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Da: luana16/12/2009 12:54:57
anche se appartieni alla peggio razza d'italia, grazie lo stesso, ricambierò in natura

Da: roberto16/12/2009 12:57:06
a ke pagina è il p. di Alfano...

Da: alfano nota a sentenza16/12/2009 12:57:30
quando vuoi.....ahahahahah

Da: gpzeta16/12/2009 12:57:33
a che pag è il parere di alfano?

Da: paola per alfano16/12/2009 12:58:16
alfano posti di nuovo il parere..............grazie

Da: LAIKA16/12/2009 13:01:23
mi dite dove si trova lo svolgimento di Alfano?????? GRAZIE!!!

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Da: ROCKYRC16/12/2009 13:02:54
Per poter affrontare le problematiche sottese al quesito in oggetto, occorre svolgere alcune brevi considerazioni in ordine agli istituti sottesi alla problematica in esame.
La fattispecie oggetto di parere, impone di analizzare la responsabilità penale dello spacciatore per morte dellâacquirente di sostanze stupefacenti, caso di recente analizzato dalla Suprema Corte di Cassazione , Cass. Pen. Sez. Un, 29.05.09, n. 22676/09, che ha chiarito che lo spacciatore di droga per poter rispondere della morte del tossicodipendente, avrebbe dovuto conoscere tutte le circostanze del caso concreto e non rispondere a titolo di responsabilità oggettiva col semplice nesso della causalità materiale connessa alla commissione del reato base di cui allâart. 73 del DPR 309 del 1990, lâipotesi di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti che nel caso in esame appare ictu oculi appare ravvisabile in capo a Sempronio.
Tuttavia, per meglio, sviscerare la fattispecie in oggetto, è necessario analizzare il tema del reato da morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, di cui allâart. 586 c.p., la quale va considerata quale norma di chiusura e di rafforzamento del sistema di tutela del bene fondamentale della vita e della incolumità fisica che si attua ogni volta che la morte sia conseguenza non voluta di altro delitto di natura dolosa, purchè diverso da lesioni e percosse.
Secondo la dottrina prevalente lâart. 586 c.p. è norma di carattere speciale rispetto allâart 83 comma 2, dal momento che presuppone una condotta di base di natura dolosa e la conseguente produzione non voluta dellâevento morte o lesioni.
Dottrina minoritaria, invece, ritiene che tra le due norme via rapporto di genere a specie in quanto lâart. 586 c.p. a differenza dellâart. 83 comma 2 ( aberratio delicti plurilesiva) non subordina la responsabilità alla presenza di un errore nellâuso dei mezzi di esecuzione o di unâaltra causa.
Controverso resta, tuttavia, sia per la dottrina che per la giurisprudenza il criterio di imputazione di responsabilità. Una parte della dottrina e della giurisprudenza, infatti, ritengono che si tratti di ipotesi di responsabilità oggettiva in virtù del solo nesso di causalità.
Relativamente allâipotesi de quo, occorre sottolineare che buona parte della giurisprudenza, con specifico riferimento alla vendita di sostanze stupefacenti, ritiene che per affermare la penale responsabilità del venditore per morte dellâacquirente di stupefacenti sia sufficiente il solo nesso di causalità non interrotto da eventi eccezionali e, nel caso di successive cessioni di sostanze stupefacenti, considera non interrotto il nesso di causalità per effetto delle cessioni intermedie. Per essere più chiari, lâart. 586 c.p. troverebbe applicazione nei confronti di colui che a qualsiasi titolo illecito, cede una sostanza stupefacente in caso di morte del cessionario intervenuta a seguito della assunzione della sostanza ceduta, non occorrendo espletare alcuna indagine sullâesistenza della colpa, la cui presenza non sarebbe necessaria.
Secondo diversa interpretazione, invece, la fattispecie rappresentata dallâart. 586 c.p. andrebbe ricostruita come ipotesi di responsabilità per colpa specifica, fondata sulla semplice inosservanza della norma penale del reato base doloso.
Con particolare riguardo allâipotesi di morte conseguente allâassunzione di sostanze stupefacenti, si è ritenuto che lâevento morte è addebitabile allo spacciatore, anche se non realizzatosi nellâimmediatezza dellâassunzione degli stupefacenti, a norma dellâart. 586 c.p. a titolo di colpa consistita nella violazione della legge sullo spaccio di stupefacenti e nella conseguente prevedibilità dellâevento letale.
Una terza tesi richiede che, per imputarsi lâevento morte o lesioni ex art. 586 c.p., oltre al nesso di causalità, occorre anche la necessaria prevedibilità dellâevento facendo, però, riferimento ad una prevedibilità in astratto.
Infine, unâultima tesi rileva che lâart. 586 c.p. configura unâipotesi di responsabilità per colpa in concreto, accertata nei requisiti ordinari, fondata sulla violazione di regole cautelari di condotta e sulla necessità di un accertamento della effettiva prevedibilità ed evitabilità in concreto dellâevento non voluto da parte dellâagente.
Di recente, sul punto, come già anticipato, è intervenuta la chiarificatrice sentenza a Sezioni Unite n. 22676/09 che ha, da ultimo, inteso comporre il contrasto giurisprudenziale attinente ai presupposti necessari della responsabilità ex art. 586 c.p. per la morte o lesione di una persona come conseguenza non voluta di altro delitto, come nel caso di specie in riferimento particolare alla responsabilità penale dello spacciatore.
La pronuncia in commento, a riprova della diretta permeabilità del principio costituzionale di colpevolezza ex art. 27 della Costituzione, statuisce come la responsabilità penale dello spacciatore per l'evento morte non voluto, richiede che sia accertato non solo il nesso di causalità tra la cessione e la morte, non interrotto da cause eccezionali sopravvenute, ma anche che la morte sia in concreto imputabile allo spacciatore, ovvero che si accerti in capo allo stesso la presenza dell'elemento soggettivo della colpa in concreto, ancorata alla violazione di una regola precauzionale e a un coefficiente di prevedibilità e evitabilità in concreto del rischio per il bene della vita del soggetto che assume la sostanza.
Nella specie, dunque, se una coppia di amici, presuntivamente abitualmente dediti all'uso di sostanze stupefacenti - Tizio aveva già in passato acquistato stupefacenti da Sempronio- acquista stupefacenti, e, a seguito di assunzione di alcool Caio deceda non necessariamente la morte dovrà essere imputabile allo spacciatore.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno, quindi, fornito un significativo intervento risolutore alla luce dei principi costituzionali della responsabilità penale personale e della finalità rieducativa della pene con cui, nelle sentenze n. 364/88 e n. 1085/88 la Corte Costituzionale ha reinterpretato il principio di colpevolezza sulla base del collegamento sistematico dei commi primo e terzo dell'art. 27 Cost., che nella sua espansione massima va interpretato come sinonimo âdi responsabilità penale per fatto proprio colpevoleâ, il quale anche in virtù della finalità rieducativa della pena postula che il fatto addebitato sia psichicamente riportabile almeno nella forma della colpa al soggetto da rieducare. Invero, con la suddette pronunce, che segnano una svolta nella giurisprudenza costituzionale, la stessa giunge a sostenere come âil dolo e la colpa devono immancabilmente coprire gli elementi più significativi della fattispecie penaleâ, sollevando inevitabili obiezioni di costituzionalità in relazione all'istituto della responsabilità oggettiva.
Orbene, tentando di ricomporre in un quadro unitario gli assunti dettati dalla Corte Costituzionale la sentenza della Corte, cui il parere fa riferimento, ha accolto un orientamento, sviluppatosi solo negli ultimi anni in giurisprudenza, il quale mediante un'interpretazione adeguatrice dell'art. 586 c.p. al principio di colpevolezza, riconduce lo stesso ad una responsabilità per colpa in concreto. In particolare, il significativo principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite richiede che la responsabilità sia ancorata ad una violazione di regole cautelari di condotta ed a un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità in concreto e non in astratto, del rischio connesso alla carica di pericolosità per i beni della vita e dell'incolumità personale intrinseca alla consumazione del reato doloso di base. Di conseguenza, in caso di morte o lesioni conseguenti all'assunzione di stupefacenti, la responsabilità dello spacciatore per questi ulteriori eventi potrà essere ravvisabile quando sia accertata la sussistenza, da un lato, di un nesso di causalità fra la cessione e l'evento morte o lesioni, non interrotto da fattori eccezionali sopravvenuti, e, da un altro lato, che l'evento non voluto sia comunque soggettivamente collegabile all'agente, ovvero sia a lui rimproverabile a titolo di colpa in concreto, valutata secondo i normali criteri di valutazione della colpa nei reati colposi. Sarà quindi necessario che l'agente abbia violato una regola cautelare diversa dalla norma (della legge sugli stupefacenti) che incrimina il delitto base e che sia specificamente diretta a prevenire la morte o le lesioni personali. La Suprema Corte precisa, peraltro, come ai fini della responsabilità occorrerà espletare una valutazione positiva di prevedibilità ed evitabilità in concreto dell'evento, compiuta ex ante, sulla base del comportamento che sarebbe stato tenuto da un omologo agente modello, tendendo, inoltre, conto di tutte le circostanze della concreta e reale situazione di fatto. Secondo la teoria in commento, ad avviso della Corte l'unica compatibile con i principi costituzionali, si dovrà pertanto verificare se nella situazione concreta dal punto di vista di un agente modello, quale può essere una persona ragionevole consapevole degli effetti della sostanza ceduta, risultava prevedibile l'evento morte come conseguenza dell'assunzione da parte di uno specifico soggetto di una determinata dose di droga. Tale orientamento, ispirato a ragioni maggiormente garantiste, che in conformità alla giurisprudenza costituzionale tendono a ricondurre all'agente una responsabilità penale solo in caso di azioni controllabili, risulta, inoltre, coerente con la riforma del regime di imputazione delle circostanze aggravanti di cui all'art. 59 comma 2, a cui la legge n. 19 del 1990 ha esteso il principio di colpevolezza.
Lo spacciatore potrà ritenersi esente da colpa quando ad una attenta e prudente valutazione di tutte le circostanze del caso concreto l'evento morte o lesioni erano imprevedibili in quanto intervenute per effetto di fattori non noti o non rappresentabili dal cedente, come potrebbe verificarsi nel caso, di specie, di cessione di una normale quantità di droga a cui segue la morte a causa della contemporanea assunzione di alcool da parte di uno degli acquirenti. La colpa potrà invece essere ravvisabile quando la morte sia prevedibile, ed anche quando non sia prevista perché una circostanza pericolosa sia stata ignorata per colpa o sia stata erroneamente valutata sempre per colpa.
In conclusione, alla luce di tale arresto giurisprudenziale sancito dalla Supreme Sezioni Unite, nel caso in esame, la responsabilità dello spacciatore Sempronio in ordine alla morte di Caio, dovrà essere valutata alla stregua dei principi della prevedibilità ed evitabilità dellâevento morte, il quale non potrà essere attribuito a titolo di responsabilità oggettiva, derivante da un mero nesso di causalità materiale, ma lâelemento soggettivo del reato dovrà desumersi dalle circostanze conosciute e conoscibili dallâagente. Se lâagente, in questo caso Sempronio era consapevole del fatto che Caio fosse dedito allâuso di sostanze stupefacenti, non vâè dubbio che lâagente potrà rispondere dellâevento morte, ulteriore, rispetto al reato di cui allâart. 73 del DPR 309 del 1990, in caso contrario non sarà applicabile lâipotesi di cui agli artt. 586 e 83 del c.p. e lo stesso risponderà solo della violazione dellâart. 73 del DPR 309 del 1990.

Da: Interessato16/12/2009 13:04:29
La soluzione di Alfano a sentenza è a pag.882 e sveglia........

Da: alia16/12/2009 13:06:32
potete riportare qui anche un esempio di parere circa la seconda traccia??? grazie

Da: jhonny16/12/2009 13:08:41
forza napoli

Da: veronica16/12/2009 13:10:24
forza napoli ma in che padiglione sei????

Da: veronica16/12/2009 13:12:21
La sentenza in commento si pone come dirimente dei delicati problemi interpretativi sorti sulla natura della responsabilità ex art. 586 c.p. Lâoccasione di chiarire in maniera definitiva e generale il titolo della responsabilità dellâarticolo in oggetto, è originata da una fattispecie relativa alla responsabilità penale dello spacciatore in conseguenza di cessione di sostanza stupefacente cui ha fatto seguito la morte dellâassuntore.

Lâarticolo 586 c.p., rubricato ââmorte o lesioni come conseguenza di altro delittoï¿ï¿º, letteralmente dispone che ââquando da un fatto preveduto dalla legge come delitto doloso deriva, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o lesione di una persona, si applicano le disposizioni dellâart. 83 c.p. (aberratio delicti), ma le pene stabilite dagli artt. 589 e 590 c.p. sono aumentateï¿ï¿ºï¿ï¿º.

Relativamente alla natura e al criterio di imputazione della responsabilità per la morte o le lesioni non volute, sono state avanzate in  dottrina e in giurisprudenza diversi orientamenti. La Suprema Corte con la sentenza 29 maggio 2009, n. 22676 confuta tutte le diverse teorie prospettate, e propone una nuova chiave di lettura della natura dellâart. 586 c.p.

Teoria della responsabilità oggettiva.

Il primo e più risalente orientamento giurisprudenziale ravvisava nellâart. 586 c.p. un caso di responsabilità oggettiva, riconducibile al disposto del comma terzo, dellâart. 42 c.p. La norma da ultimo citata, dopo aver sancito al secondo comma che nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato se non lâha commesso con dolo, salvo i casi di delitto preterintenzionale o colposo, dispone che ââla legge determina i casi nei quali lâevento è posto altrimenti a carico dellâagente, come conseguenza della sua azione od omissioneï¿ï¿ºï¿ï¿º. I primi commentatori individuarono in tale disposizione la matrice di una responsabilità penale, diversa da quella dolosa o colposa indicata nel precedente comma, e fondata sul puro rapporto causale tra azione od omissione ed evento. Orbene, il reato di cui allâart. 586 c.p. venne, per lungo tempo, ricondotto ad una ipotesi di responsabilità oggettiva: accertato il delitto di base doloso, la morte o le lesioni erano imputate al reo sulla base del mero rapporto di causalità, lâunica indagine da compiere si risolveva nellâesistenza o meno di cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare lâevento.

Qui in re illicita versatur respondit etiam pro casu: accertato il delitto di cessione di sostanza stupefacente, di cui allâart. 73 d.p.R. 309 del 1990, per ricondurre allo spacciatore la responsabilità della morte o lesione patita dallâassuntore, era necessaria una mera analisi sulla sussistenza del rapporto di causalità naturale, non interrotto da cause sopravvenute di carattere eccezionale. E si sosteneva che le cessioni multiple della sostanza stupefacente non fossero tali da assurgere al rango di cause sopravvenute ed eccezionali capaci di elidere il nesso eziologico, data la notorietà e la prevedibilità delle stesse. In ragione di ciò, le sanzioni di cui allâart. 586 c.p. venivano poste a carico sia del cedente immediato, ossia colui il quale ha ceduto direttamente la sostanza stupefacente letale allâassuntore, sia al cedente mediato, individuabile nel fornitore del cedente immediato.

Orbene, la responsabilità per la morte o lesioni causate prescindeva da un qualsiasi accertamento dellâelemento psicologico, in quanto se la morte era stata pensata come possibile, accettando il relativo rischio creato, lo spacciatore avrebbe risposto di un omicidio volontario, quantomeno a titolo di dolo eventuale, mentre del tutto avulsa rimaneva un indagine sullâesistenza della colpa.

Tale concezione derivava, a monte, dallâinterpretazione assegnata al principio di colpevolezza contenuto nellâart. 27, comma primo, Cost., il quale sancisce che ââla responsabilità penale è personaleï¿ï¿ºï¿ï¿º. Per i fautori dellâammissibilità nel nostro ordinamento di una forma di responsabilità oggettiva, lâenunciato âla responsabilità penale è personaleâ altro non significa che âresponsabilità per fatto proprio del soggettoâ. Ne consegue che sarebbe incostituzionale solo una responsabilità per fatto altrui o fatto naturale, laddove risulta del tutto armonizzabile a Costituzione un tipo di responsabilità in toto avulsa da un legame psicologico tra autore ed evento. In questâottica, la responsabilità oggettiva, contenuta nellâart. 42, comma terzo, c.p., è del tutto legittima in quanto richiede che lâevento sia [solo] conseguenza dellâazione od omissione di un soggetto.

Il principio del qui in re illicita versatur respondit etiam pro casu fonda le sue origini nel diritto penale canonico, la cui filosofia di base tendeva alla sostanziale identificazione tra peccato e crimine. Ne conseguiva che il reo doveva rispondere di tutte le azioni criminose/peccaminose da lui compiute, quantunque esse avessero provocato eventi non voluti, indipendentemente, dunque, dalla sua colpevolezza. Ed invero, se occorre riconoscere che il versari in re illecita ha trovato applicazione negli ordinamenti penali di vari Stati, è anche vero che il suo ambito operativo si è progressivamente ridotto a causa di quel lento, ma inesorabile processo che è stato definito come âeticizzazione del diritto penaleâ e che ha condotto alla definizione del principio di colpevolezza espresso dal brocardo nullum crimen sine culpa.

Ancor prima, della fondamentale sentenza della Corte Costituzionale n. 364/88 illuminante in merito al significato da attribuire al principio costituzionale di colpevolezza, era comunque intuitivo dubitare di una forma di responsabilità oggettiva. Ed invero, una responsabilità siffatta è carente della proiezione dellâuomo come persona rispetto alla verificazione dellâevento.

Teoria della colpa specifica.

Altro orientamento ravvisa nellâart. 586 c.p. una forma di responsabilità per lâevento morte o lesioni fondata su una colpa specifica, derivante dalla violazione della norma penale incriminatrice del delitto doloso di base. In tale prospettiva allâart. 586 c.p. viene assegnato un ruolo di protezione ultima della vita e della salute individuale, e di conseguenza esso troverebbe applicazione anche nei casi in cui il comportamento doloso di base non sia diretto ad offendere il bene giuridico specificamente tutelato, purché tra il comportamento illecito e lâevento non voluto (morte o lesioni) sussista un rapporto di causalità materiale. Tale forma di responsabilità viene ricondotta nellâalveo dellâart 43 c.p., il quale dopo aver elencato la negligenza, lâimprudenza e lâimperizia, annovera tra i presupposti capaci di fondare un responsabilità colposa anche lâinosservanza di leggi, regolamenti ordini o discipline.

Tale concezione ritiene, dunque, idonea alla configurazione dellâelemento psicologico colposo, non solo la violazione di leggi a carattere squisitamente cautelare, ma vi fa rientrare anche lâinosservanza delle stesse norme penali incriminatrici, assegnando a queste ultime, oltre la funzione loro propria di tutela del singolo bene giuridico, anche un ruolo di prevenzione delle possibili lesioni prodotte da fattispecie delittuose dolose ai beni stessi. In altri termini, si assegna alla norma penale incriminatrice una doppia funzione repressivo-preventiva, dando in tal modo luogo ad un ossimoro legislativo: la norma penale così connotata imporrebbe, da un lato di non tenere un certo comportamento dichiarato contrario ai fini dellâordinamento giuridico, e dallâaltro prescriverebbe di tenere tale comportamento assumendo tutte le cautele del caso. Sebbene sia vero che, in linea di principio, è possibile ravvedere in alcune norme penali incriminatrici una funzione preventiva, è altrettanto vero che non tutte prevedono regole cautelari atte a fondare un illecito colposo a norma dellâart. 43 c.p. Così, vi sono norme penali che posseggono unâesclusiva finalità repressiva, volta alla punizioni di comportamenti che hanno leso o posto in pericolo un determinato bene giuridico. Lâobbligo di cautela, quindi, non può scaturire dalla stessa norma penale repressiva della condotta dolosa, ma esclusivamente da una diversa ed autonoma regola cautelare.

Oltre allâultimo inconveniente citato, a ben vedere tale teoria si risolve in unâequivalenza di effetti con la forma della responsabilità oggettiva. Ed invero, essa configura una colpa presunta della quale sarebbe inutile un qualsiasi accertamento, consistente nella violazione dellâimperativo contenuto nella norma che incrimina il delitto doloso di base: ne consegue che anche accettando tale opinione, lâevento non voluto verrebbe posto a carico del reo solo sulla base del puro nesso di causalità. Portando a conclusione del tutto analoghe al qui in re illecita versatur respondit etiam pro casu, tale teoria non risulta essere armonizzabile al moderno concetto di colpevolezza delineato dalla Corte Costituzionale.

Teoria della prevedibilità in astratto.

Un terzo orientamento, postula che al fine di poter imputare al reo lâevento non voluto cagionato (morte o lesioni) sarebbe necessario ed ineluttabile il requisito della prevedibilità, limitando però tale concetto alla prevedibilità in astratto. Questa teoria si risolve nel semplice richiamo ad una prevedibilità in re ipsa, insita e sempre presente in qualsiasi cessione di sostanza stupefacente. La prevedibilità della morte o della lesione viene desunta dalla frequenza, dalla notorietà, in base allâid quod plerumque accidit, di possibili eventi mortali o lesivi susseguenti allâassunzione di sostanze stupefacenti, elidendo in tal modo lâaccertamento sullâeffettivo decorso causale per ricostruire le specifiche modalità di verificazione dellâevento. La Suprema Corte ritiene, correttamente, che tale teoria sia in realtà un camuffamento della teoria della responsabilità oggettiva e della colpa presunta, risolvendosi anchâessa in una forma di responsabilità basata sul solo nesso causale. Il richiamo al concetto di prevedibilità (astratta) non vale a nulla, essendo solo un formale e non sostanziale omaggio, al principio di colpevolezza.

Teoria della responsabilità da rischio totalmente illecito.

La teoria della responsabilità da rischio totalmente illecito promana da unâautorevole fonte dottrinale, ed origina da una peculiare scelta ermeneutica del disposto di cui allâart. 27 Cost.

Una prima interpretazione del principio di colpevolezza postula che lâenunciato âla responsabilità penale è personaleâ significhi responsabilità per fatto proprio del soggetto. In tale ordine dâidee, dunque, lâillecito potrebbe essere posto a carico di un soggetto quando lâevento è conseguenza della sua azione od omissione, senza esigere legami ulteriori tra evento ed agente.

Altra interpretazione del medesimo disposto porterebbe ad assegnare al principio costituzionale il significato di responsabilità per dolo o colpa, e lâart. 42, comma terzo, c.p. in quanto espressione di una responsabilità senza dolo né colpa sarebbe costituzionalmente illegittimo, o quantomeno privo di significato.

Alla prima delle due tesi, si obietta che una responsabilità fondata sul mero nesso causale tra azione od omissione dellâagente ed evento non è esclusiva dellâuomo come persona, ma è comune a tutto il mondo animale. Sarebbe dunque necessario richiede un legame ulteriore che manifesti nellâevento lâespressione dellâuomo come persona.

Alla seconda, che a seguito di plurime sentenze della Corte Costituzionale è oggi dominante, si appunta unâarbitraria sostituzione della locuzione âresponsabilità personaleâ con lâaltra âresponsabilità colpevoleâ. Richiedere ai fini dellâaffermazione della responsabilità, il dolo o quantomeno la colpa, è una conseguenza della confusione del principio costituzionale di colpevolezza con la concezione psicologica della colpevolezza.

Per tale autore il principio di colpevolezza esigerebbe solo che il soggetto sia eticamente rimproverabile per il fatto. Il concetto di colpa, come requisito minimo per lâimputazione del fatto allâagente, è fuorviante e non sempre tecnicamente corretto: il legislatore richiede, infatti, nellâambito del concetto di colpa, da un lato la violazione di una regola cautelare, e dallâaltro che il soggetto agisca in un ambito dove esiste unâarea di rischio consentito. In tutte le attività in cui tale rischio lecito non sussiste, essendo lâattività di base è totalmente illecita, non è consentito configurare la colpa, ma non vi è ragione per non punire lâagente. Anzi, è eticamente corretto punirlo più gravemente delle corrispondenti forme colpose. Invero, la colpa è data dalla somma rischio consentito più il rischio illecito conseguenza diretta dello sforamento delle soglie poste dalle regole cautelari, ma la porzione di rischio lecito affrontato è indifferente per i fini sanzionatori dellâordinamento giuridico. Nelle forme da responsabilità da rischio totalmente illecito, il rischio corso è già in nuce tutto illecito, e come tale andrà punito più severamente rispetto alle ipotesi colpose.

Dunque, scartate le due tesi estreme relative allâinterpretazione del principio di colpevolezza, è possibile creare una terza categoria dogmatica, in cui âresponsabilità personaleâ significhi dominio personale del soggetto sullâaccadimento umano, che esige però necessariamente il requisito della evitabilità finalistica. Ciò si traduce nella ineluttabilità della prevedibilità ed evitabilità dellâevento nella situazione concreta. Ne consegue che sarà costituzionalmente illegittima una forma di responsabilità che punisca per un evento che concretamente non si sia potuto evitare.

Da tali premesse teoriche è possibile individuare una responsabilità penale scaturente dal disposto dellâart. 42, comma terzo, c.p. armonizzabile a Costituzione. Tale forma di responsabilità per essere legittima deve: rendere la c.d. responsabilità oggettiva ex art. 42, comma terzo, c.p. conforme al principio di personalità dellâillecito; non degenerare sempre in forme di responsabilità per colpa, perché non sempre sussiste la violazione delle regole cautelari, né a fortiori unâarea di rischio consentito; esprimere le ragioni della maggiore gravità che i casi di responsabilità da rischio totalmente illecito possiedono rispetto al concorso di reato doloso con reato colposo. Il concetto di responsabilità da rischio totalmente illecito, per lâautore, si presta egregiamente a soddisfare le predette esigenze.

Invero, la sentenza in commento non dedica lo spazio che sarebbe stato necessario alla teoria da ultimo esposta, limitandosi ad accennarne i presupposti e ad una successiva sbiadita confutazione: liquidando il problema con la laconica espressione âânon è questa la sede per esaminare criticamente questa teoriaï¿ï¿ºï¿ï¿º.

La soluzione: responsabilità per colpa in concreto.  

Lâultimo e più recente orientamento ravvede nellâart. 586 c.p. unâipotesi di responsabilità colpa in concreto, concepita nei suoi aspetti ordinari: violazione di una regola cautelare e accertamento della sussistenza dei requisiti della prevedibilità ed evitabilità relativamente allâevento realizzato, ma non voluto.

A dir il vero, questa è unâinterpretazione indotta, quasi obbligata dal dovuto rispetto al principio di colpevolezza (art. 27, comma 1 Cost. in rapporto con il successivo comma 3) nella sua portata liberalgarantistica, così come delineato a partire dal 1988 con una serie di sentenze della Corte Costituzionale.

Sebbene, per ragioni di sintesi, non sia possibile unâanalisi compiuta e completa delle sentenze dedicate al principio di colpevolezza, è doveroso quantomeno un richiamo dei principi in esse sanciti.

Con la sentenza n. 364 del 1988 la Corte Costituzionale colse lâoccasione, derivante da un giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 5, 42, 43, e 47 c.p., per fornire unâilluminante chiarificazione del contenuto e del significato da attribuire al principio di colpevolezza. Lâapprofondita esegesi della Corte portò ad intendere lâenunciato âla responsabilità penale è personaleâ come âresponsabilità per fatto proprio colpevoleâ. Il principio di colpevolezza, si disse, pone un limite invalicabile al legislatore ordinario, impedendogli di punire comportamenti che si mostrino carenti dei requisiti subiettivi minimi dâimputazione. La Corte giunse ad individuare quale requisito subiettivo minimo la colpa dellâagente, insieme con i requisiti di prevedibilità ed evitabilità a questa connaturati, in relazione agli elementi più significativi della fattispecie. Si metteva in luce, lo stretto rapporto tra primo e terzo comma dellâart. 27 Cost., il quale sancisce che ââle pene (â) devono tendere alla rieducazione del condannatoï¿ï¿ºï¿ï¿º. Logica conseguenza di tale lettura combinata era la mancanza di senso della rieducazione di chi, non essendo (almeno) in colpa rispetto al fatto, non avesse certo bisogno di essere rieducato, a meno di non limitare lo scopo della pena ad una mera funzione deterrente: inaccettabile conclusione nel nostro sistema costituzionale data la grave strumentalizzazione cui sarebbe sottoposta la persona umana. Il principio di colpevolezza, si affermò, non contiene un tassativo divieto di responsabilità oggettiva spuria o impropria, nella quale un solo elemento della fattispecie, magari accidentale, non è coperto dal dolo o dalla colpa. Relativamente alla forma pura o propria di responsabilità obiettiva, ove è il risultato ultimo vietato a non essere sorretto da alcun coefficiente psicologico, va stabilito quali debbano essere gli elementi che non possono non essere coperti almeno dalla colpa dellâagente, affinché non si incorra in una antinomia con lâart. 27 Cost.

Con la successiva sentenza n. 1085 del 1988, la Consulta sancì che ââperché lâart. 27 Cost. sia pienamente rispettato e la responsabilità sia autenticamente personale, è indispensabile che tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegabili allâagente (siano cioè investiti dal dolo o dalla colpa) ed è altresì indispensabile che tutti e ciascuno dei predetti elementi siano allo stesso agente rimproverabiliï¿ï¿ºï¿ï¿º. Esulano da tale ambito di rimproverabilità gli elementi estranei alla materia del divieto: come ad esempio, le condizioni estrinseche di punibilità. Si determinò in maniera definitiva lâillegittimità del principio qui in re illicita versatur respondit etiam pro casu, per contrasto con lâart. 27 Cost. il quale impone come elemento soggettivo minimo di riferibilità dellâevento al suo autore lâaspetto colposo.

Da ultimo, con la sentenza n. 322 del 2007, la Corte Costituzionale, nel confermare quanto già statuito nel 1988, ha chiarito che ââlâart. 27 Cost. mira a garantire ai consociati libere scelte dâazione, sulla base di una valutazione anticipata delle conseguenze giuridico penali della propria condotta; calcolabilità che verrebbe meno ove allâagente fossero addossati accadimenti estranei alla sua sfera di consapevole dominio, perché non voluti né concretamente rappresentati, ma neppure prevedibili ed evitabiliï¿ï¿ºï¿ï¿º.

Da tali principi costituzionali discende la scelta obbligata di disattendere interpretazioni dellâart. 586 c.p. fondate sulla mera responsabilità oggettiva pura o propria, la quale si limita a richiedere il sussistere del solo nesso di causalità, sia lâorientamento della colpa presunta per violazione di legge, sempre immancabile e che in definitiva si traduce in un camuffamento della responsabilità oggettiva, così come quello che richiede un prevedibilità in astratto, ossia una prevedibilità formale e in re ipsa.

La tesi della responsabilità da rischio totalmente illecito, sebbene tecnicamente corretta nelle suoi risvolti pratici, paga il dazio di non essere conforme agli orientamenti costituzionali in tema di principio di colpevolezza. Nel nostro ordinamento, ormai è chiaro e incontrovertibile, non residua spazio per una terza forma di responsabilità colpevole, diversa dal dolo o dalla colpa, come quella che ritenga eticamente rimproverabile lâautore per la creazione di un rischio in nuce illecito sulla base dei requisiti della prevedibilità ed evitabilità.

La scelta, dunque, è obbligata. Ed è una scelta che avviene per differenza: in tutte le ipotesi in cui non è ravvisabile il dolo, per essere riferibili allâagire umano gli eventi provocati devono essere connotati dalla colpa. Lâart. 586 rappresenta uno di questi casi emblematici, lâalternativa si pone tra connotazione colposa dellâevento non voluto e promozione di un giudizio di legittimità costituzionale per contrasto con il principio di colpevolezza.

La Corte di Cassazione ha ritenuto di poter ravvedere nella fattispecie di cui allâart. 586 c.p. una responsabilità per colpa in concreto, ancorata alla violazione di una regola cautelare ed a un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità in concreto, del rischio creato per la vita o lâincolumità fisica, intrinseco al reato dolo di base.

La Corte prosegue lâanalisi del delitto in questione rispondendo alle principali critiche avanzate da più parti, e richiamando a sostegno alcuni appigli di ordini logico e giuridico.

Alla prima e più intuitiva obiezione per la quale sarebbe logicamente non corretto che il legislatore prima vieti di tenere una determinata condotta (nella specie la cessione di sostanza stupefacente punita dallâart. 73 D.P.R. 309 del 1990) ritenuta contraria ai fini dellâordinamento giuridico, poi richieda cautela verso la verificazione di eventi non voluti qualora ci si determini a tenerla ugualmente, la Corte risponde che lâimpossibilità di configurare una colpa in chi versa in re illicita comporterebbe una lesione del principio di eguaglianza. Ed invero, la violazione si renderebbe effettiva nel trattare nello stesso modo le situazioni diverse di chi agisce in una serie di circostanze che rendano prevedibile la verificazione dellâulteriore evento non voluto (morte o lesioni), rispetto a chi tenga la stessa condotta in situazioni talmente eccezionali da non renderlo prevedibile. Configurare, allora, un rimprovero per colpa in tali ipotesi equivale alla possibilità di trattare in modo diverso situazioni sostanzialmente diverse.

Ed inoltre, la possibilità di ambientare un rimprovero per colpa nellâalveo di un comportamento doloso non è eventualità sconosciuta dal nostro ordinamento: il richiamo è allâart. 59, comma 2, c.p. ed al relativo regime di imputazione delle circostanze aggravanti. Tale articolo letteralmente dispone che ââle circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dellâagente (â) se da lui ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpaï¿ï¿ºï¿ï¿º.

Eliminati gli ostacoli di ordine testuale e logico relativi alla configurabilità della colpa in ambito doloso, la Corte prosegue chiarendo quale sia la natura di questa colpa, ossia se essa debba subire modificazioni nella sua struttura o si tratti della stessa colpa presente nelle normali fattispecie colpose.

La Corte opta per la seconda soluzione: in tema di art. 586 c.p. deve ravvedersi una colpa ânormaleâ, pena lâimpoverimento e il travisamento del concetto di colpa stesso.

Dunque, la colpa, anche in tale ambito consiste âânella realizzazione di un evento non voluto, rimproverabile al soggetto per la violazione di una regola di diligenza, prudenza o imperizia, che discende da una valutazione positiva di prevedibilità ed evitabilità della verificazione dellâevento. Tale valutazione deve essere compiuta con un giudizio di prognosi postuma, collocandosi in una prospettiva ex ante, cioè riferita al momento in cui è avvenuto il fatto, da svolgersi in concreto, secondo il punto di vista di un omologo agente modello, ossia di un agente ideato mentalmente come coscienzioso ed avveduto che si trovi nella concreta situazione e nel concreto ruolo sociale dellâagente realeï¿ï¿ºï¿ï¿º. Una volta pensato lâagente modello, tenendo conto di tutte le circostanze fattuali presenti, occorre verificare la sussistenza della prevedibilità ed evitabilità, individuando dapprima la condotta che avrebbe tenuto lâagente modello, e in caso di divergenza dal comportamento tenuto dallâagente reale si potrà affermare lâesistenza della colpa.

Anche nelle ipotesi di chi versa in re illicita è possibile ideare lâagente modello, il quale non va individuato nel âdelinquente modelloâ, ma si cristallizza attorno alla figura dellââindividuo medio razionale, posto nella medesima situazione in cui si è trovato lâagenteâ. Dunque, se lâuomo medio e razionale, posto nella situazione concreta in cui opera lâagente reale, avesse valuto come prevedibile la morte in ragione dellâassunzione della sostanza stupefacente ceduta si dovrà affermare lâesistenza della colpa, e lâintegrazione in tutti i suoi elementi essenziali dellâart. 586 c.p.

Esclusa la prevedibilità in astratto, la colpa andrà sempre accertata in concreto, sulla base delle circostanze di fatto di cui il soggetto era o poteva essere a conoscenza e che evidenziavano il pericolo di eventi letali per lâassuntore.

Lâesistenza dellâelemento psicologico colposo andrà esclusa tutte le volte in cui la lesione o la morte dellâassuntore derivino da circostanze imprevedibili, non conosciute e conoscibili dallo spacciatore. Assunzione di alcol commista allâassunzione della droga inconoscibile dallo spacciatore; cessione ad un apparente consumatore diretto che poi, allâinsaputa del primo fornitore, abbia a sua volta ceduto la sostanza ad altro soggetto con gravi vizi fisici tali da rendere la dose letale; assunzione contemporanea di psicofarmaci; sono tutti esempi in cui difettando il requisito della prevedibilità dellâevento non potrà essere personalmente rimproverata la morte o lesione dellâassuntore allo spacciatore.

Potrà, invece, essere affermata la responsabilità penale del cedente nei casi in cui egli abbia fornito la dose letale essendo a conoscenza della circostanza che lâassuntore fosse dedito al consumo di alcol, o di psicofarmaci, o fosse affetto da gravi vizi fisici, ovvero anche quando tali evenienze siano da lui non conosciute a causa di un errore o ignoranza evitabili, così nel caso di cessione a soggetto che denota un alito particolarmente vinoso, o di cessione allâinterno di discoteche o altri locali in cui si fa abitualmente uso di sostanze alcoliche.

Nel caso di cessioni plurime la colpa da accertarsi in concreto comporta, ai fini dellâaffermazione della responsabilità penale dello spacciatore, che la morte del terzo assuntore sia intervenuta per un fattore eziologico prevedibile del cedente mediato. Dunque, nelle ipotesi in cui la morte del terzo assuntore, non conosciuto né conoscibile dal cedente originario, sia intervenuta per fattori ignoti e non conoscibili dallo spacciatore, come ad esempio lâassunzione contemporanea di alcol, la colpa dovrà dirsi esclusa.

Sarà possibile affermare lâesistenza della colpa, nei casi di cessioni plurime, qualora tali fattori fossero facilmente conoscibili dal cedente originario, come nel caso in cui egli fosse a conoscenza della circostanza che la sostanza stupefacente era destinata a successivo smercio allâinterno di discoteche, ove il consumo di alcol è prassi abituale.  

Dunque, la Corte di Cassazione, ha definitivamente posto la parola fine relativamente allâimputazione dellâevento non voluto dellâart. 586 c.p.: âânellâipotesi di morte verificatasi in conseguenza dellâassunzione di sostanza stupefacente, la responsabilità penale dello spacciatore per lâevento morte non voluto richiede che sia accertato non solo il nesso di causalità tra cessione e morte, non interrotto da cause eccezionali sopravvenute, ma anche che la morte sia in concreto rimproverabile allo spacciatore e che quindi sia accertata in capo allo stesso la presenza dellâelemento soggettivo della colpa in concreto, ancorata alla violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma penale che incrimina il reato base) e ad un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità in concreto del rischio per il bene della vita del soggetto che assume la sostanza, valutate dal punto di vista di un razionale agente che si trovi nella concreta situazione dellâagente reale ed alla stregua di tutte le circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dallâagente realeï¿ï¿ºï¿ï¿º.

Sebbene, siano lodevoli gli sforzi interpretati della Suprema Corte finalizzati a riportare entro i confini delimitati dal principio di colpevolezza il crocevia dogmatico rappresentato del titolo della responsabilità per lâevento non voluto ex art. 586 c.p., tuttavia è bene non disconoscere che la categoria colpevolezza è del tutto estranea alla logica ispiratrice del codice penale Rocco. La verità è che, allâinterno del codice del 1930, il principio di colpevolezza è sistematicamente contraddetto in tutti quegli istituti in cui era pensabile allâepoca la configurazione di responsabilità incolpevoli. Le esigenze storiche del tempo, originate da una necessità di esasperata difesa sociale, evidenziano profili di antinomia con lâattuale rapporto liberalgarantisco che governa il rapporto individuo-autorità, del quale il principio di colpevolezza è espressione suprema.

In una prospettiva di riforma del codice penale è bene augurarsi unâespunzione o una sostanziale modifica di quelle norme che erano originariamente state pensate come ipotesi di responsabilità oggettiva, presidio della supremazia della società sul singolo, a meno di non voler utilizzare il concetto di colpa come panacea del principio di colpevolezza, e continuare a compiere contorti sforzi dogmatici per adattargli istituti poco compatibili. 

Da: Jack16/12/2009 13:15:13
Nel caso di specie, è richiesto parere in merito alla condotta di Tizio, legale rappresentante della società Gamma S.r.l. per aver allegato nella richiesta di partecipazione alla procedura di licitazione privata per l'appalto dei lavori di costruzione della nuova sede dell'Istituto polivalente di Beta, la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà nella quale falsamente affermava che la società anzidetta era iscritta all'Albo nazionale costruttori in data anteriore al 24.11.1999, mentre, in realtà, detta iscrizione era stata conseguita dalla società Gamma S.r.l. solo il 14.12.1999.
Per le caratteristiche di convenienza della proposta di tale società, la aggiudicazione dell'appalto era avvenuta in suo favore ed i conseguenti atti deliberativi e dispositivi della procedura erano stati redatti sul presupposto - attestato dai pubblici ufficiali redigenti sulla base dellâanzidetta dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, facente fede di quanto dichiarato - che lâimpresa aggiudicataria presentava il requisito della iscrizione all'Anc alla data della presentazione della offerta.
La soluzione del caso, richiede, pertanto, unâanalisi congiunta. Bisogna analizzare se la condotta posta in essere da Tizio, legale rappresentante della società Gamma S.r.l., abbia concretizzato un reato di falsità ideologica in atto pubblico di cui allâart. 483 cod. pen. e, altresì, verificare se la condotta in esame abbia poi dato luogo ad un ulteriore fattispecie di reato continuato di falso ideologico di cui allâart. 479 cod. pen., questa volta per aver Tizio indotto in errore dei pubblici ufficiali sull'effettiva esistenza di un requisito indispensabile di partecipazione alla licitazione privata, posto che i conseguenti atti deliberativi e dispositivi della procedura erano stati redatti sul presupposto della anteriorità della iscrizione delle imprese all'Albo.
Le conseguenze penali di una simile condotta sono solo in parte immuni da dubbi interpretativi.
Aver presentato un'autocertificazione ideologicamente falsa, l'istante potrebbe rispondere del reato di cui all'articolo 483 del Cp, sussistendo in capo a costui il preesistente obbligo di dichiarare il vero nel contesto di un documento dotato di efficacia probante, cioè destinato a provare i fatti come se fossero attestati al pubblico ufficiale.
Il tenore della dichiarazione è difatti tipicamente previsto da una legge extrapenale come vincolante per la funzione probatoria dell'atto e già sotto il vigore della legge 15/1968 (articolo 26), oggi sostituita dal Dpr 445/2000 (articolo 76, comma 3), le dichiarazioni sostitutive (di notorietà, di certificazione) sono «considerate come fatte a pubblico ufficiale» ai fini e per gli effetti dell'applicazione delle sanzioni del codice penale.
L'odierna questio iuris è stata sottoposta alla cognizione delle sezioni Unite che, con la sentenza 35488/07, hanno risolto - positivamente - il seguente quesito: se la falsa attestazione del privato concorra, o meno, con il delitto di falso per induzione in errore del pubblico ufficiale, quando l'atto pubblico adottato dal pubblico ufficiale, al quale essa è prodotta, è diretto ad accertare l'esistenza del fatto falsamente attestato dal privato, ovvero soltanto quando l'attestazione del privato sia utilizzata dal pubblico ufficiale ingannato per descrivere o attestare una situazione di fatto, ulteriore e più ampia rispetto alla falsa certificazione del privato e con quest'ultima comunque connessa.
Le Sezioni Unite hanno ritenuto di dover ribadire lâorientamento già espresso dalla corte di cassazione del 1995 n. 1827 secondo cui tutte le volte in cui il pubblico ufficiale adotti un provvedimento della esistenza delle condizioni richieste per la sua adozione, desunte da atti o attestazioni non veri prodotti dal privato, si è in presenza di un falso del pubblico ufficiale del quale risponde, ai sensi dellâart. 48 c.p. colui che ha posto in essere lâatto o lâattestazione non vera.
Il provvedimento del pubblico ufficiale, infatti, è ideologicamente falso in quanto adottato sulla base di un presupposto che in realtà non esiste. Di tale falso, però, non risponde il pubblico ufficiale, perché in buona fede in quanto tratto in inganno, bensì il soggetto che lo ha ingannato.
Le Sezioni Unite hanno argomentato, al riguardo, che il procedimento di formazione di qualsiasi atto amministrativo prevede come primo momento l'accertamento dei presupposti, accertamento che viene compiuto dalla stessa autorità che deve porre in essere l'atto o direttamente o, più frequentemente, sulla base di documenti che possono consistere anche in atti pubblici e certificati rilasciati da altre autorità. Quindi, se detti documenti, certificati etc. sono falsi, materialmente o ideologicamente, deriva che anche la conseguente attestazione circa l'esistenza dei presupposti è falsa.
Altro orientamento giurisprudenziale minoritario, si pone in termini più riduttivi rispetto all'anzidetta interpretazione totalizzante delle Sezioni Unite ed afferma la configurabilità di fattispecie nelle quali il falso per induzione non sussiste nei suoi elementi costitutivi, perché il tipo di attestazione che il pubblico ufficiale redige non è falso: ciò si verifica quando la attestazione ha ad oggetto non il fatto attestato (falsamente) dal privato ma la circostanza che lo stesso ha reso la relativa attestazione, cioè l'esistenza dell'atto (contenente la falsa attestazione) proveniente dal privato.
In ogni caso lâindirizzo prevalente espresso dalla Suprema Corte vuole che il delitto di falsa attestazione del privato (di cui all'art. 483 cod. pen.) concorra - quando la falsa dichiarazione del mentitore sia prevista di per sé come reato - con quello della falsità per induzione in errore del pubblico ufficiale nella redazione dell'atto al quale l'attestazione inerisca (di cui agli artt. 48 e 479 cod. pen.), sempreché la dichiarazione non veritiera del privato concerna fatti dei quali l'atto del pubblico ufficiale è destinato a provare la verità.
In conclusione alla luce di tale assetto giurisprudenziale nel caso in esame sarà configurabile in capo a Tizio il delitto di falsa attestazione del privato in concorso con il reato di cui agli artt. 48 e 479 cod. pen., poiché la falsa dichiarazione di questâultimo, già costituente di per sé reato, si è posta in rapporto strumentale con atti pubblici successivamente redatti da pubblici ufficiali, pure affetti da falsità ideologiche.

Da: bellabimba16/12/2009 13:16:56
anche il mio non è fatto male...monelli. Ho scritto le stesse cose di Alfano, ma in maggiore sintesi.

Da: fref16/12/2009 13:18:14
questo di jack cos'è?

Da: mamma mia16/12/2009 13:19:39
ragazzi dicono che a Bari hanno appena defenestrato un commissario!!

Da: rino16/12/2009 13:20:38
ma di che anno si parla nella prima traccia???

Da: bellabimba16/12/2009 13:21:32
ehhhhhhhhhhhhhhhh??????defenestrato un commissario? ma son matti?

Da: sempronio16/12/2009 13:22:32
a che pagina lo hai postato bellabimba???

Da: uyter16/12/2009 13:22:43
SIETE DEI GRAN CIUCCIONI.....MOLTO ASINACCI......

Da: uyter16/12/2009 13:23:25
DEFENESTRATO???.....AHHAAHAHAHAHHAHA

Da: lisa16/12/2009 13:23:40
ho un'amica in difficoltà ke sta cercando di fare l'esame di penale a napoli qualcuno mi sa diare le tracce e anke qualcosina in + così le mando un sms?????grazie

Da: jack16/12/2009 13:24:16
L'INDULO NON SI APPLICA AGLI STUPEFACENTI !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!ATTENZIONE

Da: uyter X LISA16/12/2009 13:25:40
SE LA TUA AMICA NON LO SA FARE..DILLE DI ANDARSENE....

Da: fref16/12/2009 13:25:42
jack ma hai meso il parere sulla seconda traccia?

Da: io16/12/2009 13:25:44
le soluzioni alla seconda traccia????

Da: uyter X JACK16/12/2009 13:26:57
SI STANNO AFFIDANDO A TE CHE NON SAI COME SI SCRIVE INDULTO...MI SA CHE CON I TUOI PARERI GLIELO METTI INDULO A TUTTI....

Da: jack16/12/2009 13:29:32
UITER  sei un vero coglione un povero dio senza speranza................

Da: uyter X JACK16/12/2009 13:31:54
ahahahahahha.....hahaahahah...hhahahahaha...hahahahahha....jack come mai tutto questo buonismo...fai parte del sistema che manda pareri errati così i bocciati sono sempre alti.......INDULOOOOOO.....hahaha

Da: marcos7516/12/2009 13:31:56
ragazzi nella conclusione dobbiamo scrivere che nel caso  è concorso formale tra 586 c.p. e l'art 73 d.p.r 9/10/90 n. 309  o se lo spacciatore non conosceva è solo art. 73?? nel senso eventualemente la prima ipotesi sarebbe concorso?

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