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Da: Cosa ha detto Brunetta | 09/03/2010 16:21:29 |
Cosa ha detto Brunetta | |
Da: Light3AAA | 09/03/2010 16:21:52 |
Hihihihihihihihihihihihiihihihihihihihi Win for life... lalalalalalalalalalalala cuccuruccucucucucucucucucucucucucPALOMAAAAAA | |
Da: Cosa ha detto Brunetta | 09/03/2010 16:27:25 |
sulla nostra situazione? | |
Da: Cosa ha detto Brunetta | 09/03/2010 16:28:17 |
sulla nostra situazione? | |
Da: Cosa ha detto Brunetta | 09/03/2010 16:28:45 |
sulla nostra situazione? | |
Da: Light3AAA | 09/03/2010 16:28:54 |
Scusa ma secondo te brunetta parla di noi in videochat!? Ahahahahahahahahahahah Ha detto che se non assumono da 2 anni è colpa di Tremonti che nn vuol far fare all'italia la fine della grecia. | |
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Da: ma | 09/03/2010 16:40:13 |
bafangulo,va | |
Da: in questo forum | 09/03/2010 16:50:36 |
continuano a scivere dei poveri dementi invidiosi e falliti. ciao deficienti | |
Da: in questo forum | 09/03/2010 16:50:38 |
continuano a scivere dei poveri dementi invidiosi e falliti. ciao deficienti | |
Da: in questo forum | 09/03/2010 16:50:39 |
continuano a scivere dei poveri dementi invidiosi e falliti. ciao deficienti | |
Da: in questo forum | 09/03/2010 16:50:41 |
continuano a scivere dei poveri dementi invidiosi e falliti. ciao deficienti | |
Da: in questo forum | 09/03/2010 16:50:43 |
continuano a scivere dei poveri dementi invidiosi e falliti. ciao deficienti | |
Da: in questo forum | 09/03/2010 16:50:45 |
continuano a scivere dei poveri dementi invidiosi e falliti. ciao deficienti | |
Da: come te | 09/03/2010 17:13:55 |
Conan,capisciammè | |
Da: Light3AAA | 09/03/2010 17:29:31 |
Per come te: imbecille. :) | |
Da: Light3AAA | 09/03/2010 17:35:12 |
Pirla chi legge. | |
Da: Light3AAA | 09/03/2010 17:38:36 |
Chel lì, l'è un terùn... Godo nel sapere che ci son vincitori che non sanno un fico secco. Hihihihihihihihihiihiihiihihihihihihihihihihiihihihiihihihihihihiihihi | |
Da: in questo forum | 09/03/2010 17:39:10 |
ci avete proprio rotto le scatole | |
Da: in questo forum | 09/03/2010 17:39:13 |
ci avete proprio rotto le scatole | |
Da: in questo forum | 09/03/2010 17:39:15 |
ci avete proprio rotto le scatole | |
Da: in questo forum | 09/03/2010 17:39:17 |
ci avete proprio rotto le scatole | |
Da: Light3AAA | 09/03/2010 17:41:40 |
1 ottimo sito: http://www.lucadia.it/Lezioni%20di%20filosofia/hegel.htm HEGEL di Maria Laura Valente Capisaldi del sistema hegeliano La filosofia hegeliana rappresenta una delle più ricche e complesse della storia della filosofia. Le sue idee basilari si possono ricondurre a tre: 1)la realtà è Spirito infinito; 2)la struttura dello Spirito è la dialettica; 3)la peculiarità di questa dialettica è lâelemento speculativo. 1)REALTAâ COME SPIRITO Per Hegel la realtà non è âsostanzaâ, ma soggetto e Spirito ed è perciò attività, processo, movimento. Già Fiche aveva concepito lâIo come attività, ma per H. si trattava di un processo irrisolto, in quanto lâIo fischiano non riusciva mai a superare interamente il Non-Io, ossia il proprio limite. Rimaneva, allora, in Fiche, la scissione e lâopposizione tra Io e Non-Io, soggetto e oggetto, infinito e finito. Schelling aveva cercato di superare queste scissioni con la sua filosofia dellâidentità, ma per H. la concezione dellâAssoluto come Identità originaria di Io e Non-Io,soggetto e oggetto, finito e infinito era vuota e artificiosa. Nella Fenomenologia dello Spirito H. afferma che lâAssoluto schellinghiano è come âla notte in cui tutte le vacche sono nereâ. La posizione di H. è chiara: lo Spirito si autogenera, generando contemporaneamente la propria determinazione, e superandola pienamente. Lo Spirito è infinito nel senso che è una continua posizione del finito e superamento del finito stesso. Lo Spirito in quanto movimento produce via via i contenuti determinati e quindi negativi (omnis determinatio est negatio: la determinazione si definisce per quello che non è; il fenomeno determinato esclude da sé altri fenomeni, altre proprietà diverse dalle proprie); lâinfinito è il positivo che si realizza a mediante la negazione di quella negazione che è propria di ogni finito, è il superamento del finito. Allora lo Spirito infinito hegeliano è come un circolo, in cui il finito è sempre posto ed è sempre dinamicamente superato. Ogni momento del reale è indispensabile per lâAssoluto, perché Esso si realizza in ciascuno e in tutti questi momenti (es. bocciolo-fiore-frutto: in questo processo ogni momento è essenziale allâaltro e la vita della pianta è questo stesso processo che pone via via i vari momenti, e via via li supera). H. sottolinea che il movimento proprio dello Spirito è il âriflettersi in se stessoâ. E in questa riflessione circolare si distinguono tre momenti: 1)ESSERE IN SEâ; 2)ESSERE FUORI DI SEâ; 3)ESSERE IN SEâ E PER SEâ (es. il seme è in sé la pianta, ma deve morire come seme e quindi uscire fuori di sé, per diventare la pianta). Questi tre momenti sono denominati: IDEA, NATURA, SPIRITO. LâIDEA, che è il Logos, ha in sé il principio del proprio svolgimento e, prima esce fuori di sé divenendo NATURA, poi supera questa alienazione e ritorna a sé medesima (SPIRITO). Si comprende allora la triplice distinzione della filosofia hegeliana: 1)LOGICA-studia lâIDEA IN SEâ (LOGOS); 2)FILOSOFIA DELLA NATURA-studia lâIDEA FUORI DI SEâ (NATURA); 3)FILOSOFIA DELLO SPIRITO-studia lâIDEA che ritorna a sé o IN SEâ E PER SEâ (SPIRITO). Nella Filosofia del diritto è presente unâaltra tesi hegeliana assai celebre: âciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionaleâ. Questo significa che la realtà è lo stesso svilupparsi dellâIdea, che tutto è razionale, che ogni cosa è momento dello sviluppo dellâIdea. 2)LA DIALETTICA COME LEGGE SUPREMA DEL PENSIERO E DEL REALE H. polemizza contro la pretesa romantica di cogliere immediatamente lâAssoluto. Questo, per H., non si coglie col sentimento, con lâintuizione o con la fede, ma con un metodo âscientificoâ, quello della dialettica. Il nome di Hegel nel pensiero contemporaneo è strettamente legato al concetto di dialettica; eppure alla dialettica il filosofo tedesco non ha dedicato nessuno scritto specifico. La dialettica non è certo una scoperta di H., ma occupa un posto cospicuo nella storia della filosofia, dove però è stata generalmente intesa solo come uno strumento molto efficace del pensiero e via via diversamente valutata a seconda che fosse considerata la forma più alta di sapere (Platone), oppure identificata con un tipo di sillogismo fondato su premesse non necessarie, ma soltanto verosimili(Aristotele). Con Kant, poi, la dialettica era stata collegata alla natura stessa della ragione, considerata come facoltà delle idee caratterizzata dal perenne contrasto tra la tensione verso lâoggetto delle idee e lâimpossibilità di coglierlo, essendo la conoscenza umana limitata al fenomeno. La novità del pensiero hegeliano sta nel concepire la dialettica non come un procedimento del pensiero esterno alla realtà, ma come una legge interna e necessaria, tanto del pensiero quanto della realtà. Il cuore della dialettica è il movimento, giacchè il movimento è la natura stessa dello Spirito. La dialettica non è altro che uno sviluppo che tende al concreto mediante il superamento dellâastrattezza insita in ogni opposizione. Concreto, per H., è ciò che rappresenta il compimento di un processo, lâunità di opposti, lâuno bisognoso dellâaltro per realizzarsi. Perciò la logica hegeliana si contrappone alla logica tradizionale fondata sul principio di identità e non contraddizione, accusandola di considerare astrattamente gli opposti, e perciò di non poter giungere alla mediazione, ossia a cogliere lâunità degli opposti nella loro sintesi. Il movimento dialettico si configura come processo triadico di: TESI, ANTITESI e SINTESI. Il 1° momento (TESI) è detto il lato astratto e intellettivo; il 2° (ANTITESI) è detto il lato dialettico in senso stretto o negativamente razionale; il 3° (SINTESI) è detto il lato speculativo o positivamente razionale. Il 1° momento è quello della determinazione come entità statica e irrelata. Il fenomeno determinato esclude da sé altri fenomeni e si presenta come unâentità statica. Lâintelletto è,infatti, la facoltà che astrae concetti determinati, che distingue, separa e definisce. Lâintelletto vede solo una pluralità di determinazioni rigide, differenti lâuna dallâaltra, perciò resta chiuso nellâastratto irrigidito e rimane vittima delle opposizioni che esso stesso crea, distinguendo e separando. Il pensiero filosofico deve, quindi, andare oltre i limiti dellâintelletto. Il 2° momento è quello del rovesciamento della determinazione nel suo opposto. Eâ il momento ânegativoâ della ragione, che consiste nello smuovere la rigidità dellâintelletto e dei suoi prodotti. Il pensiero razionale, superando quello intellettuale, vede che la negazione, oltre a dare alla determinazione stessa la sua qualità, ne mette in crisi la staticità e la chiusura, immettendola in un processo che oltrepassa il suo carattere isolato e irrelato. H. indica in questo processo lâaspetto specifico della dialettica: è la fase in cui la determinazione, scoprendosi unilaterale e limitata, tende a negarsi, a rovesciarsi nella determinazione opposta. Il 3° momento è quello dellâunificazione degli opposti. Eâ questa la funzione positiva della ragione: concepire non lâopposizione, ma lâunità delle determinazioni che si contraddicono, ossia cogliere il positivo che emerge dalla sintesi degli opposti. La dialettica, come la realtà in generale, è questo movimento circolare che non ha mai posa. 3)PRINCIPIO SPECULATIVO Il momento dello speculativo o positivamente razionale (3° momento) è la riaffermazione del positiva che si realizza mediante la negazione del negativo proprio delle antitesi dialettiche. Il momento speculativo è un âsuperareâ conservando, in funzione di una realtà nuova e più ricca. Lo speculativo costituisce il vertice cui perviene la ragione, che supera la rigidità e la finitudine dellâintelletto, cogliendo lâunità e la sintesi delle opposizioni. Ciò implica che lâuomo, nel momento in cui filosofa, si innalzi al di sopra della coscienza comune, allâaltezza della pura ragione e che si ponga in una prospettiva assoluta. Eâ questo il tema della Fenomenologia dello Spirito. Fenomenologia dello Spirito La F.d.S. è stata scritta da Hegel proprio per purificare la coscienza empirica e innalzarla fino allo Spirito e al Sapere assoluto. Per capire la F. bisogna tener presente che, per H., la filosofia è conoscenza dellâAssoluto in due sensi: perché ha lâAssoluto come oggetto; perché ha lâAssoluto come soggetto, in quanto essa è lâAssoluto che si autoconosce tramite il filosofo. La F.d.S. è la via che conduce la coscienza finita allâAssoluto infinito, la quale coincide con la via che lâAssoluto ha percorso e percorre per giungere a sé medesimo. Il termine âfenomenologiaâ deriva dal greco phainomenon, che indica il manifestarsi o lâapparire, e quindi vuol dire scienza dellâapparire o del manifestarsi. Questo apparire è lâapparire è lâapparire dello Spirito stesso a differenti tappe, che, a partire dalla coscienza empirica, via via sale a livelli sempre più alti. La F. è dunque la scienza dello Spirito che, in una serie successiva di âfigureâ, ossia di momenti dialetticamente collegati tra loro, giunge al Sapere assoluto; ma è anche la storia della coscienza dellâindividuo che ripercorre la storia dello Spirito. Ogni âfiguraâ di questo processo appare inadeguata e quindi costringe a passare al suo opposto; questa supera il negativo della precedente ma si mostra anchâessa inadeguata, sia pure ad un livello più alto, e costringe a passare oltre, e così via, secondo il ritmo dialettico. Le tappe di questo processo sono: la COSCIENZA, lâAUTOCOSCIENZA, la RAGIONE, lo SPIRITO, la RELIGIONE, il SAPERE ASSOLUTO. La tappa iniziale è quella della coscienza, che conosce il mondo come altro da sé e indipendente da sé. Essa si dispiega in tre momenti: certezza sensibile, percezione e intelletto. Nel momento della sensazione i dati particolari si rivelano contraddittori e devono perciò essere considerati categorie universali; nella percezione lâoggetto appare caratterizzato da molte proprietà e quindi contraddittorio; nellâintelletto lâoggetto appare prodotto da un gioco di forze che riportano a delle leggi formulate dallâintelletto stesso. Così la coscienza giunge a comprendere che lâoggetto dipende dallâintelletto e dunque da se medesima. In tal modo la coscienza diventa Autocoscienza. La seconda tappa è quella dellâAutocoscienza che, inizialmente, caratterizzata dallâappetito e dal desiderio, tende ad appropriarsi delle cose e ad escludere gli altri; successivamente scopre la propria dimensione sociale perché entra in conflitto con le altre autocoscienze. La prima tappa dellâAutocoscienza analizza il rapporto servo-padrone, mostrando come la lotta tra le autocoscienze finisce per far prevalere una a discapito delle altre. Il servo, obbligato a lavorare per il padrone, sembra condannato ad unâeterna condizione di inferiorità e di sudditanza. In realtà il servo diviene gradualmente una figura dominante perché, nellâesperienza del lavoro, acquisisce tutta una serie di cognizioni e tecniche che lo arricchiscono e lo fortificano. Si apre, così, per il servo, la possibilità di affrancarsi, ma anche di prevalere sul padrone di ieri. La tappa successiva dellâAutocoscienza (Stoicismo-Scetticismo) mostra come lâAutocoscienza, ormai liberata dalla dipendenza dalle cose, diventi produttrice di concezioni del mondo e della realtà. Lo stoicismo afferma lâassoluta libertà dellâuomo, ma una libertà che resta astratta perché lontana dalla cangiante realtà del mondo. Lo scetticismo è consapevole della mutevolezza del reale, ma giunge alla negazione del mondo. La terza tappa è emblematizzata dalla coscienza cristiana, definita coscienza infelice perché dolorosamente scissa: è collocata in questo mondo, ma è tutta proiettata allâaltro mondo. Ogni accostamento alla divinità trascendente significa per la coscienza infelice una propria mortificazione e un sentire la propria nullità. La scoperta dellâAutocoscienza che la trascendenza non è fuori, ma dentro di sé, porta ad una superiore sintesi, che si realizza sul piano della Ragione. La Ragione è la coscienza che ha raggiunto la consapevolezza di essere ogni realtà. In effetti, durante le tappe precedenti della sua già lunga odissea essa aveva esperito il mondo (dapprima in modo prevalentemente cognitivo, poi in modo anche pratico-sociale) come qualcosa di estraneo. Ora, invece, essa sa che il mondo, sia naturale che umano, non è unâalterità: sa che la sua essenza è coglibile e comprensibile da parte della coscienza medesima. Nella sua prima tappa del suo nuovo viaggio la ragione si cerca nella natura, per coglierne le leggi. La ricerca si inoltra nel regno delle cose, poi degli organismi, poi della stessa coscienza. Ma sempre la legge appare astratta: le scienze naturali non consentono il riconoscimento della verità del reale. Allora nella seconda tappa la ragione cerca di riconoscersi non più nelle cose del mondo, ma negli atti e nelle vicende umane. Ma anche qui la verità sembra inafferrabile. Essa viene cercata dapprima nel piacere, poi nella âlegge del cuoreâ, infine nella virtù. Nellâuniverso dellâuomo, però, la piena razionalità non può essere né semplicemente constatata , né immediatamente vissuta. Essa va realizzata entro una struttura oggettiva, sociale, storica, che Hegel ha chiamato âethosâ. Lâeticità è appunto la ragione che si incarna e si dispiega nelle concrete istituzioni giuridiche, politiche, economiche di una concreta comunità storica. Attraverso ulteriori tappe, quelle dello Spirito e della Religione, finalmente si giunge al termine dellâitinerario fenomenologico e cioè al Sapere assoluto, allâautocoscienza assoluta dellâAssoluto stesso. La F.d.S. dimostra che, per H., la conquista del sapere assoluto è il risultato necessario dellâintero sviluppo della storia della coscienza umana e dei suoi modi di pensare, dalle forme più semplici, quelle della coscienza naturale, comune, fino a quella più alta: la filosofia, che non è più sapere proprio di questa o quella coscienza singola, ma sapere assoluto dove lo Spirito finalmente ha trovato e compreso se stesso e la propria storia. Il processo di conquista del sapere non si svolge allâinterno di una pura soggettività, ma coinvolge ed implica lâintera storia dellâumanità: dal primitivo dispotismo che da luogo alla dialettica tra padrone e servo, al mondo greco, allo stoicismo, allo scetticismo, alla coscienza infelice, fino alla cultura frivola del â700, allâaridità della ragione illuministica, alla moralità rigoristica kantiana e alla romantica âanima bellaâ. Il compimento del cammino della coscienza nel sapere assoluto costituisce il superamento dellâalienazione della coscienza. Caratteristica della coscienza è, infatti, di procedere continuamente di fronte al proprio oggetto come se fosse qualcosa di estraneo, senza riconoscersi in esso; così la coscienza tenta ogni volta di superare questa alienazione che sente come una scissione dolorosa, in una forma più alta di coscienza, fino a raggiungere il sapere vero e proprio, il sapere assoluto. La logica hegeliana La Fenomenologia dello Spirito ci ha portati dal punto di vista del sapere della coscienza empirica al punto di vista del Sapere Assoluto, che, come ogni sapere, ha i propri principi e una propria trama concettuale. La sua fondazione più rigorosa viene data dalla scienza della sua interna âlogicaâ. Ad essa è dedicata la Scienza della logica, una delle opere più importanti del filosofo tedesco. La logica non è sorta con Hegel: essa è una scoperta degli antichi. Nata nellâambito della scuola di Elea, soprattutto con Zenone, raggiunge i suoi vertici con Platone e Aristotele. In età moderna Kant la riprende nella sua Critica della Ragion Pura, ma la blocca a livello di sviluppo sistematico, di antinomie destinate a restare irrisolte, e quindi la priva di valore conoscitivo. Per Hegel gli antichi hanno fatto un grande passo sulla via della scientificità, in quanto hanno saputo elevarsi dal particolare allâuniversale; tuttavia il filosofo tedesco osserva che le idee platoniche e i concetti aristotelici sono rimasti, per così dire, bloccati in una rigida quiete e quasi solidificati. Poiché, per H., la realtà è divenire, movimento e dinamicità, la dialettica, per essere uno strumento adeguato, dovrà essere riformata, imprimendo movimento alle essenze e al pensiero universale già scoperto dagli antichi. Una logica vera e propria, che goda di una trattazione a se stante, distinta dalla trattazione di tutti gli altri aspetti del conoscere, si avrà solo con Aristotele. Tuttavia Platone ne pone ampiamente le premesse e rende possibile lâulteriore elaborazione aristotelica. Lo stesso Kant riconosce che la logica, come scienza del pensiero puro, non aveva fatto sostanzialmente progressi, dopo la forma che Aristotele, per primo, le aveva dato. Ciò, però, non significa, osserva Hegel, che essa sia nata già perfetta e non suscettibile di rielaborazione: occorre invece sviluppare un nuovo concetto della logica adeguato ad esprimere nuovi contenuti. La logica è, per Hegel, la scienza dellâIDEA PURA cioè dellâIdea nellâelemento astratto del pensiero. LâIDEA, che è oggetto della logica, è il primo momento dello sviluppo ideale che ha i suoi ulteriori momenti nella NATURA e nello SPIRITO. In questo senso lâIdea è il sistema delle categorie o determinazioni astratte del pensiero, anzi è il pensiero stesso nello sviluppo delle sue articolazioni. La Scienza della logica è articolata in tre libri: una âdottrina dellâessereâ, una âdottrina dellâessenzaâ, una âdottrina del concettoâ. La tesi di fondo della logica hegeliana è che âpensareâ e âessereâ coincidono e che, pertanto, la logica coincide con la metafisica. I principi di questo sapere assoluto valgono tanto come principi del conoscere, quanto come principi dellâessere. La categoria che costituisce il punto di partenza dellâanalisi hegeliana è lâessere. Lâessere è infatti la disposizione originaria del pensiero, da cui tutte le cose discendono: nulla è pensabile se non in quanto è. Lâessere è la forma di tutto ciò che si da, ma è la forma di un darsi semplice ed immediato. Non si potrebbe comprendere il puro e semplice essere senza comprendere al tempo stesso il nulla nella dimensione del divenire. In effetti, il puro essere è, nella sua generalità, assenza di determinatezza: è un puro essere che non è determinato. Lâessere puro e semplice è interamente traducibile in questa idea di non essere determinato: ma in tale idea si esprime, se ci si pensa bene, lâidea del nulla. Il semplice essere e il semplice nulla sembrano così coincidere. Questo essere deve divenire. Il âdivenireâ è appunto il terzo principio della logica hegeliana. Dopo aver analizzato le categorie dellâessere in generale, del nulla e del divenire, H. passa ad esaminare quella dellâessere determinato. In effetti il divenire non si comprende se non come divenire di qualcosa. Ma il qualcosa è sempre unâentità finita, che non si può comprendere se non in riferimento ad altro, o in relazione ad una propria infinita possibilità di essere. Essere, non-essere, e divenire costituiscono la categoria della qualità; lâessere determinato che costituisce il loro risultato implica la categoria della quantità. La qualità determina lâessere interiormente, la quantità lo determina esteriormente: il rapporto qualità-quantità costituisce la misura, che è la terza ed ultima categoria della logica dellâessere. Dallâessere immediato si passa ad una riflessione dellâessere su se stesso. Alla âlogica dellâessereâ segue la âlogica dellâessenzaâ, nei suoi tre momenti della riflessione, che separa lâessenza dallâessere, del fenomeno, che riduce a semplice apparenza lâessere scisso dallâessenza, e della realtà in atto, che esprime lâunità dellâessenza con le sue manifestazioni fenomeniche. A questo punto lâessere, arricchito di tutte le sue determinazioni e quindi divenuto realtà in atto, si rivela come concetto. La âlogica del concettoâ che corona lâedificio della logica hegeliana, si articola anchâessa in tre momenti: la soggettività (che è il campo della vecchia logica formale, del pensiero considerato indipendentemente dal suo contenuto e che si suddivide nel concetto logico, nel giudizio e nel sillogismo), lâoggettività (cioè i principi dellâinterpretazione concettuale della natura secondo le categorie del meccanicismo, del chimismo e del finalismo) e infine lâIdea, come sintesi di soggettività e oggettività, meta ultima del processo. LâIdea è il concetto che si è autorealizzato pienamente e quindi la totalità dei momenti di questa realizzazione, vista come processo e risultato dialettico. LâIdea, dunque, è la totalità delle categorie della logica e dei loro nessi dispiegati. Il concetto è, al tempo stesso, lâassolutamente concreto e lo è in quanto contiene in sè in unità ideale lâessere e lâessenza, e quindi lâintera ricchezza di queste due sfere. La dialettica hegeliana è infatti strettamente connessa alla nozione di sviluppo che tende al concreto mediante il superamento dellâastrattezza insita in ogni opposizione. Concreto, per H., è ciò che rappresenta il compimento di un processo, lâunità di opposti, lâuno bisognoso dellâaltro per realizzarsi: da ciò consegue che la realtà si attua in un processo dove termini opposti si negano reciprocamente e si integrano in una nuova e più ricca unità. Si tratta di comprendere la funzione feconda e insopprimibile della contraddizione come legge di sviluppo della realtà e non come semplice negazione estrinseca. Pertanto la logica hegeliana si contrappone alla logica tradizionale, fondata sul principio di identità e di non contraddizione, e considerata non in grado di giungere alla mediazione, ossia a cogliere lâunità degli opposti nella loro sintesi. Sintetizzando, la logica hegeliana si divide in tre parti: la dottrina dellâEssere, che riguarda il pensiero nella sua immediatezza, il concetto in sé; la dottrina dellâEssenza, che concerne il pensiero nella mediazione, il concetto in quanto appare, in quanto diventa per sé; la dottrina del Concetto, che riguarda il pensiero tornato a sé attraverso la mediazione, il concetto in sé e per sé. Solo nel Concetto si trova la verità dellâEssere e dellâEssenza. La logica hegeliana non è quindi una semplice analisi formale dei termini, categorie e giudizi, ma è un sapere oggettiva perché ha come contenuto il vero Assoluto, lâIdea come unità di concetto e di realtà. Secondo H. occorre eliminare il pregiudizio che la dialettica abbia un risultato soltanto negativo: la negazione dialettica non è mai assoluta, ma è sempre la negazione di un limite che provoca il superamento di esso, conservandone gli aspetti positivi. Filosofia della natura La filosofia della natura rappresenta il secondo momento dello sviluppo dellâIdea, che esce dalla sua purezza originaria (momento della Logica, che rappresenta la scienza dellâidea pura) divenendo natura. Infatti, lo schema dialettico hegeliano si esprime nei tre momenti dellâIDEA come TESI, della NATURA come ANTITESI e dello SPIRITO come SINTESI. Pertanto la NATURA è vista da H. come lâIDEA nella forma dellâessere altro, la negazione dellâidea, lâIdea che esce fuori di sé. La filosofia della natura, nella riflessione hegeliana , è unâesplorazione dei molti modi in cui un ente naturale si organizza come tale; ed è una ricognizione dei molti significati possibili della dimensione natura; è la teoria dello sviluppo della natura nei suoi tre gradi. La natura è il dominio dellâesteriore, dellâente fisico determinato, soggetto a leggi universali, necessarie ed eterne. La natura â"scrive Hegel- non mostra nella sua esistenza, libertà alcuna; ma solamente necessità ed accidentalità. Per H. essa costituisce una totalità vivente, in quanto la serie dei suoi gradi ha come scopo interno e necessario â"anche se, ovviamente, inconsapevole- il ritorno dellâIdea a sé stessa nello Spirito. Così, dal grado massimo di esteriorità e di opposizione allâIdea che si riscontra nella materia informe, attraverso la corporeità come materia dotata di forme specifiche si giunge allâorganismo vivente che è la forma più alta della natura, la soglia da cui prende le mosse lo Spirito. La filosofia della Natura ha tre sfere fondamentali che stanno tra loro in rapporto dialettico: 1)la MECCANICA, che concerne la natura come materia priva di forme, come esteriorità spazio-temporale; 2)la FISICA, che concerne la natura come materia ormai determinatasi in forme naturali, come i corpi fisici dotati di certe proprietà (es. peso specifico, suono, calore); 3)lâORGANICA, che concerne la natura come vita dove ogni individualità corporea non solo ha una forma specifica, ma ha una tendenza interna a realizzarla come totalità concreta, ossia come organismo in cui le parti sono connesse tra loro. Il fine immanente dellâorganizzazione naturale è la vita. Il senso ultimo dellâesistenza naturale è oltre di essa e va ricostruito a livello diverso: al livello dello spirito. Lo spirito è la verità della natura. Hegel insiste molto sul momento di negatività costituito dalla natura, che è âdecadenza dellâidea da séâ. Il filosofo tedesco non mostra alcuna simpatia per la natura, superando la visione rinascimentale e romantica di essa. Alla tesi secondo cui un piccolo evento naturale come un fiore o una pagliuzza possono farci conoscere la Verità e Dio, Hegel contrappone la tesi secondo cui il più piccolo evento dello spirito ci fa conoscere la Verità e Dio in modo superiore, e che perfino il male che lâuomo compie è addirittura infinitamente superiore ai moti degli astri e allâinnocenza delle piante, in quanto il male è un atto di libertà, la quale costituisce lâessenza dello spirito. Filosofia dello Spirito Lo SPIRITO è lâIDEA IN SEâ E PER SEâ, lâIdea che ritorna a sé dalla sua alterità. Come momento dialetticamente conclusivo, ossia come risultato del processo, lo Spirito è la più alta manifestazione dellâAssoluto. IDEA e NATURA vanno visti come ideali momenti dello SPIRITO che ne costituisce la sintesi. Anche la Filosofia dello spirito, come ogni parte del sistema hegeliano, è strutturata in maniera triadica, e quindi divisa in tre momenti: 1) SPIRITO SOGGETTIVO; 2) SPIRITO OGGETTIVO; 3) SPIRITO ASSOLUTO. Con lâuomo la natura (secondo momento del processo dialettico) raggiungeva la sua espressione più alta e nellâuomo iniziava il superamento dellâalienazione dellâIdea, il ritorna dellâIdea in sé. Lo Spirito soggettivo nasce quando comincia il superamento dellâuomo come essere semplicemente naturale e nellâuomo si risveglia la coscienza. Anche allâinterno dello spirito soggettivo possiamo distinguere tre momenti: lâANTROPOLOGIA, la FENOMENOLOGIA, la PSICOLOGIA. LâANTROPOLOGIA è lo studio dellâanima, definita da Hegel come âtotalità semplice e immediataâ di quelle disposizioni della vita spirituale che âsi fondano sul convivere dellâuomo con la natura: che si determinano, dunque, in rapporto a situazioni ambientali, geografiche, climaticheâ. Lo Spirito ha, pertanto, radici naturali: lâanima indica proprio quel complesso di legami tra spirito e natura che nellâuomo si manifestano come carattere, temperamento, abitudini. Il secondo momento dello Spirito Soggettivo, oggetto della FENOMENOLOGIA, è quello della coscienza. In questa sezione Hegel segue lo sviluppo della coscienza fino allâautocoscienza e alla ragione, nei termini già visti nella Fenomenologia dello Spirito. Lâultimo momento, oggetto della PSICOLOGIA, è la sintesi dei due precedenti, dellâanima e della coscienza, portati su un piano più alto, quello della conoscenza e della volontà. Dalla sintesi di intelligenza e volontà si giunge allo Spirito soggettivo vero e proprio che non soltanto è libero (come la volontà), ma sa (come intelligenza) di essere libero e aspira a realizzare la libertà. Tuttavia questa realizzazione può compiersi solo attraverso un nuovo passaggio dialettico, dallo Spirito soggettivo allo Spirito oggettivo, cioè al mondo della storia e delle istituzioni. Lo Spirito oggettivo è, secondo alcuni interpreti, il momento più significativo e specifico dellâhegelismo. Lo Spirito oggettivo è il momento della realizzazione della libertà in un ordine intersoggettivo attraverso tre gradi dialettici: diritto, moralità, eticità. La libertà, che costituisce il punto dâarrivo dello Spirito soggettivo, per non rimanere astratta, deve concretizzarsi inizialmente nelle cose e negli oggetti esterni. Nasce così la prima forma del diritto, cioè la proprietà: se lâuomo fosse solo non ci sarebbero limiti alla sua appropriazione delle cose, ma lâesistenza di altre persone pone la necessità di limitare il diritto di ognuno. Il contratto riconosce questa limitazione. La rottura del contratto è il delitto e al delitto, come rottura del rapporto giuridico, si contrappone la pena. Ma la libertà ha bisogno di realizzarsi ad un piano più alto della legge esteriore (diritto), quello della moralità (legge interiore). Lo Spirito nella moralità, da persona astratta, semplice oggetto di diritto, diventa soggetto morale di intenzioni e di propositi. Nella moralità il soggetto si innalza ad un contenuto universale, cioè al concetto di bene, che però non deve restare solo nellâinteriorità, ma deve anche realizzarsi nellâesistenza esteriore.. Si ha così lâeticità. Lâeticità è la sintesi dei due momenti precedenti, e si realizza a sua volta nei tre momenti della famiglia, società civile, Stato. In ognuno di essi lâindividuo si scopre membro di una totalità vivente, dapprima nel nucleo familiare (che non è un semplice contratto, come per Kant, ma un istituto fondato sullâamore e sui sentimenti); poi nellâorizzonte più vasto della società civile, considerata come un sistema di bisogni che si articola nelle diverse corporazioni e nelle diverse classi sociali: agricoltori, artigiani, impiegati e proprietari; infine nello Stato che, come sintesi di famiglia e società civile, di diritto e moralità, è lâIdea stessa che si manifesta nel mondo, âlâingresso di Dio nel mondoâ: âlo Stato, in sé e per sé, è la totalità etica, la realizzazione della libertàâ. Lo Stato non esiste per il cittadino, ma al contrario, è il cittadino che esiste per lo Stato. Il cittadino esiste solo in quanto membro dello Stato. Molti critici hanno accusato Hegel di aver divinizzato lo Stato e di aver teorizzato il totalitarismo. Lo Stato, in altri termini, non è soltanto unâentità astratta e neppure il frutto di un ipotetico contratto di volontà singole, bensì lâespressione oggettiva, in forma di istituzioni storicamente determinate, dello Spirito di un Popolo o, più esattamente lo Spirito dei diversi popoli che si succedono nella storia. H. rigetta, quindi, la teoria del âcontratto socialeâ (Rosseau): lo Stato non deriva la sua sovranità dal popolo, ma da se stesso, dalla propria sostanza. H. giunge allâesaltazione della guerra, considerata come il mezzo per conservare la âsalute eticaâ, simile al vento che impedisce alle acque di ristagnare e corrompersi. âLa storia, senza guerre, registra solo pagine biancheâ. Eâ proprio mediante lo Stato e la dialettica che si istituisce tra gli Stati che si realizza la storia. La storia, a cui sono dedicate le Lezioni sulla filosofia della storia, è certamente lâinsieme delle vicende dei vari Stati nel tempo, ma, attraverso queste vicende, si manifesta qualcosa di più alto e necessario, cioè lo Spirito universale, lo Spirito del Mondo che, di volta in volta, si incarna nello spirito di singoli popoli e realizza così la sua piena e totale libertà. âla storia è il dispiegarsi dello Spirito nel tempoâ. Concretamente lo Spirito del Mondo si manifesta in vari popoli come Spirito del Popolo. Momenti particolari dello Spirito del Mondo sono anche gli âindividui cosmico-storiciâ, che sono i grandi eroi, capaci di cambiare il mondo in cui vivono e di preparare il futuro. Apparentemente tali individui (Alessandro, Cesare, Napoleone) non fanno che seguire la propria passione e ambizione: ma si tratta di unâastuzia della ragione, che si serve degli individui e delle loro passioni per attuare i suoi fini. Rispetto a tali fini tanto gli individui che i popoli sono soltanto mezzi. Come gli individui, anche lo spirito particolare dei popoli nasce, fiorisce e muore. Nel popolo tedesco, a partire dalla Riforma, H. vede il âdominatore£ della sua età. Il fine ultimo della storia del mondo è la realizzazione della realtà dello Spirito. Questa libertà si realizza, secondo H., nello Stato: è lo Stato, dunque, il fine supremo. La storia del mondo è, da questo punto di vista, la successione di forme statali che segnano un progressivo incremento di razionalità e libertà, dal mondo orientale (in cui uno solo è libero), al mondo greco-romano (in cui pochi sono liberi), a quello cristiano-germanico (ove tutti gli uomini sono liberi). In questâultima fase lo Spirito sembra essersi pienamente realizzato. Dopo essersi realizzata nella storia come libertà, lâIdea conclude il suo âritorno a séâ nellâautoconoscersi assoluto. Lo Spirito assoluto è dunque lâIdea che si autoconosce in maniera assoluta. Il processo del ritorno in sé dellâIdea, la realizzazione della sua piena autocoscienza, si attua completamente solo quando lo Spirito da oggettivo diventa assoluto, quando cioè risolve in sé ogni realtà finita e manifesta così la sua totale libertà. Tre sono i momenti in cui si articola questo processo dialettico: arte, religione, filosofia. Hegel parla del mondo classico come il mondo dellâarte, di quello cristiano-medioevale come il mondo della religione, di quello moderno come il mondo della filosofia. Tutte e tre sono manifestazioni dellâAssoluto, ma in tre forme diverse: lâarte nella forma dellâintuizione, la religione nella forma della rappresentazione, la filosofia nella forma del concetto. Lâarte è dunque un momento della manifestazione dellâAssoluto, ed essa lo esprime servendosi di immagini e di elementi naturali; il bello è lâapparenza sensibile dellâIdea. Rispetto alla tradizionale distinzione tra bello naturale e bello artistico, Hegel riconosce il primato del secondo: la natura è, infatti, alienazione, assenza di libertà. Lâarte esprime il momento dellâoggettività in forme plastiche e oggettive: certo la fantasia creatrice dellâartista ha un ruolo primario, ma, perché vi sia arte, è necessaria che essa non vada distinta dalla sua opera. Hegel distingue tre forme dâarte: quella simbolica in Oriente, quella classica nel mondo greco della polis, quella romantica nel mondo cristiano-germanico. L'ambito successivo, che sorpassa il regno dellâarte, è quello della religione. Nella religione lâAssoluto viene colto non nellâintuizione della forma sensibile, come segno dellâIdea (come nellâarte), ma nella rappresentazione, in quanto lâAssoluto è trasferito dallâoggettività dellâarte nellâinteriorità del soggetto. Anche la religione ha una prima fase ânaturaleâ (Dio è immerso nella natura e il culto consiste nella venerazione di oggetti materiali), una fase intermedia âartisticaâ (greco-romana) e infine quella âassolutaâ (il Cristianesimo). La religione viene superata dallâultima forma dello Spirito Assoluto che è la filosofia, dove lâAssoluto viene colto nella forma del concetto. Nella filosofia lâIdea raggiunge lâassoluta autocoscienza e il processo dialettico trova la sua sintesi conclusiva. Nella filosofia sono unificati i due lati dellâarte e della religione: lâoggettività dellâarte e la soggettività della religione. La filosofia viene a coincidere con la storia della filosofia e si dispiega nei tre momenti dellâantichità greca, della cristianità medioevale e della modernità germanica. Câè identità tra filosofia e storia perché realtà e idea coincidono: la realtà non è altro che il processo dellâidea verso la sua autocoscienza. Con Hegel la filosofia raggiunge uno dei suoi apici. Nella sua gigantesca costruzione, il sistema hegeliano non poteva essere conservato così comâera, da nessuno. Tra gli stessi hegeliani si formarono profondissime spaccature, che portarono addirittura ad una Destra e ad una Sinistra assai distanti tra loro: la Destra ha radicalizzato il sistema, la Sinistra lo ha ampiamente ridimensionato. Nellâorazione funebre si disse che sul trono lasciato vuoto da Alessandro non sarebbe salito nessun successore. | |
Da: Light3AAA | 09/03/2010 17:42:40 |
Ho seminato indizi. Per i colleghi minchioni. | |
Da: ok | 09/03/2010 18:10:44 |
e con questo | |
Da: ma | 09/03/2010 18:27:26 |
bafangulo,va | |
Da: Luisanna Prefetto bollente | 09/03/2010 18:42:42 |
ho visto Brunetta nella videochat del Corriere...mi si è freddato tutto...ma proprio tutto | |
Da: in questo forum | 09/03/2010 18:51:32 |
Ciao bestie, ricominciate a studiare per il prossimo concorso. Di certo lo vincerete! 'nta minchia! Prefetto Il titolo di prefetto (dal latino praefectus, 'preposto, messo a capo', participio passato dal verbo praeficĕre, a sua volta composto da prae, 'avanti', e facĕre, 'fare') è attribuito a titolari di uffici, solitamente pubblici o ecclesiastici, con attribuzioni diverse. Indice 1 Il prefetto rappresentante del governo 2 Il prefetto capo di un ente territoriale 3 Il prefetto nella Chiesa cattolica 4 Altri significati 5 Voci correlate Il prefetto rappresentante del governo In taluni ordinamenti, tra cui l'Italia, la Francia, varie ex colonie francesi e del Belgio (ad esempio il Ruanda), alcuni cantoni della Svizzera (Berna, Vaud, Friburgo) e la Romania, il prefetto è l'organo monocratico dello Stato che rappresenta il governo in una circoscrizione territoriale, quale il dipartimento, la provincia o la prefettura. Il termine prefettura viene di solito utilizzato anche per designare l'ufficio al quale il prefetto è preposto. In alcuni stati la circoscrizione retta dal prefetto è a sua volta suddivisa in circoscrizioni minori (in Francia e in altri paesi francofoni denominate arrondissements) rette da un sottoprefetto, a capo di una sottoprefettura. Vi sono infine ordinamenti che hanno un organo analogo al prefetto, denominato però diversamente (ad esempio governatore, intendente o commissario). La figura del prefetto è tipica degli stati unitari, in particolare di quelli che hanno adottato un'organizzazione di tipo accentrato, operando quale emanazione diretta del governo centrale nei confronti delle collettività locali. Di solito è investito di poteri di vigilanza e coordinamento, più o meno estesi, sugli altri organi locali dello stato - che nel modello classico, di derivazione napoleonica, dipendono gerarchicamente dal prefetto - nonché di funzioni di controllo sugli enti locali o di raccordo con gli stessi; è inoltre responsabile del mantenimento dell'ordine pubblico e sovrintende alle forze di polizia. Il prefetto francese, che rappresenta il prototipo al quale si sono generalmente ispirati gli altri ordinamenti, è stato istituito nel 1800 dal primo console Napoleone Bonaparte con la legge del 28 piovoso VIII. Attualmente in Francia il prefetto può essere preposto ad un dipartimento, una regione o ad una delle tre regioni marittime (Atlantico, Manica e Mediterraneo); a Parigi, Marsiglia, Lione e nella Corsica vi è inoltre un prefetto di polizia. Nel 1948, dopo la Seconda Guerra Mondiale, e dal 10 maggio 1982 al 29 febbraio 1988 il prefetto del dipartimento era stato denominato commissario della Repubblica. Il prefetto capo di un ente territoriale In Brasile il prefetto è il capo dell'amministrazione municipale, analogo al sindaco italiano, eletto dal popolo per quattro anni. Le città più grandi come São Paulo e Rio de Janeiro hanno inoltre dei sottoprefetti, nominati dal prefetto e responsabili di circoscrizioni cittadine dette sottoprefetture. La carica di prefetto fu istituita dopo il colpo di stato del 1930, in sostituzione delle precedenti cariche di intendente e presidente della camera municipale (tuttora in uso in Portogallo per designare il capo dell'amministrazione municipale). In Quebec, Canada, il prefetto è posto a capo della municipalità regionale di contea, un ente territoriale che raggruppa più municipalità. È eletto per due anni dal consiglio dell'ente, costituito dai sindaci delle municipalità che ne fanno parte, oppure per quattro anni a suffragio universale. Viene tradotto con prefetto anche il titolo di nomarhis (ν¿μάρχ·ς) attribuito in Grecia al capo una prefettura (nomòs, ν¿μός), suddivisione amministrativa intermedia tra la periferia (periféria, πµριφέρµι±) e la municipalità (dhimós, ´ήμ¿ς, se urbana; kinótita, º¿ινότ·τ±, se rurale). Dal 1994 il prefetto e il consiglio di prefettura (ν¿μ±ρχι±ºό συμβ¿ύ»ι¿) sono eletti ogni quattro anni dal popolo; in precedenza erano nominati dal governo. Il prefetto nella Chiesa cattolica Nella Chiesa cattolica il prefetto è il cardinale che presiede alcuni dicasteri della Santa Sede, quali le congregazioni, il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e, prima della sua soppressione nel 1988, il Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa. Se il dicastero è presieduto da un arcivescovo che non sia anche cardinale, questi assume il titolo di pro-prefetto. Sempre in ambito ecclesiastico è detto prefetto apostolico il prelato al quale è affidato in governo di un territorio che attende di essere eretto a diocesi (prefettura apostolica). Il prefetto apostolico si distingue dal vicario apostolico, che ha analoghe funzioni, perché a differenza di questo non è un vescovo. Altri significati Nel Regno d'Italia il Prefetto di Palazzo era un dignitario della casa reale incaricato di introdurre a palazzo i capi di stato in visita ufficiale e gli ambasciatori e ministri plenipotenziari che presentavano le lettere credenziali. In passato il titolo di prefetto era attribuito a chi dirigeva una biblioteca; oggi sopravvive nella Biblioteca Apostolica Vaticana, nell'Archivio Segreto Vaticano e nella Biblioteca Ambrosiana. Ha il titolo di prefetto anche chi dirige un istituto scolastico secondario dipendente dalla Comunità francofona del Belgio; si tratta, quindi, di una figura corrispondente al dirigente scolastico o, in passato, al preside italiano. In Svezia, invece, il prefetto dirige un dipartimento universitario. | |
Da: in questo forum | 09/03/2010 18:51:37 |
Ciao bestie, ricominciate a studiare per il prossimo concorso. Di certo lo vincerete! 'nta minchia! Prefetto Il titolo di prefetto (dal latino praefectus, 'preposto, messo a capo', participio passato dal verbo praeficĕre, a sua volta composto da prae, 'avanti', e facĕre, 'fare') è attribuito a titolari di uffici, solitamente pubblici o ecclesiastici, con attribuzioni diverse. Indice 1 Il prefetto rappresentante del governo 2 Il prefetto capo di un ente territoriale 3 Il prefetto nella Chiesa cattolica 4 Altri significati 5 Voci correlate Il prefetto rappresentante del governo In taluni ordinamenti, tra cui l'Italia, la Francia, varie ex colonie francesi e del Belgio (ad esempio il Ruanda), alcuni cantoni della Svizzera (Berna, Vaud, Friburgo) e la Romania, il prefetto è l'organo monocratico dello Stato che rappresenta il governo in una circoscrizione territoriale, quale il dipartimento, la provincia o la prefettura. Il termine prefettura viene di solito utilizzato anche per designare l'ufficio al quale il prefetto è preposto. In alcuni stati la circoscrizione retta dal prefetto è a sua volta suddivisa in circoscrizioni minori (in Francia e in altri paesi francofoni denominate arrondissements) rette da un sottoprefetto, a capo di una sottoprefettura. Vi sono infine ordinamenti che hanno un organo analogo al prefetto, denominato però diversamente (ad esempio governatore, intendente o commissario). La figura del prefetto è tipica degli stati unitari, in particolare di quelli che hanno adottato un'organizzazione di tipo accentrato, operando quale emanazione diretta del governo centrale nei confronti delle collettività locali. Di solito è investito di poteri di vigilanza e coordinamento, più o meno estesi, sugli altri organi locali dello stato - che nel modello classico, di derivazione napoleonica, dipendono gerarchicamente dal prefetto - nonché di funzioni di controllo sugli enti locali o di raccordo con gli stessi; è inoltre responsabile del mantenimento dell'ordine pubblico e sovrintende alle forze di polizia. Il prefetto francese, che rappresenta il prototipo al quale si sono generalmente ispirati gli altri ordinamenti, è stato istituito nel 1800 dal primo console Napoleone Bonaparte con la legge del 28 piovoso VIII. Attualmente in Francia il prefetto può essere preposto ad un dipartimento, una regione o ad una delle tre regioni marittime (Atlantico, Manica e Mediterraneo); a Parigi, Marsiglia, Lione e nella Corsica vi è inoltre un prefetto di polizia. Nel 1948, dopo la Seconda Guerra Mondiale, e dal 10 maggio 1982 al 29 febbraio 1988 il prefetto del dipartimento era stato denominato commissario della Repubblica. Il prefetto capo di un ente territoriale In Brasile il prefetto è il capo dell'amministrazione municipale, analogo al sindaco italiano, eletto dal popolo per quattro anni. Le città più grandi come São Paulo e Rio de Janeiro hanno inoltre dei sottoprefetti, nominati dal prefetto e responsabili di circoscrizioni cittadine dette sottoprefetture. La carica di prefetto fu istituita dopo il colpo di stato del 1930, in sostituzione delle precedenti cariche di intendente e presidente della camera municipale (tuttora in uso in Portogallo per designare il capo dell'amministrazione municipale). In Quebec, Canada, il prefetto è posto a capo della municipalità regionale di contea, un ente territoriale che raggruppa più municipalità. È eletto per due anni dal consiglio dell'ente, costituito dai sindaci delle municipalità che ne fanno parte, oppure per quattro anni a suffragio universale. Viene tradotto con prefetto anche il titolo di nomarhis (ν¿μάρχ·ς) attribuito in Grecia al capo una prefettura (nomòs, ν¿μός), suddivisione amministrativa intermedia tra la periferia (periféria, πµριφέρµι±) e la municipalità (dhimós, ´ήμ¿ς, se urbana; kinótita, º¿ινότ·τ±, se rurale). Dal 1994 il prefetto e il consiglio di prefettura (ν¿μ±ρχι±ºό συμβ¿ύ»ι¿) sono eletti ogni quattro anni dal popolo; in precedenza erano nominati dal governo. Il prefetto nella Chiesa cattolica Nella Chiesa cattolica il prefetto è il cardinale che presiede alcuni dicasteri della Santa Sede, quali le congregazioni, il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e, prima della sua soppressione nel 1988, il Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa. Se il dicastero è presieduto da un arcivescovo che non sia anche cardinale, questi assume il titolo di pro-prefetto. Sempre in ambito ecclesiastico è detto prefetto apostolico il prelato al quale è affidato in governo di un territorio che attende di essere eretto a diocesi (prefettura apostolica). Il prefetto apostolico si distingue dal vicario apostolico, che ha analoghe funzioni, perché a differenza di questo non è un vescovo. Altri significati Nel Regno d'Italia il Prefetto di Palazzo era un dignitario della casa reale incaricato di introdurre a palazzo i capi di stato in visita ufficiale e gli ambasciatori e ministri plenipotenziari che presentavano le lettere credenziali. In passato il titolo di prefetto era attribuito a chi dirigeva una biblioteca; oggi sopravvive nella Biblioteca Apostolica Vaticana, nell'Archivio Segreto Vaticano e nella Biblioteca Ambrosiana. Ha il titolo di prefetto anche chi dirige un istituto scolastico secondario dipendente dalla Comunità francofona del Belgio; si tratta, quindi, di una figura corrispondente al dirigente scolastico o, in passato, al preside italiano. In Svezia, invece, il prefetto dirige un dipartimento universitario. | |
Da: Luisanna Prefetto bollente | 09/03/2010 19:06:35 |
...e a far l'amore in tutti i luoghi e in tutti i laghi (?!)... | |
Da: ma | 09/03/2010 19:07:10 |
testa di minchia | |
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