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Concorso 40 posti di REFERENDARIO TAR 2021
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Il bando di concorso in gazzetta ufficiale
Leggi il bando di concorso e le altre informazioni correlate sulla gazzetta ufficiale e sulle pagine istituzionali dell'ente.


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Da: Gigi77 1  - 18/11/2021 20:56:45
Filippo perché continui a dire "la prima sentenza"? Sai che dovevamo esaminare tutto, anche se fuori traccia?

Da: internauta19/11/2021 00:05:55
potete dare estremi sentenza?

grazie mille

Da: internauta19/11/2021 00:07:44
potete dare estremi sentenza?

grazie mille

Da: X tutti 1  - 19/11/2021 00:25:02
Fatto questo concorso…ma poi ve ne restano mille

Da: Per sopra19/11/2021 00:35:39
Per caso la sentenza è la n. 423/2020 del TAR Piemonte?

Da: FilippoCDC 19/11/2021 01:24:02
Beh, mi pare evidentemente che un conto è come il candidato ha svolto la sentenza, altro cono è se non ha ben risposto ad uno o più dei motivi trattati alla fine fuori traccia.

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Da: Per sopra19/11/2021 07:37:15
Chi ha letto la sentenza può rispondermi per favore: è la n. 423/2020 del TAR Piemonte?

Da: branzino19/11/2021 07:39:40
E' quella.

Temevo di avere sbagliato a rigettare tutti i motivi, ma rileggendola, anche alla luce del fatto, mi sono ricreduto.

Scusate qualcuno si è iscritto al corso TAR ordinario di Caringella?
Può dirmi se le lezioni sono tenute solo da lui oppure sono mescolate con quelle di ordinaria?
Grazie.

Da: Gigi7719/11/2021 08:11:30
Beato te, Branzino.
Purtroppo, in sede di concorso, ho ragionato, come dicono sempre di fare. Ma evidentemente non è sufficiente.
Quindi l'alea è veramente alta.

Da: X Branzino19/11/2021 08:12:49
Ma come fai a pensare ai corsi ora? A me viene la nausea al solo pensiero. Ho studiato no stop per quattro mesi prima del concorso e ora non ne voglio sapere.

Da: InfoConsigli19/11/2021 08:52:29
Branzino, le lezioni non sono mescolate con quelle di ordinaria, ma non le terrà solo Caringella. Ci saranno altri Consiglieri di Stato

Da: Brazino 3  - 19/11/2021 09:34:05
Grazie, chi sono questi consiglieri? Mi parlavano anche di avvocati di stato ma io vorrei solo consiglieri.

Secondo me il segreto è mai fermarsi. Chi si ferma e perduto

Da: X Branzino19/11/2021 09:46:49
Io sono scoraggiata. Ho studiato tanto con l'obiettivo bene in mente, ma non è bastato. Non ci sono garanzie che l'impegno paghi. Era pieno di colleghi al secondo o terzo tentativo.

Da: xel19/11/2021 10:33:26
consiglio corso se vuoi delucidazioni in privatoalexfalco14@gmail.com

Da: InfoConsigli19/11/2021 11:42:11
Branzino: Grasso, Rovelli, Carbone, Lipari sicuramente. Come Avvocato dello Stato Manzo

Da: x tutti19/11/2021 12:16:14
Ci sono notizie sull'uscita del nuovo concorso in magistratura TAR nel 2022:

https://mementoformazione.altervista.org/nuovo-concorso-in-magistratura-tar-in-arrivo-nel-2022/

Da: x x tutti19/11/2021 12:24:06
Ma se il bando non è stato neanche deliberato dal consiglio di giustizia amministrativa....
Purtroppo nel 2022 non si faranno prove scritte.

Da: Santi72 19/11/2021 13:09:55
Qualcuno ha studiato amministrativo dal Rocco Galli? Potreste darmi un parere su questo manuale, anche in paragone con io Lopilato? Grazie mille….sono indeciso su questi due manuali .

Da: Per sopra19/11/2021 13:59:59
Lopilato senza dubbio..

Da: M.J. Micklewhite19/11/2021 14:20:50
Ho visto qualche argomento sul Galli (che a mio sommesso avviso ha il pregio di ricordare, nello stile 'ragionato', un libro di vera dottrina, come quelli di un tempo). Ha peraltro un formato 'libresco' non esattamente comodo né praticissimo (oltre al fatto del peso dei 2 volumi - o meglio, con termine azzeccassimo, dei 2 tomi, ma questi so' dettagli o quisquilie). Su altro non mi pronuncio non conoscendo a fondo gli autori. Qualche pagina sfogliata in libreria mi fece desistere dall'idea di acquisto, ma oh son riflessioni personali, ovviamente sbaglierò. Ed è comunque commento parziale, limitato cioè alle parti lette del Galli

Da: FilippoCDC 19/11/2021 16:38:45
Consiglio -per chi fosse interessato- la lettura della sentenza n.338/2016 del Tar per l'Umbria. Nel collegio c'era il cons. Fantini.

Da: la traccia di civile19/11/2021 19:56:36
Le diverse forme di danno e il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, i criteri risarcitori e il risarcimento nel processo penale. Guida legale al risarcimento del danno

    Il risarcimento del danno nella responsabilità civile
    La responsabilità extracontrattuale
    La responsabilità contrattuale
    Il risarcimento del danno e l'indennizzo
    Il risarcimento del danno non patrimoniale
    Il risarcimento del danno patrimoniale
    I criteri risarcitori
    Il risarcimento del danno nel processo penale
    Il risarcimento danni nella PA

Il risarcimento del danno nella responsabilità civile
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Il risarcimento è il ristoro dovuto a chi subisce un danno di natura patrimoniale o non patrimoniale.

Il danno può scaturire da una condotta illecita extracontrattuale o contrattuale.
La responsabilità extracontrattuale
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Nel nostro ordinamento, per garantire la convivenza tra membri della collettività vige il principio del neminem laedere. Ciascuno deve comportarsi in modo da non recare pregiudizio agli altri.
L'art. 2043 del codice civile

Questa regola è contemplata dall'art. 2043 C.C. che disciplina l'illecito extracontrattuale. Ogniqualvolta un soggetto viola una regola di civile convivenza tenendo una condotta riprovevole, intenzionale o dettata da scarsa attenzione e coscienza incorre nella responsabilità extracontrattuale, fonte di obbligo risarcitorio in presenza di un danno. L'illecito civile è strutturalmente composto da una condotta materiale antigiuridica dolosa o colposa, un nesso di causa e un danno ingiusto.
Condotta antigiuridica

L'illecito civile si configura quindi nel momento in cui si viola una norma civilistica. Trattasi di un illecito atipico, poiché comprende tutti i casi in cui una condotta intenzionale o colposa lieve o grave, attiva od omissiva, causa un danno.
Il nesso di causalità

Un soggetto tuttavia è responsabile dell'obbligo risarcitorio solo se la sua condotta è ricollegabile causalmente all'evento dannoso.
Il danno ingiusto

L'art 2043 C. C. dispone: "Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che lo ha commesso a risarcire il danno." L'ingiustizia può essere fatta valere dalla parte che ha subito il danno ogni volta in cui è frutto di una condotta contraria alla legge.
La responsabilità contrattuale
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La disciplina civilistica prevede il risarcimento del danno anche in caso di violazione degli obblighi contrattuali. La responsabilità contrattuale si configura nel caso in cui il soggetto obbligato non adempie l'obbligazione prevista dall'accordo intercorso, ma anche in presenza di un adempimento inesatto o tardivo. Fonti dell'obbligo contrattuale non sono solo i contratti. Le fonti sono infatti tipiche (contratti) e atipiche (legge, arricchimento senza causa, promesse unilaterali, contatto sociale, gestione di affari, pagamento dell'indebito e qualunque altro atto o fatto idoneo). Il debitore nell'adempiere l'obbligazione contrattuale deve uniformarsi alla condotta del buon padre di famiglia. In caso di comportamento negligente è responsabile per colpa e deve risarcire il danno. Questo in linea generale. In caso di obbligazioni derivanti dallo svolgimento di attività professionale infatti il grado di diligenza richiesta deve essere commisurato al tipo di prestazione ed è pertanto è superiore a quella media del pater familias.
Il risarcimento del danno e l'indennizzo
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Contrariamente al risarcimento del danno, dovuto in caso di condotte illecite, l'indennizzo è previsto al di fuori di comportamenti che si pongono in contrasto con l'ordinamento. In queste situazioni la legge prevede che venga riconosciuto al soggetto leso un importo in grado di riequilibrare una situazione che presenta il solo rischio di diventare illecita. Inoltre, mentre il risarcimento ha la finalità di ripristinare la situazione preesistente al danno, l'indennizzo ha una mera funzione riparatoria, che non è necessariamente commisurata al pregiudizio. Il Codice Civile all'art. 2045 prevede che, se un soggetto tiene una condotta pregiudizievole per la necessità di salvare se stesso o altri dal pericolo di un danno grave e inevitabile, al danneggiato spetta un indennizzo a titolo di equa riparazione, la cui entità è rimessa all'apprezzamento del Giudice.

Un altro caso in cui la legge stabilisce il riconoscimento di un indennizzo con funzione riparatoria riguarda l'espropriazione per pubblica utilità (D.P.R. 327/2001 integrato dal Dlsg. 330/2004). In questo caso il criterio per determinare l'entità della somma da riconoscere a titolo d'indennizzo è stabilita dall'art. 32 del DPR 327/2001 "... l'indennità di espropriazione è determinata sulla base delle caratteristiche del bene al momento dell'accordo di cessione o alla data di emanazione del decreto di esproprio, valutando l'incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa e senza considerare gli effetti del vincolo preordinato all'esproprio e quelli connessi alla realizzazione dell'eventuale opera prevista, anche nel caso di espropriazione di un diritto diverso da quello di proprietà o di imposizione di una servitù."
Il risarcimento del danno non patrimoniale
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Le sentenze gemelle S.U.  n. 26972 - 26973 - 26974 - 26975/ 2008, hanno chiarito definitivamente quali sono le voci risarcibili di cui è possibile chiedere il ristoro in caso di danno (lesioni) alla persona. La sentenza n. 9283/2014 della Corte di Cassazione ne ribadisce e chiarisce sinteticamente il contenuto nei seguenti termini:"La categoria del danno non patrimoniale attiene ad ipotesi di lesione di interessi inerenti alla persona, non connotati da rilevanza economica o da valore scambio ed aventi natura composita, articolandosi in una serie di aspetti (o voci) con funzione meramente descrittiva (danno alla vita di relazione, danno esistenziale, danno biologico, ecc.); ove essi ricorrano cumulativamente occorre, quindi, tenerne conto, in sede di liquidazione del danno, in modo unitario, al fine di evitare duplicazioni risarcitorie, fermo restando, l'obbligo del giudice di considerare tutte le peculiari modalità di atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, mediante la personalizzazione della liquidazione (Cass. n. 21716/2013; n. 1361/2014; S.U. n. 26972/2008). Non è, pertanto, ammissibile nel nostro ordinamento l'autonoma categoria del "danno esistenziale" in quanto tutti i pregiudizi di carattere non economico, concretamente patiti dalla vittima, rientrano nell'unica fattispecie del "danno non patrimoniale" di cui all'art. 2059 c.c., Tale danno, infatti, in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., costituisce una categoria ampia, comprensiva non solo del c.d. danno morale soggettivo, ma anche di ogni ipotesi in cui si verifichi un'ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, dalla quale consegua un pregiudizio non suscettibile di valutazione economica, purché la lesione dell'interesse superi una soglia minima di tollerabilità (imponendo il dovere di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., di tollerare le intrusioni minime nella propria sfera personale, derivanti dalla convivenza) e purché il danno non sia futile e, cioè, non consista in meri disagi o fastidi (Cass. n. 26972/2008; n. 4053/2009). ... bi-polarità tra danno patrimoniale (art. (2043 c.c.) e danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) e dovendo quest'ultimo essere risarcito non solo nei casi previsti dalla legge ordinaria, ma anche ove ricorra la lesione di valori della persona costituzionalmente protetti cui va riconosciuta la tutela minima risarcitoria (Cass. n. 15022/2005).

Dalla sentenza emerge che il danno non patrimoniale comprende le categorie descrittive del biologico, morale ed esistenziale, che non rappresentano pertanto voci distinte e autonome. L'analisi separata è doverosa per una loro corretta identificazione.
Il danno biologico

La definizione di danno biologico o alla salute è contenuta nel comma 2 dell'art 139  del Codice delle assicurazioni private (modificato dal disegno di legge n. 2085/2015). La disposizione, pur riferendosi alle lesioni di lieve entità (non superiori al 9% d'invalidità) causate da sinistro stradale, si applica in tutti i casi in cui il soggetto subisce danni alla salute a causa della condotta illecita altrui (vedi legge Balduzzi sulla responsabilità medica).

La norma detta i criteri necessari per quantificare le microlesioni e definisce il danno biologico come:"la lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico legale, che esplica un'incidenza relativa  sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito."

Criteri di liquidazione diversi sono previsti per le lesioni più gravi. La quantificazione delle macrolesioni (superiori al 9%) avviene ricorrendo alle tabelle del Tribunale di Milano, la cui applicazione è valida su tutto il territorio nazionale.

In rispetto del principio di personalizzazione del danno, la recente Cassazione civile, Sez. III,  sentenza n. 7766 del 20.04.2016 ha previsto che, in caso di lesioni riportate in conseguenza di un sinistro stradale, il risarcimento del danno biologico può essere aumentato nella misura del 30% rispetto a quanto contemplato dagli standard risarcitori.
Il danno esistenziale

Definito anche danno alla vita di relazione è probabilmente il tema più controverso in caso di lesioni alla persona.

La sentenza n. 336 del 13.01.2016 della Cassazione ne esclude l'autonomia risarcitoria: "Non è ammissibile nel nostro ordinamento l'autonoma categoria del "danno esistenziale" inteso quale pregiudizio alle attività non remunerative della persona, atteso che: ove in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato,  essi sono già risarcibili ai sensi dell'art. 2059 c.c., interpretato in modo conforme a Costituzione, con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria, ove nel "danno esistenziale" si intendesse includere pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, tale categoria sarebbe del tutto illegittima, posto che simili pregiudizi sono irrisarcibili, in virtù del divieto di cui all'art. 2059 c.c. (Cass. 11 novembre 2008 n. 26972). Nella fattispecie in esame il danno esistenziale non poteva essere liquidato come voce autonoma, essendo stato già liquidato agli attori il risarcimento del danno non patrimoniale, comprensivo sia della sofferenza soggettiva che del danno costituito dalla lesione del rapporto parentelare e dal conseguente sconvolgimento dell'esistenza."

Pare quindi incredibile che, a distanza di soli tre mesi, sempre la Cassazione, con sentenza n. 7766 del 20.04.2016 metta in discussione l'onnicomprensività del danno biologico e quanto affermato in precedenza. Il Giudice relatore, infatti, tenendo conto degli studi psicologici e psichiatrici, riconosce l'autonomia concettuale e, a suo dire, risarcitoria, del danno morale e del danno esistenziale. Il primo collegato a un sentire interiore, il secondo al modo in cui un individuo percepisce se stesso in relazione con gli altri. Non sarebbe quindi corretto non distinguere tra danno morale ed esistenziale, che sopravviverebbe come categoria autonoma di risarcimento, in quanto non appare scontato che i due tipi di sofferenza si manifestino sempre contestualmente.

Un'altra recente sentenza della Cassazione, Sezione Lavoro n. 2217/2016 lo ha addirittura negato, con una motivazione in linea con i criteri fissati dalle sentenze gemelle. I Giudici Supremi non hanno ravvisato nel caso di specie, relativo al tardivo pagamento dell'assegno di maternità, i requisiti dettati dalle S.U. della Cassazione. Il danno esistenziale può essere riconosciuto solo se il fatto è lesivo di diritti inviolabili costituzionalmente tutelati, la lesione risulta di un certo rilievo e il danno non corrisponde a mero disagio o fastidio.
Il danno morale

Il danno morale una categoria descrittiva ricollegabile a una lesione fisica o alla perdita di una persona cara. Esso si traduce nella sofferenza interiore soggettiva e come tale rientra nella categoria del biologico, compreso all'interno della voce di danno non patrimoniale. Previsto dall'art. 2059 c.c. il danno morale veniva riconosciuto solo in favore di soggetti vittime di un illecito penale. La Cassazione nel tempo lo ha liberato da questo vincolo. Il danno morale accompagna in genere il danno biologico e la sua valutazione non deve dipendere dalla capacità del soggetto danneggiato di produrre reddito.

Le Sezioni Unite della Cassazione definiscono il danno morale in questi termini: "La sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra il pregiudizio non patrimoniale. Deve trattarsi di un turbamento dell'anima, di un dolore sofferto, che non abbia generato degenerazioni patologiche della sofferenza."
Le sentenze di San Martino

Per quanto riguarda il calcolo del danno morale, le sentenze Gemelle ne hanno modificato profondamente i criteri. Esso è stato incluso nel punto del danno biologico come quantificato dalle Tabelle del Tribunale di Milano, con possibilità di personalizzarlo percentualmente nel singolo caso concreto, al fine di riconoscere anche il danno da vita di relazione o danno esistenziale, come definito prima delle sentenze del 2008.

Il fatto che il danno morale sia compreso nel punto del danno biologico permette a chi lo ha subito di non doverlo chiedere specificamente. E' sufficiente infatti aumentare l'importo del danno non patrimoniale che lo comprende. La Cassazione ha stabilito tuttavia che in casi particolarmente gravi, che non ha avuto scrupolo di specificare, il danno morale può essere richiesto come voce autonoma di danno.

Sulla personalizzazione del danno si è espressa la Cassazione Civile, Sez. III, con sentenza n. 5691 del  23/03/2016. La Corte ha avuto modo di chiarire che la quantificazione del danno morale in una frazione del biologico non ne esclude una misurazione superiore a quanto stabilito dalle Tabelle del Tribunale di Milano. La dimostrazione del danno inoltre, soprattutto nei casi più gravi (lesione superiore a 2/3 punti d'invalidità) si rivela particolarmente agevole, poiché è riconosciuta sempre automaticamente e questo ne agevola la prova, che può essere soddisfatta anche per presunzioni.
Il risarcimento del danno patrimoniale
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Il danno patrimoniale si verifica ogni volta in cui un soggetto subisce ripercussioni negative sul patrimonio a causa di un inadempimento contrattuale o un illecito extracontrattuale. I criteri per determinarlo sono stabiliti dagli artt. 1223, 1226 e 2056 C.C. Le due voci che lo compongono sono:
Danno emergente

Danno attuale e immediato che si realizza con la diminuzione delle sostanze patrimoniali (es: spese mediche per un intervento correttivo dopo una prestazione errata, spese di riparazione dell'automobile cagionate da un sinistro stradale).
Lucro cessante

Danno futuro che si manifesta attraverso il mancato guadagno e la perdita di future opportunità lavorative. Il risarcimento è riconosciuto solo nel caso in cui c'è la probabilità, se non la certezza della sua concreta esistenza, da fornire con prova "rigorosa".

Lo ha espresso la Corte di Cassazione nella sentenza n. 23304 dell'8.11.2007: "Occorre pertanto che dagli atti risultino elementi oggettivi di carattere lesivo, la cui proiezione futura nella sfera patrimoniale del soggetto sia certa, e che si traducano, in termini di lucro cessante o in perdita di chance, in un pregiudizio economicamente valutabile ed apprezzabile, che non sia meramente potenziale o possibile, ma che appaia invece - anche semplicemente in considerazione dell'id quod plerumque accidit connesso all'illecito in termini di certezza o, almeno, con un grado di elevata probabilità".
I criteri risarcitori
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I criteri utilizzati nel risarcimento del danno: il risarcimento in via equitativa, il risarcimento in forma specifica, il risarcimento per equivalente:
Risarcimento del danno in via equitativa

Il criterio equitativo viene adottato per la quantificazione del danno, ogniqualvolta è certo nella sua esistenza, ma non nella sua entità. Non è raro che certi danni, a causa dell'estrema tecnicità che li contraddistingue, si rivelano difficili da quantificare. Questo problema si può verificare sia in materia di danni da responsabilità contrattuale che extracontrattuale. Il magistrato nella determinazione del quantum risarcitorio deve tenere conto del caso concreto ed esprimere una valutazione equitativa, sulla base alla sua comune esperienza. La sentenza della Cassazione n. 4377  del 25 novembre 2015 - 7 marzo 2016 ha delineato nei seguenti termini i criteri valutativi a cui deve attenersi il magistrato "... la liquidazione equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c. non può sbiadirsi in un responso oracolare, né svilirsi al livello di un frettoloso calcolo ragionieristico del tutto sganciato dalle specificità del caso concreto."
Risarcimento del danno in forma specifica

E' il metodo risarcitorio che permette di ripristinare esattamente la situazione preesistente al danno. Il campo di applicazione tipico di questa modalità riparatoria del danno è l'illecito extracontrattuale art. 2043 c.c. L'art 2058 c.c. prevede nello specifico: 1." Il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile. 2. Tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore." Dalla formulazione della norma si evince che il risarcimento in forma specifica deve essere possibile totalmente o parzialmente e se non risulta eccessivamente onerosa per chi è tenuto a provvedervi.
Risarcimento del danno per equivalente

E' la forma più tipica di risarcimento del danno che si realizza attraverso il riconoscimento di una somma di denaro in grado di tradurre il valore di quanto è stato danneggiato. In materia contrattuale è molto interessante la pronuncia n. 1186 della Cassazione del 22 gennaio 2015. Essa prevede la possibilità di convertire l'originaria domanda risarcitoria in forma specifica con la richiesta di risarcimento per equivalente, trattandosi di una semplice riduzione o comunque di diversa modalità per dare attuazione del diritto risarcitorio. 
Il risarcimento del danno nel processo penale
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Il soggetto qualificato persona offesa può agire per ottenere il risarcimento del danno subito in conseguenza di un reato. In questo caso si possono percorrere due strade.

- La persona offesa può costituirsi parte civile all'interno del processo penale. In questo caso entra a far parte del processo come parte eventuale, poiché parti necessarie del procedimento penale sono il P.M e l'imputato. Il suo ingresso nella procedura penale gli consente, di avanzare domanda risarcitoria, ma anche di presentare memorie, perizie e chiedere l'ammissione testi.

- L'alternativa consiste nell'intraprendere un'ordinaria azione risarcitoria in sede civilistico. In questa ipotesi il processo civile percorre il suo cammino separatamente rispetto a quello penale instaurato contro il l'imputato e il suo esito non ne risulta condizionato. Gli unici casi in cui i due procedimenti si intersecano sono quelli in cui nel processo penale è già stata pronunciata sentenza di primo grado o quello in cui c'è stata costituzione di parte civile (che risulta tacitamente revocata ai sensi dell'art. 82 c.p.p).

Ciò che caratterizza, come accennato, la richiesta risarcitoria dei danni causati da illecito penale è la possibilità di proporre domanda per il ristoro del danno morale, specificamente contemplato dalla legge in caso di reato.

Pare necessario a questo punto richiamare l'importante sentenza n. 16141 della Cassazione Sezione V Penale del 19.04.2016. La Corte conferma in prima battuta la depenalizzazione del reato d'ingiuria, che pertanto risulta abrogato. In seguito si interroga sulla possibilità da parte del giudice penale di pronunciarsi sulle statuizioni civili relative al risarcimento del danno, nel caso in cui la sentenza abbia dichiarato la prescrizione dell'illecito penale da cui è scaturito il pregiudizio. La conclusione a cui è giunta dopo un complesso ragionamento è che, nel giudizio d'impugnazione promossa dall'imputato nei confronti della sentenza di condanna, il proscioglimento con la formula «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato»impedisce l'esame, ai fini dell'eventuale conferma, delle statuizioni di natura civilistica.
Il risarcimento danni nella PA
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Non è possibile ripercorrere in questa sede il processo evolutivo che ha condotto a contemplare la possibilità di avanzare domanda risarcitoria anche nei confronti della P.A.

Si vuole solo menzionare, per il particolare interesse che ha suscitato, la sentenza della Corte di Cassazione n. 16226 del 2016 che ha previsto il risarcimento danni in favore di quei dipendenti pubblici che hanno lavorato per anni con contratti  a tempo determinato. A loro è stata riconosciuta "un'indennità" pari all'importo minimo di 2,5 mensilità fino a un massimo di 12 mensilità (al valore dell'ultima retribuzione percepita), senza l'onere di provare il danno.

Da: la traccia di civile19/11/2021 20:01:26
Ragazzi, vi state incartando sulla sentenza, ma civile e amministrativo saranno decisivi.

Da: Secondo me..19/11/2021 22:50:05
.. sarà una strage

Da: Ottimiamo 1  - 20/11/2021 08:23:52
Qualcuno sta iniziando a studiare per l'orale?

Da: schema amministrativo20/11/2021 09:14:49


In diritto amministrativo non esiste una tipologia generale formalizzata dei poteri amministrativi. La disciplina dei poteri in questa materia è di carattere generale. Ad esempio, l'autorizzazione all'apertura di un esercizio commerciale è soggetta alla disciplina generale del procedimento amministrativo e poi alla disciplina singola propria, stabilita dalla legge, senza che sia utile ai fini dell'applicazione della disciplina procedimentale l'iscrizione di essa ad un tipo. Tuttavia, anche se in maniera limitata, alcune classificazioni è possibile farle. Sotto il profilo del soggetto e dell'oggetto, i poteri amministrativi possono essere classificati al fine di stabilire la competenza delle diverse amministrazioni. Altra classificazione rilevante è quella tra poteri discrezionali e vincolati.

Ancora, è possibile distinguere poteri che hanno a fronte interessi pretensivi e poteri che hanno a fronte interessi oppositivi. Dove questi poteri vengono esercitati a fronte di interessi oppositivi, sacrificandoli, vengono caratterizzati dalla imperatività riguardo la loro efficacia giuridica. Dove il potere si esercita a fronte di interessi pretensivi esso si articola secondo due modelli che sono:

a) concessione - aggiudicazione, dove prevale il momento comparativo tra le posizione dei diversi aspiranti;

b) autorizzazioni dove prevale il modello valutativo circa le singole aspirazioni del soggetto. In entrambi i modelli il potere discrezionale può essere o meno presente.

Ad esempio: la scelta tra una pluralità di aspiranti può essere-dei tutto predeterminata dai parametri normativi o stabiliti dal bando, per cui l'amministrazione è semplicemente, chiamata ad accertare il possesso dei requisiti, mentre, in altri casi, l'amministrazione ha la possibilità di scelta più o meno ampia in riferimento all'interesse primario, come succede quando, a seguito di una richiesta di autorizzazione per la realizzazione di una struttura commerciale in un determinato territorio, questa viene rilasciata a seguito della valutazione degli interessi di quel territorio con riferimento alle condizioni urbanistiche, ambientali ecc.

Poteri atipici

Normalmente, i poteri spettanti alla P.A. sono tipici, cioè sono espressamente previsti da una norma, finalizzata alla cura di un interesse pubblico (primario) e la titolarità è imputata ad un certo organo amministrativo. Solo in due casi non è così: nei poteri c.d. impliciti e nei poteri di ordinanza. I poteri impliciti sono quelli che, pur non essendo attribuiti ad un determinato soggetto, sono previsti in capo ad un'autorità amministrativa, come presupposto dei poteri espressamente attribuiti. Si può affermare che la titolarità di ogni potere amministrativo in capo ad un soggetto comporta, per regola, in capo allo stesso, il potere di regolarne l'esercizio attraverso atti di contenuto generale, atti normativi, di pianificazione (art. 1, 2° comma, D.lgs n. 112/1998).

I poteri di ordinanza normalmente sono attribuiti dalla legge, che si limita ad indicare l'autorità amministrativa alla quale viene attribuito il potere di porre in essere qualunque tipo di atto con qualunque tipo di effetto, al fine di provvedere ad una determinata situazione di necessità. Tuttavia, le norme più recenti prevedono l'adozione dell'ordinanza con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento (art. 54 TUEL). Tali poteri sono necessari perché, fanno fronte-a situazioni di emergenza, che-non consentono il rispetto delle competenze e dei procedimenti.

Sul punto la giurisprudenza è costante; occorre che si sia verificata una situazione eccezionale di pericolo e di urgenza, che minaccia l'ordine pubblico o comunque gli interessi pubblici tutelati dalle rispettive norme, come sanità, ambiente ecc. II carattere derogatorio del potere di ordinanza rispetto ai principi di legalità dell'azione amministrativa, tuttavia, non può consentire la derogabilità di tutte le norme positive ed addirittura dei principi costituzionali, mentre è ammesso in alcuni casi il contrasto con norme coperte da riserva di legge relativa.

Da: schema amministrativo20/11/2021 09:20:33
SOMMARIO: 1. La quaestio iuris - 2. Il principio di legalità nelle moderne dinamiche pubblicistiche - 2.1. Osservazioni preliminari - 2.2. Segue)…fondamento normativo - 2.3. Segue)…ubi consistam - 2.4. Segue)…corollari applicativi - 3. I poteri amministrativi impliciti: una teorica dai contorni enigmatici - 3.1. Le ragioni sottese alla emersione del fenomeno - 3.2. Segue)…una riflessione di matrice sostanzialistico - telelogica disvela la sensibilità mostrata nei confronti della tematica - 4. La categoria dei poteri impliciti: il Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 marzo 2015, n. 1532 ne celebra la potenziale ammissibilità - 5. Poteri amministrativi impliciti e atti amministrativi impliciti: due facce della stessa medaglia? - 5.1. L'atto amministrativo implicito: definizione e connotati distintivi - 5.2. Segue)…questioni interpretative.

1. La quaestio iuris

Chiunque indirizzi la propria persona allo studio del diritto pubblico non può esimersi dal considerare la rilevanza che il principio di legalità assume nelle moderne dinamiche giuridiche.

Il carattere necessariamente mutevole ed evolutivo della realtà impone, infatti, di esaminare - o meglio monitorare - i corollari che esso genera in un ordinamento attento alle esigenze di protezione di coloro nella cui sfera giuridica si ripercuotono gli effetti di atti e provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione.

Questa sensibilità è tanto più avvertita se solo si pone mente alle frizioni che alcune tipologie di poteri esercitati dall'amministrazione hanno posto con il principio di legalità[1]: il riferimento è - per quanto in questa sede di interesse - alla delicata questione relativa alla possibilità di riconoscere la titolarità, in capo alla pubblica amministrazione, di poteri cd. impliciti.

Le numerose incertezze che attraversano la materia giustificano, dunque, lo sforzo ermeneutico che l'interprete è chiamato a profondere al fine di agevolmente percorrere i tornanti lungo i quali si è inerpicata una tematica ad alta volatilità.

Difatti, più si ritiene che la legge debba integralmente regolare i modi di estrinsecazione del potere amministrativo, più ricorrere a poteri non espressamente attribuiti diviene un comportamento censurabile; viceversa, se si reputa che il Legislatore possa limitarsi a descrivere il potere in modo soltanto finalistico - teleologico, manifestazioni implicite risultano essere certamente ammesse.

2. Il principio di legalità nelle moderne dinamiche pubblicistiche

2.1. Osservazioni preliminari

Come nel diritto penale, anche nel diritto amministrativo il principio di legalità assume un'importanza fondamentale quale principio destinato a conformare l'esercizio dell'azione amministrativa.

In virtù dell'accezione invalsa nella più recente giurisprudenza costituzionale, si tratta del principio che impone alla pubblica amministrazione, nel dar corso alle proprie iniziative, di rispettare il paradigma normativo di riferimento, per tale dovendosi intendere tanto la norma attributiva del potere quanto la norma regolativa dello stesso[2].

Ancor prima, però, di indagarne l'ubi consistam, l'interprete non può esimersi dal dare lustro a una premessa di carattere sistematico. L'utilità di questa notazione preliminare emergerà evidente:

    tanto in fase di intendimento del ruolo di assoluta centralità che il principio di legalità riveste nell'economia ordiamentale;
    quanto in sede di percezione della fragilità che ne caratterizza la pacifica convivenza con la categoria dei poteri amministrativi impliciti.

2.2. Segue) … fondamento normativo

La volontà dei Padri Costituenti di informare al principio di legalità anche la materia del diritto pubblico traspare limpidamente da una serie di disposizioni scolpite nella Carta Fondamentale.

I parametri dai quali è consentito desumerne il rilievo costituzionale vengono pacificamente rinvenuti:

    nell'art. 97 Cost.;
    negli artt. 24 e 113 Cost.;
    nell'art. 23 Cost., allorché il potere è assegnato all'amministrazione per il perseguimento di determinati scopi (sub specie imposizione di prestazioni di tipo personale o patrimoniale).

Delle previsioni normative fin qui richiamate, quella che dà voce alla particolare sensibilità mostrata dal Legislatore per la dimensione dell'agere amministrativo è certamente l'art. 97, co. 1, Cost. a mente del quale "I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione".

Al fine di regolare quanto più efficacemente possibile la materia dell'organizzazione amministrativa, la riserva di legge, posta in subiecta materia, è pacificamente intesa come relativa.

A ben vedere, il Legislatore potrà limitarsi a fissare i pilastri della struttura organizzativa dei pubblici uffici, demandando alla fonte secondaria, per il tramite dei regolamenti di organizzazione[3], la disciplina di dettaglio[4].

Tuttavia, ai fini della presente trattazione una puntualizzazione è d'obbligo.

Sebbene, sulla scorta di una interpretazione letterale, la riserva relativa di legge indicata dall'art. 97 Cost. appaia essere ascritta al solo profilo organizzativo, la prevalente dottrina e la giurisprudenza costituzionale sostengono che debba ritenersi estesa anche all'attività dell'amministrazione, tanto inferendosi dalla circostanza che le finalità sottese all'art. 97 Cost. (assicurare lo svolgimento imparziale e il buon andamento dell'amministrazione) sono evidentemente riferite all'azione amministrativa.

La valenza costituzionale del principio di legalità esteso all'azione amministrativa viene dedotta, altresì, dagli artt. 24 e 113 Cost.

Statuendo la giustiziabilità degli atti dell'amministrazione, le disposizioni de quibus offrono una tutela giurisdizionale a coloro nella cui sfera giuridica si ripercuotono gli effetti pregiudizievoli delle iniziative adottate dall'Autorità pubblica; una esigenza di protezione, questa, che presuppone l'esistenza di una norma di legge attributiva del potere, la cui violazione il destinatario dell'agire pubblico possa invocare di fronte al giudice amministrativo.

Infine, allorché il potere è assegnato all'amministrazione al solo scopo di imporre, in capo al privato, prestazioni di tipo personale o patrimoniale, la base costituzionale del principio di legalità si arricchisce con il riferimento all'art. 23 Cost.

Anche questa disposizione, prevedendo che "nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge", istituisce una riserva relativa di legge.

Infatti, come sostiene ormai pacificamente la giurisprudenza costituzionale, l'espressione "in base alla legge" si deve interpretare "in relazione col fine della protezione della libertà e della proprietà individuale, a cui si ispira tale fondamentale principio costituzionale"[5].

Or dunque, quando dall'esercizio del potere amministrativo deriva l'imposizione di prestazioni di natura patrimoniale o personale, tale potere deve essere compiutamente descritto dalla norma di legge. Questa puntualità espositiva si impone al fine di:

a) dotare di una copertura legislativa il potere in concreto esercitato;

b) non lasciare all'arbitrio dell'ente impositore la determinazione della prestazione.

2.3. Segue) … ubi consistam

Ricostruito il fondamento normativo, la comprensione della tematica afferente la coniugabilità dei poteri impliciti con il principio di legalità non può prescindere da due ulteriori notazioni.

Innanzitutto, occorre interrogarsi sull'ubi consistam del principio di legalità.

Come noto, ad esso sono stati attribuiti diversi significati: si tratta di verificare quale di questi è stato condiviso dall'elaborazione dottrinale e nelle applicazioni giurisprudenziali.

Nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale sono emerse, infatti, tre accezioni: è stato inteso in senso debolissimo, in senso debole (o formale) e in senso forte (o sostanziale)[6].

Per chi lo ha inteso in senso debolissimo, il principio di legalità  impone all'amministrazione il solo divieto di svolgere la propria attività in contrasto con il parametro legislativo, consentendo, viceversa, di porre in essere tutto ciò che dalla legge non è espressamente vietato.

Inteso, invece, in senso debole (o formale), comporta la necessità che ogni iniziativa della pubblica amministrazione, provvedimentale o attizia che sia, abbia un fondamento nella previsione di legge.

Inteso nell'ultima e più robusta accezione (in senso forte o sostanziale), comanda alla pubblica amministrazione, nel dar corso alle proprie iniziative, di rispettare il paradigma normativo di riferimento, per tale dovendosi intendere tanto la norma attributiva del potere quanto la norma regolativa dello stesso.

Sull'effettivo ambito applicativo del principio di legalità dell'azione amministrativa è di recente tornata a pronunciarsi la Consulta con la sentenza 4-7 aprile 2011, n. 115.

Nel chiarire le finalità sottese all'assoggettamento costituzionale dell'amministrazione al suddetto principio, il Giudice delle Leggi, nella primavera del 2011, ha affermato a chiare lettere che la Costituzione indirizza il principio di legalità, prima ancora che all'amministrazione, al legislatore.

Più nel dettaglio, la Corte, dando atto della propria consolidata giurisprudenza, ha ribadito che affinché possa dirsi davvero rispettato il principio di legalità, il Legislatore non può limitarsi a descrivere il potere che attribuisce all'amministrazione in modo soltanto finalistico - teleologico, bensì è necessario che di quel potere vengano indicati, sia pur in maniera elastica, contenuto e modalità di esercizio[7].

Pertanto, solo attribuendo all'amministrazione il potere in modo non assolutamente indeterminato, ogni iniziativa concretamente posta in essere avrebbe una copertura legislativa[8]; nella sostanza, unica strada percorribile dal destinatario dell'agere publicum per pretendere e ottenere un controllo giurisdizionale circa la consonanza del potere esercitato al parametro legislativo di riferimento.

2.4. Segue) … corollari applicativi

Chiarita l'accezione del principio di legalità invalsa nella più recente giurisprudenza costituzionale, giova soffermarsi sui corollari che tale principio reca con sé in ambito amministrativo.

Si tratta, più nel dettaglio, di precipitati che attengono alle caratteristiche dei provvedimenti  amministrativi dotati del connotato della cd. autoritatività.

In particolare, questi devono rispondere ai caratteri della tipicità e della nominatività.

Ciò comporta, innanzitutto, che siffatti provvedimenti non possano ammettersi al di fuori dei casi previsti dalla legge.

Ulteriore precipitato applicativo - oggi positivizzato per effetto della legge n. 15/2005 - è quello della eccezionalità dei casi in cui all'amministrazione è riconosciuto il potere di portare coattivamente e unilateralmente a esecuzione i suoi provvedimenti amministrativi senza dover ricorrere all'organo giurisdizionale.

Più nello specifico, si discorre di quel corollario che, in passato elaborato in via interpretativa dalla giurisprudenza, trova oggi espressa enunciazione nell'art. 21-ter ex lege n. 241/90, come introdotto dalla legge n. 15/2005, a tenore del quale "nei casi e con le modalità stabilite dalla legge, le pubbliche amministrazioni possono imporre l'adempimento degli obblighi nei loro confronti".

3. I poteri amministrativi impliciti: una teorica dai contorni enigmatici

3.1. Le ragioni sottese alla emersione del fenomeno

L'aver chiarito l'ubi consistam del principio di legalità, ormai pacificamente inteso nella sua accezione più robusta, permette di introdurre il tema dei rapporti tra lo stesso e l'ammissibilità nel nostro ordinamento dei c.d. poteri amministrativi impliciti[9].

Considerato in questa intensità, il ridetto principio presenta punti di attrito con quelle disposizioni che nel conferire poteri all'amministrazione si limitano a stabilire le finalità per il cui raggiungimento quei poteri sono stati assegnati, non precisandone, sia pur in maniera elastica, contenuti e modalità di esercizio.

L'assenza di qualsivoglia indicazione in merito darebbe, di fatto, la stura a inaccettabili vulnera di tutela in capo ai destinatari dell'agire pubblico, i quali si vedrebbero defraudati di un puntale paradigma normativo rispetto al quale apprezzare la coerenza dell'azione amministrativa volta a incide sulla propria posizione soggettiva.

3.2. Segue) … una riflessione di matrice sostanzialistico - telelogica disvela la sensibilità mostrata nei confronti della tematica

Ciò posto quanto alle ragioni sottese alla emersione del fenomeno, un approccio metodologicamente corretto al tema necessita di dare impulso alla trattazione partendo da una riflessione di tipo sostanzialistico - teleologica.

Nell'indagare la tematica de qua non è dato prescindere, infatti, dal significato che si suole attribuire alla locuzione potere amministrativo implicito[10].

Orbene, per potere amministrativo implicito si intende il potere non esplicitamente attribuito dalla legge  all'amministrazione, ciononostante funzionale al conseguimento del fine pubblico che la disposizione di rango primario comanda di perseguire nell'esercizio di poteri espressamente conferiti[11].

Quanto rilevato attesta, senza timore di smentita, l'esistenza di un nesso tra il principio di legalità dell'azione amministrativa e l'ammissibilità di poteri siffatti.

Più nel dettaglio, questa interconnessione certifica una convivenza dai fragili equilibri tra la dimensione attribuita al principio di legalità e la facoltà di riconoscere giuridica cittadinanza a poteri che potremmo definire testualmente adespoti, in quanto privi di qualsivoglia referente normativo.

La sensibilità mostrata nei confronti del fenomeno è ancor più avvertita se solo si pone mente alla considerazione che maggiore è la portata e l'astringenza ascritta al principio di legalità dell'azione amministrativa, minore è lo spazio che è consentito riconoscere alla categoria dei poteri impliciti: più si ritiene che la  legge debba regolare in modo puntuale i modi di estrinsecazione del potere amministrativo, più ricorrere a poteri non espressamente attribuiti da norme di legge diviene un comportamento censurabile perché chiaramente vietato[12].

Tuttavia, se, per un verso, l'adozione di una determinata misura non può prescindere del tutto da un fondamento normativo[13]; di contro, l'aver sposato un'accezione sostanziale del principio di legalità[14] non consente di cedere alla suggestione illuministica della legge onniloquente, capace di tipizzare qualsiasi fattispecie astrattamente ipotizzabile.

Infatti, se trovasse seguito una teorica di questa intensità, ne conseguirebbe che la norma di rango primario sarebbe chiamata a tipizzare (rectius, prevedere e disciplinare) ogni specifico potere conferito all'amministrazione, risultando, nei fatti, annichilita qualsiasi sua iniziativa e, alla luce del carattere necessariamente mutevole ed evolutivo della realtà giuridica, inevitabilmente pregiudicato il raggiungimento delle finalità pubblicistiche individuate dal Legislatore[15].

L'esatta soglia di determinatezza della norma di legge attributivo - regolativa del potere deve, dunque, essere tale da contemperare nella giusta misura tali istanze con le irrinunciabili e insopprimibili garanzie di legalità di cui sono titolari i destinatari del potere pubblico.

A chiosa delle argomentazioni fin qui spese è doverosa una puntualizzazione.

Di fatto, l'esigenza di preservare un equilibrio così fragile ha ragione di essere soddisfatta solo allorché l'amministrazione eserciti un potere, non anche quando la stessa agisca nell'esercizio dell'autonomia privata (sub specie negoziale), potendo in questo caso, al pari del privato, utilizzare moduli negoziali innominati ovvero non previsti dal codice civile e, più in generale, dalla legge.

Tanto premesso, il nucleo attorno al quale ruotano le maggiori difficoltà ermeneutiche è rappresentato dalla esatta perimetrazione degli spazi riconosciuti nel sistema amministrativo italiano ai poteri impliciti.

A tal riguardo è opportuno evidenziare che il problema dell'ammissibilità di poteri siffatti è stato solo in parte ridimensionato nella sua portata a seguito della espressa codificazione - avvenuta con la legge n. 15/2005 - di poteri di cui in passato già si riconosceva la implicita titolarità in capo all'amministrazione: il riferimento è ai poteri di autotutela (nella forma della revoca e dell'annullamento), di convalida e di sospensione dell'atto.

Tanto è ancor più vero se solo si considera che il tema dei rapporti tra il principio di legalità e l'ammissibilità di c.d. poteri impliciti è tornato prepotentemente d'attualità per effetto del riconoscimento, soprattutto in capo alle Autorità Indipendenti, di poteri concomitanti o consequenziali rispetto a quelli espressamente conferiti dalla legge[16].

4. La categoria dei poteri impliciti: il Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 marzo 2015, n. 1532 ne celebra la potenziale ammissibilità

Pietre miliari in questa materia sono due sentenze della VI Sezione - la n. 5827 del 17 ottobre 2005 e la n. 2521 del 2 maggio 2012 - il cui impianto argomentativo è stato ribadito e ulteriormente puntualizzato da Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 marzo 2015, n. 1532[17].

Nella scorsa primavera, il Supremo Collegio è stato chiamato, infatti, a sentenziare in merito alla legittimità di una delibera con cui l'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas (d'ora in poi A.E.E.G.) aveva disposto  un "Intervento urgente in materia di disciplina degli sbilanciamenti di energia elettrica e avvio di un'istruttoria conoscitiva in merito alle dinamiche del mercato dell'energia elettrica in Sardegna"[18].

L'Authority giustificava la determinazione alla luce di un consitente sbilanciamento, ricontrato in questa specifica zona di mercato, tra l'energia programmata in prelievo[19] e l'energia misurata in prelievo.

Per quanto di interesse ai fini della presente trattazione, nel disattendere la censura con cui era stata dedotta la mancanza di copertura legislativa all'operato dell'A.E.E.G., i giudici della VI Sezione partono da un assunto di fondo.

Gli alti magistrati affermano a chiare lettere che negli ambiti caratterizzati da particolare tecnicismo, quale quello che qui viene i rilievo, le leggi di settore attribuiscono alle Autorità di regolazione e controllo, al fine di assicurare il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, non solo poteri amministrativi individuali ma anche poteri di regolazione[20].

Orbene, la legittimazione all'esercizio di poteri siffatti dà licenza alle Autorità Amministrative Indipendenti di prevedere e costantemente adeguare il contenuto delle regole tecniche alla evoluzione del sistema.

Una predeterminazione legislativa rigida risulterebbe, invero, di ostacolo al perseguimento di tali scopi: di qui l'astratta coniugabilità dei poteri impliciti con i principi informatori del Sistema giuridico repubblicano[21].

Ai fini di una piena comprensione dellatematica che ci occupa, giova valorizzare i passaggi più significativi del percorso logico - argomentativo tracciato dai magistrati di seconde cure.

I Giudici del Supremo Collegio sostengono che, vigente nel nostro ordinamento il principio di legalità dell'azione amministrativa, può riconoscersi cittadinanza alla categoria dei poteri impliciti solo in presenza di talune, tassative, condizioni.

Più nel dettaglio, affinché possa ritenersi conforme a Costituzione il conferimento all'amministrazione di poteri scevri di puntualità descrittiva (rectius, senza che sia rispettato il principio della determinatezza), condizione imprescindibile è che questo deficit di descrizione normativa sia bilanciato attraverso un irrobustimento di garanzie che afferiscano al contraddittorio dei destinatari del potere pubblico[22].

Nel dar seguito al proprio ragionamento, i Giudici di Palazzo Spada sottolineano che il tecnicismo di alcuni settori (primi fra tutti quelli di competenza delle Authorities) non consente alla legge di stabilire con precisione il contenuto della regola e del potere che l'amministrazione deve esercitare, con la conseguenza che il Legislatore, proprio per consentire un adeguamento della disciplina all'evoluzione tecnica del settore, assegna all'Autorità il compito di integrare il sistema normativo.

Tutto quanto osservato comporta quale conseguenza che il privato destinatario dell'agere publicum, per il sol fatto di non avere a disposizione un parametro normativo rispetto al quale stimare la legittimità dell'azione amministrativa, subisce un vuoto di tutela, per bilanciare il quale deve vedersi riconosciuto, nel momento in cui quel potere viene esercitato, un supplemento di garanzie.

Insomma, mutuando una locuzione cara ai civilisti, ci si troverebbe al cospetto di una sorta di reductio ad aequitatem di matrice pubblicistica; nella sostanza, un meccanismo di bilanciamento la cui attivazione rappresenta l'unica strada percorribile per evitare la declaratoria di illegittimità della norma attributiva del potere priva di qualsivoglia puntualità descrittiva.

Pertanto, pena la violazione di quelle esigenze di tutela dei destinatari del potere pubblicistico che sono a fondamento del principio di legalità dell'azione amministrativa, la tolleranza di questa minore incisività descrittiva deve essere compensata da un invigorimento di garanzie da riconoscere agli interessati nel corso del procedimento[23].

La regola concreta che l'amministrazione adotta per colmare il vuoto descrittivo della norma di legge, deve essere, dunque, la risultanza di un confronto tra amministrazione e destinatari/interessati; confronto, questo, destinato a svolgersi nel corso di un procedimento a garanzia partecipativa irrobustita.

All'esito della parabola argomentativa tracciata, il Supremo Organo di Giustizia amministrativa individua, cristallizzandole, due condizioni in presenza delle quali, soltanto, l'esercizio di poteri non puntualmente riconosciuti in modo esplicito dalla legge può ritenersi conforme al principio di legalità dell'azione amministrativa:

    da un lato, è sufficiente che la fonte giuridica di rango primario, in quanto volta a conferire e disciplinare un potere non programmabile in via anticipata, si limiti a indicare gli obiettivi che l'amministrazione è tenuta a perseguire (cd. dequotazione del principio di legalità in senso sostanziale)[24];
    dall'altro, è indispensabile che all'esercizio di siffatti poteri faccia da speculare contralto un  potenziamento delle forme di coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, destinato a tradursi in un rafforzamento delle  garanzie di tipo procedimentale (cd. rafforzamento del principio di legalità in senso procedimentale)[25].

5. Poteri amministrativi impliciti e atti amministrativi impliciti: due facce della stessa medaglia?

5.1. L'atto amministrativo implicito: definizione e connotati distintivi

Dopo aver puntualmente descritto la disciplina dei poteri impliciti, onde offrire al lettore una panoramica d'insieme giova soffermarsi su talune precisazioni concettuali volte a marcare i confini con la categoria dei c.d. atti amministrativi impliciti.

Volendo dare armonia alla trattazione, ragioni di logica giuridica suggeriscono di modulare l'assetto di indagine.

L'aver fornito la nozione di atto implicito e l'aver tratteggiato i requisiti che consentono di rimarcarne la distinzione con la categoria dei poteri impliciti, consentirà di partitamente scandagliare il profilo - ad oggi di sicuro interesse ermeneutico - attinente la compatibilità di tale figura con alcuni principi generali desumibili dalla legge sul procedimento amministrativo.

Così chiarito lo schema di lavoro, è lecito ricostruire la nozione di atto implicito.

Orbene, di atto amministrativo implicito si suole parlare allorché il provvedimento è destinato a produrre effetti ulteriori rispetto a quanto espressamente indicato nell'atto stesso, ovvero con riguardo ai casi in cui la volontà dell'amministrazione, non estrinsecata in un provvedimento formale, è ricavabile da un comportamento, sicché l'atto è pur sempre esteriorizzato, anche se soltanto in forma indiretta[26].

Indagato il significato di atto implicito, giova fotografare i requisiti suoi propri che consentono di distinguerlo dal potere implicito.

In merito a questa classificazione ha fatto scuola una pronuncia del Consiglio di Stato risalente al lontano 2002[27], di cui è utile riassumere i passaggi più significativi:

a) deve esistere, a monte, una manifestazione espressa di volontà della pubblica amministrazione (sub specie comportamento concludente o altro atto amministrativo);

b) tale atto o comportamento deve provenire da un organo amministrativo competente e nell'esercizio delle sue attribuzioni;

c) l'atto implicito deve, a sua volta, rientrare nella sfera di competenza dell'autorità amministrativa che ha emanato l'atto presupposto;

d) per l'atto implicito la legge non deve richiedere una forma determinata a pena di nullità, dovendosi, comunque, rispettare le forme procedimentali previste per l'emanazione dell'atto;

e) infine, deve sussistere un collegamento esclusivo e bilaterale tra l'atto implicito e l'atto presupponente, il primo dovendo costituire l'unica conseguenza possibile dell'atto a monte espresso[28].

L'atto implicito è, dunque, un atto consequenziale in senso stretto[29], che, seguendo ad un provvedimento di per sé compiuto e autonomo, lo presuppone e ne costituisce il consequenziale svolgimento necessario per dargli esecuzione[30].

5.2. Segue) … questioni interpretative

Tutto quanto sin qui detto offre all'interprete l'occasione di compiutamente esplorare le perplessità sollevate da una parte della dottrina e della giurisprudenza circa la consonanza di questa categoria di atti con alcuni principi informatori del procedimento amministrativo.

A ben vedere, infatti, si tratta di categoria che pone non già un problema di compatibilità con il principio di legalità (trattandosi pur sempre di atti previsti dalla legge), quanto delle frizioni:

    in primis, con le regole che attengono alle forme di esternazione dell'atto amministrativo;
    in secundis, con i principi generali desumibili dalla legge sul procedimento amministrativo (motivazione, conclusione del procedimento con provvedimento espresso);
    in tertiis, con due nuovi istituti del diritto amministrativo, introdotti dall'intervento riformatore del 2005, quali la nullità dell'atto amministrativo per mancanza di elementi essenziali e il preavviso di rigetto.

In primo luogo, ci si interroga in merito alla compatibilità dell'atto implicito con l'obbligo generale di motivazione sancito dall'art. 3 ex lege n. 241/1990.

A fronte di chi esclude che tale prescrizione incida negativamente sulla permanenza della figura, ritenendo che, nel caso di atto implicito riveniente da altro atto amministrativo, è comunque consentito desumere la motivazione dall'atto presupposto[31], non manca chi evidenzia, invece, che il principio della libertà delle forme - tradizionalmente ritenuto vigente nel diritto amministrativo - è stato di fatto eroso dall'esigenza che ogni provvedimento debba essere motivato ai sensi dell'art. 3 l. 241/1990, idoneo, così, ad attestare la necessità sempre della forma scritta[32].

Si tratta di posizione, quest'ultima, che non appare, tuttavia, in linea con quel diffuso indirizzo pretorio secondo cui il difetto di forma costituisce causa di nullità solo nei casi in cui una determinata forma è prescritta dalla legge[33].

Anche l'obbligo, sancito dall'art. 2 l. 241/1990, di concludere il procedimento con un provvedimento espresso non è ritenuto incompatibile con la figura dell'atto implicito, inteso come manifestazione espressa della volontà dell'amministrazione, sebbene esternata in forma indiretta[34]. Infatti, secondo l'ormai consolidata lezione dottrinale, l'aggettivo "espresso" non è da tradursi nel senso di "esplicito", bensì da intendersi come limitato a sancire il solo divieto dell'inerzia amministrativa, non anche di manifestazioni implicite di volontà[35].

Ci si interroga, poi, in merito all'incidenza che sull'attuale configurabilità di atti amministrativi impliciti riveste l'art. 21 septies l. 241/1990, laddove prevede tra le cause di nullità dell'atto amministrativo la mancanza degli elementi essenziali (c.d. nullità strutturali)[36].

Quanto al vizio di forma, alla luce dei più recenti insegnamenti dottrinali e giurisprudenziali, giova considerare che non ogni deficit formale conduce all'invalidità dell'atto.

In altri termini, l'atto sarà nullo solo in mancanza della forma essenziale, ovvero nell'ipotesi in cui il vizio di forma è talmente grave da comportare la non riconducibilità dell'atto all'autorità amministrativa[37]. Inoltre, con riferimento al difetto di sottoscrizione, la giurisprudenza ritiene irrilevante il vizio se è comunque possibile risalire aliunde all'autore dell'atto[38].

Dunque, sulla scorta di queste argomentazioni, l'orientamento assolutamente maggioritario apprezza l'atto implicito quale atto in astratto completo di volontà e forma, la cui nullità potrà essere declarata, ex art. 21 septies l. n. 241/1990, solo qualora la forma espressa dovesse essere prescritta dalla legge quale elemento essenziale.

A riprova della bontà di questa linea di pensiero - proclive a una esaltazione degli aspetti funzionali del provvedimento a fronte di una marginalizzazione di quelli strutturali - viene richiamato anche l'art. 21 octies, laddove "esclude che la violazione di norme sulla forma degli atti costituisca causa di annullabilità del provvedimento, allorché risulti che il provvedimento avrebbe comunque avuto identico contenuto".

Last but not least, resta da verificare la compatibilità della figura dell'atto implicito con l'istituto della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, di cui all'art. 10 bis, l. 241/1990[39].

Più nel dettaglio, ci si interroga se, operante la fase predecisoria di cui all'art. 10 bis (come noto destinata a concludersi con un atto esplicito), la definizione del procedimento debba per ciò solo avvenire con un provvedimento espresso, giammai con un atto amministrativo implicito.

Nel dare soluzione a tale dubbio ermeneutico risulta opportuno tener conto di quanto in precedenza osservato con riferimento all'art. 21 octies laddove impedisce di valorizzare vizi formali ovvero procedimentali ogniqualvolta il contenuto dispositivo dell'atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Tale interpretazione funzionale della norma sembra doversi privilegiare ad onta della sua formulazione letterale, che pare deporre nel senso della imprescindibilità della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza.

In un'ottica sostanzialistica si è posta anche la prevalente giurisprudenza, secondo cui l'omissione del cd. preavviso di rigetto  non determina l'illegittimità del provvedimento finale nel caso in cui l'interessato, nel ricorso, non abbia addotto alcun elemento in fatto idoneo ad inficiare le conclusioni raggiunte con il provvedimento finale impugnato, non essendoci prova che la sua partecipazione al procedimento sarebbe stata in grado di concretizzarsi in osservazioni, suggerimenti ed anche opposizioni ragionevolmente idonei a sortire una favorevole incidenza causale sul provvedimento finale[40].

Alle stesse conclusioni può pervenirsi con riferimento all'omissione della comunicazione  di avvio del procedimento definitosi con un atto implicito, potendo anche in questo caso operare il meccanismo di cui al co. 2 dell'art. 21 octies, l. 241/1990.

Da: Io ho lasciato20/11/2021 09:31:01
Ogni speranza

Da: Brazino20/11/2021 10:36:31
Io ho iniziato a studiare per l'orale della patente nautica.

Da: Quale sarebbe20/11/2021 11:52:39
Qual è il senso di questi copia-incolla?

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