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SCORRIMENTO GRADUATORIA FUNZIONARI GIUDIZIARI
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Da: Cancelliere depresso  1  - 05/11/2022 23:49:43
È troppo lungo e personale da raccontare  ma a causa di un lutto fu inserita in domanda solo la laurea .....
Comunque hai ragione il disappunto è tanto
Rispondi

Da: Cancelliere idoneo 306/11/2022 07:13:18
Per cancelliere depresso,
Mi dispiace.,......ma nei momenti di fragilità non si è molte volte lucidi.
Rispondi

Da: Fiducioso ma non troppo06/11/2022 23:19:00
A me pare impossibile una anticipazione al 1 dicembre dopo che e appena stato emanato una decreto che parla del 2 febbraio.
Rispondi

Da: Cancelliere stufo07/11/2022 06:20:56
Non ci vuole nulla. Si fa altro pdg.... Tanto il nostro ministero questo fa. Fa ... Disfa.. Rifa'.. Ridisfa...
Burattinaio e noi burattini
Rispondi

Da: Cancelliere impaziente07/11/2022 08:19:44
Infatti, sembra assurdo anche a me perché ci hanno sempre rimandato alle calende greche, a meno che non ci siano delle ragioni valide come la presunta scadenza della nostra graduatoria, l'imminente pubblicazione della progressione economica o chissà quale altro motivo che ignoro. Dico la verità, io po' ci spero perché sono diffidente e temo che s'inventino qualcosa di nuovo a febbraio per prorogare ulteriormente. Speriamo che l'anticipato possesso non rappresenti la solita bufala dei sindacati per gettare fumo negli occhi e far vedere che si stanno dando da fare.
Rispondi

Da: il fu funzionario07/11/2022 09:40:47
Dovrebbero modificare la data e non è un operazione difficile credo... ma da noi tutto diventa lentissimo, ingarbugliato.
Rispondi

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Da: Archimede 207/11/2022 11:29:04
Caro Incerto, questa estate ti abbiamo aspettato, ma invano, al tempio di Apollo, eravamo o e il capellone di due metri. L'offerta di una cena all'ombra di Archimede rimane sempre valida. saluti
Rispondi

Da: Cancelliere sfinito 07/11/2022 13:54:38
Ma domani dovremmo avere qualche risposta?
Rispondi

Da: gatto randagio07/11/2022 14:03:00
L'ultima sentenza inerente il diritto all'assunzione degli idonei.
Con l'ordinanza n. 20525 del 27.06.2022, la Cassazione afferma che, affinché sorga il diritto all'assunzione alle dipendenze della PA dei soggetti risultati idonei, non è sufficiente la perdurante efficacia della graduatoria, essendo necessaria anche la decisione della PA di avvalersene per coprire posti vacanti.
Il fatto affrontato
Alcuni pubblici dipendenti ricorrono giudizialmente per sentir dichiarare il loro diritto ad essere assunti, dopo essere risultati taluni vincitori di un concorso e talaltri idonei, con cui erano stati messi a bando posti con qualifica dirigenziale.
La Corte d'Appello accoglie la predetta domanda, sul presupposto che non risultava dimostrato dall'Amministrazione in che misura l'introdotta disciplina di contenimento della spesa avesse influito sui posti in precedenza vacanti e messi a concorso con procedure nelle more terminate.
L'ordinanza
La Cassazione rileva, preliminarmente, che in tema di scorrimento e con riguardo alla perdurante efficacia di una graduatoria, l'operatività dell'istituto presuppone necessariamente una decisione dell'amministrazione di coprire un posto utilizzando, appunto, la graduatoria rimasta efficace.
Secondo i Giudici di legittimità, una volta cha la PA assume una tale decisione, la stessa risulta equiparabile all'espletamento di tutte le fasi di una procedura concorsuale, con l'identificazione degli ulteriori vincitori.
Per la sentenza, in presenza di detta circostanza, i candidati utilmente collocati nella graduatoria quali idonei possono adire il giudice ordinario, vantando un diritto perfetto all'assunzione.
Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso della PA, limitatamente alla posizione dei soggetti risultati idonei ma non vincitori all'esito del concorso.
Rispondi

Da: @MK7 07/11/2022 15:03:13
La nostra è una procedura di selezione interna non un concorso pubblico...
Rispondi

Da: cancelliere incerto 07/11/2022 15:17:21
Peccato che l'amministrazione per due volte ha manifestato l'intenzione di assunzione di tutti gli idonei ....una prima volta con PDG 5028 del 8 aprile e una seconda volta con il PDG del 2 novembre ...
Rispondi

Da: Cancelliere impaziente 1  - 07/11/2022 15:19:40
Possiamo fare tutte le considerazioni possibili e portare come esempio fior di sentenze a nostro favore, ciò non toglie che la presa per i fondelli dell'Amministrazione e dei sindacati perdura ancora e ci tiene sulla corda con le solite promesse da marinaio. Non dimentichiamoci che sono anni che aspettiamo ed è un dato di fatto che dal 3 avremmo potuto mettere un punto a questa storia dopo il PDG bufala che ha previsto una lunga attesa di ben 7 mesi. E invece no, ancora qui ad attendere la loro elemosina. Forse anticipano? Francamente non ci credo dopo che sadicamente alla vigilia del 3 novembre, data importante per noi, ci hanno prorogato per altri tre mesi come se nulla fosse. Lo schifo più totale e il pentimento di aver lavorato con serietà ed impegno tanti anni per questa Amministrazione matrigna senza alcuna considerazione e rispetto. Rimane la rabbia e l'amarezza di non aver cercato situazioni lavorative migliori. Certo è che ora la voglia di lavorare equivale a zero e alle nuove leve suggerisco di non fare il mio stesso errore e di andarsene appena possibile.
Rispondi

Da: Fu cancelliere 1  - 07/11/2022 15:20:30
Sul sito del ministero è stato pubblicato un aggiornamento al P.D.G.  datato oggi relativo ad un nuovo inserimento nell'elenco dei convocati e nient'altro.
Rispondi

Da: Ada return 2  - 07/11/2022 15:29:37
Continuo a dire di fidarsi dei sindacati.
E' cristallino, è lampante, è pleonastico che senza di loro nulla avremmo avuto in questi anni.
Ed invece FUA, passaggi di livello, generosi aumenti stipendiali CCNL... ecc. sono arrivati grazie alla caparbietà e all'impegno profuso da costoro.
Bisogna affidarsi e lasciarli lavorare con serenità e fiducia, vedrete che anche stavolta il servizio ce lo faranno.
Rispondi

Da: Crudelia Demon07/11/2022 15:30:52
LORENZO IEVA

L'illegittimità e la nullità delle pseudo-procedure di riqualificazione
del personale nel pubblico impiego

SOMMARIO:  1. Premessa:  l'organizzazione della pubblica Amministrazione; 2. Le fonti dell'ordinamento del personale contrattualizzato; 3. L'accesso alla pubblica Amministrazione: concorsi pubblici e procedure selettive interne; 4. La vicenda delle pseudo-procedure di riqualificazione e la giurisprudenza della Corte costituzionale; 5. La nullità assoluta delle disposizioni contrattuali contrastanti con norme imperative; 6. (Segue).  Sulla ammissibilità di una legge speciale di sanatoria; 7. L'esperienza negativa della contrattazione collettiva nazionale ed integrativa; 8. Sull'illegittimità costituzionale della c. d. privatizzazione del pubblico impiego; 9. Pubblica Amministrazione e governo dell'economia; 10. Conclusioni:  rimeditare un nuovo ordinamento professionale della P. A.  e  sanare il caos.

1. Premessa:  l'organizzazione della pubblica Amministrazione.

La pubblica Amministrazione [1] è, per disposto costituzionale (at. 97 Cost.), organizzata in base alla legge [2] proprio al fine di poter al meglio curare gli interessi pubblici in modo imparziale ed efficace [3].  Segnatamente, la Costituzione impone una riserva relativa di legge per la disciplina del "fenomeno organizzatorio" dello Stato, degli enti pubblici e degli altri soggetti (anche privati) [4] complementari, che estrinsecano il pubblico potere e sono istituiti in funzione del perseguimento degli interessi della collettività.   A completamento della disciplina posta dalla legge è consentita l'integrazione normativa ad opera dei regolamenti governativi e, in casi circoscritti, dei regolamenti ministeriali. Dunque, la P. A. è "retta" essenzialmente da norme giuridiche.
In un simile contesto, viene ad inserirsi l'evoluzione della legislazione ordinaria, che a partire dalla legge delega n. 421 del 1992, sfociata nel d.lgs n. 29 del 1993 e proseguita coi i decreti legislativi n. 80 e n. 387 del 1998, fino al testo unico (ricognitivo) d.lgs 165 del 2001, hanno ridisegnato il c. d. "lavoro pubblico" [5] in termini di "privatizzazione", rectius di contrattualizzazione del "rapporto di lavoro", che, peraltro, rappresenta l'aspetto più significativo della organizzazione della Amministrazione pubblica.   Infatti, l'organizzazione degli apparati pubblici si risolve massimamente nella gestione delle risorse umane e di quelle strumentali affidate ad un certo centro decisionale pubblico, mentre gli scopi e gli interessi da perseguire sono direttamente fissati dalle norme. In un simile contesto, il margine operativo discrezionale affidato alle decisioni dirigenziali risulta delimitato e fondato sui parametri della scienza dell'amministrazione [6].
Invero, il significato del termine "privatizzazione", di cui pure si è abusato nella letteratura scientifica, è stato travisato e se ne è fatto un uso distorto, polisenso, privo di una struttura compiuta. In sostanza, esso ha generato e continua a generare equivoci, alimentando una consustanziale scarsa chiarezza del nuovo disegno della organizzazione amministrativa.
Sul punto, va subito ribadito che la disciplina del lavoro pubblico afferisce strettamente alla organizzazione della P.A., costituendone anzi l'ossatura fondamentale. Infatti, la dottrina amministrativistica ha da sempre predicato la inscindibilità dell'organizzazione dell'ufficio dalla gestione dei rapporti di lavoro. Peraltro, qualsiasi disegno organizzativo fa, in concreto, i conti con il personale a disposizione (il dirigente pubblico non può assumere o licenziare in proprio), per cui non vi è alcuna soluzione di continuità tra organizzazione degli uffici e gestione del rapporto di lavoro. Tuttavia, oggi assistiamo ad una distinzione degli elementi della "organizzazione" e del "rapporto lavorativo", nella pubblica Amministrazione, che appare artificiosa e priva di un fondamento reale.
La prestazione lavorativa del funzionario pubblico traduce sul piano concreto precetti normativi e si inserisce nell'alveo dell'organizzazione amministrativa, poiché essa non è altro che il suo prodotto. Tanto più l'organizzazione sarà perfetta, tanto più la prestazione del funzionario sarà legale, efficiente ed efficace.   Non è possibile separare l'organizzazione della struttura della P. A. dalla disciplina del lavoro pubblico.
Per altro verso, l'espletamento delle funzioni pubbliche [7] implica la prestazione di attività amministrative [8] ad alto contenuto di professionalità da parte dei funzionari e dipendenti pubblici, che richiedono il possesso di requisiti culturali e capacità teoriche di spessore e, insieme, la maturazione di un'esperienza pratica, che va continuamente arricchita con il costante aggiornamento personale.
Dunque, il lavoro alle dipendenze delle diverse pubbliche Amministrazioni deve essere strutturato per poter consentire l'esercizio delle funzioni pubbliche, secondo i principi costituzionali della legalità [9], della imparzialità [10] e del buon andamento [11]. Mentre, l'organizzazione della P.A. ha, alla sua base, la gestione dei rapporti di lavoro dei soggetti che in una situazione di immedesimazione organica agiscono per l'ente pubblico.
Proprio al fine di reperire le migliori risorse umane per l'ottimale organizzazione dell'Amministrazione pubblica, l'art. 51, co. 1, Cost. prevede il principio del libero accesso alle funzioni pubbliche e, in via strumentale, l'art. 97, co. 3, Cost. il principio del concorso pubblico quale metodo migliore per il reclutamento dei soggetti con più spiccate potenzialità e maggiore preparazione culturale tra una pluralità di concorrenti.
Pertanto, l'accesso ai pubblici uffici è, dalla nostra Costituzione, previsto, inderogabilmente, come "aperto a tutti" coloro che siano in possesso di requisiti professionali predeterminati per legge.
Un'Amministrazione efficiente consente un virtuoso sviluppo economico e, quindi, rileva dal punto di vista del diritto pubblico dell'economia, in quanto è necessario escogitare quell'insieme di "riforme strutturali", che consentano alla stessa di poter evolvere nella direzione di una "organizzazione complessa" autenticamente al servizio della comunità statuale e, quindi, dei cittadini e degli attori economici del mercato (imprese, lavoratori e consumatori). Può dirsi, in sostanza, che il primo intervento pubblico nell'economia di uno Stato democratico di diritto dell'età contemporanea si risolva proprio nella realizzazione di una organizzazione della P. A., ispirata dai criteri di legalità, imparzialità e buon andamento.
2. Le fonti dell'ordinamento del personale contrattualizzato.
L'ordinamento del personale dipendente delle pubbliche Amministrazioni è stato suddiviso in due regimi fondamentali:  1) regime a statuto pubblicistico-autoritativo (art. 3, d.lgs n. 165/2001, d.P.R. n. 3/1957 e leggi di settore); 2) regime a statuto contrattualizzato-paritetico (art. 2, co. 2, d.lgs n. 165/2001).   Nel primo sistema permane la configurazione tradizionale del pubblico impiego quale rapporto di lavoro di diritto pubblico, che ha origine in un atto amministrativo di nomina, la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo (in sede di giurisdizione esclusiva) e i rapporti sono regolati sulla base della relazione autorità dell'ente pubblico e interesse legittimo del dipendente (atti autoritativi jure jumperii), eccettuati taluni diritti in genere riguardanti l'aspetto economico (atti paritetici jure gestionis). Diversamente, nel secondo sistema l'impostazione è quella del rapporto di diritto privato, seppure restano presenti profili di specialità ed una certa connotazione pubblicistica, il rapporto di lavoro ha origine in un contratto individuale paritetico tra P. A. e dipendente, la giurisdizione appartiene al giudice ordinario e, quindi, i rapporti sono regolati sulla base della relazione potere-dovere della autorità pubblica e diritto soggettivo del dipendente (atti privatistici di micro-organizzazione, ex art. 5, co. 2, d.lgs n. 165), salva l'esistenza di residuali interessi legittimi con riferimento agli atti che delineano le linee fondamentali di organizzazione degli uffici (atti di macro-organizzazione, ex art. 2, co. 1, d.lgs n. 165), che continuano ad avere la forma di provvedimenti amministrativi [12].
Un tale assetto dicotomico - a parere di chi scrive - criticabile sotto diversi profili, tra cui quello della carenza di sistematicità nell'individuare le motivazioni e le categorie di dipendenti che vanno assoggettate all'uno o all'altro regime, è stato tuttavia giudicato costituzionalmente legittimo dalla Corte costituzionale almeno fino a qualche anno fa [13].
Le ambigue formulazioni di talune disposizioni del d.lgs n. 29 del 1993 e succ. mod., che rinviavano alla contrattazione collettiva per la determinazione di diversi profili della disciplina del lavoro pubblico hanno determinato diversi dubbi interpretativi.   Peraltro, i successivi provvedimenti modificativi del d.lgs. n. 29 cit. e, in particolare, il d.lgs n. 80 del 1998 e il d.lgs n. 387 del 1998, hanno reso più marcata la c. d. privatizzazione, con ciò sollevando ulteriori dubbi sulla persistente validità di detta impostazione.
A dissipare ogni incertezza normativa è, in ultimo, intervenuto il legislatore con la legge di semplificazione del 1999, l. n. 340 del 2000 [14], la quale all'art. 1, co. 8, ha conferito una delega al Governo per l'emanazione di un testo unico di riordino delle norme, diverse da quelle del diritto comune, che regolano i rapporti di lavoro dei dipendenti "privatizzati" a seguito del d.lgs n. 29 del 1993 e succ. mod.   Il testo unico appare di tipo ricognitivo delle fonti normative e cioè non innovativo, in quanto semplicemente finalizzato a realizzare un migliore coordinamento sistematico delle disposizioni.   Infatti, i criteri guida fondamentali, specificamente individuati dalla legge delega, per l'emanazione del testo unico sono volti al "migliore coordinamento delle disposizioni" con particolare riguardo alla necessità di indicare "espressamente" nel nuovo testo unico: a) le disposizioni abrogate (a seguito dei CC.CC.NN.LL. del quadriennio 1994-1997, ex art. 72 del d.lgs n. 29 cit.); b) le norme di legge generali e speciali del pubblico impiego che hanno cessato di produrre effetti (dal secondo CC.CC.NN.LL. previsto dallo stesso art. 72 d.lgs n. 29).
Sul punto è stato approvato il d.lgs. n. 165 del 2001 [15], di attuazione della sopra riferita delega, il quale ha scandito temporalmente - con apposite disposizioni contenute nel titolo VII (Disposizioni diverse e norme transitorie finali) e negli allegati A), B), C) - la sequenza della abrogazione e della inapplicabilità delle disposizioni normative "superate" dalla contrattazione collettiva e, più in generale, dal nuovo assetto privatistico del rapporto di lavoro pubblico.
Invero, si tratta di un chiarimento normativo atteso, soprattutto dagli operatori delle varie PP. AA., che definisce espressamente (negli allegati) quali siano le disposizioni di legge sul pubblico impiego non più vigenti (in quanto inapplicabili a seguito della contrattazione collettiva);  mentre, deve ritenersi che le restanti disposizioni in materia di pubblico impiego restino in vigore, perlomeno fino a che non siano "superate" da puntuali ulteriori disposizioni della contrattazione collettiva [16].
In sostanza, la "abrogazione" e la "inapplicabilità" delle disposizioni normative speciali sul pubblico impiego vengono rimesse ad "un sistema di ricognizione delle fonti di tipo espresso", che passa attraverso la menzione e l'aggiornamento degli allegati al T. U. n. 165 del 2001, restando esclusa ogni possibilità per l'operatività di ogni "meccanismo di tipo inespresso".
Più specificamente, il quadro normativo di riferimento può essere riassunto nei seguenti termini:
1) La Costituzione sancisce i canoni fondamentali del "pubblico impiego", prevedendo i principi di:  legalità, imparzialità e buon andamento (art. 97 Cost.);  servizio esclusivo nell'interesse della Nazione (art. 98 Cost.);  apertura dei pubblici uffici a chiunque abbia i prescritti requisiti in condizione di egualianza (art. 51 Cost.);  dovere di fedeltà alla Repubblica e dovere di adempimento alle funzioni pubbliche con disciplina ed onore (art. 54 Cost.).
2) In virtù dell'art. 2 (fonti), co. 2, del testo unico d.lgs. n. 165 del 2001, i rapporti di lavoro pubblico (c. d. privatizzato [17]) sono disciplinati a scalare:
a) dalle stesse disposizioni normative speciali del d.lgs. n. 165 del 2001 (che, peraltro, in realtà non costituisce affatto un vero testo unico esaustivo di tutte le disposizioni normative in tema di pubblico impiego [18]);
b) da altre disposizioni normative speciali (pubblicistiche) sottratte espressamente (esplicitamente o implicitamente) alla forza derogatoria dei contratti collettivi;
c)da residuali disposizioni normative generali e speciali o accordi sindacali recepiti in d. P. R. (ex l. n. 93 del 1993) vigenti alla data del 13 gennaio 1994, ma potenzialmente disapplicabili dalla successiva contrattazione collettiva (art. 69, co. 1, T. U. 165) e, quindi, solo limitatamente ai soggetti ed alle materie regolate contrattualmente non più applicabili;
d) dal codice civile (libro V, titolo II, capo I) e dalle leggi generali privatistiche sui rapporti di lavoro subordinato nelle imprese;
e) dai contratti collettivi quadro e di categoria, che possono "derogare" (rectius: rendere inapplicabili) le altre disposizioni di legge, salvo che la legge stessa non disponga espressamente (esplicitamente o implicitamente) in senso contrario.
3) In base all'art. 69 (Norme finali), in via generale e di principio, viene stabilito che gli accordi sindacali recepiti in d. P. R. (ex l. n. 93/'83) e le norme generali e speciali sul pubblico impiego costituiscono disciplina regolatrice dei rapporti di lavoro alle dipendenze di PP. AA.   Tuttavia, esse sono divenute inapplicabili a seguito dei C.C.N.L del quadriennio 1994/1997 in relazione ai soggetti e alle materie da questi ultimi contemplati e cessano di produrre ogni effetto dalla sottoscrizione dei C.C.N.L. del quadriennio 1998/2001 (e andranno accluse agli allegati).
4) Ai sensi, invece, dell'art. 71 (Disposizioni inapplicabili a seguito della sottoscrizione dei contratti collettivi), in via più specifica ed analitica, vengono enumerate con la tecnica del rinvio agli "allegati" le norme di legge attualmente effettivamente disapplicate dalla contrattazione collettiva, rimanendo le altre disposizioni non citate ancora vigenti, perlomeno fino a quando nuovi CC.CC.NN.LL. non intervengano su tali materie.   In ogni caso, viene previsto un meccanismo di "integrazione" degli allegati, al fine di avere la precisa contezza delle norme non più applicabili.   Dunque, agli effetti pratici, solo le disposizioni di legge incluse negli allegati possono ritenersi effettivamente non più applicabili, a seguito della contrattazione collettiva.
5) L'art. 72 (Abrogazioni di norme), poi, elenca le disposizioni di legge abrogate (in senso proprio), alla luce del nuovo quadro normativo sul pubblico impiego privatizzato;  mentre le disposizioni normative non citate sono senz'altro vigenti, a meno che non vengano rese inapplicabili dalla contrattazione collettiva e, quindi, incluse negli allegati al T. U. n. 165 cit. [19].
In ultima analisi, la pluralità di fonti (Costituzione, disposizioni normative speciali inderogabili o derogabili, disposizioni normative comuni al lavoro privato, contratti collettivi di lavoro di diritto comune) disegna un quadro della regolamentazione del lavoro pubblico alquanto (e inutilmente) astruso, che può ingenerare dubbi ed equivoci, a tutto danno dei lavoratori.
In ogni modo, il nuovo testo unico n. 165 del 2001 ha il pregio di aver operato una (difficile) ricognizione delle fonti normative speciali attualmente vigenti ed applicabili sul pubblico impiego, introducendo un meccanismo di disapplicazione da parte della contrattazione collettiva di tipo espresso, che passa per l'elencazione negli allegati ed il loro aggiornamento.
Pertanto, qualsiasi futuro "superamento" della disciplina normativa speciale in materia di pubblico impiego è destinata a passare attraverso il meccanismo dell'aggiornamento degli "allegati" al d.lgs. n. 165 del 2001, onde conferire l'indispensabile certezza della disciplina applicabile.
3. L'accesso alla pubblica Amministrazione: concorsi pubblici e procedure selettive interne.
La metodologia costituzionalmente imposta per il reclutamento dei dipendenti della pubblica Amministrazione è rappresentata dal pubblico concorso (art. 97, co. 3, Cost.) [20].
L'art. 35 del d.lgs n. 165 del 2001 prevede che l'assunzione, nelle Amministrazioni pubbliche, avvenga con contratto individuale di lavoro, a seguito di "procedure selettive", volte all'accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano, in ogni caso, in misura adeguata l'accesso dall'esterno.
Pertanto, esistono due canali fondamentali di accesso, ovverosia due diverse tipologie di procedure selettive:  1) il concorso pubblico esterno; 2) la procedura di riqualificazione interna.
Il concorso pubblico è aperto a tutti coloro, sia esterni all'Amministrazione che interni alla stessa, che abbiano requisiti predeterminati per legge.
Trattasi di una procedura formalizzata che si articola in più fasi, mirate all'accertamento tecnico [21] della preparazione dei candidati dimostrata in un contesto di pubblica e trasparente competizione, attraverso l'espletamento di talune prove selettive [22.]
La partecipazione è aperta a tutti coloro che posseggano i requisiti generali di idoneità e i requisiti speciali di preparazione, previsti a seconda del tipo di concorso e prescritti dalla legge e dai regolamenti.   Pertanto, ogni soggetto in possesso di prefissate qualità giuridiche ha il diritto soggettivo perfetto a presentare domanda di partecipazione e l'interesse legittimo allo svolgimento dello stesso secondo ciò che è previsto dalla normativa.
Il pubblico concorso - come detto - rappresenta la regola generale e fondamentale per l'accesso al pubblico impiego.   Le procedure selettive, ai sensi dell'art. 35, co. 3, del d.lgs n. 165 del 2001, si conformano ai seguenti principi:  a) adeguata pubblicità delle selezione e modalità di svolgimento che garantiscano l'imparzialità e assicurino economicità e celerità di espletamento, ricorrendo, ove è opportuno, all'ausilio di sistemi automatizzati, diretti anche a realizzare forme di preselezione; b) adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire; c) rispetto delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori; d) decentramento delle procedure di reclutamento; e) composizione delle commissioni esclusivamente con esperti di provata competenza nelle materie di concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti dell'organo di direzione politica dell'amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali.
La disciplina positiva del pubblico concorso, in sostanza, ripete dalle disposizioni costituzionali la propria impostazione, sviluppandone i contenuti nella direzione di un meccanismo di selezione realmente imparziale, professionale, e funzionale alla acquisizione ed alla valorizzazione delle migliori risorse umane.
La procedura di riqualificazione, invece, costituisce un procedimento di valutazione interna a ciascuna Amministrazione, che svolge la funzione di assicurare un avanzamento esclusivamente al personale che ricopra una posizione inferiore a quella posta in selezione, ma che pure sia in possesso del titolo e delle qualità per poter ricoprire la posizione superiore.   Dunque, si tratta di un sistema di reclutamento privilegiato che consente ai dipendenti interni di poter avanzare ad una qualifica superiore.
In una simile ottica, i "pubblici concorsi" e le "procedure selettive interne" sono poste in un ordine che vede i primi come regola generale ed i secondi come eccezione.
Va chiarito, poi, che la stessa contrattazione collettiva, a livello di comparto, ha escluso l'ammissibilità di procedure di avanzamento di massa mascherate da percorsi di pseudo-riqualificazione, senz'altro illegittimi o, per meglio dire, nulli sotto il profilo negoziale ed illeciti sotto il profilo della responsabilità amministrativa patrimoniale davanti alla Corte dei Conti.
4. La vicenda delle pseudo-procedure di riqualificazione e la giurisprudenza della Corte costituzionale.
Superati nella legislazione e nella normativa regolamentare, i concorsi interni sembrano essere ritornati in voga grazie alla c. d. contrattualizzazione del pubblico impiego [23].   Sono tante le leggi speciali o semplicemente i contratti collettivi integrativi (o decentrati), che hanno dato l'avvio ad una nuova "stagione" di avanzamenti di carriera di massa fondati sulla semplice base della anzianità di servizio.   Quasi del tutto assente è la considerazione dei meriti e della preparazione teorica e culturale;  elemento predominante, ritenuto come esaustivo della valutazione della preparazione del dipendente, è la sola anzianità di servizio, a dispetto delle disposizioni normative in tema di accesso alle pubbliche Amministrazioni e di gestione del personale stabilite dal d.lgs n. 165 del 2000.
Invero, la normativa speciale ed i contratti integrativi hanno disposto una sorta di avanzamento del personale dalla qualifica inferiore a quella superiore o, per meglio dire (stando al nuovo "frasario" della CCNL), da una posizione economica o categoria ad un'altra, in modo quasi del tutto automatico.   Le procedure di avanzamento sono state denominate, nel gergo sindacale, di "riqualificazione" o di "reinquadramento", ma sostanzialmente trattasi dell'attribuzione di una qualifica più elevata, che peraltro, di norma, per legge e in base agli stessi contratti collettivi di comparto, è prevista come accessibile dall'esterno.   Altamente penalizzati risultano i giovani funzionari, entrati a seguito di concorso pubblico nella VIII q. f., i quali, spesso forniti di laurea e titoli post lauream e professionali, sono rimasti al palo e si vedono raggiunti da una pletora indistinta di personale proveniente dalle qualifiche più basse nella quasi totalità sfornito del titolo di laurea.
In un siffatto contesto, la neo-istituita contrattazione integrativa, a livello di singola Amministrazione, ha inteso utilizzare i fondi per il miglioramento e l'incentivazione del servizio, per realizzare uno slittamento di massa in avanti del personale, senza considerare meriti, preparazione teorica, livello culturale e abilità pratiche dei singoli dipendenti, in palese contrasto con quanto stabilito dal d.lgs. n. 165 del 2001 e da tutti i CCNL di comparto.
Un simile atteggiamento immotivato ha causato l'opposizione del personale direttivo di elevata qualificazione professionale e ha leso, inevitabilmente, gli interessi legittimi di coloro che aspirano ad una occupazione nella pubblica Amministrazione, senza sottacere i riflessi organizzativi dovuti alla presenza di una pluralità eccessiva di personale con qualifiche medio-alte, non in possesso dei prescritti requisiti, ed al depauperamento delle qualifiche inferiori.
La struttura della pubblica Amministrazione perde la tradizionale connotazione piramidale [24] in favore di una strutturazione romboidale (se non a piramide rovesciata) caratterizzata da un'eccessiva presenza di personale inquadrato in quella che un tempo costituiva la VIII qualifica funzionale.
Siamo in presenza di uno "stato di fatto" che supera tutti i principi dello "Stato di diritto".
L'effetto di una simile situazione non potrà che sortire inefficienze e caos nelle strutture amministrative a tutto detrimento della qualità [25] dei servizi resi ai cittadini.   Infatti, se è vero che i c. d. percorsi di riqualificazione hanno comunque consentito di appagare le legittime aspettative del personale più preparato e titolato, da troppo tempo rimasto fermo nella qualifica di provenienza, ad avanzare in "carriera";  tuttavia, la "promozione" in massa ed automatica, spesso senza alcun corso di formazione ed esame selettivo, finisce per generare un appiattimento verso l'alto, che danneggia il personale più professionalizzato (compreso quello rinveniente dai predetti percorsi) e avvantaggia immotivatamente e contra legem  quello meno professionalizzato, con gli effetti negativi in termini di demotivazione e disincentivo al lavoro che è facile intuire.
La Corte costituzionale ha avuto modo di occuparsi spesso delle c. d. progressioni interne di carriera, esprimendosi, sostanzialmente, in favore di un sistema che coniughi le giuste aspirazioni di avanzamento dei dipendenti con l'imperativo costituzionale della legalità, imparzialità e buon andamento della attività e della organizzazione della pubblica Amministrazione.
In tale materia, il giudice delle leggi ha sempre rimarcato la necessità di realizzare selezioni serie, informate a criteri validi ed aperte all'accesso esterno, proprio al fine di assicurare l'efficienza della P. A. ed il reclutamento dei migliori.
In un siffatto quadro, vanno ricordate, tra le tante, le sentenze costituzionali (n. 1 del 1999; n. 194 del 2002; n. 218 del 2002; n. 373 del 2002), le quali enucleano i principi fondamentali, che devono essere inderogabilmente rispettati per l'ingresso nella P. A. e per la progressione in carriera.
Invero, la giurisprudenza della Corte sul punto appare costante e non muta impostazione neanche dopo il nuovo ordinamento del personale che ha abbandonato le più ortodosse qualifiche funzionali [26] in favore del raggruppamento per aree/categorie;  ciò a ben ragione, essendo i principi ribaditi dal Giudice delle leggi universalmente applicabili, qualunque sia l'assetto ordinamentale che si voglia dare al personale della pubblica Amministrazione, in quanto direttamente rapportati ai principi della legalità, imparzialità e buon andamento, che informano l'organizzazione e l'attività degli uffici pubblici (nazionali e territoriali).
In questa sede, il discorso viene limitato alle sentenze della Corte costituzionale successive all'anno 1998 e, quindi, ai decreti legislativi n. 80 e seguenti, che sviluppano e consolidano la c. d. privatizzazione del pubblico impiego inopinatamente decretata dal d.lgs n. 29 del 1993.
La prima sentenza da ricordare è quella della Corte costituzionale del 4 gennaio 1999 n. 1 [27], la quale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 3, commi 205, 206 e 207, della legge del 28 dicembre 1995 n. 549, come modificato dall'art. 6, co. 6 bis, del D. L. 31 dicembre 1996 n. 669 conv. in L. 28 febbraio 1997 n. 30, in materia di avanzamento del personale dell'Amministrazione finanziaria, per contrasto con l'art. 97, co. 1 e 3, Cost. e con il criterio della ragionevolezza, nella parte in cui introduce procedure concorsuali interne di riqualificazione per l'accesso alla settima qualifica funzionale, in quanto non sono ammissibili deroghe al regime del concorso pubblico per il passaggio ad una "fascia funzionale" superiore, atteso che il concorso interno viola il principio del buon andamento della P. A. ed arreca grave pregiudizio al principio di efficienza.
La Corte prende le mosse ricordando come il concorso pubblico resti sempre "il metodo migliore" per l'assunzione di personale chiamato a svolgere le proprie funzioni in condizioni di "imparzialità" (art. 97 Cost.) ed al servizio esclusivo della "Nazione" (art. 98, co. 1°, Cost.).   A tale regime non è sottratto il passaggio ad una "fascia funzionale" superiore nell'ambito del sistema di classificazione del personale per qualifiche funzionali e non per carriere.
Peraltro, la Corte censura le stesse modalità individuate dalla legge speciale oggetto di giudizio, che consentirebbe "una sorta di globale scivolamento verso l'alto di quasi tutto il personale", realizzando una "anacronistica forma di generalizzata cooptazione".   Ancora, la Corte si pronuncia negativamente sulle stesse modalità di progressione affidate ad un generico percorso di riqualificazione, privo di momenti realmente selettivi, basato essenzialmente sul possesso di una certa anzianità di servizio, anche a discapito del possesso del titolo di studio, di norma, richiesto per l'accesso alla qualifica e realizzato attraverso una verifica della professionalità basata su un esame teorico-pratico dai contenuti generici.   Osserva la Corte, sotto il profilo dell'irragionevolezza, che: "l'ammissione ai corsi, non solo riguarda tutti i posti disponibili nella detta qualifica ed è riservata ai soli dipendenti in servizio ad una certa data, ma è consentita perfino a quanti, fra questi, non appartengono alla qualifica immediatamente inferiore: così finendo col conferire all'anzianità di servizio una funzione del tutto abnorme.   Il dipendente, anche in mancanza del titolo di studio prescritto […] viene ammesso al corso di qualificazione soltanto con il superamento di una prova scritta di contenuto più che mai generico […]  E tale genericità si estende ai contenuti del corso stesso e all'esame finale".
Una siffatta disciplina - osserva infine la Corte - contrasta con gli stessi criteri ispiratori della c. d. privatizzazione della disciplina del pubblico impiego, che al contrario vuole introdurre elementi di efficienza nella organizzazione della P.A.
La Corte costituzionale, con la sentenza del 16 maggio 2002 n. 194, [28] ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, commi 205, 206 e 207, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), come modificato dall'art. 22, comma 1, lettere a), b) e c) della legge 13 maggio 1999, n. 133, che prevedeva la copertura del 70% dei posti disponibili nelle dotazioni organiche dell'amministrazione finanziaria per i livelli dal quinto al nono, mediante apposite procedure di riqualificazione riservate al personale appartenente alle qualifiche funzionali inferiori.   Inoltre, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 22, comma 2, della medesima legge 13 maggio 1999, n. 133, che, a seguito della pronuncia di illegittimità costituzionale, aveva fatto salvi gli atti e i procedimenti già adottati.
La pronuncia della Corte è imperniata su due postulati fondamentali:  1) i concorsi interni (e simili procedure) sono inammissibili nel caso di passaggio da una qualifica (o fascia) funzionale a quella superiore; 2) l'anzianità di servizio maturata dal dipendente non può costituire requisito idoneo, pure in mancanza del titolo di studio prescritto, per il passaggio ad una qualifica superiore.
Trattasi di due capisaldi della organizzazione del lavoro pubblico che vengono ribaditi - con forza e a chiare lettere - dall'alta Corte e che deve ritenersi rappresentino principi generali valevoli per tutte le pubbliche Amministrazioni.
In particolare, viene giudicato censurabile, sotto il profilo della legittimità costituzionale, la previsione di un "concorso interno", riservato ai dipendenti dell'Amministrazione per una percentuale dei posti disponibili particolarmente elevata (70%), in luogo del "concorso pubblico" con riserva ai dipendenti interni di parte dei posti.   Un principio quest'ultimo già stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 1 del 1999, che evince il contrasto dei concorsi interni o interamente riservati o di altre simili procedure concorsuali o di riqualificazione con gli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.
In particolare, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, il passaggio ad una "fascia funzionale superiore", caratterizzata dal possesso di specifici requisiti culturali e dallo svolgimento di peculiari mansioni, comporta l'accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate, che è soggetto (quale figura di reclutamento) alla regola del pubblico concorso.
Difatti, esclusivamente il metodo della gara offre le migliori garanzie di selezione dei soggetti più capaci tra una pluralità di candidati.
Il pubblico concorso rappresenta quel meccanismo strumentale rispetto ai principi di legalità, imparzialità e buon andamento della P. A., derogabile, a detta del giudice delle leggi soltanto qualora le selezioni non siano caratterizzate da arbitrarie forme di restrizione dei soggetti legittimati a parteciparvi; forme che possono considerarsi non irragionevoli solo in presenza di particolari situazioni, che possano giustificarle per una migliore garanzia del buon andamento dell'Amministrazione.
Altro passaggio significativo del percorso motivazionale della Corte costituzionale è costituito dalla valutazione della inadeguatezza del parametro della anzianità a fondare, da sola o in prevalenza, l'inquadramento in una qualifica superiore.
Il semplice criterio del possesso di una certa anzianità di servizio - ribadisce la Corte - non può giustificare in assoluto né la riserva ai dipendenti interni di una rilevante percentuale dei posti disponibili, né l'ammissibilità del conseguimento della qualifica superiore, pure in mancanza del titolo di studio prescritto.
Segnatamente, trattasi di un criterio del tutto inidoneo a garantire, di per sé, una seria verifica dei requisiti attitudinali, il quale genera soltanto una sorta di automatico e generalizzato scivolamento verso la qualifica superiore, che non trova alcun addentellato normativo. Al contrario, le stesse norme costituzionali (art. 97 Cost.), di legge ordinaria (d.lgs. n. 165 del 2001) e anche contrattuali di comparto (CCNL Ministeri) impediscono forme di progressione in carriera senza adeguate verifiche del possesso dei requisiti di idoneità.
La sentenza della Corte costituzionale del 23 maggio 2002 n. 218 [29] è intervenuta, a breve distanza, a riaffermare i principi della precedente pronuncia del 19 maggio.   In questo caso, al centro dell'attenzione è il settore delle Camere di commercio, rispetto al quale viene dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 12, co. 1, della legge 11 maggio 1999, n. 140 (Norme in materia di attività produttive), che prevede l'inquadramento, nella qualifica immediatamente superiore e con effetti giuridici ed economici decorrenti dalla data di entrata in vigore della stessa legge del personale, in servizio alla data di entrata in vigore del decreto-legge 23 settembre 1994, n. 547, convertito nella legge 22 novembre 1994, n. 644, che, alla data del 12 luglio 1982, rivestiva la qualifica di capo servizio, conseguita secondo l'ordinamento camerale vigente alla predetta data.
Invero, l'illegittimità della norma de qua appare fin troppo evidente.
E' stato sostanzialmente previsto un inquadramento, a semplice domanda, dei dipendenti che rivestivano la qualifica di capo servizio, nella qualifica immediatamente superiore, cioè nella specie dirigenziale, al di fuori di qualsiasi procedura concorsuale o di riqualificazione ed indipendentemente dall'esistenza di una vacanza nella relativa pianta organica.
In pratica, viene in evidenza una macroscopica violazione dell'art. 97 Cost., in quanto è disposta una notevole deroga ingiustificata alla regola del pubblico concorso, senza neppure prevedere una qualche forma di verifica del possesso dei requisiti richiesti per l'attribuzione della qualifica superiore o di riqualificazione.
Anche in detta occasione, la Corte costituzionale chiarisce che - nell'ambito del sistema vigente, non strutturato in carriere predefinite - l'accesso a funzioni più elevate, ossia il passaggio ad una fascia funzionale superiore, rapportabili comunque alle nove qualifiche funzionali (e a fortori nel caso di passaggio alla separata area della dirigenza) determina una forma di reclutamento soggetta alla regola del pubblico concorso ex art. 97 Cost.
Il meccanismo di selezione tecnica e neutrale dei più capaci rappresentato dal concorso pubblico resta il metodo migliore per la selezione di: "organi chiamati ad esercitare le proprie funzioni in condizioni di imparzialità";  costituendo la procedura concorsuale: "ineludibile momento di controllo, funzionale al miglior rendimento della pubblica amministrazione".
Pertanto, sono da ritenere senz'altro costituzionalmente illegittime le norme che stabiliscono il passaggio a fasce funzionali superiori, in deroga alla regola del pubblico concorso, o comunque non prevedono alcun criterio selettivo, o verifiche attitudinali adatte a garantire l'accertamento dell'idoneità dei candidati in relazione ai posti da ricoprire, realizzando così una sorta di automatico e generalizzato scivolamento verso l'alto del personale.
La sentenza della Corte costituzionale del 23 luglio 2002 n. 373 [30] ha censurato la procedura di riqualificazione realizzata nell'ambito del personale della Regione Puglia.
In particolare, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo il combinato disposto dell'art. 32, co. 1, della legge della Regione Puglia 4 febbraio 1997 n. 7 (Norme in materia di organizzazione dell'amministrazione regionale) e dell'art. 39 della legge della Regione Puglia 9 maggio 1984 n. 26 (Norme per la disciplina del trattamento giuridico ed economico del personale regionale per il triennio 1982-1984. Accordo nazionale del 29 aprile 1983), nella parte in cui - in palese violazione dell'art. 97 Cost. - riserva la copertura della totalità dei posti messi a concorso al personale interno.
Ancora una volta, secondo il pensiero dell'alta Corte, il passaggio dei dipendenti delle pubbliche Amministrazioni ad una "fascia funzionale" superiore comporta l'accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è, conseguentemente, soggetto alla regola del pubblico concorso enunciata dal terzo comma dell'art. 97 della Costituzione.
Peraltro, viene ribadito che il pubblico concorso, quale metodo che offre le migliori garanzie di selezione dei più capaci, rappresenta uno strumento per la realizzazione del canone di efficienza dell'Amministrazione e può dirsi pienamente rispettato, solo qualora le selezioni non siano caratterizzate da arbitrarie forme di restrizione dei soggetti legittimati a parteciparvi.   Per cui un concorso non può prevedere una riserva totalitaria in favore di concorrenti interni all'Amministrazione.
Sulla materia, anche l'Avvocatura Generale dello Stato ha avuto modo di pronunciarsi, con un parere, sugli effetti delle sentenze della Corte costituzionale ed ha stigmatizzato come le procedure di riqualificazione, in atto presso diversi ministeri, appaiano per diversi versi illegittime.   L'Avvocatura erariale afferma che la sentenza n. 194 del 2002 enuncia principi generali: "dei quali non può non tenersi conto per valutare la legittimità delle procedure di riqualificazione".   Siffatti principi si riassumerebbero nella regola aurea della impossibilità di un "automatico e generalizzato scivolamento verso l'alto del personale".   Comunque sia, le procedure di riqualificazione devono tendere ad: "accertare e migliorare le capacità tecnico professionali specificamente occorrenti per la qualifica superiore cui il dipendente aspira".   Ancora ricorda l'Avvocatura nel proprio parere: "Il rischio (in taluni casi già concretatosi) della declaratoria di nullità delle clausole dei contratti integrativi che abbiano previsto, oltre il limite dei criteri sopraindicati, la procedura di riqualificazione non può essere bilanciato dalle aspettative di avanzamento di carriera creata nel personale dipendente, perché tale aspettativa si fonderebbe su clausole nulle per contrasto a norme inderogabili (quella dell'accesso ai pubblici impieghi per concorso pubblico e quelle che solo eccezionalmente con criteri rigorosi consentano l'utilizzo di procedure diverse) e per ciò sarebbe improduttiva di effetto".    Conclude l'Avvocatura: "Tale situazione comporta un rilevante rischio di esposizione ad annullamento delle procedure poste in atto secondo quanto già concretamente verificatosi per talune Amministrazioni (vd Ord. Trib. Salerno 17.7.2001 per l'Amministrazione della Giustizia)".
In effetti, le notizie di cronaca ci riferiscono di una moltitudine di ricorsi presentati in diverse Amministrazioni, aventi come oggetto la contestazione della validità delle procedure di riqualificazione, proprio con riguardo ai principi espressi dalla Corte costituzionale.   Siffatti ricorsi sono stati, per quel che consta, tutti accolti dalla giurisprudenza di merito, anche in sede di ricorso cautelare d'urgenza, ai sensi dell'art. 700 cod. proc. civ.   La fondatezza degli stessi è lapalissiana alla luce di quanto dedotto fino a questo punto.   Possiamo, ad esempio, ricordare la sentenza del Tribunale di Lamezia Terme del 10 ottobre 2002, [31] pronunciatosi relativamente ad un corso di riqualificazione bandito dal Ministero della Giustizia.   In quella occasione, il Tribunale adito ha fatto riferimento alle diverse pronunce della Corte costituzionale ed ha affermato, espressamente, che dalle stesse: "possono evincersi una serie di criteri che debbono essere rispettati nell'ambito dei passaggi interni del personale delle Pubbliche Amministrazioni da un livello ad altro più elevato, al fine di rendere conformi le procedure stesse con i principi dettati dagli artt. 97, 98 e 51 della Costituzione".   In particolare, il Tribunale osserva come non sia consentito dal sistema: a) provvedere alla copertura dei posti disponibili solo con una procedura interna; b) prevedere l'accesso al corso di riqualificazione anche a chi non appartenga alla qualifica immediatamente inferiore; c) conferire all'anzianità di servizio un peso abnorme, pure in mancanza del titolo di studio previsto.   Alla luce di siffatti rilievi, il Giudice conclude per la illegittimità del bando, del CCNI e pure del CCNL del comparto ministeri per contrasto alle disposizioni costituzionali sui pubblici concorsi.   Più specificamente, il Tribunale del Lavoro qualifica in termini di illegittimità la procedura di riqualificazione e, conseguentemente, in termini di nullità i contratti stipulati ed i provvedimenti di inquadramento.
In ultima analisi, il postulato di fondo delle pronunce della Corte costituzionale mira a valorizzare al massimo grado la fondamentale disciplina tracciata dall'art. 97 Cost., la quale impone al legislatore e ovviamente, per gli spazi consentiti dalla stessa legge, alla contrattazione collettiva di realizzare un reclutamento del personale chiamato a lavorare nella e per la pubblica Amministrazione - ovverosia in funzione della legalità e della cura degli interessi pubblici - assolutamente imparziale, attraverso metodi selettivi che valorizzino le qualità e le potenzialità del personale, che adeguatamente formato teoricamente ed addestrato praticamente, può essere in grado di assicurare prestazioni lavorative professionali di elevato contenuto.
5.  La nullità assoluta delle disposizioni contrattuali contrastanti con norme imperative.
Il nuovo ordinamento contrattuale del lavoro pubblico si muove all'interno di un quadro sistematico, che prevede delle necessarie limitazioni alla discrezionalità (o arbitrio) della contrattazione collettiva, nell'interesse pubblico.   Invero, l'inquadramento del personale alle dipendenze delle pubbliche Amministrazioni sottostà a principi costituzionali ed a una gerarchia delle fonti normative, da cui non si può in nessun caso prescindere.
Innanzi tutto, la contrattazione collettiva di comparto deve rispettare i principi posti dagli articoli della Costituzione in materia di organizzazione della P. A. per come sviluppati dalla legge ordinaria e cioè, nel nostro caso, principalmente, dal Testo unico d.lgs n. 165 del 2001.   Le norme di principio ricavabili costituiscono norme inderogabili ai sensi dell'art. 1374 cod. civ. ed integrano ex lege i contratti collettivi (di comparto ed integrativi) ed i contratti individuali di lavoro.
In secondo luogo, la C.C.N.L. di comparto non può essere derogata, neanche in meljus dalla contrattazione collettiva integrativa, che ha il solo compito di completare la disciplina di comparto limitatamente agli istituti ed alle materie che ad essa siano espressamente attribuite dallo stesso contratto di comparto.   L'art. 40, co. 3, del d.lgs n. 165 cit. sanziona con la nullità le clausole del C.C.N.I. che violino i vincoli posti dalle disposizioni del C.C.N.L.   Più specificamente, è previsto che: "Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale o pluriennale di ciascuna amministrazione.  Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate".   In pratica, il testo normativo è molto rigoroso ed è stato impostato in modo tale da precludere la sottoscrizione di contratti integrativi contrastanti, in tutto o in parte, con i contratti di comparto, disponendo la nullità assoluta ed insanabile delle clausole difformi ed imponendo un divieto assoluto di applicazione delle disposizioni nulle ai soggetti contraenti (parte pubblica e parte sindacale), con la conseguente responsabilità per danno erariale in capo ai soggetti trasgressori.   Segnatamente, in caso di contratti integrativi contenenti clausole nulle, possono essere chiamati a risponderne per danno all'erario anche i responsabili sindacali sottoscrittori [32].
La necessità di osservare la gerarchia delle fonti (essenzialmente: 1) Costituzione; 2) leggi ed atti aventi forza di legge; 3) regolamenti; 4) C.C.N.L.; 5) C.C.N.I.) costituisce un imperativo categorico insormontabile, sicché la norma di rango superiore possiede il carattere della inderogabilità da parte di quella di rango inferiore.
Il contratto individuale di lavoro, eventualmente sottoscritto in violazione di norme imperative, è conseguentemente nullo (art. 1418 cod. civ.) e privo di efficacia fin dall'origine [33]. Trattasi di nullità assoluta ed insanabile, che può essere fatta valere in giudizio da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata d'ufficio dal giudice (art. 1421 cod. civ.).   Inoltre, l'azione di nullità, conformemente ai principi generali, è imprescrittibile (art. 1422 cod. civ.);  mentre, il contratto nullo non può essere convalidato (art. 1423 cod. civ.). Tuttavia, le prestazioni di fatto svolte dal lavoratore che abbia sottoscritto il contratto nullo sono risarcite ai sensi dell'art.  2126 cod. civ. Inoltre, la disciplina di cui al d.lgs n. 165 del 2001 - si badi bene - non pone alcun tipo di deroga od eccezione alle disposizioni civilistiche, che devono ritenersi applicabili interamente.
Nel senso della nullità si è espressa autorevole dottrina [34], la quale ha sottolineato come: "in difetto di pubblico concorso il rapporto di impiego è nullo, o se si preferisce giuridicamente inesistente", per cui la nullità ovvero l'annullamento degli atti di procedura e di assunzione: "negano il titolo giuridico al mantenimento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con conseguente illiceità derivata di ogni atto, anche di spesa, che pretenda darvi fondamento".
L'azione di nullità può essere proposta da chiunque abbia un interesse personale, diretto, concreto ed attuale alla dichiarazione di nullità dei contratti nulli (art. 1421 cod. civ. e art. 100 cod. proc. civ.). In argomento, va chiarito che un simile interesse possa essere sicuramente ravvisato anche in capo a quel personale già dipendente, appartenente ad una data qualifica, che si veda raggiunto o scavalcato nella stessa qualifica dal personale che ha partecipato alla procedura di riqualificazione, poiché ciò ovviamente può incidere negativamente sullo status di carriera dello stesso, in quanto aumentano gli aspiranti agli incarichi o allo svolgimento delle particolari mansioni nel contesto peculiare organizzativo di ogni Amministrazione.   Inoltre, non va sottovalutato l'interesse del personale, che possiede una data qualifica, a non vedersi aumentare il numero di coloro che, raggiunta la stessa qualifica, possono aspirare, a distanza di tempo, ad una progressione di carriera ancora superiore.
E' più che evidente che, in tal modo, le prospettive di carriera del personale entrato in Amministrazione per concorso pubblico finiscono per essere messe in discussione, a causa dell'ampliamento del numero di personale che, poi, potrà aspirare all'avanzamento verso l'ex IX q. f. (attuale posizione C3).   Verrebbero, in sostanza, a determinarsi una pluralità di concorrenti:  a) i funzionari C2 (ex VIII q. f.) entrati in servizio a seguito di concorso pubblico  e  b) i funzionari C2 per progressione interna dalla posizione C1  (magari raggiunta a sua volta, in passato, attraverso una mera progressione interna ex lege, come risulta sia accaduto in diverse Amministrazioni).   E' facile presagire quali nefasti effetti può determinare una simile situazione sulla organizzazione della P. A., che viene a determinarsi - è bene ribadirlo - senza che sia stata mai realizzata, in molte Amministrazioni, una progressione basata su un autentico percorso di riqualificazione e su un esame selettivo.
Ad ogni modo, la contrattazione collettiva, nel suo complesso (di comparto ed integrativa), presenta numerosi profili di nullità.
Trattandosi di nullità assoluta non esisterebbe un titolo di spesa valido, che possa essere regolarmente vistato e registrato dagli Uffici Centrali di Bilancio, ex Ragionerie Centrali dello Stato [35] (né pare mai possibile il visto e la registrazione da parte della Corte dei Conti, ove investita della questione a seguito dell'ordine del Ministro avverso il rifiuto di registrazione da parte degli uffici di ragioneria [36]).
A nulla vale il rilievo, che taluno fa, in merito allo svolgimento di fatto di mansioni superiori, quale motivazione profonda dell'avvio dei corsi di riqualificazione. Dal punto di vista giuridico, come affermato a più riprese dalla giurisprudenza amministrativa [37], l'eventuale svolgimento di mansioni di fatto superiori è assolutamente irrilevante, sia ai fini economici sia ai fini di carriera e, pertanto, non può in alcun modo giustificare ex se un inquadramento automatico al livello superiore.   Segnatamente, l'inquadramento in un certo profilo, con corresponsione di un certo livello stipendiale, può avvenire solo a seguito di concorso pubblico.   In ogni caso, lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, secondo giurisprudenza costante [38], può considerarsi tale, a ratione, soltanto se le mansioni effettivamente svolte siano nella loro totalità o quantomeno prevalenza superiori rispetto a quelle che si dovrebbero svolgere, non essendo sufficiente lo svolgimento occasionale o parziale di mansioni superiori.   Nella maggioranza dei casi di esercizio di funzioni superiori, queste sono soltanto occasionali e limitate a taluni aspetti marginali;  peraltro, vale la pena osservare che, nella pubblica Amministrazione, l'esercizio di mansioni superiori potrebbe ritenersi addirittura precluso in modo tassativo nelle ipotesi dell'espletamento di pregnanti funzioni pubbliche quali quelle connesse all'esercizio di funzioni di polizia amministrativa (l. n. 689 del 1981), di polizia giudiziaria, o di rappresentanza in giudizio dell'Amministrazione, delle quali talune figure professionali pubbliche sono investite, perché altrimenti si commetterebbe, nei casi limite, il reato di usurpazione di funzioni pubbliche (art. 347 cod. pen.) o quello di abuso di ufficio (art. 323 cod. pen.).
Da ultimo la Corte costituzionale, con sentenza del 20 aprile 2003 n. 115 [39], ha stabilito che: "il principio di proporzionalità della retribuzione, di cui all'art. 36 della Costituzione, richiede che il temporaneo svolgimento delle mansioni superiori sia sempre aggiuntivamente compensato rispetto alla retribuzione delle qualifica di appartenenza, ma non impone la piena corrispondenza al complessivo trattamento economico di chi sia titolare di quelle funzioni appartenendo ad un ruolo diverso ed essendo stata oggettivamente accertata con apposita selezione concorsuale la maggiore qualificazione professionale, significativa di una più elevata qualità del lavoro prestato;  in altri termini, lo svolgimento di mansioni superiori non implica l'automatica applicazione del corrispondente trattamento economico, ben potendo essere non pienamente omogenee le prestazioni lavorative effettuate".   In sostanza, secondo il Giudice delle Leggi, lo svolgimento di mansioni superiori può essere al più oggetto di risarcimento o di indennizzo, mai necessariamente di corresponsione del trattamento economico equivalente alla posizione superiore, poiché il dipendente che svolga mansioni superiori, non avendo superato il prescritto concorso per quel tipo di inquadramento, non è detto che adempi alle mansioni superiori con la stessa perizia di chi abbia superato il concorso.
Inoltre, va ribadito, a chiare lettere, che lo svolgimento di mansioni superiori è attualmente regolato dall'art. 52 d.lgs n. 165 del 2001. La normativa speciale in materia ha conosciuto una certa apertura;  tuttavia, la disciplina rimane rigida e sottoposta a precisi vincoli. Infatti, l'art. 52, co. 1, seconda parte, cit. prevede che: "L'esercizio di fatto di mansioni superiori non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione".   Soltanto per obiettive esigenze di servizio, il comma 2 dell'art. 52 consente, previo conferimento di formale incarico, l'attribuzione delle funzioni superiori in soli due ipotesi: a) vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi; b) sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto per la durata dell'assenza.
In ogni caso, il comma 3 dell'art. 52 stabilisce che possono essere considerate mansioni superiori soltanto: "l'attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni".   Infine, per il comma 5 dell'art. 52, oltre le ipotesi contemplate (vacanza di posto in organico e sostituzione di altro dipendente), risulta: "nulla l'assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore".   Dell'eventuale esborso economico per coprire le differenze retributive risponde direttamente il dirigente.
Dal complesso impianto della normativa costituzionale e di legge ordinaria, nonché dalla interpretazione della Corte costituzionale, è possibile evincere il dato di fondo per il quale, lo svolgimento delle mansioni superiori sono vietate dall'ordinamento e non possono mai generare il diritto all'inquadramento al livello superiore (sono cioè irrilevanti ai fini della carriera), ma possono, al più, essere rilevanti ai fini retributivi (previo formale incarico).
E' più che evidente che, in un simile contesto, appaiono pretestuose e prive di alcun fondamento giuridico i ricorsi al Tribunale del lavoro - di cui si hanno notizie sindacali - che pure taluni dipendenti pubblici ministeriali, ponendo in grave difficoltà l'Amministrazione di appartenenza, hanno intentato al fine di ottenere un inquadramento con decorrenza giuridica ed economica anteriore a quella scaturente dalla data della firma del contratto sottoscritto all'esito dell'espletamento della procedura interna di riqualificazione.   Non solo i dipendenti de quibus vengono inquadrati ad un livello superiore in violazione di tutte le disposizioni normative in materia (costituzionali, di legge ordinaria e di contratto collettivo di comparto), ma ciò non è apparso sufficiente agli stessi;  infatti, viene richiesto il riconoscimento di una posizione giuridica ed economica superiore ai funzionari, ex VIII q. f., entrati con regolare concorso pubblico.   A dirimere ogni questione, va osservato che il T. U. ricognitivo n. 165/2001 (anche dei decreti lgs nn. 80 e 378 del 1998) ha previsto, all'art. 69, co. 7, un ulteriore termine preclusivo per la proposizione dei ricorsi fondati sul periodo di lavoro antecedente al 30 giugno 1998.   Giova ricordare che la recentissima sentenza della Corte cost. 24 aprile 2003 n. 144 [40] ha dichiarato, con ordinanza, manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 45, co. 17, del d.lgs n. 80 del 1998 (ora riformulato nell'art. 69, co. 7, del T. U. 165/2001) nella parte in cui dispone che: "le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore alla data del 30 giugno 1998 restano attribuite alla giurisdizione del G. A. e devono essere proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000".   Pertanto, la Corte Costituzionale ha reputato tale speciale termine di decadenza e la ripartizione di giurisdizione (transitoria) effettuata dal legislatore costituzionalmente pienamente legittimi.   Sul punto, si può sostenere che sussista la carenza di giurisdizione del G.O.
In definitiva, l'argomento dello svolgimento di fatto di mansioni superiori non può essere ritenuto valido per giustificare la realizzazione di illegittimi percorsi di riqualificazione.   D'altro canto, ove dovesse ritenersi possibile una simile opzione e dovesse prevalere l'orientamento alla soppressione delle declaratorie professionali esistenti in corrispondenza delle diverse posizioni economiche (che tali non sono, in realtà, a dispetto del nomen juris), l'attuale personale subalterno e sprovvisto di titolo di laurea finirebbe per acquisire una posizione, in carriera, superiore ai funzionari ex VIII q. f., entrati in Amministrazione previo regolare concorso, con ciò "scavalcando" illegittimamente gli stessi, determinando in tal modo il caos assoluto nell'organizzazione del lavoro.
6. (Segue).  Sulla ammissibilità di una legge speciale di sanatoria.
L'analisi fin qui condotta sulle progressioni verticali pone una domanda di fondo:  è possibile sanare ope legis la sconcertante vicenda dei corsi di riqualificazione, peraltro oggetto - stando alle notizie di cronaca - di impugnazioni e ricorsi davanti a tutte le Autorità giurisdizionali (giudice ordinario, T.A.R. e, addirittura, Corte costituzionale) esistenti nel nostro ordinamento ?   La risposta costituirebbe, prima facie, un enigma insolubile.   Tuttavia, la risposta esiste, in punto di diritto, ciò che non è sicuro che esista è la copertura finanziaria necessaria per uscire dall'impasse.   Inoltre, qualsiasi decisione deve farsi carico di andare oltre il sistema attuale ed escogitare un nuovo ordinamento professionale, che impedisca il ripetersi di errori.
Il punto di partenza ineludibile rimane quello delle disposizioni della nostra Costituzione.   La disciplina vigente applicabile è quella di cui al d.lgs n. 165 del 2001 succ. mod., nonché il codice civile.   Gli elementi ermeneutici di riferimento sono dati dalle pronunce della Corte costituzionale.   L'obiettivo che ci si consegna è quello di "salvare" l'esistente per andare, decisamente, verso un sistema migliore e rispondente al dettato della Costituzione.
Scendiamo più nel dettaglio.   La Grundnorm indica, con chiarezza, i principi fondamentali di ingresso nella P. A. e di organizzazione della stessa (art. 97 Cost.).   Ogni dipendente, nell'ambito di ciascuna struttura pubblica, occupa una data "fascia funzionale" nella quale è stato inquadrato, a seguito della vincita di un pubblico concorso.   I corsi di riqualificazione, spesso superficiali, a volte pure inesistenti, non possono realizzare alcuna progressione, perché illegittimi e nulli, secondo la Corte costituzionale.   Inoltre, generano discriminazioni tra i dipendenti.
La nullità, quale tipologia di invalidità che sanziona i negozi giuridici, è disciplinata dagli artt. 1418 ss cod. civ.   Dalla attenta lettura dell'art. 1418 (Cause di nullità) cod. civ. si scorge, nel testo, che il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, "salvo che la legge disponga diversamente", inoltre, l'art. 1423 (Inammissibilità della convalida) cod. civ. prevede che il contratto nullo non possa essere convalidato, "se la legge non dispone diversamente".
Si è sopra appurato come l'art. 40 d.lgs n. 165 del 2001 preveda la nullità e l'impossibilità di applicare disposizioni nulle e, quindi, contempla la conferma del principio della impossibilità della convalida.
Tale è il quadro normativo di riferimento a legislazione vigente.   Tuttavia, una convalida o, per meglio dire, una sanatoria potrebbe essere prevista da una legge speciale transitoria con riferimento all'avvio di un nuovo ordinamento professionale, che si facesse carico di espungere i profili di illegittimità più macroscopici e faccia da traino verso un nuovo modello di classificazione.
In particolare, la legge di sanatoria potrebbe salvaguardare le aspettative create con i percorsi di riqualificazione nulli soltanto assicurando a tutto il personale dipendente l'avanzamento ad un livello superiore, purché, comunque, in possesso dei requisiti richiamati nelle sentenze della Corte costituzionale (in primis: titolo di studio; esclusione del doppio salto) e previo svolgimento di corso formativo di aggiornamento con esame finale di idoneità.   In una situazione di questo tipo, l'attribuzione del livello, qualifica, posizione economica o "fascia funzionale", che dir si voglia, avrebbe lo scopo, più che altro, di attribuire al personale una nuova collocazione nel sistema di classificazione, in vista però del suo coevo cambiamento.
Pare necessario ribadire che una operazione di tal fatta può riuscire soltanto ove riguardi tutto il personale e cioè, soprattutto, quella parte del personale (estromessa, de facto, dall'avanzamento di massa in avanti) che potrebbe, a ben ragione, rivestire la posizione di contro-interessato e, quindi, impugnare ancora davanti al Tribunale del lavoro e/o alla Corte costituzionale.   Inoltre, è essenziale prevedere, quale condizione indefettibile, la rinuncia ai ricorsi giurisdizionali comunque intentati con riferimento alle problematiche di inquadramento.
In sostanza, fermi predeterminati requisiti minimi, tutto il personale deve avere la opportunità di accedere alla "fascia funzionale" immediatamente superiore.   Ciò determinerebbe la insussistenza di un interesse ad impugnare, elemento che, invero, costituisce il principale ostacolo da superare.   Deve assolutamente essere data la possibilità ai funzionari laureati entrati a seguito di regolare concorso pubblico, sul finire degli anni Novanta, di accedere alla posizione C3.   Mentre, va del tutto escluso che il personale C1 possa, per saltum, arrivare alla posizione C3, così scavalcando gli attuali C2 e trasformandosi da "subalterni" a "superiori" nella gerarchia (sic !).
Naturalmente, una legge speciale, che si faccia carico di quanto finora esposto, è costituzionalmente legittima, soltanto e nella misura in cui assuma la connotazione di necessario strumento giuridico "ponte" verso un nuovo ordinamento professionale, stabilito dalla stessa legge e con spazi concessi alla contrattazione collettiva ben delimitati.   Ancora, la legge di sanatoria potrebbe sicuramente considerarsi costituzionalmente legittima, laddove si evidenzi la sussistenza di un primario interesse pubblico ad impedire la proposizione di ricorsi a catena, che si trascinino per lunghi anni, minando così alle basi l'organizzazione ed il funzionamento della P. A.   Per quanto riguarda la mancanza del rispetto del vincolo dell'accesso all'esterno, siffatto ulteriore ostacolo può ritenersi superato, sulla base della argomentazione che trattandosi di reinquadramento del complessivo contingente dei pubblici dipendenti, previa attribuzione di una posizione superiore conseguita nell'ambito di un più ampio percorso di aggiornamento e di formazione, non sussiste alcuna reale progressione interna, ma semplice attribuzione di una nuova "qualifica" in un contesto di riforma generalizzata della P. A. orientata verso la innovazione delle strutture, delle metodologie operative e, quindi, anche delle risorse umane ri-professionalizzate.   Inoltre, vanno considerati anche i vincoli di finanza pubblica che impediscono nuove assunzioni (art. 81 Cost.; l. finanziaria 2003 [41]).   L'importante è che nessuna categoria di pubblici dipendenti resti fuori da un siffatto disegno di riforma.   L'elemento di difficoltà - se ne è consapevoli - è rappresentato dalla componente economico-finanziaria.   Pur tuttavia, forse l'impegno finanziario può essere, accortamente, trovato attraverso l'adozione di opportune misure.   Infatti, la copertura finanziaria per la legge di sanatoria, oltreché nelle risorse proprie di ciascuna Amministrazione (ove disponibili), può essere agevolmente individuata nell'ambito degli stanziamenti di bilancio previsti per i progetti finalizzati curati dal Ministero per l'Innovazione e le Tecnologie (vedi, ad es., l'art. 29, co. 7, della L. n. 448 del 2001: "Finanziaria 2002"; l'art. 27 della L. n. 3 del 2003: "Disposizioni ordinamentali P. A."; l'art. 26 L. n. 289 del 2002: "Finanziaria 2003"), ovvero anche attingendo agli stanziamenti del Fondo Sociale Europeo, attraverso la prescritta procedura e interessando l'Ufficio per la formazione del personale delle pubbliche amministrazioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri (art. 7 del D. M. 2 ottobre 2000, come mod. dall'art. 3 del D. M. 25 luglio 2002), il quale cura i rapporti con la Commissione europea per quanto concerne i programmi di formazione dei pubblici dipendenti finanziabili con il F. S. E.
7. L'esperienza negativa della contrattazione collettiva nazionale ed integrativa.
La contrattualizzazione "selvaggia" - si perdoni l'uso del termine forte - del pubblico impiego sta dunque producendo le sue inevitabili distorsioni, preannunciate dal noto e lungimirante parere del Consiglio di Stato espresso sulla legge delega n. 421 del 1992, [42] le quali sembrano incrinare fortemente la tendenza all'innovazione ed all'ammodernamento della P. A., che pure le riforme della fine degli anni Novanta (L. n. 59 del 1997; L. n. 127 del 1997; L. n. 181 del 1998) hanno cercato di realizzare (con esiti incerti, in taluni casi) e che, nelle parole adoperate nei testi legislativi, continua ad essere usata con tono enfatico.   Un simile fenomeno non è conseguenza necessaria del modello dell'impiego privatizzato, bensì del modo errato di dare attuazione a ciò che il legislatore aveva intenzione di realizzare.   Se poi un simile esito sia inevitabile dati certi presupposti e la situazione attuale della pubblica Amministrazione nostrana o se sia solo imputabile a "cattivi" gestori del nuovo modello, non è affatto facile stabilirlo.   Certo è che la "eccessiva" privatizzazione e contrattualizzazione del pubblico impiego sta generando effetti distorsivi e degenerativi i cui prezzi si pagheranno per lungo tempo e sta affossando qualsiasi possibilità di innovazione, nonostante le astratte proclamazioni a cui non seguono, nei fatti, l'adozione di misure coerenti.
Una pubblica Amministrazione efficiente può essere realizzata soltanto puntando sull'elevazione della qualità dei dipendenti, attraverso un migliore reclutamento, il continuo aggiornamento professionale, la dotazione di strumentazione di lavoro moderna, la previsione di adeguate retribuzioni e di maggiori incentivi e, soprattutto, attraverso un ordinamento professionale di nuova concezione, che preveda anche figure di elevata specializzazione, ovverosia le "alte professionalità".
Ad oggi, non si vede alcuna qualificazione delle figure professionali superiori, quali quelle rappresentate dai professionisti e dai ricercatori-analisti [43], né decolla la separata area quadri o della vice-dirigenza.    Eppure le funzioni di elevato contenuto professionale sono previste nell'attività amministrativa svolta dalle PP. AA. e sono svolte talvolta da personale preparato con abnegazione ma senza alcun riconoscimento normativo ed economico;  talaltra, invece, sono svolte da personale improvvisato con gli effetti che si possono intuire.
Invero, ciò che non si riesce a capire o far comprendere e che la funzionalità di una struttura pubblica e la valorizzazione delle specificità delle diverse figure professionali non può che andare a beneficio di tutto il personale dello stesso ufficio, il quale operando all'interno di un complesso organizzativo efficiente può conseguire migliori risultati e quindi i più laboriosi possono lucrare maggiori incentivi alla produzione.
Un atteggiamento diverso danneggia tutti i dipendenti, disincentiva l'operatività ed ostacola qualsiasi processo riformatore, sicché la struttura amministrativa finisce per svolgere un ruolo inutile, che va, a questo punto, soppresso.
8. Sull'illegittimità costituzionale della c. d. privatizzazione del pubblico impiego.
L'analisi fin qui condotta non può che evidenziare i diversi profili di illegittimità costituzionale dell'organizzazione del lavoro pubblico, come tracciata dalle leggi di privatizzazione a partire dal d.lgs n. 29 del 1993 e poi culminate nel Testo unico d.lgs n. 165 del 2001.   Si tratta, invero, di profili già evidenziati dal celebre parere dell'Adunanza Generale del Consiglio di Stato del 1992 n. 146, che, in tempi non sospetti, espresse il proprio autorevole avviso contrario ad una eccessiva spinta verso un modello di pubblica Amministrazione di stampo privatistico, che finiva per urtare contro i principi di organizzazione coniati nella Costituzione ed improntati alla cura dell'interesse pubblico.
Quanto fin qui detto vale a provare l'illegittimità costituzionale di diverse disposizioni del d.lgs n. 165 del 2001, con riferimento ad una pluralità di articoli.
L'art. 2 (Fonti), l'art. 5 (Potere di organizzazione), l'art. 35 (Reclutamento del personale), l'art. 40 (Contratti collettivi nazionali e integrativi) e l'art. 45 (Trattamento economico) - a parere di chi scrive - delineano una disciplina del rapporto di lavoro pubblico contrastante con i seguenti articoli della Costituzione:
1) art. 97, co. 1, Cost., nella misura in cui viene stabilito il primato della contrattazione collettiva sulle fonti normative di legge e regolamento, in modo generale o generico senza delimitare gli spazi che solo la legge può concedere all'autonomia privata (peraltro di diritto comune) e che l'autonomia privata non può assumere in via generale, stante proprio i principi di legalità, imparzialità e buon andamento della organizzazione e dell'attività stessa della P. A.   Orbene, la disciplina del lavoro pubblico costituisce l'aspetto più significativo della organizzazione della P. A.   Inoltre, sicuramente alla contrattazione collettiva non può essere demandato in toto la facoltà di creare un ordinamento professionale, in quanto quest'ultimo, stante la riserva relativa di legge in materia di organizzazione e considerato che la disciplina dell'inquadramento del personale attiene con immediatezza alla stessa organizzazione, costituisce materia legislativa e giammai contrattuale collettiva.
2) Art. 97, co. 2, Cost., il quale prevede che, nell'ordinamento degli uffici, sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità dei funzionari.   La disciplina dell'ordinamento del personale si pone in netta continuità con quello degli uffici, in quanto attua il collegamento tra "funzione pubblica" e soggetto professionale (dirigente, funzionario o impiegato) chiamato ad esercitarla in concreto.
3) Art. 97, co., 3, Cost., il quale pone il principio del concorso pubblico come regola generale ed individua come eccezione l'utilizzo di forme di reclutamento diverse.   Difatti, la deroga alla regola del concorso pubblico riguarda le sole qualifiche che richiedono quale requisito utile la sola scuola dell'obbligo e le assunzioni obbligatorie ex l. n. 68 del 1999 (c. d. categorie protette).
4) Art. 51 Cost., in quanto contrastante con il principio del libero accesso dei cittadini ai pubblici uffici.   In dettaglio, siffatto principio esprime la necessità che tutti i cittadini possano essere assunti presso la pubblica Amministrazione, sempreché in possesso di prescritti requisiti, in base ad una verifica pubblica e concorsuale delle conoscenze e delle attitudini necessarie per lo svolgimento con proficuo dell'attività amministrativa.   La disciplina del pubblico concorso è sancita da norme di legge e regolamentari.   Pertanto, è sicuramente incostituzionale un sistema che favorisca la copertura dei posti più elevati nella gerarchia soltanto o prevalentemente attraverso concorsi interni, a discapito dei concorsi esterni, secondo un metodo antiquato e corporativo che ha molta similitudine con la cooptazione.   Né appare ammissibile, nel pubblico impiego come in qualsiasi altra forma di organizzazione gerarchica, lo scavalco o il passaggio duplice di posizione.
5) Art. 98 Cost., il quale stabilisce che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.   Per cui la disciplina dell'impiego deve garantire adeguata responsabilizzazione e stabilità nella posizione ricoperta anche in relazione alle particolari funzioni pubbliche svolte.   Inoltre, deve essere previsto una valutazione ed esame preventivo per saggiare l'idoneità del dipendente a ricoprire certi ruoli pubblici.
6) Art. 39 Cost., il quale, dopo aver sancito che la organizzazione sindacale è libera, stabilisce in via di principio una disciplina tassativa sui contratti collettivi validi erga omnes, che dovevano sostituire quelli dell'abrogato ordinamento corporativo.   In particolare, viene stabilito che ai sindacati, con un ordinamento interno a base democratica, non possa essere imposto altro obbligo se non quello della registrazione, secondo norme di legge, e ciò al fine di poter essere abilitati a stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia vincolante per tutti gli appartenenti alle categorie a cui il contratto si riferisca.   Orbene, i sindacati, essendo attualmente semplici associazioni di fatto prive di personalità giuridica, non possono stipulare CC.CC.NN.LL. valevoli erga omnes né nel settore privato, né a fortiori in quello pubblico.   Dunque, a nulla vale la disposizione di cui all'art. 45, co. 2, d.lgs n. 165, che stabilisce che le PP. AA. garantiscono ai propri dipendenti: "trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi".   Peraltro, riesce difficile pensare che, dati i vincoli di finanza pubblica, una qualche P. A. possa erogare stipendi più elevati dei minimi contrattuali.   Assolutamente discutibile è, poi, l'applicabilità dei contratti collettivi di diritto comune, sottoscritti da ARAN e sindacati, senza recepimento in una fonte normativa, anche al personale pubblico non aderente ad alcun sindacato.   Costoro potrebbero forse far causa all'Amministrazione per ottenere, in ipotesi di svolgimento di mansioni professionali o specializzate, una retribuzione superiore a quella stabilita nel C.C.N.L.  ?
7) Art. 3 Cost., sotto il profilo dalla ragionevolezza della disciplina, poiché la privatizzazione assimila troppo il lavoro pubblico al lavoro privato, mentre gli elementi di specialità del primo ne impongono una considerazione a parte, salva restando l'ispirazione aziendalistica di fondo, i cui contenuti in chiave di efficacia ed efficienza, invero, sono propri di qualsiasi tipo di "organizzazione" non solo di quella privata-imprenditoriale.   Difatti, "organizzare" significa, essenzialmente, dare ordine ad una struttura perché questa funzioni in modo efficace ed efficiente, ponendo le risorse strumentali e le risorse umane, oggettivamente valutate per le qualità possedute, ognuna al posto giusto.
In chiusura, va pure detto che l'illegittimità costituzionale della privatizzazione emerge dal semplice riscontro empirico che a oltre dieci anni dal suo avvio (d.lgs n. 29 del 1993) non pare aver dato i frutti sperati, per cui appare necessario andare verso un diverso assetto del lavoro pubblico.
9. Pubblica Amministrazione e governo dell'economia.
L'assetto della pubblica Amministrazione non è affatto neutrale rispetto alla necessità di assicurare un corretto governo dell'economia [44].
L'intervento pubblico nell'economia costituisce un fattore essenziale per la crescita economica in modo virtuoso ed è noto come esso si sia, nel tempo, trasformato da diretto e gestore in indiretto e regolatore.   In sostanza, la privatizzazione e la liberalizzazione di ampi settori dell'economia pubblica oggi consentono ai soggetti privati di poter agire nel mercato a vantaggio degli utenti [45], ma anche in sinergia con la stessa P. A., che ora si limita a svolgere una funzione regolatoria e di controllo.
L'attività della pubblica Amministrazione diventa più delicata e deve assecondare le esigenze e soprattutto i tempi delle Imprese e degli altri soggetti privati, che agiscono nel mercato in piena autonomia secondo i parametri comunitari e ora anche costituzionali, con la riforma del Titolo V Cost., che annovera il principio della sussidiarietà orizzontale tra pubblico e privato [46].
Non è quindi possibile che la P. A. resti così com'è !   Ma allora perché non valorizzare il personale fornito di titoli di studio elevati, invece di continuare stancamente con il privilegiare il criterio sterile della anzianità di servizio ?   Perché non investire nella formazione iniziale e continua del personale che entri nella pubblica Amministrazione con spirito di servizio e senso dello Stato ?
La contrattazione integrativa che ha realizzato le c. d. progressioni verticali non dicono nulla su tutto questo. L'avanzamento alla qualifica superiore si conquista con l'anzianità di servizio e null'altro, peraltro in palese violazione di legge (d.lgs n. 165 del 2001).
La disciplina del pubblico impiego privatizzato urta anche contro i criteri di lettura della analisi economica del diritto [47]. Una siffatta prospettiva comincia ad essere abbastanza predicata negli studi giuridici, pur appartenendo elettivamente alla cultura giuridica dei sistemi inglese e statunitense.
Una regola giuridica può essere giudicata secondo la intrinseca coerenza precettiva e per la sua rispondenza ad un quadro sistematico, ma anche secondo l'efficienza che è in grado di esprimere, quanto a termini di operatività della stessa regola nelle relazioni umane ed economiche.   La valutazione della capacità di una norma di disciplinare una certa fattispecie concreta è entrata a far parte anche del ragionamento giuridico.   Non sembra possibile interpretare le norme nel senso che dicano un qualcosa di non rispondente alla logica-giuridica ed economica.
Senza addentrarci troppo sul terreno proprio della analisi economica del diritto, è sufficiente, in questa sede, richiamare l'attenzione sulla esigenza di costruire un quadro normativo della "organizzazione della P. A." ben coordinato e semplificato, capace di attribuire la migliore forma giuridica alle reali esigenze degli apparati amministrativi, che non sono affatto del tutto rapportabili a quelle delle imprese private.   Da queste ultime gli organi amministrativi possono riprendere i canoni della efficacia e della efficienza nell'azione amministrativa, giammai impersonarne il ruolo, che, invero, è ontologicamente diverso.
Più specificamente, la struttura pubblica cura interessi pubblici (-collettivi), mentre la struttura privata persegue interessi privati (-egoistici).   L'attività amministrativa ha la propria genesi in una fonte di legge o comunque normativa, mentre l'attività imprenditoriale è originata dallo spirito di iniziativa economica.   L'ente pubblico persegue l'obiettivo del pareggio di bilancio, mentre l'ente privato insegue il lucro economico.
L'ispirazione al modello aziendale è valido, ma va preso cum grano salis, poiché nel contesto della pubblica Amministrazione esistono problematiche assolutamente peculiari, che nel settore privato sono impensabili, per cui proprio per dar man forte ai principi di efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa appare necessario riconoscere che il lavoro pubblico presenta connotati di specialità, legati alla presenza di interessi pubblici, di cui è necessario fare debito conto.
Peraltro, appare necessario attribuire alla fonte normativa primaria e secondaria un rilievo predominante, proprio per esigenze di chiarezza e semplificazione;  mentre, compito della contrattazione collettiva, può essere quello di stimolare l'evoluzione della normativa. Sicuramente, poi, i CC.CC.NN.LL. devono assumere una veste normativa ed essere recepiti in d.P.R. o d.P.C.M. per poter avere validità erga omnes.
Diversamente, il quadro attuale della normativa appare disorganico.   Da un lato, sono stati eliminati elementi di rigidità del sistema, anche quelli positivi;  dall'altro, sono stati introdotti troppi elementi di flessibilità, la quale ultima, invero, può essere utilizzata in diverse direzioni, non necessariamente verso il miglioramento della qualità dei servizi, ma, spesso al contrario, come volano per logiche irrazionaliste e di dispendio delle risorse pubbliche.
10. Conclusioni:  rimeditare un nuovo ordinamento professionale della P. A.  e  sanare il caos.
Lo scenario che si ha di fronte appare desolante.   La "privatizzazione" del pubblico impiego si è tramutata da strumento per migliorare l'azione amministrativa in occasione per spuntare progressioni verticali di massa da parte del personale.   Mentre, i cittadini, che fruiscono quotidianamente dei servizi della P. A., non rilevano alcun sensibile miglioramento, se non in casi circoscritti.
Tuttavia, il legislatore sembra, nei tempi recentissimi, essersi accorto della esistenza di figure professionali all'interno della P. A. odierna, dotati di alta professionalità, specializzazione, e di età anagrafica non elevata che avrebbe bisogno di una maggiore attenzione e qualificazione professionale.   Ci si riferisce, in particolare, alla legge sulla riforma della dirigenza, legge n. 145 del 2002, che all'art. 7, co. 3, ha provveduto ad istituire l'area separata della vicedirigenza, quale particolare area contrattuale autonoma nella quale vengono inquadrati i funzionari laureati appartenenti alla ex VIII e IX qualifica funzionale [48].
Si tratta, con tutta evidenza, del tentativo di dare corpo alla più volte ricordata esigenza di "valorizzare" il ruolo che gli alti funzionari ricoprono, in sott'ordine rispetto alla dirigenza, ma comunque in una posizione di importanza strategica.
Infatti, viene costituita un'area di quadri composta da soggetti che, in autonomia e con elevata professionalità, svolgono quell'attività lavorativa, che conferisce forma alla funzione pubblica esplicata, a seconda dei casi specifici, dall'ente pubblico.
In pratica, la c. d. vicedirigenza attribuisce il giusto riconoscimento al personale qualificato della P. A. che si disimpegna con abnegazione nell'attività amministrativa, senza alcun tangibile riconoscimento giuridico ed economico.
Nonostante le buone intenzioni, anche la disciplina sulla vicedirigenza non va esente da critiche.   Ancora una volta si è pensato di prendere come riferimento per la individuazione dei funzionari idonei a conseguire detto inquadramento l'anzianità di servizio (cinque anni di servizio nella qualifica).   Si trascura di fare riferimento al possesso di dottorati di ricerca, di titoli di specializzazione o di titoli professionali, che pure da soli sarebbero sufficienti ad individuare oggettivamente il personale dotato di alta potenzialità per ricoprire il ruolo di vicedirigente.   Quanto meno, gli anni di frequenza dei corsi di studio per ottenere siffatti titoli dovrebbero essere equiparati all'anzianità di servizio nella P. A. per la maturazione del requisito dei cinque anni di servizio utili per l'inquadramento nella vicedirigenza.   Sul punto va, pure, ricordato che l'art. 17, co. 111, della L. n. 127 del 1997 previde che la contrattazione collettiva avrebbe dovuto ridisciplinare l'accesso nel pubblico impiego tenendo in debita considerazione i citati titoli di studio.   La disposizione è, però, rimasta lettera morta.
Inoltre, una funzionale organizzazione dell'Amministrazione richiede che l'ufficio pubblico possa contare su figure professionali specialistiche, che siano messe in grado di operare al meglio delle proprie potenzialità, grazie ad una adeguata strumentazione di lavoro.
La situazione attuale, con la lodevole eccezione del c. d. parastato, non prevede nell'ambito degli uffici legali, tecnico-specialistici e di elevata posizione organizzativa, un ruolo di funzionari professionali muniti di tutti i titoli di studio prescritti, ovverosia laurea attinente ed abilitazione professionale, con eventuale obbligo di iscrizione all'Albo.
Spesso, laddove esistono, siffatti uffici (es.: uffici legali ministeriali) operano privi della necessaria strumentazione tecnica di supporto e delle figure professionali occorrenti, procedendo, a conti fatti, all'impronta senza seguire i canoni fondamentali che invece reggono l'espletamento delle funzioni specialistiche.   Va pure detto che il CCNL del comparto ministeri quadriennio 1998/2001 [49] ha previsto (cfr. artt. 13 e 18) la istituzione di  posizioni organizzative da attribuire a coloro che svolgano attività di staff, professionale, di studio e ricerca. Anche queste disposizioni non sono state attuate, mentre ci si è affrettati a realizzare i pseudo-corsi di riqualificazione, favorendo parte del personale e danneggiando le qualifiche più alte.
Il contratto collettivo di lavoro per il comparto ministeri, in fase di rinnovo per gli anni 2002/2005, ha previsto all'art. 9 che un'ennesima commissione paritetica si occupi di formulare una proposta di revisione dell'ordinamento professionale.
Tirando le fila del discorso, sembra che si sia alla vigilia di un nuovo sconvolgimento del sistema di classificazione del personale.   Si è passati dall'ordinamento gerarchico di Cavour al sistema delle carriere (T.U. n. 3 del 1957), per poi approdare alle qualifiche funzionali (L. n. 312 del 1980) e giungere, ad oggi, a quello delle aree/cartegorie.   Ma, i problemi sono sempre gli stessi.   La classificazione del personale tende ad ignorare le alte professionalità, anzi, per converso, finisce sempre per essere piegata a logiche di cooptazione del personale di livello subalterno verso i livelli superiori, a discapito delle aspettative di carriera di quello apicale.
Appare necessario, nel contesto della innovazione della P. A., mutare, del tutto, impostazione.
Il nuovo ordinamento professionale deve avere la capacità di valorizzare le professionalità esistenti nella P. A., con particolare riguardo alle nuove.   E' necessario abbandonare gli schemi vetusti della "anzianità di servizio" come valore predominante.   Invero, la professionalità dei dipendenti va apprezzata propriamente sulla base di due parametri essenziali:  1) le conoscenze teoriche;  2) le abilità pratiche.   Se le seconde possono essere acquisite nel tempo, attraverso l'esperienza quotidiana, le prime possono essere introitate soltanto con la frequenza di specifici corsi iniziali e di successivi corsi di aggiornamento in grado di realizzare una "formazione continua", in linea con la evoluzione del quadro giuridico di riferimento e con le nuove dinamiche sociali ed economiche.   Pertanto, la formazione assume un ruolo strategico nell'ambito di una azione amministrativa che intenda muoversi in un contesto innovativo al passo con i tempi.   Per tale motivo, a fortiori, i corsi di riqualificazione non possono:  a) valutare in modo abnorme l'anzianità di servizio; b) rinunciare a considerare adeguatamente i titoli di studio e professionali posseduti dai dipendenti; c) snobbare l'arricchimento professionale che deriva dalla frequentazione di corsi di formazione ed aggiornamento.
In conclusione, dopo aver azzerato con legge i pseudo-corsi di riqualificazione, appare improcrastinabile andare verso un sistema di classificazione del personale pubblico, sempre stabilito dalla legge, che preveda in ordine gerarchico:  1) la dirigenza;  2) l'area quadri (comprendente:  la vice-dirigenza per i funzionari ex IX q. f. ed la vice-dirigenza ausiliaria per i funzionari ex VIII q. f. ivi inquadrati per concorso pubblico esterno);  3) l'area dei funzionari-impiegati (collaboratori ex VII q. f. ed assistenti ex VI q. f.);  4) l'area degli impiegati (ex V q. f. ed ex IV q. f.);  5) l'area degli esecutori (ex III, II q. f.).   Il concorso pubblico (magari con una piccola riserva agli interni) resta l'unica ed esclusiva modalità di accesso al primo livello dell'area, mentre il percorso puramente interno può essere consentito soltanto all'interno dell'area.   La contrattazione collettiva può soltanto disciplinare il numero delle posizioni economiche (o scatti di anzianità) all'interno delle aree.   I meccanismi concorsuali pubblici esterni e di selezione interna devono essere stabiliti, in via generale, dalla legge e, per gli aspetti di dettaglio, con regolamento governativo e/o ministeriale.
Nell'ambito della dirigenza e della vicedirigenza deve essere prevista la qualifica dei professionisti-dipendenti e dei funzionari-analisti, i quali svolgano, con autonomia, funzioni di elevata qualificazione professionale, di staff, di studio e di ricerca.
In tal modo, si può raggiungere l'obiettivo di avere a disposizione una classificazione del personale ottimale per poter assicurare alla collettività (cittadini ed imprese) funzioni e servizi pubblici di elevato livello qualitativo.

[1] Sul concetto e sulle funzioni della P. A., amplius, cfr.:  E. Casetta - S. Foà, (voce) Pubblica amministrazione, in Dig. disc. pubbl., vol. I agg., Torino, 2000, p. 436 ss.
[2] Sull'organizzazione amministrativa, in generale, cfr.: M. NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano, 1966; M. NIGRO, (voce) Amministrazione pubblica (Organizzazione giuridica dell') in Enc. giur., vol. II, Roma, 1988; G. DI GASPARE, (voce) Organizzazione amministrativa, in Dig. disc. pubbl., vol. X, Torino, 1995, p. 513 ss; M. S. GIANNINI, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, II ed., 2000, p. 35 ss.
[3] In argomento, sulla nozione di interesse pubblico, amplius, vedi: L. MIGLIORINI, Alcune considerazioni per un'analisi degli interessi pubblici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1968, p. 274 ss; E. CANNADA BARTOLI, (voce) Interesse (diritto amministrativo), in Enc. dir., vol. XXII, Milano, 1972, p. 1 ss; A. PIZZORUSSO, Interesse pubblico e interessi pubblici, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1972, p. 57 ss; M. STIPO , Osservazioni in tema di poteri ed interessi pubblici, in Arch. giur., 1985, p. 225 ss; V. OTTAVIANO, Appunti in tema di amministrazione e cittadino nello Stato democratico, in AA. VV., Scritti in on. di M. S. Giannini, vol. II, Milano, 1988, p. 367 ss; F. FRATTINI, Le fonti della gerarchia degli interessi, in Cons. St., 1991, II, p. 1763 ss; S. CASSESE, Amministrazione pubblica e interessi in Italia, in Dir. e soc., 1992, p. 223 ss; M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, vol. I, Milano, 1993, p. 113 ss, D. SORACE, Diritto delle amministrazioni pubbliche. Una introduzione, Bologna, 2000, p. 25 ss.
[4] In particolare, cfr.: G. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, vol. III, Milano, 1968, p. 385 ss; F. SATTA, (voce) Esercizio privato di funzioni e servizi pubblici, in Enc. giur., vol. XIII, Roma, 1989; A. AZZENA, (voce) Esercizio privato di pubbliche funzioni e di pubblici servizi, in Dig. disc. pubbl., vol. VI, Torino, 1991, p. 165 ss.
[5] Sul pubblico impiego, cfr.:  M. S. GIANNINI, (voce) Impiego pubblico. a) Profili storici e teorici, in Enc. dir., vol. XX, Milano, 1970, p. 293 ss; L. RAINALDI, (voce) Impiego pubblico, in Dig. disc. pubbl., vol. VIII, Torino, 1993, p. 144 ss; F. CARINCI, La riforma del pubblico impiego, in Riv. trim. dir. pubbl., 1999, p. 189 ss; F. CARINGELLA - R. MARINO, Il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, Napoli, 1999; F. CARINCI - M. D'ANTONA (a cura di), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, Milano, II ed., 2000; M. CLARICH - D IARIA, La riforma del pubblico impiego, Rimini, 2000; M. DELL'OGLIO - B. SASSAN, (a cura di), Amministrazione pubblica, lavoro, processo, Milano, 2000; C. VIDETTA,, (voce) Impiego pubblico, in Dig. disc. pubbl., vol. I agg., Torino, 2000, p. 323 ss; P. VIRGA, Il pubblico impiego dopo la privatizzazione, Milano, 2000; G. SANTORO PASSARELLI (a cura di), Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale.  Il lavoro privato e pubblico, Milano, III ed., 2000; F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, tomo II, Milano, 2001, p. 929 ss; E. A. APICELLA, (voce) Lavoro nelle pubbliche amministrazioni, in Enc. dir., vol. V agg., Milano, 2002, p. 602 ss.
[6] Sulle tecniche di organizzazione cfr. R. D'AMICO, Manuale di scienza dell'amministrazione, Roma, 1996.
[7] Per la nozione di "funzione pubblica", vedi: F. BENVENUTI, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1952, p. 118 ss; G. MIELE, (voce) Funzione pubblica, in Nss Dig. it., vol. VII, Torino,1961, p. 686 ss; G. MORONGIU, (voce) Funzione, II) funzione amministrativa, in Enc. giur., vol. XIV, Roma, 1989.
[8] Sulle diverse tipologie di "attività amministrativa", vedi: M. S. GIANNINI, (voce) Attività amministrativa, in Enc. dir., vol. III, Milano, 1958, p. 988 ss; E. CASETTA, (voce) Attività amministrativa, in Dig. disc. pubbl., vol. I, Torino, 1987, p. 521 ss; E. PICOZZA, (voce) Attività amministrativa e diritto comunitario, in Enc. giur., vol. III, Roma, 1997;  F. G. SCOCA, (voce) Attività amministrativa, in Enc. dir., vol. VI agg., Milano, 2002, p. 75 ss.
[9] Cfr. L. CALABRESE, (voce) Legalità (principio di), in Enc. giur., vol. XVIII, Roma, 1990; nonché S. LARICCIA, Diritto amministrativo, Padova, 2000, p. 377 ss.
[10] Cfr. F. SATTA, (voce) Imparzialità della pubblica amministrazione, in Enc. giur., vol. XV, Roma, 1989; U. ALLEGRETTI, (voce) Imparzialità e buon andamento, in Dig. disc. pubbl., vol. VIII, Torino, 1993, p. 131 ss; G. ARENA, (voce) Trasparenza amministrativa, in Enc. giur., vol. XXXI, Roma, 1995.
[11] Cfr. P. CALANDRA, (voce) Efficienza e buon andamento della pubblica amministrazione, in Enc. giur., vol. XII, Roma, 1989.
[12] Sul tema, cfr.:  Cass., sez. un., 24.2.2000 n. 41, in Giorn. dir. amm., n. 8, 2001, p. 805 ss, con commento di D. IARIA, La Cassazione e gli interessi legittimi nel rapporto di lavoro pubblico.  Per la S. C. i rapporti giuridici intercorrenti tra ente pubblico ed impiegato, nel c. d. pubblico impiego privatizzato, sarebbero informati al tipo diritto/dovere, con la esclusione della configurabilità di interessi legittimi, essendo il rapporto privatistico e non più pubblicistico.   Inoltre, cfr. F. ACERBONI, Gradi e forme di tutela del pubblico impiegato a fronte dei poteri privati del datore di lavoro pubblico, in Giust. civ., 1999, II, p. 496 ss; S. TENCA, Natura giuridica degli atti compiuti dal datore di lavoro nel rapporto di pubblico impiego privatizzato con particolare riguardo al conferimento di incarichi dirigenziali, in Giust .it, n. 12, 2000 [www.giust.it]; S. PIGNATARO, Gli atti di organizzazione e di gestione del personale alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, in Cons. St., n. 9, 2002, II, p. 1435 ss.   In materia vedi la recente sentenza della Corte cost. n. 275 del 2001 in Guida al dir., n. 33, 2001, p. 59 ss.
[13] Cfr.:  Corte cost., sent. 25.7.1996 n. 313, in Giur. cost., 1996, p. 2584 ss, con commento di C. PINELLI, Imparzialità, buon andamento e disciplina differenziata del rapporto di lavoro dirigenziale; Corte cost., sent. 16.10.1997 n. 309, in Giorn. dir. amm., n. 11, 1998, p. 29 ss, con commento di A. Baldanza, La privatizzazione del pubblico impiego al vaglio di costituzionalità.   Di segno diverso appare la recente sentenza della Coste cost. 27.3.2003 n. 89, in Giust. it - Riv. Internet dir. pubbl., n. 3, 2003 www.giust.t, secondo cui: "A seguito della cosiddetta privatizzazione, derivante dalla riforma del 1993, il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni non è assimilabile, sotto ogni aspetto, a quello svolto alle dipendenze di datori di lavoro privati, atteso che - limitando l'esame al solo profilo genetico del rapporto - il principio fondamentale in materia di instaurazione del rapporto di impiego alle dipendenze della pubbliche amministrazioni è quello, del tutto estraneo alla disciplina del lavoro privato, dell'accesso mediante concorso, enunciato dall'art. 97, terzo comma, della Costituzione.   L'esistenza di tale principio, posto a presidio delle esigenze di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione, di cui al primo comma dello stesso art. 97 della Costituzione, di per sé rende palese la non omogeneità delle situazioni".
[14] Pubblicata in G.U. 24.11.2000 n. 275.
[15] Pubblicato in G.U. 9.5.2001 n. 106, s. o. 112/L.
[16] Va rimarcato come le disposizioni della contrattazione collettiva finiscano quasi sempre per riprendere il contenuto e lo stesso tenore letterale delle disposizioni di legge (pubblicistiche) che intende superare, con ciò introducendo solo una pluralità di fonti contrattuali in luogo della unicità della fonte normativa, generando una "confusione" sulle regole applicabili al pubblico impiego in luogo della sua semplificazione, aprendo peraltro la strada per possibili "discriminazioni" tra il personale pubblico non ammissibili (artt. 3, 97 Cost.).
[17] Per il personale in regime di diritto pubblico, l'art. 3 del d.lgs. 165/2001 stabilisce l'applicazione della specifica disciplina prevista dai rispettivi ordinamenti.   Inoltre, sono applicabili le disposizioni del T.U. d. P. R. n. 3 del 1957 non abrogate e le altre disposizioni di legge speciali.   Mentre, la contrattazione collettiva deve essere recepita da atti normativi per poter spiegare i suoi effetti.
[18] In argomento, cfr. le osservazioni di: O. FORLENZA, Con una raccolta delle norme più innovative nasce il mini codice sul rapporto di lavoro, in Guida al dir. - dossier n. 5, maggio 2001, p. 87 ss e, in part., p. 88; F. CARINCI, Il mancato testo unico sul pubblico impiego, in Giorn. dir. amm., n. 11, 2001, p. 1178 ss.
[19] Singolare è l'espressione adoperata dal legislatore: "sono abrogate o rimangono abrogate le seguenti norme", che sembra denotare la "confusione" delle fonti normative o, comunque, regolatrici del pubblico impiego, causata dalla introduzione della contrattazione collettiva "pura", senza la mediazione del recepimento in decreti della presidenza del consiglio.
[20] Sul pubblico concorso, vedi: P. Virga, Il pubblico impiego dopo la privatizzazione, Milano, 2000, p. 49 ss; M. AMENDOLA, (voce) Concorso a pubblico impiego, in Enc. dir., vol. VIII, Milano, 1961, p. 613 ss; N. ASSINI - M. SOLINAS, (voce) Concorso a pubblico impiego, in Enc. giur., vol. VII, Roma, 1988; M. LIPARI, I profili generali del procedimento concorsuale, in Dir. & formazione, n. 1, 2002, p. 105 ss.
[21] Sulla discrezionalità tecnica, cfr.: M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, vol. II, Milano, 1993, p. 54 ss; L. GALATERIA - M. STIPO, Manuale di diritto amministrativo. Principi generali, Torino, III ed., 1998, p. 345 ss; V. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, 2000, p. 430 ss; F. D'AGOSTINO, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2000, p. 97 ss; F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, tomo II, Milano, 2001, p. 1105 ss.   Inoltre, amplius, vedi:  M. S. GIANNINI, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione. Concetto e problemi, Milano, 1939; P. VIRGA, Appunti sulla cosiddetta discrezionalità tecnica, in Jus, 1957, p. 95 ss; F. LEDDA, Potere, tecnica e sindacato giudiziario sull'amministrazione pubblica, in Dir. proc. amm., 1983, p. 371 ss; F. SALVIA, Attività amministrativa e discrezionalità tecnica, in Dir. proc. amm., 1992, p. 685 ss; D. DE PRETIS, Valutazioni amministrative e discrezionalità tecnica, Padova, 1995; A. CARIOLA, Discrezionalità tecnica ed imparzialità, in Dir. amm., n. 3, 1997, p. 469 ss; A. TRAVI, Valutazioni tecniche e istruttoria del giudice amministrativo, in Urb. e app., n. 11, 1997, p. 1262 ss; D. DE PRETIS, I vari usi della nozione di discrezionalità tecnica, in Giorn. dir. amm., n. 4, 1998, p. 331 ss; M. E. SCHINAIA, Il controllo del giudice amministrativo sull'esercizio della discrezionalità della pubblica amministrazione, in Dir. proc. amm., n. 4, 1999, p. 1101 ss; F. G. SCOCA, La discrezionalità tecnica nel pensiero di Giannini e nella dottrina successiva, in Riv. trim. dir. pubbl., 2000, p. 1045 ss; S. BACCARINI, Giudice amministrativo e discrezionalità tecnica, in Dir. proc. amm., n. 1, 2001, p. 80 ss; F. CINTIOLI, Consulenza tecnica d'ufficio e sindacato giurisdizionale della discrezionalità tecnica, in Cons. St., n. 11, 2000, II, p. 2371 ss; L. IEVA, Valutazioni tecniche e decisioni amministrative, in Riv. giur. quadr. pubbl. serv., n. 1, 2001, p. 65 ss e in Giust.it - Riv. Internet dir. pubbl., n. 11, 2000 [www.giust.it]; P. LAZZARA, "Discrezionalità tecnica" e situazioni giuridiche soggettive, in Dir. proc. amm., n. 1, 2000, p. 212 ss; L. IEVA,, La discrezionalità tecnica nella più recente giurisprudenza amministrativa, in T.A.R., n. 1, 2001, II, p. 29 ss; M. PROTTO, La discrezionalità tecnica sotto la lente del G. A., in Urb. e app., n. 8, 2001, p. 866 ss; G. SAPORITO, Discrezionalità tecnica e buona amministrazione, in Giust.it - Riv. Internet dir. pubbl., n. 12, 2001 [www.giust.it]; S. Vinti, Valutazioni comparative e sindacato giurisdizionale, in Dir. proc. amm., n. 3, 2002, p. 520 ss; D. DE CAROLIS, Brevi considerazioni sull'accesso al "fatto" da parte del giudice amministrativo mediante il sindacato sulla discrezionalità tecnica, in Giust.it - Riv. Internet dir. pubbl., n. 9, 2002 [www.giust.it]; L. IEVA, Potere tecnico-discrezionale della P. A. e sindacato del giudice amministrativo: profili teorici ed applicativi, in Foro amm. - C. d. S., n. 10, 2002, II, p. 2665 ss; S. TARULLO, Discrezionalità tecnica e sindacato giurisdizionale: l'ottica comunitaria ed i profili evolutivi, in Riv. it. dir. pubbl. com., n. 6, 2002, p. 1385 ss.
[22] Cfr. M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, vol. I, Milano, 1993, p. 391, secondo cui: "il concorso a pubblico impiego è un procedimento amministrativo a sé stante. […] Esso […] non si conclude con un provvedimento, ma con un giudizio accertativo".
[23] In argomento, amplius,  vedi: P. VIRGA, Progressione verticale mediante procedure selettive, in Nuova rass., n. 1, 2000, p. 82 ss; V. TALAMO, Contratti integrativi delle pubbliche amministrazioni e progressioni professionali: un bilancio, in Dir. amm., n. 4, 2001, p. 557 ss; M. MONTINI, Progressioni in carriera, concorsi aperti agli esterni e "buon senso", in Il lav. nelle pubbliche amministrazioni, n. 3-4, 2002, II, p. 578 ss; L. OLIVERI, La ricostruzione costituzionalmente legittima delle progressioni verticali, in Giust.it, n. 11, 2002 [www.giust.it].
[24] In tal senso, cfr. V. TALAMO, Contratti integrativi delle pubbliche amministrazioni e progressioni professionali: un bilancio, in Dir. amm., n. 4, 2001, p. 557 ss e, in part., 569-570, il quale rileva il mutamento della struttura organizzativa della P. A., determinandosi: "un incremento quantitativo del personale nelle aree e nelle posizioni più elevate in conseguenza dei passaggi interni e, solo in misura residua, di nuove assunzioni.   La dotazione organica viene ad assumere la caratteristica forma della "piramide rovesciata"".
[25] Sul punto, con riguardo al personale quale fattore di qualità dell'amministrazione, cfr. M. CLARICH, Qualità dell'Amministrazione e Giustizia amministrativa, in Dir. pubbl., n. 1, 2001, p. 271 ss e, in part., p. 274. L'Autore stigmatizza gli anni Novanta del secolo scorso come anni nei quali si è cercato di "migliorare la qualità delle prestazioni e dei servizi resi ai cittadini", in connessione all'emergere dei "nuovi diritti del cittadino, utente dei servizi pubblici e destinatario dell'attività amministrativa". In tale direzione, costituiscono "fattori di qualità" dell'amministrazione: a) l'assunzione di personale professionalizzato; b) la oculata gestione delle risorse finanziaria; c) l'introduzione delle nuove tecnologie. Segnatamente, l'illustre autore evidenzia la carenza endemica di un efficiente reclutamento e formazione dei dipendenti, troppo spesso clientelare. La qualità dell'Amministrazione va misurata con riferimento: 1) al procedimento amministrativo di acquisizione e valutazione dei fatti e degli interessi; 2) alla tutela assicurata dal giudice amministrativo (per quanto possibile in cooperazione con la stessa P. A.); 3) all'autotutela della P. A., quale espressione della auto-correzione dei propri errori.
[26] In argomento, cfr. P. VIRGA, Ripristinare le qualifiche e rivalutare i quadri, in Giust.it - Riv. Internet dir. pubbl., n. 7/8, 2001 [www.giust.it], il quale critica il sistema delle posizioni economiche, per cui sono stati: "umiliati e delegittimati i "quadri intermedi", che sono invece il nerbo dell'amministrazione.  I "quadri" sono, nell'attuale sistema, considerati solo collaboratori in sottordine dei dirigenti […] mentre l'amministrazione effettiva non può che essere affidata ai "quadri", che sono giornalmente alle prese con i problemi concreti dell'amministrazione".   Da siffatte premesse: "La esigenza di ritornare al vecchio sistema delle qualifiche funzionali e della rivalutazione dei "quadri" è comprovata da quanto è avvenuto per il Ministero dell'Interno.   Con la legge 19 maggio 2000 n. 139, è stata ristrutturata la carriera prefettizia e sono state ripristinate le antiche qualifiche […], con la ricostruzione del sistema burocratico preesistente".
[27] C. Cost. 4 gennaio 1999 n. 1, in Giorn. dir. amm., n. 6, 1999, p. 536 ss, con commento di V. Talamo, Concorsi interni: prassi vecchie e nuove del legislatore davanti alla Corte costituzionale.   Cfr, inoltre, il commento di P. VIRGA, Progressione verticale mediante procedure selettive, in Nuova rass., n. 1, 2000, p. 82 ss e in Giust.it - Riv. Internet dir. pubbl., 1999 [www.giust.it]; L. OLIVERI, Riflessioni sulla giurisdizione relativa alle vertenze per le "progressioni verticali", in Giust.it - Riv. Internet dir. pubbl., n. 5, 2002 [www.giust.it].
[28] C. Cost. 16 maggio 2002 n. 194, in Giust.it - Riv. Internet dir. pubbl., n. 5, 2002 [www.giust.it] e, inoltre, in Giorn. dir. amm., n. 9, 2002, p. 953 ss, con il commento di A. ZUCARO, Ancora sull'accesso mediante concorso a posti di lavoro pubblico; in Guida al dir., n. 22, 2002, p. 84 ss, con commento di S. MEZZACAPO, Nuovo stop della Corte costituzionale alle progressioni verticali nelle finanze; in Foro amm.  - C. d. S., n. 9, 2002, I, p. 1991 ss, con commento di R. CAVALLO PERIN, Pubblico concorso e professionalità dei dipendenti pubblici: un diritto costituzionale dei cittadini; nonché in Foro it., n. 1, 2003, I, p. 22 ss.
[29] C. Cost. 29 maggio 2002 n. 218, in Giust.it - Riv. Internet dir. pubbl., n. 5, 2002 [www.giust.it] e in Giorn. dir. amm., n. 9, 2002, p. 953 ss.
[30] C. cost. 23 luglio 2002 n. 373, in Giust.it - Riv. Internet dir. pubbl., n. 7-8, 2002 [www.giust.it]. Cfr. il commento di L. OLIVERI, Le concrete indicazioni operative derivanti dalla sentenza della Corte costituzionali del 23 luglio 2002 n. 373, tra miraggi e riflussi, ivi.   Inoltre riportata in Giur. it., n. 3, 2003, p. 420 ss.
[31] Inedita, per quanto consta.
[32] Sulla responsabilità amministrativa patrimoniale, cfr.: F. PIGA, Responsabilità civile degli amministratori pubblici: nuovi profili, in Foro amm., 1988, II, p. 746 ss; F. GARRI, (voce) Responsabilità amministrativa, in Enc. giur., vol. XXVI, 1991; F. STADERINI, Responsabilità amministrativa e contabile, in Dig. disc. pubbl., vol. XIII, Torino, 1997, p. 199 ss; F. GARRI, La responsabilità amministrativa, in AA.VV., I vari aspetti della responsabilità derivante dall'esercizio della funzione dirigenziale nella pubblica amministrazione, Milano, 1999, p. 205 ss; L. SCHIAVELLO,, (voce) Responsabilità amministrativa, in Enc. dir., vol. III agg., Milano, 1999, p. 895 ss; E. F. SCHLITZER (a cura di), L'evoluzione della responsabilità amministrativa, Milano, 2002.   Più in generale, sui diversi profili di responsabilità, cfr.:  L. TORCHIA, La responsabilità, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo. Dir. amm. gen., tomo II, Milano, 2000, p. 1451 ss; F. ROMANO,, La responsabilità del funzionario nel nuovo diritto amministrativo, in Giust. it - Riv. Internet dir. pubbl., n. 7, 2000 [www. giust. it]; P. Santoro, La responsabilità civile, penale ed amministrativa negli appalti pubblici, Milano, 2003.
[33] Sulla "nullità, cfr.: C. M. BIANCA, Diritto civile. Il contratto, vol. III, cit., p. 613, il quale osserva che: "La sanzione della nullità […] tiene conto di una situazione generalizzata o generalizzabile di abuso e colpisce il contratto, o singole clausole, in considerazione della loro dannosità sociale".   Inoltre, ricorda l'illustre Autore, a pp. 523-525, che il concetto di efficacia: "indica la produttività degli effetti giuridici", per converso, il concetto di inefficacia sta ad indicare: "l'improduttività di effetti del contratto", usualmente essa viene intesa come. "inefficacia provvisoria […] dipendente da una condizione volontaria o legale", siffatta inefficacia provvisoria: "sospende gli effetti propri del contratto ma non esclude la vincolatività dello stesso, cioè l'irrevocabile soggezione delle parti al rapporto contrattuale".   In conclusione, l'insigne Autore conclude nel senso che: "L'efficacia è una nozione distinta rispetto a quella di validità.  La validità indica la regolarità del contratto […].  L'efficacia del contratto attiene invece alla produzione dei suoi effetti", difatti: "l'invalidità non comporta sempre l'inefficacia del contratto.  Al riguardo occorre distinguere tra nullità e annullabilità.  Il contratto nullo è definitivamente inefficace.  Il contratto annullabile, invece, è efficace, e cioè produttivo dei suoi effetti, fino a quando non intervenga un'eventuale sentenza di annullamento".
[34] Così R. CAVALLO PERIN, Pubblico concorso e professionalità dei dipendenti pubblici: un diritto costituzionale dei cittadini, cit., in part. p. 2003
[35] In argomento, vedi: D. LA ROCCA, (voce) Ragioneria Generale dello Stato e Uffici pubblici di Ragioneria, in Enc. dir., vol. XXXVIII, Milano, 1987, p. 241 ss; M. L. SEGUITI, (voce) Ragionerie dello Stato, in Enc. giur., vol. XXV, Roma, 1991; C. CONTE (voce) Ragioneria Generale dello Stato, in Dig. disc. pubbl., vol. XII, Torino, 1997, p. 336 ss.
[36] Anzi, sarebbe ipotizzabile che la Corte dei Conti, in sede di controllo di legittimità, possa sollevare la questione di legittimità costituzionale degli articoli del d.lgs n. 165/2001 nella misura in cui consentono la realizzazione dei corsi di riqualificazione de quibus.
[37] Cfr., ex plurimis:  C.d.S., sez. IV, 7.2.2001 n. 503, in Foro amm., n. 2, 2001: "Se una legge non dispone diversamente, l'esercizio di mansioni superiori, comunque attuato, è del tutto irrilevante ai fini dell'inquadramento giuridico in una superiore qualifica"; C.d.S., sez. V, 28.2.2001 n. 1073, in Riv. pers. ente loc., 2001, p. 595: "Non può essere invocato il principio di cui all'art. 36 Cost. per il riconoscimento delle mansioni superiori svolte da un dipendente di ente locale, dovendosi tenere conto, nell'ambito del rapporto di pubblico impiego, anche di altri principi di pari rilevanza costituzionale e, in particolare, quello dell'art. 98 in base al quale i pubblici dipendenti sono al servizio della Nazione, per cui le loro prestazioni non possono essere intese esclusivamente in una logica di scambio, anche perché, a differenza di quanto avviene nel rapporto di diritto privato, l'esercizio continuato nel tempo di mansioni non rispondenti alla qualifica rivestita contrasta con le rigide regole interne, che sono a presidio del buon andamento ed imparzialità della p.a.";  C.d.S., sez. V, 1.3.2000 n. 1079, in Giur. it., 2000, p. 1736: "Nell'ambito del rapporto di pubblico impiego, e salvo che la legge non disponga diversamente, le mansioni svolte dal pubblico dipendente, superiori a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento, sono del tutto irrilevanti sia ai fini economici, sia ai fini della progressione in carriera.   Ciò in quanto il rapporto di pubblico impiego non è assimilabile al rapporto di lavoro privato, perché gli interessi coinvolti hanno natura indisponibile ed anche perché l'attribuzione delle mansioni e del correlativo trattamento economico devono avere il loro presupposto indefettibile nel provvedimento di nomina o di inquadramento , non potendo tali elementi costituire oggetto di libere determinazioni dei funzionari amministrativi"; C.d.S., Ad. plen., 28.1.2000 n. 10, in Foro it., n. 3, 2000, III, p. 119: "L'esercizio di fatto di mansioni superori da parte di personale dipendente di pubblica amministrazione non comporta alcun diritto, salvo quello alle differenza retributive per il periodo successivo all'entrata in vigore dell'art. 15 d.lgs 29 ottobre 1998 n. 387 che ha modificato l'art. 56 d.lgs 3 febbraio 1993 n. 29"; C.d.S., Ad. Plen., 18.11.1999 n. 22, in Foro amm., n. 11-12, 1999, I, p. 2376: "Le mansioni svolte dal dipendente, superiori a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o d'inquadramento, sono del tutto irrilevanti ai fini sia economici sia di progressione in carriera, salvo che la legge non disponga altrimenti.  Ciò in quanto il rapporto di pubblico impiego non è assimilabile al rapporto di lavoro privato, perché gli interessi coinvolti hanno natura indisponibile ed anche perché l'attribuzione delle mansioni e del correlativo trattamento economico devono avere il loro presupposto indefettibile nel provvedimento di nomina o d'inquadramento, non potendo tali elementi costituire oggetto di libere determinazioni dei funzionari amministrativi".
[38] Cfr.: Cass, sez. lav., 2.1.2001 n. 9, in Giur. it., 2001, p. 1609; Cass., sez. lav., 8.3.2000 n. 2637, in Notiziario giur. Lav., 2000, p. 590; Cass., sez. lav., 13.9.2000 n. 12125, in Giust. civ. mass., 2000, p. 1930.
[39] Cfr. Corte cost. 10.4.2003 n. 115, in Giust. it - Riv. Internet dir. pubbl., n. 4, 2003 [www. giust .it].
[40] Corte cost. ord. 24.4.2003 n. 144, in Giust. it - Riv. Internet dir. pubbl., n. 4, 2003 [www.giust.it], secondo cui: "E' manifestamente inammissibile la questione di costituzionalità - sollevata in riferimento agli articoli 3, 24 e 36 della Costituzione - dell'art. 45, comma 17, del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80, il quale, dopo aver attribuito al giudice ordinario, in funzione del giudice del lavoro, le controversie di cui all'art. 68 del decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29, come modificato dalla stesso decreto n. 80 del 1998, relative a questioni attinenti al periodo di rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998, dispone che "le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e debbono essere proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000".   In argomento, il C.d.S., sez. IV, 5.4.2003 n. 1804, in www.giust.it, ha parlato di: "termine di decadenza sostanziale della situazione giuridica soggettiva di cui si assuma titolare il dipendente.  Infatti tale situazione giuridica, qualora non sia stata fatta valere con azione proposta entro il 15 settembre 2000, si estingue non potendo essere più esperito alcun mezzo processuale a sua tutela né dinanzi al giudice amministrativo né dinanzi al giudice civile".   A nulla vale obiettare che la parziale riformulazione della disposizione di cui all'art. 45, co. 11, d.lgs n. 80 del 1998, operata dall'art. 69, co. 7, d.lgs n. 165 del 2001, possa aver determinato una riapertura dei termini.   La cattiva formulazione contenuta nell'art. 69 cit. del testo unico, pur essendo polisenso, non può che essere interpretata nello stesso identico senso in cui veniva interpretato l'art. 45 del d.lgs n. 29, poiché il t. u. sul pubblico impiego è meramente ricognitivo e non affatto innovativo.   L'art. 1, co. 8, della legge delega n. 340 del 2000 parla di un: "testo unico per il riordino delle norme, diverse da quelle del codice civile e delle altre leggi sui rapporti di lavoro subordinato, che regolano i rapporti di lavoro dei dipendenti" appartenenti alla pubblica amministrazione, apportando esclusivamente: "le modifiche necessarie per il migliore coordinamento delle diverse disposizioni".   Non si indicano ulteriori parametri o principi guida per la riforma delle disposizioni sul pubblico impiego, né tanto meno si delega il Governo a rivedere, più o meno ampiamente, la disciplina del lavoro nelle PP. AA.   In definitiva, le questioni non oggetto di impugnazione entro i termini decadenziali davanti al G. A. non possono assolutamente essere proposte al G. O., con una fantomatica reviviscenza di situazioni giuridiche soggettive ormai decadute per l'intervenuta inoppugnabilità.   La devoluzione della giurisdizione sul pubblico impiego al G. O. non può comunque realizzare "una riapertura dei termini", in quanto i rapporti di lavoro, allora regolati in un contesto pubblicistico-amministrativo, si intendono ad oggi consolidati ed intangibili.
[41] Sulle politiche di reclutamento nel pubblico impiego, amplius, cfr. N. NIGLIO, Le politiche di reclutamento nella P. A. negli anni '90 tra programmazione e blocco delle assunzioni, in Giust.it - Riv. Internet dir. pubbl.,  n. 3, 2003 [www.giust.it].
[42] C.d.S., Ad. Gen., parere 31 agosto 1992 n. 146, in Foro it., 1993, III, p. 4 ss.   In particolare il Supremo Consesso della Giustizia Amministrativa affermò che esiste una: "diversità ontologica che distingue il lavoro privato dall'impiego pubblico, e, pertanto, appaiono obiettivamente insuperabili ed ineliminabili", per cui: "la c. d. privatizzazione, se intesa come totale unificazione della disciplina dell'impiego pubblico e del lavoro privato, non appare possibile, anche alla luce delle disposizioni costituzionali in materia (art. 28, 97, 100, 103, 113)", difatti: "vi saranno sempre […] molti aspetti per i quali la disciplina dell'impiego pubblico risulterà per sua natura differenziata da quella del lavoro privato"; segnatamente: "la diversità strutturale fra l'impiego pubblico e il lavoro privato, che giustifica una più o meno estesa, ma comunque ineliminabile, diversità di regime, deriva da ciò, che in un gran numero di casi la "prestazione lavorativa" richiesta al dipendente pubblico consiste, in tutto o in parte, nell'esercizio di pubbliche funzioni", in un simile contesto: "pare impossibile ridurre la posizione soggettiva della pubblica amministrazione ad un mero interesse economico-privatistico a conseguire l'effettuazione della prestazione lavorativa da parte del dipendente;  laddove è preminente l'interesse, pubblicistico e generale, al corretto esercizio delle pubbliche funzioni a vantaggio della collettività", inoltre è possibile osservare che: "anche quando la prestazione lavorativa non comporta l'esercizio, in alcuna forma, di pubbliche funzioni, sta di fatto che la pubblica amministrazione opera per il conseguimento di interessi che trascendono la soggettività delle persone fisiche che ne hanno pro tempore la rappresentanza".    Ancora il parere del Consiglio di Stato si appunta sul meccanismo della contrattazione collettiva ed osserva che: "la trasposizione dei contenuti degli accordi in una fonte regolamentare […] sembra indispensabile anche perché gli accordi stessi acquisiscano efficacia normativa erga omnes.  E' noto che l'art. 39 Cost. prevede precisi vincoli per la stipulazione di C.C.N.L. aventi validità generale, per cui nell'attuale quadro di contrattazione di diritto comune: "al di fuori […] del quadro rigorosamente disegnato dall'art. 39 Cost. non sembra possibile che un contratto collettivo acquisisca per forza propria efficacia normativa erga omnes".   Conclude il Consiglio nel senso che: "la "privatizzazione" generale, astratta e globale del pubblico impiego […] non è obiettivamente possibile, giacché né con interventi puramente nominali né con la contrattualizzazione, si può alterare la sostanza di rapporti giuridici, i quali traggono la loro qualificazione dalla natura pubblica degli interessi che vi sono implicati, dai connessi poteri dell'ente pubblico datore di lavoro e dalle stesse strutture in cui sono inseriti".
[43] Sul punto, amplius, cfr. L. IEVA, Pubblico impiego e dottorato di ricerca: un binomio ancora da realizzare, in Il lav. nelle pubbliche amministrazioni, n. 5, 2001, III, p. 925 ss.
[44] In particolare, per le analisi del diritto pubblico dell'economia, vedi: G. Quadri, Diritto pubblico dell'economia, Napoli, 1977; F. ZUELLI , (voce) Economia (interventi pubblici nell'), in Enc. giur., vol. XII, Roma, 1989; M. LUCIANI, (voce) Economia nel diritto costituzionale, in Dig. disc. pubbl., vol. V, Torino, 1990, p. 373 ss; M. S. GIANNINI, Diritto pubblico dell'economia, Bologna, 1995; M. Giusti (a cura di), Diritto pubblico dell'economia, Padova, II ed., 1997; G. DI PLINO, Manuale di diritto pubblico dell'economia, Milano, 1998; A. CARULLO, Lezioni di diritto pubblico dell'economia, Padova, II ed., 1999; R. CARANTA, (voce) Intervento pubblico nell'economia, in Dig. disc. pubbl., vol. I agg., Torino, 2000, p. 371 ss; S. CASSESE, La nuova costituzione economica, Bari, 2000. Inoltre, cfr.: G. Amato, Il mercato nella Costituzione, in Quad. cost., n. 1, 1992, p. 7 ss e F. SALVIA, Il mercato e l'attività amministrativa, in Dir. amm., n. 4, 1994, p. 523 ss.
[45] Per un raffronto sulla innovazione e qualità dei "servizi pubblici", cfr. L. IEVA, Tutela dell'utente e qualità del servizio pubblico. Dall'organizzazione alla "Carta dei servizi", Milano, IPSOA ed., 2002.
[46] Sul principio di sussidiarietà, essenzialmente, cfr.: G. STROZZI, Il ruolo del principio di sussidiarietà nel sistema dell'Unione europea, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1993, p. 59 ss; M. P. CHITI, Principio di sussidiarietà, pubblica amministrazione e diritto amministrativo, in Dir. pubbl., 1995, p. 505 ss; A. MOSCARINI, Sussidiarietà e libertà economiche, in Dir. e soc., n. 3, 1999, p. 432 ss; A. D'ATENA, , Costituzione e principio di sussidiarietà, in Quad. cost., n. 1, 2001, p. 13 ss; F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, tomo I, Milano, 2001, p. 731 ss; L. IEVA, Riflessioni sul principio di "Sussidiarietà" nell'ordinamento amministrativo italiano, in Rivista amm., n. 1-2, 2001, p. 81 ss.
[47] In materia vedi gli studi fondamentali di: R. PARDOLESI, (voce) Analisi economica del diritto, in Dig. disc. priv., sez. civ., vol. I, Torino, 1987, p. 309 ss; F. MENGARONI, (voce) Analisi economica del diritto, in Enc. giur., vol. I, Roma, 1988;A. CHIACONE - D. PORRINI, Lezioni di analisi economica del diritto, Torino, III ed., 1998; R. COOTER - U. MATTEI - P. G. MONATERI - R. PARDOLESI - T. ULEN, Il mercato delle regole. Analisi economica del diritto civile, Bologna, 1999; S. CASSESE, Giuristi ed economisti: metodo e metodi nello studio del diritto, in Giorn. dir. amm., n. 3, 2002, p. 341; M. Novella, Analisi economica e interpretazione nel diritto del lavoro, in Riv. it. dir. lav., n. 3, 2002, p. 311 ss.
[48] Sulla vice-dirigenza, vedi: R. Del Vecchio, Riordino della dirigenza pubblica ed istituzione dell'area quadri intermedi nel pubblico impiego:  un'occasione da non sprecare, in Giust.it - Riv Internet dir. pubbl., n. 10, 2001 [www.giust.it].
[49] Pubblicato in G. U. 25 febbraio 1999 n. 46, s. o. ( da www.giust.it )
Rispondi

Da: Ada return 207/11/2022 15:32:47
E che è? Un trattato di teologia amministrativa?
Rispondi

Da: cancelliere incerto  1  - 07/11/2022 15:34:10
mi domando, senza voler fare polemica, in che modo ci si possa fidare, in genere e fatte salve alcune eccezioni. dei sindacati con tutto quello che è accaduto?
era stato emesso un PDG regolarmente comunicato ai destinatari a norma del diritto amministativo, era stata disposta la ricognizione via mail era stata fissata una data che è stata rinviata solo il giorno prima e per giunta a tre mesi; e tutto questo nel silenzio complice di alcune sigle che parlano di problemi tecnici; come si può ancora affidarsi a loro dopo quanto accaduto???'
Rispondi

Da: Ada return 3 2  - 07/11/2022 15:37:24
Bisogna fidarsi per quanto fatto negli ultimi 30 anni (come minimo).
Numerosi risultati e conquiste portate a casa. E' sotto gli occhi di tutti.
Basta pensare all'art. 18, sebbene non ci riguardi.
Rispondi

Da: @MK7  1  - 07/11/2022 15:43:01
Non credo sia così. Questa classe sindacale avrebbe dovuto procedere, prima di ogni assunzione tramite concorso, ad indire selezioni interne per ogni figura professionale del nostro ministero: a costo anche di indire sciopero e non di proclamre innumerevoli "stati di agitazione" che tutto sembrano fuorchè proteste nei confronti della dirigenza! Per ultimo lo siopero aulico dell'Art. 18
Rispondi

Da: @MK7 07/11/2022 15:44:02
Correggo a richiedere anzichè ad "indire"
Rispondi

Da: Cancelliere stufo07/11/2022 15:48:15
Ada... Sei sindacalista immagino
Rispondi

Da: Cancelliere stufo07/11/2022 15:52:10
Crudelia....mi fai un sunto del tuo copia e incolla? Secondo me manco tu sai cosa hai riportato Grazie
Rispondi

Da: Cancelliere impaziente 1  - 07/11/2022 15:54:55
C'è un aggiornamento di oggi al pdg del 2 novembre perché è stato aggiunto il nome di collega che era stata eliminata per errore. Quindi siamo 1764. Tra tre mesi se Dio vuole. Magra consolazione. Se, come penso, non scorriamo a dicembre faremo prima ad andare in pensione. Forse è quello che vogliono. Ormai siamo la barzelletta del Ministero.
Rispondi

Da: Ada return 4 2  - 07/11/2022 16:10:10
Ripeto: non sono sindacalista ma da sempre apprezzo la volontà di difendere i lavoratori, cosa che viene fatta con fermezza, schiena dritta e sagacia.
Le conquiste di questi anni depongono in tal senso.
Come si fa a dire il contrario?
Vedrete che tutto si sistemerà a breve e nel miglio modo possibile.
L'importante è crederci nella vita.

Rispondi

Da: Cancelliere depresso 07/11/2022 16:15:52
Comunque Ada " a breve" mi sembra un parolone, se anche dovesse sistemarsi
Rispondi

Da: Ada return 507/11/2022 16:30:13
Ma scusate, vogliamo riconoscere almeno le mastodontiche manifestazioni che organizzano?
Sempre debordanti di partecipanti.
Almeno quelle le sapranno fare? O no?
Rispondi

Da: Ada return 707/11/2022 16:31:25
"a breve" sì. Febbraio è dietro l'angolo, più a breve di così. Comunque la data cade nel periodo invernale, mica hanno mandato la cosa a primavera.
Rispondi

Da: Cancelliere idoneo 307/11/2022 16:54:06
Vi sta prendendo un giro non lo avete capito.
Scusami ex "non ho capito" ora ottimista.
Rispondi

Da: Cancelliere sfinito 07/11/2022 19:05:31
Ma domani dovremmo sapere qualcosa?
Rispondi

Da: Cari amici vicini e lontani07/11/2022 19:07:56
Ada... Ada.... Non mangio più... Non dormo più.... Cit. Film....?? Indovina
Rispondi

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