"L'uomo è misura di tutte le cose".
A partire dalla metà del V secolo a.c. diverse città della Grecia vengono attraversate da nuovi personaggi: i sofisti. Il termine "sofista" significa letteralmente "colui che fa professione del proprio sapere". Molti sono i professionisti che mettono in vendita il loro sapere (gli artigiani o i medici, per esempio), ma i sofisti sostenevano che il loro sapere fosse ben più importante rispetto a quello degli artigiani o dei medici, giacchè il loro è il sapere che consente di prendere parte con successo alla vita pubblica della città, quando si accede alle magistrature. Tutto questo trova fondamento nel termine ïïïï´ï, la capacità di eccellere nella condotta pubblica e privata. In questo senso i sofisti si presentano come maestri di virtù. E' chiaro che questo sapere risulta importantissimo in contesti politici in cui le decisioni sono affidate alla totalità dei cittadini, come appunto avviene nella ï°ïïïï del V secolo a.C. Era dunque un sapere indispensabile soprattutto nelle democrazie. Ma il fatto che i sofisti si facciano pagare molto, fa sì che i loro clienti siano soprattutto giovani di famiglie agiate (Platone non potrà tollerare che essi facciano del sapere una materia vendibile e li definisce sprezzantemente "cacciatori di giovani ricchi", scrivendo un dialogo - il Sofista - contro di loro: certo per Platone la vita era più facile, visto che era ricco di famiglia e non aveva bisogno di farsi pagare per insegnare). Tra i sofisti spicca la figura di Protagora: egli nacque ad Abdera, in Tracia, verso il 480 a.C., svolse la sua attività di insegnamento girovagando per le città, soggiornando più volte ad Atene. Nel 444 Pericle diede avvio alla fondazione della colonia panellenica di Turii, in Italia meridionale, e Protagora prese parte al progetto di legislazione della città. Nel 411 diede pubblica lettura ad Atene del suo scritto Sugli dei e fu accusato di empietà e dovette così lasciare la città. La tradizione vuole che Protagora sia morto in un naufragio. All'attività orale di insegnante Protagora affiancò l'insegnamento mediante lo scritto; egli non fu autore di un'unica opera, ma di parecchie: Discorsi demolitori, Le antilogie, Sull'essere e scrisse pure a riguardo dei saperi tecnici. Protagora è passato alla storia per la sua celebre affermazione: "l'uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono, e di quelle che non sono in quanto non sono". E' difficile comprendere fino in fondo che cosa intendesse Protagora con "uomo" (l'uomo singolo? Il genere umano?), ma è probabile che non si riferisse alla razza umana, bensì al singolo uomo. Con questa frase si sottolinea l'assoluta relatività della verità: si fa notare che ciascuno vede le cose alla sua maniera e in modo diverso rispetto agli altri; se io dico che una bevanda è dolce ed un altro dice che è amara, chi ha ragione dei due? Bisognerebbe avere un parametro che dice la verità, se è dolce o amara, il che è impossibile. Se io la sento dolce e un altro la sente amara, l'unica cosa da fare è chiedere il parere ad un terzo, ma non vi è mai un vero paragone con la cosa in questione. Per Protagora non si può trovare una verità assoluta: non si può stabilire se la bevanda è davvero dolce o se è amara: per me è amara, e per l'altro è dolce: o meglio, per chi la sente dolce è dolce, per chi la sente amara è amara: la verità è soggettiva. Non posso negare che sia amara a chi la sente amara solo perchè io la sento dolce: non c'è una verità generale, ognuno la vede a proprio modo. Non si possono cogliere le cose come realmente sono, ma solo come appaiono all'uomo, ovvero come riesce a percepirle. Le cose per me sono come a me appaiono: sento dolce il miele e, dunque, per me il miele è dolce. Però si fa notare che non tutte le affermazioni sono uguali: esse si distinguono sul piano pratico, poichè se, nel caso della bibita, non posso stabilire se è dolce o amara, tuttavia posso affermare che il dolce è meglio dell'amaro. Ma Protagora non restringe il significato di misura alla sola dimensione dell'esperienza percettiva delle cose. L'esperienza personale di ciascun individuo è più ampia delle singole sensazioni; essa non riguarda soltanto l'istante in cui avviene la singola percezione, bensì l'intera vita dell'individuo. In questo quadro si comprende meglio la portata dell'altra celebre affermazione di Protagora: "riguardo agli dei, non ho la possibilità di accertare nè che sono, nè che non sono, opponendosi a ciò molte cose: l'oscurità dell'argomento e la brevità della vita umana". Di talune cose, dunque, come per esempio degli dei, non si ha esperienza personale diretta (com'era invece nel caso della bevanda). Di queste cose non si può dire che l'uomo sia misura. L'esperienza personale , d'altronde , differenzia gli individui tra loro , anche per le diverse situazioni ambientali , culturali e politiche nelle quali essi vivono . In questa prospettiva si inquadra in modo centrale la collocazione dell'individuo nella città . La città è interpretata da Protagora come complesso apparato educativo , il quale mira a garantire la conservazione della città stessa mediante la trasmissione dei valori che ne sono alla base. Non potendo più disporre degli dei come termine di differenziazione per caratterizzare l'uomo (infatti ha detto di non conoscere come gli dei siano ), Protagora individua questa differenziazione rispetto agli animali. Egli riconosce un'inferiorità dell'uomo rispetto alla specie animale per quanto riguarda le doti naturali, ma ravvisa nelle tecniche lo strumento che ha consentito all'uomo di capovolgere questa situazione svantaggiosa di partenza. Ma Protagora colloca al di sopra delle varie tecniche agricole e artigianali la tecnica politica, che è prerogativa di tutti i membri di una comunità. E' appunto la tecnica politica, ossia l'insieme di giustizia e di rispetto degli altri , che la città provvede a trasmettere, prima con l'insegnamento e poi con le leggi, a tutti i suoi membri a partire dall'infanzia. Ma se il veicolo fondamentale per la trasmissione dell'insegnamento etico/politico è la città, resta ancora spazio per l'insegnamento del sofista? Il fatto che individui diversi abbiano esperienze personali diverse non implica che essi debbano per forza sempre divergere nelle loro opinioni su certe cose. Protagora non assume una posizione solipsistica, non rinchiude ogni individuo in se stesso, in una sfera di incomunicabilità con gli altri. Egli ritiene invece che sussistano spazi di accordo possibile tra gli individui. Qui il sofista può innestare la sua opera, contribuendo all'azione educativa della città. Lo strumento principale con cui lavora il sofista è il linguaggio, che può avere efficacia persuasiva facendo appello alle esperienze personali dei singoli e contrapponendo non vero e falso, ma utile e dannoso sia per il singolo sia per la comunità. Protagora afferma che "intorno ad ogni oggetto ci sono due ragionamenti contrapposti". Questa contrapposizione non sta a significare che uno di essi sia vero e l'altro falso, in quanto ogni discorso non è che la formulazione dell'esperienza personale di ciascuno, la quale (per il relativismo assoluto) è sempre vera. Ma sul piano dei valori, che sono alla base di una città, i due discorsi non si equivalgono: in ultima istanza è la comunità che decide su quanto è giusto e su quanto è dannoso. Il sofista insegna ad usare il linguaggio in modo conforme ed utile alle esigenze della città, per esempio nell'assumere decisioni collettive, dove può anche essere importante "render più forte l'argomento più debole". In questa prospettiva, Protagora innesta la sua opera di specialista, analoga a quella del medico o dell'artigiano, e procede alla distinzione di vari tipi di discorsi, studiando le loro proprietà, i generi dei nomi, i tempi verbali... Il linguaggio cessa di essere uno strumento usato inconsapevolmente e diventa esso stesso oggetto di indagine e d'insegnamento: il celebre motto dei sofisti diventa "la parola può tutto". Proprio sulla nozione di relatività era incentrata la più famosa delle tesi di Protagora, trasmessaci da Platone nel "Teeteto" (dialogo dedicato a cosa significhi conoscere) : "l'uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quellechenonsonoinquanto non sono" (ï°ïïï´ï·ïïïïïïïï´ï·ïïïïï´ïïïïïï´ïïïïïïïïï±ïï·ï°ïï). Questa frase, per l'impiego del termine "sono" e "non sono", sembra inquadrarsi in un contesto vivamente eleatico, anche se viene prospettato chiaramente il criterio per distinguere l'essere da non essere: è l'uomo il metro di misura, sicchè Protagora propone un criterio di conoscenza puramente soggettivo. Sarà vero ciò che a me appare tale; viceversa, per lui sarà vero ciò che a lui appare tale, e così via. La conoscenza, in questo panorama, si riduce al sensismo: cosicchè il miele appare dolce a chi è sano, ma amaro agli ammalati. Tuttavia, in questo groviglio di verità ciascuna diversa dalle altre e ciascuna non meno valida delle altre, Protagora elabora un criterio per stabilire quale opinione (quella del sano che sente dolce il miele, o quella del malato che lo sente amaro?) sia migliore: tale criterio è incentrato sull'utilità e si risolve, per tornare all'esempio del miele, nell'interrogativo se sia migliore l'opinione di chi è malato o di chi è sano. Naturalmente, si risponderà che è migliore l'opinione del sano, anche se, ad onor del vero, sul piano gnoseologico tutte le opinioni sono equivalenti: le sensazioni si traducono in conoscenza, cosicchè la mia opinione, la tua, la sua e così via sono tutte vere, poiché l'uomo è misura di tutte le cose. Contro questa posizione protagorea si schiererà Platone che, nel Teeteto, smonterà l'argomentazione protagorea facendo notare che, se tutto è vero (come asserisce Protagora), allora è anche vero che esistono tesi false; e dato che, appunto, tutto è vero, è anche vero che ciò che dice Protagora è falso.
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