NB: La redazione di mininterno.net non si assume alcuna responsabilità riguardo al contenuto dei messaggi.
35 posti per l'accesso alla qualifica iniziale alla carriera prefettizia
16689 messaggi, letto 470630 volte
Discussione chiusa, non è possibile inserire altri messaggi
Torna al forum |
Pagina: 1, 2, 3, 4, 5, 6, ..., 255, 256, 257, 258, 259, 260, 261, 262, 263, 264, 265, ..., 552, 553, 554, 555, 556, 557 - Successiva >>
Da: ... | 05/11/2008 21:02:25 |
inizio a non capirci più nulla. onestamente avevo pensato in ordine come possibili cause dello spostamento: effettiva indisposizione di un commissario (per una settimana), problema politici e riorganizzazione (per le altre tre)... ma ora, sentirsi dire che l'indisponibilità del segretario, con tutto il rispetto e la comprensione per le difficoltà che pur potrebbe avere, sta causando il ritardo, a me sembra assolutamente inverosimile e se fosse vero assurdo. non so cosa ne pensiate ma delle due l'una: o lo spostamente al 2009 così come ipotizzava "innominato" è vero ed allora mi sembra ridicolo pensare all'indisponibilità di questo o quello e le cause saranno ben altre oppure, questa persona (sempre che sia in ogni post uguale) si sta burlando di noi e la convocazione potrebbe arrivarci da un momento all'altro. | |
Da: innominato | 05/11/2008 21:17:20 |
l'assenza momentanea del segretario c'entra poco e riguarda il coordinamento sulle nuove date e non lo slittamento! | |
Da: matricola | 05/11/2008 21:18:36 |
Siete stati sfortunati questa volta. Ma non vi preoccupate, sarà bandito un nuovo concorso. | |
Da: innominato | 05/11/2008 21:19:38 |
ora se non vi spiace vi chiedo di scrivere tre pagine cambiando argomento. a presto | |
Da: stress | 05/11/2008 21:20:23 |
sarà presto fatto...parliamo del patto commissorio? | |
Da: ignorante | 05/11/2008 21:23:02 |
cos'è il patto commissorio? è un argomento di comunitario? | |
E' disponibile l'App ufficiale di Mininterno per Android. Scaricala subito GRATIS! |
Da: aloisius | 05/11/2008 21:31:21 |
quando ci sarà il nuovo concorso? presenterete domanda? ihihihihih | |
Da: .. | 05/11/2008 21:31:27 |
ho deciso di aiutare chi chiede di scrivere: mi parlate del silenzio della P.A.? | |
Da: aloisius | 05/11/2008 21:32:58 |
poichè sei tra gli oralisti suppongo che tu sia preparatissimo.....parlamene in modo che io possa imparare per il prossimo concorso che faremo insieme..... | |
Da: aloisius | 05/11/2008 21:41:19 |
il silenzio provoca silenzio | |
Da: x tutti | 05/11/2008 21:42:15 |
scusatemi, sono l'ultimo "..": in realtà per una svista ho usato impropriamente un nick. Chiedo umilmente scusa all'originale e a tutto il forum | |
Da: per due puntini bis | 05/11/2008 21:44:16 |
che sarà mai? un reato? | |
Da: il dotto | 05/11/2008 21:45:07 |
La tematica del silenzio della PA è di certo una delle più dibattute e problematiche del diritto amministrativo e questo non solo perché involge allo stesso tempo profili processuali e sostanziali, ma anche e soprattutto perché è un tipo di comportamento che rischia di essere gravemente lesivo della sfera giuridica del privato se non adeguatamente disciplinato e regolamentato. Il recentissimo decreto sulla competitività (DL 35/2005) ha determinato una rivoluzione copernicana in materia. Al riguardo appare opportuno tracciare le linee della situazione antecedente. Infatti, in base alla L. 241/90 come novellata dalla L. 15/05, la PA aveva lâobbligo di concludere ogni procedimento, avviato obbligatoriamente su istanza di parte o dâufficio, con un provvedimento espresso, sancendo in tal modo un diritto del privato alla conclusione del procedimento. I casi in cui si poteva derogare allâemissione di un atto formale conclusivo del procedimento e in cui le funzioni di questâultimo venivano legittimamente integrate da un comportamento inerte della PA erano tassativamente previsti dalla legge e prendevano il nome di silenzio-assenso e silenzio-diniego, species del genus âsilenzio significativoâ. In tali casi, perciò, il comportamento omissivo della PA aveva un valore legale tipico ed era in grado di ben surrogare un provvedimento formale conclusivo dellâiter procedimentale sia in funzione di accoglimento dellâistanza (silenzio assenso), sia in funzione di rigetto della stessa (silenzio diniego). Al di fuori di questi casi specifici lâinerzia della PA era del tutto illegittima giacchè priva di alcun fondamento normativo che gli desse un valore legale tipico. Tali situazioni prendono il nome di silenzio rifiuto o silenzio inadempimento. Perciò, una volta scaduti i termini di conclusione del procedimento, se la PA non aveva ancora provveduto il suo silenzio poteva considerarsi legittimo in casi espressamente previsti dalla legge o illegittimo nelle restanti ipotesi, aprendo in tale ultimo caso la via del ricorso al TAR secondo le forme dettate in proposito, in specie per ultimo, dalla L. 15/05. Con il decreto sulla competitività DL 35/05, invece, si ribaltano drasticamente i termini della questione, giacchè, con un meccanismo simile a quello usato dalla riforma del Titolo V Parte II della Costituizone che ha ribaltato la potestà legislativa tra Stato e Regioni (infatti quella del primo è diventata residuale in quanto limitata ai 17 settori indicati dal 117 secondo comma Cost. mentre quella delle seconde è diventata di carattere generale riguardando tutte le materie non riservate allo Stato), il silenzio assenso diviene regola generale laddove il silenzio rifiuto viene previsto in ipotesi tassativamente previste quali lâambiente, la sicurezza, lâimmigrazione, il patrimonio culturale e paesaggistico, la salute, la pubblica incolumità, per le quali si richiede invece. lâadozione di un formale provvedimento amministrativo pena lâintegrazione del silenzio inadempimento. Al riguardo, è ampliato il termine di conclusione del procedimento che è passato da trenta a novanta giorni; si dà alla PA, in caso si debbano sentire altri soggetti pubblici, la possibilità di convocare la conferenza di servizi con interruzione dei termini per maturare il silenzio assenso. Inoltre, si prevede la possibilità di sospendere il decorso del tempo procedimentale, per non più di novanta giorni, per acquisire valutazioni tecniche da altre PA. Dal carattere generale del silenzio assenso, perciò, emerge quello residuale del silenzio inadempimento, che si integrerà solo quando la PA, investita di unâistanza concernente una delle materie escluse dalla sfera del silenzio assenso, ometta di provvedere. In tal caso il suo comportamento sarà inadempiente e si aprirà la procedura giurisdizionale. In merito il DL 35/05 è intervenuto in modo altrettanto importante. Giova ricordare che già con la recentissima L. 15/05 si è passati da una procedura che non prevede più la formale diffida ad adempiere ma a diretta proponibilità del ricorso al TAR entro un anno dalla scadenza dei termini previsti per la conclusione del procedimento. Presentato il ricorso opererà, poi, il rito abbreviato ex art. 21bis L. 1034/71, come introdotto dallâart.2 L, 205/2000. Ciò su cui il decreto competitività ha veramente innovato è stato un punto estremamente dibattuto in giurisprudenza: i poteri cognitori del giudice investito del ricorso avverso un silenzio-inadempimento della PA, o meglio la possibilità per lo stesso di sindacare il merito della domanda la sua fondatezza e non limitarsi solamente allâaccertamento dellâillegittimità del comportamento del soggetto pubblico investito dellâistanza da parte del privato. Una parte dei giudici amministrativi, infatti, riteneva che il GA avesse il solo potere di accertare lâinerzia inadempiente della PA rimettendo a questâultima la determinazione del contenuto del provvedimento da adottare. Perciò il giudicato si doveva formare solo sullâobbligo di provvedere, cui avrebbe dovuto attendere la PA o, se ancora inerte, il commissario ad acta nominato dal GA. Altra parte della giurisprudenza amministrativa, sosteneva che fosse un potere del GA accertare la fondatezza o meno della pretesa sostanziale addotta dal privato innanzi alla PA. Un sindacato, perciò, sul merito che indicasse, in caso positivo, le modalità in base alle quali la PA dovesse successivamente agire, in modo da emanare un provvedimento favorevole al privato. Lâ Adunanza Plenaria, però, investita della questione, ha accolto, con la decisione 1/2002, la prima soluzione fornendo unâ interpretazione per lo più letterale della disciplina ossia basandosi su ciò che espressamente diceva la norma. Sosteneva, infatti, che lâart. 21 bis L. 1034/71 indica quale oggetto del ricorso il solo silenzio e quindi il solo comportamento inerte della PA e non la pretesa sostanziale addotta dal privato a fondamento della sua istanza. Un tale tipo di giudicato, secondo lâAd. Plen. è finalizzato solamente a sancire lâobbligo della PA a concludere il procedimento con un provvedimento espresso e non a sindacare il merito, indi per cui la PA conserverà pur dopo la sentenza il potere di provvedere in senso pieno. E tale sistema va esteso anche allâattività vincolata della PA, giacchè lâAd. Plen. dice che la disciplina è unica e indifferenziata e inerente a qualsiasi ipotesi in cui la pubblica amministrazione si sottragga al dovere di adottare un provvedimento esplicito i cui presupposti di fatto sono, perciò, irrilevanti. Eâ fondamentale, invece, unâomogeneità di posizioni soggettive in capo alla PA ed al privato, ossia è necessario che il silenzio riguardi lâesercizio di una potestà amministrativa e che la posizione del privato si configuri come un interesse legittimo, in modo da far derivare unâidentità di tutela giurisdizionale. Il decreto sulla competitività DL 35/05 ha messo un punto fermo allâannoso dibattito, sancendo la possibilità del giudice amministrativo di conoscere della fondatezza dellâistanza, di usare perciò un sindacato che investa anche il merito. Si è, in tal modo, venuto incontro ai numerosi dubbi che aveva suscitato la decisione dellâAdunanza Plenaria di cui sopra, dubbi che investivano, anzitutto, lâoggetto del giudizio. In molti ritenevano che si fosse affrontata come una questione di diritto processuale una questione che era invece di diritto sostanziale. Il nodo era stabilire quale fosse la natura delle posizioni soggettive a fronte dellâattività vincolata della pubblica amministrazione. Si riteneva infatti che se a fronte di una potestà amministrativa si poneva una posizione soggettiva del privato sub specie di interesse legittimo non potevano seguire differenti forme di tutela o comunque una diversa estensione dei poteri cognitori del giudice. Come comportarsi, invece, nei casi in cui si fosse riscontrato un diritto soggettivo a fronte dellâattività vincolata della PA? Il problema diveniva allora di giurisdizione, giacchè i diritti soggettivi richiedono forme di tutela e di cognizione diverse rispetto agli interessi legittimi. Il dl 35/05 ha messo fine ad ogni dubbio. Infatti, oggi, il GA, investito di un ricorso avverso il silenzio inadempimento della PA, non si limiterà più ad accertare la sussistenza dellâinadempimento, ossia il superamento del termine fissato per la conclusione del procedimento senza lâemanazione di alcun provvedimento, ma punterà gli occhi anche sulla bontà dellâistanza del privato per verificare se essa meriti o meno accoglimento. Se lâesito sarà positivo il giudice imporrà alla PA di adottare un provvedimento di accoglimento. Se la PA risulti inadempiente alla pronuncia il giudice nominerà, su istanza di parte un commissario ad acta perché provveda in luogo dellâamministrazione; tale commissario, verificato lâinadempimento adotterà il provvedimento in luogo della PA. Appare in definitiva chiaro come il DL 35/05 abbia inciso in maniera notevole sulla figura generale del silenzio. Da un lato lâ ampliamento della sfera di operatività del silenzio assenso cambierà di certo il modo di agire e di raffrontarsi della PA nei confronti delle istanze dei cittadini e dallâaltro i nuovi poteri cognitori del GA in caso di silenzio inadempimento segnano il trapasso da una fase in cui la PA rimaneva sempre e comunque custode della facoltà di provvedere a unâaltra in cui il GA assume su di sé tale potere a garanzia del privato nei confronti del rischio di ulteriori inadempienze della PA. | |
Da: ".." bis | 05/11/2008 21:48:02 |
Grazie tante Dott. Dotto :-DDD.Penso che anche l'Innominato sarà contento! | |
Da: il dotto | 05/11/2008 21:48:34 |
anche la collaborazione è cultura | |
Da: il dotto | 05/11/2008 21:59:41 |
Preliminare ad effetti anticipati, tutela precontrattuale e contrattuale" 11) DIRITTO CIVILE Tizio, incapace, concludeva con Caio un accordo basato su una lettera di intenti (avente ad oggetto un prestito di 55.000,oo euro del primo in favore del secondo); a seguito di tale lettera di intenti, Tizio erogava in favore di Caio 50.000,oo euro. Il candidato, dopo aver qualificato il negozio giuridico intercorso tra le parti, affronti la questione relativa al possibile cumulo tra azione precontrattuale ed azioni di tipo contrattuale. POSSIBILE SOLUZIONE SCHEMATICA CIVILE 11 di Luigi Viola In premessa poteva essere utile ricostruire sinteticamente il fatto. Successivamente, bisognava inquadrare giuridicamente l'accordo posto in essere tra Tizio e Caio. Si tratta di una lettera di intenti idonea ad anticipare, quasi del tutto, gli effetti finali del negozio giuridico costituendo. Quello che intercorre tra Tizio e Caio è un vero accordo avente ad oggetto un accordo successivo e definitivo, i cui effetti vengono, in gran parte, prodotti al momento del primo accordo (Tizio erogava già 50.000,oo euro a fronte di un debito di 55.000,oo). In questo senso, allora, la fattispecie ben potrebbe integrare un contratto preliminare ad effetti anticipati, in quanto all'accordo relativo alla lettera di intenti segue l'effetto del trasferimento patrimoniale da parte di Tizio (incapace) a favore di Caio. Tale figura, tuttavia, non è unanimemente ammessa, in quanto, secondo una certa impostazione, il contratto preliminare ad effetti anticipati, in fondo, nulla sarebbe se non un contratto definitivo, perché gli effetti reali non sarebbero differiti nel tempo secondo la struttura classica del procedimento preliminare-definitivo, con la conseguenza che, venendo meno la struttura negoziale del preliminare, a rigore, si dice, non potrebbe sussistere tale figura, ma quella del contratto definitivo: il preliminare per essere tale non tollererebbe la clausola degli effetti anticipati. Secondo altra impostazione (più recente), invece, tale figura giuridica avrebbe piena cittadinanza nel nostro ordinamento, alla luce del principio generale dell'autonomia negoziale, ex art. 1321 c.c.: le parti, invero, nell'esercizio della loro autonomia negoziale possono anche prevedere un'anticipazione del definitivo assetto di interessi programmato, senza che ciò determini un mutamento della causa, cioè del tipo contrattuale. In fondo, come evidente nel caso in esame, il contratto tra Tizio e Caio non può essere definitivo, tanto più che la prestazione non è interamente compiuta: il versamento dei 50.000,oo euro sarebbe, da questo angolo prospettico, pur sempre un acconto (attribuito non a titolo di caparra, ma in conto della futura prestazione â" finale â" dovuta), per cui vi sarebbe un preliminare con parziali effetti anticipati, ma non un unico negozio giuridico isolato (estraneo al procedimento preliminare-definitivo); corollario applicativo più importante della qualificazione di contratto preliminare ad effetti parzialmente anticipati è quello, eventualmente, di poter far valere sopravvenienze non prevedibili, ex art. 1256 c.c., idonee ad estinguere il contratto. Detto questo, la traccia richiedeva di prendere in esame il problema dell'eventuale cumulo tra azione precontrattuale e contrattuale. Il problema si pone, evidentemente, perché l'azione precontrattuale (ritenuta, di massima, avente natura giuridica extracontrattuale), fondata essenzialmente sull'art. 1337 c.c., sembra presupporre che le parti non siano addivenute ad un accordo negoziale, in quanto si parla di âtrattativeâ, tanto è vero che il danno risarcibile è limitato all'interesse negativo[*] (diversamente dall'ipotesi di inadempimento, ex art. 1218 c.c., dove si fa riferimento all'interesse positivo). Nel caso di specie, in fondo, potrebbe essere fatta valere l'azione contrattuale di annullamento, ex art. 1425 c.c., in quanto Tizio era incapace, con conseguente âeventualeâ ripetizione, nei limiti in cui l'incapace non ne abbia beneficiato, ex art. 1443 c.c. Tale azione è, allora, cumulabile con quella risarcitoria da responsabilità precontrattuale, ex art. 1337 c.c.? In favore della tesi positiva potrebbe deporre il fatto che, in sostanza, la natura giuridica della responsabilità precontrattuale è quella extracontrattuale, per cui, si dice, se la natura giuridica è quella extracontrattuale, allora, nulla dovrebbe ostare ad un'eventuale cumulo con azioni di tipo contrattuale, anche ex art. 1425 c.c., proprio alla luce del fatto che si tratterebbe, in pratica, di tipologie di responsabilità ben diverse. Invero, la giurisprudenza più recente opta per la tesi negativa, in quanto, si ritiene, la conclusione di un contratto (seppure ad effetti anticipati o parzialmente anticipati) assorbirebbe, per così dire, l'azione precontrattuale, in quanto quest'ultima azione riguarderebbe solo le trattative inutili o inconcludenti, ma non la conclusione del contratto a certe condizioni piuttosto che altre, ovvero il libero procedimento volitivo, perché in questi ultimi casi già vi sarebbe l'azione di annullamento. D'altronde, il distinguo tra interesse positivo e negativo starebbe proprio a significare ciò: se le parti addivengono ad un contratto si possono porre solo problemi positivi (relativi al contratto) e non negativi (relativi alla mancata conclusione di un contratto per trattative inutili); se si parte dall'idea che l'art. 1337 c.c., laddove parla di trattative, si riferisce solo al coinvolgimento inutile in trattative, allora, ne segue, de plano, come corollario logico-deduttivo, che la conclusione del contratto è concettualmente (oltre che giuridicamente) incompatibile con un'azione volta a far valere la mancata conclusione del contratto. In questo senso, allora, il contratto intercorrente tra Tizio e Caio ben potrà essere annullato, ex art. 1425 c.c., con eventuale ripetizione, ex art. 1443 c.c., ma non vi sarà spazio per un cumulo di tutela con l'azione da responsabilità precontrattuale, ex art. 1337 c.c. [*]La differenza tra interesse positivo (presente nella responsabilità da inadempimento) ed interesse negativo (presente nella responsabilità precontrattuale) è che il primo presuppone la validità del negozio e consiste nei vantaggi che, verosimilmente, sarebbero stati ottenuti ed i danni che, di massima, sarebbero stati evitati con l'esecuzione esatta del contratto; diversamente, il secondo (interesse negativo) presuppone la mancata conclusione o l'invalidità del contratto e consiste nei vantaggi che sarebbero stati ottenuti e nei danni che sarebbero stati evitati non iniziando le trattative ovvero non confidando nella validità del contratto (con riferimento alle ipotesi di nullità o inesistenza). Si consiglia di leggere la sentenza che segue. Quando si addiviene ad un contratto (nella specie una lettera di intenti veniva qualificata come preliminare ad effetti anticipati) vuol dire che viene superata la fase delle trattative, in favore dell'accordo, con la conseguenza che si potrà configurare un'azione contrattuale, ma non precontrattuale, perché la prima assorbirebbe la seconda. SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III CIVILE Sentenza 25 luglio 2006, n. 16937 Svolgimento del processo La I.F.I. immobiliare, citando in giudizio dinanzi al tribunale di Bolzano l'ing. P.G. per sentir pronunciare nei suoi confronti una sentenza sia di accertamento (dichiarativa della legittimità del recesso di essa attrice dalle trattative intercorse con il convenuto), sia di condanna nei confronti del predetto (al pagamento della somma di L. 880 milioni, a titolo di risarcimento danni e di restituzione di quanto a lui corrisposto), espose: - di avere intavolato trattative con l'ing. V.A. allo scopo di finanziare la ricerca e lo sviluppo di un nuovo sistema di produzione energetica presentato anche dalla stampa come altamente innovativo; - di aver appreso dal V. che l'invenzione alla base del sistema era da attribuirsi essenzialmente al P., e che depositaria del relativo brevetto sarebbe stata una società costituita e registrata nelle Antille Olandesi (la "Pendolo Corporation" n.v.); - di aver versato, in sede di pre-trattative, un acconto di L. 300 milioni, all'esito del quale fu firmata, tra essa attrice, il V. e il P., una lettera di intenti nella quale questi ultimi, progettisti e soci coinventori del sistema denominato "nuova energia alternativa", si dichiaravano possessori dei relativi diritti in quote uguali, intenzionati, come tali, a trasferire il brevetto alla ricordata società "Il pendolo" delle Antille olandesi, di cui soci erano, ancora, il P. al 76% e tale P.L. per il 24%; - di aver ricevuto ulteriori assicurazioni in ordine alla circostanza che, da quella società, il brevetto sarebbe poi stato trasferito ad altra struttura societaria - le cui quote sarebbero state detenute in esclusiva dal V. e dal P. - la quale avrebbe poi allacciato gli opportuni rapporti commerciali con la costituenda Exo New Energy per lo sfruttamento commerciale dell'invenzione; - di aver previsto, nella lettera intenti, che due consulenti fossero incaricati di verificare la situazione giuridico-amministrativa così descritta; - di avere successivamente versato al P. e al V. le ulteriori somme di L. 350 milioni (il 10.12.1996), L. 100 milioni (il 20.12.1996), L. 130 milioni (il 21.1.1997), per un complessivo importo di vecchie L. 880 milioni; - di aver appreso, all'esito delle verifiche effettuate, che inventore del sistema risultava, in realtà, anche il Po., detentore del 76% del capitale della società "Pendolo", dalla cui gestione, inoltre, a seguito di varie vicissitudini societarie e giudiziarie, il P. stesso stava per essere estromesso, così vanificando le prospettive commerciali (concordate a seguito delle mendaci affermazioni del medesimo in ordine al suo presunto controllo della compagine societaria) concordate nella lettera di intenti; - di aver predisposto una seconda lettera di intenti, più aderente alla realtà, accettata dal V. ma rifiutata dal P. il quale in realtà, rappresentando false circostanze, aveva cercato di carpire alla IFI tutta una serie di prefinanziamenti. Tanto premesso, la IFI spiegò le domande di cui in epigrafe specificando, in particolare, che la restituzione della somma di L. 800 milioni "veniva chiesta a seguito di risoluzione del contratto come giudizialmente spiegata in questo procedimento". Si costituì P.G. in persona del suo curatore - essendo egli stato inabilitato per infermità mentale il 13 luglio 1994 -, il quale sostenne di aver ricevuto dall'attrice la minor somma di L. 630 milioni, di cui L. 500 utilizzati per acquistare quote della "Pendolo corporation", invocando l'annullabilità di tutta la complessa attività negoziale (di straordinaria amministrazione) posta in essere dal suo assistito. Il giudice di primo grado, qualificata la lettera di intenti come atto di straordinaria amministrazione, condannò il P., previa declaratoria di annullamento dell'atto, alla restituzione all'IFI della somma di L. 630 milioni, considerati effettivamente ricevuti a vantaggio dell'inabilitato. Il gravame principale proposto da P.G. avverso tale pronuncia dinanzi alla Corte di appello di Bolzano venne rigettato, mentre ricevette accoglimento quello incidentale avanzato dalla IFI. La corte di merito - premesso che l'appellante principale aveva eccepito il vizio di ultrapetizione in cui era incorso il giudice di primo grado (per avere questi statuito su una restituzione di somme da parte dell'incapace richiesta solo tardivamente dall'attrice) e quello incidentale aveva dal suo canto precisato che il titolo delle proprie richieste di rimborso doveva intendersi "di risarcimento extracontrattuale, per trattative in malafede"-, ebbe ad osservare, per quanto ancora rileva in sede di giudizio di legittimità: 1) che, dell'atto negoziale definito dall'appellante incidentale "lettera di intenti" con la quale il P. si era impegnato a trasferire tutti i suoi diritti sull'invenzione in cambio dei finanziamenti, era senz'altro predicabile la annullabilità: si trattava, nella specie, di una complessa operazione economico- finanziaria, sicuramente suscettibile di esecuzione in forma specifica, con la quale il P. si era concretamente impegnato a disporre, la cui natura giuridica era quella di preliminare vincolante di cessione esclusiva di futuri diritti, il cui carattere era quello di disposizione del proprio patrimonio, di straordinaria amministrazione, annullabile su istanza del curatore dell'inabilitato; 2) che "effettivamente la richiesta di restituzione di quanto l'incapace aveva ricevuto a proprio vantaggio non era mai stata formulata nemmeno in via subordinata da parte della IFI", ma era purtuttavia "prospettata quale effetto naturale in precisazione delle conclusioni" (così, testualmente, la sentenza delle corte alto atesina al folio 12 della motivazione); 3) che, essendo il contratto stipulato con l'inabilitato non nullo, ma soltanto annullabile - e quindi suscettibile in astratto di convalida - l'art. 1443 c.c., in tema di ripetizione contro l'incapace, postula, per la sua legittima applicazione, una specifica domanda dell'interessato, non essendo la ripetizione de qua un effetto naturale dell'accoglimento della domanda: nella specie, dunque, il titolo per la restituzione invocata dalla società IFI non poteva essere costituito dal disposto dell'art. 1443 c.c., difettando, in proposito, una specifica domanda (in tal senso trovava così accoglimento in parte qua l'appello del P.); 4) che occorreva, pertanto, appurare l'esistenza di un eventuale, diverso titolo extracontrattuale, come invocato dalla società appellata, che sosteneva di essere stata raggirata dal P.; 5) che, in tema di responsabilità da slealtà precontrattuale, essa andava "inquadrata nella generale annullabilità degli atti - e non dei contratti o obbligazioni - dell'incapace; ci si lega anche con trattative che creino una legittima aspettativa in controparte, ed anche questi sono atti negoziali, per cui non...... si vede quale differenza, ai fini della generale annullabilità degli atti, vi sia" (così testualmente la sentenza al folio 13 della motivazione); 6) che il principio di diritto secondo il quale la responsabilità del genitore, per il danno cagionato da fatto illecito del figlio minore, trova fondamento, a seconda che il minore sia o meno capace di intendere e volere al momento del fatto, rispettivamente nell'art. 2048 c.c., in relazione ad una presunzione "iuris tantum" di difetto di educazione ovvero nell'art. 2047 c.c., in relazione ad una presunzione "iuris tantum" di difetto di sorveglianza e di vigilanza. Le indicate ipotesi di responsabilità presunta pertanto, sono alternative - e non concorrenti - tra loro, in dipendenza dell'accertamento, in concreto, dell'esistenza di quella capacità (la sentenza cita il precedente di cui a Cass. 2606/1997), ponendo una sostanziale e sistematica equiparazione tra minore emancipato e inabilitato che va oltre le disposizioni dettate dalla normativa sulla curatela e riveste anche gli aspetti derivanti da atti illeciti degli stessi inabilitati, doveva trovare ingresso anche nella fattispecie concreta con riguardo al P., inabilitato; 7) che, pur essendo in primo grado mancato del tutto - perchè non richiesto - un qualsivoglia accertamento sulla prova in ordine la effettiva capacità del P. nel condurre le trattative, sul suo intento di voler scientemente truffare la IFI, sul chi dovesse concretamente sorvegliarlo, su chi dovesse conseguentemente rispondere dei suoi atti in caso di omessa sorveglianza e, infine, sul concreto contributo causale di quest'ultimo all'asserito meccanismo truffaldino in caso di sua incapacità mentale al momento dei fatti, "il tenore letterale della scrittura" era "chiaro e inequivocabile: il P. si è presentato come coinventore e titolare dei diritti di sfruttamento al 76% dell'invenzione. Le pressioni che egli riferisce di aver subito per intavolare le trattative mai gli provennero dalla IFI, ma semmai dal V.. E non essendo provato nel caso di specie che la IFI si sia servita del V. per ingannare il P., lo stesso deve rispondere dei danni" (così il folio 14 della sentenza), da quantificarsi in tutto quanto versato dalla IFI; e cioè L. 880 milioni, avendo la IFI "ben diritto, essendo il P. solidalmente coinvolto nel meccanismo che indubbiamente ha sorpreso la buona fede della finanziaria inducendola a compiere il suddetto atto di fede, di essere integralmente risarcita anche dall'incapace"; 8) che "il potere di accordare equa indennità" si ricollegava "alla richiesta di risarcimento del danno procurato dall'incapace, e non abbisognava di domanda ad hoc. Comunque il P., per evitare tale responsabilità, avrebbe dovuto chiamare in manleva chi avrebbe dovuto sorvegliarlo, comprovando nel contempo la propria assoluta incapacità all'epoca dei fatti. Tale prova avrebbe dovuto essere data dal P. non essendo sufficiente a tal fine la sentenza di inabilitazione" (folio 15 della sentenza). Per la cassazione della sentenza della corte d'appello di Bolzano ricorre oggi dinanzi a questa Corte P.G.. Resiste con controricorso la IFI immobiliare. La parte ricorrente ha depositato memoria. Motivi della decisione Il ricorso, articolato in 3 motivi di doglianza, è fondato. In limine, va decisa la questione di inammissibilità del ricorso per omessa esposizione del fatto sollevata da parte controricorrente in sede di discussione orale, trattandosi di (eventuale) nullità di un atto del procedimento rilevabile di ufficio da questa Corte. La questione non è fondata. Pur non facendo pedissequamente propri i passaggi e lo svolgimento dei fatti contenuti nella sentenza oggi impugnata, difatti, il ricorso, dal folio 2 al folio 11, riproduce e ripercorre le tappe più significative delle vicende processuali ed extraprocessuali che costituiscono l'oggetto dell'attuale giudizio, fornendo inoltre, e in più occasioni, ulteriori e fondamentali chiarimenti (come, ad esempio, in relazione alle cause e modalità di inabilitazione dell'odierno ricorrente) rispetto alla (non sempre lucida ed esaustiva) ricostruzione dei fatti contenuta nella pronuncia della Corte di appello di Bolzano. Va altresì preliminarmente esaminata la questione della inammissibilità del controricorso, sollevata in memoria da parte ricorrente, per omessa notifica al curatore del P.. La questione non è fondata. L'assenso fornito dal curatore alla impugnazione della sentenza, difatti (della cui esistenza la stessa parte ricorrente non dubita) esaurisce l'attività demandata all'organo di protezione dell'incapace, che, nel manifestare la propria volontà, si rende parte di un atto unilaterale complesso "a complessità disuguale". La sostanziale unicità dell'atto, e (la non contestata e) contestuale elezione di domicilio compiuta dal ricorrente presso il proprio difensore nel giudizio di cassazione (l'avv. Paolo Del Bufalo, con domicilio in Roma alla via Anastasio II n. 139, ove il controricorso risulta concretamente notificato), rendono del tutto valida ed efficace la notifica dell'atto processuale in contestazione. Con il primo motivo, lamenta il ricorrente una pretesa violazione dell'art. 1337 c.c. - violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.c., sostenendo che il giudice di merito, dopo aver correttamente escluso che la pretesa della IFI potesse essere accolta ai sensi dell'art. 1443 c.c. - poichè, pur essendo la pattuizione P./ V. sicuramente annullabile in quanto sottoscritta dal solo P. benchè inabilitato, difettava, nella specie, ogni domanda in tal senso da parte della società -, e dopo aver, altrettanto correttamente, qualificato la "lettera di intenti" intercorsa tra le parti come vero e proprio "contratto preliminare vincolante" (e dunque suscettibile di esecuzione coattiva) avente ad oggetto la cessione esclusiva dei futuri diritti di sfruttamento industriale di un'invenzione, sarebbe incorso in un evidente errore di diritto nel predicare l'esistenza di un titolo extracontrattuale di responsabilità a carico del P., così estendendo indebitamente la domanda della IFI, anzichè limitarsi ad annullare la pattuizione. "La pronuncia di invalidità del contratto prosegue ancora il ricorrente "sarebbe stata preclusiva del giudizio sulla legittimità del recesso dalle trattative e sul risarcimento, non potendosi discettare di recesso e di responsabilità se il contratto (sia pur preliminare) si è perfezionato". Il motivo è fondato. Il giudice del merito, difatti, dopo aver conferito alla lettera di intenti per la quale è oggi processo la natura giuridica di "contratto preliminare vincolante di cessione di futuri diritti" (non rileva, in questa sede, analizzare la conformità a diritto di tale qualificazione, essendosi sul punto formato il giudicato interno per avere lo stesso controricorrente ribadito, al folio 6 del controricorso, che "il titolo per le proprie richieste è il risarcimento extracontrattuale per trattative di malafede"), e dopo avere altrettanto rettamente escluso che l'istanza risarcitoria dellaIFI potesse trovare fondamento nel disposto dell'art. 1443 c.c. (che, come è noto, disciplina l'ipotesi di restituzione, da parte del contraente incapace, in favore della controparte, della prestazione ricevuta entro i limiti in cui questa sia stata rivolta a suo vantaggio), in difetto di apposita domanda aveva poi esteso l'indagine all'accertamento dell'esistenza di un titolo extracontrattuale, così come invocato dalla IFI, che aveva fondato la propria istanza risarcitoria proprio su di una asserita responsabilità extracontrattuale dell'odierno ricorrente "per trattative in malafede". Oggetto della indagine diveniva così, nel ragionamento della corte alto atesina, la "slealtà precontrattuale", da inquadrarsi "nelle generale annullabilità degli atti: ci si lega anche con trattative che creino una legittima aspettativa in controparte, e anche questi sono atti negoziali". Il dictum del giudice di appello è, in realtà, giuridicamente viziato sotto molteplici aspetti. Poco comprensibile, appare, innanzitutto, il riferimento alla categoria della "slealtà contrattuale" come fonte diretta di annullabilità degli atti. Le trattative, difatti, di cui erroneamente si predica, tra l'altro, la natura negoziale (attesone, viceversa, il carattere di atti "prenegoziali", comunemente individuato dalla dottrina) non sono destinate "all'annullamento" (perchè, a tacer d'altro, rientrerebbero pur sempre nell'orbita della responsabilità contrattuale), bensì a sfociare, o meno, in una successiva struttura contrattuale. La mancata stipula del contratto cui esse risultano teleologicamente collegate può pertanto, in ipotesi, dar luogo a responsabilità precontrattuale (sulla cui natura molto si è discusso in dottrina e giurisprudenza, se essa debba, cioè, riconnettersi all'istituto della responsabilità contrattuale ovvero extracontrattuale ovvero ancora sia destinata a costituire un vero e proprio tertium genus intermedio), tutte le volte che (e solo se) mai esse non sfocino nell'alveo di una successiva convenzione negoziale, alla cui stipula, per converso, consegue che per ciò solo esse perdono ogni autonomia e ogni giuridica rilevanza, e sotto il profilo risarcitorio convergono, perdendo ogni autonomia, in quella struttura contrattuale che, essa si, essa sola, potrà (in ipotesi) costituire fonte di responsabilità risarcitoria. Di talchè, nella ipotesi in cui la convenzione negoziale così divisa tragga linfa da condizioni diverse da quelle che avrebbero preso corpo se una parte non avesse tenuto un comportamento contrario a buona fede, la fattispecie di responsabilità legittimamente azionabile dal deceptus è (solo) quella contrattuale, e non più quella precontrattuale ex art. 1337 c.c. la cui configurabilità resta preclusa ed assorbita nella intervenuta stipula del contratto. Nè vale obbiettare che, nella specie, il negozio concluso aveva natura di contratto preliminare, il cui oggetto (tradizionalmente identificato nella prestazione di un futuro consenso) non consentirebbe un autonomo esperimento dell'azione risarcitoria ex contractu, legittimamente riferibile, di converso, alle precedenti trattative intercorse tra le parti. Al di là della inesattezza tout court di tale affermazione, va in questa sede rammentato come la più recente giurisprudenza di legittimità e la più avvertita dottrina si sia indotta a rifiutare (in consonanza con le innegabili evoluzioni economiche e normative dell'istituto) la costruzione del preliminare in termini di puro e nudo pactum de futuro contraendo. Questa stessa Corte, con una recente sentenza resa a sezioni unite (Cass. 1624/2006), nel negare ogni fondamento alla teoria che esclude la legittimità della prestazione del promittente venditore di un bene altrui concretantesi (anche) nel "procurare" il trasferimento del bene al promissario acquirente direttamente dal terzo proprietario senza necessità di un doppio trapasso, e nel predicare il principio secondo il quale l'identità del venditore è del tutto indifferente per il compratore, poichè "la conclusione del definitivo non assorbe nè esaurisce gli effetti del preliminare, che continua, viceversa, a regolare i rapporti tra le parti, sicchè il promettente venditore resta responsabile per il caso di evizione e per i vizi", approda infine alle sponde di un moderna concezione del preliminare inteso come struttura negoziale destinata già (quantomeno in ipotesi di cd. "preliminare impuro" ovvero "a prestazioni anticipate") a realizzare un assetto di interessi prodromico a quello che sarà compiutamente attuato con il contratto definitivo, sicchè il suo oggetto diviene non solo e non tanto un tacere consistente nel manifestare successivamente una volontà rigidamente predeterminata quanto alle parti e al contenuto, ma anche e soprattutto un (sia pur futuro) dare, consistente nella trasmissione del diritto (dominicale o quant'altro), che costituisce, alfine, il risultato pratico avuto di mira dai contraenti. Così, la stessa mappa genetica del preliminare "impuro" (quale quello di specie, essendo la prestazione a carico della parte promissoria acquirente in gran parte già stata eseguita) ne risulta rimodellata, restandone esclusa la configurabilità in termini di mero pactum de contahendo, sicchè, a più forte ragione, la confluenza tout court, in esso, degli atti di trattativa che lo abbiano preceduto risulta incontestabile. Ne consegue che, stipulato il contratto preliminare, l'unica azione a disposizione della promissaria acquirente già esecutrice di parte della propria prestazione era quella contrattuale ex art. 1443 c.c. (versandosi in ipotesi di contratto di persona incapace legalmente presunta tale per effetto della sentenza di inabilitazione), e che l'azione extracontrattuale, così come proposta dalla società IFI nella specie, non poteva avere ad oggetto, come pure ribadito in questa sede dal controricorrente, gli atti di trattative condotte in (supposta) malafede dalla controparte. Nè legittimo sarebbe il richiamo al principio della cumulabilità, nel nostro ordinamento, dei due tipi di responsabilità da illecito civile, poichè il principio predetto è legittimamente invocabile quando uno stesso fatto autonomamente generatore di danno integri gli estremi tento dell'inadempimento contrattuale, quanto del torto aquiliano (ciò che accade, ad esempio, nell'ipotesi di lesioni subite dal lavoratore per inosservanza di norme antinfortunistiche), ma non anche nell'ipotesi in cui una attività prenegoziale astrattamente generatrice di danno (le trattative) confluisca fisiologicamente nel negozio cui essa risultava funzionalmente e teleologicamente collegata, risultando, in tal caso, soltanto il negozio stesso la eventuale fonte di responsabilità (contrattuale). Il secondo e terzo motivo del ricorso, attinenti al profilo della capacità dell'inabilitato e della relativa prova, pur fondati sotto il profilo giuridico, sono assorbiti nell'accoglimento del primo motivo. Il ricorso è, pertanto, accolto, e il processo rinviato alla Corte di appello di Trento che, nel provvedere anche alle spese del presente giudizio, si atterrà ai principi di diritto suesposti. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte di appello di Trento. Così deciso in Roma, il 26 aprile 2006. Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2006. | |
Da: xdotto | 05/11/2008 22:00:32 |
hai rotto e fa pure rima | |
Da: il dotto | 05/11/2008 22:02:07 |
apprendi con umiltà o sarò costretto ad invocare il profeta | |
Da: matricola | 05/11/2008 22:35:03 |
Che cosa sono le circolari-regolamento? | |
Da: fujiko | 06/11/2008 00:02:09 |
per chi me lo ha chiesto:io mi sono fatta un programma e studio seguendo quello...ho calcolato i giorni che mi servono per ogni materia(ovviamente studiando in modo soft) è ovvio che se mi arriva la comunicazione velocizzo, ma a quel punto il lavoro lo fa l'adrenalina.. | |
Da: stress | 06/11/2008 09:07:51 |
grazie fujiko sei sempre gentile e razionale | |
Da: ........ | 06/11/2008 09:09:03 |
certo che chiedere consigli su come organizzare il proprio studio denota un grande senso di responsabilità ed organizzazione...... | |
Da: stress | 06/11/2008 09:10:03 |
ma a te cosa importa? fatti gli affari tuoi e vai a studiare. non lo vedi che sono stressata? | |
Da: attenzione! | 06/11/2008 10:54:51 |
Non riesco a collegarmi con il sito del ministero voi ci riuscite? forse stanno aggiornando con date? | |
Da: .. | 06/11/2008 11:16:29 |
Ne dubito! Io non ci riesco quasi mai...! | |
Da: sole | 06/11/2008 11:40:51 |
innominato, non ho mai dubitato della veridicità delle tue affermazioni. In questo momento ho saputo che la situazione dovrebbe sbloccarsi per il prossimo fine settimana.Non mi hanno riferito della indisponibilità del segretario.Non ci capisco più nulla...... Appena avrò notizie vi farò sapere. | |
Da: per sole | 06/11/2008 11:43:01 |
in che senso sbloccarsi? | |
Da: per sole | 06/11/2008 11:44:25 |
da chi lo hai saputo? ufficio concorsi o altre fonti? | |
Da: c'è nessuno | 06/11/2008 11:54:31 |
in questo forum del cavolo? | |
Da: Brad | 06/11/2008 12:25:42 |
Non si capisce più nulla. | |
Pagina: 1, 2, 3, 4, 5, 6, ..., 255, 256, 257, 258, 259, 260, 261, 262, 263, 264, 265, ..., 552, 553, 554, 555, 556, 557 - Successiva >>