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tracce esame avvocato 2008
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Da: NA17/12/2008 13:24:16
MA NAPOLI VIENE CORRETTA DA MILANO?

Da: Low17/12/2008 13:24:52
Raga, trovato nulla?Tracce di penale neanche una traccia?

Da: SCUSATE L'INTERRUZZIONE!!!17/12/2008 13:30:45
QUALCUNO SAPREBBE DIRMI SALERNO DOVE VIENE CORRETTA?????????????

Da: NA17/12/2008 13:31:36
MA QUA NESSUNO SA NIENTE O NN VOLETE RISPONDERE???...NAPOLI DA CHI VIENE CORRETTA??

Da: ciccio17/12/2008 13:32:24
ci sono le tracce di penale

Da: griso17/12/2008 13:33:19
ale qual'è la sentenza giusta per la prima traccia???

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Da: alfio17/12/2008 13:34:11
http://www.miolegale.it/notizia/319-Esame-avvocato-2008-abbinamento-sedi-Corte-Appello.html

vedi se posso esserti stato utile.ciao

Da: floriana17/12/2008 13:38:12
sapete dove verrà corretta Bari?

Da: Low17/12/2008 13:38:16
Raga, trovato nulla?Tracce di penale neanche una traccia?

Da: NA17/12/2008 13:38:36
alfio grazie ma c sn gli abbinamenti dell'anno scorso e nn quelli d quest'anno

Da: Low17/12/2008 13:39:32
Raga,tracce su www.praticante.it, da zanzifer.

Da: II traccia: utile?17/12/2008 13:40:14
In tema di reato colposo, per poter addebitare un evento a un determinato soggetto occorre accertare non solo la sussistenza del "nesso causale materiale" tra la condotta (attiva od omissiva) dell'agente e l'evento, ma anche la cosiddetta "causalità della colpa", rispetto alla quale assumono un ruolo fondante la prevedibilità e l'evitabilità del fatto. Infatti, la responsabilità colposa non si estende a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione della norma, ma è limitata ai risultati che la norma stessa mira a prevenire. Compito del giudice, in proposito, per poter formalizzare l'addebito, è quello di identificare una norma specifica, avente natura cautelare, posta a presidio della verificazione di un altrettanto specifico evento, sulla base delle conoscenze che, all'epoca della creazione della regola, consentivano di porre la relazione causale tra condotte e risultati temuti. Per l'effetto, ai fini dell'addebito, l'accadimento verificatosi deve essere proprio tra quelli che la norma di condotta tendeva a evitare, realizzandosi così la cosiddetta "concretizzazione del rischio". Peraltro, affermare, come afferma l'art. 43 c.p., che, per aversi colpa, l'evento deve essere stato causato da una condotta soggettivamente riprovevole, implica anche che l'indicato nesso eziologico non si configura quando una condotta appropriata (il cosiddetto comportamento alternativo lecito) non avrebbe comunque evitato l'evento: si può quindi formalizzare l'addebito solo quando il comportamento diligente avrebbe certamente evitato l'esito antigiuridico o anche solo avrebbe determinato apprezzabili, significative probabilità di scongiurare il danno.

Cassazione penale , sez. IV, 14 febbraio 2008 , n. 19512

Da: Salvo17/12/2008 13:53:28
SOLUZIONE??????????????????

Da: lisa17/12/2008 14:12:34
scusa ma gia sai dove trovasre le soluzioni?

Da: avvocato 7817/12/2008 14:22:20
ragazzi, in relazione alla prima traccia, posso dirvi che è davvero facile, c'è materiale su cui basarsi per scrivere un buon parere... vedo che vi siete già confrontati in merito.
ma relativamente alla seconda traccia, ho girato in lungo e in largo cercando una sentenza della cassaziones che sia ALMENO SOMIGLIANTE al caso narrato nella traccia   (dato che ho l'abbonamento e posso vedere tutte le sentenze della Corte).......ma niente di niente.
se trovo qualcosa vi scrivo subito.
Certo la seconda traccia è proprio bella.
ciao a tutti

Da: Salvo17/12/2008 14:29:45
Raga pubblicate la soluzione per la seconda traccia di penale? Altrimenti la mia e-mail è: adesga@libero.it

Da: scorpio7717/12/2008 14:36:56
devo aiutare mia moglie per la 1 traccia esame penale , posso avere la soluzione aiutoo

Da: puzzetta17/12/2008 14:39:14
avvocato 78 ci sta secondo te questa sentenza?
In tema di reato colposo, per poter addebitare un evento a un determinato soggetto occorre accertare non solo la sussistenza del "nesso causale materiale" tra la condotta (attiva od omissiva) dell'agente e l'evento, ma anche la cosiddetta "causalità della colpa", rispetto alla quale assumono un ruolo fondante la prevedibilità e l'evitabilità del fatto. Infatti, la responsabilità colposa non si estende a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione della norma, ma è limitata ai risultati che la norma stessa mira a prevenire. Compito del giudice, in proposito, per poter formalizzare l'addebito, è quello di identificare una norma specifica, avente natura cautelare, posta a presidio della verificazione di un altrettanto specifico evento, sulla base delle conoscenze che, all'epoca della creazione della regola, consentivano di porre la relazione causale tra condotte e risultati temuti. Per l'effetto, ai fini dell'addebito, l'accadimento verificatosi deve essere proprio tra quelli che la norma di condotta tendeva a evitare, realizzandosi così la cosiddetta "concretizzazione del rischio". Peraltro, affermare, come afferma l'art. 43 c.p., che, per aversi colpa, l'evento deve essere stato causato da una condotta soggettivamente riprovevole, implica anche che l'indicato nesso eziologico non si configura quando una condotta appropriata (il cosiddetto comportamento alternativo lecito) non avrebbe comunque evitato l'evento: si può quindi formalizzare l'addebito solo quando il comportamento diligente avrebbe certamente evitato l'esito antigiuridico o anche solo avrebbe determinato apprezzabili, significative probabilità di scongiurare il danno.

Cassazione penale , sez. IV, 14 febbraio 2008 , n. 19512

Da: emi17/12/2008 14:39:54
non serve a nulla trovare o no la soluzione... la cosa più importante per il superamento dell'esame è una buona argomentazione giuridica!

Da: puzzetta17/12/2008 14:40:27
scorpio 77 come faresti ad aiutarla?e cmq la sntenza è del 2008 di sicuro sui codici c'è

Da: stefano17/12/2008 14:45:46
parere penale (prima traccia)
SVOLGIMENTO


Il caso in esame presuppone una preventiva disamina del reato di diffamazione.
Lâ ART 595 incrimina chi, al di fuori dei casi indicati dal precedente art. 594cp (ingiuria), comunicando con più persone offende lâ altrui reputazione.
Oggetto di tutela del delitto di diffamazione è lâ altrui reputazione che la dottrina prevalente intende in senso oggettivo e, cioè, nel significato di stima sociale e considerazione di cui si gode allâ interno di un contesto sociale. A ciò si contrappone lâ onor in senso soggettivo inteso come il âsentimento del proprio valore socialeâ ed è rimesso allâapprezzamento dellâindividuo stesso.
Lâ elemento oggettivo del reato in esame consta di 3 requisiti: 1)lâassenza dellâ offeso; 2)lâ offesa allâ altrui reputazione; 3) la comunicazione con più persone.
Lâ assenza del soggetto passivo al momento dellâ azione criminosa consiste nellâ impossibilità che la persona offesa percepisca direttamente lâ addebito diffamatorio  e possa, quindi, difendersi dallâ addebito o ritorcere lâ offesa. Ciò determina la maggiore gravità del reato in esame.
Il secondo requisito consiste nellâ offesa allâ altrui reputazione intendendo lâ offesa non già nel senso di lesione bensì come probabilità o possibilità che lâ uso di parole o atti destinati a ledere lâ onore provochi una effettiva lesione. La diffam, pertanto, è qualificata come reato di pericolo concreto essendo demandata di volta in volta al giudice lâ interpretazione della portata offensiva delle espressioni usate dallâ agente ed essendo sufficiente che tali espressioni determino anche solo il pericolo di lesione dellâ altrui reputazione.
Infine, per aversi il requisito della comunicazione con più persone occorre che lâ agente renda partecipi dellâ addebito diffamatorio almeno due persone le quali siano state in grado di percepire lâ offesa e di comprenderne il significato.
Il problema da affrontare, da sempre dibattuto in dottrina e giurisprudenza, è quello relativo alla operatività dellâ esimente dellâ esercizio del diritto ex art. 51 cp, sub specie di diritto di cronaca, rispetto alla condotta posta in essere dal giornalista il quale, nellâ esercizio della propria funzione istituzionale, informi la collettività su fatti storici obiettivamente lesivi della reputazione dei terzi, pur se rispondenti a verità.
La giurisprudenza di Cass ha elaborato taluni presupposti della scriminante in oggetto operanti alla stregua di veri e propri limiti interni e lâ assenza anche di uno solo rende in concreto non operativa la causa di giustificazione. La Corte ribadisce come il diritto di cronaca possa scriminare a condizione che ricorrano i tre noti requisiti: la verità della notizia propalata; lâinteresse pubblico alla sua conoscenza; la continenza formale nel momento espositivo.
In primo luogo rileva la verità della notizia, non potendo meritare tutela la diffusione di notizie false o tendenziose, non risultando le stesse utili nellâeconomia del processo di formazione di una valida opinione presso la collettività. Il parametro della verità, utilizzato unitamente agli altri due ai fini della valutazione dellâefficacia scriminante del diritto di cronaca, esprime la necessità della corrispondenza al vero tra fatti accaduti e fatti narrati (verità obiettiva) ovvero, secondo un orientamento più attento alla dimensione operativa della valutazione, la verità legittimamente ritenuta o putativa della notizia, desumibile dalla diligenza impiegata dal professionista nelle ricerche di riscontro della verità dei fatti oggetto di narrazione (in tal senso Cass. pen., sez. un. pen. 30 giugno 1984, la famosa sentenza cosiddetta del âdecalogoâ, con la quale la Cassazione dettò, nel 1984, una serie di regole alle quali il giornalista avrebbe dovuto attenersi nellâesercizio della professione).
In secondo luogo la Corte ha sempre sottolineato il rispetto del parametro della continenza formale da apprezzarsi alla stregua di corretta esposizione dei fatti oggetto di narrazione. Sul punto, lo si ricorda altrettanto velocemente, la giurisprudenza utilizza un differente metro di giudizio quante volte in luogo del diritto di cronaca si invochi quello di critica che, considerata la sua natura parziale ed orientata, non può che manifestarsi in veste meno ossequiosa del dato della continenza. Similmente può dirsi in relazione allâattività satirica, attesa la sua portata deformante dei fatti in una evidente logica caricaturale.
Da ultimo, il dato della cd. pertinenza vale ad isolare in termini scriminanti tutte quelle diffusioni di notizie che rivestano agli occhi della pubblica opinione un certo interesse. Ovviamente non è necessaria una rilevanza indifferenziata nel senso che la questione interessi la collettività indistinta, potendo assumer pregio il riportar notizie, anche in ragione di un eventuale tecnicismo, a favore di ridotto numero di utenti.
Il diritto di cronaca non esime dunque di per sé dal rispetto dell'altrui reputazione e riservatezza, ma giustifica intromissioni nella sfera privata dei cittadini solo quando possano contribuire alla formazione di una pubblica opinione su fatti oggettivamente rilevanti per la collettività.
È vero che anche le vicende private di persone impegnate nella vita politica o sociale possono risultare di interesse pubblico, quando possano desumersene elementi di valutazione della personalità o della moralità di chi debba godere della fiducia dei cittadini. Ma non è certo la semplice curiosità del pubblico a poter giustificare la diffusione di notizie sulla vita privata altrui, perché è necessario che tali notizie rivestano oggettivamente interesse per la collettività.
Eâ di rilevante importanza dare atto della scelta legislativa di evitare, nel rispetto del terzo comma dellâart. 21 Cost., forme preventive di autorizzazione alla stampa. Lâesigenza di garantire un controllo sul merito delle pubblicazioni viene dallâordinamento soddisfatta creando in capo ai soggetti che vedremo una peculiare posizione di garanzia.
Lâart. 3 della legge n. 47 del 1948 pone lâobbligo per ogni stampato periodico di dotarsi e di indicare un direttore ed un vicedirettore responsabile. Costoro lâart. 57 c.p. chiama a rispondere, a titolo colposo, dellâillecito posto in essere in essere mezzo stampa. Per la stampa non periodica, secondo il disposto dellâart. 57 bis c.p., responsabile risulterà lâeditore, a condizione che risulti ignoto o non imputabile lâautore materiale dellâarticolo, o lo stampatore, âse lâeditore non è indicato o non è imputabileâ.
Lâoriginaria versione dellâart. 57 c.p., la cui ammissibilità a fronte del mutato contesto normativo trovava conferma attraverso le parole della Corte costituzionale, imputava sic et simpliciter, in assenza di un quid soggettivo, ai soggetti cennati la responsabilità degli eventi illeciti derivanti dallâattività giornalistica presieduta. 
Il successivo intervento legislativo del 1958 (l. 127) ha innovato la disposizione codicistica subordinandone lâoperare al ricorrere di un dato: lâaddebitabiità colposa del tutto. Solo in presenza di un deficit di attenzioni da parte del direttore responsabile potrà allo stesso rimproverarsi lâillecito commesso dallâautore dellâarticolo.
A dire il vero quanto esposto è stato a lungo oggetto di critica, avendo parte considerevole degli addetti ai lavori inteso riduttivamente lâinciso âa titolo di colpaâ previsto allâart. 57 c.p. come rilevante solamente in chiave meramente sanzionatoria, senza che implicasse un effettivo riscontro del coefficiente psicologico. Più opportunamente, si è ritenuto imprescindibile lâaccertamento in concreto della rimpoverabilità della condotta lesiva, sottolineandosi, dunque, la ricerca necessaria del requisito soggettivo prescritto, secondo le direttive di cui allâart. 43 c.p.
Rebus sic stantibus, le fattispecie previste agli artt. 57, 57 bis e 58 vanno intese come autonome forme di illecito la cui condotta si sostanzia nella mancata osservanza di regole cautelari (il non aver impedito la pubblicazione illecita) cui fa da pendant lâevento costituito dal reato commesso mezzo stampa. Non emerge, quindi, una forma di concorso di persone nel reato, sub specie di agevolazione colposa, ma un illecito del tutto distinto da quello effettivamente lesivo come può arguirsi tanto avendo riguardo alla clausola dâesordio dellâart. 57 c.p. (ââ fuori dai casi di concorsoââ), quanto dallâesegesi dellâart. 58 bis c.p. che, estendendo lâoperatività della condizione obiettiva di punibilità propria presentata direttamente a carico del direttore e del vicedirettore nei confronti dellâautore della pubblicazione, non può, ragionando a contrario, che dar per scontata lâassenza di una dimensione propriamente concorsuale.( Sez. V, sentenza  14 novembre 2007, n. 42067.)
Eâ importante analizzare, ai fini della risoluzione del caso in esame,altra recente sentenza della Cass. Pen relativa ad un caso che riguarda il reato di diffamazione a mezzo stampa.
Il caso in esame riguarda, infatti, un giornalista condannato dal Tribunale di Roma per diffamazione aggravata dall'uso del mezzo della stampa per avere, nella sua veste di direttore responsabile del quotidiano "Leggo", consentito la pubblicazione di articolo redazionale in cui si affermava, peraltro contrariamente al vero, che il Preside di un Liceo di Roma aveva assicurato agli alunni che avevano occupato i locali scolastici che non avrebbe chiesto lo sgombero con lâintervento delle forze dell'ordine. La Corte d'Appello confermava la condanna. Avverso la sentenza di appello il giornalista ha promosso ricorso per Cassazione lamentando sia il mancato riconoscimento del diritto di cronaca, sia l'assenza di nota diffamatoria nell'affermazione di stampa obiettivamente non offensiva della reputazione del preposto all'istituto scolastico, poiché l'assicurazione di evitare lo sgombero coattivo da parte delle forse dell'ordine non si qualifica come illecito penale, potendosi qualificare anche come una mossa di buon senso protesa alla pacificazione degli animi. La Suprema Corte ha accolto il ricorso e cassato senza rinvio la sentenza impugnata. Infatti, la Corte ha  dichiarato  che, nel caso di specie, non ricorre l'esimente dell'esercizio del diritto di cronaca, la quale richiede, alla luce di un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, l'inderogabile necessità di un assoluto rispetto del limite interno della verità oggettiva, limite violato poiché la notizia riportata dal pezzo redazionale è risultata infedele. Tuttavia, ha aggiunto la Corte, l'inattendibilità dell'informazione non costituisce in sé offesa all'altrui reputazione, occorrendo che essa necessariamente si connoti di un portato lesivo delle qualità morali, intellettuali o professionali di una persona, valutato non già secondo la considerazione della stessa, ma in conformità all'opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico.
Passando ora allâanalisi della fattispecie proposta, la stessa riguarda, appunto, il reato di diffamazione  per mezzo di una emittente televisiva locale, con riferimento  ai diritti di un dirigente scolastico il quale propone querela avverso lâautore di un servizio televisivo e del direttore dello stesso telegiornale invocando lâart. 57 c.p. relativo ai reati commessi con il mezzo della stampa.
Nel servizio si affermava, peraltro contrariamente al vero, che il Preside del Liceo della città di alfa aveva assicurato agli alunni, occupanti i locali scolastici, che non avrebbe chiesto lo sgombero con lâintervento delle forze dell'ordine.
Nel caso di specie, poiché la notizia riportata dal telegiornale è risultata totalmente fasulla non è possibile invocare lâesimente dellâesercizio del diritto di cronaca la quale richiede come sostenuto dalla giurisprudenza, la necessità di un assoluto rispetto del limite interno della verità oggettiva.
L'accusa rivolta al responsabile di un istituto scolastico di volersi attivare per impedire un possibile sgombero coattivo dell'occupazione studentesca in atto da parte della forza pubblica non è in alcun modo lesiva della sua dignità professionale, in quanto attinente a una sfera di autonomia decisionale connessa alla funzione amministrativa del Dirigente Scolastico, assunta nell'interesse pubblico e volta a sopire pericolose provocazioni, evitando il rischio di maggiori guai per le persone e per le cose, nella prospettiva di liberare il più presto l'edificio dallo stato di paralisi e riprendere il corso scolastico. Né, d'altra parte, al Preside è attribuita un'attività di illecita inerzia, quale una omissione penalmente rilevante, né una illecita solidarietà con i giovani studenti.
Tuttavia non sembra prospettabile la condanna per il reato ex art. 57 c.p., in quanto la Corte di Cassazione, di recente ha statuito che âl'inattendibilità dell'informazione non costituisce in sé offesa all'altrui reputazione, occorrendo che essa necessariamente si connoti di un portato lesivo delle qualità morali, intellettuali o professionali di una persona, valutato non già secondo la considerazione della stessa, ma in conformità all'opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storicoâ (Cass. pen. - sez V ï¿ï¿" n. 10735 del 10.03.2008).

Dunque, si conclude per l'assenza dell'elemento oggettivo del reato che determina diconseguenza  l'inesistenza dell'illecito contestato; pertanto, non sussiste il reato di diffamazione imputato dal querelante ai due querelati.










Da: Pina17/12/2008 15:04:10
Milano corregge Napoli

Da: valy17/12/2008 15:17:50
please ragazzi allora la responsabilita del direttore non sussiste??perche ?
AIUTATEMI VI PREGO

Da: Lu17/12/2008 15:18:50
La questione esposta nel caso prospettato richiede un preventivo esame del reato di diffamazione. Tale fattispecie, prevista dallâart. 595 c.p., inserita nel capo relativa ai delitti contro lâonore, consiste nel fatto di chi, comunicando con più persone, offende la reputazione di una persona non presente. Il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice è, quindi, la âreputazioneâ, intesa, normalmente, come il riflesso, in termini di considerazione sociale, dellâonorabilità. La dottrina ritiene che, mentre il bene giuridico tutelato nel delitto di ingiuria è lâopinione soggettiva che lâoffeso ha del proprio valore, quello tutelato dalla fattispecie dellâart. 595c.p. riguarda prevalentemente lâopinione sociale dellâonore della persona offesa dal reato. Lâelemento materiale consiste nella condotta di chi comunica una espressione offensiva dellâaltrui reputazione; dallâassenza dellâoffeso, che giustifica lâaggravato trattamento sanzionatorio stante lâimpossibilità per lui di difendersi; dalla presenza di più persone (la comunicazione deve raggiungerne almeno due ï¿" Cass. pen., sez. V, 17/3/1969).
In buona sostanza, la diffamazione, reato a forma libera come vedremo, si realizza in presenza di tre presupposti necessari:
1)lâassenza dellâoffeso, che gli impedisce di percepire lâespressione oltraggiosa;
2)lâoffesa riguardante lâaltrui reputazione;
3)la comunicazione a più persone.
Quanto, poi, alla natura dellâoffesa, essa può consistere tanto in comportamenti direttamente lesivi dellâonorabilità, quanto in espressioni o atti che possono essere oggettivamente non lesivi dellâaltrui reputazione, ma che lo diventano per le forme adottate. Infatti, possono acquisire rilievo diffamatorio anche le offese indirette (Cass. pen., sez. V, 3/3/1999), quando, ad esempio, la diffamazione è posta in essere con un fotomontaggio. Lâelemento soggettivo ovvero psicologico del reato in questione è costituito dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di comunicare a più persone espressioni o informazioni delle quali si conosce la valenza lesiva dellâaltrui reputazione. La fattispecie incriminatrice contempla, fra le altre, lâaggravante della commissione del fatto con il mezzo della stampa o con qualsiasi mezzo pubblico (radio, televisione ed altro) ed anche quella dellâattribuzione di un fatto determinato, così come delineato nel quesito proposto. Il momento consumativo del reato è quello in cui si realizza la diffusione della propalazione offensiva al secondo fra i soggetti destinatari e presenti e, nel caso di diffusione a mezzo stampa e/o telematica, quando la diffusione del messaggio offensivo viene percepito da parte di soggeti diversi rispetto al soggetto agente o alla persona offesa (Cass. pen., sez. V, 17/11/2000). Ciò premesso, è bene ora illustrare brevemente i limiti del diritto di cronaca, che rappresenta un diritto pubblico soggettivo (art. 51 c.p. ï¿" esimente e causa di non punibilità), con quello della diffusione di notizie che potrebbero intaccare la reputazione altrui. La recente giurisprudenza della C.S. ha coerentemente affermato che: âLa diffamazione a mezzo stampa è scriminata ai sensi dellâart. 51 c.p. quale esercizio del diritto di cronaca e/o di critica, a sua volta profanazione del diritto consacrato dallâart. 21 cost., allorquando la notizia riportata sia veridica; vi sia un interesse pubblico alla sua diffusione; infine via sia continenza nel linguaggio utilizzatoâ ed ancora: âil limite della continenza, entro il quale deve svolgersi un corretto esercizio del diritto di cronaca e di critica, viene superato quando le informazioni, pur vere, si risolvano, per il lessico impiegato, per l'uso strumentale delle medesime, per la sostanza e la forma dei giudizi che le accompagnano, in un attacco personale e gratuito al soggetto cui si riferiscono: quando, cioè, al di là della offensività della notizia e della negativa sua valutazione, si risolvano in un attacco personale e gratuito al soggetto cui si riferisconoâ. Ciò posto, occorre, infine, soffermarsi sullâaspetto della responsabilità ex art. 57 c.p. del direttore della rete televisiva che avrebbe dovuto esercitare il controllo del contenuto del servizio od impedirne la sua divulgazione televisiva. In ordine ad essa, secondo un maggioritario orientamento, si tratterebbe di unâipotesi di concorso colposo nel reato (doloso) commesso dallâautore della pubblicazione (nel nostro caso del servizio televisivo). In ogni caso, il direttore ha lâobbligo di controllo, derivante dalla sua posizione di preminenza, che si estrinseca nel potere di censura e nella facoltà di sostituzione, da cui deriverebbe la sua responsabilità. Orbene, nel caso proposto, pur non ricorrendo lâesimente dellâesercizio del diritto di cronaca, per invocare la quale deve esser categoricamente rispettato il limite della verità oggettiva (limite violato in quanto la notizia riportata era del tutto infedele). Peraltro, l'inattendibilità dell'informazione non costituisce di per sé offesa all'altrui reputazione, occorrendo che essa necessariamente si connoti di valenza lesiva della reputazione di una persona, valutata non già secondo la considerazione della stessa, ma in conformità all'opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico. Orbene, l'accusa rivolta al responsabile di un istituto scolastico di volersi attivare per impedire un possibile sgombero coattivo dell'occupazione studentesca in atto da parte della forza pubblica non è in alcun modo lesiva della sua dignità professionale. Essa attiene ad una sfera di autonomia decisionale connessa alla sua funzione amministrativa, assunta nell'interesse pubblico, volta a sopire pericolose provocazioni ed ad allontanare il rischio di maggiori guai per le persone e per le cose, nella prospettiva di liberare il più presto l'edificio dallo stato di paralisi e riprendere il corso scolastico. Peraltro, al Preside non è attribuita un'attività di illecita inerzia, nè una illecita solidarietà con i giovani studenti, non si apprezza offesa di rilievo penale: l'assenza dell'elemento oggettivo del reato determina l'inesistenza dell'illecito contestato (Cass. pen., sez. V, 7/2/2008, n. 10735). In conclusione, sia il giornalista, sia il direttore potranno ricorrere in Cassazione invocando la loro assoluzione perché il fatto non sussiste.

Questo parere postato non molto tempo fa attenzione ha delle imprecisioni nell'ultima parte, dove è illustrato il ricorso in cassazione , non sussiste

Da: bitummi17/12/2008 15:27:22
occhio alle sentenze della prima

Da: e per domani?17/12/2008 15:29:29
che si dice sugli atti?
indiscrezioni in merito?

Da: dubbiosa17/12/2008 15:44:23
ragazzi, occhio al ricorso in cassazione dei querelati....è una cavolata....ok?

Da: Mariella17/12/2008 15:46:40
scusa, io non me ne intendo, ti chiedo: chi ha risolto il quesito? Mi posso fidare?

Da: realvoice17/12/2008 15:56:56
roma

Da: Marcoxxx17/12/2008 15:57:03
se posso dare una mano a qualcuno.... spero di essere utile

La questione prospettata richiede lâesame di più istituti giuridici: la valutazione dellâeventuale sussistenza del reato di diffamazione ex art. 595 c.p. anche a mezzo stampa ex art. 596 bis; della sussistenza o meno della scriminante codificata dellâart. 51 c.p. dellâesercizio del diritto, in particolare del diritto di cronaca che rientra in quello più ampio concernente la libera manifestazione di pensiero e di stampa sancito dallâart. 21 Cost; ed infine lâeventuale responsabilità del direttore del telegiornale ai sensi dellâart. 57 c.p.  come conseguenza all'inosservanza dell'obbligo di controllo sul contenuto di un'intervista resa in una trasmissione televisiva da un terzo, come richiamato dalla traccia.
Il reato di diffamazione è inserito nel capo relativo ai delitti contro lâonore e consiste nel fatto di chi comunicando con più soggetti, offende la reputazione di una persona non presente. La norma mira a tutelare lâinteresse del soggetto a che altri si astengano dallâemettere giudizi che possono offendere il suo onore, la stima di cui gode nella società, allâinterno di un contesto sociale, espressa attraverso ogni mezzo di comunicazione.
La ratio della norma è evidente nelle ulteriori previsioni che aggravano la fattispecie di reato in argomento, previsioni che sanzionano con maggiore rigore prorpio la diffamazione che avviene mediante la stampa o che consiste nellâattribuzione di un fatto determinato. È agevole notare che in presenza di tali elementi aumenta lâidoneità offensiva della condotta posta in essere dallâagente e la reputazione dellâoffeso risente di un danno più grave.
Lâoffesa può essere arrecata con qualsiasi mezzo ad esempio attraverso la stampa, la radio o la televisione ecc..

Lâelemento soggettivo del reato di diffamazione è il dolo consistente nella coscienza e volontà dellâazione diffamatoria. Lâagente deve rappresentarsi lâidoneità delle parole pronunciate o scritte ad offendere il decoro e lâonere del soggetto.

La figura delittuosa in esame implica la presenza di tre elementi:
1)    lâassenza dellâoffeso, infatti nella diffamazione lâoffeso non deve essere in grado di percepire lâespressione oltraggiosa. Elemento questo che rende la diffamazione più grave della fattispecie dâingiuria perchè il soggetto passivo non ha la possibilità di controbattere o di giustificare lâaddebito ricevuto;
2)    lâoffesa deve riguardare lâaltrui reputazione: tale figura criminosa mira infatti a salvaguardare la reputazione di cui il soggetto gode nella società. Nel concetto di reputazione rientrano tutte le qualità morali, intellettuali, ecc...che concorrono a determinare la stima di cui un soggetto gode nel proprio ambiente sociale.
3)    La comunicazione con più persone: ossia la divulgazione  effettuata con qualsiasi mezzo ad almeno due persone, del fatto lesivo, che deve essere percepito come tale.

Tuttavia nel reato di diffamazione a mezzo stampa o televisione può trovare applicazione  la causa di giustificazione dellâesercizio del diritto, quali il diritto di cronoca e di critica.  Soffermandoci sul dirtto di cronaca giornalistica, ricordiamo che esso è un diritto che rientra in quello più ampio dellâart. 21 della Costituzione. La presenza del diritto di cronaca può essere invocato quale causa di giustificazione solo entro precisi limiti rimarcati ampiamente dalla giurisprudenza che possiamo riassumere nel modo seguente:
1)    âverità della notiziaâ, non potendo meritare tutela la diffusione di notizie false o tendenziose, non risultando, queste utili nellâeconomia del processo di formazione di una valida opinione presso la collettività;
2)    âpertinenzaâ ossia che esista quindi un interesse pubblico alla  divulgazione della notizia  in relazione alla sua oggettiva rilevanza per la collettività;
3)    âcontinenzaâ ovvero che lâinformazione si mantenga nei limiti dellâobiettività, dei fatti oggetto di narrazione, quale corretta esposizione dei fatti medesimi;
Il diritto di cronaca non esime dunque di per sé dal rispetto dell'altrui reputazione e riservatezza, ma giustifica intromissioni nella sfera privata dei cittadini solo quando possano contribuire alla formazione di una pubblica opinione su fatti oggettivamente rilevanti per la collettività


Lâart. 57 c.p., nella formulazione introdotta dalla legge n. 127/1958, configura un reato autonomo e non riconducibile alle logiche del concorso di persone; un reato proprio,  ossia posto in essere solamente dai soggetti indicati nella norma, punibile per colpa (la legge citata ha introdotto lâinciso a titolo colposo, allontanando la previsione dalle logiche della responsabilità oggettiva) che si perfeziona quante volte il direttore (ma anche il vicedirettore responsabile) ometta di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati.


In astratto quindi della pubblicazione di un articolo diffamatorio, risponderanno tanto il direttore responsabile quanto lâautore materiale dellâarticolo: precisamente il primo viene chiamato a rispondere per un fatto proprio di natura omissiva; il secondo, invece, per la specifica ipotesi di reato posta in essere (quella di cui allâart. 595 c.p. nel caso di specie).
Negli ultimi anni, la giurisprudenza ha ritenuto non configurabile il reato di cui allâart. 57, in capo al direttore del giornale, quante volte quello presupposto (la diffamazione quasi sempre) non risultava integrato per la sussistenza di una causa di giustificazione o per difetto del requisito psicologico richiesto.


Passando ora allâanalisi della fattispecie proposta, la stessa riguarda, appunto, il reato di diffamazione  per mezzo di una emittente televisiva locale, con riferimento  ai diritti di un dirigente scolastico il quale querela lâautore di un servizio televisivo e il direttore dello stesso telegiornale invocando lâart. 57 c.p.
Nel servizio diffuso si affermava, peraltro, contrariamente al vero, che il Preside del Liceo della città Alfa aveva dichiarato che, a seguito di unâoccupazione studentesca dellâedificio scolastico, non avrebbe chiesto lo sgombero coattivo con lâintervento delle forze dell'ordine di polizia.


Nel caso di specie, di certo non ricorre lâesimente dellâesercizio del diritto di cronaca la quale richiede, alla luce di quanto sopra esposto e di un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, l'inderogabile necessità di un assoluto rispetto del limite interno della verità oggettiva della notizia, limite, in questo caso, violato poiché la notizia riportata dal telegiornale è risultata totalmente infedele.

Tuttavia non sembra prospettabile la condanna per il reato di diffamazione, in quanto l'inattendibilità dell'informazione non costituisce in sé offesa all'altrui reputazione. Per configurare il reato di diffamazione occorre che la notizia comporti necessariamente una lesione delle qualità morali, intellettuali o professionali del dirigente scolastico in esame, valutato non già secondo la considerazione dello stesso, ma in conformità del contesto sociale in cui viviamo.

La notizia attribuita falsamente al Preside dellâisituto scolastico di non voler far ricorso alla forza pubblica non è lesiva della sua dignità professionale in quanto volta ad evitare pericolose provocazioni o allontanare maggiori pericoli per le persone e per le cose, nella prospettiva di risolvere bonariamente ed al più presto lo stato di agitazione creatosi e quindi riprendere le normali attività scolastiche.

In capo al Direttore del telegiornale, poi, non potrebbe essere mosso un addebito ex art. 57 c.p. in quanto non sussiste oggettivamente il reato base, ossia la diffamazione. In ogni caso mancherebbe quindi il reato presupposto sul quale poi calcolare la pena.
Altresì non sembra prospettabile neanche la sussistenza del  reato ex art. 57 c.p., in capo al direttore del telegiornale in quanto la Corte di Cassazione, di recente ha statuito applicando il principio di stretta legalità, dal quale discende la delimitazione, anche sotto il profilo soggettivo, della fattispecie incriminatrice in oggetto che la stessa norma è dettata esclusivamente per i reati commessi col mezzo della stampa periodica e non può intendersi riferito anche alla trasmissioni radiofoniche e televisive.
A voler approfondire ulteriormente possiamo ricordare che il legislatore posteriore allâintroduzione dellâart 57 bis, nell'emettere la L. 6 agosto 1990, n. 223, si è posto all'evidenza il problema della responsabilità omissiva, fuori dei casi di concorso nel reato principale, proprio per il reato di diffamazione con l'attribuzione di un fatto determinato (oltre che per le trasmissioni con carattere di oscenità e quelle ex comma 2) e lo ha risolto individuando i responsabili nelle seguenti categorie di persone (art. 30, comma 1, richiamato anche dal comma 4) sempre della medesima legge: "il concessionario privato o la concessionaria pubblica ovvero la persona da loro delegata al controllo della trasmissione".La precisa specificazione delle persone a cui deve attribuirsi la responsabilità penale non consente interpretazioni analogiche, nè estensive che si risolverebbero in un indebito ampliamento della norma penale.
Nel caso di specie quindi si conclude, per tutti i motivi e le ragioni esposte, per unâinsussistenza dei reati in capo allâautore del servizio televisivo ed al direttore del telegiornale in oggetto.

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