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INPS, 296 ispettori di vigilanza
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Da: infatti19/10/2009 08:28:15
il signore in questione non sarà certo invitato a prendere il caffè dai suoi colleghi, qualora risultasse idoneo e poi assunto....E' vero che l'inps potrebbe risolvere facilmente la questione evitando il merito e inserendolo in graduatoria, ma ciò creerebbe un grave precedente ....

Da: io19/10/2009 08:34:02
Nel consultare questo forum, ho notato che oltre alla preoccupazione per i ricorsi presentati, il comitato parla di una assunzione di tutti gli idonei. Tuttavia nessun riferimento viene fatto circa il tempo di durata della graduatoria.
Secondo il bando quest'ultima rimarrà aperta solo due anni.
dopo che succederà?

Da: io19/10/2009 09:16:04
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 28 agosto 2009


  Autorizzazione  ad assumere personale nelle amministrazioni ed enti
pubblici non economici. (09A11840)

                   IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

  Visto l'art. 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449,  e successive
modificazioni,   ed  in  particolare  il  comma  3-ter  del  medesimo
articolo;
  Vista  la  legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante disposizioni per
la  formazione  del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria   2005)  ed  in  particolare  l'art.  1,  comma  47,  che
disciplina  la mobilita' tra amministrazioni in regime di limitazione
alle assunzioni di personale a tempo indeterminato;
  Vista  la  legge 23 dicembre 2005, n. 266, recante disposizioni per
la  formazione  del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 2006);
  Vista  la  legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante disposizioni per
la  formazione  del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 2007);
  Vista  la  legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante disposizioni per
la  formazione  del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 2008);
  Visto  il  decreto-legge  25  giugno  2008, n. 112, convertito, con
modificazioni,  dalla  legge  del  6  agosto  2008,  n.  133, recante
disposizioni   urgenti   per  lo  sviluppo,  la  semplificazione,  la
competitivita',  la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria;
  Visto  l'art.  1,  comma 527, della predetta legge n. 296 del 2006,
cosi' come sostituito dall'art. 66, comma 6, del citato decreto-legge
n.   112  del  2008,  il  quale  prevede  che,  per  l'anno  2008  le
amministrazioni  di  cui  al comma 523 possono procedere ad ulteriori
assunzioni  di  personale  a  tempo  indeterminato,  previo effettivo
svolgimento   delle   procedure   di  mobilita',  nel  limite  di  un
contingente  complessivo  di  personale  corrispondente  ad una spesa
annua  lorda  pari  a  75  milioni  di  euro  a regime. A tal fine e'
istituito  un  apposito fondo nello stato di previsione del Ministero
dell'economia  e  delle  finanze pari a 25 milioni di euro per l'anno
2008 ed a 75 milioni di euro a decorrere dall'anno 2009;
  Viste  le  note  con le quali le Amministrazioni, hanno chiesto, ai
sensi  dell'art. 1, comma 527, della predetta legge 27 dicembre 2006,
n.  296,  l'assunzione  a  tempo  indeterminato di personale di varie
qualifiche;
  Vista l'istruttoria sulle richieste pervenute dalle amministrazioni
interessate,  ai  sensi dell'art. 39 della legge 27 dicembre 1997, n.
449, e successive modificazioni;
  Considerato   che   le   richieste   di   assunzione   superano  la
disponibilita' del fondo;
  Ritenuto  di  privilegiare  le  richieste di assunzione provenienti
dalle   amministrazioni  che  non  hanno  beneficiato  delle  risorse
finanziarie  dovute  ai risparmi per cessazioni di personale, nonche'
le richieste relative alle assunzioni di vincitori di concorso;
  Ritenuto che, ai fini della determinazione e del calcolo dell'onere
finanziario complessivo, si tiene conto del differenziale concernente
la  spesa  annua  lorda solo nel caso di assunzioni di personale gia'
dipendente della medesima amministrazione;
  Visto il decreto del Presidente della Repubblica in data 14 gennaio
2009,  registrato  alla Corte dei conti il 20 febbraio 2009, registro
n.  2,  foglio  n.  12,  con  il  quale,  a valere sul fondo previsto
dall'art.  1,  comma  527,  della predetta legge 27 dicembre 2006, n.
296,  calcolato  al  netto  delle risorse previste dalle disposizioni
normative  richiamate  nel  citato  decreto,  sono  state autorizzate
assunzioni  per  una  spesa  complessiva annua lorda pari a 5.719.242
euro  a  decorrere dall'anno 2009, con conseguente residuo di risorse
finanziarie  utilizzabili  per  le  assunzioni  di  cui  al  presente
provvedimento, pari a 36.839.119 euro a regime;
  Ritenuto di autorizzare in favore delle amministrazioni richiedenti
un  contingente di n. 1.370 unita', di cui 190 progressioni verticali
e   250   unita'   di   incremento   di   percentuale  di  part-time,
corrispondente  ad  una  spesa  annua  lorda  pari  ad  euro a regime
36.838.883 a decorrere dall'anno 2009;
  Visti i commi 1, 5 e 6 del citato art. 74, del decreto-legge n. 112
del  2008,  concernenti,  rispettivamente, la riduzione degli assetti
organizzativi,  la  dotazione  organica  provvisoria  e  le  sanzioni
previste in caso di mancato adempimento di quanto sancito dai commi 1
e 4 dello stesso articolo;
  Visto  il  decreto-legge  30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con
modificazioni,  dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14 ed il particolare
l'art.  41,  comma  3,  il quale prevede che il termine per procedere
alle  assunzioni  di  personale relative alle cessazioni verificatesi
nell'anno 2007, di cui all'art. 1, comma 527, della legge 27 dicembre
2006,  n.  296,  e  successive  modificazioni,  e'  prorogato  al  30
settembre  2009  e le relative autorizzazioni possono essere concesse
entro il 30 giugno 2009;
  Visto  il  decreto-legge  1°  luglio  2009,  n. 78, convertito, con
modificazioni,  dalla  legge 3 agosto 2009, n. 102, ed in particolare
l'art.  17,  comma 16, il quale proroga il termine per procedere alle
assunzioni  a tempo indeterminato di cui all'art. 1, comma 527, della
legge  27  dicembre 2006, n. 296, come modificato dall'art. 66, comma
6,  del  decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112,  convertito,  con
modificazioni,  dalla  legge  6  agosto  2008,  n.  133, e successive
modificazioni,  al  31  dicembre  2010  stabilendo  che  le  relative
autorizzazioni possono essere concesse entro il 31 dicembre 2009;
  Visto  il  citato  decreto-legge  1°  luglio  2009,  n.  78,  ed in
particolare  l'art.  17,  comma 7, il quale prevede che dalla data di
entrata  in  vigore dello stesso decreto le amministrazioni vigilanti
su  enti  ed  organismi pubblici statali, nonche' strutture pubbliche
statali  o  partecipate dallo Stato, anche in forma associativa e gli
enti   interessati,   fino   al   conseguimento  degli  obiettivi  di
contenimento  della  spesa  assegnati a ciascuno ai sensi del comma 3
dello  stesso  art.  17,  non possono procedere a nuove assunzioni di
personale  a  tempo  determinato e indeterminato, ivi comprese quelle
gia'  autorizzate  e  quelle previste da disposizioni speciali, fatte
salve  le  assunzioni  dei  corpi di polizia, delle Forze armate, del
Corpo  nazionale  dei Vigili del fuoco, delle universita', degli enti
di  ricerca,  del personale di magistratura e del comparto scuola nei
limiti consentiti dalla normativa vigente;
  Visto  l'art.  6,  comma 1, del citato decreto legislativo 30 marzo
2001,  n. 165, ai sensi del quale nell'individuazione delle dotazioni
organiche, le amministrazioni non possono determinare, in presenza di
vacanze  di  organico, situazioni di soprannumerarieta' di personale,
anche  temporanea,  nell'ambito dei contingenti relativi alle singole
posizioni economiche delle aree funzionali e di livello dirigenziale;
  Vista  la  deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella
riunione del 31 luglio 2009;
  Sulla  proposta  del  Ministro  per  la  pubblica amministrazione e
l'innovazione e del Ministro dell'economia e delle finanze;

                              Decreta:


                               Art. 1.



  1.  Ai  sensi dell'art. 1, comma 527, della legge 27 dicembre 2006,
n.  296,  ed  a  valere  sul  fondo ivi previsto, sono autorizzate le
assunzioni  di  cui alla Tabella allegata al presente decreto, per un
contingente  di personale a tempo indeterminato pari a complessive n.
1.370  unita',  di  cui  190  progressioni  verticali e 250 unita' di
incremento  di  percentuale di part-time, corrispondente ad una spesa
complessiva annua lorda pari ad euro 36.838.883 a decorrere dall'anno
2009  ripartito, per ciascuna amministrazione, secondo le indicazioni
di cui alla medesima tabella.
  2.  Le  amministrazioni  che  non hanno provveduto agli adempimenti
previsti  dall'art.  74  del  decreto-legge  25  giugno 2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, non
possono  procedere  alle assunzioni di personale a qualsiasi titolo e
con qualsiasi tipo di contratto.
  3.  Rimane  fermo il blocco delle assunzioni previsto dall'art. 17,
comma  7,  del  citato  decreto-legge  1°  luglio  2009,  n. 78, come
richiamato nelle premesse del presente decreto.
  4.   Ai   fini   della  determinazione  e  del  calcolo  dell'onere
finanziario complessivo, si tiene conto del differenziale concernente
la  spesa  annua  lorda  esclusivamente  nel  caso  di  assunzioni di
personale gia' dipendente della medesima amministrazione. Pertanto il
relativo  onere  viene  valutato in termini di differenziale di costo
tra  le  qualifiche di provenienza e di destinazione nel solo caso di
richieste  di  assunzione  di  personale gia' dipendente della stessa
amministrazione.
  5.   L'autorizzazione  di  cui  al  presente  decreto  relativa  ad
assunzioni  di  personale  riferite  allo  scorrimento o all'utilizzo
delle  graduatorie  da parte delle amministrazioni di cui al comma 1,
e'  subordinata,  ove previsto, alla condizione dell'espletamento del
procedimento  di cui all'art. 34-bis del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165.
  6.   Alla  copertura  dell'onere  a  carico  delle  amministrazioni
interessate  si  provvede  mediante  utilizzo  delle risorse iscritte
nell'ambito della missione «Fondi da ripartire» - Programma «Fondi da
assegnare»  -  U.P.B.  25.1.3.  «Oneri  comuni  di  parte corrente» -
capitolo  3032, dello stato di previsione del Ministero dell'economia
e  delle  finanze  per  l'anno 2009 e corrispondenti capitoli per gli
esercizi successivi.
  7.  Le  amministrazioni  di  cui  al  comma 1 che intendano avviare
assunzioni  per  unita'  di  personale  appartenenti  a  categorie  e
professionalita'   diverse  rispetto  a  quelle  autorizzate  con  il
presente  decreto, fermo restando il limite delle risorse finanziarie
assegnate  a ciascuna amministrazione, non possono procedere senza la
preventiva autorizzazione da parte della Presidenza del Consiglio dei
Ministri - Dipartimento per la funzione pubblica,
  Ufficio  per  il  personale  delle pubbliche amministrazioni, e del
Ministero   dell'economia   e  delle  finanze  -  Dipartimento  della
ragioneria  generale dello Stato, IGOP. E' ammessa un'unica richiesta
di rimodulazione.
  8.  Le  amministrazioni  di cui al comma 1 sono tenute, entro il 31
marzo  2011  o  comunque  entro  il  completamento delle procedure di
assunzione, a trasmettere per le necessarie verifiche alla Presidenza
del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per la funzione pubblica,
  Ufficio  per  il  personale  delle  pubbliche amministrazioni, e al
Ministero   dell'economia   e  delle  finanze  -  Dipartimento  della
ragioneria  generale  dello Stato, IGOP, i dati concernenti il numero
dei dipendenti assunti e in corso di assunzione, distinti per profili
professionali  ed area di appartenenza, specificando se a tempo pieno
o ridotto, indicando in tale caso la tipologia e la quota percentuale
del  part-time,  nonche'  l'eventuale amministrazione di provenienza,
ivi inclusa la relativa qualifica funzionale o area professionale, la
spesa  annua  lorda  a  regime effettivamente da sostenere, fornendo,
altresi', dimostrazione del rispetto dei limiti di spesa previsti dal
presente decreto.
  Il  presente  decreto  sara'  inviato  alla  Corte dei conti per la
registrazione  e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana.
   Dato a Roma, addi' 28 agosto 2009
                             NAPOLITANO

                                 Berlusconi, Presidente del Consiglio
                                 dei Ministri
                                 Brunetta,  Ministro  per la pubblica
                                 amministrazione e l'innovazione
                                 Tremonti,  Ministro  dell'economia e
                                 delle finanze

Registrato alla Corte dei conti il 24 settembre 2009
Ministeri  istituzionali  -  Presidenza  del  Consiglio dei Ministri,
   registro n. 8, foglio n. 369

Da: pugliese 7819/10/2009 10:05:29
Ho appena chiamato l'ufficio concorsi inps, il signore mi ha riferito che non c'è nessun problema per il concorso, la questione riguarda solo l'idoneità dei due ricorrenti.

Da: X TUTTI19/10/2009 10:26:13
Il governo blocca gli ispettori di vigilanza"


di Flavia Spena

La politica nazionale non può non essere sensibile a problematiche sociali come quelle relative al mercato del lavoro ed in particolare allâimpiego di giovani qualificati e meritevoli allâinterno della PA che di queste figure ha necessario bisogno. Nel lontano 2007 lâINPS (Istituto nazionale per la previdenza sociale) aveva bandito un concorso pubblico per esami a 293 posti nel profilo di ispettore di vigilanza, area funzionale C, posizione economica C1 (bando pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, IV serie speciale concorsi ed esami, del 26.6.2007).
Nel luglio 2009, al termine del concorso, strutturato su 11 materie particolarmente complesse e orientato ad una forte selezione per premiare merito, competenza e professionalità, oltre ai vincitori sono risultati idonei circa 500 partecipanti, a fronte di unâuna insostenibile carenza di circa 1000 unità ispettive. La grave carenza di organico dellâente lasciava presagire lâimminente assunzione, oltre che dei vincitori, anche di un numero cospicuo di idonei. Lâentusiasmo e gli sforzi da parte dei ragazzi si sono spenti dinanzi al recente intervento normativo, il decreto legge n. 78/2009 (c.d. âdecreto anti crisiâ), allâart. 17, comma 7, ha tuttavia sancito il divieto di procedere a nuove assunzioni di personale per operare un risparmio di spesa pubblica.

Tuttavia tale scelta politica appare in evidente contrasto con lâenorme utilità economico-sociale dellâattività ispettiva. Infatti, le risorse umane impiegate nella funzione ispettiva, non rappresentano, nel bilancio dello Stato una voce passiva di costo, ma producono altresì unâentrata, riguardante i contributi evasi o omessi, che resterebbero non recuperati in assenza di un nutrito corpo di vigilanza. Lâaumento del gettito contributivo, come si può osservare esaminando i bilanci preventivi dellâI.N.P.S. per il 2009, è dovuto, tra lâaltro agli effetti della lotta allâevasione ed allâelusione contributiva, attraverso lâattività di vigilanza dellâistituto. Sono stati pari ad oltre 1,5 miliardi di euro i contributi recuperati dalla lotta al lavoro nero nei primi 365 giorni di gestione del commissario straordinario Antonio Mastrapasqua. Al di là dei termini quantitativi, lâutilità prettamente pubblicistica del ruolo si apprezza in modo significativo nel risultato che le forze ispettive di vigilanza possono raccogliere in termini di lotta al fenomeno del lavoro nero, nonchè in termini di intensificazione delle garanzie riguardanti la sicurezza sul lavoro ed in genere il miglioramento delle condizioni di lavoro. I circa 800 candidati che hanno superato le prove previste, si sono riuniti in un Comitato, il CO.F.I.V.E. (Comitato Futuri Ispettori di Vigilanza Esterni) (http://ispettorivigilanzainps.vocilibere.com/) volto a sensibilizzare la classe politica alla valutazione della possibilità di una deroga, in loro favore, allâattuale blocco delle assunzioni. Le forme di sensibilizzazione politica prescelte dal Comitato sono molto pragmatiche e dirette: ciascuno dei suoi membri si sta impegnando quotidianamente nel cercare un contatto tangibile con le istituzioni, inviando mails ai parlamentari e ai senatori. Ancora, il COFIVE sta partecipando del problema anche i sindacati e lâopinione pubblica. Ebbene, finora, questâ attività non è risultata affatto vana: il Comitato è riuscito ad ottenere la presentazione di ben tre interrogazioni parlamentari a risposta scritta da parte del Senatore Vincenzo Fasano, avvenuta lo scorso 2 ottobre, e dallâ On. Melis, e dellâOn Gnecchi wntrembe indirizzate al ministro del Welfare, che potranno portare il problema allâattenzione del massimo organo rappresentativo e gettare le basi per una seria discussione intorno alla possibilità di agevolare le assunzioni di questi âfuturiâ ispettori, attesa lâoggettiva carenza dâorganico. Eâ anche sulla base di queste piccole grandi premesse che i giovani del COFIVE vogliono fervidamente credere che il loro Parlamento non sia unâentità astratta ed irraggiungibile, ma sia â" al contrario â" un modello di potere pubblico vicino al cittadino, capace di farsi ascoltatore delle sue esigenze, in coerenza col modello relazionale con cui il potere politico, di solito, si propone e si presenta al pubblico.

Da: ehm19/10/2009 10:34:15
guarda se e lo dice il tizio dell'ufficio concorsi mi sento veramente tranquilla!!!forza flavia!

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Da: fiugdeflighrotyhreiore19/10/2009 10:52:35
niente

Da: lola19/10/2009 11:05:00
brava flavia!complimenti sei una grande! grazie per il tuo aiuto

Da: BellaeImpossibile19/10/2009 11:56:17
avvocato amministrativista (alias ricorrente), racconta il suo ricorso sul forum e cerca di convincere giovani ragazzi concorsisti che lui, si proprio lui, ha ragione, passa peciò tutta la domenica sul forum, ma non ci riesce, si arrabbia e di conseguenza rivolge insulti da troglodita a chi lo contesta= sei un fallito.

P.S. sono intevenuta sul forum - se vedi bene - solo in serata, perchè durante il pomeriggio piovoso ho fatto ben altro con il mio ragazzo che mi trova Bellae... non solo

Da: BellaeImpossibile19/10/2009 11:59:48
sono daccordo infine con uffiii, probabilmente il ricorso è stato mal articolato  e un mitomane vuole spargere il panico 

Da: BellaeImpossibile19/10/2009 12:05:44
ah, dimenticavo: leggo pure Repubblica.


N.B. il decreto su riportato è quello che autorizza 95 unità all' Inps, di cui già sappiamo

Da: ..19/10/2009 12:41:52
vi ricordo che il compito della ragazza è stato corretto perchè la bocciatura derivava proprio dalla mancata correzione dell'elaborato, mentre il ragazzo era stato regolarmente corretto.

Da: precisazione19/10/2009 13:13:31
ed ara stato bocciato perchè il compito valeva zero (0)

Da: Figa19/10/2009 13:21:33
Avete visto quello strafico di gabriel garko a c' è posta per te????? mamma mia è d' assalto, che gli farei..............

Da: Il cantastorie19/10/2009 13:22:27
La bella addormentata nel bosco

C'era una volta un Re e una Regina che erano disperati di non aver figliuoli, ma tanto disperati, da non potersi dir quanto. Andavano tutti gli anni ai bagni, ora qui ora là: voti, pellegrinaggi; vollero provarle tutte: ma nulla giovava. Alla fine la Regina rimase incinta, e partorì una bambina. Fu fatto un battesimo di gala; si diedero per comari alla Principessina tutte le fate che si poterono trovare nel paese (ce n'erano sette) perché ciascuna di esse le facesse un regalo; e così toccarono alla Principessa tutte le perfezioni immaginabili di questo mondo. Dopo la cerimonia del battesimo, il corteggio tornò al palazzo reale, dove si dava una gran festa in onore delle fate. Davanti a ciascuna di esse fu messa una magnifica posata, in un astuccio d'oro massiccio, dove c'era dentro un cucchiaio, una forchetta e un coltello d'oro finissimo, tutti guarniti di diamanti e di rubini. Ma in quel mentre stavano per prendere il loro posto a tavola, si vide entrare una vecchia fata, la quale non era stata invitata con le altre, perché da cinquant'anni non usciva più dalla sua torre e tutti la credevano morta e incantata. Il Re le fece dare una posata, ma non ci fu modo di farle dare, come alle altre, una posata d'oro massiccio, perché di queste ne erano state ordinate solamente sette, per le sette fate. La vecchia prese la cosa per uno sgarbo, e brontolò fra i denti alcune parole di minaccia. Una delle giovani fate, che era accanto a lei, la sentì, e per paura che volesse fare qualche brutto regalo alla Principessina, appena alzati da tavola, andò a nascondersi dietro una portiera, per potere in questo modo esser l'ultima a parlare, e rimediare, in quanto fosse stato possibile, al male che la vecchia avesse fatto. Intanto le fate cominciarono a distribuire alla Principessa i loro doni. La più giovane di tutte le diede in regalo che ella sarebbe stata la più bella donna del mondo: un'altra, che ella avrebbe avuto moltissimo spirito: la terza, che avrebbe messo una grazia incantevole in tutte le cose che avesse fatto: la quinta che avrebbe cantato come un usignolo: e la sesta, che avrebbe suonato tutti gli strumenti con una perfezione da strasecolare. Essendo venuto il momento della vecchia fata, essa disse tentennando il capo più per la bizza che per ragion degli anni, che la Principessa si sarebbe bucata la mano con un fuso e che ne sarebbe morta! Questo orribile regalo fece venire i brividi a tutte le persone della corte, e non ci fu uno solo che non piangesse. A questo punto, la giovane fata uscì di dietro la portiera e disse forte queste parole: "Rassicuratevi, o Re e Regina; la vostra figlia non morirà: è vero che io non ho abbastanza potere per disfare tutto l'incantesimo che ha fatto la mia sorella maggiore: la Principessa si bucherà la mano con un fuso, ma invece di morire, s'addormenterà soltanto in un profondo sonno, che durerà cento anni, in capo ai quali il figlio di un Re la verrà a svegliare". Il Re, per la passione di scansare la sciagura annunziatagli dalla vecchia, fece subito bandire un editto, col quale era proibito a tutti di filare col fuso e di tenere fusi per casa, pena la vita. Fatto sta, che passati quindici o sedici anni, il Re e la Regina essendo andati a una loro villa, accadde che la Principessina, correndo un giorno per il castello e mutando da un quartiere all'altro, salì fino in cima a una torre, dove in una piccola soffitta c'era una vecchina, che se ne stava sola sola, filando la sua rocca. Questa buona donna non sapeva nulla della proibizione fatta dal Re di filare col fuso. "Che fate voi, buona donna?", disse la Principessa. "Son qui che filo, mia bella ragazza", le rispose la vecchia, che non la conosceva punto. "Oh! carino, carino tanto!", disse la Principessa, "ma come fate? datemi un po' qua, che voglio vedere se mi riesce anche a me." Vivacissima e anche un tantino avventata com'era (e d'altra parte il decreto della fata voleva così), non aveva ancora finito di prendere in mano il fuso, che si bucò la mano e cadde svenuta. La buona vecchia, non sapendo che cosa si fare, si mette a gridare aiuto. Corre gente da tutte le parti; spruzzano dell'acqua sul viso alla Principessa: le sganciano i vestiti, le battono sulle mani, le stropicciano le tempie con acqua della Regina d'Ungheria; ma non c'è verso di farla tornare in sé. Allora il Re, che era accorso al rumore, si ricordò della predizione delle fate: e sapendo bene che questa cosa doveva accadere, perché le fate l'avevano detto, fece mettere la Principessa nel più bell'appartamento del palazzo, sopra un letto tutto ricami d'oro e d'argento. Si sarebbe detta un angelo, tanto era bella: perché lo svenimento non aveva scemato nulla alla bella tinta rosa del suo colorito: le gote erano di un bel carnato, e le labbra come il corallo. Ella aveva soltanto gli occhi chiusi: ma si sentiva respirare dolcemente; e così dava a vedere che non era morta. Il Re ordinò che la lasciassero dormire in pace finché non fosse arrivata la sua ora di destarsi. La buona fata, che le aveva salvata la vita, condannandola a dormire per cento anni, si trovava nel regno di Matacchino, distante di là dodici mila chilometri, quando capitò alla Principessa questa disgrazia: ma ne fu avvertita in un baleno da un piccolo nano che portava ai piedi degli stivali di sette chilometri (erano stivali, coi quali si facevano sette chilometri per ogni gambata). La fata partì subito, e in men di un'ora fu vista arrivare dentro un carro di fuoco, tirato dai draghi. Il Re andò ad offrirle la mano, per farla scendere dal carro. Ella diè un'occhiata a quanto era stato fatto: e perché era molto prudente, pensò che quando la Principessa venisse a svegliarsi, si vedrebbe in un brutto impiccio, a trovarsi sola sola in quel vecchio castello; ed ecco quello che fece. Toccò colla sua bacchetta tutto ciò che era nel castello (meno il Re e la Regina) governanti, damigelle d'onore, cameriste, gentiluomini, ufficiali, maggiordomi, cuochi, sguatteri, lacchè, guardie, svizzeri, paggi e servitori; e così toccò ugualmente tutti i cavalli, che erano nella scuderia coi loro palafrenieri e i grossi mastini di guardia nei cortili e la piccola Puffe, la canina della Principessa, che era accanto a lei, sul suo letto. Appena li ebbe toccati, si addormentarono tutti, per risvegliarsi soltanto quando si sarebbe risvegliata la loro padrona, onde trovarsi pronti a servirla in tutto e per tutto. Gli stessi spiedi, che giravano sul fuoco, pieni di pernici e di fagiani si addormentarono: e si addormentò anche il fuoco. E tutte queste cose furono fatte in un batter d'occhio; perché le fate sono sveltissime nelle loro faccende. Allora il Re e la Regina, quand'ebbero baciata la loro figliuola, senza che si svegliasse, uscirono dal castello, e fecero bandire che nessuno si fosse avvicinato a quei pressi. E la proibizione non era nemmeno necessaria, perché in meno d'un quarto d'ora crebbe, lì dintorno al parco, una quantità straordinaria di alberi, di arbusti, di sterpi e di pruneti, così intrecciati fra loro, che non c'era pericolo che uomo o animale potesse passarvi attraverso. Si vedevano appena le punte delle torri del castello: ma bisognava guardarle da una gran distanza. E anche qui è facile riconoscere che la fata aveva trovato un ripiego del suo mestiere, affinché la Principessa, durante il sonno, non avesse a temere l'indiscretezza dei curiosi. In capo a cent'anni, il figlio del Re che regnava allora, e che era di un'altra famiglia che non aveva che far nulla con quella della Principessa addormentata, andando a caccia in quei dintorni, domandò che cosa fossero le torri che si vedevano spuntare al di sopra di quella folta boscaglia. Ciascuno gli rispose, secondo quello che ne avevano sentito dire: chi gli diceva che era un vecchio castello abitato dagli spiriti; chi raccontava che tutti gli stregoni del vicinato ci facevano il loro sabato. La voce più comune era quella che ci stesse di casa un orco, il quale portava dentro tutti i ragazzi che poteva agguantare, per poi mangiarseli a suo comodo, e senza pericolo che qualcuno lo rincorresse, perché egli solo aveva la virtù di aprirsi una strada attraverso il bosco. Il Principe non sapeva a chi dar retta, quando un vecchio contadino prese la parola e gli disse: "Mio buon Principe, sarà ormai più di cinquant'anni che ho sentito raccontare da mio padre che in quel castello c'era una Principessa, la più bella che si potesse mai vedere; che essa doveva dormirvi cento anni, e che sarebbe destata dal figlio di un Re, al quale era destinata in sposa". A queste parole, il Principe s'infiammò; senza esitare un attimo, pensò che sarebbe stato lui, quello che avrebbe condotto a fine una sì bella avventura, e spinto dall'amore e dalla gloria, decise di mettersi subito alla prova. Appena si mosse verso il bosco, ecco che subito tutti gli alberi d'alto fusto e i pruneti e i roveti si tirarono da parte, da se stessi, per lasciarlo passare. Egli s'incamminò verso il castello, che era in fondo a un viale, ed entrò dentro; e la cosa che gli fece un po' di stupore, fu quella di vedere che nessuno delle sue genti aveva potuto seguirlo, perché gli alberi, appena passato lui, erano tornati a ravvicinarsi. Ma non per questo si peritò a tirare avanti per la sua strada: un Principe giovine e innamorato è sempre pien di valore. Entrò in un gran cortile, dove lo spettacolo che gli apparve dinanzi agli occhi sarebbe bastato a farlo gelare di spavento. C'era un silenzio, che metteva paura: dappertutto l'immagine della morte: non si vedevano altro che corpi distesi per terra, di uomini e di animali, che parevano morti, se non che dal naso bitorzoluto e dalle gote vermiglie dei guardaportoni, egli si poté accorgere che erano soltanto addormentati, e i loro bicchieri, dove c'erano sempre gli ultimi sgoccioli di vino, mostravano chiaro che si erano addormentati trincando. Passa quindi in un altro gran cortile, tutto lastricato di marmo; sale la scala ed entra nella sala delle guardie, che erano tutte schierate in fila colla carabina in braccio, e russavano come tanti ghiri; traversa molte altre stanze piene di cavalieri e di dame, tutti addormentati, chi in piedi chi a sedere. Entra finalmente in una camera tutta dorata, e vede sopra un letto, che aveva le cortine tirate su dai quattro lati, il più bello spettacolo che avesse visto mai, una Principessa che mostrava dai quindici ai sedici anni, e nel cui aspetto sfolgoreggiante c'era qualche cosa di luminoso e di divino. Si accostò tremando e ammirando, e si pose in ginocchio accanto a lei. In quel punto, siccome la fine dell'incantesimo era arrivata, la Principessa si svegliò, e guardandolo con certi occhi, più teneri assai di quello che sarebbe lecito in un primo abboccamento, "Siete voi, o mio Principe?", ella gli disse. "Vi siete fatto molto aspettare!" Il Principe, incantato da queste parole, e più ancora dal modo col quale erano dette, non sapeva come fare a esprimerle la sua grazia e la sua gratitudine. Giurò che l'amava più di se stesso. I suoi discorsi furono sconnessi e per questo piacquero di più; perché, poca eloquenza, grande amore! Esso era più imbrogliato di lei, né c'è da farsene meraviglia, a motivo che la Principessa aveva avuto tutto il tempo per poter pensare alle cose che avrebbe avuto da dirgli: perché, a quanto pare (la storia peraltro non ne fa parola), durante un sonno così lungo, la sua buona fata le avea regalato dei piacevolissimi sogni. Fatto sta, che erano già quattro ore che parlavano fra loro due, fitto fitto, e non si erano ancora detta la metà delle cose che avevano da dirsi. Intanto tutte le persone del palazzo si erano svegliate colla Principessa: e ciascuno aveva ripreso le sue faccende: e siccome tutti non erano innamorati, così non si reggevano in piedi dalla fame. La dama d'onore, che sentiva sfinirsi come gli altri, perdé la pazienza e disse ad alta voce alla Principessa che la zuppa era in tavola. Il Principe diede mano alla Principessa perché si alzasse: ella era già abbigliata e con gran magnificenza: ed egli fu abbastanza prudente da farle osservare, che era vestita come la mi' nonna, e che aveva un camicino alto fin sotto gli orecchi, come costumava un secolo addietro. Ma non per questo era meno bella. Passarono nel gran salone degli specchi e lì cenarono, serviti a tavola dagli ufficiali della Principessa. Gli oboè e i violini suonarono delle sinfonie vecchissime, ma sempre belle, quantunque fosse quasi cent'anni che nessuno pensava più a suonarle: e dopo cena, senza metter tempo in mezzo, il grande elemosiniere li maritò nella cappella di corte, e la dama d'onore tirò le cortine del parato. Dormirono poco. La Principessa non ne aveva un gran bisogno, e il Principe, appena fece giorno, la lasciò per ritornare in città, dove il padre suo stava in pensiero per lui. Il Principe gli dette a intendere che, nell'andare a caccia, s'era sperso in una foresta e che aveva dormito nella capanna d'un carbonaio, dove aveva mangiato del pan nero e un po' di formaggio. Quel buon uomo di suo padre, che era proprio un buon uomo, ci credé: ma non fu così di sua madre, la quale, vedendo che il figliuolo andava quasi tutti i giorni a caccia e che aveva sempre degli ammennicoli pronti per giustificarsi, tutte le volte che gli accadeva di passare tre o quattro nottate fuori di casa, finì col mettersi in capo che ci doveva essere di mezzo qualche amoretto. Perché bisogna sapere che egli passò più di due anni insieme colla Principessa, e ne ebbe due figli; di cui il maggiore, che era una femmina, si chiamava Aurora, e il secondo che era maschio, fu chiamato Giorno, comecché promettesse di essere anche più bello della sorella. La Regina si provò più volte a interrogare il figlio, e a metterlo su per levargli di sotto qualche parola: dicendogli che in questo mondo ognuno è padrone di fare il piacer suo: ma egli non si arrisicò mai a confidarle il segreto del suo cuore. Voleva bene a sua madre; ma ne aveva paura, perché essa veniva da una famiglia d'orchi, e il Re s'era indotto a sposarla unicamente a cagione delle sue grandi ricchezze. Anzi c'era in corte la diceria che ella avesse tutti gli istinti dell'orco; e che, quando vedeva passare dei ragazzetti, facesse sopra di sé degli sforzi inauditi per trattenersi dalla voglia di avventarsi su di essi e di mangiarseli vivi vivi. Ecco perché il Principe non volle mai dir nulla dei suoi segreti. Ma quando il Re morì, e questo accadde due anni dopo, e che egli diventò il padrone del regno, fece subito bandire pubblicamente il suo matrimonio e andò con grande scialo a prendere la Regina sua moglie al castello. Le fu preparato un solenne ingresso nella capitale del Regno, dov'ella entrò in mezzo ai suoi due figli. Di lì a poco tempo il Re andò a far la guerra al Re Cantalabutta, suo vicino. Lasciò la reggenza del Regno alla Regina sua madre, e le raccomandò tanto e poi tanto la moglie e i figliuoli suoi. Si contava che egli dovesse restare alla guerra tutta l'estate, che appena fu partito la Regina mandò la nuora e i suoi ragazzi in una casa in mezzo ai boschi, per poter meglio soddisfare le sue orribili voglie. Dopo qualche giorno, vi andò essa pure, e una tal sera disse al suo capo cuoco: "Domani a pranzo voglio mangiare la piccola Aurora". "Ah, signora!", esclamò il cuoco. "Voglio così", rispose la Regina; e lo disse col tono di voce d'un'orchessa, che ha proprio voglia di mangiare della carne viva. "E la voglio mangiare in salsa piccante." Quel pover'uomo del cuoco, vedendo che con un'orchessa c'era poco da scherzare, prese una grossa coltella e salì su nella camera della piccola Aurora. Ella aveva allora quattr'anni appena, e corse saltellando e ridendo a gettarglisi al collo e a chiedergli delle chicche. Egli si mise a piangere, la coltella gli cascò di mano e andò giù nella corte a sgozzare un agnellino, e lo cucinò con una salsa così buona, che la sua padrona ebbe a dire di non aver mai mangiato una cosa così squisita in tempo di vita sua. In quello stesso tempo esso aveva portato via la piccola Aurora e l'aveva data in custodia alla sua moglie, perché la nascondesse nel quartierino di sua abitazione in fondo al cortile. Otto giorno dopo quella strega della Regina disse al suo capo cuoco: "Voglio mangiare a cena il piccolo Giorno". Egli non rispose né sì né no, risoluto com'era a farle lo stesso tiro della volta passata. Andò a cercare il piccolo Giorno, e lo trovò con una spada in mano, che tirava di scherma con una grossa scimmia: eppure non aveva più di tre anni. Lo prese e lo portò alla sua moglie, la quale lo nascose insieme colla piccola Aurora: e in luogo del fanciullo, servì in tavola un caprettino di latte, che l'orchessa trovò delizioso. Fin lì le cose erano andate bene; ma una sera la malvagia Regina disse al cuoco: "Voglio mangiare la Regina, cucinata colla stessa salsa de' suoi figliuoli". Fu allora che il povero cuoco sentì cascarsi le braccia, perché non sapeva proprio come fare a ingannarla per la terza volta. La giovane Regina aveva vent'anni suonati, senza contare i cento passati dormendo; e la sua pelle, quantunque sempre bella e bianchissima, era diventata un po' tosta: e ora come trovare nello stallino un animale che avesse per l'appunto la pelle tigliosa a quel modo? Per salvare la propria vita, prese la risoluzione di tagliar la gola alla Regina e salì nella camera di lei, col fermo proposito di non dovercisi rifare due volte. Egli fece di tutto per eccitarsi e per andare in bestia, e con un pugnale in mano entrò nella camera della giovane Regina: ma non volendola prendere di sorpresa, le raccontò con grandissimo rispetto l'ordine ricevuto dalla Regina madre. "Fate pure, fate pure", ella gli disse, porgendogli il collo, "eseguite l'ordine che vi hanno dato; io andrò così a rivedere i miei figli, i miei poveri figli, che ho tanto amato." Ella li credeva morti fin dal momento che li aveva veduti sparire, senza saperne altro. "No, no, o signora", rispose il povero cuoco, tutto intenerito, "voi non morirete nient'affatto: e non lascerete per questo di andare a rivedere i vostri figliuoli: ma li vedrete a casa mia, dov'io li ho nascosti, e anche per questa volta ingannerò la Regina, facendole mangiare una giovine cervia invece di voi."
La condusse subito nella sua camera, dove, lasciandola che si sfogasse a baciare le sue creature, e a
piangere con esse, se ne andò diviato a cucinare una cervia, che la Regina mangiò per cena, col
medesimo gusto, come se avesse mangiato la giovine Regina. Ella era molto soddisfatta della sua
crudeltà; e già studiava il modo per dare a intendere al Re, quando fosse tornato, che i lupi affamati
avevano divorato la Regina sua moglie e i suoi ragazzi .
Una sera che la Regina madre, secondo il suo solito, ronzava in punta di piedi per le corti e per i
cortili, a fiutare l'odore della carne cruda, sentì in una stanza terrena il piccolo Giorno che piangeva,
perché la sua mamma lo voleva picchiare, a causa che era stato cattivo, e sentì nello stesso tempo la
piccola Aurora che implorava perdono per il suo fratellino.
L'orchessa riconobbe la voce della Regina e de' suoi figliuoli, e furibonda d'essere stata ingannata,
con una voce spaventevole, che fece tremar tutti, ordinò che la mattina dipoi fosse portata in mezzo
alla corte una gran vasca, e che la vasca fosse riempita di vipere, di rospi, di ramarri e di serpenti per
farvi gettar dentro la Regina, i figliuoli, il capo cuoco, la moglie di lui e la sua serva di casa.
Ella aveva ordinato che fossero menati tutti colle mani legate di dietro. Essi erano lì, e già i carnefici
si preparavano a gettarli nella vasca, quand'ecco che il Re, il quale non era aspettato così presto di
ritorno, entrò nella corte a cavallo: esso era venuto colla posta, e domandò tutto stupito che cosa mai
volesse dire quell'orrendo spettacolo. Nessuno aveva coraggio di aprir bocca, quando l'orchessa,
presa da una rabbia indicibile nel vedere quel che vedeva, si gettò da se stessa colla testa avanti
nella vasca, dove in un attimo fu divorata da tutte quelle bestiacce, che c'erano state messe dentro
per suo comando. A ogni modo il Re se ne mostrò addolorato, perché in fin dei conti era sua madre:
ma trovò la maniera di consolarsene presto colla sua bella moglie e coi suoi bambini.

Da: irnerio19/10/2009 13:24:45
capisco lo scontento collettivo  .... ma l'accanimento nei confronti dei ricorrenti mi sembra fuori luogo, per non parlare delle ipotesi sul merito dei compiti o sull'orale, oltre che le offese e le minacce che appaiono alquanto vergognose se attribuibili alla futura classe dirigente inps....mi dissocio

Da: Il cantastorie19/10/2009 13:25:21
La pulce e il professore

C'era un aeronauta al quale andò male: il pallone si ruppe, e l'uomo saltò giù ma finì a pezzi. Il suo figliolo era riuscito a buttarsi giù due minuti prima con il paracadute, e questa era stata la sua fortuna.
Non subì danni e se ne andò in giro; avrebbe potuto essere un esperto aeronauta, ma non aveva pallone e nemmeno i mezzi per procurarsene uno.
Ad ogni modo doveva vivere, sicché imparò l'arte dei giochi di prestigio, e a parlare con lo stomaco, cioè a essere ventriloquo. Era giovane e bello, e quando gli crebbe la barba ed ebbe dei bei vestiti, venne scambiato per un giovane conte. Le signore lo trovavano gradevole, e una signorina rimase talmente affascinata dalla sua bellezza e dalla sua abilità di prestigiatore che lo seguì per città e paesi stranieri; lui si faceva chiamare professore; non poteva certamente essere niente di meno.
Il suo pensiero fisso era di riuscire ad avere una mongolfiera e alzarsi nell'aria insieme alla sua mogliettina, ma ancora non ne avevano i mezzi.
"Verranno!" diceva lui.
"Speriamo!" rispondeva la moglie.
"Siamo giovani, io ora sono professore. Anche le briciole sono pane".
La moglie lo aiutava fedelmente, si metteva alla porta e vendeva i biglietti per la rappresentazione, e questo d'inverno era un divertimento un po' freddo! Lo aiutava anche in un numero. Lui la metteva in un cassetto del tavolo, un cassetto grande; lei si infilava proprio sul fondo in modo da non essere più visibile.
Ma una sera, quando lui aprì il cassetto, lei se n'era andata sul serio, non era né nella parte davanti né in quella dietro, non si trovava in tutta la casa, non la si vedeva né la si sentiva.
Questo fu il suo gioco di prestigio. Non ritornò mai più, si era stancata; poi si stancò pure lui, perse il buonumore, non poté più far ridere né fare i giochi, così la gente non andò più a vederlo; i guadagni diminuirono e i vestiti si sciuparono; alla fine possedeva soltanto una grande pulce, che aveva ereditato dalla moglie, e per questo le voleva molto bene. Allora l'ammaestrò, le insegnò i giochi di prestigio, le insegnò a presentare le armi e a sparare con un cannone, ovviamente piccolissimo.
Andava molto orgoglioso della pulce, e anche di se stesso; la pulce aveva imparato qualcosa e aveva sangue umano ed era stata nelle più grandi città; era stata vista da principi e principesse e da loro aveva ottenuto la più alta considerazione. Fu scritto anche nei giornali e sui manifesti. La pulce sapeva d'essere una celebrità, e di poter mantenere il professore, anzi una famiglia intera.
Era orgogliosa e assai famosa, eppure lei e il professore viaggiavano in quarta classe; tanto arrivavano con la stessa velocità della prima.
C'era fra di loro una tacita promessa di non separarsi mai, di non sposarsi mai. La pulce restò nubile e il professore restò solo. Così erano pari.
"Dove si ha più successo" diceva il professore, "non bisogna tornare una seconda volta!" Lui era un conoscitore di uomini, e anche questa è un'arte.
Alla fine avevano viaggiato in tutti i paesi, tranne che in quello dei selvaggi; così vollero andare pure lì. E' pur vero che là divoravano i cristiani, e il professore lo sapeva; ma lui non era un vero cristiano e la pulce non era un vero uomo; così pensarono che potevano provare a viaggiare fin là e guadagnare molto.
Fecero il viaggio con una nave a vapore e una a vela, la pulce fece i suoi giochi di prestigio, così non dovettero pagare il viaggio, quindi arrivarono nel paese dei selvaggi.
Lì governava una piccola principessa; aveva solo otto anni, ma era lei a governare; aveva preso il potere al padre e alla madre perché aveva una volontà molto forte ed era anche estremamente graziosa e maleducata.
Subito, quando la pulce presentò le armi e sparò col cannone, lei ne fu così attratta che disse: "O quella o nessuno!". Provò un amore selvaggio, anche se selvaggia lo era già da prima.
"Cara figliola" le disse suo padre, "prima dovremmo farla diventare uomo!".
"Lasciami fare, vecchio!" disse lei, e non era certo educato da parte della principessa parlare in quel modo a suo padre, ma lei era selvaggia.
Si mise la pulce sulla mano.
"Ora tu sei un uomo e governerai insieme a me; ma devi fare quello che voglio io, altrimenti ammazzo te e mangio il professore".
Al professore fu data una grande sala in cui abitare. Le pareti erano fatte di canne da zucchero, che lui poteva leccare ma non era granché goloso. Gli diedero un'amaca in cui dormire e gli sembrava di essere in una mongolfiera, come aveva sempre desiderato: era il suo pensiero fisso.
La pulce restò presso la principessa, appoggiata alla sua manina o sul suo collo delicato. Poi la principessa si staccò un capello, con cui il professore dovette legare la pulce a una gamba, e lei se l'attaccò al grande orecchino di corallo che portava.
Fu proprio un periodo bellissimo per la principessa, e anche per la pulce. Ma il professore non era tanto soddisfatto, era un viaggiatore, gli piaceva andare da una città all'altra, leggere sui giornali della sua pazienza e intelligenza nell'insegnare a una pulce tutti i movimenti umani. Per tutto il giorno stava nell'amaca, oziava e mangiava: uova fresche di uccello, occhi di elefante e cosce di giraffa arrosto; i cannibali difatti non vivono soltanto di carne umana, questa è un piatto speciale. "Spalle di bambino in salsa piccante" diceva la madre della principessa, "è il piatto più delicato!".
Il professore si annoiava e voleva andare via dal paese dei selvaggi, ma voleva avere con sé la pulce, che era la sua meraviglia e la sua fonte di guadagno. Come poteva fare per prenderla e portarla con sé?
Non era facile.
Si sforzò a lungo di pensare e alla fine disse: "Ho trovato!".
"Padre della principessa, permettimi di fare qualche cosa! Vorrei insegnare agli abitanti di questo paese a sapersi presentare bene:
quello che nei più grandi paesi del mondo chiamano educazione".
"E che cosa insegnerai a me?" domandò il padre della principessa. "La mia grande arte" disse il professore. "Sparare con un cannone che fa tremare tutta la terra e fa cadere tutti gli uccelli dal cielo già arrostiti! E' straordinario!".
"Porta il cannone!" disse il padre della principessa.
Ma in tutto il paese non c'era nessun cannone, tranne quello della pulce, che però era troppo piccolo.
"Ne costruirò uno più grande!" lo rassicurò il professore. "Portami solo quello che occorre. Devo avere seta molto sottile, ago e filo, corde e funi e gocce per lo stomaco per gli aerostati: quelli si gonfiano, diventano leggeri e si sollevano e mettono il fuoco nella pancia del cannone".
Tutto ciò che aveva richiesto gli venne dato.
L'intero paese si riunì per vedere quel grande pallone. Il professore non li aveva chiamati finché il pallone non era stato pronto per essere gonfiato e per sollevarsi.
La pulce stava nella mano della principessa e osservava. Il pallone venne tanto gonfiato che era sul punto di scoppiare, e venne trattenuto a mala pena, tanto era selvaggio.
"Bisogna sollevarlo perché si raffreddi" disse il professore entrando nel cesto appeso sotto il pallone. "Da solo non riesco a governarlo, mi occorre un compagno esperto, che mi aiuti. Qui non c'è nessun altro che la pulce".
"Gliela concedo a malincuore!" disse la principessa, ma porse la pulce al professore che se la mise sulla mano.
"Sciogliete le corde e le funi!" gridò lui. "Adesso il pallone parte!".
Loro credettero che lui avesse detto: "Il cannone"!
Così il pallone salì sempre più in alto, verso le nuvole, lontano dal paese dei selvaggi.
La principessina, suo padre, sua madre, tutta la popolazione rimasero ad aspettare, e ancora aspettano. Se non ci credi, prova ad andare nel paese dei selvaggi: ogni bambino parlerà della pulce e del professore, credono che torneranno di nuovo non appena il cannone sarà raffreddato. Ma quelli non torneranno più, sono tornati da noi, qui nella loro patria, viaggiano in ferrovia, questa volta in prima classe, mica in quarta, guadagnano bene con quel grande pallone; nessuno gli chiede come si sono procurati il pallone o da dove l'hanno avuto, e sono persone molto stimate e onorate, la pulce e il professore

Da: Il cantastorie19/10/2009 13:26:42
Gianbabbeo

In campagna si trovava una fattoria dove viveva un fattore con due figli, con tanto cervello che anche la metà sarebbe bastata. Volevano chiedere in sposa la figlia del re e avrebbero osato farlo perché lei aveva fatto sapere che avrebbe sposato chi avesse saputo tenere meglio una conversazione.
I due si prepararono per una settimana, il periodo più lungo concesso, ma per loro sufficiente dato che avevano già una certa cultura, la qual cosa tornò loro utile. Uno conosceva tutto il vocabolario latino e le ultime tre annate del giornale del paese che sapeva recitare da cima a fondo e viceversa, l'altro si era studiato tutti i regolamenti delle corporazioni d'arti e mestieri e aveva imparato tutto quanto deve sapere il decano di una corporazione; così riteneva di potersi pronunciare sui problemi dello stato, e in più imparò pure a ricamare le bretelle, essendo di gusti raffinati e molto abile.
"Io otterrò la figlia del re!" dicevano tutt'e due. Il padre diede a ciascuno un bellissimo cavallo; l'esperto di vocabolario e di giornali lo ebbe nero come il carbone, quello che era saggio come un vecchio decano e che sapeva ricamare, bianco come il latte. Dopo si unsero gli angoli della bocca con olio di fegato di merluzzo, di modo che scorressero meglio. Tutti i servitori erano andati in cortile per vederli montare a cavallo; in quel momento arrivò il terzo fratello; infatti erano in tre, ma il terzo nessuno lo teneva in considerazione perché non aveva la stessa cultura degli altri due e infatti lo chiamavano Gianbabbeo.
"Dove state andando vestiti così a festa?" domandò.
"A corte per conquistare con la conversazione la figlia del re. Non hai sentito ciò che il banditore ha annunciato in tutto il paese?" e glielo spiegarono.
"Accidenti! Allora vengo pure io!" esclamò Gianbabbeo, ma i fratelli risero di lui e partirono.
"Padre, dammi un cavallo!" gridò Gianbabbeo. "M'è venuta gran voglia di sposarmi. Se mi vuole, bene, e se non mi vuole, la voglio io".
"Quante storie!" rispose il padre. "Non ti darò nessun cavallo. Tu non sei capace di conversare; i tuoi fratelli sì che sono in gamba!".
"Se non potrò avere un cavallo" concluse Gianbabbeo, "mi prenderò il caprone, quello è mio e mi potrà certo portare". E così montò sul caprone, lo spronò con i calcagni nei fianchi, e via di corsa per la strada maestra. Oh, come cavalcava!
"Arrivo!" gridava, e si mise a cantare a squarciagola.
I fratelli cavalcavano avanti a lui in silenzio; non dicevano una parola perché dovevano pensare a tutte le belle trovate che avrebbero avuto, per poter conversare con arguzia.
"Ehi, là!" gridò Gianbabbeo, "sto arrivando anch'io! Guardate cosa ho trovato per strada!" e gli fece vedere una cornacchia morta.
"Babbeo!" risposero i due, "cosa ne vuoi fare?".
"Voglio portarla in dono alla figlia del re!".
"Fai pure" dissero ridendo, e continuarono a cavalcare.
"Ehi, voi, arrivo! Guardate che cosa ho trovato ora, non è una cosa che si trova tutti i giorni sulla strada maestra!...".
I fratelli si girarono di nuovo per vedere cos'era. "Babbeo!" dissero, "è un vecchio zoccolo di legno a cui manca la punta! Pure questo è per la figlia del re?".
"Sicuro!" rispose Gianbabbeo; i fratelli risero e cavalcarono via distanziandolo di un bel po'.
"Ehi, eccomi qui!" gridò Gianbabbeo. "Oh, oh! va sempre meglio! Ehi, è una vera meraviglia!".
"Che cos'hai trovato adesso?" chiesero i fratelli.
"Oh, una cosa incredibile!" disse Gianbabbeo, "chissà come sarà contenta la figlia del re!".
"Ma è fango appena preso dal fosso!" esclamarono i fratelli.
"Proprio così" rispose Gianbabbeo, "e della migliore qualità, non si riesce neppure a tenerlo!" e si riempì la tasca.
I fratelli cavalcarono via, spronando più che poterono i cavalli, e arrivarono un'ora prima di lui alla porta della città dove ricevettero un numero d'ordine, come tutti gli altri aspiranti via via che arrivavano. Poi venivano messi in fila, sei alla volta, e stavano talmente stretti da non poter muovere le braccia, ma era meglio così perché altrimenti si sarebbero rotti le costole a gomitate solo perché uno si trovava davanti all'altro.
Tutti gli altri abitanti del paese si erano riuniti intorno al castello e si arrampicarono fino alle finestre per vedere la figlia del re ricevere gli aspiranti: appena uno si trovava nella sala, restava senza parole.
"Non vale nulla!" diceva la figlia del re. "Via!".
Entrò il primo dei fratelli, quello che sapeva il vocabolario, ma lo aveva scordato stando in fila; inoltre il pavimento scricchiolava e il soffitto era tutto uno specchio, così lui si vedeva a testa in giù; e poi a ogni finestra c'erano tre scrivani e un caposcrivano, che scrivevano tutto ciò che veniva detto perché venisse subito pubblicato sul giornale e venduto all'angolo per due soldi. Era terribile; e inoltre la stufa era così calda che il tubo era diventato tutto rosso.
"Fa così caldo qui dentro!" disse il pretendente.
"E' perché oggi mio padre deve arrostire i galletti", rispose la figlia del re.
"Ah!" e si fermò; non si aspettava una conversazione di quel genere e non seppe più che dire, dato che voleva dire qualcosa di spiritoso.
"Ah!".
"Non vale niente!" concluse la figlia del re. "Via!" e così quello se ne dovette andare. Entrò quindi suo fratello.
"Qui fa un caldo terribile!" disse.
"Sì, arrostiamo i galletti, oggi" rispose la figlia del re.
"Come? Cosa?" disse lui, e tutti gli scrivani registrarono: come?
cosa?
"Non va bene!" esclamò la figlia del re. "Via!".
Poi entrò Gianbabbeo, ancora sopra il suo caprone. "Qui dentro c'è un caldo da bruciare!" disse.
"E' perché arrostiscono galletti!" spiegò la figlia del re.
"Molto bene!" esclamò Gianbabbeo. "Possono arrostire anche la mia cornacchia?".
"Sicuro che possono" rispose la figlia del re, "ma lei ha qualcosa in cui metterla dentro? Noi non abbiamo né pentole, né padelle".
"Ce l'ho!" disse Gianbabbeo. "Ecco qui una padella, col manico di stagno!" e tirò fuori il vecchio zoccolo e ci mise dentro la cornacchia.
"E' un pranzo completo!" commentò la figlia del re. "Ma dove troveremo il sugo?".
"Lo tengo in tasca" disse Gianbabbeo, "ne ho così tanto da poterne buttar via!" e intanto versò un po' di fango dalla tasca.
"Mi piaci! " esclamò la figlia del re. "Tu sì che sai rispondere. E sai anche parlare, perciò ti voglio come marito. Ma sai che ogni parola che diciamo e che abbiamo detto viene trascritta e uscirà sul giornale di domani? A ogni finestra siedono tre scrivani e un vecchio caposcrivano, e questo è il peggiore di tutti, perché non capisce niente!". Disse così per spaventarlo. Tutti gli scrivani si misero a ridere e macchiarono di inchiostro il pavimento.
"Ah, dunque sono loro i padroni!" esclamò Gianbabbeo. "Allora devo dare la parte migliore al capo! " e rovesciò la tasca e gli gettò del fango proprio in faccia.
"Ben fatto! " disse la figlia del re. "Io non ne sarei mai stata capace, ma imparerò presto!".
E così Gianbabbeo diventò re, ebbe una sposa e una corona e sedette sul trono. L'abbiamo appena saputo dal giornale del caposcrivano ma di quello lì è meglio non fidarsi.

Da: Spilorcia19/10/2009 13:28:18
Si, gabriel è un bonazzo di prima categoria, è il bonazzo piu' oazzesco del mondo!

Da: .............19/10/2009 13:37:46
e a noi di gabriel ci frega una mazza

Da: Cantastorie19/10/2009 13:42:39
Il bucaneve

Era inverno, l'aria era fredda, il vento tagliente, ma in casa si stava bene e faceva caldo; e il fiore stava in casa, nel suo bulbo sotto la terra e sotto la neve.
Un giorno cadde la pioggia, le gocce passarono attraverso la coltre di neve fino alla terra, toccarono il bulbo del fiore, gli annunciarono il mondo luminoso di sopra; presto il raggio di sole, sottile e penetrante, passò attraverso la neve fino al bulbo e bussò.
"Avanti!" disse il fiore.
"Non posso" rispose il raggio, "non ho abbastanza forza per aprire, diventerò più forte in estate".
"Quando verrà l'estate?" domandò il fiore, e lo domandò ancora ogni volta che un raggio di sole arrivava laggiù. Ma doveva passare ancora tanto tempo prima dell'estate, la neve era ancora lì e ogni notte l'acqua ghiacciava.
"Quanto dura!" disse il fiore. "Io mi sento solleticare, devo stendermi, allungarmi, aprirmi, devo uscire! Voglio dare il buongiorno all'estate, sarà un tempo meraviglioso!".
Il fiore si allungò e si stirò contro la scorza sottile che l'acqua aveva ammorbidito, la neve e la terra avevano riscaldato, il raggio di sole aveva punzecchiato; così sotto la neve spuntò una gemma verde chiaro, su un gambo verde, con foglie grandi che sembravano volerla proteggere. La neve era fredda, ma tutta illuminata, ed era così facile passarci attraverso, e sopraggiunse un raggio di sole che aveva più forza di prima.
"Benvenuto, benvenuto!" cantavano e risuonavano tutti i raggi, e il fiore si sollevò oltre la neve nel mondo luminoso. I raggi lo accarezzarono e lo baciarono, così si aprì tutto, bianco come la neve e adorno di striscioline verdi. Piegava il capo per la gioia e l'umiltà.
"Bel fiore" cantavano i raggi, "come sei fresco e puro! Tu sei il primo, l'unico, sei il nostro amore. Tu annunci l'estate, la bella estate in campagna e nelle città. Tutta la neve si scioglierà; i freddi venti andranno via. Noi domineremo. Tutto tornerà verde, e tu avrai compagnia, il lillà, il glicine e infine le rose; ma tu sei il primo, così delicato e puro!".
Era proprio divertente. Era come se l'aria cantasse e risuonasse, come se i raggi di sole penetrassero nei suoi petali e nel suo stelo; lui era lì, così sottile e delicato e facile a spezzarsi, eppure così forte, nella sua giovanile bellezza, era lì in mantello bianco e nastri verdi, e rendeva lode l'estate. Ma doveva ancora passare tempo prima dell'estate; nuvole nascosero il sole, e venti taglienti soffiarono sul fiorellino.
"Sei giunto troppo in anticipo!" dissero il vento e l'aria. "Noi abbiamo ancora il potere, ti dovrai adattare! Avresti dovuto rimanere chiuso in casa, non correre fuori per farti ammirare, non è ancora tempo".
C'era un freddo pungente! I giorni che vennero non portarono un solo raggio di sole, c'era un freddo tale che ci si poteva spezzare, soprattutto un fiorellino tanto delicato. Ma in lui c'era molta più forza di quanto lui stesso sospettasse, era la forza della gioia e della fede per l'estate che doveva arrivare, che gli era stata annunciata da una profonda nostalgia e confermata dalla calda luce del sole; quindi resistette con la sua speranza, nel suo abito bianco sopra la neve bianca, chinando il capo quando i fiocchi cadevano pesanti e fitti, quando i venti gelidi soffiavano su di lui.
"Ti spezzerai!" gli dicevano. "Appassirai, gelerai! Perché hai voluto uscire? perché non sei rimasto chiuso in casa? Il raggio di sole ti ha ingannato. E adesso ti sta bene, fiorellino che hai voluto bucare la neve!".
"Bucaneve!" ripeté quello nel freddo mattino.
"Bucaneve!" gridarono alcuni bambini che erano arrivati in giardino, "ce n'è uno, così grazioso, così carino, è il primo, l'unico!".
Quelle parole fecero bene al fiore, erano come caldi raggi di sole. Il fiore, preso dalla sua gioia, non si rese neppure conto d'essere stato colto; si ritrovò nella mano di un bambino, venne baciato dalle labbra di un bambino, poi venne portato in una stanza riscaldata, osservato da occhi affettuosi, e messo nell'acqua: era così rinfrescante, così ristoratrice, e il fiore credette improvvisamente di essere entrato nell'estate.
La fanciulla della casa, una ragazza carina che era già stata cresimata, aveva un caro amico che pure lui era stato cresimato e che ora studiava per trovarsi una sistemazione. "Sarà lui il mio fiorellino beffato dall'estate!" esclamò la fanciulla; prese quel fiore sottile e lo mise in un foglio di carta profumato su cui erano scritti dei versi, versi su un fiore che iniziavano con "fiorellino beffato dall'estate" e finivano con "beffato dall'estate".
"Caro amico, beffato dall'estate!". Lei lo aveva beffato d'estate.
Tutto questo venne scritto in versi e spedito come lettera; il fiore era là dentro e faceva proprio scuro intorno a lui, scuro come quando stava nel bulbo. Il fiore viaggiò, finì nel sacco della posta, fu schiacciato, premuto; non era per nulla piacevole, ma finì.
Il viaggio terminò, la lettera fu aperta e letta dal caro amico; lui era molto contento, baciò il fiore che fu messo insieme ai versi in un cassetto, con tante altre belle lettere che però non avevano un fiore; lui era il primo, l'unico, proprio come i raggi del sole lo avevano chiamato: com'era bello pensarlo!
Ebbe la possibilità di pensarlo a lungo, e pensò mentre l'estate finiva, e poi finiva il lungo inverno; e venne ancora l'estate, e allora fu tirato fuori. Ma il giovane non era affatto felice; afferrò i fogli con violenza, gettò via i versi, e il fiore finì sul pavimento, piatto e appassito; non per questo doveva essere gettato sul pavimento! Comunque meglio lì che nel fuoco, dove tutti i versi e le lettere andarono a finire. Che cosa era successo? Quello che succede spesso. Il fiore l'aveva beffato, ma quello era uno scherzo; la ragazza l'aveva beffato, e quello non era uno scherzo; lei si era trovato un altro amico durante l'estate.
Al mattino il sole brillò su quel piccolo bucaneve schiacciato che pareva dipinto sul pavimento. La ragazza che faceva le pulizie lo raccolse e lo infilò in uno dei libri appoggiati sul tavolo, perché credeva fosse caduto da lì mentre lei faceva le pulizie e metteva in ordine. Il fiore si trovò di nuovo tra versi stampati e questi sono più distinti di quelli scritti a mano, per lo meno sono più costosi.
Così passarono gli anni e il libro restò nello scaffale; poi venne preso, aperto e letto; era un bel libro: erano versi e canti del poeta danese Ambrosius Stub, che certo vale la pena di conoscere. L'uomo che leggeva quel libro voltò la pagina. "Oh, c'è un fiore!" esclamò, "un bucaneve! E' stato messo qui di certo con un preciso significato; povero Ambrosius Stub! Anche lui era un fiore beffato, una vittima della poesia. Era arrivato troppo in anticipo per il suo tempo, perciò subì tempeste e venti pungenti, passò da un signore della Fionia all'altro, come un fiore in un vaso d'acqua, come un fiore in una lettera di versi! Fiorellino, beffato dall'estate, zimbello dell'inverno, vittima di scherzi e di giochi, eppure il primo, l'unico poeta danese pieno di gioventù. Ora sei un segnalibro, piccolo bucaneve! Certo non sei stato messo qui per caso!".
Così il bucaneve fu rimesso nel libro e si sentì onorato e felice nel sapere di essere il segnalibro di quel meraviglioso libro di canti e nell'apprendere che chi per primo aveva cantato e scritto di lui, era stato anche lui un bucaneve, beffato dall'estate e vittima dell'inverno. Il fiore capì naturalmente tutto a modo suo, esattamente come pure noi capiamo le cose a modo nostro.


Da: pensiamo alle cose serie19/10/2009 13:43:56
Appello alle ragazze:assunzione immediata all' inps o notte d' amore con quel pezzo di fico di gabriel?

Da: .............19/10/2009 13:44:50
io vi consiglio Gabriel Batistuta

Da: impulsivo19/10/2009 14:13:16
visto il livello generale della donne partecipanti dubito fortemente che garko o compagnia bella stiano così a secco per copulare con cessi di quel livello, al massimo consiglierei un vibratore, almeno quello non vi dirà di no! :))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))

Da: allibita19/10/2009 14:22:25
e senza parole

Da: KK19/10/2009 14:31:02
I 2 Angeli viaggiatori"


Continuate a leggere sino al fondo pagina -

non vi fermate a dove si vedono i piedi (e scoprirete.........!!).


Due angeli mentre viaggiavano si fermarono per trascorrere

la notte a casa di persone benestanti.

La famiglia era sgarbata e si rifiutò

d'alloggiare gli angeli nella stanza degli ospiti.

Diedero invece agli angeli una piccola stanza fredda nell'interrato.
Mentre si prepararono il letto sul pavimento duro,

l'angelo più anziano vide un buco nel muro e lo riparò.


Quando l'angelo più giovane chiese il perchè, l'angelo più anziano rispose,
'Le cose non sono mai quelle che sembrano.'

La notte seguente la coppia si fermò presso

la casa d'un contadino e sua moglie molto poveri,ma molto ospitali.

Dopo aver condiviso il poco di cibo disponibile,
fecero si che gli angeli dormissero nel loro letto
così permettendogli d'avere una buona notte di riposo.

Quando il sole si levò il mattino seguente gli angeli
trovarono il contadino e sua moglie in lacrime.

La loro unica mucca, il cui latte era la loro unica fonte di guadagno,era li che giaceva morta nel campo.
L'angelo più giovane s'infuriò e chiese al più anziano come aveva potuto permettere che ciò accadesse?

Accusandolo disse, il primo uomo aveva tutto e l'hai aiutato!

La seconda famiglia aveva poco ma era desiderosa di condividere tutto e gli hai lasciato morire la mucca.

'Le cose non sono mai ciò che sembrano,' rispose l'angelo più anziano.

'Quando eravamo nell'interrato della grande casa, ho notato che nel buco c'era conservato dell'oro.

Visto che l'uomo era così ossessionato dall'avidità e non era
tanto desideroso di condividere la sua fortuna, ho sigillato il muro
così non lo troverà mai più.Ieri sera mentre dormivamo nel letto del contadino,
l'angelo della morte venne per prendersi sua moglie. In sua vece gli ho dato la mucca.'Le cose non sono mai così come sembrano.'

A volte è esattamente ciò che accade quando le cose non vanno così come dovrebbero.Se hai fede, c'è bisogno di credere che qualsiasi cosa accade è a tuo vantaggio.Forse non lo capirai se non più tardi! .......
Delle persone vengono nella nostra vita e vanno via....
Altri divengono amici e rimangono un po', lasciando delle orme nei nostri cuori...........e noi non siamo mai più gli stessi perchè abbiamo trovato un buon amico !!!!
          
Ieri è storia.
Domani un mistero.
Oggi è un dono.
Ecco perchè si chiama presente!

L'oggi penso sia speciale...vivi e assaporane ogni
momento... Non è un vestito da provare!

PRENDI QUEST'ANGELO E MANTIENILO VICINO
         E' UN ANGELO GUARDIANO
       MANDATO PER PRESERVARTI

E' UN ANGELO GUARDIANO SPECIALE.. PASSALO A 8 PERSONE ENTRO UN'ORA DALLA RICEZIONE, DOPO ESPRIMI UN DESIDERIO..SE L'HAI INVIATO , IL TUO DESIDERIO SARA' ESAUDITO E L'ANGELO TI PRESERVERA' PER SEMPRE......ALTRIMENTI, LE SUE LACRIME CADRANNO A TERRA E NON TI SARA' ESAUDITO NESSUN DESIDERIO.....

Non cancellarlo ti giunge da un angelo molto speciale....

       Proprio adesso-
-qualcuno ti sta pensando.
-qualcuno si sta preoccupando per te.
-qualcuno sente la tua mancanza.
-qualcuno vuole parlarti.
-qualcuno vuole stare insieme a te.
-qualcuno spera che tu non sia nei guai.
-qualcuno ti è grato per l'appoggio che hai fornito.
-qualcuno vuole tenerti la mano.
-qualcuno spera che tutto ti vada per il meglio.
-qualcuno vuole che tu sia felice.
-qualcuno vuole che tu trovi il tuo lui/lei.
-qualcuno celebra il tuo successo.
-qualcuno vuole farti un regalo.
-qualcuno pensa che tu SIA un regalo.
-qualcuno ti vuol bene.
-qualcuno ammira la tua forza.
-qualcuno ti pensa e sorride.
-qualcuno desidera essere la spalla su cui tu puoi piangere.

QUALCUNO HA BISOGNO CHE TU GLI MANDI QUESTO MESSAGGIO

Non togliere mai la speranza a qualcuno.  Forse è tutto ciò che ha!
da KK

Da: precisazione19/10/2009 14:37:16
basta che ste cose! siate seri!

Da: x cessa bellissima19/10/2009 14:52:06
puglia,sei libera.

Da: scoop: conversione di tremonti19/10/2009 14:59:00
ANSA
MILANO - "Non credo che la mobilità di per sé sia un valore, penso che in strutture sociali come la nostra il posto fisso è la base su cui organizzare il tuo progetto di vita e la famiglia"

"La variabilità del posto di lavoro, l'incertezza, la mutabilità - ha aggiunto il ministro - per alcuni sono un valore in sé, per me onestamente no"

Da: scoop conversione di tremonti19/10/2009 14:59:45
ADESSO SBLOCCA TUTTI I CONCORSI

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