da forumfree in riferimento al quesito posto e, segnatamente, alla fondatezza delle richieste di pagamento avanzate da Tizio nei vostri confronti in relazione all'attività professionale svolta a vostro favore, osservo quanto segue. In primo luogo, si segnala che la collaborazione professionale prestata da Tizio parrebbe potersi inquadrare nella fattispecie contrattuale della prestazione d'opera intellettuale disciplinata, nello specifico, dagli artt. 2230 e seguenti del codice civile. Infatti, partendo dalla disposizione di cui all'art. 2222 cod. civ., la quale individua nei suoi elementi essenziali il contratto d'opera, si può, in prima approssimazione, definire il contratto d'opera intellettuale come un contratto in forza del quale un soggetto (il professionista intellettuale) assume l'obbligo, nei confronti di un altro soggetto (il cliente), di eseguire, dietro compenso od onorario liberamente pattuito ovvero stabilito in base alla tariffa professionale, quando sia mancata una convenzione in merito, una determinata prestazione il cui contenuto è, per l'appunto, intellettuale. Chiarito quanto precede, e con specifico riferimento al profilo del compenso da corrispondere al professionista per l'opera prestata, la norma che rileva è l'art. 2237 c.c. Ai sensi di tale norma mentre il cliente può recedere dal contratto, rimborsando al prestatore d'opera le spese sostenute e pagando il compenso per l'opera svolta, il prestatore d'opera può recedere dal legittimamente contratto solo ove ricorra una "giusta causa". In tal caso il professionista ha diritto al rimborso delle spese fatte e al compenso per l'opera svolta, da determinarsi con riguardo al risultato utile che ne sia derivato al cliente. Al terzo comma, la norma precisa che , ad ogni buon conto, il recesso del prestatore d'opera deve essere esercitato in modo da evitare pregiudizio al cliente.
Da quanto appena richiamato si desume, dunque, che il contratto d'opera intellettuale, consente il recesso "ad nutum" del cliente (salvo deroga pattizia) in considerazione dell'evidente carattere fiduciario che caratterizza tale tipo di rapporto contrattuale: in particolare, il cliente può revocare l'incarico anche in assenza di una "giusta causa" - cosa invece necessaria per il prestatore d'opera - essendo quest'ultima rilevante unicamente al fine di giustificare una eventuale risoluzione per inadempimento, secondo le regole di carattere generale, e quindi legittimare le pretese di natura anche risarcitoria, oltre che restitutoria (Cassazione civile sez. II, 12 ottobre 2009, n. 21589). Alla luce di tale principio, va preliminarmente verificata, dunque, la sussistenza della giusta causa richiesta dalla legge per attribuire al professionista il diritto di recedere e, quindi, nel caso che ci occupa, se la decisione della società di nominare un altro professionista in aggiunta a Tizio e successivamente alla nomina di quest'ultimo, possa legittimare il recesso del medesimo Tizio. Sotto tale profilo va precisato che la «giusta causa» è quell'avvenimento esteriore che influendo sullo svolgimento del rapporto determina la prevalenza dell'interesse di una parte all'estinzione sull'interesse dell'altra alla conservazione del rapporto. Dunque, il concetto di giusta causa che qui rileva, dovrebbe consistere in una situazione sopravvenuta che attiene allo stesso svolgimento del rapporto, impedendo la realizzazione della funzione economico-giuridica e, quindi, il conseguimento della causa del negozio, fonte del rapporto, considerata nel suo aspetto funzionale (Cass., 1 ottobre 2008, n. 24367). E ciò perchè il fondamento della previsione contenuta nell'art. 2237 c.c. risiede nell'impossibilità che il rapporto di lavoro autonomo possa proseguire (Cass., 1 ottobre 2008, n. 24367). Pertanto bisogna sciogliere il dubbio circa l'idoneità della nomina di Caio (quale ulteriore professionista da affiancare a Tizio per lo svolgimento della difesa della società ) a costituire "giusta causa" nel senso appena precisato legittimante il recesso esercitato da Tizio con la sua missiva. La giurisprudenza chiamata a pronunciarsi sullo specifico punto, si è espressa nel senso che È privo di giusta causa il recesso del dottore commercialista dal mandato professionale determinato esclusivamente dalla nomina di un ulteriore difensore di fiducia (App. Milano, 24 settembre 2008). Tale decisione, del resto, appare coerente con i principi del nostro ordinamento: infatti, in termini generali, non pare possa rinvenirsi alcuna norma che esplicitamente o implicitamente possa impedire al cliente di conferire mandato a più professionisti, trattandosi di una scelta strategica o di opportunità assolutamente libera, come quella effettuata dalla società . Nè parrebbe potersi desumere, dal concreto contesto, che la nomina successiva di Caio sia da qualificarsi quale espressione di sfiducia da parte della società nei confronti di Tizio senza una contestuale revoca del mandato conferito al secondo. Del resto, la nomina di Caio, quale professionista aggiunto, avviene in un momento successivo alla nomina di Tizio, il cui mandato continua giuridicamente ad esistere con pienezza di effetti anche in considerazione delle diverse competenze e qualifiche professionali dei due mandatari. Infatti, per giurisprudenza consolidata La nomina, nel corso del giudizio, di un secondo procuratore non autorizza, di per sè sola, in difetto di univoche espressioni contrarie, a presumere che la stessa sia fatta in sostituzione del primo procuratore dovendosi invece presumere che sia stato aggiunto al primo un secondo procuratore, e che ognuno di essi sia munito di pieni poteri di rappresentanza processuale della parte, in base al principio del carattere ordinariamente disgiuntivo del mandato stabilito dall'art. 1716, comma 2, c.c. (Cass., 4 maggio 2005, n. 9260). Potrebbe pertanto ipotizzarsi che la nomina di Caio sia stata motivata dalla speranza, per la società , di aumentare le percentuali di vittoria nei giudizi pendenti avanti la commissione tributaria, anche attraverso l'apporto congiunto di due professionisti diversamente specializzati in relazione alla stessa materia. Infine, sulla base degli elementi in fatto disponibili, neppure parrebbe configurarsi una revoca implicita del mandato conferito a Tizio in virtù della successiva nomina di Caio, argomentabile la ove la società avesse richiesto al primo, ad esempio, la restituzione dei documenti o l'astensione dal partecipare ulteriormente ai procedimenti pendenti. Alla luce delle cosiderazioni fin qui svolte e dei precedenti giurisprudenziali sul tema, appare ragionevolmente sostenibile la non ricorrenza, nel caso che ci occupa, della "giusta causa" richiesta dalla norma dell'art. 2237 c.c. per legittimare il recesso di Tizio dal mandato ai tempi conferitogli dalla società in quanto non pare potersi riscontrare alcun elemento di espressione di sfiducia nei confronti del commercialista Tizio. Tale mancanza assume decisivo rilievo anche in riferimento al fondamento delle richieste di pagamento avanzate dallo stesso Tizio; infatti, il secondo comma dell'art. 2237 c.c., prevede , come anticipato, che il professionista può recedere dal contratto per giusta causa e, in tale eventualità , ha diritto alla refusione delle spese ed al compenso per l'opera svolta, da determinarsi con riguardo al risultato utile che ne sia derivato al cliente. Per converso, qualora il professionista receda in mancanza di giusta causa (come parrebbe essere nel caso di Tizio) e, quindi, nel caso di recesso ingiustificato, ai sensi dell'art. 2237 c.c. egli , come precisato dalla giurisprudenza, non ha diritto al rimborso delle spese fatte ed al compenso per l'opera svolta ma, al più, al solo rimborso delle spese borsuali sostenute per conto e nell'interesse del cliente salvo il risarcimento dell'eventuale pregiudizio causato al cliente stesso (App. Milano, 24 settembre 2008). In virtù di tale principio a Tizio potrebbe, dunque, essere riconosciuto il solo diritto al rimborso delle spese borsuali sostenute e sempre a condizione che alla società non sia derivato, a causa di tale brusco ed immotivato recesso, un pregiudizio (ex art. 2237, terzo comma, c.c.). Fra l'altro, proprio su tale ultimo profilo, ed in conclusione, appare importante rilevare come, in linea di massima, la giurisprudenza ha altresì espresso il principio secondo il quale "il recesso ingiustificato dal contratto di una delle parti, integrando inadempimento della stessa, giustifica la condanna generica di questa al risarcimento del danno, indipendentemente dal concreto accertamento di uno specifico pregiudizio patrimoniale, posto che l'anticipato scioglimento del rapporto è di per sè un evento potenzialmente generatore di danno, avendo turbato e compromesso le aspettative economiche della parte adempiente, anche se fatti specifici di violazione contrattuale non abbiano, in ipotesi, prodotto direttamente alcun pregiudizio patrimoniale al contraente incolpevole" (Cass., 23 maggio 2000, n. 6690).
Usatelo di riferimento ma dite di cambiarlo prima di consegnare... |