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14 dicembre 2016: Parere PENALE
520 messaggi, letto 64742 volte

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Da: Ravenerik  14/12/2016 17:33:28
Tu stai dunque dicendo che la corruzione impropria si verifica in ogni caso, perché il vantaggio derivante dall'atto di ufficio è l'utilità punita come corruzione. Ti rendi conto?
Rispondi

Da: Mar14/12/2016 17:33:39
Roma?
Rispondi

Da: Goldenbrunnen14/12/2016 17:35:01
Di qualcosa Tizio potrebbe rispondere penalmente secondo il mio modesto parere
Rispondi

Da: Ravenerik  14/12/2016 17:38:03
Sì: concorre nel/nei reato/i proprio/i di cui è accusato Mevio.

Concorso come istigatore nell'eventuale reato di rivelazione di segreto d'ufficio, concorso nel reato di turbativa d'asta.
Rispondi

Da: Alala14/12/2016 17:39:42
Certo, se Tizio ha fatto il furbo, prendendo in giro anche il Ministero, allora risponderà del reato ascritto.
Rispondi

Da: #news 14/12/2016 17:40:26
NAPOLI??
Rispondi

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Da: fulvio14/12/2016 17:40:42
nella seconda traccia c'è o no corruzione?
Rispondi

Da: Ravenerik  14/12/2016 17:42:11
No. Nessuna corruzione. L'utilità per sè o per altri non esiste.
Rispondi

Da: Alala14/12/2016 17:43:31
In bocca a lupo a tutti gli aspiranti avvocati, appuntamento a domani con l'atto giudiziario.
Rispondi

Da: fulvio12514/12/2016 17:45:16
la seconda  traccia e 'così complessa che non l'hanno risolta neanche i siti di avvocatura, sarà un bagno di sangue
Rispondi

Da: seconda traccia non pervenuta14/12/2016 18:02:33
Qualcuno sa la seconda traccia che fine ha fatto?
Rispondi

Da: aoxomoxoa 14/12/2016 18:04:54
Seconda traccia non l'ha svolta nessuno !
Manco on line !
Rispondi

Da: Forza e coraggio! Aiutiamoli!14/12/2016 18:06:54
TRACCIA 2 - APPENA PUBBLICATA
La traccia chiede di esaminare le fattispecie di reato configurabili a carico di Tizio, rappresentante della società Alfa, e di Mevio, pubblico ufficiale preposto alla predisposizione dei bandi di gara, e di individuare gli indirizzi giuridici applicabili.

Innanzitutto occorre un inquadramento giuridico della questione. L'ambito giuridico coinvolto si riferisce alla fattispecie della "turbata libertà degli incanti", disciplinata dall'art. 353 c.p.

Al riguardo, l'art. 353 c.p. afferma che "Chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private per conto di pubbliche Amministrazioni, ovvero ne allontana gli offerenti, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032.
Il 2° comma della medesima norma prevede una circostanza aggravante a carico di chi è persona preposta dalla legge o dall'Autorità agli incanti o alle licitazioni suddette, con ampliamento del minimo e del massimo edittale.

Nel caso di specie, ad una prima lettura, sembrerebbe che la condotta di Mevio, pubblico ufficiale, in concorso con quella di Tizio, integri proprio la fattispecie prevista dal secondo comma dell'art. 353 c.p.

Infatti, la Cass. Pen., Sez. VI, 30 giugno 2014, n. 28157 ha ribadito a tal proposito che "Ai fini della configurabilità del reato di turbata libertà degli incanti, è rilevante anche l'accordo collusivo tra il soggetto preposto alla gara ed uno dei partecipanti alla stessa, posto che la circostanza aggravante di cui all'art. 353, comma secondo, c.p., riferita al soggetto preposto alla gara per il solo fatto della funzione ricoperta, ha riguardo a tutte le condotte previste dal primo comma del medesimo articolo".

Tuttavia, nel caso di specie, sembra più corretto applicare la fattispecie contenuta nell'art. 353-bis c.p., norma introdotta dall'art. 10 della L. n. 136/2010. A tal proposito risolutiva è la sentenza Cass. Pen., Sez. IV, 14 aprile 2015, n. 26840.

La Corte, nella sentenza sopra citata, afferma che è stata introdotta dal legislatore, in aggiunta al reato di turbativa d'asta (353 cod. pen.), al fine di punire quelle condotte turbative che si manifestino anche nella fase precedente la gara, condotte che non necessariamente devono raggiungere poi il loro scopo prevalente (ovvero alterare l'esito della gara stessa).

Si legge dalla sentenza: "L'art. 353 bis c.p., prevede così che, salvo che il fatto costituisca fatto più grave, abbia autonoma rilevanza penale la condotta di chiunque, alternativamente con violenza minaccia, doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti (i medesimi comportamenti considerati dalla fattispecie ex art. 353 c.p.), turba il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando ovvero di altro atto equipollente, al fine di condizionarne le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione".

Pertanto, il "condizionamento" del contenuto del bando è il fine specifico dell'azione, per cui il reato (si tratta di un reato di pericolo) si consuma indipendentemente dalla realizzazione del fine: basta che la correttezza della procedura amministrativa nella predisposizione del contenuto del bando sia messa concretamente in pericolo, a prescindere dall'esito della procedura.

In conclusione, per le ragioni suesposte, appare più corretta l'applicazione dell'art. 353-bis c.p. al fine di definire la condotta concorsuale di Tizio con quella di Mevio.

***

Ecco, inoltre,  i riferimenti normativi e la giurisprudenza per risolvere la seconda traccia di diritto penale dell'esame di avvocato 2016 riguardante il reato di turbata libertà degli incanti.

Norme di riferimento
Art. 110 c.p.

Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti.

Art. 353 c.p. (Turbata libertà degli incanti)

1. Chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private per conto di pubbliche Amministrazioni, ovvero ne allontanagli offerenti, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da centotre euro a milletrentadue euro.
2. Se il colpevole è persona preposta dalla legge o dall'Autorità agli incanti o alle licitazioni suddette, la reclusione è da uno a cinque anni e la multa da cinquecentosedici euro a duemilasessantacinque euro.
3. Le pene stabilite in questo articolo si applicano anche nel caso di licitazioni private per conto di privati, dirette da un pubblico ufficialeo da persona legalmente autorizzata; ma sono ridotte alla metà.

Art. 353-bis c.p. (Turbata libertà del procedimento di scelta del contraente)

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, turba il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032.



Massime della giurisprudenza di riferimento
Cassazione Penale, IV sez., 14 aprile 2015, n. 26840

I comportamenti che incidono sulla formazione del bando di gara che venga successivamente emesso, devono essere inquadrati nella fattispecie prevista dall'art. 353 c.p., a nulla rilevando che gli stessi sono stati posti in essere nel periodo precedente all'introduzione dell'art. 353 bis c.p., fattispecie che trova applicazione in relazione a tutti i comportamenti diretti alla manipolazione del bando di gara nei casi in cui questa non venga successivamente bandita.

Cassazione Penale, VI sez., 30 giugno 2014, n. 28157

Ai fini della configurabilità del reato di turbata libertà degli incanti, è rilevante anche l'accordo collusivo tra il soggetto preposto alla gara ed uno dei partecipanti alla stessa, posto che la circostanza aggravante di cui all'art. 353, comma secondo, c.p., riferita al soggetto preposto alla gara per il solo fatto della funzione ricoperta, ha riguardo a tutte le condotte previste dal primo comma del medesimo articolo.
Rispondi

Da: Forza e coraggio! Aiutiamoli!14/12/2016 18:08:37
TRACCIA 1 - APPENA PUBBLICATA

Il Sig. Tizio è imputato dei reati di cui all'art. 48 e 479 del c.p. L'art. 48 c.p. prevede la punibilità del soggetto che ha determinato l'altrui errore su un fatto che costituisce reato, al posto del soggetto che materialmente lo ha commesso, essendo stato tratto in inganno.

Secondo l'imputazione, la dichiarazione mendace rilasciata dal Sig. Tizio, circa il possesso dei requisisti morali e professionali, ha determinato il pubblico ufficiale, che ha attestato la veridicità di tali dichiarazioni, a commettere il reato di cui all'art. 479 c.p. di falso ideologico.

Si tratta di un'ipotesi di autorìa mediata, per cui risponde del reato del pubblico ufficiale colui che volontariamente l'abbia indotto in errore, salvo che l'errore non sia incolpevole. In quest'ultimo caso infatti il pubblico ufficiale risponde del reato a titolo di colpa, fermo restando che si escluda la configurabilità del dolo.

Dall'esame della questione, tuttavia, è necessario rilevare che il reato imputabile al Sig. Tizio non è di falso ideologico in atto pubblico per induzione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 48 e 479 c.p., piuttosto quello di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico, ai sensi dell'art. 483 c.p.

Il Pubblico ufficiale, infatti nel caso in esame, si è limitato a trasfondere l'autocertificazione del Sig. Tizio nell'atto pubblico. rappresentato dall'iscrizione nel pubblico registro.

Secondo quanto chiarito dalla Corte di Cassazione si configura l'ipotesi di cui agli art. 48 e 479 c.p., quando la falsa dichiarazione viene assunta a presupposto di fatto dell'atto pubblico da parte del pubblico ufficiale, che quest'ultimo forma, sicché la dichiarazione stessa non ha alcun rilievo autonomo, in quanto confluisce nell'atto pubblico e integra uno degli elementi che concorrono all'attestazione del pubblico ufficiale, alla quale si perviene mediante false notizie e informazioni ricevute dal privato. (Cass Pen., n. 35545/2007).

In tal caso invece, la dichiarazione sostitutiva ha autonomo rilievo e, ,nell'ipotesi in cui vengano rilasciate false dichiarazioni, ad essa sono espressamente collegati effetti penali . (Cass. Pen. n. 12710/2015).

Inoltre ai sensi dell'art. 76 del D.P.R. 445/2000, le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli artt. 46 e 47 del medesimo D.P.R., si intendono rilasciate al pubblico ufficiale, a riprova che si tratta di reato di falso ideologico del privato in atto pubblico.

A questo punto, chiarito che la fattispecie di reato deve essere ricondotta a quella di cui all'art. 483 c.p., e che sicuramente sussiste l'elemento oggettivo del reato, è necessario verificare la sussistenza dell'elemento soggettivo.

Premesso che il reato in questione è punibile solo a titolo di dolo (Cass. Pen. n. 12710/2015),nel caso di specie la condotta del Sig. Tizio, deve ritenersi senz'altro colposa, in quanto la falsa dichiarazione rilasciata non era preordinata a negare il vero ma è stata piuttosto determinata dal contenuto non chiaro della modulistica predisposta dall'amministrazione e da una negligenza o leggerezza nella condotta del Sig. Tizio, che non si è premurato di verificare il contenuto degli articoli di legge relativi alle qualità morali e professionali richieste.

Secondo la giurisprudenza, invece, il dolo, consiste nella volontà cosciente di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero. (Cass. Pen., sez. V, n. 33218/2012)

Deve quindi ritenersi che il Sig. Tizio, sebbene abbia commesso il reato di cui all'art. 483 c.p. possa aspirare all'assoluzione qualora, in giudizio, riuscisse a dimostrare la mancanza di dolo nella condotta che lo ha portato a dichiarare il falso, secondo le argomentazioni sopra riportate.

***

Ecco, inoltre,  i riferimenti normativi e la giurisprudenza per risolvere la prima traccia di diritto penale dell'esame di avvocato 2016 riguardante il reato di falsità ideologica

Norme di riferimento
Art. 48 c.p. (Errore determinato dall'altrui inganno)

Le disposizioni dell'articolo precedente si applicano anche se l'errore sul fatto che costituisce il reato è determinato dall'altrui inganno; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona ingannata risponde chi l'ha determinata a commetterlo.

Art. 479 c.p. (Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici)

Il pubblico ufficiale, che ricevendo o formando un atto nell'esercizio delle sue funzioni attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite nell'art. 476.

Art. 483 c.p. (Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico)

1. Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni.
2. Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile, la reclusione non può essere inferiore a tre mesi.

Art. 76 D.P.R. 445/2000

1. Chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico e' punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia.                                                                                               2. L'esibizione di un atto contenente dati non più rispondenti a verità equivale ad uso di atto falso.                                   3. Le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli articoli 46 e 47 e le dichiarazioni rese per conto delle persone indicate nell'articolo 4, comma 2, sono considerate come fatte a pubblico ufficiale.                                                                 4. Se i reati indicati nei commi 1, 2 e 3 sono commessi per ottenere la nomina ad un pubblico ufficio o l'autorizzazione all'esercizio di una professione o arte, il giudice, nei casi più gravi, può applicare l'interdizione temporanea dai pubblici uffici o dalla professione e arte.

Massime della giurisprudenza di riferimento
Cassazione Pen., Sez. V, 25 marzo 2015, n. 12710

Integra il delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico la condotta di colui che attesti falsamente il possesso dei requisiti morali e professionali - in sede di dichiarazione sostitutiva di certificazione, preordinata ad ottenere l'iscrizione nel pubblico registro degli esercenti commerciali - considerato che detta iscrizione, nel quale la trascrizione dell'autocertificazione del privato si è trasfusa è atto pubblico, destinato a provare la verità del fatto attestato. Qualora, tuttavia, detta dichiarazione sia contenuta in un modulo prestampato di non immediata comprensione, non può ritenersi esistente l'elemento soggettivo sulla base di un dovere di accertamento del privato determinato dall'assenza di chiarezza del modulo, in quanto, in tal caso, la responsabilità per il delitto di cui all'art. 483 cod. pen., viene fondata non già in ragione della coscienza e volontà di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero, ma sulla base di una colposa omissione di indagine, insuscettibile di integrare il delitto di cui all'art. 483 cod. pen. punibile a titolo di dolo.

Cassazione Pen., Sez. V, 31 maggio 2012, n. 33218

Il dolo integratore dei delitto di falsità ideologica, dì cui all'articolo 483 cod. pen., sia costituito dalla volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico dì dichiarare il vero.
Rispondi

Da: Ravenerik  14/12/2016 18:09:02
Basta leggere la penultima sentenza citata...
Rispondi

Da: aoxomoxoa 14/12/2016 18:12:43
TRACCIA PENALE 2

http://www.formazionegiuridica.org/traccia-2-parere-diritto-penale/
Rispondi

Da: Ravenerik  14/12/2016 18:13:32
La gara è stata indetta, truccata, e vinta grazie al trucco. Come può essere configurabile il bis?!
Rispondi

Da: aoxomoxoa 14/12/2016 18:14:00
TRACCIA 2 - SVOLGIMENTI

Riferimenti normativi

326  c.p. Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio.

Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Se l'agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino a un anno.

Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, è punito con la reclusione da due a cinque anni. Se il fatto è commesso al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusione fino a due anni.

353 c.p. Turbata libertà degli incanti

Chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private per conto di pubbliche Amministrazioni, ovvero ne allontana gli offerenti, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da centotre euro a milletrentadue euro.

Se il colpevole è persona preposta dalla legge o dall'Autorità agli incanti o alle licitazioni suddette, la reclusione è da uno a cinque anni e la multa da cinquecentosedici euro a duemilasessantacinque euro.

Le pene stabilite in questo articolo si applicano anche nel caso di licitazioni private per conto di privati, dirette da un pubblico ufficiale o da persona legalmente autorizzata; ma sono ridotte alla metà .

353bis c.p.  Turbata libertà del procedimento di scelta del contraente

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, turba il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032.



Riferimenti giurisprudenziali

Cassazione penale, sez. V, 11.05.2016, n. 25091

Il reato di turbata libertà degli incanti di cui all'art. 353 cod. pen. - a differenza della fattispecie prevista dall'art. 353-bis cod. pen. - non è configurabile, neanche nella forma del tentativo, prima che la procedura di gara abbia avuto inizio (e cioè prima della pubblicazione del relativo bando), dovendosi ritenere carente in tale situazione il presupposto oggettivo per la realizzazione delle condotte previste dalla norma incriminatrice.

Cassazione penale, sez. VI, 26.02.2016, n. 23355

Il reato di corruzione appartiene alla categoria dei reati "propri funzionali" perché elemento necessario di tipicità del fatto è che l'atto o il comportamento oggetto del mercimonio rientrino nelle competenze o nella sfera di influenza dell'ufficio al quale appartiene il soggetto corrotto, nel senso che occorre che siano espressione, diretta o indiretta, della pubblica funzione esercitata da quest'ultimo, con la conseguenza che non ricorre il delitto di corruzione se l'intervento del pubblico ufficiale in esecuzione dell'accordo illecito non comporti l'attivazione di poteri istituzionali propri del suo ufficio o non sia in qualche maniera a questi ricollegabile, e invece sia destinato a incidere nella sfera di attribuzioni di pubblici ufficiali terzi rispetto ai quali il soggetto agente è assolutamente carente di potere funzionale. Ne discende che, ai fini della configurabilità del reato di corruzione propria, non è determinante che il fatto contrario ai doveri di ufficio sia ricompreso nell'ambito delle specifiche mansioni del pubblico ufficiale, ma è necessario e sufficiente che si tratti di un atto rientrante nelle competenze dell'ufficio cui il soggetto appartiene e in relazione al quale egli eserciti, o possa esercitare, una qualche forma di ingerenza, sia pure di mero fatto.

Cassazione penale, sez. VI, 26.01.2016, n. 6259

In tema di turbata libertà degli incanti, integrano il reato previsto dall'art. 353 c.p. i comportamenti manipolatori che incidono sulla formazione di un bando di gara poi adottato, non rilevando che essi siano stati commessi prima dell'art. 353-bis c.p., atteso che in quest'ultima fattispecie incriminatrice rientrano, invece, le condotte manipolatorie del procedimento non seguite dalla emissione del bando e quelle di manipolazione dell'iter procedurale che non abbiano, tuttavia, influenzato la legittimità del bando poi adottato.

Cassazione penale, sez. VI, 04.12.2015, n. 4896

Integra il reato di rivelazione di segreti d'ufficio, previsto dall'art. 326 c.p., la comunicazione anticipata ad una delle imprese concorrenti, da parte del direttore amministrativo di un Azienda Ospedaliera, del contenuto di un bando relativo ad una gara d'appalto per l'affidamento dei servizi di competenza aziendale.

Cassazione penale, Sez. Un., 27.10.2011, n. 4694

Il delitto di rivelazione di segreti d'ufficio riveste natura di reato di pericolo effettivo e non meramente presunto nel senso che la rivelazione del segreto è punibile, non già in sé e per sé, ma in quanto suscettibile di produrre nocumento a mezzo della notizia da tenere segreta.

Cassazione penale, sez. I, 17 gennaio 2011, n. 5842

In tema di rivelazione di segreti d'ufficio, ai fini della sussistenza del concorso nel reato dell'"extraneus", è necessario che questi, lungi dal limitarsi a ricevere la notizia, abbia istigato o indotto il pubblico ufficiale a porre in essere la rivelazione.



Svolgimento

Incipit Il caso in esame impone la preliminare disamina dei reati contro la pubblica amministrazione, con particolare riferimento al delitto di rivelazione ed utilizzazione di segreti d'ufficio.

D1 I delitti contro la pubblica amministrazione sono stati oggetto di ripetute riforme a far corso dalla fondamentale legge 86 del 1990. La legge 190/2012, allineandosi alle indicazioni fornite dalla Convenzione di Merida del 2003, già ratificata dall'Italia, ha dato vita ad una riforma organica dei reati contro la pubblica amministrazione, modificando le ipotesi di corruzione e concussione ed introducendo il nuovo art. 319quater, co.1 (concussione mediante induzione per pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio) e co.2, con un precetto di nuovo conio che estende la punibilità anche al privato indotto indebitamente.

La riforma ha modificato l'art. 318 c.p., in relazione alla corruzione per l'esercizio della funzione e l'art. 320 c.p., nel quale risulta allargato il novero dei soggetti attivi del reato, con contestuale eliminazione del riferimento al pubblico impiego. Il legislatore è intervenuto nuovamente, con l. 69 del 2015, sviluppando le coordinate già presenti nella riforma 2012, aggravando le pene principali ed accessorie di alcuni delitti posti a presidio della P.A. ed estendendo il delitto di concussione anche all'incaricato di un pubblico servizio (317 c.p.). Successivamente, la legge n.69 del 2015 ha aggravato le pene principali ed accessorie di alcuni delitti contro la pubblica amministrazione, estendendo il delitto di concussione anche all'incaricato di un pubblico servizio e prevedendo un'inedita pena accessoria a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell'amministrazione (art.322 quater). In relazione ad alcuni reati contro la pubblica amministrazione, inoltre, la sospensione condizionale della pena è subordinata alla riparazione del danno cagionato all'amministrazione. Con l'introduzione del comma 1ter all'art.444 c.p.p., inoltre, è stato subordinato il patteggiamento per alcuni gravi delitti contro la pubblica amministrazione alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato.

D2 La disciplina dell'art.326 c.p., in particolare, è stata oggetto di riforma ad opera della legge 86 del 1990 che ha introdotto nel tessuto normativo l'autonoma figura criminosa dell'utilizzazione dei segreti d'ufficio da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, sottraendola al controverso ambito applicativo dell'abuso innominato. L'art. 326 c.p. prevede un reato proprio del pubblico ufficiale (o dell'incaricato di un pubblico servizio), secondo lo schema della norma a più fattispecie (rivelazione, agevolazione colposa, utilizzazione), ed è posto a tutela dell'interesse alla segretezza delle notizie d'ufficio in funzione del buon andamento della pubblica amministrazione. La nozione di segretezza della notizie dev'essere intesa in senso ampio, comprendendo qualsiasi informazione in possesso dell'amministrazione, sia in forma orale che trascritta su un documento od un supporto informatico. La norma tutela la segretezza anche di segreti che non sono propri della p.a.: ciò che conta ai fini dell'integrazione del reato è la mera obiettiva disponibilità della notizia da parte dell'amministrazione, mentre non è necessario che sussista un collegamento tra il dato e l'esercizio della funzione pubblica. La fonte del dovere di segretezza può essere rinvenuta in leggi, regolamenti o un ordini legittimi dell'autorità. Secondo l'orientamento prevalente, la segretezza della notizia costituisce un presupposto del reato di cui all'art. 326 c.p., il cui accertamento deve essere svolto secondo precisi riferimenti normativi. Peraltro, le Sezioni Unite hanno chiarito che il delitto di rivelazione di segreti d'ufficio ha natura di reato di pericolo concreto, sicché la rivelazione del segreto è punibile non in sé per sé, ma solo in quanto suscettibile di produrre nocumento a mezzo della notizia da tenere segreta (Cass. pen., Sez. Un., 27 ottobre 2011, n. 4694).

G  Un primo quesito riguarda innanzitutto la segretezza delle informazioni: devono essere ritenute tali non soltanto le informazioni sottratte all'accesso, ma anche quelle che, nell'ambito delle notizie accessibili, non possono essere diffuse a persone che non hanno il diritto di riceverle. Al riguardo, appare chiaro che le informazioni riservate contenute nei documenti pre-gara non possono essere accessibili ai partecipanti della gara stessa e dunque siano da intendersi segrete. Più in particolare, con riferimento al caso in esame, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che integra il reato di rivelazione di segreti d'ufficio la comunicazione anticipata ad un concorrente di informazioni riservate, quali sono quelle relative al contenuto di un bando di gara d'appalto per l'affidamento dei servizi (Cass. pen., sez. VI, 4 dicembre 2015, n. 4896). Per quanto riguarda poi il concorso dell'extraneus nel reato proprio, esso si ritiene ammesso ai sensi dell'art. 110 c.p., e non dell'art. 117 c.p., a condizione che questi, consapevole della qualifica soggettiva dell'intraneus, abbia istigato o indotto il pubblico ufficiale a porre in essere la rivelazione.

D3  Con riferimento alla seconda questione, si osserva quanto segue. La fattispecie dell'art. 353-bis c.p. è stata introdotta dalla L. 13 agosto 2010, n. 136, che fra l'altro ha aumentato la pena per il reato di turbata libertà degli incanti. La norma, che prevede peraltro una clausola di sussidiarietà, mira a colmare un vuoto di tutela dell'art. 353 c.p., che presuppone l'inizio della procedura di gara: per converso, l'art. 353-bis c.p. - pur sanzionando il medesimo tipo di condotte finalizzate ad alterare il risultato finale della scelta del contraente - si pone a tutela della fase antecedente al bando di gara. La condotta consiste dunque nel turbare il procedimento di definizione del contenuto del bando di gara «o di altro atto equipollente» per il condizionamento della scelta del (futuro) contraente. Si ritiene che entrambi i reati abbiano natura plurioffensiva: da un lato, essi tutelano l'interesse della pubblica amministrazione alla regolarità delle proprie gare e, dall'altro, l'interesse della parti private al rispetto delle regole delle procedure di affidamento e dunque, in ultima analisi, alla libertà di competizione e concorrenza.

D3/G  Si deve dunque risolvere il concorso apparente di norme fra l'art. 353 e l'art. 353-bis c.p.: secondo la giurisprudenza più recente, i comportamenti manipolatori che incidono sulla formazione di un bando di gara poi effettivamente adottato integrano il reato di cui all'art. 353 c.p., non trovando applicazione l'art. 353-bis c.p.: in quest'ultima fattispecie incriminatrice - che prevede fra l'altro una clausola di sussidiarietà - rientrano soltanto le condotte manipolatorie del procedimento non seguite dalla emissione del bando e quelle di manipolazione dell'iter procedurale che non abbiano, tuttavia, influenzato la legittimità del bando poi adottato (Cass. pen., sez. VI, 26 gennaio 2016, n. 6259). Nel caso di specie, si è poi verificata una vera e proprio «collusione» fra Tizio e Mevio, con ciò intendendosi ogni forma di accordo clandestino intercorrente tra soggetti privati comunque interessati alla gara o tra questi e i preposti alla gara, diretto a influire sul normale svolgimento delle offerte. Infine, va sottolineato che i delitti di turbata libertà degli incanti e di rivelazione di segreti d'ufficio possono concorrere ex art. 81, co. 1 c.p., in quanto le due norme non si pongono in rapporto di specialità, essendo fra l'altro poste a tutela di due beni giuridici differenti (la regolarità delle gare e la segretezza delle informazioni).

F  Nel caso in esame, Tizio, da un lato, ha istigato l'amico di vecchia data Mevio, preposto alla predisposizione del bando di gara, alla consegna indebita di documenti pre-gara, concorrendo quindi con lo stesso nel reato proprio di rivelazione di segreti d'ufficio; dall'altro lato, ha fornito a Mevio dei propri appunti manoscritti concernenti la fase preparatoria della gara, ottenendo la modifica delle condizioni del bando in senso favorevole alla società Alfa da lui rappresentata.

C  In conclusione, Tizio e Mevio risponderanno in concorso ex art. 110 c.p. del reato di reato di rivelazione di segreti d'ufficio ex art. 326 c.p.: Mevio nella sua qualità di pubblico ufficiale e Tizio quale extraneus istigatore della condotta dell'intraneus. Inoltre, Tizio risponderà del delitto di cui all'art. 353 c.p., avendo egli turbato la gara relativa all'appalto del servizio di somministrazione pasti all'interno dell'azienda ospedaliera; per converso, Mevio risponderà invece dell'ipotesi aggravata dell'art. 353, co. 2, c.p. (circostanza aggravante ad effetto speciale), in quanto persona preposta dalla legge all'incanto.



L'altra faccia della luna (Stesura alternativa - Atto II)

Incipit Il caso in esame impone la preliminare disamina del concorso apparente di norme, con particolare riferimento al rapporto tra l'art.326 e gli articoli 353 e 353bis c.p.

D1 Si ha concorso apparente di norme quando più norme sembrano disciplinare un medesimo fatto, ma una sola di esse è applicabile al caso concreto o, altrimenti detto, quando una stessa condotta, attiva o omissiva, è suscettibile di essere ricondotta nel novero di più norme penali incriminatrici. La disciplina rappresenta un'applicazione del principio del ne bis in idem sostanziale, a sua volta predicato dei principi del giusto processo, di cui all'art.111 della Costituzione, e della funzione di risocializzazione della pena dichiarata dall'art.27 Cost. Si definisce ne bis in idem sostanziale il divieto di irrogare ad un soggetto una duplice sanzione per lo stesso fatto.  Nelle fonti sovranazionali, il principio trova esplicito riconoscimento nell'art. 4 Prot. 7 CEDU e nell'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. Il codice penale italiano, all'art.15, adotta il criterio di specialità quale metro risolutivo di un concorso apparente di norme. L'operatività del rapporto di specialità presuppone che una norma contenga tutti gli elementi costitutivi di un'altra disposizione generale, con l'aggiunta di in contenuto ulteriore, c.d. specializzante, sul presupposto indefettibile che ambo le prescrizioni regolino la stessa materia e abbiano identità strutturale. L'art. 15 c.p. stabilisce la prevalenza della legge speciale rispetto a quella generale che regoli la stessa materia. Speculare è la previsione dell'art.9, l. n.689 del 1981, che adotta lo stesso criterio per disciplinare il concorso tra norma penale e violazione amministrativa. In giurisprudenza è largamente dominante il ricorso ad un criterio di tipo logico-formale, incentrato su un confronto strutturale tra le fattispecie. Il rapporto di specialità può descriversi come un rapporto di continenza strutturale fra due norme, nel quale tutti gli elementi costitutivi di una fattispecie generale sono contenuti in un'altra fattispecie, la quale presenta a sua volta uno o più elementi specializzanti, per aggiunta o specificazione. Oltre al principio di specialità, potranno rilevare il criterio della sussidiarietà espressa e le ipotesi di assorbimento riconducibili alla struttura del reato complesso ex art.84 c.p. Il criterio di assorbimento o consunzione si fonda sul principio del ne bis in idem sostanziale, secondo il quale, anche al di fuori dei casi di vera e propria specialità, sussiste un rapporto di valore tra le norme incriminatrici, in base al quale il disvalore del fatto riconducibile ad un'unica condotta è tutto compreso nella norma che prevede il reato più grave, secondo una valutazione normativa-sociale. Diverso è il criterio della sussidiarietà, che postula un rapporto di complementarietà tale per cui la norma sussidiaria possa trovare applicazione solo quando non sia applicabile quella primaria.

La sussidiarietà si dice "espressa" quando la stessa norma sussidiaria contenga una clausola di riserva del tipo "salvo che il fatto non costituisca un più grave reato" e "tacita" quando il rapporto in questione va enucleato in via di interpretazione.

Nel caso in esame occorre stabilire preliminarmente se trovi applicazione l'art. 353 o l'art. 353-bis c.p. e, in secondo luogo, se la norma ritenuta applicabile possa concorrere con il delitto di rivelazione di segreti d'ufficio.

L'art. 326 c.p. prevede un reato proprio del pubblico ufficiale (o dell'incaricato di un pubblico servizio), secondo lo schema della norma a più fattispecie (rivelazione, agevolazione colposa, utilizzazione), ed è posto a tutela dell'interesse alla segretezza delle notizie d'ufficio in funzione del buon andamento della pubblica amministrazione. La nozione di segretezza della notizie dev'essere intesa in senso ampio, comprendendo qualsiasi informazione in possesso dell'amministrazione, sia in forma orale che trascritta su un documento od un supporto informatico. La norma tutela la segretezza anche di segreti che non sono propri della p.a.: ciò che conta ai fini dell'integrazione del reato è la mera obiettiva disponibilità della notizia da parte dell'amministrazione, mentre non è necessario che sussista un collegamento tra il dato e l'esercizio della funzione pubblica. La fonte del dovere di segretezza può essere rinvenuta in leggi, regolamenti o un ordini legittimi dell'autorità. Secondo l'orientamento prevalente, la segretezza della notizia costituisce un presupposto del reato di cui all'art. 326 c.p., il cui accertamento deve essere svolto secondo precisi riferimenti normativi. Peraltro, le Sezioni Unite hanno chiarito che il delitto di rivelazione di segreti d'ufficio ha natura di reato di pericolo concreto, sicché la rivelazione del segreto è punibile non in sé per sé, ma solo in quanto suscettibile di produrre nocumento a mezzo della notizia da tenere segreta (Cass. pen., Sez. Un., 27 ottobre 2011, n. 4694).

G  Un primo quesito riguarda innanzitutto la segretezza delle informazioni: devono essere ritenute tali non soltanto le informazioni sottratte all'accesso, ma anche quelle che, nell'ambito delle notizie accessibili, non possono essere diffuse a persone che non hanno il diritto di riceverle. Al riguardo, appare chiaro che le informazioni riservate contenute nei documenti pre-gara non possono essere accessibili ai partecipanti della gara stessa e dunque siano da intendersi segrete. Più in particolare, con riferimento al caso in esame, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che integra il reato di rivelazione di segreti d'ufficio la comunicazione anticipata ad un concorrente di informazioni riservate, quali sono quelle relative al contenuto di un bando di gara d'appalto per l'affidamento dei servizi (Cass. pen., sez. VI, 4 dicembre 2015, n. 4896). Per quanto riguarda poi il concorso dell'extraneus nel reato proprio, esso si ritiene ammesso ai sensi dell'art. 110 c.p., e non dell'art. 117 c.p., a condizione che questi, consapevole della qualifica soggettiva dell'intraneus, abbia istigato o indotto il pubblico ufficiale a porre in essere la rivelazione.

D3  Con riferimento alla seconda questione, si osserva quanto segue. La fattispecie dell'art. 353-bis c.p. è stata introdotta dalla L. 13 agosto 2010, n. 136, che fra l'altro ha aumentato la pena per il reato di turbata libertà degli incanti. La norma, che prevede peraltro una clausola di sussidiarietà, mira a colmare un vuoto di tutela dell'art. 353 c.p., che presuppone l'inizio della procedura di gara: per converso, l'art. 353-bis c.p. - pur sanzionando il medesimo tipo di condotte finalizzate ad alterare il risultato finale della scelta del contraente - si pone a tutela della fase antecedente al bando di gara. La condotta consiste dunque nel turbare il procedimento di definizione del contenuto del bando di gara «o di altro atto equipollente» per il condizionamento della scelta del (futuro) contraente. Si ritiene che entrambi i reati abbiano natura plurioffensiva: da un lato, essi tutelano l'interesse della pubblica amministrazione alla regolarità delle proprie gare e, dall'altro, l'interesse della parti private al rispetto delle regole delle procedure di affidamento e dunque, in ultima analisi, alla libertà di competizione e concorrenza.

D3/G  Si deve dunque risolvere il concorso apparente di norme fra l'art. 353 e l'art. 353-bis c.p.: secondo la giurisprudenza più recente, i comportamenti manipolatori che incidono sulla formazione di un bando di gara poi effettivamente adottato integrano il reato di cui all'art. 353 c.p., non trovando applicazione l'art. 353-bis c.p.: in quest'ultima fattispecie incriminatrice - che prevede fra l'altro una clausola di sussidiarietà - rientrano soltanto le condotte manipolatorie del procedimento non seguite dalla emissione del bando e quelle di manipolazione dell'iter procedurale che non abbiano, tuttavia, influenzato la legittimità del bando poi adottato (Cass. pen., sez. VI, 26 gennaio 2016, n. 6259). Nel caso di specie, si è poi verificata una vera e proprio «collusione» fra Tizio e Mevio, con ciò intendendosi ogni forma di accordo clandestino intercorrente tra soggetti privati comunque interessati alla gara o tra questi e i preposti alla gara, diretto a influire sul normale svolgimento delle offerte. Infine, va sottolineato che i delitti di turbata libertà degli incanti e di rivelazione di segreti d'ufficio possono concorrere ex art. 81, co. 1 c.p., in quanto le due norme non si pongono in rapporto di specialità, essendo fra l'altro poste a tutela di due beni giuridici differenti (la regolarità delle gare e la segretezza delle informazioni).

F  Nel caso in esame, Tizio, da un lato, ha istigato l'amico di vecchia data Mevio, preposto alla predisposizione del bando di gara, alla consegna indebita di documenti pre-gara, concorrendo quindi con lo stesso nel reato proprio di rivelazione di segreti d'ufficio; dall'altro lato, ha fornito a Mevio dei propri appunti manoscritti concernenti la fase preparatoria della gara, ottenendo la modifica delle condizioni del bando in senso favorevole alla società Alfa da lui rappresentata.

C  In conclusione, Tizio e Mevio risponderanno in concorso ex art. 110 c.p. del reato di reato di rivelazione di segreti d'ufficio ex art. 326 c.p.: Mevio nella sua qualità di pubblico ufficiale e Tizio quale extraneus istigatore della condotta dell'intraneus. Inoltre, Tizio risponderà del delitto di cui all'art. 353 c.p., avendo egli turbato la gara relativa all'appalto del servizio di somministrazione pasti all'interno dell'azienda ospedaliera; per converso, Mevio risponderà invece dell'ipotesi aggravata dell'art. 353, co. 2, c.p. (circostanza aggravante ad effetto speciale), in quanto persona preposta dalla legge all'incanto.

Una poltrona per due (Stesura alternativa, atto III)

Incipit La corretta soluzione della questione sottoposta implica una preventiva disamina del complesso tema del concorso di persone nel reato e, in particolare, del concorso dell'extraneus nel reato proprio.

Incipit. Il caso in esame impone preliminarmente una disamina sul delitto di rivelazione di segreto d'ufficio previsto dall'art. 326 c.p. e sulla possibilità del concorso dell'extraneus nel reato proprio del pubblico ufficiale.

D1  L'art. 110 c.p. svolge una funzione incriminatrice, volta a rendere punibili dei comportamenti che, in quanto atipici rispetto alle fattispecie monosoggettive di parte speciale, non sarebbero stati punibili; ed una funzione di disciplina, nel senso che vengono sanzionati comportamenti che potrebbero essere già di per sé tipici, ma qualificati dalla presenza di una pluralità di soggetti.

Ai fini della punibilità concorsuale dei soggetti coinvolti, non occorre più che la condotta offensiva del bene giuridico sia posta in essere dall'autore immediato, al quale accede il contributo del partecipe, bensì risulta necessario e sufficiente che ciascuna delle condotte degli agenti, anche se individualmente consentite, abbiano portato alla realizzazione di un evento penalmente sanzionato. Pertanto, la combinazione degli articoli 110 ss. c.p. con la norma incriminatrice di parte speciale dà vita ad una nuova tipicità. Quest'ultima si caratterizza, sul piano oggettivo, per la pluralità di agenti ciascuno dei quali fornisce un contributo rilevante alla realizzazione del fatto; sul piano soggettivo, nella consapevolezza di cooperare con altri alla realizzazione del reato.

In questa sede preme evidenziare una diversa tipologia di concorso di persone, ovverosia l'ipotesi afferente al mutamento del titolo del reato per taluno dei concorrenti di cui all'art. 117 c.p.

Pare doverosa una premessa in ordine alla tripartizione, di matrice dottrinale, della nozione di reato proprio, diretta a suddividere tale categoria di reati in: esclusivi (o "di mano propria", ove il reato può essere commesso solo dal soggetto qualificato), semiesclusivi (ove in presenza della qualifica si trasforma il nomen iuris della responsabilità), non esclusivi (cioè fatti che senza la qualifica costituirebbero illeciti extrapenali, ovvero sarebbero comunque offensivi di altrui interessi). Il vigente diritto positivo, derogando, parzialmente, ai principi generali (si pensi all'art. 47, comma 3, c.p.), estende la punibilità al concorrente sprovvisto della qualifica, determinando il mutamento del titolo di reato (cioè del nomen iuris del reato) per l'estraneo concorrente, anche laddove quest'ultimo non sia a conoscenza della qualifica dell'intraneus. Pertanto, ai fini dell'applicazione dell'art. 117 c.p., è necessario il possesso della qualifica soggettiva da parte di un concorrente, idoneo a generare il mutamento del titolo di reato (senza di essa, il fatto integrerebbe comunque un reato comune); la coscienza e volontà di concorre con altri in un fatto di reato, cioè che sussista il dolo rispetto al reato comune; il dolo del reato proprio, cioè che l'intraneus sia a conoscenza della qualifica. Diversamente, ove l'extraneus sia a conoscenza della qualifica soggettiva e - ad es. - istighi o comunque induca l'intraneus a commettere il reato proprio previsto dalla norma, troveranno applicazione i principi generali previsti in materia di concorso ex art. 110 c.p.

f  Nel caso di specie, Tizio, rappresentante della società Alfa, ha contattato l'amico di vecchia data Mevio, preposto alla predisposizione del bando di gara e dunque pubblico ufficiale, per farsi consegnare indebitamente i documenti pre-gara; inoltre, da indagini successive è emerso che Tizio aveva dato indicazioni a Mevio per modificare le condizioni del bando in senso favorevole alla propria società (circostanza poi verificatasi). Occorre pertanto stabilire se Tizio, privo della qualifica soggettiva, possa concorrere con il pubblico ufficiale nella rivelazione di segreti d'ufficio; secondariamente, si dovrà verificare a quale concreta fattispecie ricondurre la turbativa della gara poi effettivamente avvenuta.

D2  L'art. 326 c.p. prevede un reato proprio del pubblico ufficiale (o dell'incaricato di un pubblico servizio), secondo lo schema della norma a più fattispecie (rivelazione, agevolazione colposa, utilizzazione), ed è posto a tutela dell'interesse alla segretezza delle notizie d'ufficio in funzione del buon andamento della pubblica amministrazione. La nozione di segretezza della notizie dev'essere intesa in senso ampio, comprendendo qualsiasi informazione in possesso dell'amministrazione, sia in forma orale che trascritta su un documento od un supporto informatico. La norma tutela la segretezza anche di segreti che non sono propri della p.a.: ciò che conta ai fini dell'integrazione del reato è la mera obiettiva disponibilità della notizia da parte dell'amministrazione, mentre non è necessario che sussista un collegamento tra il dato e l'esercizio della funzione pubblica. La fonte del dovere di segretezza può essere rinvenuta in leggi, regolamenti o un ordini legittimi dell'autorità. Secondo l'orientamento prevalente, la segretezza della notizia costituisce un presupposto del reato di cui all'art. 326 c.p., il cui accertamento deve essere svolto secondo precisi riferimenti normativi. Peraltro, le Sezioni Unite hanno chiarito che il delitto di rivelazione di segreti d'ufficio ha natura di reato di pericolo concreto, sicché la rivelazione del segreto è punibile non in sé per sé, ma solo in quanto suscettibile di produrre nocumento a mezzo della notizia da tenere segreta (Cass. pen., Sez. Un., 27 ottobre 2011, n. 4694).

D2/G  Un primo quesito riguarda innanzitutto la segretezza delle informazioni: devono essere ritenute tali non soltanto le informazioni sottratte all'accesso, ma anche quelle che, nell'ambito delle notizie accessibili, non possono essere diffuse a persone che non hanno il diritto di riceverle. Al riguardo, appare chiaro che le informazioni riservate contenute nei documenti pre-gara non possono essere accessibili ai partecipanti della gara stessa e dunque siano da intendersi segrete. Più in particolare, con riferimento al caso in esame, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che integra il reato di rivelazione di segreti d'ufficio la comunicazione anticipata ad un concorrente di informazioni riservate, quali sono quelle relative al contenuto di un bando di gara d'appalto per l'affidamento dei servizi (Cass. pen., sez. VI, 4 dicembre 2015, n. 4896). Per quanto riguarda poi il concorso dell'extraneus nel reato proprio, esso si ritiene ammesso ai sensi dell'art. 110 c.p., e non dell'art. 117 c.p., a condizione che questi, consapevole della qualifica soggettiva dell'intraneus, abbia istigato o indotto il pubblico ufficiale a porre in essere la rivelazione. Innanzitutto, si osserva che la conoscenza della qualifica soggettiva esclude già di per sé la ricorrenza dell'ipotesi del concorso anomalo dell'art. 117 c.p. (la norma risulterebbe altrimenti inutiliter data, essendo pacificamente ammesso il concorso ex art. 110 c.p. dell'estraneo nel reato proprio). E così, là dove il privato sia a conoscenza della qualifica e soprattutto sia a conoscenza del fatto che soltanto il pubblico ufficiale, in quanto tale, si trovi in possesso di informazioni riservate (peraltro presidiate dai doveri di segretezza inerenti alle sue funzioni) dovranno trovare applicazione i principi generali in materia di concorso di persone nel reato.

D3  Con riferimento alla seconda questione, si osserva quanto segue. La fattispecie dell'art. 353-bis c.p. è stata introdotta dalla L. 13 agosto 2010, n. 136, che fra l'altro ha aumentato la pena per il reato di turbata libertà degli incanti. La norma, che prevede peraltro una clausola di sussidiarietà, mira a colmare un vuoto di tutela dell'art. 353 c.p., che presuppone l'inizio della procedura di gara: per converso, l'art. 353-bis c.p. - pur sanzionando il medesimo tipo di condotte finalizzate ad alterare il risultato finale della scelta del contraente - si pone a tutela della fase antecedente al bando di gara. La condotta consiste dunque nel turbare il procedimento di definizione del contenuto del bando di gara «o di altro atto equipollente» per il condizionamento della scelta del (futuro) contraente. Si ritiene che entrambi i reati abbiano natura plurioffensiva: da un lato, essi tutelano l'interesse della pubblica amministrazione alla regolarità delle proprie gare e, dall'altro, l'interesse della parti private al rispetto delle regole delle procedure di affidamento e dunque, in ultima analisi, alla libertà di competizione e concorrenza.

D3/G  Si deve dunque risolvere il concorso apparente di norme fra l'art. 353 e l'art. 353-bis c.p.: secondo la giurisprudenza più recente, i comportamenti manipolatori che incidono sulla formazione di un bando di gara poi effettivamente adottato integrano il reato di cui all'art. 353 c.p., non trovando applicazione l'art. 353-bis c.p.: in quest'ultima fattispecie incriminatrice - che prevede fra l'altro una clausola di sussidiarietà - rientrano soltanto le condotte manipolatorie del procedimento non seguite dalla emissione del bando e quelle di manipolazione dell'iter procedurale che non abbiano, tuttavia, influenzato la legittimità del bando poi adottato (Cass. pen., sez. VI, 26 gennaio 2016, n. 6259). Nel caso di specie, si è poi verificata una vera e proprio «collusione» fra Tizio e Mevio, con ciò intendendosi ogni forma di accordo clandestino intercorrente tra soggetti privati comunque interessati alla gara o tra questi e i preposti alla gara, diretto a influire sul normale svolgimento delle offerte. Infine, va sottolineato che i delitti di turbata libertà degli incanti e di rivelazione di segreti d'ufficio possono concorrere ex art. 81, co. 1 c.p., in quanto le due norme non si pongono in rapporto di specialità, essendo fra l'altro poste a tutela di due beni giuridici differenti (la regolarità delle gare e la segretezza delle informazioni).

F  Nel caso in esame, Tizio, da un lato, ha istigato l'amico di vecchia data Mevio, preposto alla predisposizione del bando di gara, alla consegna indebita di documenti pre-gara, concorrendo quindi con lo stesso nel reato proprio di rivelazione di segreti d'ufficio; dall'altro lato, ha fornito a Mevio dei propri appunti manoscritti concernenti la fase preparatoria della gara, ottenendo la modifica delle condizioni del bando in senso favorevole alla società Alfa da lui rappresentata.

C  In conclusione, Tizio e Mevio risponderanno in concorso ex art. 110 c.p. del reato di reato di rivelazione di segreti d'ufficio ex art. 326 c.p.: Mevio nella sua qualità di pubblico ufficiale e Tizio quale extraneus istigatore della condotta dell'intraneus. Inoltre, Tizio risponderà del delitto di cui all'art. 353 c.p., avendo egli turbato la gara relativa all'appalto del servizio di somministrazione pasti all'interno dell'azienda ospedaliera; per converso, Mevio risponderà invece dell'ipotesi aggravata dell'art. 353, co. 2, c.p. (circostanza aggravante ad effetto speciale), in quanto persona preposta dalla legge all'incanto.
Rispondi

Da: Ravenerik  14/12/2016 18:17:19
E perché Tizio non vede applicata l'aggravante di cui al secondo comma? È una aggravante relativa alla qualità della persona, applicabile sol che la si conosca (e qui è fuori di dubbio che Tizio sappia che Mevio è pubblico ufficiale...)
Rispondi

Da: fulvio1214/12/2016 18:31:10
ma sia 353 che 353 bis per la seconda traccia?
Rispondi

Da: Ravenerik  14/12/2016 18:33:40
No. Il bis si applica se la gara non si tiene.
Rispondi

Da: Yalla14/12/2016 18:51:49
Tizio e Mevio risponderanno in concorso ex art 110 dei reati ex art 353 comma 2 e 326 cp
Rispondi

Da: Berne  14/12/2016 18:54:00
Il 90% dei post pubblicati fa rabbrividire...se uno non è certo e capace di argomentare quello che scrive dovrebbe astenersi. Salvo i franchi ignoranti (quelli che lo sono ma non lo sanno) che arrivano a dire che pur in difetto del dolo del reato di cui all'art. 483 c.p., l'agente può essere condannato ai sensi del 48, 479 c.p. per il falso commesso per induzione dal pubblico ufficiale.
Rispondi

Da: uhuhsoihsoi14/12/2016 19:00:09
notizie dell'orario di consegna di Roma?
Rispondi

Da: Lasoluzione 14/12/2016 19:03:03
Sembri il tuttulogo sapientone! Non sai neanche che i due reati sono indipendenti l'uno dall'altro e che il venire meno del 483 ( peraltro nemmeno menzionato nella traccia) non fa venire meno di certo il reato 48 correlato al 479! Ahahahahahah
Rispondi

Da: bob14/12/2016 19:32:43
secondo me Tizio non risponde in concorso dell'art. 326 c.p.  perché il suo comportamento è già individuabile nella norma di cui all'art.353 co.1...
Rispondi

Da: Berne  14/12/2016 19:33:20
La SOLUZIONE (sbagliata), ho argomentato per esteso e reiteratamente che il falso ideologico del privato in atto pubblico (art. 483) e quello, per induzione, materialmente commesso dal pubblico ufficiale (art. 479) ma ascrivibile all'inganno (art. 48) del privato sono intimamente connessi, come attesta tra l'altro la riconduzione della vicenda alla figura, di matrice tedesca, dell'autore mediato. Se l'autore mediato, alias il privato, non vuole l'offesa di cui all'art. 483 cp, come può voler ingannare il pubblico ufficiale che forma l'atto in cui confluisce la dichiarazione del privato non intenzionalmente falsa?? Non mi pare di essere stato sconfessato, argomentatamente, nel merito da chicchessia.
Il titolo di tuttologo lo lascio ad altri, io sono un umile studioso del diritto penale, con filtri teoretici che mi consentono di non sdraiarmi, inerme e supino, ai piedi dell'ultima giurisprudenza venuta. Intelligenti pauca.
Rispondi

Da: Lasoluzione 14/12/2016 19:42:39
Avrebbero dovuto consegnare a te il nobel non a Bob Dylan! CLAP CLAP "umile" (e mica tanto viste le offese) studioso del diritto penale!
Rispondi

Da: Tim tak 14/12/2016 19:45:24
Per la prima traccia faccio osservare che c'è un contrasto in giurisprudenza. Infatti se la Cassazione a Sezioni Unite nel 2007 e nel 2003 è  intervenuta risolvendo il conflitto, prevedendo la ricorrenza dell'ipotesi delittuoso ex art.  48 e 479 c.p., nel 2015 e 2014 la Cassazione a Sezione semplice è  intervenuta mettendo di nuovo in discussione l'assunto appena menzionato (a Sezioni Unite), ribadendo la sussistenza dell'art. 483 c.p. La differenza non è  di mera scuola, tenuto conto dei limiti di pena ex art. 479 c.p. ed ex art. 483 c.p. Pertanto, per il difensore di TIZIO, tale circostanza non  è affatto irrilevante. Se ci avete fatto caso la traccia del parere afferma responsabilità di Tizio secondo la cosiddetta autorità mediata, mentre la sentenza  di riferimento  (risolutiva del caso di specie) afferma responsabilità penale ex art. 483 c.p. Tanto premesso,  il difensore di Tizio potrebbe impostare la propria linea difensiva sulla tesi giurisprudenziale di favore  e, comunque, sulla mancanza di dolo da parte del proprio assistito. Inoltre,  e in subordine, accertata la responsabilità di Tizio ex art. 483 c.p. si potrebbe verificare la possibilità di mancata punibilità di Tizio per la particolare tenuita' del fatto, oltre a chiedere il riconoscimento di ogni possibile beneficio di legge per il proprio assistito. Un parere che trae in inganno e che ha richiesto agli esaminandi che hanno scelto tale parere di rilevare tale contrasto nella bolgia delle aule dove ha avuto luogo la prova d'esame.
Rispondi

Da: Berne  14/12/2016 19:50:27
Capisco la frustrazione/SOLUZIONE testimoniata dall'assordante silenzio in ordine alle argomentazioni in diritto per patrocinare le proprie tesi. Prendere atto dei propri limiti è la premessa per migliorare. Chi pensa di essere arrivato per aver vinto un concorso o essersi abilitato diventa pericoloso per se stesso e per altri. Per questa ragione sono un umile studioso, per non danneggiare me stesso e gli altri. Comunque apprezzo e ringrazio per gli applausi, fanno sempre piacere😉.
Rispondi

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