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Regione Sardegna - Concorso per 42 funzionari amministrativi della categoria D
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Da: Don perignon05/02/2014 17:48:40
Nessuna nuova, Fratello
Rispondi

Da: ma che05/02/2014 18:27:01
ricorsi ci sono stati? da parte di chi? grazie.
Rispondi

Da: toglietemi tutto ma non i miei buoni pasto05/02/2014 21:35:47
ricorsi?
parole parole parole......
nessun ricorso....si passa troppo tempo a cazzeggiare.... e poi non si concretizza nulla...
tipico....
Rispondi

Da: notizie sui ricorsi06/02/2014 01:03:17
sui ricorsi c'è stata una denuncia in procura di precari esclusi. sui ricorsi al Tar dei concorsisti non so dire, sono rimasto alle notizie dei ricorsi che sono state date qui sul forum; mentre ci sono persone che stanno lavorando per un esposto alla Corte dei Conti.
Rispondi

Da: concorso consiglio regionale06/02/2014 11:13:53
Ma vale la pena tentarci????
Rispondi

Da: X concorso consiglio regionale06/02/2014 11:37:13
....no.... ma quando mai.... meglio rimanere su questo forum a piangere e a lamentarti delle ingiustizie che la vita riserva....
Rispondi

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Da: concorso consiglio regionale06/02/2014 16:04:21
Beh di questi tempi sperare ancora in concorsi "puliti" sembra una follia...poi arrendersi in partenza è sicuramente peggio!!!
Rispondi

Da: toglietemi tutto ma non i miei buoni pasto06/02/2014 21:06:05
X notizie sui concorsi
Non c'è alcun ricorso..... solo parole.... e niente fatti...e leggendo questo forum c'era da aspettarselo...
Non esiste alcuna denuncia in procura. La CISL ha inviato una informativa in procura.... che è cosa ben diversa....
Nessun ricorso al TAR...
Esposto alla Corte dei Conti non pervenuta....

non succederà nulla, perchè nulla di irregolare è stata fatto. Forse non è giusto, forse si dovrebbe fare diversamente, ma così è se vi pare...
Rispondi

Da: .... 06/02/2014 21:23:34
Sei male informato le pressioni sono tantissime se vanno avanti sono guai...
Rispondi

Da: ... ma07/02/2014 09:41:32
ma guai per chi...
per chi fa ricorso senza averne titolo forse....
Sveglia..... la procedura è pienamente legittima.... e nonostante qualcuno voglia mettere la testa sotto la sabbia si chiuderà perché questo impone la legge.
Rispondi

Da: marmotta7607/02/2014 09:55:33
Stabilizzazione precari: sentenza Corte Costituzionale

Impiego pubblico - Norme della Regione autonoma della Sardegna - Disciplina transitoria dei contratti a termine Centri servizi per il lavoro (CSL) e Centri servizi inserimento lavorativo (CESIL) - Prolungamento dei termini di durata dei contratti a tempo determinato che non siano stati rinnovati dalle soppresse province sarde - Disposizioni in materia di proroga dei termini - Proroga al 30 giugno 2011 del termine per l'acquisizione dei requisiti che consentono ai lavoratori precari assunti con contratto di lavoro a termine o con forme contrattuali flessibili o atipiche di partecipare alle procedure di stabilizzazione previste dal Piano pluriennale per il superamento del precariato; Disposizioni in materia di proroga di termini - Proroga al 30 giugno 2011 del termine entro il quale ulteriori figure professionali di lavoratori precari acquisiscono i requisiti per partecipare alle procedure di stabilizzazione; Stabilizzazione nei ruoli regionali - Previsione che siano compresi sia i periodi lavorativi svolti attraverso contratti di tirocinio formativo retribuito, sia le altre attività lavorative eventualmente svolte in precedenza presso gli enti locali territoriali e le altre pubbliche.

.  .  .

Corte Costituzionale

Sentenza numero 277 del 22 novembre 2013

(presidente Silvestri, redattore Mazzella)

(â)

Considerato in diritto

1.- Con ricorso notificato il 21-27 agosto 2012, depositato in cancelleria il successivo 31 agosto e iscritto al n. 116 del registro ricorsi dell'anno 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli articoli 2 e 3, commi 1 e 2, della legge della Regione autonoma Sardegna 26 giugno 2012, n. 13 (Rimodulazione del quadro degli interventi regionali a sostegno delle politiche del lavoro e disposizioni in materia di contratti a termine), intesa all'attuazione degli accordi istituzionali per la proroga e la prima concessione degli ammortizzatori sociali in deroga, per gli anni 2011 e 2012, in riferimento agli articoli 3, 51, 97 e 117, terzo comma, della Costituzione.

1.1.- L'impugnato art. 2 integra l'art. 4, comma 1, della legge della Regione autonoma Sardegna 13 giugno 2012, n. 12, recante «Disposizioni urgenti e integrazioni alla legge regionale 4 agosto 2011, n. 16 (Norme in materia di organizzazione e personale), relativa ai contratti di collaborazioni coordinate e continuative e ulteriori misure di contenimento della spesa pubblica». In particolare, la disposizione regionale in esame aggiunge alle procedure selettive di cui all'art. 4, comma 1, della citata legge reg. n. 12 del 2012, finalizzate agli inquadramenti di cui all'art. 36, comma 2, della legge regionale 29 maggio 2007, n. 2, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione (legge finanziaria 2007)», in attuazione del "Piano regionale sul precariato" ivi previsto, «le selezioni effettuate con modalità analoghe attestate dai relativi dirigenti di servizio o generali per le figure professionali aventi i requisiti dei trenta mesi maturati entro i termini stabiliti dall'articolo 6, comma 2, della legge regionale n. 16 del 2011». Secondo il ricorrente, ciò comporta la possibilità di inquadrare anche personale assunto a tempo determinato, così realizzando un inquadramento riservato di personale, in contrasto con gli artt. 3, 51 e 97 Cost., nonché con l'art. 117, terzo comma, Cost., nell'ottica del coordinamento della finanza pubblica.

1.2.- L'impugnato art. 3 dispone la stipulazione immediata da parte dei dirigenti delle gestioni provvisorie dei contratti a termine di cui all'art. 6, comma 8, della legge della Regione autonoma Sardegna 4 agosto 2011, n. 16 (Norme in materia di organizzazione e personale), che non siano stati rinnovati dalle soppresse Province sarde alla data di approvazione della presente legge, e ciò anche nei casi di raggiungimento dei trentasei mesi di lavoro subordinato maturato dai soggetti aventi titolo all'assunzione nelle soppresse amministrazioni provinciali in ordine alle disposizioni straordinarie di cui alla legge della Regione autonoma Sardegna 25 maggio 2012, n. 11 (Norme sul riordino generale delle autonomie locali e modifiche alla legge regionale n. 10 del 2011).

Ne discende, ad avviso del ricorrente, la violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., nella materia del coordinamento della finanza pubblica, in quanto la norma in oggetto, nel prolungare la durata dei suddetti contratti, determina il superamento dei limiti fissati dalla legge per l'instaurazione di rapporti di lavoro flessibile e travalica, altresì, il tetto della spesa sostenuta per le medesime finalità.

I principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica nella specie violati sono individuati dal ricorrente nelle disposizioni sui rapporti di lavoro flessibile contenute nell'art. 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), là dove ribadiscono il limite di trentasei mesi complessivi di lavoro a termine - mediante il rinvio alla normativa generale sul rapporto di lavoro a tempo determinato di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES) - e nell'art. 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, il quale stabilisce che, a decorrere dall'anno 2011, le amministrazioni pubbliche possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del cinquanta per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009.

2.- Con successivo ricorso notificato il 19 novembre 2012, depositato in cancelleria il successivo 26 novembre e iscritto al n. 180 del registro ricorsi dell'anno 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3, lettera a), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), e successive modificazioni e integrazioni, nonché agli artt. 3, 51, 97 e 117, terzo comma, Cost., della legge della Regione autonoma Sardegna 13 settembre 2012, n. 17, recante «Finanziamento agli enti locali per il funzionamento dei Centri servizi per il lavoro (CSL), dei Centri servizi inserimento lavorativo (CESIL) e delle Agenzie di sviluppo locale e disposizioni varie», e segnatamente dei seguenti articoli: 1, comma 1; 2, commi 1, 2, 3 e 5; 6, comma 1.

2.1.- Viene censurato, anzitutto, l'art. 1, comma 1, il quale, nel sostituire il comma 8 dell'art. 6 della legge reg. n. 16 del 2011, dispone che, al fine di garantire l'esercizio del servizio pubblico disciplinato dalla legge della Regione autonoma Sardegna 5 dicembre 2005, n. 20 (Norme in materia di promozione dell'occupazione, sicurezza e qualità del lavoro. Disciplina dei servizi e delle politiche per il lavoro. Abrogazione della legge regionale 14 luglio 2003, n. 9 in materia di lavoro e servizi dell'impiego), nelle more di una riorganizzazione di esso, al quale sono preposti i Centri servizi per il lavoro (CSL), i Centri servizi inserimento lavorativo (CESIL) e le Agenzie di sviluppo locale di cui all'articolo 6, comma 1, lettera e), della legge della Regione autonoma Sardegna 5 marzo 2008, n. 3 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione - legge finanziaria 2008), «è autorizzata nell'anno 2012, a titolo di trasferimento alle competenti amministrazioni locali, la spesa di euro 12.000.000 a valere sulle disponibilità recate dal fondo regionale per l'occupazione di cui all'UPB S06.06.004».

A parere del Governo, tale norma violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost., «nell'ottica del coordinamento della finanza pubblica, cui la regione, pur nel rispetto della sua autonomia, non può derogare», perché - al pari del citato art. 6, comma 8, della legge reg. n. 16 del 2011 nella sua formulazione originaria (dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale con sentenza n. 212 del 2012) - non richiama il tetto di spesa fissato dall'art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, secondo cui, a decorrere dall'anno 2011, le amministrazioni pubbliche possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa solo nel limite del cinquanta per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009.

2.2.- Il Governo censura, altresì, l'art. 2, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012, il quale, nel modificare l'art. 3, comma 5, della legge della Regione autonoma Sardegna 7 agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale), proroga al 30 giugno 2011 il termine (precedentemente fissato al 18 agosto 2009) per l'acquisizione dei requisiti che consentono ai lavoratori precari, assunti con contratto di lavoro a termine o con forme contrattuali flessibili o atipiche, di partecipare alle procedure di stabilizzazione previste dal piano pluriennale per il superamento del precariato di cui all'art. 36 della legge reg. n. 2 del 2007.

Ad avviso del ricorrente, la norma regionale impugnata, nel prorogare i termini entro i quali devono maturarsi i requisiti che consentono la partecipazione alle procedure di stabilizzazione, violerebbe, non solo i principi di uguaglianza, di buon andamento e d'imparzialità dell'amministrazione di cui agli artt. 3, 51 e 97 Cost., ma anche i principi stabiliti dall'art. 117, terzo comma, Cost. nell'ottica del coordinamento della finanza pubblica e, segnatamente, i limiti temporali previsti dall'art. 1, comma 558, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), inderogabili da parte della Regione.

2.3.- L'art. 2, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012, fissando al 30 giugno 2011 il termine entro il quale ulteriori figure professionali di lavoratori precari acquisiscono i requisiti per partecipare alle procedure di stabilizzazione, modifica l'art. 4, comma 1, della legge reg. n. 12 del 2012 nella parte già novellata dal predetto art. 2, comma 1, della legge reg. n. 13 del 2012 (già impugnato con il primo ricorso). Esso è censurato per le medesime ragioni spiegate contro quest'ultima norma regionale e inoltre perché, al pari del citato art. 2, comma 1, della legge reg. n. 17 del 2012, non rispetta, ai fini della stabilizzazione, i limiti temporali previsti dalla normativa statale di riferimento sopra richiamata.

2.4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, inoltre, l'art. 2, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012 nella parte in cui ricomprende tra i requisiti utili ai fini della stabilizzazione nei ruoli regionali «sia i periodi lavorativi svolti attraverso contratti di tirocinio formativo retribuito, sia le altre attività lavorative eventualmente svolte in precedenza presso gli enti locali territoriali e le altre pubbliche amministrazioni». In tal modo, secondo il ricorrente, si realizzerebbe un inquadramento riservato di personale, in violazione dei principi di uguaglianza, di buon andamento e d'imparzialità dell'amministrazione, nonché del principio del pubblico concorso di cui agli artt. 3, 51 e 97 Cost., come pure di quello di coordinamento di finanza pubblica di cui all'art. 117, terzo comma, Cost.

2.5.- L'art. 2, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012, che estende agli operatori di tutela ambientale che abbiano prestato servizio presso le amministrazioni provinciali l'applicazione dell'impugnato art. 3 della legge reg. n. 13 del 2012, è, secondo il ricorrente, da ritenere illegittimo per i motivi suesposti in relazione a quest'ultima disposizione.

2.6.- È censurato, infine, l'art. 6, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012, il quale, nell'integrare l'art 4 della legge della Regione autonoma Sardegna 18 dicembre 2005, n. 37 (Norme in materia di funzionamento e di assegnazione di personale ai Gruppi consiliari), dispone, senza quantificazione numerica o di spesa, che i gruppi consiliari possono stipulare contratti di lavoro autonomo concernenti prestazioni d'opera intellettuale per oggetti determinati di durata non superiore a quella della legislatura. Il Governo ascrive a tale norma la lesione dell'art. 117, terzo comma, Cost., con l'interposizione dell'anzidetto art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, e dell'art. 81, quarto comma, Cost., perché non sono previsti i mezzi finanziari per far fronte alla spesa.

3.- In considerazione della loro connessione oggettiva, i giudizi riguardanti le disposizioni regionali suindicate devono essere riuniti, per essere decisi con un'unica pronuncia.

4.- Di entrambi i ricorsi la Regione autonoma Sardegna eccepisce, in linea generale, alcuni profili d'inammissibilità.

Tutte le eccezioni d'inammissibilità dei ricorsi nella loro interezza devono essere rigettate.

4.1.- L'omessa menzione dei parametri statutari denunciata dalla resistente non sussiste. Quanto all'art. 3, lettera a), dello statuto speciale, perché l'eccedenza dalle competenze legislative ivi previste risulta espressamente denunciata nell'incipit del secondo ricorso e traspare chiaramente, altresì, da tutta l'impostazione del primo. Con riguardo all'art. 7 dello stesso statuto, che assegna alla Regione autonoma «una propria finanza, coordinata con quella dello Stato», perché il ricorrente ha lasciato intendere, senza equivoci, che tale prerogativa, invero non riconducibile ad una assorbente competenza legislativa regionale di fonte statutaria nel settore finanziario (artt. 3 e seguenti dello statuto speciale), non esime neppure la Regione resistente dal rispetto del parametro, espressamente evocato, dell'art. 117, terzo comma, Cost. E con ciò lo stesso ricorrente ha mostrato, evidentemente, di ritenere quest'ultimo parametro idoneo ad attribuire alla Regione stessa un'autonomia più ampia nella materia del coordinamento della finanza pubblica. D'altro canto, la giurisprudenza più recente di questa Corte ha sistematicamente scrutinato alla luce dell'art. 117, terzo comma, Cost. l'osservanza, da parte della legislazione della Sardegna, dei principi fondamentali in subiecta materia, reputandola esplicitamente o implicitamente esulante da qualunque competenza legislativa statutaria (vedi, tra le ultime, sentenze n. 212 e n. 30 del 2012). E, più in generale, si è affermato che anche le Regioni e le Province ad autonomia differenziata sono tenute al rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica (sentenze n. 3 del 2013, n. 229 del 2011 e n. 179 del 2007).

4.2.- Anche l'eccezione di difetto di motivazione è priva di fondamento, perché il Governo, seppur stringatamente, ha argomentato in maniera adeguata ogni singola censura. E anche quando non ha neppure sommariamente individuato il principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica a suo avviso violato, il ricorrente ha illustrato nel modo dovuto le questioni di legittimità delle norme regionali denunciate sotto tale profilo, in relazione agli altri parametri costituzionali volta per volta specificamente evocati.

4.3.- Dev'essere, altresì, disattesa l'eccezione d'inammissibilità delle questioni ricondotte dalla difesa regionale alla volontà del ricorrente di aggredire essenzialmente il meccanismo di stabilizzazione del personale precario, istituito con legge reg. n. 2 del 2007, invero non impugnato a suo tempo, posto che, in realtà, il Governo ha inteso chiaramente censurare le norme in oggetto per le modifiche o integrazioni dell'originario piano di superamento del precariato da esse variamente apportate ai criteri ricognitivi degli aventi titolo a rientrarvi (selezioni iniziali di riferimento, termini di scadenza dei periodi di lavoro rilevante, equipollenza di altre attività lavorative).

4.4.- Va, infine, rigettata l'eccezione d'inammissibilità del ricorso iscritto al n. 180 del relativo registro dell'anno 2012, perché notificato "in proprio", non ravvisandosi alcun serio motivo per discostarsi dall'orientamento in base al quale questa Corte ha ritenuto ammissibile tale forma di notificazione nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale (sentenza n. 310 del 2011).

5.- Ciò premesso, ai fini della trattazione, vanno affrontate per prime le questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni regionali concernenti il piano di superamento del precariato delineato dall'art. 36, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 2 del 2007, a partire dall'art. 2 della legge reg. n. 13 del 2012, nonché dall'art. 2, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012, proseguendo con l'art. 2, comma 1, della legge reg. n. 17 del 2012, per finire con l'art. 2, comma 3, della medesima legge regionale. Vanno poi esaminate, nell'ordine, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge reg. Sardegna n. 13 del 2012 e dell'art. 2, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012, riguardanti la prosecuzione dei rapporti di lavoro a termine di specifiche categorie di lavoratori già operanti presso le (soppresse) amministrazioni provinciali; la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge reg. n. 17 del 2012, afferente "il servizio pubblico del sistema dei servizi per il lavoro"; le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 1, della legge da ultimo citata, incidente sulle forme di collaborazione "intellettuale" presso i gruppi consiliari.

6.- Per comprendere meglio i termini delle questioni di legittimità dell'art. 2 della legge reg. Sardegna n. 13 del 2012 e dell'art. 2, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012, che possono essere esaminate congiuntamente, è utile premettere, in sintesi, la sequenza normativa del piano regionale di assorbimento del precariato, cui afferiscono entrambe le impugnate disposizioni testé richiamate.

L'art. 36 della legge reg. Sardegna n. 2 del 2007 ha stabilito che possano conseguire il rapporto di lavoro a tempo indeterminato i lavoratori con trenta mesi anche non continuativi di lavoro (svolto in forza di contratti di natura flessibile o atipica con l'amministrazione, gli enti o le aziende regionali) al 30 giugno 2007, e all'uopo ha predisposto un piano di superamento del precariato in base al quale il rapporto a tempo indeterminato è conseguibile con due distinte procedure: 1) a domanda, in caso di rapporto di lavoro instaurato «sulla base di procedure selettive di natura concorsuale»; 2) previo superamento di «prove selettive concorsuali pubbliche», in caso di rapporto di lavoro instaurato senza pubblica selezione, con mero riconoscimento di una premialità riferita al servizio prestato.

L'art. 4 della legge reg. n. 12 del 2012 ha introdotto ulteriori specifiche tipologie di selezione di personale alla base dell'inquadramento a domanda, di cui si è detto sub 1).

L'art. 2, comma 1, della legge reg. n. 13 del 2012, impugnato con il primo ricorso, ha aggiunto al citato art. 4 altre selezioni (effettuate con modalità analoghe a quelle già previste) ai fini della stabilizzazione di personale che avesse maturato trenta mesi «entro i termini stabiliti dall'articolo 6, comma 2, della legge regionale n. 16 del 2011».

Infine, l'art. 2, comma 2, della legge reg. n. 17 del 2012, censurato con il secondo ricorso, ha ulteriormente modificato l'art. 4 della citata legge reg. n. 12 del 2012 nella parte aggiunta dall'impugnato art. 2, fissando definitivamente al 30 giugno 2011 il termine entro il quale il personale destinatario delle selezioni contemplate dalla prima novella deve aver maturato i trenta mesi di lavoro precario utili ai fini della stabilizzazione. E ciò ha fatto, richiamando l'art. 3, comma 5, della legge reg. n. 3 del 2009, contestualmente innovato dall'art. 4, comma 1, della stessa legge reg. n. 17 del 2012 (verosimilmente anche alla luce della caducazione nelle more intervenuta - con sentenza n. 212 del 2012 di questa Corte - dell'art. 6, comma 2, della legge reg. n. 16 del 2011).

6.1.- La difesa della Regione resistente sostiene che la prima norma impugnata (art. 2 della legge reg. n. 13 del 2012), modificata dopo pochi mesi con la seconda, non ha avuto medio tempore alcuna applicazione, donde prospetta la sopravvenuta cessazione della relativa materia del contendere. A ben vedere, però, l'art. 2 della legge reg. n. 13 del 2012 prevede ulteriori selezioni specifiche in aggiunta alle procedure utili per ottenere la stabilizzazione ai sensi dell'art. 36, comma 2, della legge reg. n. 2 del 2007, mentre l'art. 2, comma 2, della legge reg. n. 17 del 2012 si limita a ridefinire il termine di esaurimento delle selezioni aggiunte dalla prima novella. La seconda modifica, dunque, s'innesta sulla nuova previsione introdotta dalla prima e ne presuppone la perdurante vigenza, intervenendo solamente sul termine di acquisizione dei requisiti per l'inquadramento a domanda sulla base delle selezioni aggiuntive già introdotte dalla precedente disposizione. Sicché, la materia del contendere non è cessata affatto, perché la variazione del termine apportata dall'art. 2, comma 2, della legge reg. n. 17 del 2012 lascia inalterata la prima integrazione dell'art. 4 della legge reg. n. 12 del 2012 con le selezioni contemplate dall'art. 2 della legge reg. n. 13 del 2012.

6.2.- Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la disposizione dettata dall'art. 2 della legge reg. Sardegna n. 13 del 2012 comporta un inquadramento riservato di personale (assunto a tempo determinato), in contrasto con gli artt. 3, 51 e 97 Cost., nonché con l'art. 117, terzo comma, Cost., nell'ottica del coordinamento della finanza pubblica.

Il ricorrente impugna, inoltre, l'art. 2, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012, perché, nel modificare l'art. 4, comma 1, della legge reg. n. 12 del 2012 (come già interpolato dal censurato art. 2 della legge reg. n. 13 del 2012), proroga al 30 giugno 2011 il termine entro il quale ulteriori figure professionali di lavoratori precari acquisiscono i requisiti per partecipare alle procedure di stabilizzazione. In tal modo, la norma in esame non rispetterebbe, ai fini della stabilizzazione, i limiti temporali previsti dalla normativa statale di cui all'art. 1, comma 558, della legge n. 296 del 2006, incorrendo non solo nei vizi già denunciati a carico dell'art. 2 della legge regionale n. 13 del 2012, ma anche nella violazione del principio di coordinamento di finanza pubblica di cui all'art. 117, terzo comma, Cost., al quale la Regione, pur nel rispetto della sua autonomia, non potrebbe mai derogare.

6.3.- Le questioni di legittimità costituzionale di entrambe le disposizioni regionali succitate sono fondate in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 Cost.

6.3.1.- Se, infatti, l'art. 36, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 2 del 2007, con alcune esclusioni, disponeva la stabilizzazione del personale con trenta mesi di lavoro precario all'attivo, sempreché fosse stato assunto con procedure selettive concorsuali pubbliche, l'impugnato art. 2 della legge reg. n. 13 del 2012 integra le categorie di personale destinatarie d'inquadramento a domanda con ulteriori figure professionali. E le identifica con quelle reclutate mediante selezioni (analoghe a quelle specifiche già introdotte dall'art. 4 della legge reg. n. 12 del 2012 nella sua formulazione originaria) precedentemente non comprese e non rigorosamente rispondenti ai caratteri di stretta concorsualità pubblica previsti dalla normativa di riferimento del 2007. Ciò comporta la violazione degli anzidetti parametri evocati, atteso che la Corte ha ripetutamente dichiarato l'illegittimità di norme che disponevano stabilizzazioni di personale precario delle pubbliche amministrazioni senza prevedere la necessità del superamento di un concorso pubblico (ex plurimis, sentenze n. 51 del 2012, n. 7 del 2011, n. 235 del 2010), ed ha più volte ritenuto eccessivamente generico, al fine di autorizzare una successiva stabilizzazione senza concorso, il requisito del previo superamento di una qualsiasi selezione, ancorché pubblica, «perché tale previsione non garantisce che la previa selezione abbia natura concorsuale e sia riferita alla tipologia e al livello delle funzioni che il personale successivamente stabilizzato è chiamato a svolgere» (sentenza n. 127 del 2011, che richiama le sentenze n. 235 del 2010 e n. 293 del 2009).

6.3.2.- Le medesime ragioni che inficiano l'art. 2 della legge reg. Sardegna n. 13 del 2012 minano, altresì, l'art. 2, comma 2, della legge reg. n. 17 del 2012, che modifica il precedente testo normativo riguardo al termine ultimo del periodo di lavoro temporaneo utile per l'assunzione in pianta stabile del personale selezionato a norma della prima disposizione impugnata.

6.3.3.- La seconda disposizione censurata (art. 2, comma 2, della legge reg. n. 17 del 2012) è ulteriormente viziata dal denunciato contrasto con l'art. 117, terzo comma, Cost., per violazione del principio fondamentale di coordinamento di finanza pubblica che si evince dalla normativa statale in tema di stabilizzazione di cui all'art. 1, comma 558, della legge n. 296 del 2006. Diversamente da quanto opinato dalla Regione resistente, infatti, la citata normativa statale ammetteva alla stabilizzazione soltanto personale non dirigenziale che avesse già maturato tre anni di servizio alla data di entrata in vigore della medesima legge n. 296 del 2006 (in servizio in quel momento o alla luce del lavoro svolto nell'ambito del quinquennio precedente), ovvero che fosse destinato a maturarli in forza di contratti stipulati prima del 29 settembre 2006 e quindi, al massimo, tenuto conto del triennio di servizio necessario, entro il 28 settembre 2009.

Per converso, la stabilizzazione del personale regionale in esame, ricomprendendo lavoratori che abbiano svolto il periodo utile di lavoro precario sino al 30 giugno 2011, sfora il limite previsto dall'art. 1, comma 558, della legge n. 296 del 2006, in spregio all'art. 117, terzo comma, Cost. In proposito, questa Corte ha già avuto modo di affermare che «le norme statali in tema di stabilizzazione dei lavoratori precari costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica» (sentenze n. 18 del 2013 e n. 310 del 2011).

La violazione del parametro costituzionale anzidetto non è scongiurata dallo ius superveniens di cui all'art. 4, comma 6, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), convertito in legge, con modificazioni, nella legge 30 ottobre 2013, n. 125. Esso ha previsto, ma solo a decorrere dal 1° settembre 2013 (data di entrata in vigore del citato d.l.), l'avvio di nuove procedure concorsuali miranti all'assunzione a tempo indeterminato, anche con contratti a tempo parziale, a favore di personale non dirigenziale, con contratto a tempo determinato, che presenti, tra gli altri, i requisiti di cui all'art. 1, comma 558, della legge n. 296 del 2006. Tuttavia, diversamente dalla sopravvenuta disposizione statale con forza di legge, che riserva il concorso a soggetti che possano vantare i periodi di lavoro precario come cristallizzati dalla norma interposta richiamata dal Governo ricorrente, la disposizione regionale impugnata, operativa già nel corso del 2012, incide, prorogandola, sulla durata complessiva dei periodi di lavoro precario spendibili per avere accesso alla procedura prevista dal piano regionale di stabilizzazione. Stabilizzazione che, oltre tutto, si realizza nella fattispecie in esame mediante inquadramento a domanda e, per di più, senza alcuna considerazione per i vigenti vincoli finanziari e di assunzione, che sono, invece, condizionanti secondo la nuova normativa statale sopra richiamata.

Pertanto, dev'essere dichiarata l'illegittimità costituzionale, tanto dell'art. 2 della legge reg. n. 13 del 2012, quanto dell'art. 2, comma 2, della legge reg. n. 17 del 2012.

7.- La questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma, 1, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012, sollevata in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost., è parimenti fondata.

Il ricorrente lamenta a ragione la lesione di principi fondamentali in materia di coordinamento pubblico, perché la norma impugnata non rispetta, ai fini della stabilizzazione, i limiti temporali previsti dalla normativa statale (art. 1, comma 558, della legge n. 296 del 2006).

Già si è detto supra, infatti, che, contrariamente a quanto prospettato dalla Regione resistente, la legge n. 296 del 2006 prevede un termine al triennio di lavoro utile per tutte le categorie di personale stabilizzando, coincidente, al più tardi, con il 28 settembre 2009.

Di contro, la norma in esame, di stabilizzazione del personale regionale, interessa tutti i lavoratori i quali abbiano svolto il periodo prescritto di lavoro precario sino al 30 giugno 2011. In tal modo, però, essa supera il limite previsto dall'art. 1, comma 558, della legge n. 296 del 2006 e si pone in non sanabile contrasto con l'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto «le norme statali in tema di stabilizzazione dei lavoratori precari costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica» (sentenze n. 18 del 2013 e n. 310 del 2011, già citate). Conclusione, questa, che non è minimamente scalfita, per quanto si è detto al punto 6.3.3, in fine, dallo ius superveniens di cui all'art. 4, comma 6, del d.l. n. 101 del 2013.

Ne consegue l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, della legge reg. n. 17 del 2012.

Restano assorbiti gli ulteriori profili d'illegittimità sollevati dal Presidente del Consiglio dei ministri.

8.- La questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 3, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012, sollevata per contrasto con l'art. 117, terzo comma, Cost. nell'ottica del coordinamento della finanza pubblica, nonché con gli artt. 3, 51 e 97 Cost., è fondata sotto il profilo della lesione dei principi di uguaglianza e di buon andamento dell'amministrazione.

Con la norma impugnata, invero, il legislatore regionale ha parificato ai periodi di lavoro utile ai fini della stabilizzazione regolata dall'art. 36, comma 2, della legge reg. n. 2 del 2007, svolti secondo quanto da esso previsto in forza di contratto di lavoro a termine, o di forme contrattuali flessibili o atipiche, presso l'amministrazione regionale, gli enti o le agenzie regionali rientranti nel comparto di contrattazione regionale di cui alla legge della Regione autonoma Sardegna 13 novembre 1998, n. 31 (Disciplina del personale regionale e dell'organizzazione degli uffici della Regione), i periodi lavorativi di tirocinio formativo retribuito e le pregresse attività lavorative presso gli enti locali territoriali e le altre pubbliche amministrazioni. Gli uni e gli altri, però, non sono omogenei rispetto al lavoro precario prestato presso l'amministrazione regionale. I periodi di lavoro in tirocinio, perché non sono equivalenti a quelli di lavoro reso, ancorché in posizione precaria, a beneficio della suddetta amministrazione, presentando una significativa componente formativa che è nell'esclusivo interesse del lavoratore tirocinante. I periodi di lavoro presso gli enti locali territoriali e le altre pubbliche amministrazioni, perché non vi è alcuna garanzia che siano utilmente spendibili nel preconizzato svolgimento in pianta stabile di funzioni di competenza regionale. In entrambi i casi, insomma, si tratta di esperienze non assimilabili per qualità e pregnanza a quelle direttamente maturate presso l'amministrazione regionale sarda, la cui equiparazione risulta, pertanto, lesiva dei principi di parità di trattamento e di buon andamento dell'attività regionale desumibili agli artt. 3 e 97 Cost.

L'art. 2, comma 3, della legge reg. n. 17 del 2012 dev'essere, dunque, dichiarato illegittimo, con conseguente assorbimento della censura della medesima disposizione prospettata in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost.

9.- La questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, commi 1 e 2, della legge reg. Sardegna n. 13 del 2012, promossa in relazione all'art. 117, terzo comma, Cost., è fondata nei termini di seguito precisati.

Tali disposizioni sanciscono il prolungamento dei termini di durata dei contratti di lavoro a tempo determinato di cui all'art. 6, comma 8, della legge reg. Sardegna n. 16 del 2011, in quanto non rinnovati dalle soppresse Province sarde, prescrivendone la stipulazione immediata ad iniziativa dei dirigenti delle attuali gestioni provvisorie competenti in materia di personale.

A breve distanza dalla data di entrata in vigore della legge reg. n. 13 del 2012, questa Corte ha dichiarato illegittimo, in quanto lesivo del principio di coordinamento di finanza pubblica, l'art. 6, comma 8, della legge regionale n. 16 del 2011, là dove disponeva uno stanziamento per finanziare la stipulazione dei contratti a tempo determinato onde poter proseguire l'attività lavorativa del personale in servizio presso i Centri servizi per il lavoro (CSL), i Centri servizi inserimento lavorativo (CESIL) e le Agenzie di sviluppo locale. E ciò, proprio perché tale disposizione regionale non si atteneva al limite fissato dall'art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010 (sentenza n. 212 del 2012, già citata).

Il venir meno della norma che già autorizzava la stipulazione dei contratti a termine formanti oggetto del prescritto rinnovo non priva di attualità la questione in esame. La disposizione in questa sede impugnata, infatti, non fa altro che imporre alle gestioni provvisorie delle Province soppresse il sostanziale rinnovo dei contratti («a tempo determinato per la prosecuzione dell'attività lavorativa del personale in servizio [presso CSL, CESIL e Agenzie di sviluppo locale] alla data di promulgazione della legge regionale n. 3 del 2008», come recitava il caducato art. 6, comma 8, cit.) che, alla data di approvazione della legge reg. n. 13 del 2012, le amministrazioni provinciali non avessero ancora concluso.

Pertanto, avendo già questa Corte ravvisato l'illegittimità della norma che aveva rimesso alle Province la stipulazione di tali rinnovi contrattuali (con la conseguenza della sopravvenuta invalidità di quelli sottoscritti nelle more), altrettanto deve dirsi della norma in esame, che ribadisce un ulteriore prolungamento della loro durata presso le gestioni provvisorie. E ciò, sempre per violazione dell'art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, pacificamente riconosciuto nella giurisprudenza di questa Corte come principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica (a partire dalla sentenza n. 173 del 2012).

Tanto basta per dichiarare l'illegittimità dell'art. 3 della legge reg. Sardegna n. 13 del 2012.

10.- Per le medesime ragioni è fondata, altresì, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012, che ha esteso agli operatori di tutela ambientale già in servizio presso le amministrazioni provinciali le disposizioni dell'art. 3 della legge reg. n. 13 del 2012. E ciò perché, al pari della predetta norma, e per gli stessi vizi denunciati a suo carico (il che giustifica in tale contesto la sostanziale ripetizione dei motivi di censura a suo tempo enunciati avverso il citato art. 3), la disposizione in oggetto viola l'art. 117, terzo comma, Cost., con l'interposizione del principio fondamentale di coordinamento di finanza pubblica di cui all'art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010.

L'obiezione della difesa regionale secondo cui, trattandosi di contratti scaduti nel biennio 2011-2012, la resistente si sarebbe già attenuta (fino a prova contraria) al limite di spesa di fonte statale, non regge. All'opposto, proprio perché la legge regionale non prevede chiaramente il rispetto del limite di spesa imposto dal legislatore statale a decorrere dal 2011 (e quindi anche per gli anni successivi), è la Regione autonoma Sardegna che avrebbe dovuto fornire adeguati elementi di riscontro all'asserita osservanza di essi.

Peraltro, per gli enti locali (comprese le Province) il vincolo finanziario in oggetto è stato introdotto con l'integrazione apportata al sopra richiamato art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010 dall'art. 4, comma 102, della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge di stabilità 2012), che è entrata in vigore il 1° gennaio 2012 (art. 36). Sicché, non v'è alcuna garanzia che la spesa del 2011 relativa ai contratti di lavoro in oggetto presso gli enti provinciali fosse già stata spontaneamente contenuta nei limiti stabiliti dalla norma statale menzionata.

Va, quindi, dichiarata l'illegittimità costituzionale, altresì, dell'art. 2, comma 5, della legge reg. n. 17 del 2012.

11.- Anche la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012, che ha introdotto il nuovo disposto dell'art. 6, comma 8, della legge reg. n. 16 del 2011, è fondata, per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost.

Con la più volte citata sentenza n. 212 del 2012 questa Corte ha dichiarato illegittimo, in quanto lesivo del principio di coordinamento di finanza pubblica, l'art. 6, comma 8, della legge regionale n. 16 del 2011, là dove disponeva uno stanziamento per finanziare la stipulazione dei contratti a tempo determinato per la prosecuzione dell'attività lavorativa del personale in servizio presso i Centri servizi per il lavoro, i Centri servizi inserimento lavorativo e le Agenzie di sviluppo locale. E ciò perché tale disposizione regionale non richiamava e, quindi, non considerava il tetto di spesa fissato dall'art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010.

Orbene, neppure la nuova formulazione dell'art. 6, comma 8, della legge reg. n. 16 del 2011, quale risulta dalla disposizione in esame, tiene conto del limite posto dall'art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010.

È pur vero che la lettera della norma impugnata, come rilevato dalla difesa regionale, differisce dal testo originario dello stesso art. 6, comma 8, già dichiarato illegittimo dalla Corte, che disponeva uno stanziamento direttamente inteso a finanziare la stipulazione dei contratti a tempo determinato per la prosecuzione dell'attività lavorativa del personale in servizio presso i CSL, i CESIL e le Agenzie di sviluppo locale. La differenza lessicale si coglie nel senso che, nel testo sostituito dall'ora censurato art. 1, comma 1, la spesa ivi prevista è collegata, in effetti, al più generico fine di garantire l'esercizio del servizio pubblico disciplinato dalla legge reg. n. 20 del 2005 al quale sono preposti i Centri servizi per il lavoro (CSL), i Centri servizi inserimento lavorativo (CESIL) e le Agenzie di sviluppo locale.

Milita, tuttavia, a favore della sussistenza del vizio denunciato anche a carico della nuova disposizione, il dato decisivo che la spesa stanziata è la stessa della norma previgente caducata e che essa incide anche stavolta sulle disponibilità recate dal fondo regionale per l'occupazione. Sicché, anche a prescindere dall'esposizione al sospetto di una (non espressamente denunciata) elusione del giudicato costituzionale, la norma impugnata non esclude e, dunque, consente che la spesa ivi autorizzata possa essere tuttora utilizzata per attingere lavoratori a termine o con altre tipologie di lavoro flessibile, ma una volta di più senza richiamare il rispetto del limite di cui all'art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010. In tale prospettiva, la possibilità che ne deriva alla Regione, di procedere ad assunzioni a tempo determinato comportanti una spesa superiore a quella massima stabilita dalla legislazione statale di principio, determina una patente violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost.

Pertanto, dev'essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge reg. n. 17 del 2012.

12.- Le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2012, invece, non sono fondate.

La norma impugnata, infatti, si limita ad ampliare ai contratti di lavoro autonomo le tipologie degli incarichi per prestazioni d'opera intellettuale che i gruppi consiliari possono affidare, per oggetti determinati e durata non superiore a quella della legislatura, senza con ciò incrementarne il numero e il costo. Così intesa, non si tratta di una norma di spesa, ma di organizzazione (sentenza n. 7 del 2011), ergo rientrante nella materia dell'«ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale», di competenza esclusiva della Regione ai sensi dell'art. 3, comma l, lettera a), dello statuto speciale. In tale prospettiva, oltre tutto, la norma in oggetto si presta ad un'interpretazione rigorosamente aderente ai vincoli posti dall'art. 117, terzo comma, Cost., con l'interposizione dell'art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, e dall'art. 81, quarto comma, Cost.

In buona sostanza, la prevista utilizzazione dei professionisti intellettuali con contratti di lavoro autonomo (e non più, come in passato, soltanto con incarichi libero-professionali), è sì possibile, ma solo nell'implicito e doveroso rispetto dei limiti posti dal legislatore statale con l'art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010 e, dunque, a parità di spesa complessiva, donde l'insussistenza del dedotto contrasto con i parametri costituzionali evocati.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2 della legge della Regione autonoma Sardegna 26 giugno 2012, n. 13 (Rimodulazione del quadro degli interventi regionali a sostegno delle politiche del lavoro e disposizioni in materia di contratti a termine);

2) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 della legge della Regione autonoma Sardegna n. 13 del 2012;

3) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge della Regione autonoma Sardegna 13 settembre 2012, n. 17, recante «Finanziamento agli enti locali per il funzionamento dei Centri servizi per il lavoro (CSL), dei Centri servizi inserimento lavorativo (CESIL) e delle Agenzie di sviluppo locale e disposizioni varie»;

4) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, commi 1, 2, 3 e 5 della legge della Regione autonoma Sardegna n. 17 del 2012;

5) dichiara non fondate le questioni di legittimità dell'art. 6, comma 1, della legge della Regione autonoma Sardegna n. 17 del 2012, promosse, in riferimento agli articoli 117, terzo comma, e 81 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.


qui non dicono il contrario?
Rispondi

Da: ... ma07/02/2014 11:40:41
Lo dicono qui...
ORDINANZA DELLA CORTE (Ottava Sezione)

12 dicembre 2013 (*)

«Rinvio pregiudiziale - Articolo 99 del regolamento di procedura della Corte - Politica sociale - Direttiva 1999/70/CE- Clausola 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato - Settore pubblico - Successione di contratti - Abuso - Risarcimento del danno - Condizioni per il risarcimento in caso di apposizione illegale di un termine al contratto di lavoro - Principi di equivalenza ed effettività»

Nella causa Câ50/13,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, dal Tribunale ordinario di Aosta (Italia), con decisione del 3 gennaio 2013, pervenuta in cancelleria il 30 gennaio 2013, nel procedimento

Rocco Papalia

contro

Comune di Aosta,

LA CORTE (Ottava Sezione),

composta da C. G. Fernlund, presidente di sezione, A. " Caoimh (relatore) e C. Toader, giudici,

avvocato generale: J. Kokott

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

vista la decisione, adottata sentito l'avvocato generale, di statuire con ordinanza motivata, conformemente all'articolo 99 del regolamento di procedura della Corte,

ha emesso la seguente

Ordinanza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione della clausola 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l'«accordo quadro»), che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU L 175, pag. 43).

2        Questa domanda è stata presentata nell'ambito di una controversia tra il sig. Papalia e il Comune di Aosta, in merito al risarcimento del danno che detto ricorrente avrebbe sofferto a causa del ricorso abusivo, da parte del citato comune, alla stipula di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.

Contesto normativo

Diritto dell'Unione

3        La direttiva 1999/70 si basa sull'articolo 139, paragrafo 2, CE e, ai sensi del suo articolo 1, è diretta ad «attuare l'accordo quadro (â), che figura nell'allegato, concluso (â) fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale (CES, CEEP e UNICE)».

4        L'articolo 2, paragrafo 1, della citata direttiva stabilisce quanto segue:

«Gli Stati membri mettono in atto le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva [e] devono prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla presente direttiva (â)».

5        Conformemente alla clausola 1 dell'accordo quadro, l'obiettivo di quest'ultimo è, da un lato, migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione e, dall'altro, creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato.

6        La clausola 5 dell'accordo quadro così recita:

«1.      Per prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:

a)      ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;

b)      la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;

c)      il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.     

2.      Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:

a)      devono essere considerati "successivi";

b)      devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato».

Diritto italiano

7        L'articolo 36 del decreto legislativo del 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (Supplemento ordinario alla GURI n. 106, del 9 maggio 2001) (in prosieguo: il «d. lgs. n. 165/2001»), dispone quanto segue:

«1.      Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento previste dall'articolo 35.

2.      Per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti.  Ferma restando la competenza delle amministrazioni in ordine alla individuazione delle necessità organizzative in coerenza con quanto stabilito dalle vigenti disposizioni di legge, i contratti collettivi nazionali provvedono a disciplinare la materia dei contratti di lavoro a tempo determinato (...).

      (...)

5.      In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative (...)».

Procedimento principale e questione pregiudiziale

8        Il sig. Papalia ha lavorato alle dipendenze del Comune di Aosta, quale direttore della banda municipale, in base a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, stipulati ininterrottamente dal 1983.

9        Con lettera datata 17 luglio 2012, il Comune di Aosta ha informato il sig. Papalia del fatto che, a partire dal 30 giugno 2012, data di scadenza del suo ultimo contratto di lavoro a tempo determinato, esso intendeva porre termine al loro rapporto di lavoro.

10      Il sig. Papalia ha proposto ricorso avverso questa decisione dinanzi al Tribunale ordinario di Aosta chiedendo, oltre all'accertamento dell'illegalità del termine apposto al contratto di lavoro, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e, in subordine, il risarcimento del danno che egli ritiene di aver subito a causa dell'utilizzo abusivo, da parte del suo ex datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.

11      Il Tribunale ordinario di Aosta constata che un lavoratore, illegalmente assunto nel pubblico impiego in base a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, non solo non ha diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in applicazione dell'articolo 36, quinto comma, del d. lgs. n. 165/2001, ma, in forza di una giurisprudenza consolidata della Corte suprema di cassazione italiana, può beneficiare del risarcimento del danno sofferto a causa di ciò solo qualora ne dimostri la concreta sussistenza. Una prova siffatta imporrebbe al ricorrente di essere in grado di dimostrare che egli abbia dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego.

12      Il giudice del rinvio si chiede se le disposizioni dell'articolo 36, quinto comma, del d. lgs. n. 165/2001 possano considerarsi tali da tutelare un lavoratore contro gli abusi derivanti dal ricorso a una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, e se queste stesse disposizioni siano compatibili con la clausola 5 dell'accordo quadro.

13      Alla luce di queste considerazioni, il Tribunale ordinario di Aosta ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se la direttiva 1999/70 (â) (articolo 1 nonché clausola 5 dell'allegato accordo quadro oltre ad ogni altra norma comunque connessa o collegata), debba essere intesa nel senso di consentire che il lavoratore assunto da un ente pubblico con contratto a tempo determinato in assenza dei presupposti dettati dalla normativa comunitaria predetta abbia diritto al risarcimento del danno soltanto se ne provi la concreta effettività, e cioè nei limiti in cui fornisca una positiva prova, anche indiziaria, ma comunque precisa, di aver dovuto rinunziare ad altre, migliori occasioni di lavoro».

Sulla questione pregiudiziale

14      Con la sua questione, il giudice del rinvio mira a determinare se l'accordo quadro debba essere interpretato nel senso che esso osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell'ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all'obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego.

15      Occorre constatare che la risposta a tali questioni può essere chiaramente dedotta dalla giurisprudenza, in particolare dalle sentenze del 4 luglio 2006, Adeneler e a. (Câ212/04, Racc. pag. Iâ6057, punti da 91 a 105); del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino (Câ53/04, Racc. pag. 1â7213, punti da 44 a 57); Vassallo (Câ180/04, Racc. pag. Iâ7251, punti da 33 a 42), e del 23 aprile 2009, Angelidaki e a. (da Câ378/07 a Câ380/07, Racc. pag. Iâ3071, punti 145 e da 182 a 190), nonché dalle ordinanze del 12 giugno 2008, Vassilakis e a. (Câ364/07, punti da 118 a 137); del 24 aprile 2009, Koukou (Câ519/08, punti da 82 a 91); del 23 novembre 2009, Lagoudakis e a. (da Câ162/08 a Câ164/08, punto 11), e del 1° ottobre 2010, Affatato (Câ3/10, punto 37), nell'ambito delle quali veniva sollevata una questione analoga. Del resto, le citate sentenze Marrosu e Sardino nonché Vassallo riguardano la medesima normativa nazionale in questione nel procedimento principale.

16      Da tale giurisprudenza discende che la clausola 5 dell'accordo quadro non stabilisce un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, così come non stabilisce nemmeno le condizioni precise alle quali si può fare uso di questi ultimi, lasciando agli Stati membri un certo margine di discrezionalità in materia (v. citate sentenze Adeneler e a., punto 91; Marrosu e Sardino, punto 47; Angelidaki e a., punti 145 e 183, nonché citate ordinanze Vassilakis e a., punto 121; Koukou, punto 85, e Affatato, punto 38).

17      Pertanto, affinché una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che vieta in modo assoluto, nel settore pubblico, la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato di una successione di contratti a tempo determinato, possa essere considerata conforme all'accordo quadro, l'ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve prevedere, in tale settore, un'altra misura effettiva per evitare, ed eventualmente sanzionare, l'utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato (v. citate sentenze Adeneler e a., punto 105; Marrosu e Sardino, punto 49; Vassallo, punto 34; Angelidaki e a., punti 161 e 184, nonché citate ordinanze Vassilakis e a., punto 123; Koukou, punti 67 e 86; Lagoudakis e a., punto 11, e Affatato, punto 42).

18      A questo proposito occorre ricordare che la clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro impone agli Stati membri, per prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, l'adozione effettiva e vincolante di almeno una fra le misure elencate in tale disposizione, in assenza di misure equivalenti nell'ordinamento nazionale (v. sentenze Adeneler e a., cit., punti 65, 80, 92 e 101; Marrosu e Sardino, cit., punto 50; Vassallo, cit., punto 35; del 15 aprile 2008, Impact, Câ268/06, Racc. pag. Iâ2483, punti 69 e 70, e Angelidaki e a., cit., punti 74 e 151, nonché citate ordinanze Vassilakis e a., punti 80, 103 e 124; Koukou, punto 53, e Affatato, punto 43).

19      Le misure così elencate al punto 1, lettere da a) a c), di detta clausola 5, in numero di tre, attengono, rispettivamente, a ragioni obiettive che giustificano il rinnovo di tali contratti o rapporti di lavoro, alla durata massima totale degli stessi contratti o rapporti di lavoro successivi ed al numero dei rinnovi di questi ultimi (v. citate sentenze Impact, punto 69, e Angelidaki e a., punto 74, nonché citate ordinanze Vassilakis e a., punto 80, Koukou, punto 54, e Affatato, punto 44).

20      Inoltre quando, come nel caso di specie, il diritto dell'Unione non prevede sanzioni specifiche nel caso in cui siano stati comunque accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure che devono rivestire un carattere non soltanto proporzionato, ma altresì sufficientemente effettivo e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in attuazione dell'accordo quadro (v. citate sentenze Adeneler e a., punto 94; Marrosu e Sardino, punto 51; Vassallo, punto 36, e Angelidaki e a., punto 158, nonché citate ordinanze Vassilakis e a., punto 125; Koukou, punto 64, e Affatato, punto 45).

21      Anche se, in assenza di una regolamentazione dell'Unione in materia, le modalità di attuazione di siffatte norme rientrano nell'ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell'autonomia procedurale di questi ultimi, esse non devono tuttavia essere meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza), né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione (principio di effettività) (v., in particolare, citate sentenze Adeneler e a., punto 95; Marrosu e Sardino, punto 52; Vassallo, punto 37, e Angelidaki e a., punto 159, nonché citate ordinanze Vassilakis e a., punto 126; Koukou, punto 65, e Affatato, punto 46).

22      Ne consegue che, quando si è verificato un ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso ed eliminare le conseguenze della violazione del diritto dell'Unione. Infatti, secondo i termini stessi dell'articolo 2, primo comma, della direttiva 1999/70, gli Stati membri devono «prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla [detta] direttiva» (v. citate sentenze Adeneler e a., punto 102; Marrosu e Sardino, punto 53; Vassallo, punto 38, e Angelidaki e a., punto 160, nonché citate ordinanze Vassilakis e a., punto 127; Koukou, punto 66, e Affatato, punto 47).

23      A questo proposito, il sig. Papalia sostiene che l'unica forma di tutela esistente per i lavoratori del settore pubblico assunti con contratto a durata determinata in Italia sarebbe il risarcimento del danno sofferto, dato che l'articolo 35, quinto comma, del d. lgs. n. 165/2001 prevederebbe un diritto alla riqualificazione di un contratto a durata determinata in un contratto a durata indeterminata solo a beneficio dei lavoratori del settore privato. Ebbene, secondo l'interpretazione elaborata dalla Corte suprema di cassazione, per un lavoratore del settore pubblico sarebbe impossibile fornire le prove richieste dal diritto nazionale al fine di ottenere un siffatto risarcimento del danno, poiché gli si imporrebbe di fornire, segnatamente, la prova della perdita di opportunità di lavoro e quella del conseguente lucro cessante. Una prova siffatta non sarebbe imposta dalla giurisprudenza della Corte, la quale preciserebbe soltanto che il danno risarcibile a causa della violazione di una norma contenuta nella direttiva 1999/70 deve derivare immediatamente e direttamente dalla violazione delle norme finalizzate alla tutela dei lavoratori precari.

24      Per parte sua, il governo italiano sottolinea, segnatamente, che le misure che il diritto nazionale deve prevedere per prevenire e punire gli abusi ai sensi della clausola 5 dell'accordo quadro non dovrebbero presentare difficoltà eccessive di attuazione, ma dovrebbero risarcire adeguatamente il danno sofferto e avere un effetto dissuasivo, in modo da non essere meno favorevoli delle sanzioni applicabili a situazioni analoghe di natura interna. Al momento, il giudice nazionale non avrebbe effettuato nessuna di queste verifiche.

25      Come già sottolineato nel punto 21 della presente ordinanza, l'accordo quadro dev'essere interpretato nel senso che le misure previste da una normativa nazionale, quale quella in questione nel procedimento principale, destinata a punire l'uso abusivo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, non devono essere meno favorevoli di quelle disciplinanti situazioni analoghe di natura interna né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento dell'Unione (v., in tal senso, ordinanza Affatato, cit., punto 63).

26      A questo proposito, dalla decisione di rinvio si evince che la normativa interna in questione nel procedimento principale, nell'interpretazione datane dalla Corte suprema di cassazione, pare che imponga che un lavoratore del settore pubblico, quale il sig. Papalia, il quale desideri ottenere il risarcimento del danno sofferto, nell'ipotesi di utilizzo abusivo, da parte del suo ex datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, non goda di nessuna presunzione d'esistenza di un danno e, di conseguenza, debba dimostrare concretamente il medesimo. Secondo il giudice del rinvio, una prova siffatta, quanto all'interpretazione seguita nell'ordinamento nazionale, richiederebbe che il ricorrente sia in condizioni di provare che il proseguimento del rapporto di lavoro, in base a una successione di contratti a tempo determinato, l'abbia indotto a dover rinunciare a migliori opportunità di impiego.

27      Il governo italiano, nelle osservazioni scritte da esso presentate alla Corte, nega la rilevanza di un'interpretazione siffatta. Esso sostiene che nell'ordinamento nazionale il lavoratore del settore pubblico può provare con presunzioni l'esistenza del danno che egli ritenga di aver sofferto a causa dell'utilizzo abusivo, da parte del suo ex datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato e può invocare, in tale cornice, elementi gravi, precisi e concordanti i quali, benché non possano essere qualificati come prova compiuta, potrebbero tuttavia fondare il convincimento del giudice riguardo all'esistenza di un danno siffatto. Il governo italiano sottolinea anche la circostanza che la prova in tal modo richiesta non sarebbe tale da privare detto lavoratore della possibilità di ottenere il risarcimento del suo danno.

28      Occorre ricordare che la Corte deve prendere in considerazione, nell'ambito della ripartizione delle competenze tra i giudici comunitari e i giudici nazionali, il contesto in fatto e in diritto nel quale si inseriscono le questioni pregiudiziali, come definito dal giudice del rinvio (v., segnatamente, sentenza del 4 dicembre 2008, Jobra, Câ330/07, Racc. pag. Iâ9099, punto 17 e giurisprudenza ivi citata). Di conseguenza, l'esame della presente questione pregiudiziale dev'essere effettuato alla luce dell'interpretazione del diritto nazionale fornita dal giudice del rinvio (v., per analogia, sentenze del 9 novembre 2006, Chateignier, Câ346/05, Racc. pag. Iâ10951, punto 22; Angelidaki e a., cit., punto 51, nonché del 29 ottobre 2009, Pontin, Câ63/08, Racc. pag. Iâ10467, punto 38).

29      Per quanto concerne il rispetto del principio di effettività, che è particolarmente evidenziato dalla questione proposta dal giudice del rinvio, dalla giurisprudenza della Corte si evince che accertare se una norma nazionale di procedura renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti attribuiti ai cittadini dal diritto dell'Unione implica un'analisi, che tenga conto della collocazione della norma in questione nel complesso della procedura nonché dello svolgimento e delle particolarità che presenta quest'ultima nei diversi gradi di giudizio nazionali. Sotto tale profilo, si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (v. sentenze del 21 febbraio 2008, Tele2 Telecommunication, Câ426/05, Racc. pag. Iâ685, punto 55 e giurisprudenza ivi citata, nonché Pontin, cit., punto 47).

30      Peraltro, spetta al giudice del rinvio, l'unico competente a pronunciarsi sull'interpretazione del diritto interno, valutare in che misura le disposizioni di tale diritto miranti a punire il ricorso abusivo, da parte della pubblica amministrazione, a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato rispettino i principi di effettività ed equivalenza (v., in tal senso, citata ordinanza Affatato, punto 60).

31      Tuttavia, la Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, può, se necessario, fornire precisazioni dirette a guidare il giudice nazionale nella sua decisione (v. sentenze Marrosu e Sardino, cit., punto 54; Vassallo, cit., punto 39, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 143).

32      Nel caso di specie, secondo la decisione di rinvio, la prova richiesta in diritto nazionale può rivelarsi difficilissima, se non quasi impossibile da produrre da parte di un lavoratore quale il sig. Papalia. Pertanto, non si può escludere che questa prescrizione sia tale da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio, da parte di questo lavoratore, dei diritti attribuitigli dall'ordinamento dell'Unione e, segnatamente, del suo diritto al risarcimento del danno sofferto, a causa dell'utilizzo abusivo, da parte del suo ex datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.

33      Spetta al giudice nazionale procedere alle verifiche del caso. In tale cornice, è suo compito anche esaminare in che misura, ammesso che risultino provate, le affermazioni del governo italiano, richiamate nel punto 27 della presente ordinanza, possano agevolare quest'onere della prova e, di conseguenza, incidere sull'analisi concernente il rispetto del principio di effettività in una controversia quale quella di cui al procedimento principale.

34      In considerazione di quanto sin qui esposto, occorre risolvere la questione proposta dichiarando che l'accordo quadro deve essere interpretato nel senso che esso osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell'ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all'obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego, se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall'ordinamento dell'Unione.

35      Spetta al giudice del rinvio valutare in che misura le disposizioni di diritto nazionale volte a sanzionare il ricorso abusivo, da parte della pubblica amministrazione, a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato siano conformi a questi principi.

Sulle spese

36      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Ottava Sezione) dichiara:

L'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev'essere interpretato nel senso che esso osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell'ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all'obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego, se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall'ordinamento dell'Unione.

Spetta al giudice del rinvio valutare in che misura le disposizioni di diritto nazionale volte a sanzionare il ricorso abusivo, da parte della pubblica amministrazione, a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato siano conformi a questi principi.

Firme
Rispondi

Da: ... ma07/02/2014 11:41:54
e anche qui....
SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

12 dicembre 2013 (*)

«Politica sociale - Direttiva 1999/70/CE - Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato - Principio di non discriminazione - Nozione di "condizioni di lavoro" - Normativa nazionale che prevede un regime di risarcimento del danno in caso di illecita apposizione di un termine al contratto di lavoro diverso da quello applicabile all'illecita interruzione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato»

Nella causa Câ361/12,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, dal Tribunale di Napoli (Italia), con decisione del 13 giugno 2012, pervenuta in cancelleria il 31 luglio 2012, nel procedimento

Carmela Carratù

contro

Poste Italiane SpA,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta da M. Ilešič, presidente di sezione, C.G. Fernlund, A. " Caoimh, C. Toader (relatore) e E. Jaraši«nas, giudici,

avvocato generale: N. Wahl

cancelliere: L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all'udienza del 5 giugno 2013,

considerate le osservazioni presentate:

-        per C. Carratù, da A. Cinquegrana e V. De Michele, avvocati;

-        per Poste Italiane SpA, da R. Pessi, A. Maresca, L. Fiorillo e G. Proia, avvocati;

-        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da C. Gerardis, avvocato dello Stato;

-        per il governo polacco, da B. Majczyna e M. Szpunar, in qualità di agenti;

-        per la Commissione europea, da C. Cattabriga e M. van Beek, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 26 settembre 2013,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione della clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l'«accordo quadro»), inserito in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU L 175, pag. 43) (in prosieguo: la «direttiva 1999/70»), del principio di tutela giurisdizionale effettiva, quale definito all'articolo 6 TUE, letto in combinato disposto con gli articoli 47 e 52, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e con l'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), nonché dei principi generali del diritto dell'Unione quali il principio della certezza del diritto, il principio di equivalenza e il principio della tutela del legittimo affidamento.

2        Tale domanda è stata presentata nell'ambito di una controversia fra la sig.ra Carratù e Poste Italiane SpA (in prosieguo: «Poste Italiane») relativamente all'apposizione di un termine al contratto di lavoro posto in essere con quest'ultima.

Contesto normativo

Normativa dell'Unione

3        Le clausole 1, 4, 5 e 8 dell'accordo quadro sono formulate come segue:

«Obiettivo (clausola 1)

L'obiettivo del presente accordo quadro è:

a)      migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione;

b)      creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato.

(...)

Principio di non discriminazione (clausola 4)

1.      Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.

2.      Se del caso, si applicherà il principio del pro rata temporis.

3.      Le disposizioni per l'applicazione di questa clausola saranno definite dagli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o dalle parti sociali stesse, viste le norme comunitarie e nazionali, i contratti collettivi e le prassi nazionali.

4.      I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive.

Misure di prevenzione degli abusi (clausola 5)

1.      Per prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:

a)      ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;

b)      la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;

c)      il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.

2.      Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:

a)      devono essere considerati "successivi";

b)      devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato.

(...)

Disposizioni di attuazione (clausola 8)

1.      Gli Stati membri e/o le parti sociali possono mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli per i lavoratori di quelle stabilite nel presente accordo.

(...)».

Diritto italiano

4        Con il titolo «Decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato», l'articolo 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Supplemento ordinario alla GURI n. 262, del 9 novembre 2010; in prosieguo: la «legge n. 183/2010»), così prevede:

«1.      Il primo e il secondo comma dell'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604 [recante norme sui licenziamenti individuali, GURI n. 195, del 6 agosto 1966; in prosieguo: la "legge n. 604/1966"], sono sostituiti dai seguenti: "Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso. L'impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo".

2.      Le disposizioni di cui all'articolo 6 della [legge n. 604/1966], come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche a tutti i casi di invalidità del licenziamento.

3.      Le disposizioni di cui all'articolo 6 della [legge n. 604/1966], come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano inoltre: a) ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto; (â) d) all'azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 [recante attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES; GURI n. 235, del 9 ottobre 2001], e successive modificazioni [in prosieguo: il "decreto legislativo n. 368/2001"], con termine decorrente dalla scadenza del medesimo.

4.      Le disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche: a) ai contratti di lavoro a termine stipulati ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del [decreto legislativo n. 368/2001] in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla scadenza del termine; b) ai contratti di lavoro a termine, stipulati anche in applicazione di disposizioni di legge previgenti al [decreto legislativo n. 368/2001] e già conclusi alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla medesima data di entrata in vigore della presente legge; (...)

5.      Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della [legge n. 604/1966].

(â)

7.      Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennità di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l'eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell'articolo 421 del codice di procedura civile».

5        Dall'ordinanza di rinvio risulta che la direttiva 1999/70 è stata trasposta nell'ordinamento italiano con il decreto legislativo n. 368/2001. Ai sensi dell'articolo 1 del citato decreto, l'utilizzo di un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato è autorizzato esclusivamente a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo e un contratto del genere si rivela invalido se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale siano specificate le ragioni. Copia dell'atto scritto deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro cinque giorni lavorativi dall'inizio della prestazione.

6        L'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 - Statuto dei lavoratori (GURI n. 131, del 27 maggio 1970), è così formulato:

«(â) Il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della [legge n. 604/1966] o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. (â)

Il giudice con la sentenza (â) condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l'inefficacia o l'invalidità stabilendo un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell'effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto.

Fermo restando il diritto al risarcimento del danno (â), al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell'indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti.

La sentenza pronunciata nel giudizio (â) è provvisoriamente esecutiva».

7        La legge n. 604/1966 reca disposizioni in materia di licenziamenti individuali nell'ambito del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Ai sensi dell'articolo 8 della summenzionata legge:

«Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

8        La sig.ra Carratù è stata assunta da Poste Italiane per lavorare presso il Polo Corrispondenza Campania con mansioni di «addetta CMP [Centro Meccanizzazione Postale] Junior», con contratto a tempo determinato per il periodo dal 4 giugno al 15 settembre 2004. Il contratto, firmato dalla sola ricorrente il 4 giugno 2004, le è stato restituito, con la sottoscrizione di Poste Italiane, il 15 giugno 2004.

9        L'apposizione del termine al contratto era giustificata, in applicazione dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 368/2001, dall'esigenza di provvedere alla sostituzione del personale assente nel periodo delle vacanze estive.

10      Il 21 settembre 2004, con lettera raccomandata, la sig.ra Carratù si era messa a disposizione di Poste Italiane. Ritenendo la sua assunzione a tempo determinato illecita e priva di effetti poiché il contratto era stato firmato e restituito dal datore di lavoro soltanto il 15 giugno 2004, la sig.ra Carratù, dopo aver avviato senza successo la procedura di conciliazione, ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro. Ella contesta l'utilizzo di un contratto di lavoro a tempo determinato, dal momento che questo non sarebbe compreso nel novero dei casi previsti dal decreto legislativo n. 368/2001 e, in particolare, tale contratto sarebbe stato concluso senza indicare l'identità dei lavoratori da sostituire, né la durata della loro assenza né tantomeno il tipo specifico di ragioni sostitutive. Di conseguenza, ella domanda la riqualificazione del suo contratto di lavoro a tempo determinato in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, la reintegrazione nel suo posto di lavoro a seguito di tale riqualificazione nonché il pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate.

11      Poste Italiane sostiene che motivi reali, attinenti a esigenze di sostituzione, giustificavano l'utilizzo di un contratto a tempo determinato per l'assunzione della sig.ra Carratù. In ogni caso, la menzionata società contesta l'esistenza di un diritto in capo alla ricorrente del procedimento principale al versamento di retribuzioni relativamente al periodo anteriore alla proposizione della domanda dinanzi al giudice del rinvio, potendo l'interessata al più vantare una richiesta indennitaria.

12      Con sentenza parziale del 25 gennaio 2012 il giudice del rinvio ha constatato che un contratto a tempo indeterminato univa la ricorrente a Poste Italiane a partire dal 4 giugno 2004. Il Tribunale di Napoli deve tuttavia ancora pronunciarsi sulle conseguenze sotto il profilo della retribuzione dell'annullamento del contratto a tempo determinato e determinare l'importo dell'indennità risarcitoria dovuta al lavoratore illecitamente assunto a tempo determinato.

13      In proposito il giudice del rinvio rileva una certa contraddizione fra, da un lato, il regime di indennità previsto dalla legge n. 183/2010 e, dall'altro, l'ordinario strumento risarcitorio, previsto per ogni altro settore del diritto civile. Difatti l'articolo 32, comma 5, della menzionata legge stabilisce, a favore del lavoratore illecitamente assunto a tempo determinato, un'indennità nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge n. 604/1966.

14      Ad avviso del giudice del rinvio, un siffatto regime risarcitorio sarebbe alquanto penalizzante per il lavoratore a tempo determinato in quanto, a prescindere dalla durata del procedimento e dal momento in cui sia reintegrato nel suo posto di lavoro, questi non potrà percepire un'indennità superiore a 12 mensilità al massimo. Sotto questo profilo, il lavoratore illecitamente assunto a tempo determinato fruirebbe di una tutela meno favorevole rispetto a quella prevista in base ai principi del diritto civile nonché di quella riservata al lavoratore assunto a tempo indeterminato licenziato illecitamente il quale, nei casi previsti dall'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, ha diritto al versamento di un'indennità commisurata al lasso di tempo trascorso dal giorno del licenziamento illecito sino a quello dell'effettiva reintegrazione nel posto di lavoro.

15      Alla luce di tali considerazioni il giudice del rinvio si interroga sulla compatibilità della menzionata interpretazione dell'articolo 32, comma 5, della legge n. 183/2010 con i principi di effettività e di equivalenza della tutela garantita al lavoratore assunto a tempo determinato che incombe agli Stati membri rispettare in osservanza della direttiva 1999/70, nonché con il diritto fondamentale ad una tutela giurisdizionale effettiva, sancito dagli articoli 47 della Carta e 6 della CEDU.

16      È in tale contesto che il Tribunale di Napoli ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se sia contrari[a] al principio di equivalenza una disposizione di diritto interno che, nella applicazione della direttiva 1999/70/CE, preveda conseguenze economiche, in ipotesi di illegittima sospensione nella esecuzione del contratto di lavoro, con clausola appositiva del termine nulla, diverse e sensibilmente inferiori rispetto [alle] ipotesi di illegittima sospensione nella esecuzione del contratto di diritto civile comune, con clausola appositiva del termine nulla.

2)      Se sia conforme all'ordinamento europeo che, nell'ambito di sua applicazione, la effettività di una sanzione avvantaggi il datore di lavoro abusante, a danno del lavoratore abusato, di modo che la durata temporale, anche fisiologica, del processo danneggi direttamente il lavoratore a vantaggio del datore di lavoro e che l'efficacia ripristinatoria sia proporzionalmente ridotta all'aumentare della durata del processo, sin quasi ad annullarsi.

3)      Se, nell'ambito di applicazione dell'ordinamento europeo ai sensi dell'articolo 51 della [Carta], sia conforme all'articolo 47 della Carta ed all'articolo 6 CEDU che la durata temporale, anche fisiologica, del processo danneggi direttamente il lavoratore a vantaggio del datore di lavoro e che l'efficacia ripristinatoria sia proporzionalmente ridotta all'aumentare della durata del processo, sin quasi ad annullarsi.

4)      Se, tenuto conto delle esplicazioni di cui all'articolo 3, [paragrafo] l, lett[era] c), della direttiva 2000/78/CE [del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303, pag. 16)], ed all'articolo 14, [paragrafo] 1, lett[era] c), della direttiva 2006/54/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU L 204, pag. 23)], nella nozione di condizioni di impiego di cui alla clausola 4 dell'[accordo quadro] siano comprese anche le conseguenze dell'illegittima interruzione del rapporto di lavoro.

5)      In ipotesi di risposta positiva al quesito che precede, se la diversità tra le conseguenze ordinariamente previste nell'ordinamento interno per la illegittima interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed a tempo determinato siano giustificabili ai sensi della clausola 4.

6)      Se i principi generali del vigente diritto [dell'Unione] della certezza del diritto, della tutela del legittimo affidamento, dell'uguaglianza delle armi del processo, dell'effettiva tutela giurisdizionale, [del diritto] a un tribunale indipendente e, più in generale, a un equo processo, garantiti dall'articolo 6, [paragrafo 2, UE] (così come modificato dall'articolo 1[, paragrafo] 8, del Trattato di Lisbona e al quale fa rinvio l'articolo 46 [UE]) - in combinato disposto con l'articolo 6 della [CEDU] e con gli articoli 46, 47 e 52, [paragrafo] 3, della [Carta] - debbano essere interpretati nel senso di ostare all'emanazione da parte dello Stato italiano, dopo un arco temporale apprezzabile (9 anni), di una disposizione normativa, quale il comma 7 dell'articolo 32 della legge n. 183/10[, che] alteri le conseguenze dei processi in corso danneggiando direttamente il lavoratore a vantaggio del datore di lavoro e che l'efficacia ripristinatoria sia proporzionalmente ridotta all'aumentare della durata del processo, sin quasi ad annullarsi.

7)      Ove la Corte di Giustizia non dovesse riconoscere ai principi esposti la valenza di principi fondamentali dell'ordinamento dell'Unione europea ai fini di una loro applicazione orizzontale e generalizzata e quindi la sola (â) contrarietà di una disposizione, quale l'articolo 32, [commi] da 5 a 7, della legge n. 183/10, agli obblighi di cui alla direttiva 1999/70/CE e [alla Carta,] se una società, quale [la convenuta,] debba ritenersi organismo statale, ai fini della diretta applicazione verticale ascendente del diritto europeo ed, in particolare, della clausola 4 dell['accordo quadro] e della [Carta]».

Sulle domande della sig.ra Carratù presentate dopo la chiusura della fase orale

17      Con domanda del 14 ottobre 2013, pervenuta alla cancelleria della Corte il 6 novembre seguente, la sig.ra Carratù, in seguito alle conclusioni dell'avvocato generale pronunciate il 26 settembre 2013, ha chiesto, in via principale, sulla base dell'articolo 83 del regolamento di procedura della Corte, la riapertura della fase orale, facendo valere la possibilità che la Corte non sia sufficientemente edotta, la sopravvenienza di fatti nuovi e la probabilità che la causa sia decisa in base ad argomenti che non sono stati oggetto di discussione tra le parti. In subordine, la sig.ra Carratù ha invitato la Corte, sulla base dell'articolo 101, paragrafo 1, del regolamento di procedura, a chiedere chiarimenti al giudice del rinvio. Infine, in via ulteriormente subordinata, la sig.ra Carratù ha chiesto che le parti nella causa D'Aniello e a. (Câ89/13), pendente dinanzi alla Corte, siano autorizzate a presentare osservazioni nella presente causa.

18      È d'uopo ricordare, in primo luogo, che la Corte può, d'ufficio o su proposta dell'avvocato generale, ovvero su domanda delle parti, riaprire la fase orale del procedimento, ai sensi dell'articolo 83 del regolamento di procedura, qualora ritenga di non avere sufficienti chiarimenti o che la causa debba essere decisa sulla base di un argomento che non sia stato oggetto di discussione tra le parti (sentenza dell'11 aprile 2013, Novartis Pharma, Câ535/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).

19      In secondo luogo, ai sensi dell'articolo 252, secondo comma, TFUE, l'avvocato generale ha il compito di presentare pubblicamente, con assoluta imparzialità e in piena indipendenza, conclusioni motivate sulle cause che, conformemente allo Statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea, richiedono il suo intervento. Nell'esercizio di tale funzione egli può certamente, se del caso, analizzare una domanda di pronuncia pregiudiziale ricollocandola in un contesto più ampio rispetto a quello strettamente definito dal giudice del rinvio o dalle parti del procedimento principale. Dato che la Corte non è vincolata né dalle conclusioni dell'avvocato generale né dalla motivazione sulla quale esse sono basate, non è indispensabile riaprire la fase orale, conformemente all'articolo 83 del regolamento di procedura, ogniqualvolta l'avvocato generale sollevi una questione di diritto che non sia stata oggetto di discussione tra le parti (sentenza Novartis Pharma, cit., punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

20      Nel caso di specie, da un lato, la domanda di pronuncia pregiudiziale non richiede affatto di essere decisa sulla base di argomenti che non siano stati oggetto di discussione fra le parti. D'altro lato, la domanda di chiarimenti presentata dalla sig.ra Carratù è priva di rilievo in quanto il giudice del rinvio ha correttamente illustrato il quadro normativo nazionale, punto che non ha sollevato la minima contestazione nelle osservazioni presentate alla Corte. Infine, dal momento che le cause Câ361/12 e Câ89/13 non sono state riunite, lo Statuto della Corte ed il regolamento di procedura della stessa non prevedono l'eventualità di sentire, nel corso dell'esame di una causa, parti di un'altra causa. Ciò posto, la Corte è sufficientemente edotta per pronunciarsi sulla domanda in parola.

21      Di conseguenza, sentito l'avvocato generale, occorre respingere le domande della sig.ra Carratù quali ricordate al punto 17 della presente sentenza.

Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

22      Poste Italiane ritiene che le questioni sottoposte dal giudice del rinvio siano irricevibili, in quanto, da un lato, quest'ultimo non avrebbe individuato i criteri sulla cui base la Corte possa fondare la propria valutazione e, dall'altro, la disposizione nazionale in discussione nel procedimento principale, ossia l'articolo 32, commi da 5 a 7, della legge n. 183/2010, relativa al regime delle sanzioni applicabili alle ipotesi di illecita apposizione del termine ad un contratto di lavoro, non ricadrebbe nell'ambito della direttiva 1999/70. Tale direttiva, infatti, è stata trasposta nell'ordinamento interno italiano con il decreto legislativo n. 368/2001, mentre la disposizione controversa, entrata in vigore soltanto il 24 novembre 2010, sarebbe stata emanata per finalità e con scopi diversi rispetto alla necessità di attuazione della menzionata direttiva, ossia il regime sanzionatorio applicabile in ipotesi di illecita apposizione del termine al contratto di assunzione di un lavoratore dipendente, che non è in alcun modo disciplinato dalla direttiva di cui si discute.

23      È d'uopo innanzitutto ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, il rifiuto di quest'ultima di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile solo quando risulti manifestamente che l'interpretazione del diritto dell'Unione richiesta non ha alcuna relazione con la realtà o con l'oggetto della causa principale, quando il problema è di natura teorica o, ancora, quando la Corte non dispone degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (sentenza del 12 giugno 2008, Gourmet Classic, Câ458/06, Racc. pag. Iâ4207, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).

24      Nella fattispecie in esame appare difficilmente contestabile la circostanza che l'interpretazione del diritto dell'Unione richiesta dal giudice del rinvio risponde effettivamente ad una necessità oggettiva inerente alla soluzione di un contenzioso pendente dinanzi ad esso. Difatti, in primo luogo, il contratto di lavoro, trattandosi di un contratto a tempo determinato, rientra nell'ambito di applicazione materiale dell'accordo quadro e, in secondo luogo, il contenzioso pendente dinanzi al giudice del rinvio verte sulla comparabilità della situazione giuridica di una lavoratrice dipendente assunta a tempo determinato con quella dei lavoratori dipendenti assunti a tempo indeterminato.

25      Inoltre, si deve rilevare, come osservato dall'avvocato generale nel paragrafo 33 delle conclusioni, che la questione se la legge n. 183/2010 fosse intesa a trasporre la direttiva 1999/70 o meno non riguarda il problema della ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale.

26      Alla luce delle suesposte considerazioni, la domanda di pronuncia pregiudiziale deve essere dichiarata ricevibile.

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla settima questione

27      Con la settima questione, che occorre esaminare in primo luogo, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro debba essere interpretata nel senso che può essere fatta valere direttamente nei confronti di un ente pubblico, quale la convenuta nel procedimento principale.

28      È necessario precisare che la Corte ha già avuto occasione di dichiarare che la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro appare, sotto il profilo del suo contenuto, categorica e tanto precisa da poter essere invocata da un soggetto dell'ordinamento dinanzi ad un giudice nazionale (v. sentenza del 15 aprile 2008, Impact, Câ268/06, Racc. pag. Iâ2483, punto 68).

29      Occorre inoltre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, nel novero degli enti ai quali si possono opporre le norme di una direttiva idonee a produrre direttamente compare l'ente il quale, indipendentemente dalla sua forma giuridica, sia stato incaricato, con atto della pubblica autorità, di prestare, sotto il controllo di quest'ultima, un servizio di interesse pubblico e che disponga a questo scopo di poteri più ampi di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti tra privati (v. sentenza del 12 settembre 2013, Kuso, Câ614/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

30      Nella fattispecie in esame, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale e dalle osservazioni presentate alla Corte risulta che, come rilevato dall'avvocato generale nei paragrafi 106 e seguenti delle sue conclusioni, Poste Italiane è interamente posseduta dallo Stato italiano mediante il suo azionista unico, il Ministero dell'Economia e delle Finanze. Inoltre, essa è posta sotto il controllo dello Stato e della Corte dei Conti, un membro della quale siede nel consiglio di amministrazione.

31      Di conseguenza, si deve rispondere alla settima questione dichiarando che la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro deve essere interpretata nel senso che può essere fatta valere direttamente nei confronti di un ente pubblico, quale Poste Italiane.

Sulla quarta questione

32      Con la quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro debba essere interpretata nel senso che la nozione di «condizioni di lavoro» include l'indennità che un datore di lavoro è tenuto a versare ad un lavoratore a causa dell'apposizione illecita di un termine al contratto di lavoro.

33      Si deve ricordare che, in considerazione degli obiettivi perseguiti dall'accordo quadro, la clausola 4 di quest'ultimo dev'essere intesa nel senso che esprime un principio di diritto sociale dell'Unione che non può essere interpretato in modo restrittivo (sentenza del 22 dicembre 2010, Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres, Câ444/09 e Câ456/09, Racc. pag. Iâ14031, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).

34      Benché, come rilevato dall'avvocato generale nel paragrafo 37 delle sue conclusioni, le disposizioni dell'accordo quadro non definiscano espressamente la nozione di «condizioni di lavoro», la Corte ha già avuto l'opportunità di interpretare questa nozione di «condizioni di lavoro» ai sensi della clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, che figura in allegato alla direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU 1998, L 14, pag. 9), la quale è redatta in termini quasi identici a quelli della clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro.

35      La Corte, infatti, ha dichiarato che il criterio decisivo per determinare se una misura rientri nell'ambito delle «condizioni di lavoro», ai sensi della clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, è precisamente quello del criterio dell'impiego, ossia del rapporto di lavoro sussistente fra un lavoratore e il suo datore di lavoro (v., in tal senso, sentenza del 10 giugno 2010, Bruno e a., Câ395/08 e Câ396/08, Racc. pag. Iâ5119, punto 46).

36      Riguardo all'accordo quadro, detto ragionamento è applicabile alle indennità destinate a risarcire l'utilizzo illecito di un contratto a tempo determinato.

37      È, infatti, pacifico che una siffatta indennità è corrisposta ad un lavoratore a causa del rapporto di lavoro che lo lega al suo datore di lavoro. Dal momento che è dunque versata a causa dell'impiego, essa rientra nella nozione di «condizioni di lavoro».

38      Si deve pertanto rispondere alla quarta questione dichiarando che la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro deve essere interpretata nel senso che la nozione di «condizioni di lavoro» include l'indennità che un datore di lavoro è tenuto a versare ad un lavoratore a causa dell'illecita apposizione di un termine al contratto di lavoro.

Sulla quinta questione

39      Con la quinta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro debba essere interpretata nel senso che impone di trattare in maniera identica l'indennità corrisposta in caso di apposizione illecita di un termine ad un contratto di lavoro e quella versata in caso di illecita interruzione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

40      In via preliminare, è d'uopo ricordare che, ai sensi della clausola 1, lettera a), dell'accordo quadro, uno degli obiettivi di quest'ultimo è di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato, garantendo il rispetto del principio di non discriminazione. Del pari, il preambolo di detto accordo quadro precisa, al suo terzo comma, che esso «indica la volontà delle parti sociali di stabilire un quadro generale che garantisca la parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato, proteggendoli dalle discriminazioni». Il considerando 14 della direttiva 1999/70 indica a tal fine che l'obiettivo dell'accordo quadro consiste, in particolare, nel miglioramento della qualità del lavoro a tempo determinato, fissando requisiti minimi atti a garantire l'applicazione del principio di non discriminazione (sentenza Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres, cit., punto 47).

41      L'accordo quadro, segnatamente la sua clausola 4, mira a dare applicazione a tale principio nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, al fine di impedire che un rapporto di impiego di tale natura venga utilizzato da un datore di lavoro per privare questi lavoratori di diritti riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato (sentenza del 13 settembre 2007, Del Cerro Alonso, Câ307/05, Racc. pag. Iâ7109, punto 37).

42      Tuttavia, come risulta dalla formulazione letterale stessa della clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro, la parità di trattamento non si applica fra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato non comparabili.

43      Di conseguenza, per valutare se l'indennità corrisposta in caso di illecita apposizione di un termine ad un contratto di lavoro a tempo determinato e quella versata in caso di illecita interruzione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato debba essere determinata in modo identico, occorre innanzitutto verificare se sia possibile ritenere che gli interessati si trovino in situazioni comparabili (v., per analogia, sentenza del 18 ottobre 2012, Valenza e a., da Câ302/11 a Câ305/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 42 nonché giurisprudenza ivi citata).

44      Orbene, si deve constatare che una di queste indennità è corrisposta in una situazione che è considerevolmente diversa da quella che dà luogo al versamento dell'altra indennità. La prima indennità, infatti, riguarda lavoratori il cui contratto è stato stipulato in modo irregolare, mentre la seconda riguarda lavoratori licenziati.

45      Ne consegue che la parità di trattamento fra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato comparabili, quale imposta dalla clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro, non trova applicazione in una controversia come quella oggetto del procedimento principale.

46      Ciò nondimeno va precisato che la clausola 8, punto 1, dell'accordo quadro dispone che «[g]li Stati membri e/o le parti sociali possono mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli per i lavoratori di quelle stabilite nel presente accordo».

47      Più specificamente, se la formulazione della clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro non consente di ritenere che l'indennità che sanziona l'illecita apposizione di un termine ad un contratto di lavoro e quella corrispondente all'interruzione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato si riferiscano a lavoratori che si trovano in situazioni comparabili, dal combinato disposto delle summenzionate clausole 4, punto 1, e 8, punto 1, risulta che queste legittimano gli Stati membri che lo desiderino a introdurre disposizioni più favorevoli ai lavoratori a tempo determinato e, pertanto, ad assimilare, in un'ipotesi come quella in discussione nel procedimento principale, le conseguenze economiche della illecita conclusione di un contratto di lavoro a tempo determinato a quelle che possono derivare dalla illecita interruzione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

48      Di conseguenza, è d'uopo rispondere alla quinta questione dichiarando che, sebbene l'accordo quadro non osti a che gli Stati membri introducano un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dall'accordo stesso per i lavoratori a tempo determinato, la clausola 4, punto 1, di detto accordo quadro deve essere interpretata nel senso che non impone di trattare in maniera identica l'indennità corrisposta in caso di illecita apposizione di un termine ad un contratto di lavoro e quella versata in caso di illecita interruzione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Sulle questioni prima, seconda, terza e sesta

49      Considerata la soluzione fornita alla quarta e alla quinta questione, non è necessario pronunciarsi sulle questioni prima, seconda, terza e sesta.

Sulle spese

50      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:

1)      La clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, inserito in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che può essere fatta valere direttamente nei confronti di un ente pubblico, quale Poste Italiane SpA.

2)      La clausola 4, punto 1, del medesimo accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve essere interpretata nel senso che la nozione di «condizioni di lavoro» include l'indennità che un datore di lavoro è tenuto a versare ad un lavoratore, a causa dell'illecita apposizione di un termine al contratto di lavoro.

3)      Sebbene il menzionato accordo quadro non osti a che gli Stati membri introducano un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dall'accordo stesso per i lavoratori a tempo determinato, la clausola 4, punto 1, di detto accordo quadro deve essere interpretata nel senso che non impone di trattare in maniera identica l'indennità corrisposta in caso di illecita apposizione di un termine ad un contratto di lavoro e quella versata in caso di illecita interruzione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Firme
Rispondi

Da: ... ma07/02/2014 11:42:31
GIUSTO PER FAR CAPIRE LE COSE COME STANNO VERAMENTE....
Rispondi

Da: CLARISSADAY 07/02/2014 11:46:39
e quindi?
Rispondi

Da: comprendo07/02/2014 12:42:43
ma andate a lavorare....
Rispondi

Da: quindi?07/02/2014 13:32:07
quindi?
Rispondi

Da: sentenze Corte Europea07/02/2014 13:42:48
citatemi dov'è scritto nelle sentenze della Corte Europea che lo Stato è obbligato ad assumere a tempo indeterminato a un lavoratore precario con abuso di contratti a tempo determinato

nelle sentenza si lascia allo Stato  l'opzione tra l'indennità e l'assunzione, ma non si parla di obbligo. Anche perchè in questo caso legslazioni sul lavoro come quella francese e tedesca che lasciano al datore di lavoro la scelta di corrispondere al lavoratore licenziato un indennità sarebbero contro il diritto comunitario. E non mi pare proprio che lo siano.


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Da: toglietemi tutto ma non i miei buoni pasto08/02/2014 09:12:01
questo forum è altamente educativo.. si capiscono molte cose:
1. la gente non ha la minima idea di come di applicano le sentenze della Corte Costituzionale ed il fatto che una sentenza può valere per un soggetto e non per un altro
2. il concetto di autonomia legislativa della RAS è ai più ignoto
3. molti perditempo che si cullano nell'anonimato
4. poco senso pratico (per altro essenziale nel mondo del lavoro)
5. fiumi di parole che non travano riscontro nella realtà
Rispondi

Da: e dove08/02/2014 09:27:24
l'hai studiato che le sentenze della corte costituzionale possono valere per un soggetto e non per un altro? Le sentenze della C.C. SONO LEGGE!!!!
Il bello è che mi sembra di aver capito che sei uno stabilizzando. Andiamo proprio bene.
Rispondi

Da: CLARISSADAY 08/02/2014 11:42:45
Quando ci sarà il nuovo avviso per le prove se a questo punto mai si faranno?
Rispondi

Da: x c08/02/2014 16:40:48
clarissaday... perchè non ti ammazzi?

Rispondi

Da: toglietemi tutto ma non i miei buoni pasto08/02/2014 18:19:52
"le sentenze della c. c. sono legge"...bravo grosso passo avanti. esitono in diritto diverse autonomie legislative e questo spiega come mai la CC chamata a giudicare il caso specifico non ha cassato il processo di stabilizzazione della RAS ma solo alcune sue componenti non essenziali--.... ma chissà perchè sento che spiegartelo sarebbe una grossa perdita di tempo.....
Io quindi sarei uno stabilizzando.... beh.. Sharlok Holmes... mi arrendo sei troppo astuto e competente....
buon futuro di ...parole parole parole.....parole parole parole...
dai canta insieme a me....
Prole ...parole parole....
Rispondi

Da: non si finisce mai d''imparare08/02/2014 18:58:13
L'affermazione sulle sentenze di accoglimento della Corte Costituzionale che  valgono per un soggetto e non per un altro, in effetti è un autentica perla del celeberrimo manuale di diritto Costituzionale del Conte Raffaello Mascetti.

Eh si gli stabilizzandi sprizzano  competenza da tutti i pori....

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Da: povero toglietemi tutto08/02/2014 23:51:40
ge ses acconciu..... si vede proprio che non capisci niente,  e poi dici a me che spiegarmelo sarebbe perdita di tempo. No no, non c'è bisogno che mi spieghi ti ho capito bene comunque.  Quindi ammetti che le sentenze sono legge , però si applicano solo a qualcuno e non ad altri? Non mi risulta.
Adesso ti spiego io perchè l'art. che permette di stabilizzarvi perchè la Corte non l'ha cassato, lo sai perchè? Perchè il governo non ha fatto ricorso per quell'articolo. Potrei anche spiegarti perchè il governo non ha fatto il ricorso, però non ho voglia di dilungarmi e poi perchè per te sarebbe troppo complicato capire.
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Da: supercazzola...09/02/2014 10:28:26
...esistono in diritto diverse autonomie legislative e questo spiega come mai la CC chiamata a giudicare il caso specifico non ha cassato il processo di stabilizzazione della RAS ma solo alcune sue componenti non essenziali...come se fosse antani con scappellamento a destra...W Lello Mascetti....
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Da: toglietemi tutto ma non i miei buoni pasto09/02/2014 11:29:23
io me lo sentivo che era tempo perso.....
rimane un mistero..... come mai menti così eccelse gigioneggiano su questo forum? forse fanno finta di essere dei perditempo per educare le masse?
su questo neanche sharlok holmes potrebbe risolvere l'enigma....
Un saluto alla regione Marche che da oggi è regione a statuto speciale per la CC secondo le recenti innovazioni della dottrina giuridica

stabilizzabile numero 9 in classifica
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Da: povero toglietemi tutto09/02/2014 11:44:12
complimenti a supercazzola e non si finisce mai d'imparare, la trovata di Lello Mascetti mi ha divertito troppo. Siete ironici e intelligenti.
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Da: toglietemi tutto ma non i miei buoni pasto09/02/2014 18:55:06
ma che fai te la suoni e te la canti????
si vede che l'informatica (come il diritto) non è il tuo forte....
ah ah ah
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Da: rinuncia impugnativa finanziaria 201310/02/2014 09:32:15
Cappellacci-Zedda: "Rinuncia Governo impugnativa Finanziaria 2013 via libera definitivo al taglio Irap del 70 per cento; nessun pericolo bancarotta Regione""Anche dopo che nel luglio scorso il Consiglio dei ministri aveva bocciato la riduzione delle aliquote Irap per le imprese e l'amministrazione locale e regionale, abbiamo sempre avuto la certezza che la ragione fosse dalla nostra parte difendendo quanto sancito dal Consiglio Regionale in tutte le sedi", riprendono presidente e assessore.Ascolta la notizia

CAGLIARI, 1 FEBBRAIO 2013 - "La conferma di quello che abbiamo sempre sostenuto e cioè che si trattava di una Finanziaria che poteva dare risposte concrete alle famiglie, al contrasto alla crisi e rappresentava un'iniezione di fiducia e di speranza per le nostre aziende".

E' quanto affermano il presidente della Regione, Ugo Cappellacci e l'assessore della Programmazione Alessandra Zedda, in merito alla rinuncia totale del Governo ad impugnare la Finanziaria 2013.

"Anche dopo che nel luglio scorso il Consiglio dei ministri aveva bocciato la riduzione delle aliquote Irap per le imprese e l'amministrazione locale e regionale, abbiamo sempre avuto la certezza che la ragione fosse dalla nostra parte difendendo quanto sancito dal Consiglio Regionale in tutte le sedi - riprendono presidente e assessore - e il via libera al taglio dell'Irap del 70 per cento, oltre a una buona politica che ha visto insieme maggioranza e opposizione, rappresenta la certificazione di un grande passo avanti per la nostra isola che consente di dare immediata efficacia ad un provvedimento importantissimo per il tessuto economico sardo.
In merito alla Finanziaria 2014 poi, la seconda approvata in otto mesi, come più volte ribadito, non esistono allarmi o tantomeno pericoli di bancarotta, come sostiene qualche esponente di Sel. Il fatto che quest'anno siamo riusciti ad applicare per la prima volta la riassegnazione dei residui, conferma che le risorse, sempre impegnate e spese sono sotto costante monitoraggio. Senza contare che il livello delle devoluzioni corrisposto nel corso di questa legislatura dal Ministero dell'Economia e delle Finanze alla Regione, al lordo degli accantonamenti stabiliti per tutte le regioni dalle manovre finanziarie statali risulta cresciuto di oltre 1 miliardo e 300 milioni".

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