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Da: rosanna15/12/2009 13:16:33
ragazzi è la terza volta ke provo a Napoli, se qlk mi può aiuytare questa è la mia email djmrlucius@libero.it

grazie siete i migliori!

Da: lucian15/12/2009 13:31:10
parole sante e condivido tutto!!!

Da: luciana15/12/2009 13:31:56
parole sante e condivido tutto!!!

Da: luciana15/12/2009 13:32:06
parole sante e condivido tutto!!!

Da: mmmmmmmmmmmm15/12/2009 13:36:09
qualcuno sa gli svolgimenti delle tracce?

Da: MARIO15/12/2009 13:40:50
QULACUNO MI PUO INVIARE LO SVOLGIMENTO DELLE TRACCE
irianama@tin.it

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Da: MARIO15/12/2009 13:41:03
QULACUNO MI PUO INVIARE LO SVOLGIMENTO DELLE TRACCE
irianama@tin.it

Da: callkelly15/12/2009 13:47:17
qualcuno sa dire come è la situazone a Napoli?

Da: callkelly15/12/2009 13:47:20
qualcuno sa dire come è la situazone a Napoli?

Da: Marina15/12/2009 13:48:46
tragica!
Non possono andare in bagno prima di 2 ore

Da: santa inquisizione15/12/2009 13:50:21
La prima traccia:
"La società Alfa è concessionaria di una casa automobilistica società Beta per la vendita di automobili in ambito locale. In considerazione della contingente situazione di difficoltà economica soprattutto in relazione alla generale contrazione degli acquisti degli automobili, la casa automobilistica società Beta rappresenta, con ripetute missive alla società concessionaria, la necessità di modificare in senso a se più favorevole le condizioni economiche previste nel contratto; in particolare, è richiesto di procedere ad una diversa regolamentazione pattizia della misura del prezzo da applicarsi per la vendita tra le parti. Poiché la società Alfa dichiara, mediante lettera raccomandata, di non essere disponibile ad una modifica delle previsioni contrattuali nel senso richiesto, la società automobilistica Beta si avvale del diritto di recesso ad nutum previsto in suo favore dal contratto di concessione stipulato tra le parti. Il candidato, assunte le vesti di difensore della società concessionaria Alfa rediga parere motivato, illustrando gli istituti e le problematiche sottese alla fattispecie; in particolare, analizzi il candidato la questione sotto il profilo dell applicabilità alla fattispecie dell'istituto dell'abuso del diritto".
 
La seconda traccia:
"Con testamento olografo Tizio disponeva delle proprie sostanze in favore dei due figli Caio e Sempronia. In particolare, con suddetto testamento olografo il de cuius manifestava la volta di attribuire a titolo di prelegato al figlio Caio un appartamento in Roma alla via delle Rose ed alla figlia Sempronia un appartamento in Roma alla via dei Garofani, nominandoli, per il resto, eredi universali. Nell atto testamentario, tuttavia, era altresì aggiunta la seguente condizione: qualora al momento dell'apertura della mia successione mio figlio Caio non si sarà risposato lascio, in sostituzione della legittima a lui spettante per legge, l'usufrutto generale vitalizio della suddetta casa di via delle Rose, nonché di tutti gli altri miei beni ad eccezione della casa di via dei Garofani, come sopra attribuita a mia figlia Sempronia, cui sarà devoluta anche la nuda proprietà degli altri beni, tenuto conto del fatto che la stessa è madre di due figli. Caio si rivolge allora ad un legale per valutare se sussistano i presupposti per contestare la validità della suddetta clausola testamentaria, ritenendo che, sebbene lo stesso aveva in corso il procedimento di separazione giudiziale con il proprio coniuge, al tempo della redazione del testamento, la clausola testamentaria di cui sopra costituisca una coercizione alla sua libertà di contrarre nuovo matrimonio. Il candidato, assunte le vesti di difensore di Caio, rediga parere motivato illustrando gli istituti e le problematiche sottese alla fattispecie; in particolare, premessi brevi cenni sulla libertà testamentaria e sui limiti di apponibilità di una condizione nell’atto testamentario, analizzi la questione della validità della clausola in oggetto precisando le previsioni normative di riferimento e gli effetti sul testamento".

Da: nic15/12/2009 13:51:17
svolgimento seconda traccia

Da: mmmmmmmmmmmm15/12/2009 13:53:32
per favore lo svolgimento!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Da: anonimo15/12/2009 13:54:09
potete darmi il parere svolto  o dove posso trovarlo della seconda traccia!

Da: galeazzo15/12/2009 13:58:18
Svolgimento 1a traccia
Preliminare alla risoluzione della controversia, appare ineludibile una disamina del principio di correttezza e buona fede.
L’art. 1175 c.c. prevede che il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza nello svolgimento del rapporto obbligatorio. La norma rappresenta una clausola aperta e generale del sistema ed è ribadita da diverse previsioni normative che ne costituiscono diretta applicazione: il principio di correttezza è infatti enunciato da tutta una serie di disposizioni in materia contrattuale, quali ad esempio quelle relative alle trattative (art. 1337 c.c.), all’interpretazione (art. 1366 c.c.) ed all’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.), con riferimento ad un ambito che copre sia la fase statica, quanto la fase dinamica del rapporto obbligatorio. La buona fede contrattuale può quindi considerarsi come una species del più generale concetto di correttezza.Non esaurendosi nei singoli richiami normativi, bensì assumendo valenza programmatica e precettiva , il principio di buona fede è quindi dotato di autonoma rilevanza e si ritiene violato anche aldilà del caso in cui vi sia un comportamento scorretto lesivo di una posizione soggettiva tutelata da una specifica norma.L’applicazione della clausola generale della buona fede prima di giungere a significativi risultati ha però vissuto un iter travagliato, caratterizzato da alterne vicende che ne hanno depotenziato per diverso tempo la portata innovativa.La giurisprudenza, infatti, ha inizialmente avuto un atteggiamento di chiusura rispetto all'applicazione di un criterio quale quello insito nell'art. 1175, che mal si coniuga con il rigoroso ossequio del principio della certezza del diritto. L'originaria tendenza dei giudici è stata quella di attenersi ad una valutazione legata alla stretta legalità, senza lasciare troppo spazio all'applicazione di principi legislativi che avessero la forza propulsiva di innovare i precetti giuridici alla luce di esigenze morali. Gli orientamenti giurisprudenziali più recenti hanno invece interpretato la regola della correttezza quale parametro che consente una valutazione comparativa degli interessi delle parti con gli adeguati correttivi ad un'applicazione rigorosamente fedele allo strictum ius, sino al punto da individuare nell'art. 1175 c.c. il fulcro della disciplina delle obbligazioni. Ruolo centrale nella svolta ermeneutica del diritto vivente lo ha assunto la lettura coordinata delle norme codicistiche dettate in tema di buona fede contrattuale e la norma costituzionale di cui all’art.2 che richiede che i rapporti interpersonali degli associati siano informati al dovere di solidarietà. In tal modo il principio costituzionale di solidarietà, di cui la buona fede, costituisce specificazione, si pone come valore nel sistema dei rapporti umani ed anche in quello dei rapporti patrimoniali, sicché l’intero sistema delle relazioni deve essere governato dalla lealtà dei soggetti interessati; la solidarietà si può allora considerare una regola di chiusura nella misura in cui garantisce da un lato la realizzazione completa dell’operazione economica perseguita dalle parti e dall’altro l’allineamento del regolamento contrattuale alle finalità d’ordine sociale perseguite dall’ordinamento.
La correttezza e la buona fede, quindi, alla luce della lettura imposta dal principio di solidarietà, fungono sia da criterio di integrazione del contratto, sia da limite per le pretese delle parti contraenti. Debitore e creditore sono quindi accomunati da una disposizione di carattere generale che impone loro di comportarsi secondo le regole della correttezza ex art. 1175 c.c. La buona fede sancita in generale a carico dei soggetti del rapporto obbligatorio si specifica nell'obbligo di salvaguardia, che esige da entrambe le parti di salvaguardare l'utilità della controparte nei limiti di un apprezzabile sacrificio . La buona fede si compie in una duplice direzione in quanto nei confronti del creditore fa sì che gli sia vietato di abusare del suo diritto e, nello stesso tempo, lo obbliga ad attivarsi al fine di evitare o contenere gli imprevisti aggravi della prestazione o le conseguenze dell'inadempimento; nei confronti del debitore incide nella misura in cui questi è tenuto oltre che ad adempiere alla prestazione dedotta nel titolo, anche a salvaguardare gli interessi del creditore che non sono tutelati specificatamente dal rapporto obbligatorio, ma ne sono comunque connessi.Rispetto alla posizione creditoria, quindi, criterio rivelatore della violazione dell'obbligo di buona fede oggettiva, quindi, è quello dell'abuso del diritto.Gli elementi costitutivi dell'abuso del diritto - ricostruiti attraverso l'apporto dottrinario e giurisprudenziale (da ultimo Cass.18 settembre 2009, n. 20106) - sono i seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte. L'abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l'utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore.
È ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell'atto rispetto al potere che lo prevede. Come conseguenze di tale, eventuale abuso, l'ordinamento pone una regola generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva.
E nella formula della mancanza di tutela, sta la finalità di impedire che possano essere conseguiti o conservati i vantaggi ottenuti - ed i diritti connessi - attraverso atti di per sé strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da alterarne la funzione, violando la normativa di correttezza, che è regola cui l'ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina dei rapporti di autonomia privata. Qualora la finalità perseguita da una delle parti non sia quella consentita dall'ordinamento, si avrà abuso. In questo caso il superamento dei limiti interni o di alcuni limiti esterni del diritto ne determinerà il suo abusivo esercizio.
Compiuta una doverosa premessa teorica sul principio di buona fede e sull’abuso del diritto, procediamo con l’applicazione delle prospettive esegetiche illustrate, al caso concreto. In particolare occorre verificare la correttezza del comportamento della società Alfa nell’esercizio della facoltà di recesso ad essa riconosciuto dal contratto di concessione di vendita.
Occorre in prima battuta osservare come tale facoltà sia riconosciuta dal legislatore all’art.1373 c.c., II comma. Autorevole dottrina (De Nova) ha affermato che la funzione del recesso nei contratti di durata (come quello di concessione di vendita) sia quello di consentire ad una parte di sciogliersi dal rapporto, o perché sia venuto meno il suo interesse o perché siano modificate in modo sostanziale le condizioni contrattuali. Orbene, nella fattispecie, concreta, non sono rappresentate le indicate motivazioni che giustificano lo scioglimento del contratto, senza contare che la società Alfa ha esercitato il recesso in modo del tutto disinteressato degli interessi della controparte, decidendo lo scioglimento del rapporto e comunicandolo solo pochissimi giorni prima dalla data dell’interruzione. Alla luce di tali considerazioni, deve ritenersi senz’altro contrario a buona fede il comportamento della società Alfa e ben potrà Tizio coltivare azione verso la controparte per l’illegittimità del recesso da questa esercitato.

Da: xx15/12/2009 13:58:30
ma alessandro che fine ha fatto?

Da: galeazzo15/12/2009 14:01:06
II traccia

Il settore del diritto delle successioni offre spunti di grande interesse in quanto, se è vero che sul piano degli assetti teorici è uno dei più fedeli alla tradizione, comunque si trova a fare i conti con un’attività interpretativa e delle prassi applicative spesso mutevoli.
Il caso proposto consente di affrontare la questione relativa alla validità della condizione apposta ad una disposizione testamentaria, che subordini l’efficacia della stessa,alla circostanza che l’istituito contragga un nuovo matrimonio.
Nel caso di specie, difatti, Tizio disponeva delle proprie sostanze in favore di due figli Caio e Sempronia, manifestando la volontà di attribuire, alla sua morte, a titolo di prelegato al figlio Caio un appartamento in Roma, via delle Rose, ed alla figlia Sempronia un appartamento in Roma, via dei Garofani, nominandoli, per il resto, eredi universali.
Nell’atto testamentario, tuttavia, veniva aggiunta la seguente condizione: «qualora al momento dell’apertura della mia successione mio figlio Caio non si sarà risposato, ad esso lascio, in sostituzione della legittima a lui spettante per legge, l’usufrutto generale vitalizio della suddetta casa di via delle Rose, nonché di tutti gli altri miei beni, ad eccezione della casa di via dei Garofani, come sopra attribuita a mia figlia Sempronia, alla quale sarà devoluta anche la nuda proprietà degli altri beni, in considerazione del fatto che essa è madre di due figli».
Ora, se è vero che costituisce principio fondamentale del nostro ordinamento la piena libertà del testatore di disporre dei propri beni fino al momento della sua morte, è anche vero che sottoporre le disposizioni testamentarie ad una condizione sospensiva o risolutiva pone problemi interpretativi circa l’illiceità ed impossibilità o meno della condizione apposta. La libertà del testatore, salvaguardata dal legislatore con regole particolarmente rigorose tanto sotto il profilo della spontaneità quanto della determinazione sia del contenuto testamentario sia dei suoi destinatari deve in ogni caso misurarsi con la liceità della condizione, sospensiva o risolutiva, apposta alle stesse disposizioni.
Le disposizioni specifiche dettate per il testamento devono mantenere il rispetto della c.d. regola sabiniana, in base alla quale la condizione impossibile o contraria a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume, si considera come non apposta, operando il favor testamenti (art. 634 cod. civ.), salvo che essa sia stata il motivo unico della disposizione, cui, in siffatta ipotesi, si comunica la nullità della condizione (art. 626 cod. civ.).
La giurisprudenza di legittimità al pari della dottrina tradizionale, in un primo momento, nel tentativo di salvaguardare nella maggiore misura possibile la volontà del testatore, ha fornito una interpretazione restrittiva dell'art. 636, primo comma, cod. civ., secondo la quale la condizione che ponga all'istituito un divieto assoluto di nozze è illecita, chiarendo che la citata disposizione codicistica ha lo scopo di tutelare la libertà di contrarre matrimonio della persona, e non è quindi violata nei casi in cui la condizione non sia dettata dal fine di impedire le nozze, ma preveda per l'istituito un trattamento più favorevole in caso di mancato matrimonio, e, senza per ciò influire sulle relative decisioni, abbia di mira di provvedere, nel modo più adeguato, alle esigenze dell'istituito, connesse ad una scelta di vita che lo privi degli aiuti materiali e morali di cui avrebbe potuto godere con il matrimonio (Cass., sent. n. 2122 del 1992).
Tuttavia con la pronuncia 8941/2009 i giudici del Supremo collegio si sono discostati dal prevalente indirizzo giurisprudenziale e dottrinale che aveva sempre interpretato il disposto dell'articolo 636 del Cc - sul divieto di condizionare l'attribuzione a titolo di erede o di legato alla mancata celebrazione delle nozze - in modo piuttosto angusto, ritenendo di accedere a un più ampio perimetro applicativo del divieto, da rintracciare però nella previsione generale dell'articolo 634 del Cc. A tale risultato i giudici sono pervenuti essenzialmente sulla base di una nuova lettura costituzionalmente orientata delle norme coinvolte, maggiormente rispettosa delle libertà fondamentali dell'individuo, tra le quali la libertà di accedere o meno al vincolo matrimoniale, che si è giudicata prevalente rispetto alla salvaguardia della libertà testamentaria.
Il Collegio, infatti, ha ritenuto di dover affermare la illiceità della condizione di contrarre matrimonio, come una opzione che limita la libera esplicazione della propria personalità.
Secondo la Corte suprema, difatti, la condizione, apposta ad una disposizione testamentaria, che subordini la efficacia della stessa alla circostanza che l’istituito contragga o meno matrimonio, è ricompresa nella previsione dell'art. 634 cod. civ., in quanto contraria alla esplicazione della libertà matrimoniale, fornita di copertura costituzionale attraverso gli artt. 2 e 29 Cost. Pertanto, essa si considera non apposta, salvo che risulti che abbia rappresentato il solo motivo ad indurre il testatore a disporre, ipotesi nella quale rende nulla la disposizione testamentaria.
In conclusione, alla stregua del sopra enunciato principio, che, sul piano dei valori costituzionali, si riconnette all'istituto del matrimonio quale frutto di una libera scelta autoresponsabile, può sostenersi come nel caso di specie la condizione apposta dal testatore nei confronti del figlio Caio, debba considerarsi per non apposta in quanto limitativa della libertà di Caio nella propria scelta di contrarre o meno matrimonio.
Si tratta, quindi, di tutelare la libertà di autodeterminazione dell’individuo nell’adozione delle scelte attuative del proprio progetto di vita, inteso precipuamente nella sua accezione
esistenziale.
Sulla base di queste decisioni può dunque sostenersi che la prospettazione di un vantaggio economico, la cui acquisizione sia subordinata ad un predeterminato comportamento fortemente connesso alla dimensione intima ed esistenziale del soggetto condizionalmente beneficiato, costituisce â€" anche se indirettamente â€" una
coartazione della volontà individuale, di per sé idonea a ledere la dignità personale che, nell’attuale contesto costituzionale, deve riconoscersi quale vertice assiologico dell’intero sistema, sia con riguardo alla funzione
giurisdizionale , sia in riferimento al concreto esercizio dell’autonomia privata.

Da: salerno15/12/2009 14:01:25
aiutatemi qualcuno puo suggerirmi dove trovare gli svolgimenti delle tracce

Da: moralizzatore15/12/2009 14:01:48
ma se qualcuno mandasse  i vostri IP alla polizia postale .....

siete un insilto per quelli che stanno lì 7 ore a rompersi il culo.... io l'esame l'ho passato studiando e con la mia testa ..... siete vergognosi

Da: moralizzatore15/12/2009 14:01:52
ma se qualcuno mandasse  i vostri IP alla polizia postale .....

siete un insilto per quelli che stanno lì 7 ore a rompersi il culo.... io l'esame l'ho passato studiando e con la mia testa ..... siete vergognosi

Da: Nik15/12/2009 14:01:58
1a traccia
La società Alfa è concessionaria di una casa automobilistica società beta per
la vendita in ambito locale. In considerazione della contingente situazione di
difficoltà economica soprattutto in relazione alla generale contrazione degli
acquisti degli automobili, la casa automobilistica società beta rappresenta con
ripetute missive alla società concessionaria la necessita di modificare in
senso a se più favorevole le condizioni economiche previste nel contratto,
inparticolare di procedere ad una diversa regolamentazione pattizia della
misura del prezzo da applicarsi per la vendita tra le parti. Poiché la società
Alfa dichiara , mediante lettera raccomandata, di non essere disponibile ad una
modifica delle previsioni contrattuali nel senso richiesto, la società
automobilistica beta si avvale del diritto di recesso ad nutum previsto in suo
favore dal contratto di concessione stipulato tra le parti. Il candidato,
assunte le vesti di difensore della società concessionaria Alfa rediga parere
motivato, illustrando gli istituti e le problematiche sottese alla fattispecie;
il particolare analizzi il candidato la questione sotto il profilo Dell
applicabilità alla fattispecie dell istituto Dell abuso del diritto.

sentenza 18 settembre 2009, n. 20106
sentenza 18 settembre 2009, n. 20106

SENTENZA INTEGRALE DELLA 20106/2009 (PER LA PRIMA TRACCIA)


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VARRONE Michele - Presidente -
Dott. FICO Nino - Consigliere -
Dott. URBAN Giancarlo - rel. Consigliere -
Dott. VIVALDI Roberta - est. Consigliere -
Dott. LANZILLO Raffaella - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 10065-2005 proposto da:
A.G., S.A., in qualità di cessionari
di tutti i diritti e crediti della NOVA AUTO S.R.L., NUOVA BOB CAR
SRL nella persona del cessionario del credito e della posizione,
ossia As.Con. Rev. nella persona del suo Presidente ST.
A., RENO' CAR S.R.L. in liquidazione nella persona del suo
Liquidatore legale rappresentante pro tempore G.M., LUIGINO
ROSSI & C SNC in persona del suo legale rappresentante pro
tempore,
dott. R.L., M.B. quale cessionario di tutti i
diritti e crediti della RECAR SRL, AUTOMOBILI TRIVELLATO DI GRAZIANO
TRIVELLATO & C SNC, in persona del suo legale rappresentante
pro
tempore, T.G., TURBO CAR SRL in persona del suo
legale rappresentante pro tempore, sign. RO.ED.,
ASSOCIAZIONE CONCESSIONARI REVOCATI nella persona del suo Presidente
ST.AN., AUTOFRANCE SNC in persona del suo legale
rappresentante pro-tempore RE.AN., AUTOMIL & C SAS
in
persona del suo legale rappresentante pro tempore sig. MI.
L., AUTO TIRRENA SNC in persona del suo legale rappresentante pro
tempore S.A., B.E. quale cessionario dei
diritti della BACCARANI ERIO & C SAS, BARTOLI AUTO SRL in persona
del
suo legale rappresentante pro tempore BA.GI., CORDIOLI
SRL in persona del suo legale rappresentante pro tempore C.
G., COSSETTI & VATTA SNC IN LIQUIDAZIONE nelle persone
dei
suoi legali rappresentanti pro tempore, CO.GI. E
V.F., EUGENIO FERRARI SRL nella persona del suo legale
rappresentante pro tempore, F.G., GIULIANI VIRGILIO
DITTA (già Giuliani Auto & C. S.r.l.) nella persona del
legale
rappresentante pro tempore sig. G.V., GIBIAUTO SRL
nella persona del suo legale rappresentante pro tempore, O.
M., FALLIMENTO GREEN CAR SRL nella persona del suo curatore
legale rappresentante pro tempore, Dott. T.S., GROVER
SRL nella persona del suo legale rappresentante pro tempore GR.
N., LIQUIDAUTO SRL IN LIQUIDAZIONE (già P. Di Giacomo s.r.l.)
nella persona del suo legale rappresentante pro tempore Sig.ra
AD.EM., FRATELLI MELONI SNC nella persona del suo legale
rappresentante pro tempore, Sig. ME.MO., FRANCESCO MENABUE
& C SNC nella persona del suo legale rappresentante pro tempore,
Sig.
M.L., L.D. quale cessionario dei diritti di
New Cars S.r.l. in liquidazione, elettivamente domiciliati in ROMA,
PIAZZA PRATI DEGLI STROZZI 30, presso lo studio dell'avvocato MOLFESE
FRANCESCO, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato
GALGANO FRANCESCO; come da separate procure speciali;
- ricorrenti -
contro
RENAULT ITALIA SPA;
- intimati -
sul ricorso 13817-2005 proposto da:
RENAULT ITALIA SPA, in persona del suo legale rappresentante pro
tempore Signor D.P., elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA NIZZA 59, presso lo studio dell'avvocato BATTAGLIA EMILIO, che la
rappresenta e difende unitamente all'avvocato DI AMATO ASTOLFO per
delega a margine del controricorso con ricorso incidentale;
- ricorrente -
contro
ASS CONCESSIONARI REVOCATI, AUTOFRANCE SNC, AUTOMIL & C SAS,
AUTO
TIRRENA SNC, B.E., BARTOLI AUTO SRL, CORDIOLI SRL,
COSSETTI & VATTA SNC IN LIQ, ING EUGENIO FERRARI SRL,
GIULIANI
VIRGILIO DITTA, GIBIAUTO SRL, FALL GREEN CAR SRL, GROVER SRL,
LIQUIDAUTO SRL IN LIQ, F.LLI MELONI SNC, FRANCESCO MENABUE & C
SNC,
L.D., A.G., S.A., NUOVA BOB
CAR SRL, M.B., RENO' CAR SRL IN LIQ, LUIGINO ROSSI &
C
SNC, SOMA SPA, FALL SUPERCAR SRL, AUTOMOBILI TRIVELLATO DI GRAZIANO
TRIVELLATO & C SNC, TURBO CAR SRL;
- intimati -
avverso la sentenza n. 136/2005 della CORTE D'APPELLO di ROMA,
Sezione 11 Civile emessa il 28/09/2004, depositata il 13/01/2005;
R.G.N. 6835/2002.
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
08/06/2009 dal Consigliere Dott. GIANCARLO URBAN;
udito l'Avvocato Francesco GALGANO;
udito l'Avvocato Emilio BATTAGLIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
DESTRO CARLO che ha chiesto il rigetto del ricorso.


(Torna su ) Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Tra il 1992 ed il 1996 gli attuali ricorrenti, tutti ex concessionari della Renault Italia spa, furono revocati dalla stessa società, sulla base della facoltà di recesso ad nutum previsto dall'art. 12 del contratto di concessione di vendita.
Poichè in tale condotta fu ravvisato un comportamento abusivo, e comunque illecito da parte della Renault Italia spa, fu fondata la Associazione Concessionari Revocati, con lo scopo di "programmare, provvedere, sviluppare, organizzare, gestire ogni iniziativa ed attività idonea alla tutela e difesa, nonchè alla rappresentanza, dei diritti dei Concessionari d'auto revocati dalle case automobilistiche (concessionari) aventi sede nel territorio (OMISSIS)".
L'Associazione ed i concessionari revocati convenivano, quindi, la Renault Italia spa davanti al tribunale di Roma, allo scopo di ottenere la declaratoria di illegittimità del recesso per abuso del diritto, e la conseguente condanna della Renault Italia spa al risarcimento dei danni subiti per effetto dell'abusivo recesso.
Renault Italia spa si costituiva chiedendo il rigetto della domanda, con la condanna alle spese.
Il tribunale, con sentenza in data 11.6.2001, rigettava la domanda compensando le spese.
Ad eguale conclusione perveniva la Corte d'Appello che, con sentenza del 13.1.2005, rigettava gli appelli proposti dall'Associazione e dai concessionari, che condannava al pagamento delle spese.
Riteneva, in particolare, la Corte di merito che la previsione del recesso ad nutum in favore della Renault Italia rendesse superfluo ogni controllo causale sull'esercizio di tale potere.
Hanno proposto ricorso principale per cassazione affidato a cinque motivi illustrati da memoria i soggetti indicati in epigrafe.
Resiste con controricorso la Renault Italia spa che ha, anche, proposto ricorso incidentale affidato ad un motivo.
(Torna su ) Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, i ricorsi - principale ed incidentale - vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c..
Ricorso principale.
Con il primo motivo i ricorrenti principali denunciano la violazione e falsa applicazione dell'art. 216 c.p.c. in relazione all'art. 158 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4).
Sostengono che la sentenza impugnata sia affetta da nullità per vizi relativi alla costituzione del giudice, vale a dire per "mancanza di collegialità nella decisione testimoniata dal fatto che la sentenza impugnata risulta estesa il 28 settembre 2004, ossia molto prima che fosse tenuta la camera di consiglio del 12 ottobre 2004".
Il motivo non è fondato.
L'apposizione in calce alla sentenza della data del 28 settembre 2004, invece di quella del 12 ottobre 2004 (data in cui si è tenuta la camera di consiglio) risulta frutto di un semplice errore materiale, posto che - come risulta dagli atti - nella data del 28 settembre 2004 la Corte di merito si era già riunita in camera di consiglio per l'esame dell'appello.
Peraltro, l'errore materiale commesso è stato emendato attraverso il procedimento di correzione ex artt. 287 e 288 c.p.c., con ordinanza emessa in data 25.5.2005 - a seguito di scioglimento della riserva adottata all'udienza collegiale del 24.5.2005 - del seguente tenore " corregge la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 136 depositata il 13 gennaio 2005 nel senso che dove è scritto, alla fine della sentenza e dopo la parola Roma, "28 settembre 2004" deve intendersi scritto "12 ottobre 2004", disponendo che la cancelleria effettui l'annotazione di rito".
La correzione così effettuata rende inammissibile la censura, posto che i ricorrenti non denunciano la correttezza del procedimento adottato, di correzione dell'errore materiale contenuto nella sentenza impugnata.
Con il secondo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione delle clausole generali della buona fede, ed in particolare sulla pretesa insindacabilità degli atti di autonomia privata e della conseguente non applicabilità della figura dell'abuso del diritto all'esercizio del recesso ad nutum (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 1175 e 1375 c.c.).
Con il terzo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c.; contraddittorietà della motivazione sul punto (art. 360 c.p.c., n. 5).
Con il quarto motivo denunciano la violazione e falsa applicazione delle disposizioni sull'agenzia ed errata valutazione della giurisprudenza tedesca in materia (art. 360 c.p.c., n. 3).
Il secondo, terzo e quarto motivo, investendo profili che si presentano connessi in ordine alle questioni prospettate, vanno esaminati congiuntamente.
Essi sono fondati, nei limiti di cui in motivazione, per le ragioni che seguono.
Costituiscono principii generali del diritto delle obbligazioni quelli secondo cui la parti di un rapporto contrattuale debbono comportarsi secondo le regole della correttezza (art. 1175 c.c.) e che l'esecuzione dei contratti debba avvenire secondo buona fede (art. 1375 c.c.).
In tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase (Cass. 5.3.2009 n. 5348; Cass. 11.6.2008 n. 15476).
Ne consegue che la clausola generale di buona fede e correttezza è operante, tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all'esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.).
I principii di buona fede e correttezza, del resto, sono entrati, nel tessuto connettivo dell'ordinamento giuridico.
L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce, infatti, un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica (v. in questo senso, fra le altre, Cass. 15.2.2007 n. 3462).
Una volta collocato nel quadro dei valori introdotto dalla Carta costituzionale, poi, il principio deve essere inteso come una specificazione degli "inderogabili doveri di solidarietà sociale" imposti dall'art. 2 Cost., e la sua rilevanza si esplica nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge.
In questa prospettiva, si è pervenuti ad affermare che il criterio della buona fede costituisce strumento, per il giudice, atto a controllare, anche in senso modificativo od integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi.
La Relazione ministeriale al codice civile, sul punto, così si esprimeva: (il principio di correttezza e buona fede) "richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore", operando, quindi, come un criterio di reciprocità.
In sintesi, disporre di un potere non è condizione sufficiente di un suo legittimo esercizio se, nella situazione data, la patologia del rapporto può essere superata facendo ricorso a rimedi che incidono sugli interessi contrapposti in modo più proporzionato.
In questa ottica la clausola generale della buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. è stata utilizzata, anche nell'ambito dei diritti di credito, per scongiurare, per es. gli abusi di posizione dominante.
La buona fede, in sostanza, serve a mantenere il rapporto giuridico nei binari dell'equilibrio e della proporzione.
Criterio rivelatore della violazione dell'obbligo di buona fede oggettiva è quello dell'abuso del diritto.
Gli elementi costitutivi dell'abuso del diritto - ricostruiti attraverso l'apporto dottrinario e giurisprudenziale - sono i seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte.
L'abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l'utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore.
E' ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell'atto rispetto al potere che lo prevede.
Come conseguenze di tale, eventuale abuso, l'ordinamento pone una regola generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva.
E nella formula della mancanza di tutela, sta la finalità di impedire che possano essere conseguiti o conservati i vantaggi ottenuti - ed i diritti connessi - attraverso atti di per sè strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da alterarne la funzione, violando la normativa di correttezza, che è regola cui l'ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina dei rapporti di autonomia privata.
Nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni, in via generale, l'abuso del diritto.
La cultura giuridica degli anni '30 fondava l'abuso del diritto, più che su di un principio giuridico, su di un concetto di natura etico morale, con la conseguenza che colui che ne abusava era considerato meritevole di biasimo, ma non di sanzione giuridica.
Questo contesto culturale, unito alla preoccupazione per la certezza - o quantomeno prevedibilità del diritto -, in considerazione della grande latitudine di potere che una clausola generale, come quella dell'abuso del diritto, avrebbe attribuito al giudice, impedi che fosse trasfusa, nella stesura definitiva del codice civile italiano del 1942, quella norma del progetto preliminare (art. 7) che proclamava, in termini generali, che "nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per il quale il diritto medesimo gli è stato riconosciuto" (così ponendosi l'ordinamento italiano in contrasto con altri ordinamenti, ad es. tedesco, svizzero e spagnolo); preferendo, invece, ad una norma di carattere generale, norme specifiche che consentissero di sanzionare l'abuso in relazione a particolari categorie di diritti.
Ma, in un mutato contesto storico, culturale e giuridico, un problema di così pregnante rilevanza è stato oggetto di rimeditata attenzione da parte della Corte di legittimità (v. applicazioni del principio in Cass. 8.4.2009 n. 8481; Cass. 20.3.2009 n. 6800; Cass. 17.10.2008 n. 29776; Cass. 4.6.2008 n. 14759; Cass. 11.5.2007 n. 10838).
Così, in materia societaria è stato sindacato, in una deliberazione assembleare di scioglimento della società, l'esercizio del diritto di voto sotto l'aspetto dell'abuso di potere, ritenendo principio generale del nostro ordinamento, anche al di fuori del campo societario, quello di non abusare dei propri diritti - con approfittamento di una posizione di supremazia - con l'imposizione, nelle delibere assembleari, alla maggioranza, di un vincolo desunto da una clausola generale quale la correttezza e buona fede (contrattuale).
In questa ottica i soci debbono eseguire il contratto secondo buona fede e correttezza nei loro rapporti reciproci, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., la cui funzione è integrativa del contratto sociale, nel senso di imporre il rispetto degli equilibri degli interessi di cui le parti sono portatrici.
E la conseguenza è quella della invalidità della delibera, se è raggiunta la prova che il potere di voto sia stato esercitato allo scopo di ledere gli interessi degli altri soci, ovvero risulti in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione del canone generale di buona fede nell'esecuzione del contratto (v. Cass. 11.6.2003 n. 9353).
Con il rilievo che tale canone generale non impone ai soggetti un comportamento a contenuto prestabilito, ma rileva soltanto come limite esterno all'esercizio di una pretesa, essendo finalizzato al contemperamento degli opposti interessi (Cass. 12.12.2005 n. 27387).
Ancora, sempre nell'ambito societario, la materia dell'abuso del diritto è stata esaminata con riferimento alla qualità di socio ed all'adempimento secondo buona fede delle obbligazioni societarie ai fini della sua esclusione dalla società (Cass. 19.12.2008 n. 29776), ed al fenomeno dell'abuso della personalità giuridica quando essa costituisca uno schermo formale per eludere la più rigida applicazione della legge (v. anche Cass. 25.1.2000 n. 804; Cass. 16.5.2007 n. 11258).
In tal caso, proprio richiamando l'abuso, ne sarà possibile, per così dire, il suo "disvelamento" (piercing the corporate veil).
Nell'ambito, poi, dei rapporti bancari è stato più volte riconosciuto che, in ossequio al principio per cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1375 cod. civ.), non può escludersi che il recesso di una banca dal rapporto di apertura di credito, benchè pattiziamente consentito anche in difetto di giusta causa, sia da considerarsi illegittimo ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari (Cass. 21.5.1997 n. 4538;
Cass. 14.7.2000 n. 9321; Cass. 21.2.2003 n. 2642).
E, con riferimento ai rapporti di conto corrente, è stato ritenuto che, in presenza di una clausola negoziale che, nel regolare tali rapporti, consenta all'istituto di credito di operare la compensazione tra i saldi attivi e passivi dei diversi conti intrattenuti dal medesimo correntista, in qualsiasi momento, senza obbligo di preavviso, la contestazione sollevata dal cliente che, a fronte della intervenuta operazione di compensazione, lamenti di non esserne stato prontamente informato e di essere andato incontro, per tale motivo, a conseguenze pregiudizievoli, impone al giudice di merito di valutare il comportamento della banca alla stregua del fondamentale principio della buona fede nella esecuzione del contratto. Con la conseguenza, in caso contrario, del riconoscimento a carico della banca, di una responsabilità per risarcimento dei danni (Cass. 28.9.2005 n. 18947).
In materia contrattuale, poi, gli stessi principii sono stati applicati, in particolare, con riferimento al contratto di mediazione (Cass. 5.3.2009 n. 5348), al contratto di sale and lease back connesso al divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c., (Cass. 16.10.1995 n. 10805; Cass. 26.6.2001 n. 8742; Cass. 22.3.2007 n. 6969; Cass. 8.4.2009 n. 8481), ed al contratto autonomo di garanzia ed exceptio doli (Cass. 1.10.1999 n. 10864; cass. 28.7.2004 n. 14239;
Cass. 7.3.2007 n. 5273).
Del principio dell'abuso del diritto è stato, da ultimo, fatto frequente uso in materia tributaria, fondandolo sul riconoscimento dell'esistenza di un generale principio antielusivo (v. per tutte S.U. 23.10.2008 nn. 30055, 30056, 30057).
Il breve excursus esemplificativo consente, quindi, di ritenere ormai acclarato che anche il principio dell'abuso del diritto è uno dei criteri di selezione, con riferimento al quale esaminare anche i rapporti negoziali che nascono da atti di autonomia privata, e valutare le condotte che, nell'ambito della formazione ed esecuzione degli stessi, le parti contrattuali adottano.
Deve, con ciò, pervenirsi a questa conclusione.
Oggi, i principii della buona fede oggettiva, e dell'abuso del diritto, debbono essere selezionati e rivisitati alla luce dei principi costituzionali - funzione sociale ex art. 42 Cost. - e della stessa qualificazione dei diritti soggettivi assoluti.
In questa prospettiva i due principii si integrano a vicenda, costituendo la buona fede un canone generale cui ancorare la condotta delle parti, anche di un rapporto privatistico e l'interpretazione dell'atto giuridico di autonomia privata e, prospettando l'abuso, la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali essi sono conferiti.
Qualora la finalità perseguita non sia quella consentita dall'ordinamento, si avrà abuso.
In questo caso il superamento dei limiti interni o di alcuni limiti esterni del diritto ne determinerà il suo abusivo esercizio.
Alla luce di tali principii e considerazioni svolte deve, ora, esaminarsi la sentenza, in questa sede, impugnata.
La struttura argomentativa della sentenza si sviluppa secondo i seguenti passaggi logici:
1) il giudice non ha alcuna possibilità di controllo sull'atto di autonomia privata; "2) la previsione contrattuale del recesso ad nutum dal contratto non consente, quindi, da parte del giudice, il sindacato su tale atto, non essendo necessario alcun controllo causale circa l'esercizio del potere, perchè un tale potere rientra nella libertà di scelta dell'operatore economico in un libero mercato; 3) La Renault Italia non doveva tenere conto anche dell'interesse della controparte o di interessi diversi da quello che essa aveva alla risoluzione del rapporto"; 4) la insussistenza di un'ipotesi di recesso illegittimo comporta la non pertinenza del richiamo agli artt. 1175 e 1375 c.c.; 5) i principii di correttezza e buona fede non creano obbligazioni autonome, ma rilevano soltanto per verificare il puntuale adempimento di obblighi riconducibili a determinati rapporti; 6) Non sono presenti nel caso in esame i principi enucleati dalla giurisprudenza in tema di abuso del diritto;
e ciò perchè "La sussistenza di un atto di abuso del diritto (speculare ai cosiddetti atti emulativi) postula il concorso di un elemento oggettivo, consistente nell'assenza di utilità per il titolare del diritto, e di un elemento soggettivo costituito dall'animus nocendi, ossia l'intenzione di nuocere o di recare molestia ad altri"; 7) "Il mercato, concepito quale luogo della libertà di iniziativa economica (garantita dalla Costituzione), presuppone l'esistenza di soggetti economici in grado di esercitare i diritti di libertà in questione e cioè soggetti effettivamente responsabili delle scelte d'impresa ad essi formalmente imputabili.
La nozione di mercato libero presuppone che il gioco della concorrenza venga attuato da soggetti in grado di autodeterminarsi";
8) Alla libertà di modificare l'assetto di vendita, da parte della Renault Italia spa, conseguiva che il recesso ad nutum rappresentava, per il titolare di tale facoltà, il mezzo più conveniente per realizzare tale fine: non sussiste, quindi, l'abuso"; 9) La impossibilità di ipotizzare "un potere del giudice di controllo diretto sugli atti di autonomia privata, in mancanza di un atto normativo che specifichi come attuare tale astratta tutela", produce, come effetto, quello della introduzione di "un controllo di opportunità e di ragionevolezza sull'esercizio del potere di recesso; al che consegue una valutazione politica, non giurisdizionale dell'atto"; 10) La impossibilità di procedere ad un giudizio di ragionevolezza in ambito privatistico e, particolarmente, "in ambito contrattuale in cui i valori di riferimento non sono unitari, ma sono addirittura contrapposti e la composizione del conflitto avviene proprio seguendo i parametri legali dell'incontro delle volontà su una causa eletta dall'ordinamento come meritevole di tutela" fa sì che "Solo allorchè ricorrono contrasti con norme imperative, può essere sanzionato l'esercizio di una facoltà, ma al di fuori di queste ipotesi tipiche, normativamente previste, residua la più ampia libertà della autonomia privata".
Le affermazioni contenute nella sentenza impugnata non sono condivisibili sotto diversi profili.
Punto di partenza dal quale conviene prendere le mosse è quello che non è compito del giudice valutare le scelte imprenditoriali delle parti in causa che siano soggetti economici, scelte che sono, ovviamente, al di fuori del sindacato giurisdizionale.
Diversamente, quando, nell'ambito dell'attività imprenditoriale, vengono posti in essere atti di autonomia privata che coinvolgono - ad es. nei contratti d'impresa - gli interessi, anche contrastanti, delle diverse parti contrattuali.
In questo caso, nell'ipotesi in cui il rapporto evolva in chiave patologica e sia richiesto l'intervento del giudice, a quest'ultimo spetta di interpretare il contratto, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti.
Ciò vuoi significare che l'atto di autonomia privata è, pur sempre, soggetto al controllo giurisdizionale.
Gli strumenti di interpretazione del contratto sono rappresentati: il primo, dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate; con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate, e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa; con l'adozione eventuale degli altri criteri interpretativi, comunque, di natura sussidiaria.
Ma il contratto e le clausole che lo compongono - ai sensi dell'art. 1366 c.c. - debbono essere interpretati anche secondo buona fede.
Non soltanto.
Il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve accompagnare il contratto nel suo svolgimento, dalla formazione all'esecuzione, ed, essendo espressione del dovere di solidarietà fondato sull'art. 2 Cost., impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire nell'ottica di un bilanciamento degli interessi vicendevoli, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di norme specifiche.
La sua violazione, pertanto, costituisce di per sè inadempimento e può comportare l'obbligo di risarcire il danno che ne sia derivato (v. anche S.U. 15.11.2007 n. 23726; Cass. 22.1.2009 n. 1618; Cass. 6.6.2008 n. 21250; Cass. 27.10.2006 n. 23273; Cass. 7.6.2006 n. 13345; Cass. 11.1.2006 n. 264).
Il criterio della buona fede costituisce, quindi, uno strumento, per il giudice, finalizzato al controllo - anche in senso modificativo o integrativo - dello statuto negoziale; e ciò quale garanzia di contemperamento degli opposti interessi (v. S.U. 15.11.2007 n. 23726 ed i richiami ivi contenuti).
Il giudice, quindi, nell'interpretazione secondo buona fede del contratto, deve operare nell'ottica dell'equilibrio fra i detti interessi.
Ed è su questa base che la Corte di merito avrebbe dovuto valutare ed interpretare le clausole del contratto - in particolare quella che prevedeva il recesso ad nutum - anche al fine di riconoscere l'eventuale diritto al risarcimento del danno per l'esercizio di tale facoltà in modo non conforme alla correttezza ed alla buona fede.
Sotto questo profilo, pertanto, dovrà essere riesaminato il materiale probatorio acquisito.
In sostanza la Corte di merito - di fronte ad un recesso non qualificato - non poteva esimersi dal valutare le circostanze allegate dai destinatari dell'atto di recesso, quali impeditive del suo esercizio, o quali fondanti un diritto al risarcimento per il suo abusivo esercizio.
Anche con riferimento all'abuso del diritto, le indicazioni fornite dalla Corte di merito non possono essere seguite.
Il controllo del giudice sul carattere abusivo degli atti di autonomia privata è stato pienamente riconosciuto dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte di legittimità, cui si è fatto cenno.
La conseguenza è l'irrilevanza, sotto questo aspetto, delle considerazioni svolte in tema di libertà economica e di libero mercato.
Nessun dubbio che le scelte decisionali in materia economica non siano oggetto di sindacato giurisdizionale, rientrando nelle prerogative dell'imprenditore operante nel mercato, che si assume il rischio economico delle scelte effettuate.
Ma, in questo contesto, l'esercizio del potere contrattuale riconosciutogli dall'autonomia privata, deve essere posto in essere nel rispetto di determinati canoni generali - quali quello appunto della buona fede oggettiva, della lealtà dei comportamenti e delle correttezza - alla luce dei quali debbono essere interpretati gli stessi atti di autonomia contrattuale.
Ed il fine da perseguire è quello di evitare che il diritto soggettivo, che spetta a qualunque consociato che ne sia portatore, possa sconfinare nell'arbitrio.
Da ciò il rilievo dell'abuso nell'esercizio del proprio diritto.
La libertà di scelta economica dell'imprenditore, pertanto, in sè e per sè, non è minimamente scalfita; ciò che è censurato è l'abuso, ma non di tale scelta, sebbene dell'atto di autonomia contrattuale che, in virtù di tale scelta, è stato posto in essere.
L'irrilevanza, per il diritto, delle ragioni che sono a monte della conclusione ed esecuzione di un determinato rapporto negoziale, non esclude - ma anzi prevede - un controllo da parte del giudice, al fine di valutare se l'esercizio della facoltà riconosciuta all'autonomia contrattuale abbia operato in chiave elusiva dei principii espressione dei canoni generali della buona fede, della lealtà e della correttezza.
Di qui il rilievo riconosciuto dall'ordinamento - al fine di evitare un abusivo esercizio del diritto - ai canoni generali di interpretazione contrattuale.
Ed in questa ottica, il controllo e l'interpretazione dell'atto di autonomia privata dovrà essere condotto tenendo presenti le posizioni delle parti, al fine di valutare se posizioni di supremazia di una di esse e di eventuale dipendenza, anche economica, dell'altra siano stati forieri di comportamenti abusivi, posti in essere per raggiungere i fini che la parte si è prefissata.
Per questa ragione il giudice, nel controllare ed interpretare l'atto di autonomia privata, deve operare ed interpretare l'atto anche in funzione del contemperamento degli opposti interessi delle parti contrattuali.
Erra, pertanto, il giudice di merito quando afferma che vi è un'impossibilità di procedere ad un giudizio di ragionevolezza in ambito contrattuale, escludendo che lo stesso possa controllare l'esercizio del potere di recesso; ritenendo che, diversamente si tratterebbe di una valutazione politica.
Il problema non è politico, ma squisitamente giuridico ed investe i rimedi contro l'abuso dell'autonomia privata e dei rapporti di forza sul mercato, problemi questi che sono oggetto di attenzione da parte di tutti gli ordinamenti contemporanei, a causa dell'incremento delle situazioni di disparità di forze fra gli operatori economici.
Al giudicante è richiesta, attraverso il controllo e l'interpretazione dell'atto di recesso - al fine di affermarne od escluderne il suo esercizio abusivo, condotto alla luce dei principii più volte enunciati - proprio ed esclusivamente una valutazione giuridica.
Le considerazioni tutte effettuate consentono, quindi, di concludere che la Corte di merito abbia errato quando ha adottato le seguenti proposizioni argomentative: 1) che la sussistenza di un atto di abuso del diritto sia soltanto speculare agli atti emulativi e postuli il concorso di un elemento oggettivo, consistente nell'assenza di utilità per il titolare del diritto, e di un elemento soggettivo costituito dall'animus nocendi; 2) che, stabilito che la Renault Italia era libera di modificare l'assetto di vendita, il recesso ad nutum era il mezzo più conveniente per realizzare tale fine; al che conseguirebbe l'insussistenza dell'abuso; 3) che, una volta che l'ordinamento abbia apprestato un dato istituto, spetta all'autonomia delle parti utilizzarlo o meno; 4) che non sussista la possibilità di utilizzare un giudizio di ragionevolezza in ambito privatistico - in particolare contrattuale - in cui i valori di riferimento non solo non sono unitari, ma sono addirittura contrapposti; 5) che nessuna valutazione delle posizioni contrattuali delle parti - soggetti deboli e soggetti economicamente "forti" -, anche con riferimento alle condizioni tutte oggetto della previsione contrattuale, rientri nella sfera di valutazione complessiva del Giudicante.
La Corte di merito ha affermato che l'abuso fosse configurabile in termini di volontà di nuocere, ovvero in termini di "neutralità";
nel senso cioè che, una volta che l'ordinamento aveva previsto il mezzo (diritto di recesso) per conseguire quel dato fine (scioglimento dal contratto di concessione di vendita), erano indifferenti le modalità del suo concreto esercizio.
Ma il problema non è questo.
Il problema è che la valutazione di un tale atto deve essere condotta in termini di "conflittualità". Ovvero: posto che si verte in tema di interessi contrapposti, di cui erano portatrici le parti, il punto rilevante è quello della proporzionalità dei mezzi usati.
Proporzionalità che esprime una certa procedimentalizzazione nell'esercizio del diritto di recesso (per es. attraverso la previsione di trattative, il riconoscimento di indennità ecc.).
In questo senso, la Corte di appello non poteva esimersi da un tale controllo condotto, secondo le linee guida esposte, anche, quindi, sotto il profilo dell'eventuale abuso del diritto di recesso, come operato.
In concreto, avrebbe dovuto valutare - e tale esame spetta ora al giudice del rinvio - se il recesso ad nutum previsto dalle condizioni contrattuali, era stato attuato con modalità e per perseguire fini diversi ed ulteriori rispetto a quelli consentiti.
Ed in questo esame si sarebbe dovuta avvalere del materiale probatorio acquisito, esaminato e valutato alla luce dei principii oggi indicati, al fine di valutare - anche sotto il profilo del suo abuso - l'esercizio del diritto riconosciuto.
In ipotesi, poi, di eventuale, provata disparità di forze fra i contraenti, la verifica giudiziale del carattere abusivo o meno del recesso deve essere più ampia e rigorosa, e può prescindere dal dolo e dalla specifica intenzione di nuocere: elementi questi tipici degli atti emulativi, ma non delle fattispecie di abuso di potere contrattuale o di dipendenza economica.
Le conseguenze, cui condurrebbe l'interpretazione proposta dalla sentenza impugnata, sono inaccettabili.
La esclusione della valorizzazione e valutazione della buona fede oggettiva e della rilevanza anche dell'eventuale esercizio abusivo del recesso, infatti, consentirebbero che il recesso ad nutum si trasformi in un recesso, arbitrario, cioè ad libitum, di sicuro non consentito dall'ordinamento giuridico.
Il giudice del rinvio, quindi, dovrà riesaminare la questione, tenendo conto delle indicazioni fornite e dei principii enunciati, al fine di riconoscere o meno il carattere abusivo del recesso e l'eventuale, consequenziale diritto al risarcimento del danni subiti.
Tutto ciò in chiave di contemperamento dei diritti e degli interessi delle parti in causa, in una prospettiva anche di equilibrio e di correttezza dei comportamenti economici.
Le conclusioni raggiunte consentono di ritenere irrilevante, e, quindi, superfluo l'esame degli ulteriori profili di censura proposti.
I temi dell'abuso di dipendenza economica e della applicabilità analogica od estensiva della normativa in materia di subfornitura (in particolare L. 18 giugno 1998, n. 172, art. 9) non hanno costituito oggetto di specifica censura contenuta nei motivi di ricorso.
Quanto alle analogie riscontrate dai ricorrenti fra il contratto di concessione di vendita e quella di agenzia, ai fini del riconoscimento del diritto dei concessionari a percepire una somma a titolo di indennità, poi, ad un sommario esame - il quale, peraltro, si presenterebbe superfluo ai fini che qui interessano, per le conclusioni raggiunte sui temi in precedenza trattati - si presentano di dubbia praticabilità.
Il contratto di concessione di vendita, infatti, per la sua struttura e la sua funzione economico-sociale, presenta aspetti che lo avvicinano al contratto di somministrazione, ma non può, però essere inquadrato in uno schema contrattuale tipico, trattandosi, invece, di un contratto innominato, che si caratterizza per una complessa funzione di scambio e di collaborazione e consiste, sul piano strutturale, in un contratto - quadro o contratto normativo (Cass. 17 dicembre 1990, n. 11960), dal quale deriva l'obbligo di stipulare singoli contratti di compravendita, ovvero l'obbligo di concludere contratti di puro trasferimento dei prodotti, alle condizioni fissate nell'accordo iniziale (v. anche Cass. 22.2.1999 n. 1469; Cass. 11.6.2009 n. 13568).
Proprio una tale struttura e funzione economica, che esclude profili rilevanti di collaborazione, sembra doverlo porre al di fuori dell'area di affinità con il contratto di agenzia (v. anche Cass. 21.7.1994 n. 6819).
Con il quinto motivo (subordinato) i ricorrenti principali denunciano la mancata compensazione delle spese relative al giudizio di appello da parte della Corte di merito.
Il motivo resta assorbito dalle conclusioni raggiunte in ordine ai motivi che precedono. Ricorso incidentale Con unico motivo la resistente e ricorrente incidentale denuncia la omessa motivazione sull'appello incidentale proposto dalla Renault Italia spa, relativamente alla liquidazione delle spese del giudizio di primo grado.
Anche questo motivo, in materia di spese, resta assorbito dalle conclusioni raggiunte in ordine ai motivi del ricorso principale che precedono.
Il giudice del rinvio, dovrà, infatti, procedere ad una nuova ed autonoma regolamentazione delle spese del processo.
Conclusivamente, va rigettato il primo motivo del ricorso principale;
vanno accolti, nei limiti di cui in motivazione, il secondo, terzo e quarto motivo; vanno dichiarati assorbiti il quinto motivo ed il ricorso incidentale.
La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi, come accolti, e la causa va rimessa alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione.
Il giudice del rinvio si pronuncerà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
(Torna su ) P.Q.M.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il primo motivo del ricorso principale. Accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il secondo, terzo e quarto motivo. Dichiara assorbiti il quinto, nonchè il ricorso incidentale. Cassa in relazione e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 8 giugno 2009.
Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2009

1°Parere provvisorio


raccomandazione di ratmax


CITAZIONEallora, io lo trovo omogeneo rispetto alla traccia, ma con osservazioni un po' generali..utili per sviluppare concetti, ma suggerirei di restare sempre aderenti alla traccia
altrimenti si corre il rischio di spendere "belle parole" senza riscontro concreto
quindi, si, come schema e come spunti ci può anche stare, ma se posso dare consigli:
1- elaborate sempre in maniera personale
2- cercate di restare "fedeli" alla traccia, riportando sempre i riferimenti al caso sottoposto, in modo da dare applicazione a ciascun pricncipio/enunciato di quel commento

e ricordate sempre un aspetto che secondo me molti dimenticano, ossia: LE TRACCE HANNO SEMPRE QUESTO "PASSAGGIO" ALLA FINE, DOVETE ASSUMERE LE VESTI DELL'AVV. DI UNA DELLE PARTI E PROSPETTARE UNA SOLUZIONE, EVENTUALMENTE ANCHE IN TERMINI DI STRATEGIA PROCESSUALE, AL CASO
QUINDI NON CHIUDETE COSì ALLA "COME VIENE VIENE TANTO L'IMPORTANTE, IL SUCCO DEL PARERE, L'HO GIà SCRITTO"
NON è COSì, ALMENO SECONDO ME
PROSPETTATE UNA SOLUZIONE CONCRETA

Svolgimento 1a traccia (SE VA BENE RINGRAZIATE IL SITO DI MILITERNO)
Preliminare alla risoluzione della controversia, appare ineludibile una disamina del principio di correttezza e buona fede.
L’art. 1175 c.c. prevede che il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza nello svolgimento del rapporto obbligatorio. La norma rappresenta una clausola aperta e generale del sistema ed è ribadita da diverse previsioni normative che ne costituiscono diretta applicazione: il principio di correttezza è infatti enunciato da tutta una serie di disposizioni in materia contrattuale, quali ad esempio quelle relative alle trattative (art. 1337 c.c.), all’interpretazione (art. 1366 c.c.) ed all’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.), con riferimento ad un ambito che copre sia la fase statica, quanto la fase dinamica del rapporto obbligatorio. La buona fede contrattuale può quindi considerarsi come una species del più generale concetto di correttezza.Non esaurendosi nei singoli richiami normativi, bensì assumendo valenza programmatica e precettiva , il principio di buona fede è quindi dotato di autonoma rilevanza e si ritiene violato anche aldilà del caso in cui vi sia un comportamento scorretto lesivo di una posizione soggettiva tutelata da una specifica norma.L’applicazione della clausola generale della buona fede prima di giungere a significativi risultati ha però vissuto un iter travagliato, caratterizzato da alterne vicende che ne hanno depotenziato per diverso tempo la portata innovativa.La giurisprudenza, infatti, ha inizialmente avuto un atteggiamento di chiusura rispetto all'applicazione di un criterio quale quello insito nell'art. 1175, che mal si coniuga con il rigoroso ossequio del principio della certezza del diritto. L'originaria tendenza dei giudici è stata quella di attenersi ad una valutazione legata alla stretta legalità, senza lasciare troppo spazio all'applicazione di principi legislativi che avessero la forza propulsiva di innovare i precetti giuridici alla luce di esigenze morali. Gli orientamenti giurisprudenziali più recenti hanno invece interpretato la regola della correttezza quale parametro che consente una valutazione comparativa degli interessi delle parti con gli adeguati correttivi ad un'applicazione rigorosamente fedele allo strictum ius, sino al punto da individuare nell'art. 1175 c.c. il fulcro della disciplina delle obbligazioni. Ruolo centrale nella svolta ermeneutica del diritto vivente lo ha assunto la lettura coordinata delle norme codicistiche dettate in tema di buona fede contrattuale e la norma costituzionale di cui all’art.2 che richiede che i rapporti interpersonali degli associati siano informati al dovere di solidarietà. In tal modo il principio costituzionale di solidarietà, di cui la buona fede, costituisce specificazione, si pone come valore nel sistema dei rapporti umani ed anche in quello dei rapporti patrimoniali, sicché l’intero sistema delle relazioni deve essere governato dalla lealtà dei soggetti interessati; la solidarietà si può allora considerare una regola di chiusura nella misura in cui garantisce da un lato la realizzazione completa dell’operazione economica perseguita dalle parti e dall’altro l’allineamento del regolamento contrattuale alle finalità d’ordine sociale perseguite dall’ordinamento.
La correttezza e la buona fede, quindi, alla luce della lettura imposta dal principio di solidarietà, fungono sia da criterio di integrazione del contratto, sia da limite per le pretese delle parti contraenti. Debitore e creditore sono quindi accomunati da una disposizione di carattere generale che impone loro di comportarsi secondo le regole della correttezza ex art. 1175 c.c. La buona fede sancita in generale a carico dei soggetti del rapporto obbligatorio si specifica nell'obbligo di salvaguardia, che esige da entrambe le parti di salvaguardare l'utilità della controparte nei limiti di un apprezzabile sacrificio . La buona fede si compie in una duplice direzione in quanto nei confronti del creditore fa sì che gli sia vietato di abusare del suo diritto e, nello stesso tempo, lo obbliga ad attivarsi al fine di evitare o contenere gli imprevisti aggravi della prestazione o le conseguenze dell'inadempimento; nei confronti del debitore incide nella misura in cui questi è tenuto oltre che ad adempiere alla prestazione dedotta nel titolo, anche a salvaguardare gli interessi del creditore che non sono tutelati specificatamente dal rapporto obbligatorio, ma ne sono comunque connessi.Rispetto alla posizione creditoria, quindi, criterio rivelatore della violazione dell'obbligo di buona fede oggettiva, quindi, è quello dell'abuso del diritto.Gli elementi costitutivi dell'abuso del diritto - ricostruiti attraverso l'apporto dottrinario e giurisprudenziale (da ultimo Cass.18 settembre 2009, n. 20106) - sono i seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte. L'abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l'utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore.
È ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell'atto rispetto al potere che lo prevede. Come conseguenze di tale, eventuale abuso, l'ordinamento pone una regola generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva.
E nella formula della mancanza di tutela, sta la finalità di impedire che possano essere conseguiti o conservati i vantaggi ottenuti - ed i diritti connessi - attraverso atti di per sé strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da alterarne la funzione, violando la normativa di correttezza, che è regola cui l'ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina dei rapporti di autonomia privata. Qualora la finalità perseguita da una delle parti non sia quella consentita dall'ordinamento, si avrà abuso. In questo caso il superamento dei limiti interni o di alcuni limiti esterni del diritto ne determinerà il suo abusivo esercizio.
Compiuta una doverosa premessa teorica sul principio di buona fede e sull’abuso del diritto, procediamo con l’applicazione delle prospettive esegetiche illustrate, al caso concreto. In particolare occorre verificare la correttezza del comportamento della società Alfa nell’esercizio della facoltà di recesso ad essa riconosciuto dal contratto di concessione di vendita.
Occorre in prima battuta osservare come tale facoltà sia riconosciuta dal legislatore all’art.1373 c.c., II comma. Autorevole dottrina (De Nova) ha affermato che la funzione del recesso nei contratti di durata (come quello di concessione di vendita) sia quello di consentire ad una parte di sciogliersi dal rapporto, o perché sia venuto meno il suo interesse o perché siano modificate in modo sostanziale le condizioni contrattuali. Orbene, nella fattispecie, concreta, non sono rappresentate le indicate motivazioni che giustificano lo scioglimento del contratto, senza contare che la società Alfa ha esercitato il recesso in modo del tutto disinteressato degli interessi della controparte, decidendo lo scioglimento del rapporto e comunicandolo solo pochissimi giorni prima dalla data dell’interruzione. Alla luce di tali considerazioni, deve ritenersi senz’altro contrario a buona fede il comportamento della società Alfa e ben potrà Tizio coltivare azione verso la controparte per l’illegittimità del recesso da questa esercitato.

Da: paola a galeazzo15/12/2009 14:02:16
dove posso trovare lo svolgimento della seconda traccia....ti prego risp

Da: barese sconcertato15/12/2009 14:02:41
L'anno scorso ero lì a cercare di scrivere un parere nel miglior modo possibile dopo mesi di studio e quest'anno, fortunatamente da disinteressato spettatore, leggo quello che accade!!! E' scandaloso!! Invece di perdere tempo ad utilizzare vietatissimi palmari e quant'altro, sbattete la testa sui codici!!! State facendo un esame per diventare professionisti, non criminali!!!

Da: mari15/12/2009 14:07:19
RAGAZZI COME VA?

Da: galeazzo X paola15/12/2009 14:07:32
leggi sopra

Da: anna15/12/2009 14:08:04
forza ragazzi e in bocca al lupo.
TRACCIA N. 2: svolgimento di erimata su http://supporto2009.forumcommunity.net/?t=33860748&st=435

Il settore del diritto delle successioni offre spunti di grande interesse in quanto, se è vero che sul piano degli assetti teorici è uno dei più fedeli alla tradizione, comunque si trova a fare i conti con un’attività interpretativa e delle prassi applicative spesso mutevoli.
Il caso proposto consente di affrontare la questione relativa alla validità della condizione apposta ad una disposizione testamentaria, che subordini l’efficacia della stessa,alla circostanza che l’istituito contragga un nuovo matrimonio.
Nel caso di specie, difatti, Tizio disponeva delle proprie sostanze in favore di due figli Caio e Sempronia, manifestando la volontà di attribuire, alla sua morte, a titolo di prelegato al figlio Caio un appartamento in Roma, via delle Rose, ed alla figlia Sempronia un appartamento in Roma, via dei Garofani, nominandoli, per il resto, eredi universali.
Nell’atto testamentario, tuttavia, veniva aggiunta la seguente condizione: «qualora al momento dell’apertura della mia successione mio figlio Caio non si sarà risposato, ad esso lascio, in sostituzione della legittima a lui spettante per legge, l’usufrutto generale vitalizio della suddetta casa di via delle Rose, nonché di tutti gli altri miei beni, ad eccezione della casa di via dei Garofani, come sopra attribuita a mia figlia Sempronia, alla quale sarà devoluta anche la nuda proprietà degli altri beni, in considerazione del fatto che essa è madre di due figli».
Ora, se è vero che costituisce principio fondamentale del nostro ordinamento la piena libertà del testatore di disporre dei propri beni fino al momento della sua morte, è anche vero che sottoporre le disposizioni testamentarie ad una condizione sospensiva o risolutiva pone problemi interpretativi circa l’illiceità ed impossibilità o meno della condizione apposta. La libertà del testatore, salvaguardata dal legislatore con regole particolarmente rigorose tanto sotto il profilo della spontaneità quanto della determinazione sia del contenuto testamentario sia dei suoi destinatari deve in ogni caso misurarsi con la liceità della condizione, sospensiva o risolutiva, apposta alle stesse disposizioni.
Le disposizioni specifiche dettate per il testamento devono mantenere il rispetto della c.d. regola sabiniana, in base alla quale la condizione impossibile o contraria a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume, si considera come non apposta, operando il favor testamenti (art. 634 cod. civ.), salvo che essa sia stata il motivo unico della disposizione, cui, in siffatta ipotesi, si comunica la nullità della condizione (art. 626 cod. civ.).
La giurisprudenza di legittimità al pari della dottrina tradizionale, in un primo momento, nel tentativo di salvaguardare nella maggiore misura possibile la volontà del testatore, ha fornito una interpretazione restrittiva dell'art. 636, primo comma, cod. civ., secondo la quale la condizione che ponga all'istituito un divieto assoluto di nozze è illecita, chiarendo che la citata disposizione codicistica ha lo scopo di tutelare la libertà di contrarre matrimonio della persona, e non è quindi violata nei casi in cui la condizione non sia dettata dal fine di impedire le nozze, ma preveda per l'istituito un trattamento più favorevole in caso di mancato matrimonio, e, senza per ciò influire sulle relative decisioni, abbia di mira di provvedere, nel modo più adeguato, alle esigenze dell'istituito, connesse ad una scelta di vita che lo privi degli aiuti materiali e morali di cui avrebbe potuto godere con il matrimonio (Cass., sent. n. 2122 del 1992).
Tuttavia con la pronuncia 8941/2009 i giudici del Supremo collegio si sono discostati dal prevalente indirizzo giurisprudenziale e dottrinale che aveva sempre interpretato il disposto dell'articolo 636 del Cc - sul divieto di condizionare l'attribuzione a titolo di erede o di legato alla mancata celebrazione delle nozze - in modo piuttosto angusto, ritenendo di accedere a un più ampio perimetro applicativo del divieto, da rintracciare però nella previsione generale dell'articolo 634 del Cc. A tale risultato i giudici sono pervenuti essenzialmente sulla base di una nuova lettura costituzionalmente orientata delle norme coinvolte, maggiormente rispettosa delle libertà fondamentali dell'individuo, tra le quali la libertà di accedere o meno al vincolo matrimoniale, che si è giudicata prevalente rispetto alla salvaguardia della libertà testamentaria.
Il Collegio, infatti, ha ritenuto di dover affermare la illiceità della condizione di contrarre matrimonio, come una opzione che limita la libera esplicazione della propria personalità.
Secondo la Corte suprema, difatti, la condizione, apposta ad una disposizione testamentaria, che subordini la efficacia della stessa alla circostanza che l’istituito contragga o meno matrimonio, è ricompresa nella previsione dell'art. 634 cod. civ., in quanto contraria alla esplicazione della libertà matrimoniale, fornita di copertura costituzionale attraverso gli artt. 2 e 29 Cost. Pertanto, essa si considera non apposta, salvo che risulti che abbia rappresentato il solo motivo ad indurre il testatore a disporre, ipotesi nella quale rende nulla la disposizione testamentaria.
In conclusione, alla stregua del sopra enunciato principio, che, sul piano dei valori costituzionali, si riconnette all'istituto del matrimonio quale frutto di una libera scelta autoresponsabile, può sostenersi come nel caso di specie la condizione apposta dal testatore nei confronti del figlio Caio, debba considerarsi per non apposta in quanto limitativa della libertà di Caio nella propria scelta di contrarre o meno matrimonio.
Si tratta, quindi, di tutelare la libertà di autodeterminazione dell’individuo nell’adozione delle scelte attuative del proprio progetto di vita, inteso precipuamente nella sua accezione
esistenziale.
Sulla base di queste decisioni può dunque sostenersi che la prospettazione di un vantaggio economico, la cui acquisizione sia subordinata ad un predeterminato comportamento fortemente connesso alla dimensione intima ed esistenziale del soggetto condizionalmente beneficiato, costituisce â€" anche se indirettamente â€" una
coartazione della volontà individuale, di per sé idonea a ledere la dignità personale che, nell’attuale contesto costituzionale, deve riconoscersi quale vertice assiologico dell’intero sistema, sia con riguardo alla funzione
giurisdizionale , sia in riferimento al concreto esercizio dell’autonomia privata.

Da: padano15/12/2009 14:12:02
nun ci scassari la minkia......viri cu ti raccumannau all'orali!!!!!

Da: studiogaldi@gmail.com15/12/2009 14:12:57
mha è semplice...

Da: mari15/12/2009 14:14:13
credete lo svolgimento della prima traccia sia corretto??

Da: avv.russo.pasquale@gmail.com15/12/2009 14:14:37
Non dovrebbero esserci sorprese la questione è pacifica!

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