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Da: scheggia16/12/2009 11:26:33
riferimenti normativi seconda traccia per favore

Da: lupen16/12/2009 11:28:06
per la prima pag 881

Da: amica16/12/2009 11:29:58
avete le soluzioni

Da: Valeria 16/12/2009 11:30:25
E la prima

Da: luciano16/12/2009 11:30:55
scusa ma le tracce dove sono

Da: lupen16/12/2009 11:31:00
ragazzi sostenete solo che a causa del bilancino e per il fatto che l'eroina è suddivisa in 2 involucri e frammista a sostanza di taglio, sempronio risponderà soltanto del reato di cui all'art.73, comma 1 e 5 del dpr 309/90....poi nn risponde ddell'art 586 perchè ha assunto anche alcol....motivate cn la sentenza del 2009 e il parere è fatto.......sostenete pure che nn vi è prova certa che la dose assunta da tizio sia quella fornita da sempronio perchè sempronio è stato indiviuduato soltanto sulla base delle dichiarazioni di Caio...

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Da: luna16/12/2009 11:31:53
Il candidato assunte le vesti di avvocato di tizio, rediga motivato parere illustrando le problematiche sottese alla fattispecie .
Sentenza 24 settembre 2007, n. 35488

Da: castoro16/12/2009 11:32:03
qual è la più semplice,attendibile facile???????

Da: bellabimba16/12/2009 11:34:01
Il 10 febbraio 200 due amici,tizio e caio si accordavano per acquistare eroina da assumere insieme. Tizio ,raccolto il denaro, si recava nel vicino comune di beta rivolgendosi ad uno spacciatore dal quale si era già rifornito in passato. Acquistate due dosi, ritornava dallâamioco caio ed insieme assumevano la droga. Caio assumeva anche alcool. Subito dopo caio accusava un malore al quale seguiva il suo decesso. Il medico legale attribuiva la morte al narcotismo esaltato nei suoi effetti dalla contemporanea assunzione di alcoll etilico, anche esso depressivo del sistema nervoso centrale. Sulla base delle indicazioni fornite da Tizio ai carabinieri , lo spacciatore veniva identificato in sempronio. Veniva anche perquisita la sua abitazione, ove venivano rinvenute e sequestrate mg 800 di eroina, suddivisa in due distinti involucri e frammista a sostanze da taglio, nonché un bilancino di precisione. Sempronio decideva di rivolgersi ad un legale. Il candidato, assunte le vesti di avv d sempronio rediga motivato parere illustrando le problematiche sottese alla fattispecie.


colpa in concreto, nesso causale e responsabilità dello spacciatore per la morte dellâassuntore di stupefacenti. Salviamo l'art. 586 c.p. Corte di Cassazione - Sezioni Unite n. 22676 del 29 maggio 2009.
Risolvendo un contrasto di giurisprudenza, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno affermato che, nellâipotesi di morte verificatasi in conseguenza dellâassunzione di sostanza stupefacente, la responsabilità penale dello spacciatore ai sensi dellâart. 586 cod. pen. per lâevento morte non voluto richiede non soltanto che sia accertato il nesso di causalità tra cessione e morte, non interrotto da cause eccezionali sopravvenute, ma anche che la morte sia in concreto rimproverabile allo spacciatore e che quindi sia accertata in capo allo stesso la presenza dellâelemento soggettivo della colpa in concreto, ancorata alla violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma penale che incrimina il reato base) e ad un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità in concreto del rischio per il bene della vita del soggetto che assume la sostanza. La prevedibilità ed evitabilità dellâevento morte devono essere valutate dal punto di vista di un razionale agente modello che si trovi nella concreta situazione dellâagente reale ed alla stregua di tutte le circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dallâagente reale.


Con la pronuncia in esame le Sezioni Unite affrontano il problema relativo alla responsabilità dello spacciatore per morte del tossicodipendente, svolgendo al contempo unâindagine ad ampio raggio sulla struttura del reato di cui allâart. 586 c.p.; è inoltre lâoccasione per affrontare da vicino il tema della colpevolezza e la sua centralità allâinterno del sistema di diritto penale.
È orientamento ormai consolidato quello per cui, ferma lâapplicabilità dellâart. 575 c.p. in tutti quei casi in cui la cessione dello stupefacente sia sorretta dalla volontà (anche nella forma più sfumata del dolo eventuale) di determinare la morte dellâassuntore, nelle ipotesi in cui la condotta di spaccio non sia accompagnata dalla volizione dellâevento ulteriore debba individuarsi unâipotesi di morte o lesioni come conseguenza non voluta di altro delitto doloso; in siffatti casi, ricorrerà pertanto un concorso formale tra il reato base di cui allâart. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e la figura criminosa dellâart. 586 c.p. Questa linea interpretativa trova del resto conforto nella stessa formulazione dellâart. 81 d.P.R. n. 309/90 che, nel disciplinare la circostanza attenuante della prestazione del soccorso in caso di pericolo di morte o lesione dellâassuntore della sostanza stupefacente, richiama, tra le norme fondanti la responsabilità per la causazione della morte del consumatore, accanto agli artt. 589 e 590 c.p., anche lâart. 586 c.p.

Orbene, lâart. 586 c.p., quale norma di chiusura e di rafforzamento del sistema di tutela dei beni vita e integrità fisica, trova applicazione quando la morte o le lesioni, non rientranti nelle fattispecie speciali di stampo codicistico, siano conseguenza non voluta di altro delitto doloso; la ricorrenza di tale evento ulteriore comporta lâapplicazione delle âdisposizioni dellâarticolo 83, ma le pene stabilite negli articoli 589 e 590 sono aumentateâ. Trattasi, ad avviso della dottrina prevalente e di copiosa giurisprudenza, di una ipotesi speciale di aberratio delicti bioffensiva, dove lâelemento specializzante è dato dalla natura dellâoffesa non voluta e dalla previsione di una circostanza aggravante speciale, oltre che dalla non necessaria indagine circa lâerrore sui mezzi di esecuzione del reato o altra causa, che invece è richiesta dallâart. 83 c.p.
Alquanto discusso è il criterio di imputazione dellâevento morte, contrapponendosi al riguardo diversi orientamenti.
Limitando la nostra indagine al tema che ci occupa, ma il discorso potrebbe essere esteso in una prospettiva più ampia anche allâart. 586 c.p. in generale, secondo un primo indirizzo, il rapporto tra reato base e lâevento ulteriore deve essere ricostruito in termini di pura e semplice causalità materiale fra la pregressa condotta dolosa e lâevento medesimo, senza necessità di espletare in ordine a questâultimo alcuna indagine relativa allâelemento psicologico (Cass., Sez. Prima Pen., 23.10.1986, n. 11537; Cass., Sez. Sesta Pen., 02.12.1988, n. 11799). Lâart 586 c.p., in altre parole, integrerebbe unâipotesi di responsabilità oggettiva che consente di addossare allâagente lâevento ulteriore per il solo fatto di aver innescato il nesso condizionalistico.
Secondo invece una diversa impostazione, prevalente nella giurisprudenza più recente ed ancorata allâindefettibile principio di colpevolezza, lâevento mortale non può essere ascritto allo spacciatore sulla base del mero nesso eziologico, a titolo dunque di responsabilità oggettiva, essendo invece necessario vagliare la sussistenza di un collante psicologico tra condotta ed evento: per lâesattezza, la punibilità in base allâart. 586 c.p. risulterebbe subordinata alla prevedibilità della morte o delle lesioni derivanti dal delitto presupposto (Cass. 26.02.1993, n. 1870; Cass. 22.07.1996, n. 7366; Cass. 21.04.2006, n. 14302).
La seconda interpretazione ha senzâaltro il pregio di coniugare la fattispecie codicistica di cui si discorre ed il principio di colpevolezza declamato dallâart. 27 co. 1 Cost. ed in forza del quale lo spazio dellâillecito penale risulta circoscritto ai soli fatti riconducibili psicologicamente al soggetto agente. Come noto, infatti, il suddetto principio va inteso non soltanto nel significato minimo di divieto di responsabilità per fatto altrui, ma nel senso più pregnante di responsabilità per fatto proprio colpevole: nullum crimen sine culpa.
Sulla base di storiche sentenze della Consulta e della Corte Costituzionale, ormai divenute consolidato diritto vivente,la responsabilità oggettiva propria è sempre illegittima, diversamente, la responsabilità oggettiva impropria lo è soltanto nel caso in cui vengano posti a carico dellâagente, a prescindere dal dolo o dalla colpa, gli elementi principali della fattispecie, ovvero i componenti del fatto tipico che concorrono a determinarne il disvalore (o il maggior disvalore), in quanto intimamente connessi con lâoffesa (e qui sta la loro âsignificativitàâ), quale nucleo centrale del reato.
Alla luce dei principi sopra esposti appare dunque costituzionalmente imposta quella linea interpretativa che, affrancandosi dal principio del versari in re illicita, postula nellâagente lâesistenza di un coefficiente di colpevolezza per lâattribuzione dellâevento morte: sotto il profilo soggettivo, dunque, lâart. 586 c.p. esigerebbe, oltre al dolo per il reato presupposto, anche la colpa per lâevento ulteriore. Ed è proprio in ordine a questâultimo profilo che si registrano orientamenti fortemente contrastanti, a riprova di tutte le difficoltà che si incontrano nel momento in cui si tratta di conciliare la moderna concezione della colpa e lâatteggiamento di colui che già versa in re illicita, soprattutto sotto il profilo dellâindividuazione della regola cautelare sulla cui violazione fondare il giudizio di colpevolezza.

Infatti,si registrano pronunce in cui lâevento più grave viene imputato allâagente a titolo di colpa specifica, identificando la regola cautelare disattesa nella norma penale incriminatrice del reato base doloso. In tal senso si è quindi affermato che lâevento morte deve essere addebitato al fornitore della sostanza a norma dellâart. 586 c.p. a titolo di colpa, consistita nella violazione della legge sullo spaccio di stupefacenti e nella conseguente prevedibilità dellâevento letale (cfr., ad esempio, Cass., Sez. Sesta Pen., 26.02.1993, n. 1870). In altre parole, âl'evento lesivo, conseguente dal delitto doloso commesso, è imputato al colpevole, a titolo di colpa, per violazione di legge, perché l'art. 43 cod. pen. annovera tra i criteri di qualificazione dei comportamenti colposi (in aggiunta alla imprudenza, imperizia e negligenza), anche l'inosservanza della legge. Invero tale espressione comprende anche la violazione delle stesse norme penali incriminatriciâ (Cass.02.04.1986).
Lâorientamento ad oggi prevalente in giurisprudenza e in dottrina è dunque quello che vede unâ imputazione del fatto più grave (morte o lesione) a titolo di colpa generica ed in concreto, ammettendo dunque la configurabilità di doveri cautelari anche per colui che già versa in re illicita.
Tale orientamento sopperisce alla mancanza di regole cautelari ad hoc per i contesti illeciti, mediante la ricostruzione di cautele generiche mutuate dallâesperienza comune e comunque distinte dalla norma incriminatrice. Così ragionando, lâevento ulteriore sarà addebitabile allâagente soltanto laddove ricorrano gli estremi della colpa, ergo sia accertata la violazione di una regola cautelare e lâevento più grave sia prevedibile, quale conseguenza della condotta criminosa, ed evitabile, osservando la regola cautelare od astenendosi dallâattività vietata.
Lâaccertamento della prevedibilità dovrà essere condotto in maniera rigorosa e avendo riguardo alla situazione fattuale oggetto del giudizio, tenendo conto di un coefficiente di prevedibilità concreta e non astratta del rischio connesso alla circolazione dello stupefacente determinato dalla commissione del reato doloso di base.(ad esempio grado di tossicità della sostanza, le condizioni di salute del tossicodipendente) .Laddove la prevedibilità dellâevento fosse valutata soltanto in astratto, si finirebbe per dedurre la colpa in maniera automatica dalla intrinseca pericolosità della sostanza stupefacente e dalla constatazione che, secondo la comune esperienza, la sua assunzione può provocare la morte del consumatore. Quindi, il recupero della colpevolezza sarebbe soltanto formale e la suddetta impostazione finirebbe per scadere nella responsabilità oggettiva.
A fronte di un siffatto quadro interpretativo, La Cassazione si è pronunciata per chiarire se âai fini dell'accertamento della responsabilità penale dello spacciatore per la morte dell'acquirente, in conseguenza della cessione della sostanza stupefacente, che risulti letale per il soggetto assuntore, sia sufficiente la prova del nesso di causalità materiale fra la precedente condotta e l'evento diverso ed ulteriore, purché non interrotto da cause sopravvenute di carattere eccezionale, ovvero debba essere dimostrata anche la sussistenza di un profilo colposo per non aver preveduto l'evento.
Al fine di individuare la soluzione preferibile, non può ovviamente prescindersi dal principio di colpevolezza e dalle sentenze della Corte costituzionale che gli hanno esplicitamente riconosciuto rango costituzionaleâ: è da questa premessa che le Sezioni Unite muovono nel ricostruire lâelemento soggettivo della figura criminis sottoposta al loro esame.
E dal momento che fra gli elementi della fattispecie di cui allâart. 586 c.p., che devono essere coperti almeno dalla colpa, va ricompreso anche lâevento non voluto, âin quanto esso è significativo sia rispetto allâoffesa sia rispetto alla pena,si impone la necessità di individuare un coefficiente psicologico in grado di collegare allâagente lâevento ulteriore non voluto, in una dimensione di autentica colpevolezza. Dunque, la Suprema Corte si chiede se anche in questi casi la colpa presenti la stessa struttura che connota le ânormaliâ fattispecie colpose, ovvero se tale coefficiente psicologico subisca delle modificazioni, specie sotto il profilo contenutistico, in conseguenza del fatto che lâagente, attraverso il delitto base doloso, si è posto in unâarea di illiceità penale.
Le Sezioni Unite osservano al riguardo che la circostanza del versari in re illicita non incide affatto sulla fisionomia della colpa, rendendosi necessarie sempre e comunque sia lâindividuazione di un agente modello, sia unâindagine condotta alla luce del punto di vista di questâultimo e finalizzata a verificare se allâagente concreto sia rimproverabile o meno la violazione della regola cautelare diretta ad evitare eventi prevedibili ed analoghi a quello di fatto verificatosi. Quanto alla regola cautelare si esclude in maniera decisa che essa possa identificarsi nella stessa norma penale che incrimina il reato base, ossia la cessione dello stupefacente, posto che la norma di cui allâart. 73 d.P.R. n. 309/90 risulta sprovvista di finalità cautelari.
Lâart. 73 d.P.R. n. 309/90 trova la sua ragion dâessere innanzitutto nellâesigenza di reprimere il mercato illegale della droga, approntando in tal modo, e seppure soltanto in via mediata, una tutela anticipata dellâincolumità dei consociati: si tratta in sostanza di uno scopo diverso da quello finalizzato alla diretta salvaguardia dellâintegrità fisica del singolo individuo.
âa conferma del fatto che lâattuale legislazione in materia non ha una destinazione diretta ed immediata alla tutela dellâintegrità fisica dei cittadini, sta la scelta del legislatore a favore della non punibilità del consumo personale di stupefacenti.
Quel pericolo iniziale per lâincolumità insito nel commercio di sostanze stupefacenti è già ampiamente previsto e punito dalle norme speciali che sanzionano lâattività anzidetta; tale disvalore non può quindi essere riprodotto in un altro reato per il tramite dellâart. 586 c.p., soprattutto se âsganciatoâ dalla sussistenza di un profilo psicologico di colpa e fondato esclusivamente su una responsabilità di tipo oggettivo o su una colpa presunta per violazione della legge penale, perché in questo modo si verrebbe a sanzionare nuovamente un fatto già incluso per il suo carico di disvalore nella pena comminata per la condotta di spaccio. Perché sussista unâautentica forma di colpevolezza sarà dunque necessario che lâagente abbia violato una regola cautelare diversa dalla legge sugli stupefacenti e che sia specificatamente diretta a prevenire la morte o le lesioni personali. occorrerà inoltre una valutazione positiva in ordine alla prevedibilità ed evitabilità dellâevento, compiuta ex ante, sulla base del comportamento che sarebbe stato tenuto da un omologo agente modello, tenendo conto di tutte le circostanze della concreta e reale situazione di fatto.
Inoltre, trattandosi di attività già ex se pericolosa, il giudizio sulla prevedibilità ed evitabilità dellâevento si farà più stringente: lo spacciatore, in sostanza, è chiamato a valutare tutte le circostanze del caso concreto e a desistere dallâazione quando taluna di queste circostanze evidenzi un concreto pericolo per lâincolumità dellâassuntore, o comunque permanga una situazione di dubbio ed incertezza.
La colpa potrà pertanto escludersi soltanto allorquando la morte si verifichi per lâintervento di fattori non noti e non rappresentabili dal cedente, come ad esempio nel caso di cessione di una sostanza normale per quantità e qualità e di decesso dovuto alla contemporanea assunzione di sostanze alcoliche o di psicofarmaci, sempre che ovviamente lo spacciatore non fosse a conoscenza di una tale evenienza, ad esempio perché lo stupefacente è stato consegnato a soggetto che già si trovava in evidente stato di ebbrezza. Affermano infatti le Sezioni Unite: âpotrà, invece, nei singoli casi concreti, ravvisarsi una responsabilità del cedente quando questi sia stato a conoscenza che il cessionario o il soggetto che di fatto avrebbe assunto lo stupefacente ceduto era dedito allâalcol o al consumo di psicofarmaci o aveva, al di là dellâapparenza, gravi difetti fisici ovvero anche quando la mancata conoscenza di uno di questi fattori sia derivata da errore o da ignoranza evitabili, e quindi inescusabili. Egualmente sarà ravvisabile la colpa nellâipotesi in cui sia la particolare natura, quantità e qualità dello stupefacente ceduto o le modalità con cui il medesimo è stato miscelato con altre sostanze ad aumentarne la pericolosità per lâincolumità dellâassuntore.


Da: veronica16/12/2009 11:37:06
è una soluzione quest ultima????

Da: checco16/12/2009 11:38:21
Ragazzi ma un parere si riesce ad avere?! Grazieeeee!!!

Da: alfano16/12/2009 11:39:08
q       Cassazione penale, SS.UU., 22 gennaio 2009 - deposito del 29 maggio 2009, n. 22676  (Risolvendo un contrasto di giurisprudenza, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno affermato che, nellâipotesi di morte verificatasi in conseguenza dellâassunzione di sostanza stupefacente, la responsabilità penale dello spacciatore ai sensi dellâart. 586 cod. pen. per lâevento morte non voluto richiede non soltanto che sia accertato il nesso di causalità tra cessione e morte, non interrotto da cause eccezionali sopravvenute, ma anche che la morte sia in concreto rimproverabile allo spacciatore e che quindi sia accertata in capo allo stesso la presenza dellâelemento soggettivo della colpa in concreto, ancorata alla violazione di una regola precauzionale -diversa dalla norma penale che incrimina il reato base- e ad un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità in concreto del rischio per il bene della vita del soggetto che assume la sostanza. La prevedibilità ed evitabilità dellâevento morte devono essere valutate dal punto di vista di un razionale agente modello che si trovi nella concreta situazione dellâagente reale ed alla stregua di tutte le circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dallâagente reale.).

Da: tonino ritacca16/12/2009 11:40:37
SPACCIO E MORTE DELLâASSUNTORE



Cassazione, Sezioni Unite Penali, 29 maggio 2009, n. 22676



Per affermare la responsabilità dello spacciatore per morte dellâassuntore non basta il nesso eziologico tra cessione dello stupefacente e morte, ma occorre anche la colpa in concreto.



di Sara Farini



il presente contributo è tratto da Levita (a cura di), Cassazione penale 2009. Analisi ragionata della giurisprudenza di legittimità, roma, 2009



Area di classificazione: Delitti contro la persona

Sottoarea: Morte o lesioni come conseguenza di altro delitto â" Morte conseguente a cessione di sostanze stupefacenti â" Responsabilità dello spacciatore â" Colpa in concreto - Necessità.



Riferimenti normativi: Codice Penale, art. 586; Decreto Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73.



La massima: Nellâipotesi di morte verificatasi in conseguenza dellâassunzione di sostanza stupefacente, la responsabilità penale dello spacciatore ai sensi dellâart. 586 c.p. per lâevento morte non voluto richiede che sia accertato non solo il nesso di causalità tra cessione e morte, non interrotto da cause eccezionali sopravvenute, ma anche che la morte sia rimproverabile allo spacciatore sotto il profilo della colpa in concreto, che esige la violazione di una regola precauzionale diversa dalla norma penale che incrimina il reato base ed un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità in concreto del rischio per il bene vita del soggetto che assume la sostanza.

La prevedibilità ed evitabilità dellâevento devono essere valutate dal punto di vista di un razionale agente modello che si trovi nella concreta situazione dellâagente reale ed alla stregua di tutte le circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dallâagente reale.



Osservazioni introduttive

Con la pronuncia in esame le Sezioni Unite affrontano il problema relativo alla responsabilità dello spacciatore per morte del tossicodipendente, svolgendo al contempo unâindagine ad ampio raggio sulla struttura del reato di cui allâart. 586 c.p.; è inoltre lâoccasione per affrontare da vicino il tema della colpevolezza e la sua centralità allâinterno del sistema di diritto penale.

È orientamento ormai consolidato quello per cui, ferma lâapplicabilità dellâart. 575 c.p. in tutti quei casi in cui la cessione dello stupefacente sia sorretta dalla volontà (anche nella forma più sfumata del dolo eventuale) di determinare la morte dellâassuntore, nelle ipotesi in cui la condotta di spaccio non sia accompagnata dalla volizione dellâevento ulteriore debba individuarsi unâipotesi di morte o lesioni come conseguenza non voluta di altro delitto doloso; in siffatti casi, ricorrerà pertanto un concorso formale tra il reato base di cui allâart. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e la figura criminosa dellâart. 586 c.p. Questa linea interpretativa trova del resto conforto nella stessa formulazione dellâart. 81 d.P.R. n. 309/90 che, nel disciplinare la circostanza attenuante della prestazione del soccorso in caso di pericolo di morte o lesione dellâassuntore della sostanza stupefacente, richiama, tra le norme fondanti la responsabilità per la causazione della morte del consumatore, accanto agli artt. 589 e 590 c.p., anche lâart. 586 c.p.

Orbene, lâart. 586 c.p., quale norma di chiusura e di rafforzamento del sistema di tutela dei beni vita e integrità fisica, trova applicazione quando la morte o le lesioni, non rientranti nelle fattispecie speciali di stampo codicistico, siano conseguenza non voluta di altro delitto doloso; la ricorrenza di tale evento ulteriore comporta lâapplicazione delle âdisposizioni dellâarticolo 83, ma le pene stabilite negli articoli 589 e 590 sono aumentateâ. Trattasi, ad avviso della dottrina prevalente e di copiosa giurisprudenza, di una ipotesi speciale di aberratio delicti bioffensiva, dove lâelemento specializzante è dato dalla natura dellâoffesa non voluta e dalla previsione di una circostanza aggravante speciale, oltre che dalla non necessaria indagine circa lâerrore sui mezzi di esecuzione del reato o altra causa, che invece è richiesta dallâart. 83 c.p.

Dal punto di vista oggettivo, lâart. 586 c.p. è strutturato su di una condotta âindistintaâ e non tipizzata sotto il profilo descrittivo-naturalistico, consistente nella commissione di un fatto preveduto dalla legge come delitto doloso - consumato o anche solo tentato -, fatta eccezione per le percosse e le lesioni, venendo altrimenti a configurarsi, in questo secondo caso, la diversa ipotesi dellâomicidio preterintenzionale. Così, secondo la giurisprudenza, non trova applicazione lâart. 586 c.p. laddove sia il soggetto agente ad iniettare direttamente la sostanza drogante nelle vene della vittima, dovendo ravvisarsi, in ipotesi di tal fatta, il delitto di cui allâart. 584 c.p., dal momento che la condotta in discorso integra la fattispecie di lesioni e non potendo assumere al riguardo alcun rilievo scriminante lâeventuale consenso del tossicodipendente (Cass., Sez. Quinta Pen., 23.03.2004, n. 13987).

Inoltre, tra la condotta che costituisce già di per sé reato doloso e lâevento morte o lesioni ulteriore deve intercorrere un rapporto di causalità.

Sul punto si è consolidato in giurisprudenza un orientamento che ne assume lâesistenza in termini alquanto ampi e che si risolve nel negare lâinterruzione del nesso causale in presenza di comportamenti che, ulteriori rispetto alla prima condotta di cessione ed attribuibili a soggetti diversi dal primo spacciatore, si siano frapposti fra questa e lâevento morte. Per lâesattezza, si ritiene che il nesso eziologico tra la prima condotta e lâevento ulteriore non sia interrotto per effetto di successive cessioni di sostanza stupefacente, trattandosi di fattori concausali sopravvenuti, non anormali o eccezionali, ma del tutto ragionevolmente prevedibili (ex multis Cass. Sez. Sesta Pen., 28.07.2003, n. 31760): da un punto di vista oggettivo, dunque, il reato di cui agli artt. 586 e 589 c.p. potrà essere contestato non soltanto allâimmediato cedente, ma anche gli spacciatori âintermediâ, sino ad arrivare allâoriginario fornitore.

Alquanto discusso è invece il criterio di imputazione dellâevento morte, contrapponendosi al riguardo diversi orientamenti.

Limitando la nostra indagine al tema che ci occupa, ma il discorso potrebbe essere esteso in una prospettiva più ampia anche allâart. 586 c.p. in generale, secondo un primo indirizzo, il rapporto tra reato base e lâevento ulteriore deve essere ricostruito in termini di pura e semplice causalità materiale fra la pregressa condotta dolosa e lâevento medesimo, senza necessità di espletare in ordine a questâultimo alcuna indagine relativa allâelemento psicologico (Cass., Sez. Prima Pen., 23.10.1986, n. 11537; Cass., Sez. Sesta Pen., 02.12.1988, n. 11799). Lâart 586 c.p., in altre parole, integrerebbe unâipotesi di responsabilità oggettiva che, in ossequio al canone di antica memoria del versari in re illicita, ed apparentemente confermato in positivo dallâart. 42 co. 3 c.p., consente di addossare allâagente lâevento ulteriore per il solo fatto di aver innescato il nesso condizionalistico.

Secondo invece una diversa impostazione, prevalente nella giurisprudenza più recente ed ancorata allâindefettibile principio di colpevolezza, lâevento mortale non può essere ascritto allo spacciatore sulla base del mero nesso eziologico, a titolo dunque di responsabilità oggettiva, essendo invece necessario vagliare la sussistenza di un collante psicologico tra condotta ed evento: per lâesattezza, la punibilità in base allâart. 586 c.p. risulterebbe subordinata alla prevedibilità della morte o delle lesioni derivanti dal delitto presupposto (Cass., Sez. Sesta Pen., 26.02.1993, n. 1870; Cass., Sez. Quarta Pen., 22.07.1996, n. 7366; Cass., Sez. Quinta Pen., 21.04.2006, n. 14302).

La seconda interpretazione ha senzâaltro il pregio di coniugare la fattispecie codicistica di cui si discorre ed il principio di colpevolezza declamato dallâart. 27 co. 1 Cost. ed in forza del quale lo spazio dellâillecito penale risulta circoscritto ai soli fatti riconducibili psicologicamente al soggetto agente. Come noto, infatti, il suddetto principio, per come ricostruito alla luce delle coordinate delineate dalla più recente giurisprudenza costituzionale, va inteso non soltanto nel significato minimo di divieto di responsabilità per fatto altrui, ma nel senso più pregnante di responsabilità per fatto proprio colpevole: nullum crimen sine culpa.

E se è vero che le âstoricheâ sentenze della Consulta datate 1988 sullâignorantia legis scusabile e sul furto dâuso hanno chiarito che non ogni ipotesi di responsabilità oggettiva deve ritenersi a priori in contrasto con lâart. 27 Cost., non si può neppure sottacere che nellâeconomia della fattispecie tratteggiata dallâart. 586 c.p. lâevento morte costituisce senzâaltro lâelemento su cui si appunta prevalentemente il disvalore del fatto: è dunque necessario il riscontro di un coefficiente psicologico che riconduca allâagente lâevento stesso, fondando un giudizio di rimproverabilità, sì da autorizzare e giustificare lâintervento della sanzione penale. Al riguardo va infatti rammentato che Corte cost., sent., 24.03.1988, n. 364, seppur in forma di obiter dicta, aveva operato la fondamentale distinzione fra responsabilità oggettiva pura (o propria), involgente tutte quelle ipotesi criminose in cui nessun elemento del fatto tipico è coperto dal dolo o dalla colpa dellâagente e che pertanto già in astratto è in contrasto con lâart. 27 Cost., e responsabilità oggettiva impropria (o spuria), riferibile a tutte quelle fattispecie in cui un solo elemento del fatto - o più di uno, ma non tutti -, a differenza degli altri, non è coperto da alcun coefficiente psicologico. In questâultimo caso, la Consulta proponeva una verifica di costituzionalità condotta con riguardo agli elementi più significativi della fattispecie e diretta ad appurare che gli stessi siano âcopertiâ almeno dalla colpa dellâagente, pena altrimenti lâillegittimità della disposizione oggetto di esame. Quali siano questi elementi più significativi della fattispecie è lo stesso giudice delle leggi ad indicarlo nella successiva sentenza n. 1085 del 13.12.1988: âperché lâart. 27, comma 1, Cost. sia pienamente rispettato e la responsabilità penale sia autenticamente personale è indispensabile che tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegati allâagente (siano, cioè, investiti dal dolo o dalla colpa) ed è altresì indispensabile che tutti e ciascuno dei predetti elementi siano allâagente rimproverabili e cioè anche soggettivamente disapprovatiâ.

Ricomponendo i principi derivanti dalle pronunce su indicate, ormai divenuti consolidato diritto vivente, mentre la responsabilità oggettiva propria è sempre illegittima, diversamente, la responsabilità oggettiva impropria lo è soltanto nel caso in cui vengano posti a carico dellâagente, a prescindere dal dolo o dalla colpa, gli elementi principali della fattispecie, ovvero i componenti del fatto tipico che concorrono a determinarne il disvalore (o il maggior disvalore), in quanto intimamente connessi con lâoffesa (e qui sta la loro âsignificativitàâ), quale nucleo centrale del reato.

Alla luce dei principi sopra esposti appare dunque costituzionalmente imposta quella linea interpretativa che, affrancandosi dal principio del versari in re illicita, postula nellâagente lâesistenza di un coefficiente di colpevolezza per lâattribuzione dellâevento morte: sotto il profilo soggettivo, dunque, lâart. 586 c.p. esigerebbe, oltre al dolo per il reato presupposto, anche la colpa per lâevento ulteriore. Ed è proprio in ordine a questâultimo profilo che si registrano orientamenti fortemente contrastanti, a riprova di tutte le difficoltà esegetiche che si incontrano nel momento in cui si tratta di conciliare la moderna concezione della colpa e lâatteggiamento di colui che già versa in re illicita, soprattutto sotto il profilo dellâindividuazione della regola cautelare sulla cui violazione fondare il giudizio di colpevolezza.

Ciò detto, si registrano pronunce in cui lâevento più grave viene imputato allâagente a titolo di colpa specifica, identificando la regola cautelare disattesa nella norma penale incriminatrice del reato base doloso. In tal senso si è quindi affermato che lâevento morte deve essere addebitato al fornitore, anche non immediato, della sostanza a norma dellâart. 586 c.p. a titolo di colpa, consistita nella violazione della legge sullo spaccio di stupefacenti e nella conseguente prevedibilità dellâevento letale (cfr., ad esempio, Cass., Sez. Sesta Pen., 26.02.1993, n. 1870). In altre parole, âl'evento lesivo, conseguente dal delitto doloso commesso, è imputato al colpevole, a titolo di colpa, per violazione di legge, perché l'art. 43 cod. pen. annovera tra i criteri di qualificazione dei comportamenti colposi (in aggiunta alla imprudenza, imperizia e negligenza), anche l'inosservanza della legge. Invero tale espressione non limita questo modo di essere della colpa alla sola violazione di legge a carattere squisitamente o esclusivamente cautelare, ma comprende anche la violazione delle stesse norme penali incriminatriciâ (così, Cass., Sez. Prima Pen., 02.04.1986, Navarino).

A tale tesi, che risulta sfornita di qualsiasi temperamento in chiave personalistica, viene generalmente obiettato di risolversi in una forma di colpevolezza presunta (o in re ipsa) e quindi in una forma di responsabilità oggettiva occulta, sia perché la norma che punisce il reato base non ha finalità cautelari, sia perché, una volta accertato il dolo del reato base, vi sarebbe sempre lâimputazione dellâevento ulteriore, senza necessità di indagare in ordine alla concreta prevedibilità del medesimo da parte dellâagente. È inoltre evidente lâimpossibilità di attribuire alla norma incriminatrice una duplice funzione, repressiva e preventiva al tempo stesso, posto che unâattività vietata in assoluto non può poi essere oggetto di un divieto o di un comando strumentale, finalizzato alla sua corretta esecuzione: sarebbe come ammettere che quella stessa disposizione, da un lato, esprima il divieto di tenere un certo comportamento, e dallâaltro, faccia obbligo di dare esecuzione alla condotta criminosa con cautela.

Lâorientamento ad oggi prevalente in giurisprudenza e in dottrina è dunque quello che vede una imputazione del fatto più grave (morte o lesione) a titolo di colpa generica ed in concreto, ammettendo dunque la configurabilità di doveri cautelari anche per colui che già versa in re illicita.

Più in dettaglio, tale orientamento sopperisce alla mancanza di regole cautelari ad hoc per i contesti illeciti, mediante la ricostruzione di cautele generiche mutuate dallâesperienza comune e comunque distinte dalla norma incriminatrice. Così ragionando, lâevento ulteriore sarà addebitabile allâagente soltanto laddove ricorrano gli estremi della colpa, ergo sia accertata la violazione di una regola cautelare e lâevento più grave sia prevedibile, quale conseguenza della condotta criminosa, ed evitabile, osservando la regola cautelare od astenendosi dallâattività vietata.

Lâaccertamento del requisito della prevedibilità dovrà essere condotto in maniera rigorosa ed avendo riguardo alla situazione fattuale oggetto del giudizio, tenendo conto di un coefficiente di prevedibilità concreta e non astratta del rischio connesso alla circolazione dello stupefacente determinato dalla commissione del reato doloso di base (si dovrà valutare. ad esempio, il grado di tossicità della sostanza, le condizioni di salute del tossicodipendente, ecc.: cfr., ad esempio, Cass. Sez. Quinta Pen., 21.04.2006, n. 14302; Cass. Sez. Prima Pen., 14.11.2002, n. 2595; Cass. Sez. Sesta Pen., 29.11.2007, n. 12129). Laddove, infatti, la prevedibilità dellâevento fosse valutata soltanto in astratto, si finirebbe per dedurre la colpa in maniera automatica dalla intrinseca pericolosità della sostanza stupefacente e dalla constatazione che, secondo la comune esperienza, la sua assunzione può provocare la morte del consumatore. In tal senso, quindi, il recupero della colpevolezza sarebbe soltanto formale ed anche la suddetta impostazione ermeneutica finirebbe per scadere nella responsabilità oggettiva.

A fronte di un sì variegato quadro interpretativo, le Sezioni Unite sono quindi chiamate a chiarire se âai fini dell'accertamento della responsabilità penale dello spacciatore per la morte dell'acquirente, in conseguenza della cessione o di cessioni intermedie della sostanza stupefacente che risulti letale per il soggetto assuntore, sia sufficiente la prova del nesso di causalità materiale fra la precedente condotta e l'evento diverso ed ulteriore, purché non interrotto da cause sopravvenute di carattere eccezionale, ovvero debba essere dimostrata anche la sussistenza di un profilo colposo per non aver preveduto l'eventoâ.

Osservazioni conclusive

âAl fine di individuare la soluzione preferibile, non può ovviamente prescindersi dal principio di colpevolezza e dalle sentenze della Corte costituzionale che gli hanno esplicitamente riconosciuto rango costituzionaleâ: è da questa premessa di carattere metodologico che le Sezioni Unite muovono nel ricostruire lâelemento soggettivo della figura criminis sottoposta al loro esame.

E dal momento che, giuste le coordinate interpretative offerte dalla Consulta nei dicta del 1988, fra gli elementi della fattispecie di cui allâart. 586 c.p., che devono essere coperti almeno dalla colpa, va ricompreso anche lâevento non voluto, âin quanto esso è significativo sia rispetto allâoffesa (in quanto offensivo di autonomi beni giuridici penalmente tutelati), sia rispetto alla pena (in quanto determina lâinflizione di una pena ulteriore)â, si impone la necessità di individuare un coefficiente psicologico in grado di collegare allâagente lâevento ulteriore non voluto, in una dimensione di autentica colpevolezza; diversamente opinando si âimporrerebbe di sollevare questione di legittimità costituzionale dellâistituto per contrasto con il principio di colpevolezza, secondo cui deve necessariamente postularsi la colpa dellâagente, almeno in relazione agli «elementi più significativi della fattispecie», fra i quali il «complessivo ultimo risultato vietato», se non si vuole incorrere nel divieto, ex art. 27, commi 1 e 3, Cost. della responsabilità oggettiva cd. pura o propriaâ.

Eletta dunque la via più sopra delineata, la Suprema Corte si chiede se anche in questi casi la colpa presenti la stessa struttura che connota le ânormaliâ fattispecie colpose, ovvero se tale coefficiente psicologico subisca delle modificazioni, specie sotto il profilo contenutistico, in conseguenza del fatto che lâagente, attraverso il delitto base doloso, si è posto in unâarea di illiceità penale.

Orbene, le Sezioni Unite osservano al riguardo che la circostanza del versari in re illicita non incide affatto sulla fisionomia della colpa, rendendosi necessarie sempre e comunque sia lâindividuazione di un agente modello, sia unâindagine condotta alla luce del punto di vista di questâultimo e finalizzata a verificare se allâagente concreto sia rimproverabile o meno la violazione della regola cautelare diretta ad evitare eventi prevedibili ed analoghi a quello di fatto verificatosi.

Per quanto attiene, nello specifico, alla individuazione della regola cautelare violata, si esclude in maniera decisa che essa possa identificarsi nella stessa norma penale che incrimina il reato base, ossia la cessione dello stupefacente, posto che la norma di cui allâart. 73 d.P.R. n. 309/90 risulta sprovvista di finalità cautelari. Ed invero, la pericolosità delle condotte incriminate dalla legislazione in materia di stupefacenti è troppo âdistanteâ rispetto alla singola condotta causativa dellâevento letale per poter imprimere alle stesse disposizioni incriminatrici uno scopo di tutela preventiva dellâindividuo, in modo da giustificare anche concettualmente il ricorso alla colpa specifica. Lâart. 73 d.P.R. n. 309/90 trova la sua ragion dâessere innanzitutto nellâesigenza di reprimere il mercato illegale della droga, approntando in tal modo, e seppure soltanto in via mediata, una tutela anticipata dellâincolumità dei consociati: si tratta in sostanza di uno scopo diverso da quello finalizzato alla diretta salvaguardia dellâintegrità fisica del singolo individuo. Affermano infatti le Sezioni Unite: âa conferma del fatto che lâattuale legislazione in materia non ha una destinazione diretta ed immediata alla tutela dellâintegrità fisica dei cittadini, sta la scelta del legislatore a favore della non punibilità del consumo personale di stupefacenti [â] ed anche riconoscendo che lo scopo «ultimo» della sfera di protezione delle norme che vietano lo spaccio di sostanze stupefacenti sia la tutela della vita dei possibili consumatori, il disvalore di questo rischio generico si esaurisce nellâimputazione per il reato presuppostoâ. Quel pericolo iniziale per lâincolumità insito nel commercio di sostanze stupefacenti è già ampiamente previsto e punito dalle norme speciali che sanzionano lâattività anzidetta; tale disvalore non può quindi essere riprodotto in un altro reato per il tramite dellâart. 586 c.p., soprattutto se âsganciatoâ dalla sussistenza di un profilo psicologico di colpa e fondato esclusivamente su una responsabilità di tipo oggettivo o su una colpa presunta per violazione della legge penale, perché in questo modo si verrebbe a sanzionare nuovamente un fatto già incluso per il suo carico di disvalore nella pena comminata per la condotta di spaccio.

Perché sussista unâautentica forma di colpevolezza sarà dunque necessario che lâagente abbia violato una regola cautelare diversa dalla legge sugli stupefacenti e che sia specificatamente diretta a prevenire la morte o le lesioni personali (ad es. non cedere sostanza drogante a chi fa uso di psicofarmaci); occorrerà inoltre una valutazione positiva in ordine alla prevedibilità ed evitabilità dellâevento, compiuta ex ante, sulla base del comportamento che sarebbe stato tenuto da un omologo agente modello, tenendo conto di tutte le circostanze della concreta e reale situazione di fatto. âSi dovrà pertanto verificare se dal punto di vista di un agente modello, nella situazione concreta, risultava prevedibile lâevento morte come conseguenza dellâassunzione, da parte di uno specifico soggetto di una determinata dose di droga. È evidente poi che per agente modello non si deve intendere uno «spacciatore modello», ma una persona ragionevole, fornita, al pari dellâagente reale di esperienza nel campo della cessione ed assunzione di sostanze stupefacenti e consapevole della natura e dei normali effetti della sostanza che cedeâ.

Inoltre, trattandosi di attività già ex se pericolosa, il giudizio sulla prevedibilità ed evitabilità dellâevento si farà più stringente: lo spacciatore, in sostanza, è chiamato a valutare tutte le circostanze del caso concreto e a desistere dallâazione quando taluna di queste circostanze evidenzi un concreto pericolo per lâincolumità dellâassuntore, o comunque permanga una situazione di dubbio ed incertezza.

La colpa potrà pertanto escludersi soltanto allorquando la morte si verifichi per lâintervento di fattori non noti e non rappresentabili dal cedente, come ad esempio nel caso di cessione di una sostanza normale per quantità e qualità e di decesso dovuto alla contemporanea assunzione di sostanze alcoliche o di psicofarmaci, sempre che ovviamente lo spacciatore non fosse a conoscenza di una tale evenienza, ad esempio perché lo stupefacente è stato consegnato a soggetto che già si trovava in evidente stato di ebbrezza. Affermano infatti le Sezioni Unite: âpotrà, invece, nei singoli casi concreti, ravvisarsi una responsabilità del cedente quando questi sia stato a conoscenza che il cessionario o il soggetto che di fatto avrebbe assunto lo stupefacente ceduto era dedito allâalcol o al consumo di psicofarmaci o aveva, al di là dellâapparenza, gravi difetti fisici ovvero anche quando la mancata conoscenza di uno di questi fattori sia derivata da errore o da ignoranza evitabili, e quindi inescusabili, come ad esempio nel caso in cui il soggetto abbia ceduto la sostanza ad un acquirente che denotava un alito vinoso, o che presentava caratteristiche esteriori di fragilità fisica o di consumatore di medicinali, o abbia ceduto la droga allâinterno di una discoteca o di altro locale in cui solitamente si fa uso di sostanze alcoliche (essendo quindi altamente probabile una assunzione congiunta di droga e alcol), ovvero lâabbia ceduta a soggetti minorenni di cui poteva essere conoscibile la minore resistenza a quella determinata sostanza. Analogamente, la colpa in concreto potrebbe essere configurabile quando lo spacciatore abbia ceduto eroina ad un soggetto di cui conosceva i precedenti tentativi di disintossicazione e quindi la maggiore esposizione al rischio di overdose; o quando abbia ceduto sostanza micidiale come lâeroina a persona di giovanissima età, di esile costituzione fisica e che evidenziava la precedente assunzione di tranquillantiâ.

Egualmente sarà ravvisabile la colpa nellâipotesi in cui sia la particolare natura, quantità e qualità dello stupefacente ceduto o le modalità con cui il medesimo è stato miscelato con altre sostanze ad aumentarne la pericolosità per lâincolumità dellâassuntore.


Da: alfano nota a sentenza16/12/2009 11:40:51
La sentenza in commento si pone come dirimente dei delicati problemi interpretativi sorti sulla natura della responsabilità ex art. 586 c.p. Lâoccasione di chiarire in maniera definitiva e generale il titolo della responsabilità dellâarticolo in oggetto, è originata da una fattispecie relativa alla responsabilità penale dello spacciatore in conseguenza di cessione di sostanza stupefacente cui ha fatto seguito la morte dellâassuntore.

Lâarticolo 586 c.p., rubricato ââmorte o lesioni come conseguenza di altro delittoâº, letteralmente dispone che ââquando da un fatto preveduto dalla legge come delitto doloso deriva, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o lesione di una persona, si applicano le disposizioni dellâart. 83 c.p. (aberratio delicti), ma le pene stabilite dagli artt. 589 e 590 c.p. sono aumentateâºâº.

Relativamente alla natura e al criterio di imputazione della responsabilità per la morte o le lesioni non volute, sono state avanzate in  dottrina e in giurisprudenza diversi orientamenti. La Suprema Corte con la sentenza 29 maggio 2009, n. 22676 confuta tutte le diverse teorie prospettate, e propone una nuova chiave di lettura della natura dellâart. 586 c.p.

Teoria della responsabilità oggettiva.

Il primo e più risalente orientamento giurisprudenziale ravvisava nellâart. 586 c.p. un caso di responsabilità oggettiva, riconducibile al disposto del comma terzo, dellâart. 42 c.p. La norma da ultimo citata, dopo aver sancito al secondo comma che nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato se non lâha commesso con dolo, salvo i casi di delitto preterintenzionale o colposo, dispone che ââla legge determina i casi nei quali lâevento è posto altrimenti a carico dellâagente, come conseguenza della sua azione od omissioneâºâº. I primi commentatori individuarono in tale disposizione la matrice di una responsabilità penale, diversa da quella dolosa o colposa indicata nel precedente comma, e fondata sul puro rapporto causale tra azione od omissione ed evento. Orbene, il reato di cui allâart. 586 c.p. venne, per lungo tempo, ricondotto ad una ipotesi di responsabilità oggettiva: accertato il delitto di base doloso, la morte o le lesioni erano imputate al reo sulla base del mero rapporto di causalità, lâunica indagine da compiere si risolveva nellâesistenza o meno di cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare lâevento.

Qui in re illicita versatur respondit etiam pro casu: accertato il delitto di cessione di sostanza stupefacente, di cui allâart. 73 d.p.R. 309 del 1990, per ricondurre allo spacciatore la responsabilità della morte o lesione patita dallâassuntore, era necessaria una mera analisi sulla sussistenza del rapporto di causalità naturale, non interrotto da cause sopravvenute di carattere eccezionale. E si sosteneva che le cessioni multiple della sostanza stupefacente non fossero tali da assurgere al rango di cause sopravvenute ed eccezionali capaci di elidere il nesso eziologico, data la notorietà e la prevedibilità delle stesse. In ragione di ciò, le sanzioni di cui allâart. 586 c.p. venivano poste a carico sia del cedente immediato, ossia colui il quale ha ceduto direttamente la sostanza stupefacente letale allâassuntore, sia al cedente mediato, individuabile nel fornitore del cedente immediato.

Orbene, la responsabilità per la morte o lesioni causate prescindeva da un qualsiasi accertamento dellâelemento psicologico, in quanto se la morte era stata pensata come possibile, accettando il relativo rischio creato, lo spacciatore avrebbe risposto di un omicidio volontario, quantomeno a titolo di dolo eventuale, mentre del tutto avulsa rimaneva un indagine sullâesistenza della colpa.

Tale concezione derivava, a monte, dallâinterpretazione assegnata al principio di colpevolezza contenuto nellâart. 27, comma primo, Cost., il quale sancisce che ââla responsabilità penale è personaleâºâº. Per i fautori dellâammissibilità nel nostro ordinamento di una forma di responsabilità oggettiva, lâenunciato âla responsabilità penale è personaleâ altro non significa che âresponsabilità per fatto proprio del soggettoâ. Ne consegue che sarebbe incostituzionale solo una responsabilità per fatto altrui o fatto naturale, laddove risulta del tutto armonizzabile a Costituzione un tipo di responsabilità in toto avulsa da un legame psicologico tra autore ed evento. In questâottica, la responsabilità oggettiva, contenuta nellâart. 42, comma terzo, c.p., è del tutto legittima in quanto richiede che lâevento sia [solo] conseguenza dellâazione od omissione di un soggetto.

Il principio del qui in re illicita versatur respondit etiam pro casu fonda le sue origini nel diritto penale canonico, la cui filosofia di base tendeva alla sostanziale identificazione tra peccato e crimine. Ne conseguiva che il reo doveva rispondere di tutte le azioni criminose/peccaminose da lui compiute, quantunque esse avessero provocato eventi non voluti, indipendentemente, dunque, dalla sua colpevolezza. Ed invero, se occorre riconoscere che il versari in re illecita ha trovato applicazione negli ordinamenti penali di vari Stati, è anche vero che il suo ambito operativo si è progressivamente ridotto a causa di quel lento, ma inesorabile processo che è stato definito come âeticizzazione del diritto penaleâ e che ha condotto alla definizione del principio di colpevolezza espresso dal brocardo nullum crimen sine culpa.

Ancor prima, della fondamentale sentenza della Corte Costituzionale n. 364/88 illuminante in merito al significato da attribuire al principio costituzionale di colpevolezza, era comunque intuitivo dubitare di una forma di responsabilità oggettiva. Ed invero, una responsabilità siffatta è carente della proiezione dellâuomo come persona rispetto alla verificazione dellâevento.

Teoria della colpa specifica.

Altro orientamento ravvisa nellâart. 586 c.p. una forma di responsabilità per lâevento morte o lesioni fondata su una colpa specifica, derivante dalla violazione della norma penale incriminatrice del delitto doloso di base. In tale prospettiva allâart. 586 c.p. viene assegnato un ruolo di protezione ultima della vita e della salute individuale, e di conseguenza esso troverebbe applicazione anche nei casi in cui il comportamento doloso di base non sia diretto ad offendere il bene giuridico specificamente tutelato, purché tra il comportamento illecito e lâevento non voluto (morte o lesioni) sussista un rapporto di causalità materiale. Tale forma di responsabilità viene ricondotta nellâalveo dellâart 43 c.p., il quale dopo aver elencato la negligenza, lâimprudenza e lâimperizia, annovera tra i presupposti capaci di fondare un responsabilità colposa anche lâinosservanza di leggi, regolamenti ordini o discipline.

Tale concezione ritiene, dunque, idonea alla configurazione dellâelemento psicologico colposo, non solo la violazione di leggi a carattere squisitamente cautelare, ma vi fa rientrare anche lâinosservanza delle stesse norme penali incriminatrici, assegnando a queste ultime, oltre la funzione loro propria di tutela del singolo bene giuridico, anche un ruolo di prevenzione delle possibili lesioni prodotte da fattispecie delittuose dolose ai beni stessi. In altri termini, si assegna alla norma penale incriminatrice una doppia funzione repressivo-preventiva, dando in tal modo luogo ad un ossimoro legislativo: la norma penale così connotata imporrebbe, da un lato di non tenere un certo comportamento dichiarato contrario ai fini dellâordinamento giuridico, e dallâaltro prescriverebbe di tenere tale comportamento assumendo tutte le cautele del caso. Sebbene sia vero che, in linea di principio, è possibile ravvedere in alcune norme penali incriminatrici una funzione preventiva, è altrettanto vero che non tutte prevedono regole cautelari atte a fondare un illecito colposo a norma dellâart. 43 c.p. Così, vi sono norme penali che posseggono unâesclusiva finalità repressiva, volta alla punizioni di comportamenti che hanno leso o posto in pericolo un determinato bene giuridico. Lâobbligo di cautela, quindi, non può scaturire dalla stessa norma penale repressiva della condotta dolosa, ma esclusivamente da una diversa ed autonoma regola cautelare.

Oltre allâultimo inconveniente citato, a ben vedere tale teoria si risolve in unâequivalenza di effetti con la forma della responsabilità oggettiva. Ed invero, essa configura una colpa presunta della quale sarebbe inutile un qualsiasi accertamento, consistente nella violazione dellâimperativo contenuto nella norma che incrimina il delitto doloso di base: ne consegue che anche accettando tale opinione, lâevento non voluto verrebbe posto a carico del reo solo sulla base del puro nesso di causalità. Portando a conclusione del tutto analoghe al qui in re illecita versatur respondit etiam pro casu, tale teoria non risulta essere armonizzabile al moderno concetto di colpevolezza delineato dalla Corte Costituzionale.

Teoria della prevedibilità in astratto.

Un terzo orientamento, postula che al fine di poter imputare al reo lâevento non voluto cagionato (morte o lesioni) sarebbe necessario ed ineluttabile il requisito della prevedibilità, limitando però tale concetto alla prevedibilità in astratto. Questa teoria si risolve nel semplice richiamo ad una prevedibilità in re ipsa, insita e sempre presente in qualsiasi cessione di sostanza stupefacente. La prevedibilità della morte o della lesione viene desunta dalla frequenza, dalla notorietà, in base allâid quod plerumque accidit, di possibili eventi mortali o lesivi susseguenti allâassunzione di sostanze stupefacenti, elidendo in tal modo lâaccertamento sullâeffettivo decorso causale per ricostruire le specifiche modalità di verificazione dellâevento. La Suprema Corte ritiene, correttamente, che tale teoria sia in realtà un camuffamento della teoria della responsabilità oggettiva e della colpa presunta, risolvendosi anchâessa in una forma di responsabilità basata sul solo nesso causale. Il richiamo al concetto di prevedibilità (astratta) non vale a nulla, essendo solo un formale e non sostanziale omaggio, al principio di colpevolezza.

Teoria della responsabilità da rischio totalmente illecito.

La teoria della responsabilità da rischio totalmente illecito promana da unâautorevole fonte dottrinale, ed origina da una peculiare scelta ermeneutica del disposto di cui allâart. 27 Cost.

Una prima interpretazione del principio di colpevolezza postula che lâenunciato âla responsabilità penale è personaleâ significhi responsabilità per fatto proprio del soggetto. In tale ordine dâidee, dunque, lâillecito potrebbe essere posto a carico di un soggetto quando lâevento è conseguenza della sua azione od omissione, senza esigere legami ulteriori tra evento ed agente.

Altra interpretazione del medesimo disposto porterebbe ad assegnare al principio costituzionale il significato di responsabilità per dolo o colpa, e lâart. 42, comma terzo, c.p. in quanto espressione di una responsabilità senza dolo né colpa sarebbe costituzionalmente illegittimo, o quantomeno privo di significato.

Alla prima delle due tesi, si obietta che una responsabilità fondata sul mero nesso causale tra azione od omissione dellâagente ed evento non è esclusiva dellâuomo come persona, ma è comune a tutto il mondo animale. Sarebbe dunque necessario richiede un legame ulteriore che manifesti nellâevento lâespressione dellâuomo come persona.

Alla seconda, che a seguito di plurime sentenze della Corte Costituzionale è oggi dominante, si appunta unâarbitraria sostituzione della locuzione âresponsabilità personaleâ con lâaltra âresponsabilità colpevoleâ. Richiedere ai fini dellâaffermazione della responsabilità, il dolo o quantomeno la colpa, è una conseguenza della confusione del principio costituzionale di colpevolezza con la concezione psicologica della colpevolezza.

Per tale autore il principio di colpevolezza esigerebbe solo che il soggetto sia eticamente rimproverabile per il fatto. Il concetto di colpa, come requisito minimo per lâimputazione del fatto allâagente, è fuorviante e non sempre tecnicamente corretto: il legislatore richiede, infatti, nellâambito del concetto di colpa, da un lato la violazione di una regola cautelare, e dallâaltro che il soggetto agisca in un ambito dove esiste unâarea di rischio consentito. In tutte le attività in cui tale rischio lecito non sussiste, essendo lâattività di base è totalmente illecita, non è consentito configurare la colpa, ma non vi è ragione per non punire lâagente. Anzi, è eticamente corretto punirlo più gravemente delle corrispondenti forme colpose. Invero, la colpa è data dalla somma rischio consentito più il rischio illecito conseguenza diretta dello sforamento delle soglie poste dalle regole cautelari, ma la porzione di rischio lecito affrontato è indifferente per i fini sanzionatori dellâordinamento giuridico. Nelle forme da responsabilità da rischio totalmente illecito, il rischio corso è già in nuce tutto illecito, e come tale andrà punito più severamente rispetto alle ipotesi colpose.

Dunque, scartate le due tesi estreme relative allâinterpretazione del principio di colpevolezza, è possibile creare una terza categoria dogmatica, in cui âresponsabilità personaleâ significhi dominio personale del soggetto sullâaccadimento umano, che esige però necessariamente il requisito della evitabilità finalistica. Ciò si traduce nella ineluttabilità della prevedibilità ed evitabilità dellâevento nella situazione concreta. Ne consegue che sarà costituzionalmente illegittima una forma di responsabilità che punisca per un evento che concretamente non si sia potuto evitare.

Da tali premesse teoriche è possibile individuare una responsabilità penale scaturente dal disposto dellâart. 42, comma terzo, c.p. armonizzabile a Costituzione. Tale forma di responsabilità per essere legittima deve: rendere la c.d. responsabilità oggettiva ex art. 42, comma terzo, c.p. conforme al principio di personalità dellâillecito; non degenerare sempre in forme di responsabilità per colpa, perché non sempre sussiste la violazione delle regole cautelari, né a fortiori unâarea di rischio consentito; esprimere le ragioni della maggiore gravità che i casi di responsabilità da rischio totalmente illecito possiedono rispetto al concorso di reato doloso con reato colposo. Il concetto di responsabilità da rischio totalmente illecito, per lâautore, si presta egregiamente a soddisfare le predette esigenze.

Invero, la sentenza in commento non dedica lo spazio che sarebbe stato necessario alla teoria da ultimo esposta, limitandosi ad accennarne i presupposti e ad una successiva sbiadita confutazione: liquidando il problema con la laconica espressione âânon è questa la sede per esaminare criticamente questa teoriaâºâº.

La soluzione: responsabilità per colpa in concreto.  

Lâultimo e più recente orientamento ravvede nellâart. 586 c.p. unâipotesi di responsabilità colpa in concreto, concepita nei suoi aspetti ordinari: violazione di una regola cautelare e accertamento della sussistenza dei requisiti della prevedibilità ed evitabilità relativamente allâevento realizzato, ma non voluto.

A dir il vero, questa è unâinterpretazione indotta, quasi obbligata dal dovuto rispetto al principio di colpevolezza (art. 27, comma 1 Cost. in rapporto con il successivo comma 3) nella sua portata liberalgarantistica, così come delineato a partire dal 1988 con una serie di sentenze della Corte Costituzionale.

Sebbene, per ragioni di sintesi, non sia possibile unâanalisi compiuta e completa delle sentenze dedicate al principio di colpevolezza, è doveroso quantomeno un richiamo dei principi in esse sanciti.

Con la sentenza n. 364 del 1988 la Corte Costituzionale colse lâoccasione, derivante da un giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 5, 42, 43, e 47 c.p., per fornire unâilluminante chiarificazione del contenuto e del significato da attribuire al principio di colpevolezza. Lâapprofondita esegesi della Corte portò ad intendere lâenunciato âla responsabilità penale è personaleâ come âresponsabilità per fatto proprio colpevoleâ. Il principio di colpevolezza, si disse, pone un limite invalicabile al legislatore ordinario, impedendogli di punire comportamenti che si mostrino carenti dei requisiti subiettivi minimi dâimputazione. La Corte giunse ad individuare quale requisito subiettivo minimo la colpa dellâagente, insieme con i requisiti di prevedibilità ed evitabilità a questa connaturati, in relazione agli elementi più significativi della fattispecie. Si metteva in luce, lo stretto rapporto tra primo e terzo comma dellâart. 27 Cost., il quale sancisce che ââle pene (â) devono tendere alla rieducazione del condannatoâºâº. Logica conseguenza di tale lettura combinata era la mancanza di senso della rieducazione di chi, non essendo (almeno) in colpa rispetto al fatto, non avesse certo bisogno di essere rieducato, a meno di non limitare lo scopo della pena ad una mera funzione deterrente: inaccettabile conclusione nel nostro sistema costituzionale data la grave strumentalizzazione cui sarebbe sottoposta la persona umana. Il principio di colpevolezza, si affermò, non contiene un tassativo divieto di responsabilità oggettiva spuria o impropria, nella quale un solo elemento della fattispecie, magari accidentale, non è coperto dal dolo o dalla colpa. Relativamente alla forma pura o propria di responsabilità obiettiva, ove è il risultato ultimo vietato a non essere sorretto da alcun coefficiente psicologico, va stabilito quali debbano essere gli elementi che non possono non essere coperti almeno dalla colpa dellâagente, affinché non si incorra in una antinomia con lâart. 27 Cost.

Con la successiva sentenza n. 1085 del 1988, la Consulta sancì che ââperché lâart. 27 Cost. sia pienamente rispettato e la responsabilità sia autenticamente personale, è indispensabile che tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegabili allâagente (siano cioè investiti dal dolo o dalla colpa) ed è altresì indispensabile che tutti e ciascuno dei predetti elementi siano allo stesso agente rimproverabiliâºâº. Esulano da tale ambito di rimproverabilità gli elementi estranei alla materia del divieto: come ad esempio, le condizioni estrinseche di punibilità. Si determinò in maniera definitiva lâillegittimità del principio qui in re illicita versatur respondit etiam pro casu, per contrasto con lâart. 27 Cost. il quale impone come elemento soggettivo minimo di riferibilità dellâevento al suo autore lâaspetto colposo.

Da ultimo, con la sentenza n. 322 del 2007, la Corte Costituzionale, nel confermare quanto già statuito nel 1988, ha chiarito che ââlâart. 27 Cost. mira a garantire ai consociati libere scelte dâazione, sulla base di una valutazione anticipata delle conseguenze giuridico penali della propria condotta; calcolabilità che verrebbe meno ove allâagente fossero addossati accadimenti estranei alla sua sfera di consapevole dominio, perché non voluti né concretamente rappresentati, ma neppure prevedibili ed evitabiliâºâº.

Da tali principi costituzionali discende la scelta obbligata di disattendere interpretazioni dellâart. 586 c.p. fondate sulla mera responsabilità oggettiva pura o propria, la quale si limita a richiedere il sussistere del solo nesso di causalità, sia lâorientamento della colpa presunta per violazione di legge, sempre immancabile e che in definitiva si traduce in un camuffamento della responsabilità oggettiva, così come quello che richiede un prevedibilità in astratto, ossia una prevedibilità formale e in re ipsa.

La tesi della responsabilità da rischio totalmente illecito, sebbene tecnicamente corretta nelle suoi risvolti pratici, paga il dazio di non essere conforme agli orientamenti costituzionali in tema di principio di colpevolezza. Nel nostro ordinamento, ormai è chiaro e incontrovertibile, non residua spazio per una terza forma di responsabilità colpevole, diversa dal dolo o dalla colpa, come quella che ritenga eticamente rimproverabile lâautore per la creazione di un rischio in nuce illecito sulla base dei requisiti della prevedibilità ed evitabilità.

La scelta, dunque, è obbligata. Ed è una scelta che avviene per differenza: in tutte le ipotesi in cui non è ravvisabile il dolo, per essere riferibili allâagire umano gli eventi provocati devono essere connotati dalla colpa. Lâart. 586 rappresenta uno di questi casi emblematici, lâalternativa si pone tra connotazione colposa dellâevento non voluto e promozione di un giudizio di legittimità costituzionale per contrasto con il principio di colpevolezza.

La Corte di Cassazione ha ritenuto di poter ravvedere nella fattispecie di cui allâart. 586 c.p. una responsabilità per colpa in concreto, ancorata alla violazione di una regola cautelare ed a un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità in concreto, del rischio creato per la vita o lâincolumità fisica, intrinseco al reato dolo di base.

La Corte prosegue lâanalisi del delitto in questione rispondendo alle principali critiche avanzate da più parti, e richiamando a sostegno alcuni appigli di ordini logico e giuridico.

Alla prima e più intuitiva obiezione per la quale sarebbe logicamente non corretto che il legislatore prima vieti di tenere una determinata condotta (nella specie la cessione di sostanza stupefacente punita dallâart. 73 D.P.R. 309 del 1990) ritenuta contraria ai fini dellâordinamento giuridico, poi richieda cautela verso la verificazione di eventi non voluti qualora ci si determini a tenerla ugualmente, la Corte risponde che lâimpossibilità di configurare una colpa in chi versa in re illicita comporterebbe una lesione del principio di eguaglianza. Ed invero, la violazione si renderebbe effettiva nel trattare nello stesso modo le situazioni diverse di chi agisce in una serie di circostanze che rendano prevedibile la verificazione dellâulteriore evento non voluto (morte o lesioni), rispetto a chi tenga la stessa condotta in situazioni talmente eccezionali da non renderlo prevedibile. Configurare, allora, un rimprovero per colpa in tali ipotesi equivale alla possibilità di trattare in modo diverso situazioni sostanzialmente diverse.

Ed inoltre, la possibilità di ambientare un rimprovero per colpa nellâalveo di un comportamento doloso non è eventualità sconosciuta dal nostro ordinamento: il richiamo è allâart. 59, comma 2, c.p. ed al relativo regime di imputazione delle circostanze aggravanti. Tale articolo letteralmente dispone che ââle circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dellâagente (â) se da lui ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpaâºâº.

Eliminati gli ostacoli di ordine testuale e logico relativi alla configurabilità della colpa in ambito doloso, la Corte prosegue chiarendo quale sia la natura di questa colpa, ossia se essa debba subire modificazioni nella sua struttura o si tratti della stessa colpa presente nelle normali fattispecie colpose.

La Corte opta per la seconda soluzione: in tema di art. 586 c.p. deve ravvedersi una colpa ânormaleâ, pena lâimpoverimento e il travisamento del concetto di colpa stesso.

Dunque, la colpa, anche in tale ambito consiste âânella realizzazione di un evento non voluto, rimproverabile al soggetto per la violazione di una regola di diligenza, prudenza o imperizia, che discende da una valutazione positiva di prevedibilità ed evitabilità della verificazione dellâevento. Tale valutazione deve essere compiuta con un giudizio di prognosi postuma, collocandosi in una prospettiva ex ante, cioè riferita al momento in cui è avvenuto il fatto, da svolgersi in concreto, secondo il punto di vista di un omologo agente modello, ossia di un agente ideato mentalmente come coscienzioso ed avveduto che si trovi nella concreta situazione e nel concreto ruolo sociale dellâagente realeâºâº. Una volta pensato lâagente modello, tenendo conto di tutte le circostanze fattuali presenti, occorre verificare la sussistenza della prevedibilità ed evitabilità, individuando dapprima la condotta che avrebbe tenuto lâagente modello, e in caso di divergenza dal comportamento tenuto dallâagente reale si potrà affermare lâesistenza della colpa.

Anche nelle ipotesi di chi versa in re illicita è possibile ideare lâagente modello, il quale non va individuato nel âdelinquente modelloâ, ma si cristallizza attorno alla figura dellââindividuo medio razionale, posto nella medesima situazione in cui si è trovato lâagenteâ. Dunque, se lâuomo medio e razionale, posto nella situazione concreta in cui opera lâagente reale, avesse valuto come prevedibile la morte in ragione dellâassunzione della sostanza stupefacente ceduta si dovrà affermare lâesistenza della colpa, e lâintegrazione in tutti i suoi elementi essenziali dellâart. 586 c.p.

Esclusa la prevedibilità in astratto, la colpa andrà sempre accertata in concreto, sulla base delle circostanze di fatto di cui il soggetto era o poteva essere a conoscenza e che evidenziavano il pericolo di eventi letali per lâassuntore.

Lâesistenza dellâelemento psicologico colposo andrà esclusa tutte le volte in cui la lesione o la morte dellâassuntore derivino da circostanze imprevedibili, non conosciute e conoscibili dallo spacciatore. Assunzione di alcol commista allâassunzione della droga inconoscibile dallo spacciatore; cessione ad un apparente consumatore diretto che poi, allâinsaputa del primo fornitore, abbia a sua volta ceduto la sostanza ad altro soggetto con gravi vizi fisici tali da rendere la dose letale; assunzione contemporanea di psicofarmaci; sono tutti esempi in cui difettando il requisito della prevedibilità dellâevento non potrà essere personalmente rimproverata la morte o lesione dellâassuntore allo spacciatore.

Potrà, invece, essere affermata la responsabilità penale del cedente nei casi in cui egli abbia fornito la dose letale essendo a conoscenza della circostanza che lâassuntore fosse dedito al consumo di alcol, o di psicofarmaci, o fosse affetto da gravi vizi fisici, ovvero anche quando tali evenienze siano da lui non conosciute a causa di un errore o ignoranza evitabili, così nel caso di cessione a soggetto che denota un alito particolarmente vinoso, o di cessione allâinterno di discoteche o altri locali in cui si fa abitualmente uso di sostanze alcoliche.

Nel caso di cessioni plurime la colpa da accertarsi in concreto comporta, ai fini dellâaffermazione della responsabilità penale dello spacciatore, che la morte del terzo assuntore sia intervenuta per un fattore eziologico prevedibile del cedente mediato. Dunque, nelle ipotesi in cui la morte del terzo assuntore, non conosciuto né conoscibile dal cedente originario, sia intervenuta per fattori ignoti e non conoscibili dallo spacciatore, come ad esempio lâassunzione contemporanea di alcol, la colpa dovrà dirsi esclusa.

Sarà possibile affermare lâesistenza della colpa, nei casi di cessioni plurime, qualora tali fattori fossero facilmente conoscibili dal cedente originario, come nel caso in cui egli fosse a conoscenza della circostanza che la sostanza stupefacente era destinata a successivo smercio allâinterno di discoteche, ove il consumo di alcol è prassi abituale.  

Dunque, la Corte di Cassazione, ha definitivamente posto la parola fine relativamente allâimputazione dellâevento non voluto dellâart. 586 c.p.: âânellâipotesi di morte verificatasi in conseguenza dellâassunzione di sostanza stupefacente, la responsabilità penale dello spacciatore per lâevento morte non voluto richiede che sia accertato non solo il nesso di causalità tra cessione e morte, non interrotto da cause eccezionali sopravvenute, ma anche che la morte sia in concreto rimproverabile allo spacciatore e che quindi sia accertata in capo allo stesso la presenza dellâelemento soggettivo della colpa in concreto, ancorata alla violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma penale che incrimina il reato base) e ad un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità in concreto del rischio per il bene della vita del soggetto che assume la sostanza, valutate dal punto di vista di un razionale agente che si trovi nella concreta situazione dellâagente reale ed alla stregua di tutte le circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dallâagente realeâºâº.

Sebbene, siano lodevoli gli sforzi interpretati della Suprema Corte finalizzati a riportare entro i confini delimitati dal principio di colpevolezza il crocevia dogmatico rappresentato del titolo della responsabilità per lâevento non voluto ex art. 586 c.p., tuttavia è bene non disconoscere che la categoria colpevolezza è del tutto estranea alla logica ispiratrice del codice penale Rocco. La verità è che, allâinterno del codice del 1930, il principio di colpevolezza è sistematicamente contraddetto in tutti quegli istituti in cui era pensabile allâepoca la configurazione di responsabilità incolpevoli. Le esigenze storiche del tempo, originate da una necessità di esasperata difesa sociale, evidenziano profili di antinomia con lâattuale rapporto liberalgarantisco che governa il rapporto individuo-autorità, del quale il principio di colpevolezza è espressione suprema.

In una prospettiva di riforma del codice penale è bene augurarsi unâespunzione o una sostanziale modifica di quelle norme che erano originariamente state pensate come ipotesi di responsabilità oggettiva, presidio della supremazia della società sul singolo, a meno di non voler utilizzare il concetto di colpa come panacea del principio di colpevolezza, e continuare a compiere contorti sforzi dogmatici per adattargli istituti poco compatibili.  

Da: mary16/12/2009 11:46:23
quali sono le soluzioni???
dove le trovo

Da: bellabimba16/12/2009 11:46:30
SI, LEGGILA NO?

Da: Lucia16/12/2009 11:47:40
I RIFERIMENTI NORMATIVI PER LA SECONDA TRACCIA PER FAVORE!!!

Da: squalo 7616/12/2009 11:51:52
provo a dimmaginare che non essendo configurabile il reato di cui all'art.586 c.p.  possa poi trovare ingresso nell'ipotesi dell'art.73 309/90 la prescrizione essendo quella massima prevista nella misura di 9 anni.
richiesti commenti

Da: sissi16/12/2009 11:52:28
seconda traccia...riferimenti normativi.........per te LUCIA
Il contrasto giurisprudenziale

La quinta sezione penale della cassazione ha riscontrato un contrasto di giurisprudenza, relativo non solo al concorso fra il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) e quello di falso ideologico per induzione (artt. 48 e 479 c.p.), ma anche agli esatti termini per la configurazione di questo secondo reato, in presenza o meno del primo.

Ha pertanto rimesso gli atti alle Sezioni Unite, che dopo aver chiarito che âil delitto di falsa attestazione del privato può concorrere - quando la falsa dichiarazione del mentitore sia prevista di per sé come reato - con quello della falsità per induzione in errore del pubblico ufficiale nella redazione dell'atto al quale l'attestazione inerisca, sempreché la dichiarazione non veridica del privato concerna fatti dei quali l'atto del pubblico ufficiale è destinato a provare la veritàâ, hanno respinto il ricorso dei due legali rappresentanti.


Cass. pen., Sez. un., Sentenza 27 Settembre 2007 , n. 35488

Da: bellabimba16/12/2009 11:52:35
RAGAZZI, pERò, attivatevi anche un pò Leggete i documentoi che stiamo postando con apprezzabilissimo anticipo rispetto a ieri e riportate ciò che ritenete più opportuno. La soluzione è nello svolgimento pubblicato, è chiaro che un minimo di personalizzazione e di parafrasi può solo giovare a tutti voi. Non potete pretendere la pappa bella pronta. Il documento che ho pubblicato è una rileaborazione di quanto ho trovato sullì'argomento. Se avete qualche conoscenza in più sugli istituti aggiungete o limate, ma attivatevi, non fatevi prendere da ansia e disperazione, ok? lavorateci sopra, su.

Da: paolespo16/12/2009 11:52:46
Scusa l'ignoranza Alfano, ma cosa rappresenta il tuo post?un parere?Posso inviare la sola soluzione proposta?cosa mi consigli per aiutare il familiare impegnato?

Da: aiutante16/12/2009 11:52:54
é molto semplice traccia del falso x induzione del pubblico ufficilale

Da: mary16/12/2009 11:53:07
quella di alfano è la soluzione

Da: squalo 7616/12/2009 11:54:35
la sentenza del 2009 si conclude con l'annullamento della sentenza di corte di appello limitatamente ai reati di cui agli artt.83  e 586, quindi configurabilità dell'art.73 309/90 e quindi prescirzione ed indulto e sempronio si salva....

Da: mari 8516/12/2009 11:55:37
Ragazzi scusate qlc1 ha elaborato 1 dei pareri???

Da: alfano nota a sentenza16/12/2009 11:58:09
leggetevi il parere che ho postato..e poi voglio il cesto a natale.
forza Bari!!

Da: russian16/12/2009 12:00:27
La fattispecie oggetto di parere impone di analizzare la responsabilità penale dello spacciatore per morte dellâacquirente di sostanze stupefacenti, caso di recente analizzato dalla Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, Cass. penale Sez. Unite sent. n. 22676/09, che ha chiarito che se lo spacciatore di droga non poteva prevedere la morte del tossicodipendente non puo' essere accusato di omicidio colposo.
Tuttavia, per meglio, sviscerare la fattispecie in oggetto è necessario analizzare il tema del reato da morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, di cui allâart. 536 c.p., la quale va considerata quale norma di chiusura e di rafforzamento del sistema di tutela del bene fondamentale della vita e della incolumità fisica che si attua ogni volta che la morte sia conseguenza non voluta di altro delitto di natura dolosa, purchè diverso da lesioni e percosse.
Secondo i commentatori prevalenti lâart. 586 c.p. è norma di carattere speciale rispetto allâart 83 comma 2, dal momento che presuppone una condotta di base di natura dolosa e la conseguente produzione non voluta dellâevento morte o lesioni.
Dottrina minoritaria, invece, ritiene che tra le due norme via rapporto di genere a specie in quanto lâart. 586 cp a differenza dellâart. 83 comma 2 ( aberratio delicti plurilesiva) non subordina la responsabilità alla presenza di un errore nellâuso dei mezzi di esecuzione o di unâaltra causa.

Controverso resta, tuttavia, sia per la dottrina che per la giurisprudenza il criterio di imputazione di responsabilità. Una parte della dottrina e della giurisprudenza, infatti, ritengono che si tratti di ipotesi di responsabilità oggettiva in virtù del solo nesso di causalità ( qui in re illicita versatur respondit etiam pro casu).
Relativamente alla fattispecie oggetto di parere occorre sottolineare che buona parte della giurisprudenza, con specifico riferimento alla vendita di sostanze stupefacenti, ritiene che per affermare la penale responsabilità del venditore per morte dellâacquirente di stupefacenti sia sufficiente il solo nesso di causalità interrotto da eventi eccezionali e, nel caso di successive cessioni di sostanze stupefacenti, considera non interrotto il nesso di causalità per effetto delle cessioni intermedie. Per essere più chiari, lâart. 586 c.p. troverebbe applicazione nei confronti di colui che a qualsiasi titolo illecito, cede una sostanza stupefacente in caso di morte del cessionario intervenuta a seguito della assunzione della sostanza ceduta, non occorrendo espletare alcuna indagine sullâesistenza della colpa, la cui presenza non sarebbe necessaria.
Secondo diversa interpretazione, la fattispecie rappresentata allâart. 586 c.p. andrebbe ricostruita come ipotesi di responsabilità per colpa specifica, fondata sulla semplice inosservanza della norma penale de reato base doloso.
Con particolare riguardo allâipotesi di morte conseguente allâassunzione di sostanze stupefacenti, si è ritenuto che lâevento morte è addebitabile allo spacciatore, anche se non realizzatosi nellâimmediatezza dellâassunzione degli stupefacenti, a norma dellâart. 586 c.p. a titolo di colpa consistita nella violazione della legge sullo spaccio di stupefacenti e nella conseguente prevedibilità dellâevento letale.
Tale tesi è stata oggetto di critica da costoro che rilevavano che non potrebbe parlarsi di violazione di regole cautelari nel contesto di unâattività già di per sé illecita. Lâordinamento cadrebbe infatti in contraddizione in quanto da un lato vieterebbe una certa attività e, al contempo, imporrebbe lo svolgimento della stessa con prudenza e diligenza.
Una terza tesi richiede che, per imputarsi lâevento morte o lesioni ex art 586 c.p., oltre al nesso di causalità anche la prevedibilità dellâevento facendo però riferimento ad una prevedibilità in astratto.
Infine, unâultima tesi rileva che lâart. 586 c.p. configura ipotesi di responsabilità per colpa in concreto, accertata nei requisiti ordinari, fondata sulla violazione di regole cautelari di condotta e sulla necessità di un accertamento della effettiva prevedibilità ed evitabilità in concreto dellâevento non voluto da parte dellâagente.
Di recente, è intervenuta sul tema la chiarificatrice sentenza a Sezioni Unite n. 22676/09 che ha, da ultimo, inteso comporre l'annoso contrasto giurisprudenziale attinente ai presupposti necessari della responsabilità ex art. 586 c.p. per la morte o lesione di una persona come conseguenza non voluta di altro delitto, come nel caso di specie in riferimento particolare alla responsabilità penale dello spacciatore.
La pronuncia in commento, a riprova della diretta permeabilità del principio costituzionale di colpevolezza, statuisce come la responsabilità penale dello spacciatore per l'evento morte non voluto richiede che sia accertato non solo il nesso di causalità tra la cessione e la morte, non interrotto da cause eccezionali sopravvenute, ma anche che la morte sia in concreto imputabile allo spacciatore, ovvero che si accertati in capo allo stesso la presenza dell'elemento soggettivo della colpa in concreto, ancorata alla violazione di una regola precauzionale e a un coefficiente di prevedibilità e evitabilità in concreto del rischio per il bene della vita del soggetto che assume la sostanza.
Nella specie, dunque, se una coppia di amici, presuntivamente abitualmente dediti all'uso di sostanze stupefacenti - Tizio aveva già in passato acquistato stupefacenti da Sempronio- acquista stupefacenti, e, a seguito di assunzione di alcool Caio deceda non necessariamente la morte dovrà essere imputabile allo spacciatore.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno, quindi, fornito un significativo intervento risolutore alla luce dei principi costituzionali della responsabilità penale personale e della finalità rieducativa della pene con cui, nelle sentenze n. 364/88 e n. 1085/88 la Corte Costituzionale ha reinterpretato il principio di colpevolezza sulla base del collegamento sistematico dei commi primo e terzo dell'art. 27 Cost., che nella sua espansione massima va interpretato come sinonimo âdi responsabilità penale per fatto proprio colpevoleâ, il quale anche in virtù della finalità rieducativa della pena postula che il fatto addebitato sia psichicamente riportabile almeno nella forma della colpa al soggetto da rieducare. Invero, con le suddette pronunce, che segnano una svolta nella giurisprudenza costituzionale, la stessa giunge a sostenere come âil dolo e la colpa devono immancabilmente coprire gli elementi più significativi della fattispecie penaleâ, sollevando inevitabili obiezioni di costituzionalità in relazione all'istituto della responsabilità oggettiva.
Orbene, tentando di ricomporre in un quadro unitario gli assunti dettati dalla Corte Costituzionale la sentenza della Corte, cui il parere fa riferimento, ha accolto un orientamento, sviluppatosi solo negli ultimi anni in giurisprudenza, il quale mediante un'interpretazione adeguatrice dell'art. 586 c.p. al principio di colpevolezza, riconduce lo stesso ad una responsabilità per colpa in concreto. In particolare, il significativo principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite richiede che la responsabilità sia ancorata ad una violazione di regole cautelari di condotta ed a un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità in concreto e non in astratto, del rischio connesso alla carica di pericolosità per i beni della vita e dell'incolumità personale intrinseca alla consumazione del reato doloso di base. Di conseguenza, in caso di morte o lesioni conseguenti all'assunzione di stupefacenti, la responsabilità dello spacciatore per questi ulteriori eventi potrà essere ravvisabile quando sia accertata la sussistenza, da un lato, di un nesso di causalità fra la cessione e l'evento morte o lesioni, non interrotto da fattori eccezionali sopravvenuti, e, da un altro lato, che l'evento non voluto sia comunque soggettivamente collegabile all'agente, ovvero sia a lui rimproverabile a titolo di colpa in concreto, valutata secondo i normali criteri di valutazione della colpa nei reati colposi. Sarà quindi necessario che l'agente abbia violato una regola cautelare diversa dalla norma (della legge sugli stupefacenti) che incrimina il delitto base e che sia specificamente diretta a prevenire la morte o le lesioni personali. La Suprema Corte precisa, peraltro, come ai fini della responsabilità occorrerà espletare una valutazione positiva di prevedibilità ed evitabilità in concreto dell'evento, compiuta ex ante, sulla base del comportamento che sarebbe stato tenuto da un omologo agente modello, tendendo, inoltre, conto di tutte le circostanze della concreta e reale situazione di fatto. Secondo la teoria in commento, ad avviso della Corte l'unica compatibile con i principi costituzionali, si dovrà pertanto verificare se nella situazione concreta dal punto di vista di un agente modello, quale può essere una persona ragionevole consapevole degli effetti della sostanza ceduta, risultava prevedibile l'evento morte come conseguenza dell'assunzione da parte di uno specifico soggetto di una determinata dose di droga. Tale orientamento, ispirato a ragioni maggiormente garantiste, che in conformità alla giurisprudenza costituzionale tendono a ricondurre all'agente una responsabilità penale solo in casi di azioni controllabili, risulta, inoltre, coerente con la riforma del regime di imputazione delle circostanze aggravanti di cui all'art. 59 comma 2, a cui la legge n. 19 del 1990 ha esteso il principio di colpevolezza.
Lo spacciatore potrà ritenersi esente da colpa quando ad una attenta e prudente valutazione di tutte le circostanze del caso concreto l'evento morte o lesioni erano imprevedibili in quanto intervenuto per effetto di fattori non noti o non rappresentabili dal cedente, come potrebbe verificarsi nel caso, di specie, di cessione di una normale quantità di droga a cui segue la morte a causa della contemporanea assunzione di alcool da parte di uno degli acquirenti. La colpa potrà invece essere ravvisabile quando la morte sia prevedibile, ed anche quando non sia prevista perché una circostanza pericolosa sia stata ignorata per colpa o sia stata erroneamente valutata sempre per colpa.
Alla stregua di tali principi, nel caso di specie Sempronio non potrà essere accusato della morte di Caio per essere solo il âvenditoreâ delle sostanze stupefacenti, in quanto la morte di Caio è intervenuta per effetto di fattori non noti e non rappresentabili dal cedente e, precisamente per assunzione di alcool che alterato gli effetti della droga.

Da: mari 8516/12/2009 12:00:42
x alfano :



perdona l'incompetenza in materia...hai scritto la soluzione?a ke pagina?

Da: NAPOLI16/12/2009 12:00:46
x alfano a che pagina hai postato il parere x la prima traccia

Da: amici!!!16/12/2009 12:02:31
le sentenze vi sono arrivate...che volete di più!
fate qualcosa pure voi!!!

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