dell'avv. ROMANELLI GUIDO, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti unitamente all'avv. Vincenzo Coppola;

- ricorrente -

contro

Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Bergamo e Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione;

- intimati -

per la cassazione della decisione n. 52/2008, depositata il 9/6/2008 dal Consiglio Nazionale Forense;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/11/2008 dal Relatore Cons. Dott. Francesco Tirelli;

Sentito l'avv. Romanelli;

Udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona dell'Avvocato Generale Dott. NARDI Vincenzo, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

La Corte:

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 29/9/2008, Pa. Se. ha proposto ricorso contro la decisione in epigrafe indicata, chiedendone la cassazione con ogni consequenziale statuizione.

Nessuno degli intimati ha resistito con controricorso e la controversia e' stata decisa all'esito della pubblica udienza del 18/11/2008.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Dalla lettura della sentenza impugnata e del ricorso contro di essa proposto emerge in fatto che in data 16/10/2006, Pa. Se. ha presentato al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Bergamo domanda d'iscrizione nel Registro Speciale dei praticanti avvocati.

Considerato che il richiedente prestava servizio come carabiniere, il Consiglio dell'Ordine l'ha dapprima iscritto con riserva di verifica dell'eventuale esistenza di una causa d'incompatibilita' e poi, decorso il primo semestre di pratica, l'ha cancellato in applicazione del R.D.L. n. 1578 del 1933, articolo 3.

Il Pa. ha impugnato la relativa delibera davanti al Consiglio Nazionale Forense deducendo, per quanto ancora interessa in questa sede, la mancata concessione di un termine a difesa non inferiore a dieci giorni, l'inestensibilita' delle ipotesi d'incompatibilita' di cui al R.D.L. n. 1578 del 1933, articolo 3, ai praticanti non ammessi al patrocinio e, in ogni caso, l'avvenuta rimozione di qualunque occasione di sospetto mediante la richiesta di esonero dalla pratica professionale in conseguenza della partecipazione alla Scuola di specializzazione delle professioni forensi di Brescia.

Con la sentenza in epigrafe indicata, il Consiglio Nazionale Forense ha disatteso la prima doglianza sottolineando in proposito che pur non essendogli stato assegnato il termine di legge, il Pa. era ugualmente comparso davanti al Consiglio locale senza chiedere alcun rinvio ed, anzi, difendendosi compiutamente nel merito.

Cio' posto, il Consiglio Nazionale ha poi ricordato che in base al R.D.L. n. 1578 del 1933, articolo 3, l'iscrizione all'albo era incompatibile con qualsiasi impiego pubblico e comportava dei doveri che riguardavano tutti gli avvocati e i praticanti, a proposito dei quali il Decreto del Presidente della Repubblica n. 101 del 1990, articolo 1 aveva puntualizzato che il tirocinio doveva essere svolto con assiduita', diligenza, lealta' e riservatezza ed implicava il compimento delle attivita' proprie della professione indipendentemente dall'ammissione o meno alla difesa.

Tenuto conto di quanto sopra e non dimenticato che l'obbligo di denuncia che il Pa. aveva come carabiniere contrastava con i doveri di segretezza e fedelta' cui era, invece, sottoposto l'avvocato, il Consiglio Nazionale ha rigettato il gravame, aggiungendo che "l'iscrizione alla Scuola di Specializzazione delle Professioni Legali del Dott. Pa. non puo' costituire espediente utile ad aggirare una situazione di incompatibilita' che, nei fatti, sussiste per le ragioni sopra esposte, fino a quando il ricorrente e' dipendente dell'Arma dei Carabinieri".

Il Pa. ha proposto ricorso per cassazione articolato su quattro motivi, con il primo dei quali ha dedotto la "violazione dell'articolo 24 Cost., e del Regio Decreto 22 gennaio 1934, n. 37, articolo 45", in quanto la mancata concessione di un adeguato termine a difesa costituiva causa di nullita' della deliberazione di cancellazione indipendentemente dal comportamento tenuto dall'iscritto.

Con il secondo motivo, il Pa. ha invece dedotto la "violazione e falsa applicazione del Regio Decreto 22 gennaio 1934, n. 37, articoli 13 e 14, nonche' eccesso di potere; violazione e falsa applicazione del R.D.L. n. 1578 del 1933, articolo 3, violazione degli articoli 2, 3, 4 e 41 Cost.", in quanto le incompatibilita' previste dall'articolo 3, sopraindicato riguardavano unicamente l'"esercizio della professione" di avvocato, tant'era che per estenderle ai soli praticanti ammessi al patrocinio, il Legislatore aveva sentito la necessita' di emanare una disposizione espressa che dimostrava, a contrariis, la loro inapplicabilita' agli altri praticanti.

Con il terzo motivo, il Pa. ha inoltre dedotto "la violazione e falsa applicazione del Regio Decreto 22 gennaio 1934, n. 37, articolo 14, comma 3, nonche' della Legge n. 127 del 1997, articolo 17 comma 114, e del Decreto Ministeriale n. 475 del 2001 articolo 1. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio", perche' il Consiglio Nazionale non avrebbe potuto liquidare come un mero espediente la sua richiesta di avvalersi dell'esonero dall'attivita' di studio e dalle udienze, in quanto con essa era stata comunque fugata qualsiasi perplessita' e, quindi, anche quella specificamente legata al suo lavoro di carabiniere. Con il quarto motivo, il Pa. ha infine dedotto "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio", in quanto il Consiglio Nazionale non si era minimamente pronunciato sull'ulteriore obiezione di assoluta disparita' di trattamento che il Consiglio locale aveva posto in essere decidendo il suo caso in maniera totalmente difforme da quanto aveva fatto in una vicenda simile, in cui un agente di P.S. era stato regolarmente ammesso allo svolgimento della pratica ed al successivo esame di abilitazione.

Cosi' riassunte le doglianze del Pa., osserva il Collegio che il problema posto con il primo motivo e' gia' venuto all'esame delle Sezioni Unite, che con sentenza n. 831/1971 l'hanno risolto nel senso di attribuire efficacia sanante al comportamento del professionista, che pur avendo ricevuto un termine inferiore a dieci giorni, si astenga dall'eccepirlo davanti al Consiglio dell'Ordine.

Trattandosi di affermazione che il Collegio condivide e ribadisce, il primo motivo del ricorso va rigettato con l'enunciazione del seguente principio di diritto: "mirando a consentire la preparazione di un'adeguata difesa, la concessione di un termine inferiore a quello previsto dal Regio Decreto 22 gennaio 1934, n. 37, articolo 45, integra una nullita' sanabile dal comportamento dell'interessato che comparendo davanti al Consiglio dell'Ordine, non se ne dolga ma si limiti ad esporre le proprie ragioni nel merito".

Passando adesso all'esame del secondo motivo, giova premettere che al pari del Consiglio locale, anche quello nazionale non si e' spinto affatto a sostenere che la qualita' di carabiniere costituiva una causa d'incompatibilita' ulteriore rispetto a quelle previste dal R.D.L. n. 1578 del 1993, articolo 3, ma si e' limitato ad osservare che il lavoro svolto dal Pa. (ed i doveri da esso derivanti) rappresentavano la riprova evidente della sua inconciliabilita' con lo svolgimento della pratica professionale. L'attivita' di agente di P.G. del Pa. non ha costituito, cioe', un distinto motivo di rigetto del gravame, ma un semplice argomento di supporto dell'unica ratio decidendi che, come gia' detto, e' consistita unicamente nel fatto che l'interessato era un dipendente pubblico e, come tale, insuscettibile d'iscrizione ai sensi del R.D.L. n. 1578 del 1993, articolo 3.

Questo, e non altro, essendo stato il contenuto della decisione del CNF, occorre accertare se la normativa di settore estende davvero le cause d'incompatibilita' pure ai praticanti non ammessi al patrocinio.

A questo proposito, non va dimenticato devesi rilevare che dovendo contribuire a dare concreta attuazione al diritto di difesa, l'avvocato ha bisogno di poter espletare il proprio mandato in piena indipendenza di giudizio e d'iniziativa e, cioe', al riparo da condizionamenti giuridici o di fatto che potrebbero influenzarlo in senso difforme dall'interesse del cliente (v., in tal senso, anche Corte cost. 2001/189).

A tal fine, e salvo alcune eccezioni che qui non rilevano, il R.D.L. n. 1578 del 1933, articolo 3, stabilisce, fra l'altro, che l'esercizio della professione di avvocato e' "incompatibile con qualunque impiego od ufficio retribuito con stipendio sul bilancio dello Stato, delle Province, dei Comuni, delle istituzioni pubbliche di beneficenza, della Banca d'Italia, del gran magistero degli ordini cavaliereschi, del Senato, della Camera dei deputati ed in generale di qualsiasi altra Amministrazione od istituzione pubblica soggetta a tutela o vigilanza dello Stato, delle Province e dei Comuni.

E' infine incompatibile con ogni altro impiego retribuito, anche se consistente nella prestazione di opera di assistenza o consulenza legale, che non abbia carattere scientifico o letterario".

Sia il tenore letterale delle parole usate che lo scopo da esse perseguito dimostrano che trattasi di norma collegata all'esercizio concreto della professione, di cui vuole garantire l'autonomia, come del resto ultimamente riaffermato da queste stesse Sezioni Unite con sentenza n. 19496/2008 e, soprattutto confermato dal Regio Decreto n. 37 del 1934, articoli 1 e 13, i quali riconoscono l'applicabilita' del R.D.L. n. 1578 del 1933, articolo 3, solo con riferimento ai praticanti ammessi al patrocinio.

Tenuto allora conto delle surricordate finalita' della norma nonche' del fatto che, secondo i principi, l'esplicita previsione della incompatibilita' soltanto per i praticanti ammessi al patrocinio equivale ad indiretta, ma indubbia esclusione della sua applicabilita' nei confronti dei praticanti che non svolgono attivita' difensiva, puo' senz'altro concludersi nel senso che nel sistema inizialmente tracciato dal Legislatore quest'ultimi potevano svolgere lei pratica pure nella ipotesi in cui si fossero trovati in una delle condizioni previste dal R.D.L. n. 1578 del 1933, articolo 3.

Cio' posto, rimane da chiedersi se tale sistema non sia stato per caso innovato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 101 del 1990, articolo 1 che come ricordato dal Consiglio nazionale ha tenuto a puntualizzare che la pratica legale "comporta il compimento delle attivita' proprie della professione".

La risposta al quesito, pero', non puo' essere che negativa ove si consideri che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 101 del 1990 non ha parificato affatto le due categorie di praticanti, ma le ha mantenute distinte preoccupandosi, per di piu', di chiarire che i cambiamenti da esso apportati comportavano unicamente la sostituzione del Regio Decreto n. 37 del 1934, articoli 5, 6, 7, 9 e 71, ma non degli articoli 1 e 13, che, come si e' visto, estendono le incompatibilita' previste per gli avvocati ai soli praticanti ammessi al patrocinio.

Dovendo essere percio' apprezzata alla luce della perdurante vigenza delle predette disposizioni, con le quali va necessariamente armonizzata, la precisazione contenuta nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 101 del 1990, articolo 1 finisce col perdere ogni capacita' espansiva del R.D.L. n. 1578 del 1933, articolo 3, che, peraltro, data pure la difficolta' di derivare da generiche disposizioni l'introduzione (implicita) di limitazioni o doveri prima inesistenti, non avrebbe potuto esserle riconosciuta nemmeno in caso di sua lettura separata dal contesto che, giova ribadirlo, non ricollega l'incompatibilita' al mero compimento di atti tipici della professione, bensi' all'assunzione ed allo svolgimento del mandato difensivo, che i praticanti non ammessi al patrocinio non ricevono.

Il Consiglio Nazionale ha tuttavia dubitato della logicita' dell'anzidetta interpretazione, sottolineando che il riconoscimento del diritto del Pa. all'iscrizione condurrebbe al paradosso di un praticante che in tale qualita' potrebbe venire a conoscenza di fatti che sempre come praticante dovrebbe tenere riservati, mentre come carabiniere avrebbe l'obbligo di denunciare.

Il rilievo e' certamente suggestivo, ma non insuperabile perche' anche a prescindere da quanto gia' osservato dalla succitata Corte Cost. 2001/189 in ordine al "conflitto di appartenenze" introdotto dalla Legge n. 662 del 1996, articolo 1, commi 56 e 56 bis, si tratterebbe pur sempre di una mera eventualita' comunque scongiurabile mediante l'adozione di opportuni accorgimenti di fatto fra cui, per esempio, quello di circoscrivere la pratica a determinati settori o a casi preventivamente valutati dall'affidatario.

Il pericolo prospettato dal Consiglio Nazionale sembra, cioe', idoneo a dimostrare soltanto la possibilita' di (seppur non trascurabili) problemi pratici, ma non l'esistenza di una vera e propria preclusione di carattere generale ed astratto che, oltretutto, non riguarderebbe tutti i dipendenti pubblici e privati, ma soltanto una ristretta cerchia di persone, per cui non potrebbe essere valorizzata ne' per inferirne l'incompatibilita' dei soli agenti ed ufficiali di PG (dato che il R.D.L. n. 1578 del 1933, articolo 3, contiene una previsione di carattere generale, non limitata ad una ristretta categoria di soggetti) ne', meno che mai alla totalita' dei lavoratori, dato che cosi' facendo si arriverebbe alla conseguenza (questa si' sproporzionata ed illogica) di "colpire" un'intera classe per rimediare ad un inconveniente proprio di una minima parte di essa.

Anche per tali motivi, dunque, la soluzione del Consiglio nazionale suscita forti perplessita' che aumentano ancora di piu' ove si consideri che precludendo, a chi ne avrebbe i mezzi, la possibilita' di migliorare soltanto perche' si e' trovato nella condizione di aver dovuto accettare un lavoro insoddisfacente o non piu' adeguato, introduce uno sbarramento non esattamente in linea con i valori fondamentali dell'ordinamento.

Ne' varrebbe in contrario replicare che, pertanto, l'estensione della incompatibilita' ai praticanti non comporterebbe alcun sostanziale sbarramento, ma una semplice anticipazione di quanto sarebbe, dopo, inevitabile, visto che per iscriversi all'albo ed esercitare la professione, il praticante che abbia superato l'esame deve necessariamente dimettersi dal lavoro pubblico o privato eventualmente svolto.

L'obiezione non potrebbe essere infatti condivisa non soltanto per la gravita' del rischio che si chiederebbe di correre all'interessato (chiamato a rinunciare ad un lavoro certo e remunerato per svolgere un lungo apprendistato, non sempre adeguatamente retribuito, e sostenere infine una prova che potrebbe anche non superare), ma anche per la non infrequente possibilita' che taluno decida di affrontare la pratica e l'esame di avvocato non in vista di un immediato cambio di attivita', ma per precostituirsi il titolo necessario al suo futuro esercizio, magari dopo il raggiungimento di una sufficiente anzianita' contributiva (e cio' senza tenere conto delle possibilita' offerte dalla surricordata Legge n. 662 del 1996, articolo 1, commi 56 e 56 bis, che ha rimosso le incompatibilita' fra impiego pubblico part-time e professioni intellettuali).

Il secondo motivo del ricorso dev'essere pertanto accolto, con l'enunciazione del seguente principio di diritto: "trattandosi di preclusioni volte a garantire l'autonomo ed indipendente svolgimento del mandato professionale, le incompatibilita' di cui al R.D.L. n. 1578 del 1933, articolo 3, non si applicano ai praticanti non ammessi al patrocinio, che possono di conseguenza essere iscritti nell'apposito Registro Speciale anche se legati da un rapporto di lavoro con soggetti pubblici o privati".

Ne deriva l'assorbimento del terzo e del quarto motivo e la cassazione della decisione impugnata senza rinvio degli atti al giudice a quo, perche' non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo' essere decisa nel merito mediante l'annullamento della delibera del Consiglio dell'Ordine di Bergamo di cancellazione del Pa. dal Registro Speciale dei praticanti avvocati.

Avuto riguardo alla novita' della questione, stimasi equo compensare fra le parti le spese dell'intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione, a sezioni unite, rigetta il primo motivo del ricorso, accoglie il secondo, dichiara assorbiti il terzo e il quarto, cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, annulla la delibera del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Bergamo di cancellazione del Pa. dal Registro Speciale dei praticanti avvocati, compensando le spese dell'intero giudizio fra le parti.





Da: x tutti01/09/2010 17:26:21
Ancora dubbi relativi alla competenza per materia (infranazionale)?

Da: Giustiniano01/09/2010 17:27:28
No, i timori sono dati dal fatto che lo stesso CNF ha detto che è MOLTO difficile stabilire dei canoni per la valutazione in quanto non v'è alcuna legge o regolamento di riferimento. Solo una sentenza che dice che è legittimo un controllo... se adesso nella prossima riunione quelli si inventano che i stabiliti dovevano vestirsi di verde, o avere 10 anni di cause penali, 5 di civile e 1 anno di amministrativo alle spalle in spagna e non aver mai preso una multa per divieto di sosta, capisci bene che un controllo postumo è assolutamente "arbitrario"...
io per dirla tutta sono nella situazione di essermi veramente trasferito per un periodo in spagna, lavoricchiavo presso uno studio e nel frattempo ho fatto un master di diritto, di quest'ultimo ho ovviamente anche i crediti formativi all'attivo, ma della pratica non ho un bel nulla e avendo piantato lo studio in malo modo per motivi personali al momento dell'avvenuta iscrizione in italia, non è facile per me dare evidenza della pratica svolta... se me l'avessero chiesto al momento dell'iscrizione sarebbe stato tutto più facile e nel frattempo non avrei preso impegni (morali ed economici di grosso rilievo) qui in italia...
secondo voi sarebbe legittimo richiamare un avv. già iscritto dopo aver passato scritti e orali in italia un paio di anni fa dicendogli: abbiamo pensato che lo scritto che hai passato era troppo semplice, vieni qui che adesso te lo facciamo rifare, se non passi sei fuori!

Da: BEH01/09/2010 17:28:26
Ho sentito ripetutamente su emittenti che si interessano di politica, che è partita una iniziativa parlamentare di cd. contro-riforma forense.
Sapete che è?

Da: x tutti01/09/2010 17:28:34
Esauriti i vari gradi infranazionali ci si può avvalere degli organi giudiziari Europei.

Da: x Giustiniano01/09/2010 17:31:51
Dopo aver finito il purgatorio e l'iscrizione all'albo degli avvocato non sarebbe giusto.

Da: Giustiniano01/09/2010 17:39:32
Ma quale purgatorio, che dici??? Non è un purgatorio per nulla, non è scritto da nessuna parte, si è avv. stabiliti e con pieni "poteri", tranne l'agire d'intesa dal momento dell'inscrizione... che ne sarebbe dei miei clienti? quanti alla luce dell'iscrizione hanno fatto scelte economiche irreversibili???

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