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I nuovi dsga scuola! Concorso? Faremo di meglio!
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Da: Victoria666  18/03/2019 10:57:34
Completiamo goleman con la sua ultima teoria ...intelligenza strutturale o complessa ...assieme all'autore singe
Rispondi

Da: Victoria666  18/03/2019 11:13:02
Goleman assieme a senge hanno scritto un nuovo libro...
A scuola del futuro.
Importante il concetto di intelligenza strutturale
...l'individuo l'alunno può sviluppare al massimo le sue capacità solo riuscendo ad apprendere in un sistema complesso.
Del pensiero complesso ne parla Morini che poi esamineremo...
Complessità o apprendere nel complesso significa che l'individuo potrà sviluppare la sua personalità al meglio e quindi risolvere i problemi della vita solo ..attraverso un continuo ploblem solving....cercando di capire non solo se stesso..ma se stesso con gli altri e con ogni altra parte del sistema a cui apparteniamo....ossia se..gli altri...ambiente società ...




UN'EDUCAZIONE AL PASSO COI TEMPI

Esiste un'emergenza educativa oggi?

Certamente sì, come peraltro è sempre avvenuto.

In effetti, l'educazione dovrebbe dare, in ogni epoca,  una qualche  risposta alle esigenze dei tempi assumendo una concreta connotazione storica.

Ebbene, GOLEMAN , il celebre sostenitore della "intelligenza emotiva", si è recentemente voluto interrogare al riguardo e lo ha fatto scrivendo il  saggio a quattro mani - "A scuola di futuro" -  con il collega Peter  Senge al quale resta affidata una parte importante delle conclusioni : quella in cui si sottolinea   (nel 4° capitolo - "Comprendere il mondo nel suo insieme" )  la necessità di sviluppare nei nostri giovani un "pensiero sistemico" che li ponga in grado di cogliere le interconnessioni che legano un mondo divenuto sempre più complesso e tale da  farci smarrire ogni possibile chiave di lettura.



IL PARADIGMA CULTURALE FONDATIVO

Ma è veramente possibile leggere  una tale complessità??

Il dinamismo  di una società mutante e frenetica, iper-tecnologizzata  e globalizzata, è sotto gli occhi di tutti ed ha sollecitato molteplici riflessioni, non sempre e non solo di segno laudativo.

Basti qui ricordare l'insistenza di un  Bauman che si è fatto testimone della mutevolezza magmatica della nostra società "liquida" ; una  società nella quale il corso degli eventi non si  mostra più come un fiume lento ed inesorabile nel suo fluire, ma piuttosto come una serie frammentata di pozzanghere e di  piscine, nel segno della discontinuità. Riuscire a percorrere questo territorio sociale costruendo ponti e rintracciando "percorsi di senso" diviene dunque un'emergenza culturale, esistenziale ed umana. Un tal  genere di riflessione non è cosa nuova quando si dia per scontato, come troppi  fanno,  che ogni parte è sempre parte di un tutto e che occorre saper vedere e rintracciare il filo che lega fra loro gli eventi, rammendarne  la tela utilizzando, ciascuno, il proprio gomitolo di cotone colorato e capire che non è importante la tinta ma l'ordito complessivo. Occorre  stare nel sistema, capire il sistema , "fare SISTEMA".

I lettori più avveduti non faticheranno a ravvisare in questa concezione la CORRENTE FILOSOFICA  e CULTURALE  che caratterizza la nostra epoca, scivolata dallo Strutturalismo alla visione "sistemica" di un Luhmann :

esemplare testimonianza di un  pensiero POST-MODERNO rischiosissimo, a giudizio di chi scrive,in quanto conduce inesorabilmente  alla frontiera della ERMENEUTICA in cui viene a sfumarsi ogni VERITÀ! Ci piace usare il carattere maiuscolo per sottolineare la nostra distanza dalla deriva relativista che si nasconde in questa visione e non a caso abbiamo utilizzato la nostra metafora dei fili di diverso colore onde segnalare il messaggio ultimo della filosofia sistemica per cui  il mondo, nella sua complessità inquieta ,finisce per  prestarsi ad infinite  interpretazioni, sempre soggettive e tali da rispecchiare il personale interesse , la particolare angolatura visuale e la cultura di chi vi si rapporta.



PENSIERO ED INTELLIGENZA SISTEMICI

Ebbene, queste nostre personali riflessioni  critiche non appartengono a Peter Senge  (docente del Massachuttes Insittute of Tecnology)che, con pragmatico fare anglosassone, si limita a porsi il problema di dover  fornire ai giovani la capacità di essere presenti nell' epoca odierna  guadagnando la capacità di collegare fra loro i fatti e di interagire  con l'ambiente circostante fornendo risposte " efficaci". Siamo alla solita teorizzazione della "learning  organization" secondo cui le aziende imparano dai loro membri e dalla società che esprime precise ma mutevoli richieste. Trasferendo il discorso sul piano pedagogico, ciò induce l'Autore a raccomandare che   i nostri ragazzi siano messi  in grado di riflettere sulle conseguenze a lungo termine delle loro azioni ,  individuando le connessioni  che corrono fra se stessi  e il mondo, ma anche esplorando e le proprie  mappe mentali ed affettive,  fino a sentirsi di in sintonia con gli altri e consapevoli della propria INTERIORITA'. Fino a  PERCEPIRE SE STESSI COME UN SISTEMA COMPLESSO IN CUI VANNO A SOMMARSI LE DIMENSIONI INTELLETTIVE , SOCIALI, AFFETTIVE ED EMOTIVE. Noi tutti rappresentiamo un sistema, così come ciascuna  "classe" di studenti  secondo lui è un sistema, immerso in un ambiente ed in un orizzonte cognitivo complesso e  centrifugo  . Affermare che  la classe sia essa stessa un sistema vale a dire che  ciascun allievo può farsi e si fa guida per i compagni quando si punti sull'insegnamento cooperativo. Prestare attenzione all'orizzonte cognitivo in cui siamo immersi  vuol dire fare  riferimento   anche ad Internet   ed al circo mediatico che ci assedia. Tuttavia, a giudizio di Senge,un grosso  problema è rappresentato dal  cosiddetto "ritardo temporale" col quale si manifestano le conseguenze inattese  di certe nostre azioni;  il  che ostacola la capacità di  riuscire a cogliere le relazioni causa-effetto  (pag. 56) . Situazione che si aggrava per effetto della complessità sociale  che viaggia sempre in tandem con la complessità dinamica (temporale) , sfidando il nostro sviluppo cognitivo ed emotivo (Pag. 59).

Conclusivamente Peter Senge  ritiene di poterne  trarre  alcune indicazioni di carattere pedagogico,   per generare negli alunni le "abitudini del pensatore sistemico".

Occorre che  l'allievo :-cerchi di  comprendere sempre il quadro complessivo;  si sforzi di osservare come in un sistema gli elementi cambino nel tempo;  riconosca che sono  le strutture di un sistema a  generare  sempre un suo comportamento;  si abitui a cambiare prospettiva per aumentare la comprensione; sia indotto ad esaminare a fondo ciascun problema , rifiutandosi di giungere ad una conclusione rapida; si abitui a ad  identificare le relazioni fra causa ed effetto; faccia emergere e sappia mettere alla prova le ipotesi  âe  così via 

Ebbene,  viene così a prospettarsi  un'educazione  intellettiva non più sterilmente individualista, rinchiusa in una dimensione riflessiva di carattere analitico ed isolazionistico,sviluppata entro  a comparti culturali fissi e stagnati,  ma una ginnastica mentale flessibile ed onnicomprensiva  scandita dal problem solving. In ogni caso , un'educazione da fondare a 360 gradi per riavviare, secondo le parole di GOLEMAN , "un'educazione alla VITA (Cap.1") ,da realizzare imparando a  "Concentrarsi su se stessi" (Cap. 2) ed a "Sintonizzarsi sugli altri"(Cap.3).  Il messaggio che emerge da questa visione della questione educativa non è né semplicistico né scontato. Non si limita a valorizzare l'intelligenza emotiva come componente essenziale dell'educazione emotiva ed affettiva, da porre a base dell'educazione sociale. La tesi che si vuol fare affiorare va molto oltre le stesse più recenti raccomandazioni OCSE e della OMS. Queste ultime, come è noto, prendono atto della solitudine e dell'egocentrismo dei giovani d'oggi, divenuti individualisti e violenti per effetto d'una società massificante e parametrata  al possesso ed all'autoaffermazione consumistica: una società dell'Avere di  frommiana memoria. Il che induce a raccomandare una maggiore attenzione allo sviluppo di un atteggiamento di apertura sociale, ancor più importante quando si pensi che l'organizzazione attuale presuppone, anche a livello professionale, il lavoro di squadra e l'attitudine a lavorare in team. Da qui, come è scontato , la più recente attenzione attribuita  , anche nella legislazione nazionale, all'Educazione alla Convivenza civile. Ebbene, secondo gli Autori, questa prospettiva va corretta poiché la capacità riflessiva, l'attitudine a guardarsi dentro per conquistare l'autoconsapevolezza di  sé, un sé  chiamato ad interagire ed a confrontarsi con un SISTEMA di emozioni e di flussi interiori , ma anche di connessioni e di  relazioni sociali esterne, non può che contribuire ad uno sviluppo globale della personalità. Vale a dire che  vedersi  e  comprendersi  come esseri posti al centro di un mondo fisico, umano e  sociale - come  parte di un  SISTEMA complesso  - presuppone ed alimenta uno sviluppo armonico fondato sulla coincidenza della formazione sociale con quella  intellettiva

. Aprire la mente vuol dire, insomma, aprirsi alla comprensione del mondo, di se stessi e degli altri (una sorta di eudemonismo socratico). Con riferimento a concrete esperienze innovative in tal senso sviluppate in molte scuole d'oltreoceano, Goleman afferma che " la relazione tra gli effetti dell'educazione sociale ed emotiva, il comportamento e il rendimento scolastico costituì  un'enorme piacevole  sorpresa" e che  "la triplice attenzione (interiore, verso gli altri e verso l'esterno) può preparare al meglio i ragazzi per il futuro"   (Cap. 1)

In conclusione , "sono cinque i punti che costituiscono ora le abilità fondamentali  insegnate nell'educazione sociale ed emotiva, per come è venuta sviluppandosi in America: autoconsapevolezza, autogestione, empatia, abilità sociali e buon decision making" (pag. 5)





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Da: la banca dati18/03/2019 11:27:32
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Da: Victoria666  18/03/2019 11:44:58
In tema di emozioni....e' importante citare gli autori Taylor per primo....e lane e sc.
Questi autori affrontano il problema delle emozioni che l,individuo non riesce a manifestare ....ciò comporta la somatizzazione e conversione....che a sua volta può causare disturbi somatici o psichiatrici.






In questa relazione, tratteremo alcuni sviluppi della ricerca sul costrutto di alexithymia.


1. Cosa significa alexithymia

Il termine alexithymia è stato coniato da Peter Sifneos (1973) nella prima metà degli anni '70 per indicare un disturbo affettivo-cognitivo relativo ad una particolare difficoltà di vivere, identificare e comunicare le emozioni (dal greco alpha = assenza, lexis = linguaggio, thymos = emozioni, ossia "assenza di parole per le emozioni"). Il costrutto venne elaborato a partire dall'osservazione di pazienti con le "classiche" malattie psicosomatiche e per molti anni è stato ritenuto quasi un loro sinonimo poiché si pensava fosse specificamente connesso alle patologie c.d. psicosomatiche. Fra le caratteristiche cliniche dei pazienti psicosomatici, Sifneos annoverava:
- la marcata difficoltà a descrivere le emozioni e ad esserne consapevoli;
- la riduzione delle attività mentali connesse con la fantasia;
- la marcata preoccupazione con aspetti concreti e dettagliati dell'ambiente esterno e del proprio corpo;
- uno stile di pensiero congelato sugli stimoli ed incapace di andare oltre nell'elaborazione, come sottolineato negli stessi anni da case reports di psicoterapia con pazienti alessitimici contrassegnati fondamentalmente dalla noia contro-transferale (Taylor, 1977; 1984).

2. Caratteristiche cliniche

Vi sono 5 caratteristiche cliniche centrali del costrutto di alexithymia:
1. Difficoltà di identificare e descrivere le emozioni
I soggetti alessitimici manifestano una marcata difficoltà a verbalizzare i propri stati emotivi e, ad un'indagine più approfondita, sembrano non averne affatto consapevolezza. Possono anche mostrare scoppi improvvisi di emozioni intense (come rabbia, paura o pianto) ma non riescono collegare la manifestazione emozionale con ricordi, fantasie o specifiche situazioni. E' così possibile che un paziente alessitimico descriva tutto ciò che è successo in una lite con il coniuge, dalle situazioni che l'hanno scatenata alle parole dette, e poi si meravigli se l'osservatore gli dice che probabilmente ha provato rabbia.
2. Difficoltà di distinguere fra stati emotivi soggettivi e le componenti somatiche dell'attivazione emotiva
I soggetti alessitimici esprimono le proprie emozioni preminentemente attraverso la componente fisiologica poiché incapaci di elaborarne l'aspetto soggettivo vissuto. Per cui, il paziente dell'esempio precedente riferisce le modificazioni somatiche avvertite (irrequietezza motoria, tensione muscolare, pirosi gastrica, tremori, ecc.) ma non comprende che l'esperienza della rabbia ingloba in sé tutte le sensazioni riferite. Dalla psicoanalisi, tale caratteristica viene considerata una difesa massiva contro un'angoscia di natura psicotica, per cui la distanza posta fra affetto e rappresentazione denota la distruzione del legame di significato fornito dalle parole e da ciò che esse simbolizzano. Dal punto di vista cognitivistico, è stata concettualizzata come attenzione selettiva ed amplificazione delle componenti somatiche delle emozioni e come predisposizione all'agire motorio per scaricare una spiacevole tensione interna, il che spiegherebbe il motivo per cui i soggetti alessitimici sviluppino ipocondria, disturbi di somatizzazione e comportamenti compulsivi come abbuffate alimentari, abuso di sostanze psicoattive, anoressia nervosa.
3. Povertà dei processi immaginativi
La povertà di immaginazione e di tutte le funzioni ad essa connesse sono facilmente osservabili nell'attività onirica dei soggetti alessitimici. Essi non sognano quasi mai e i loro sogni sono comunque caratterizzati dal fatto di riprodurre pezzi di vita reale, avvenimenti diurni, eventi della vita lavorativa. Allo stesso modo, i sogni ad occhi aperti sono quantitativamente molto scarsi e qualitativamente molto poveri poiché anch'essi si soffermano su eventi accaduti o su preoccupazioni per il futuro. Il colloquio con i soggetti alessitimici è pertanto duro, noioso, frammentario, rigidamente circoscritto a sintomi, esami medici o eventi accaduti. Fisicamente appaiono rigidi nella postura corporea e nella mimica facciale.
4. Stile cognitivo orientato verso la realtà esterna
I soggetti alessitimici sono elettivamente concentrati su tutto ciò che è esterno alla vita psichica. Sul piano cognitivo, ciò si manifesta attraverso un pensiero razionale che tende a illustrare azioni ed esperienze senza investimenti affettivi, come se l'individuo fosse spettatore più che attore delle propria vita. L'attenzione è concentrata sui dettagli della realtà fattuale, di cui riescono a descrivere i dettagli anche minuziosamente ma senza mai dare la sensazione all'osservatore che vi stiano partecipando emotivamente.
5. Conformismo sociale
I soggetti alessitimici mostrano una stretta aderenza alle regole sociali di adattamento, per cui sembrano definiti dall'esterno in termini di identità di ruolo. Al contrario, mancano delle qualità soggettive di interpretazione della propria identità ed evidenziano scarsa capacità di sintonizzazione con le emozioni altrui, mostrando marcate difficoltà a formare e conservare nel tempo relazioni interpersonali intime.
In conclusione, i soggetti alessitimici hanno caratteristiche al confine fra più sindromi psicopatologiche (disturbi depressivi, ossessivo-compulsivi, personalità dipendente), differenziandosene per la peculiarità di un disturbo cognitivo di elaborazione delle emozioni, o meglio della componente psicologica degli affetti a fronte di un eccesso di espressività della componente fisiologica.

3. Storia del costrutto
Il costrutto di alexithymia è nato 30 anni fa e si è modificato nel corso della sua evoluzione concettuale. Le tappe più importanti di questa storia sono le seguenti:
- Sul finire degli anni '40, Jorgen Ruesch (1948) aveva osservato che molti pazienti con patologie mediche croniche o con le "classiche" malattie psicosomatiche manifestavano marcate difficoltà di espressione verbale e simbolica degli affetti, con caratteristiche del tutto diverse da quelle presentate dai pazienti nevrotici. Egli attribuì tali caratteristiche ad un arresto nello sviluppo della personalità, considerando tale deficit evolutivo come il problema centrale della personalità psicosomatica (personalità infantile).
- Agli inizi degli anni '60, gli psicoanalisti francesi Pierre Marty e Michel de M'Uzan (1963) (che fonderanno in seguito l'Ecole Psychosomatique de Paris) pubblicano osservazioni cliniche su pazienti somatici che manifestano una struttura cognitivo-affettiva molto simile al costrutto di alexihtymia (che definirono pensiero operatorio), con uno stile di pensiero letterale ed utilitaristico accompagnato da un marcato impoverimento affettivo.
- Nel 1976 la XI European Conference on Psychosomatic Research (ECPR) (Brautigam-von Rad, 1977) viene dedicata per intero al costrutto di alexithymia, consentendo per la prima volta ai ricercatori dell'allora recente costrutto di incontrarsi e discutere, sancendone l'ufficialità nella comunità scientifica e promuovendone lo sviluppo futuro.
- A metà degli anni '80, il gruppo di Toronto fa compiere una svolta cruciale al costrutto quando pubblica la prima scala empiricamente validata per l'assessment del costrutto. Il gruppo di Toronto è costituito da Graeme Taylor (psicoanalista e teorico del gruppo, docente all'Università di Toronto), Mike Bagby (psicologo clinico che si occupa prevalentemente di psicometria, del Clarke Institute di Toronto) e Jim Parker (psicologo clinico che si occupa fondamentalmente di studi sperimentali di laboratorio, della Trent University di Peterborough). Nel 1985 il gruppo pubblica la Toronto Alexithymia Scale (TAS) nella versione a 26 items (Taylor et al, 1985) e 10 anni dopo la sua revisione a 20 items (TAS-20) (Bagby et al, 1994; Parker et al, 2003; Taylor et al, 2003). Prima della TAS, nel decennio 1975-1985 i risultati delle ricerche erano stati ottenuti con strumenti poco robusti dal punto di vista psicometrico, come il Beth Israel Questionnaire (BIQ), la Schalling-Sifneos Personality Scale (SSPS) o la scala sull'alexithymia ricavata dal MMPI (MMPI-A). La scarsa considerazione verso il costrutto di alexithymia da parte della comunità scientifica del tempo fu dovuta in parte alla scarsa validità e affidabilità di queste prime scale di valutazione, anche se dotate di buona face validity in quanto i contenuti degli item erano incentrati sulle caratteristiche teoriche e cliniche centrali del costrutto. Lo sviluppo della TAS e della TAS-20 ha impresso uno sviluppo impressionante alle ricerche che sono passate da una trentina di lavori pubblicati nel periodo 1970-79 agli oltre 500 nel periodo 1995-2004 (fonte: Medline). La TAS-20 è uno sviluppo della TAS a 26 items di cui sono stati corretti alcuni problemi riscontrati negli studi di validazione. Fondamentalmente sono stati eliminati dalla TAS-26 quegli items (riferiti al conformismo sociale ed alla funzione di daydreaming) che non risultavano correlati con gli altri fattori.
- Nel 1997 il gruppo di Toronto pubblica la monografia Disorder of Affect Regulation (Taylor et al, 1997) (tradotta in italiano da Mario Speranza per Giovanni Fioriti Editore nel 2000 con il titolo I disturbi della regolazione affettiva). Questo libro costituisce una svolta epocale nel costrutto di alexithymia poiché segna definitivamente il passaggio dall'ambito della medicina psicosomatica in senso stretto all'universo più ampio dei disturbi multi-determinati sia fisici che psicopatologici caratterizzati dalla disregolazione affettiva, di cui diremo dopo.
- Alla XXV ECPR di Berlino del giugno 2004, il gruppo di Toronto illustra i primi risultati relativi alla Toronto Structured Interview for Alexithymia. Si tratta di un'intervista strutturata a 24 items, parzialmente finanziata dal Ministero della Salute canadese e tuttora in via di costruzione. La scala intende rispondere a due critiche fondamentali rivolte alla TAS-20. Primo, la TAS-20 è uno strumento self-report e appare in aperta contraddizione con il costrutto misurato poiché per definizione gli alessitimici hanno scarso accesso introspettivo all'autovalutazione (cfr. Lumley, 2000), per cui è necessaria una valutazione clinica delle caratteristiche del paziente da parte di un osservatore. Secondo, come dicevamo, la TAS-20 non "copre" aspetti clinici importanti del costrutto, come i tratti di conformismo sociale e la ridotta capacità di fantasticare. Tali aspetti clinici restano centrali nel costrutto ma non vengono valutati dalla TAS-20 poiché gli items relativi ad essi sono risultati psicometricamente deboli.

4. Le scale di Toronto
Le scale di Toronto di assessment dell'alexithymia (TAS e TAS-20) sono le più usate al mondo. Dal 1986, sono state usate nel 90% degli studi pubblicati e dal 1994 la TAS-20 è stata citata più di 340 volte nelle pubblicazioni scientifiche su riviste con peer-review. Sono state tradotte in 20 lingue diverse, fra cui le principali europee (danese, tedesco, finlandese, italiano, francese, greco, norvegese, portoghese, spagnolo, polacco, ungherese, svedese e olandese) ed alcune extra-europee (hindi, tamil, giapponese, coreano, lituano, cinese ed ebraico). Il gruppo di Toronto, nello spirito della collaborazione scientifica internazionale, dà generalmente il proprio consenso ad usare la traduzione nelle lingue nazionali se la struttura fattoriale della scala è identica a quella originale, articolata in tre fattori (IDE, identiyfing feelings; COM, communicating feelings; EOT, externally-oriented thinking), mediante la confirmatory factor analysis.
E' immediatamente comprensibile che l'uso di una misura omogenea dell'alexithymia da parte della comunità scientifica consente:
- di accumulare dati empirici ottenuti con uno stesso strumento;
- di confrontare le ricerche condotte in paesi diversi;
- di esplorare le varie spiegazioni dei risultati ottenuti con la stessa scala.
Nel 1996 è stato pubblicato il lavoro sulla validazione della traduzione italiana della TAS-20 (Bressi et al, 1996) e nel febbraio 2005 è prevista la pubblicazione di un libro della Masson a cura di D.La Barbera e V.Caretti sulla TAS-20. Nel 2003 è invece stato pubblicato un interessante lavoro di confronto delle varie traduzioni della TAS-20 da cui emerge la sua capacità di misurazione omogenea del costrutto di alexithymia (Taylor et al, 2003).

5. L'assessment dell'alexithymia
Uno dei problemi dell'assessment di un costrutto psicologico è però, paradossalmente, proprio l'uniformità della misurazione. Un unico strumento di misura introduce nella ricerca un bias sistematico (ossia l'inclusione, inevitabile anche se indesiderata, di fattori che non si volevano misurare con una certa scala) che non può essere eliminato finché non si trova un altro strumento, psicometricamente valido ma di tipo diverso, che confermi la validità dei risultati ottenuti con il primo. Si tratta della cosiddetta matrice multitratto-multimetodo di Campbell e Fiske (1955) secondo cui la validità di uno strumento di assessment psicologico non deve essere correlato a costrutti teorici indipendenti (validità divergente) e, nello stesso tempo, deve correlare con scale che misurano lo stesso costrutto ma ottenute con metodo di misurazione indipendente (validità convergente). Per le scale di Toronto, il problema resta la natura del test: è un test self-report che necessariamente comporta il bias sistematico dell'auto-valutazione: non si può sapere se il modo in cui il soggetto sta rispondendo alla scala self-report è diverso dal modo in cui risponderebbe ad un'altra scala - ad esempio etero-somministrata - che misuri lo stesso costrutto. In sostanza, è possibile che un soggetto valuti se stesso come alessitimico ad una scala self-report come la TAS-20 ma risulti alessitimico se osservato da un esaminatore esterno e, viceversa, che non valuti se stesso come alessitimico al test self-report ma che lo risulti quando viene valutato con uno strumento eterogeneo come una scala observer-rated.
Per questo motivo, sono state recentemente sviluppate alcune misure alternative alla TAS-20, il cui uso per la ricerca (in congiunzione o in alternativa alle scale di Toronto) è ancora in fase di validazione. Fra le più importanti si possono menzionare:
- la scala olandese di Bermond e Vorst (Bermond-Vorst Alexithymia Questionnaire, BVAQ) (Vorst-Bermond, 2001);
- la scala californiana di Haviland (Observer Alexithymia Scale, OAS) (Haviland et al, 2000);
- la Toronto Structured Interview for Alexithymia (TSIA) dello stesso gruppo di Toronto;
- alcuni indici del Rorschach Comprehensive System (Porcelli-Meyer, 2002; Porcelli, 2004).
La proposta di un nuovo strumento di misurazione deve però rispettare alcuni canoni per ottimizzare il rapporto bilanciato fra esigenze teoriche di sviluppo e affidabilità psicometrica. E' infatti necessario testare continuamente i limiti di uno strumento già esistente ma l'introduzione di una nuova scala in un settore della ricerca deve anche aggiungere validità incrementale rispetto a quella precedente (ossia deve fornire informazioni quantitativamente maggiori e qualitativamente migliori rispetto alla scala precedente, informazioni che non si possono ottenere con la prima scala per suoi limiti strutturali ineliminabili). Se così non fosse, si correrebbe il rischio di gettar via il lavoro già svolto (valido) e di accumulare letteratura non strettamente necessaria.

7. L'evoluzione del costrutto
In sintesi, nei suoi 30 anni di storia, il costrutto di alexithymia ha subito notevoli e sostanziali cambiamenti in almeno 3 aree:
1. Dalla comunicazione all'elaborazione delle emozioni.
Agli inizi si pensava che la struttura concettuale del costrutto fosse in una difficoltà di comunicazione delle emozioni mentre oggi si ritiene che l'aspetto teorico fondamentale consista in un deficit di elaborazione cognitiva delle emozioni dovuto ad un arresto nello sviluppo delle funzioni di mentalizzazione. La cornice teorica attuale di riferimento è quindi rintracciabile nelle moderne teorie delle emozioni.
2. Dalla specificità psicosomatica alla vulnerabilità aspecifica.
Agli inizi si riteneva che l'alexithymia fosse maggiormente prevalente nelle patologie psicosomatiche, tanto che si è a torto ritenuto che ne costituisse un aspetto di specificità. Oggi si ritiene al contrario che l'alexithymia sia una predisposizione aspecifica verso vari disturbi sia fisici che psichiatrici, caratterizzati dalla comune matrice della disregolazione degli affetti.
3. Da strumenti deboli a strumenti validi di misurazione.
Agli inizi la misurazione del costrutto è stata effettuata con strumenti che avevano solo elevata face validity ma sviluppati con scarsa attenzione di validità ed affidabilità. L'introduzione delle scale di Toronto ha consentito un progresso sostanziale nella misurazione del costrutto poiché è stato seguito un processo empirico, e non solo concettuale, di sviluppo della scala.
Il cambiamento di questi tre aspetti del costrutto non ha comportato però il cambiamento dei suoi aspetti fondamentali, per cui l'alexithymia ha conservato inalterato il nocciolo delle sue caratteristiche messe in luce da Sifneos 30 anni fa.

8. La differenza tra emotions e feelings
Per comprendere il nucleo basilare del costrutto di alexithymia, è fondamentale operare una distinzione concettuale fra due termini di lingua inglese, difficilmente traducibili in italiano senza perdere la complessità dei rispettivi significati: emotions (lett. emozioni) e feelings (lett. sentimenti).
Le emozioni (emotions) sono fenomeni biologici innati, geneticamente programmati, mediati dai sistemi subcorticali e limbici, funzionali alla sopravvivenza della specie e basati su segnali non-verbali come mimica facciale, gestualità, postura corporea e tono vocale. Sono in sostanza la componente biologica dell'affetto.
I sentimenti (feelings) sono invece fenomeni psicologici individuali molto più complessi poiché implicano l'elaborazione cognitiva ed il vissuto soggettivo mediato dalle funzioni neocorticali. Tale componente psicologica dell'affetto consente di valutare la risposta emotiva a stimoli esterni ed interpersonali e di comunicare intenzionalmente le emozioni mediante la funzione linguistica verbale ed extraverbale di simbolizzazione. Essi, pertanto, dipendono dalla cultura di appartenenza, dalle esperienze infantili, dalle rappresentazioni di sé e degli altri, da ricordi, fantasie e sogni.
L'alexithymia non indica pertanto individui senza emozioni - che sarebbe impossibile - ma soggetti con un deficit della componente psicologica dell'affetto (feeling), ossia persone che hanno emozioni (emotions) espresse dalle componenti biologiche degli affetti ma con scarsa o nessuna possibilità di ricorrere agli strumenti psicologici (immagini, pensieri, fantasie) per rappresentarle.
La domanda di base del costrutto di alexithymia è pertanto la seguente: come vengono rappresentate simbolicamente le emozioni (emotions) per cui possono essere percepite consciamente come affetti (feelings) e quindi essere individuate, denominate, regolate ed espresse mediante le funzioni di mentalizzazione e le fantasie?

9. Alexithymia e teoria del codice multiplo della Bucci
Una ipotesi di risposta alla domanda precedente è rappresentata dal Modello del Codice Multiplo (Multiple Code Theory) di Wilma Bucci (1997), una teoria dell'elaborazione mentale degli input che ha molti punti in comune con il costrutto di alexithymia.
Nel modello della Bucci, la elaborazione subsimbolica riguarda tutti quegli stimoli non-verbali (sentimenti, input motori, stimoli sensoriali) che vengono processati "in parallelo": ad esempio, riconoscere le emozioni nell'espressione facciale altrui o una voce familiare nella confusione di una festa oppure arrivare di testa su un cross al momento giusto e all'altezza giusta giocando a calcio o, per restare su un terreno più professionale, intuire il timing dell'interpretazione al paziente. La elaborazione simbolica non-verbale riguarda invece quelle immagini mentali (un volto, una musica, un'espressione) che, pur presenti alla coscienza, non possono essere tradotte in parole. La modalità simbolica verbale riguarda quel potentissimo strumento mentale mediante il quale l'individuo comunica il proprio mondo interno agli altri e conoscenza e cultura vengono trasmesse da un individuo ad un altro. I tre sistemi, secondo la Bucci, pur essendo governati da principi differenti, sono anche connessi. La Bucci definisce processo o attività referenziale tale complessa connessione bidirezionale dalle emozioni alle parole e viceversa, ed ha anche elaborato strumenti di assessment dell'Attività Referenziale. L'attività referenziale non è una semplice trasformazione lineare dell'emozione da una modalità all'altra ma la connessione di componenti separate di uno schema emotivo che consentono di trasformarne il significato. L'alexithymia è, nel modello della MCT, un deficit delle connessioni referenziali fra le tre modalità di elaborazione degli input.
Nell'alexithymia. le emozioni (modalità sub-simbolica non-verbale) risultano connesse ad immagini (modalità simbolica non-verbale) e parole (modalità simbolica verbale) solo debolmente o per nulla. Esse sono quindi vissute come sensazioni somatiche scarsamente differenziate (con prevalenti manifestazioni fisiche della sintomatologia associata) o impulsi all'azione (con prevalenti manifestazioni psicopatologiche nella sintomatologia associata). In particolare, secondo l'ipotesi di Bermond (1997), quando le connessioni non sono formate per deficit si ha l'alexithymia di tipo I (scarsa consapevolezza ed espressione degli affetti) mentre quando vengono interrotte o disturbate per un processo traumatico, come ad esempio nel PTSD o nelle sindromi dissociative, si ha l'alexithymia di tipo II (normale consapevolezza ma scarsa espressione degli affetti).

10. Alexithymia e modello cognitivo-evolutivo di Lane e Schwartz

Un'altra ipotesi teorica di risposta alla domanda di base dell'alexithymia è costituita dal modello cognitivo-evolutivo di Lane e Schwartz (1987). Si tratta di un modello di sviluppo dell'elaborazione cognitiva e della consapevolezza delle informazioni provenienti sia dal mondo esterno che dal mondo interno e che prevede 5 livelli di evolutivi di organizzazione:
1) riflessivo sensomotorio: le emozioni vengono inizialmente percepite solo come sensazioni corporee ma sono visibili dall'esterno grazie alle espressioni facciali,
2) recitativo sensomotorio: le emozioni vengono successivamente vissute sia come sensazione corporea che come tendenza all'azione,
3) preoperazionale: in seguito le emozioni vengono vissute non solo somaticamente ma anche psicologicamente, ma sono unidimensionali ed i descrittori verbali usati per esse sono stereotipati,
4) operazionale concreto: viene abbozzata una consapevolezza rudimentale di un insieme misto di emozioni ed il soggetto è parzialmente in grado di descrivere stati emotivi complessi e differenziati come parti delle proprie esperienze soggettive,
5) operazionale formale: piena consapevolezza dell'insieme complesso di emozioni, capacità di operare distinzioni più raffinate fra varie sfumature emotive e di comprendere l'esperienza emozionale complessa negli altri. L'alexithymia potrebbe costituire un arresto evolutivo nella fase di passaggio di tipo pre-operazionale, ossia in quella fase dello sviluppo psicologico in cui la consapevolezza degli affetti non è sfumata ed articolata ma assume le emozioni in modo unidimensionale con caratteristiche esperienziali rigide e dicotomizzate.

11. Alexithymia e disregolazione affettiva

Elaborata all'interno di una cornice teorica unitaria come quella fornita dal modello evolutivo di Lane e Schwartz o dal modello cognitivo-affettivo di Wilma Bucci, l'alexithymia viene oggi concepita come una dimensione di personalità di predisposizione ai disturbi della regolazione affettiva.

Il concetto di regolazione affettiva non indica semplicemente il controllo delle emozioni ma la capacità di tollerare affetti negativi (noia, vuoto, perdita, angoscia, depressione, irritabilità, rabbia) intensi e/o prolungati bilanciandoli con affetti di tono positivo in modo autonomo, ossia senza ricorrere ad oggetti esterni o acting comportamentali (desideri suicidi, automutilazioni, uso di sostanze, somatizzazione, disturbi dell'alimentazione, disorganizzazione comportamentale, ecc). Implica quindi l'attivazione di vari sistemi reciprocamente interconnessi di elaborazione della risposta affettiva, nelle sue componenti biologiche (neuro-fisiologiche e motorie) e psicologiche (vissuti ed elaborazioni cognitive). Riguarda, inoltre, una dimensione intersoggettiva poiché le relazioni con gli altri forniscono una regolazione interpersonale degli affetti in senso positivo (ad es. induzione di calma e rilassamento) o negativo (perdita, aggressività, tensione).

I disturbi della regolazione affettiva si riferiscono quindi a tutte quelle condizioni cliniche in cui l'individuo non è in grado di utilizzare gli affetti come sistemi motivazionali e di informazione in relazione ai propri stati emotivi ed al rapporto con gli altri.

12. Prevalenza dell'alexithymia nella clinica

Dalla letteratura emergono due tipi di verifica per l'ipotesi che lega il costrutto di alexithymia a quello di disregolazione affettiva. Il primo proviene dagli studi di prevalenza. Dai dati pubblicati fino ad oggi con le scale di Toronto, è evidente che ci sono due gruppi di patologie in cui l'alexithymia è maggiormente prevalente. Tagliando il grafico dei tassi di prevalenza al 40% di frequenza di alessitimici positivi, emergono nettamente due gruppi. Al di sotto del 40% ci sono disturbi nevrotici (fobici, ossessivo-compulsivi e sessuali) e psicosomatici classici (disturbi cardiovascolari, binge eating, artrite reumatoide, colite ulcerosa e neurodermatiti). Al di sopra troviamo invece disturbi psichiatrici (depressione maggiore, tentativo di suicidio, abuso sessuale, PTSD, disturbi del comportamento alimentare, disturbi dissociativi e di panico) e somatici (cancro della cervice uterina, dolore cronico, ipertensione, utilizzatori frequenti di servizi medici e disturbi funzionali gastrointestinali), ossia disturbi nosologicamente multipli ma accomunati dalla difficoltà individuale di regolare gli affetti mediante strutture cognitive o funzioni di mentalizzazione.

13. Alexithymia e studi di brain imaging

Il secondo tipo di verifica è dato da studi di neuroimaging. Ad oggi sono state avanzate 3 ipotesi neurobiologiche esplicative dell'alexithymia, tutte coerenti con il modello della disregolazione degli affetti poiché coinvolgono le medesime aree e funzioni cerebrali implicate nella regolazione delle emozioni. Le prime due ipotesi riguardano la specializzazione emisferica, la seconda le relazioni tra aree corticali.
Secondo la prima ipotesi, l'alexithymia è dovuta ad un deficit di integrazione della comunicazione inter-emisferica. Nella seconda ipotesi, strettamente connessa alla prima, l'alexithymia è dovuta ad una disfunzione dell'emisfero destro. Gli studi che hanno esaminato questi aspetti hanno utilizzato stimoli come la localizzazione tattile delle dita, i movimenti oculari laterali coniugati e il riconoscimento di stimoli emotivi. Gli studi hanno dimostrato che, rispetto ai controlli, i soggetti alessitimici:
- hanno ottenuto punteggi più bassi di localizzazione delle dita mediante l'altra mano (Zeitlin et al, 1989; Parker et al, 1999),
- maggiore movimenti oculari coniugati verso destra (Parker et al, 1992),
- punteggio più basso di riconoscimento delle emozioni facciali (Parker et al, 1993; Lane et al, 1996).
Secondo la terza ipotesi, il problema non riguarda la specializzazione emisferica ma la disregolazione della corteccia prefrontale e delle regioni delle aree anteriori (in primo luogo, la corteccia anteriore del cingolo) nel corso della valutazione degli stimoli emozionali. Alcuni studi hanno evidenziato che, rispetto ai controlli, i soggetti alessitimici hanno:
- una ridotta attività della corteccia cingolata anteriore valutata con la PET quando esposti a film con sequenze connotate emotivamente (Lane et al, 1998),
- una ridotta attività delle regioni cerebrali anteriori e medio-frontali valutati con la fMRI quando esposti ad immagini connotate emotivamente (Berthoz et al, 2002),
- una ridotta attività della corteccia medio-frontale dell'emisfero destro mediante l'analisi del flusso ematico cerebrale (rCBF) (Kano et al, 2003),
- una disregolazione delle regioni corticali anteriori nelle primissime fasi dell'elaborazione degli stimoli emotivi (studio della sincronizzazione delle onde theta con EEG) (Aftanas et al, 2003).
A seguito di queste ricerche, Lane e collaboratori (1997) hanno definito l'alexithymia come l'equivalente emozionale della cecità cerebrale (blindfeel model).
Bisogna naturalmente esprimere molta cautela nell'interpretare i risultati di brain imaging poiché a) sono studi di laboratorio e non in vivo, b) riguardano per la maggior parte soggetti volontari sani, c) sono studi di associazione che non dicono nulla né sulla natura delle associazioni né sulla direzione causale dell'associazione.

14. Lo stato dell'arte sull'alexithymia
In conclusione, lo stato dell'arte sull'alexithymia può essere riassunto nei seguenti termini:

1. Vulnerabilità aspecifica.
Contrariamente a quanto si pensava inizialmente (ed a quanto molti continuano a pensare ancora oggi), l'alexithymia non è una categoria psicopatologica associata specificamente alle malattie psicosomatiche ma una dimensione di personalità che predispone aspecificamente a disturbi somatici e psichici della regolazione affettiva.

2. Dimensione di personalità della disregolazione affettiva.

L'alexithymia è quindi ritenuta un costrutto che abbraccia più sindromi classificate in modo discreto dal DSM-IV nell'Asse I e nell'Asse II. Tali sindromi hanno sintomatologie diverse (e pertanto vengono rubricate sotto etichette diagnostiche diverse dal sistema classificatorio categoriale e basato sui sintomi del DSM-IV) ma la base comune nel deficit individuale di abilità nell'auto-regolazione degli affetti (dai disturbi somatoformi a quelli ansioso-depressivi a quelli del comportamento alimentare all'abuso di sostanze alle patologie funzionali con medically unexplained symptoms). Tale ipotesi consente di spiegare la frequente sovrapposizione diagnostica fra disturbi differenti (che viene invece concepita tradizionalmente come comorbilità).

3. Deficit dello sviluppo del sé.
Coerentemente con le moderne teorie delle emozioni, l'alexithymia viene concepita come un arresto dello sviluppo che compromette l'uso delle funzioni di mentalizzazione per auto-regolare le dinamiche affettive. Tale aspetto evolutivo consente di spiegare la similitudine con altri costrutti psicologici come la funzione riflessiva, l'intelligenza emotiva e i disturbi dell'attaccamento.

4. Correlati neurobiologici.
Studi recenti che si avvalgono delle moderne tecnologie di brain imaging hanno consentito di avanzare interessanti ipotesi sull'alexithymia. Soggetti alessitimici hanno evidenziato sia un problema di connessione inter-emisferica (e probabilmente iper-attività dell'emisfero destro) che la disregolazione delle aree prefrontali ed anteriori, soprattutto a carico della corteccia anteriore del cingolo. Si tratta di studi pionieristici, difficili da implementare e interpretare, e sono soprattutto studi di associazione. La strada lungo questa direzione di ricerca è ancora tutta aperta ed estremamente interessante, considerate le connessioni fra funzionamento cerebrale e sistema immunitario e disturbi dell'umore.
5. Necessità di una valutazione multi-metodo dell'alexithymia.

I risultati maggiori sull'alexithymia sono stati ottenuti in tutto il mondo con le scale di Toronto, considerate gold standard del settore. Tuttavia ci sono numerosi problemi concettuali e metodologici nell'uso delle scale self-report di Toronto e vari gruppi di ricerca (compreso quello di Taylor e Bagby) sono al lavoro per elaborare nuovi strumenti di misura, principalmente scale di etero-valutazione. Sicuramente ci saranno molte novità su questo versante nel prossimo futuro. 6. Trattamento dell'alexithymia.
E' la grande incognita. Non si sa se e come si possono trattare i pazienti alessitimici. Fino ad oggi vi sono esperienze e casi clinici sparsi da cui emerge che trattare un paziente alessitimico, indipendentemente dalla sintomatologia, è un compito molto arduo sia per la scarsa capacità di elaborazione mentale che per i sentimenti contro-transferali di noia indotti nel terapeuta. Non vi sono studi controllati però sul trattamento. L'unico studio pubblicato è di un'autrice lituana ed ha mostrato gli effetti positivi della psicoterapia di gruppo in alcuni pazienti post-infartuati (Beresnevaite, 2000).


Rispondi

Da: Victoria666  18/03/2019 11:50:37
Importante

Ai quiz tfa quando troverete questi autori.
Alla domanda le emozioni non esternare cosa comportano....si risponderà scolarizzazione.
Rispondi

Da: Pescara70  18/03/2019 11:57:33
Ciao victoria, le dispense sono utilissime, volevo chiederti sono più per la primaria o secondaria? Perché sul manuale molti argomenti non ci sono, ad es. L'alexitimia...
Rispondi

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Da: Victoria666  18/03/2019 11:58:08
Ops si risponderà
Somatizzazione
Rispondi

Da: Victoria666  18/03/2019 11:59:23
Io li studio per entrambi....come programma generale ...almeno questo.il bando dice
Rispondi

Da: Victoria666  18/03/2019 12:03:00
Mica dobbiamo pompare a memoria....ma avere conoscenza per sapere come rispondere ai quiz ....la lettura anche ripetuta al momento opportuno emerge e ricordi su cosa rispondere.
Almeno io sono fatta così....più.leggi acquisisco e più sai
..
Rispondi

Da: Victoria666  18/03/2019 12:06:58
Esempio
Quante volte ad un esame...
Ti pongono una domanda che tu avevi solo letta...e non memorizzato..
In quel momento se l'hai letta ...rispondi ancor meglio di una domanda che avevi memorizzato.
Lo stimolo di quel momento fa di che la tua mente vada a spulciare anche il ricordo più segreto....e con il linguaggio lo esprimi.
Ripeto lo dico io eh....
Rispondi

Da: Victoria666  18/03/2019 12:18:25
Importante

Distinguere la somatizzazione dalla conversione ...ho tratto la conclusione che la conversione e' una scolarizzazione che si verifica con sintomi fisici....es la paralisi di un braccio....
La somatizzazione invece con sintomi invece psichici o ansia...nevrosi...





Disturbo da conversione
(disturbo da sintomi neurologici funzionali)


Nel disturbo da conversione, insorgono sintomi fisici simili a quelli di una patologia del sistema nervoso. I sintomi sono spesso scatenati da fattori mentali, come conflitti o altri stress.

È possibile che sopraggiunga la paralisi di un braccio o una gamba oppure che il soggetto perda il senso del tatto, della vista o dell'udito.

Per assicurarsi che i sintomi non siano dovuti a una patologia fisica si effettuano solitamente molti esami e valutazioni mediche.

La rassicurazione e il sostegno da parte di un medico di fiducia possono aiutare il soggetto, così come l'ipnosi e la terapia cognitivo-comportamentale.

Il disturbo da conversione è una forma di somatizzazione, in cui i fattori mentali vengono espressi come sintomi fisici.

Si ritiene che il disturbo da conversione sia causato da fattori mentali, come lo stress e il conflitto, che il soggetto vive come (converte in) sintomi fisici.

Sebbene il disturbo da conversione tenda a manifestarsi durante l'adolescenza o la prima età adulta, può comparire a qualsiasi età. Inoltre, sembra essere più comune tra le donne.


Rispondi

Da: Victoria666  18/03/2019 12:42:46
Poi che gli autori citati in particolare goleman considerano importante la relazione empatica fra docenti ed alunni..

Credo sia opportuno capire in cosa consiste una

Relazione educativa fra docente ed alunno
Fondata su di una relazione empatica.

Empatia ...arte del saper ascoltare senza giudicare.

Il dialogo pedagogico in classe
Sulle tracce degli stili di apprendimento



La più recente ricerca psicopedagogica ha preso in esame le variabili affettive, psicologiche, cognitive, motivazionali e socio-culturali che influiscono nel processo d'apprendimento. Generalmente i docenti sono portati ad attribuire le difficoltà nello studio a fattori esterni al soggetto (complessità dei concetti presentati, testi scolastici troppo elaborati e diffi­ cili, deprivazione culturale dell'ambiente socio-familiare dell'alunno, scar­ so interesse da parte della famiglia nei confronti delle attività svolte a scuola) o a cause di tipo non cognitivo (scarso impegno dell'alunno nello studio, demotivazione, difficoltà di attenzione e concentrazione, codice linguistico ristretto).

Accanto a questi fattori, sicuramente rilevanti, ce ne sono però altri che spostano l'attenzione sugli aspetti prettamente mentali del soggetto in apprendimento. Al riguardo la didattica metacognitiva conta un'ampia produzione scientifica (Ashman e Conway, 1991; Cornoldi, 1993; 1995; 1998; Albanese et al., 1995; La Marca , 1999).

All'interno di questo interessante filone di ricerca si colloca una pratica pedagogica elaborate da Antoine de La Garanderie , già direttore della ricerca psicopedagogia presso l'Università di Lione II. Gli studi condotti dallo studioso transalpino hanno dato vita alla teoria della "Gestione Mentale" che si pone come alternativa all'insegnamento tradizionale (Sacchelli 2001). Questa metodica metacognitiva non è ancora sufficientemente conosciuta in Italia anche se in Francia è molto diffusa ed è applicata in molte scuole di ogni ordine e grado per prevenire o rimuovere le difficoltà di apprendimento.

La Gestione Mentale analizza i processi mentali implicati nello studio spostando l'interesse dai contenuti programmatici al soggetto che diventa protagonista attivo e consapevole del proprio sapere. Alla sua base vi è la concezione di una scuola intesa come luogo di "narrazione" e di sinceri rapporti interpersonali diretti a comprendere l'altro da noi in un clima sociale coinvolgente e in grado di accogliere il cambiamento didattico ed il rinno­ vamento metodologico (Meazzini, Bellinazzi e De Nardi, 1996).

Un punto fondamentale nella prassi della Gestione Mentale è rappresentato dal dialogo pedagogico utilizzato dall'insegnante per condurre l'alunno alla presa di coscienza delle proprie modalità di apprendimento (de La Garanderie , 1984).

Il dialogo pedagogico consente al soggetto di operare "un'introspezione regressiva", cioè un'analisi mentale rivolta al compito affrontato per far emergere alla coscienza le procedure cognitive utilizzate nello studio. Al riguardo Bruner sostiene: «Molti dei presupposti taciti che guidano le transazioni intersoggettive appaiono sorprendentemente difficili da correggere, e anche sorprendentemente inaccessibili alla riflessione cosciente. Questo però non implica che siano basati su adattamenti biologici fortemente predeterminati o innati. E' risaputo infatti che i presupposti culturali acquisiti precocemente diventano automatici e inaccessibili alla riflessione e all'introspezione. [...1 Sviluppiamo perfino delle idee convenzionali sulla natura dei nostri stati mentali e sul modo in cui vengono recepiti dagli altri. Diamo per scontato, ad esempio, che pensare richieda uno sforzo e che quindi chi non mostra segni di sforzo non stia pensando» (Bruner, 1997, p. 119).

Occuparsi scientificamente della presa di coscienza significa far rientrare questo settore di studi nell'ambito dell'epistemologia che si estende così anche alle facoltà mentali dell'uomo (de La Garanderie, 1991). Piaget aveva spesso denunciato come illusorio il tentativo di distinguere il momento dell'azione del soggetto da quello della sua presa di coscienza: «Il soggetto conosce se stesso veramente male, giacché per spiegare le proprie operazioni e anche per scorgere l'esistenza delle strutture che esse comportano, gli occorrerebbe ricostruire tutto un passato di cui non ha mai preso coscienza neanche nei momenti in cui viveva le tappe: malgrado tutto ciò che ha scoperto Freud dell'inconscio affettivo, il passato intellettuale di un individuo gli è ancora più sconosciuto del suo passato sentimentale, poiché le strutture del primo sono da cercare in una coordinazione delle azioni che sfugge nel suo meccanismo ad ogni visione diretta» (Piaget, 1967, p. 120).

Per de La Garanderie , invece, è possibile pervenire ad una consapevolezza delle proprie azioni mentali perché esse si trovano nella parte immediata­ mente sottostante la coscienza, ossia nel preconscio. Se infatti trovassero posto nella profondità dell'Io sarebbe probabilmente molto più difficile recuperarle, così come la psicoanalisi ha messo in evidenza a proposito delle fobie o dei traumi non rimossi. Attraverso "l'introspezione pedagogica", l'individuo evita il rischio di adottare procedure cognitive meccaniche e modalità mentali poco funzionali all'apprendimento. Infatti una persona tende a privilegiare in modo automatico gli stessi percorsi mentali senza avere la capacità di analizzare le cause degli errori compiuti e dei propri insuccessi scolastici.

Il dialogo pedagogico viene proposto da de La Garanderie secondo la procedura dell'ascolto attivo, già utilizzato in ambito psicoterapeutico da Carl Rogers (1970).

Secondo l'impostazione rogersiana,

il docente deve stabilire all'interno della classe un clima di comprensione partecipata ed essere in grado di riformulare i problemi emersi nella discussione finché il gruppo non ne prenda consapevolezza e li affronti in modo adeguato. Deve inoltre creare un rapporto "empatico" tra i soggetti senza tuttavia far percepire i suoi sentimenti come giudizi di valore. Questi principi sono, in buona parte, validi anche nella comunicazione assertiva (Meazzini, 1998-1999; 2000).

La modalità dialogica rogersiana è stata ripresa da Thomas Gordon in una più ampia azione di prevenzione e di recupero in ambito sociale e scolastico. Questo studioso ha infatti applicato l'ascolto attivo per rimuovere le incom­prensioni e i conflitti fra i membri della comunità scolastica e familiare.

«Questa filosofia si esprime in una pedagogia che considera l'educazione come un processo essenzialmente autogestito. L'alunno si apre all'intera­ zione con gli insegnanti e i compagni tanto più quanto sente garantita e rispettata la sua personale modalità di crescita e autorealizzazione [...].

La condizione educativa ideale è allora quella in cui rispetto, empatia e congruenza facilitano il conseguimento di quel livello di autoconsapevolez­za che permette all'alunno di cogliere dall'interno il suo processo formativo e di sintonizzarsi su di esso per tendere in modo efficace verso l' autorealiz­ zazione» (Gordon, 1991, p. 11).



Alcuni aspetti dell'ascolto attivo

sono utilizzati anche nella conversazione clinica elaborata da Piaget per indagare le strategie di pensiero ed attualmente applicata, con alcune modifiche, dai cultori della didattica per concetti all'interno del gruppo-classe per evidenziare le conoscenze pregresse possedute dagli alunni in riferimento a specifici argomenti di studio. La conversazione, detta anche intervista o colloquio clinico, consente al docente di redigere la "matrice cognitiva" della classe in riferimento all'argomento esaminato (Sacchelli, 1996).

Questa "mappatura" permette all'insegnante di rendersi conto dei concetti spontanei degli alunni e di impostare conseguentemente un'azione didattica mirata a promuovere una concettualizzazione corretta delle conoscenze scientifiche. In questa accezione la conversazione clinica ha prevalentemente una finalità di indagine concettuale.

Spetta però ad un cibernetico puro, Gordon Pask, il merito di aver indicato per primo un nuovo e più rispondente rapporto fra l'insegnamento e l'apprendimento. Pask, dotato di una geniale intuizione psicopedagogica, fin dagli anni Sessanta ha colto l'impossibilità di una distinzione netta tra chi insegna e chi apprende. Secondo la sua tesi chi vuole insegnare deve essere disposto ad apprendere dalla persona che gli è di fronte e questo è possibile se tra l'educatore e l'educando si stabilisce una comunicazione convergente ed attiva che favorisce la loro comprensione (Pask, 1975; 1976a; 1976b).

Per Pask,

infatti, esistono due categorie di individui: gli "stringer" e i "lumper". Essi utilizzano due strategie di apprendimento diverse: gli strin­ ger scompongono un problema in piccole parti e proce



dono in modo lineare e progressivo verso la risoluzione; i lumper, invece, preferiscono elaborare collegamenti fra i dati, fare congetture ed ipotesi, effettuare analogie e similitudini anche attraverso transfer cognitivi fino a quando l'intuizione risolutiva balza improvvisamente alla loro mente. Questi due tipi di soggetti, che potremmo definire rispettivamente anche con il termine di "seriali" ed "olistici", trovano difficoltà di comprensione quando l'insegnante spiega la lezione secondo modalità e procedure metodologiche non a loro congeniali (Berlini e Canevaro, 1996).

«La scuola, in questo senso, non è cambiata molto da quando noi sedevamo sui banchi: o un bambino regola il proprio modo di apprendere alla strategia che utilizza l'insegnante e a quella più adatta all'argomento stesso, o rischia di non apprendere» (Perticari, 1996, p. 300).

Il docente quindi non favorisce la comprensione dell'argomento quando utilizza un procedimento non conforme alle modalità di elaborazione mentale dell'alunno. Tra chi spiega e chi apprende si interpone una specie di barriera invisibile che pone i soggetti su piani di trasmissione e di ricezione differenti con un risultato di incomunicabilità e di incompren­ sione.

La figura 1 riassume le modalità di utilizzo del dialogo attivo in ambito scientifico

Figura 1







Le caratteristiche del dialogo pedagogico

Anche de La Garanderie applica i principi dell'ascolto attivo, ma non in senso psicoterapeutico o concettuale, bensì pedagogico. Con il dialogo l'insegnante si propone di indagare le modalità con cui gli alunni elaborano le conoscenze semplici e complesse in riferimento ad un argomento di studio o ad uno specifico interesse extrascolastico. Infatti vi sono studenti che incontrano difficoltà nell'analisi dei percorsi mentali utilizzati nell'appren­ dimento (evocazione di nozioni, di parole, di numeri, di concetti, ecc.), ma non hanno alcun problema se devono ricordare la formazione della squadra di calcio preferita, la trama dell'ultimo film visto o le regole dello sport normalmente praticato. In genere tutti i discenti mostrano di avere almeno un interesse in qualche settore della vita sociale, sta all'insegnante indivi­ duarlo ed attivare intorno ad esso il dialogo pedagogico sottolineando in modo pacato e sereno che non ci sono risposte corrette e sbagliate, ma soltanto modi diversi di interpretare la realtà.

Le spiegazioni fornite dall'alunno durante il dialogo devono essere incalzate dall'insegnante con "domande di specificazione" per far emergere completamente le procedure mentali utilizzate (ad esempio: «In che modo pensi a questa cosa? Quando ti capita di ricorrere a questo procedimento?»). Al termine della risposta, l'insegnante riformula le spiegazioni fornite dal discente secondo il principio del "rispecchiamento" per essere certo di aver compreso bene tutti i passaggi mentali investigati (Lumbelli, 1982).

La cosa essenziale è che il docente non anticipi la risposta e non aiuti l'alunno durante la fase dell'esposizione anche se questi incontra difficoltà nella comunicazione. Infatti il suggerimento o l'anticipazione della risposta rischierebbe di disorientare l'intervistato vanificando, in ultima analisi, la validità complessiva del dialogo. Sarebbe consigliabile che l'intervista venisse registrata o verbalizzata da un secondo insegnante per poterne trarre, anche a posteriori, tutte le informazioni utili alla stesura del profilo pedago­ gico dell'alunno. Il dialogo, registrato o trascritto, dovrebbe anche riportare la data, il nome e l'età del soggetto esaminato per arricchirne la documen­ tazione personale.

Al riguardo Petter sostiene che «è essenziale che la registrazione sia completa e molto precisa; solo a queste condizioni essa risulterà davvero utile al momento dell'analisi complessiva dei risultati. Per questo è importante che chi guida la prova parli lentamente, introducendo delle pause. [...] Chi si trova a condurre la prova da solo (e senza registratore) può prendere degli appunti schematici e integrarli per iscritto subito dopo la conclusione dell'incontro, evitando di rinviare questa integrazione al termi­ne di una serie di incontri» (Petter, 1996, p. 33).

Generalmente gli alunni mostrano interesse e motivata partecipazione al dialogo pedagogico perché questa attività, esulando dai tradizionali schemi scolastici, valorizza il soggetto come persona. Per maggiore chiarezza appare utile sintetizzare, in ordine alfabetico, le caratteristiche e le funzioni principali del dialogo pedagogico.

Aiutare l'autoanalisi.
La guida del docente serve ad aiutare l'alunno nell'autoanalisi e nella comprensione delle proprie idee, dei concetti elabo­rati e delle procedure mentali attivate, altrimenti destinate a restare sotto la soglia della consapevolezza.

Astinenza.
Il termine, mutuato dalla psicoanalisi, sta ad indicare, durante il dialogo pedagogico, il ruolo neutrale dell'insegnante che deve astenersi dal fornire suggerimenti o indicazioni. Resistere alla tentazione dell'inter­pretazionismo immediato può essere difficile, ma appare un'operazione necessaria per la corretta conduzione del dialogo pedagogico in classe.

Attesa paziente.

Il dialogo pedagogico deve snodarsi in modo calmo senza fretta perché, come sosteneva Rousseau, «in educazione occorre perdere tempo per guadagnarlo». L'insegnante deve saper attendere, evitando comportamenti egocentrici ed affrettati che ostacolano la relazione e la comunicazione con l'alunno. La capacità di saper rimandare il giudizio, di rimanere in attesa di esplicazioni e di informazioni più dettagliate, è condizione indispensabile per cogliere le dinamiche mentali e contempora­ neamente imparare dagli altri.

Avalutabilità immediata .

E forse la regola più importante, ma anche la più difficile da rispettare perché impone al docente di modificare completamen­te il suo corrente sistema valutativo, astenendosi da confronti e valutazioni. Si tratta infatti di assumere un atteggiamento rispettoso delle diverse procedure mentali degli alunni. Molti soggetti si aprono ad una rivelazione di sé soltanto dopo aver ricevuto dall'ambiente circostante rassicuranti segnali di accettazione. In questa diversa veste il docente assolve alla sua più genuina funzione di educatore che sa far emergere le modalità espressive di ciascun alunno valorizzandone le attitudini e le modalità cognitive.

Baby-talk .

Consiste nell'adottare un linguaggio semplice ma non infantile e banale. La comunicazione deve avvenire con toni calmi e rilassanti, con frequenti ridondanze e riformulazioni. Questo tipo di linguaggio "metacomu­ nica" disponibilità, serenità, sicurezza ed incoraggiamento da parte dell'in­segnante.

Conoscenza degli scopi. È importante che gli alunni siano resi consapevoli delle finalità del dialogo pedagogico e degli obiettivi che l'insegnante si prefigge di raggiungere attraverso di esso. Generalmente i soggetti intavolano volentieri una discussione in classe perché parlano dei problemi e del loro modo di essere e di pensare.



LEZIONE TRADIZIONALE

GESTIONE MENTALE:

DIALOGO PEDAGOGICO

L'insegnante:

L'insegnante:

- guida (dirige, orienta, decide, stabilisce);

- guida e si fa guidare;

- si occupa dei contenuti disciplinari;

- si occupa degli stili d'apprendimento

- si occupa della dimensione reale;

degli alunni su cui impostare l'azione

didattica;

- si occupa della dimensione reale e

- agisce e reagisce;

immaginifica;

- propone, accetta, aiuta a pensare,

- vede scolari;

facilita;

- vede persone;

- è responsabile del percorso didattico;

- è corresponsabile del percorso didattico;

- interroga, richiama, sollecita, parla,

- ascolta, pensa, rispecchia, propone,

spiega;

condivide;

- guida il gruppo classe;

- serve il gruppo classe;

- è concentrato sul compito;

- è centrato su di sé, sugli interlocutori e

- persegue obiettivi didattici in relazione

sul compito;

- persegue obiettivi formativi in relazione

ai contenuti disciplinari;

agli alunni;

- programma in modo uniforme i conte-

- programma in modo flessibile tenendo

nuti;

conto degli stili d'apprendimento degli

- verifica per valutare conoscenze e

alunni;

- verifica l'acquisizione di abilità mentali

abilità disciplinari.

per programmare specifici percorsi di



recupero o di sviluppo.



Durante lo svolgimento del dialogo, l'atmosfera si arricchisce di componenti affettive a forte valenza relazionale che induco­ no gli alunni ad aprirsi ad un fecondo rapporto con l'insegnante. La caratteristica dinamica del dialogo pedagogico consente di superare i limiti delle tradizionali metodologie di indagine che richiedono al soggetto presta­ zioni statiche per la definizione dei concetti e che non sono in grado di fornire uno screening profondo dei processi logici attivati nella conoscenza.

Dare corpo alle immagini e alle fantasie.

Col dialogo pedagogico l'inse­ gnante non verifica se l'allievo ha studiato o sa ripetere l'ultima lezione svolta in classe, ma misura il livello delle operazioni logiche semplici e di quelle complesse relative alla creatività, alla fantasia, all'attività generativa della mente e alla produzione metaforica ed allusiva.

Questo momento "fantasmagorico" viene frequentemente trascurato o ignorato dall'insegnamento tradizionale che privilegia il "logos" ed il "cogito".

Discrezione.

Significa non deridere né giudicare l'alunno ed è un aspetto importante nella costruzione del rapporto di fiducia tra l'adulto ed il minore.

Facilitare la riflessione e l'espressione.

L'insegnante dovrebbe aiutare i soggetti più timidi ed impacciati nell'analisi introspettiva e incoraggiarli direttamente (ad esempio: «So che non mi deluderai perché sei molto bravo quando ti impegni...» oppure «Sono contento di te quando ti sforzi di farmi capire...») e indirettamente (ad esempio guardare con aria interessata, sorridere in termini di incoraggiamento e fiducia, mostrarsi attenti e parte­ cipi a quello che dice l'allievo).

Fornire stimoli.

Il docente stimola gli alunni ad esplicitare le loro modalità di elaborare la conoscenza.

Rispecchiamento.

L'insegnante riformula con parole proprie i procedi­ menti mentali espressi dall'alunno (ad esempio: «Mi sembra di capire che tu...» oppure «Non so se ho capito bene, ma tu affermi che...»). Questa funzione aiuta il soggetto intervistato a pensare il suo pensiero e a cogliere il processo cognitivo "in fieri".

Lo schema riportato nella tabella 1 riassume, in una sintesi comparativa, le principali caratteristiche della lezione frontale di tipo tradizionale e quelle del dialogo pedagogico nella Gestione Mentale.



Analisi di un caso

Si riporta il caso di Andrea, alunno simpatico ed estroverso di quarta elementare. I suoi interventi durante le lezioni sono frequentemente carat­terizzati da elementi fantastici, privi di senso o di una logica causale e comunque sempre poco pertinenti all'argomento trattato. Le prestazioni scolastiche di Andrea sono mediocri in tutte le discipline soprattutto in riferimento alla correttezza ortografica. Fin dalla prima elementare i suoi elaborati spontanei e sotto dettatura sono stati caratterizzati da numerosi errori ortografici, soprattutto nell'uso della C e della G, della V e della F e delle doppie. L'insegnante di lingua ha utilizzato molti espedienti tradizio­ nali per fargli acquisire un'adeguata correttezza ortografica: dettati indivi­ dualizzati sui digrammi e le doppie, giochi grafici di rinforzo specifico, schede di potenziamento ortografico, esercizi orali di spelling delle parole, giochi di affinamento acustico per discriminare parole con le doppie e senza. I risultati ottenuti nel corso di tre anni di scuola però sono stati molto scarsi, con forte delusione dell'insegnante di lingua e rinforzo negativo dell' autostima da parte dell'alunno. La madre di Andrea decide di farlo seguire privatamente da una giovane insegnante che ripropone al bambino gli stessi esercizi di rinforzo svolti a scuola. Dopo un paio di mesi i risultati sono a dir poco fallimentari. Nonostante gli innumerevoli esercizi svolti e l'impegno profuso, Andrea continua imperterrito a compiere moltissimi errori ortografici. Gli interventi non sono riusciti a scalfire minimamente la sua gravissima disortografia. Gli insegnanti di modulo decidono allora di sottoporre Andrea al dialogo pedagogico per evidenziare il suo stile di apprendimento al fine di agire non più sugli effetti del problema, ma sulle cause che lo provocano.

Insegnante - Andrea, che cosa ti piace fare nel tempo libero? Andrea - Prima faccio i compiti e poi gioco...

Insegnante - Volevo dire se c'è un'attività che ti piace fare più delle altre.

Andrea - Fare i compiti... (breve pausa) mi piace studiare astronomia.

Insegnante - Ti piace l'astronomia?

Andrea - Sì. Mi piace studiare l'astronomia, la storia, le scienze... Soprattutto la Terra e la geografia...

Insegnante - Tra queste materie qual è quella che preferisci? Andrea - Quando si parla dei pianeti, della Terra, del Sole... Insegnante - Quindi l'astronomia è proprio una tua passione! Andrea - Sì.

Insegnante - In che modo ti occupi di astronomia? Cosa fai?

Andrea - Faccio delle ricerche, leggo i libri, ho scritto anche delle cose sul sole.

Insegnante - Hai scritto delle cose sul sole?

Andrea - Sì. Ho scritto che il sole è come una bomba atomica, quando c'è

molto caldo scoppia, ci sono come delle esplosioni.

Insegnante - Come sei venuto a conoscenza delle esplosioni solari? Andrea - Le ho lette sul libro e alcune cose me le ha dette anche mia

mamma per fare la ricerca.

Insegnante - Te le ha spiegate la mamma e tu le hai scritte sul quaderno? Andrea - Sì.

Insegnante - Quindi hai studiato che sul sole avvengono come delle esplosioni fortissime...

Andrea - Sì c'è un gas che non mi ricordo come si chiama che poi si trasforma in elio e brucia...

Insegnante - Beh sei proprio bravo Andrea. Sai molte cose interessanti sul sole, ma come hai fatto a ricordare queste notizie?

Andrea - Leggendole e tenendole nella testa!

Insegnante - Ecco, mi spieghi come fai a tenerle nella testa? Andrea - Come le tengo?

Insegnante - Sì, in che modo le ricordi? Ti basta la spiegazione della mamma o riesci anche ad immaginarle?

È questa una delle sfide pedagogiche che attendono la scuola del terzo millennio per fronteggiare con maggior successo la piaga dell'abbandono

scolastico e le molteplici difficoltà di apprendimento che si manifestano con preoccupante aumento in tutti i paesi a forte tasso di sviluppo tecnologico ed economico .



Rispondi

Da: Victoria666  18/03/2019 12:57:40
Arriminaaaaaaaaa

Ma nell'altro forum che e' successo?
Chiedono scusa quando a me hanno detto che non dovevano chiedermi scusa alle offese?
Ironia della forte!
Ipocrisia e falsità non mi piacciono.

E poi che vergogna offendere un ministro.....hanno oltrepassato il limite della legalità!
Rispondi

Da: Arrimina   1  - 18/03/2019 13:34:05
Cara Victoria
Il forum da te fondato rappresenta un modello,
spero che tanti altri ne prendano esempio



Rispondi

Da: Victoria666  18/03/2019 13:40:06
Quando parleremo di rogers sappiamo già che egli studia la relazione educativa fra docente ed all'alliebo fondata appunto
All'ascolto attivo ed empatia!
Rispondi

Da: Victoria666  18/03/2019 13:42:09
Arrimina
Mi sento fi dover precisare una cosa nell'altro forum.
.se mi dici fi di lo faccio!

Risposta per chi si permette fi dire che arrimina d' un mio seguace@
In realtà la storia e' invertita....

Invidiosi!
Rispondi

Da: Victoria666   1  - 18/03/2019 13:58:45
Arriminaaaaaa
Ho bisogno del tuo consensoooooooo
Rispondi

Da: W l''inps 1  - 18/03/2019 14:32:23
Lasciate perdere il mondo della scuola...é un pastrocchio di regole che non danno alcuna certezza!
Ho perso anni appresso questo mondo mettendo a dura prova la mia pazienza.
Fortunatamente ho fatto il concorso inps 967 che credo abbia superato per voti e titoli.
É finito un calvario...perché la scuola é un calvario.
Tra poco inizia una nuova avventura , contratto indeterminato e un ottimo stipendio e chi si é visto si é visto.
Mollate questo mondo ! Spenderete inutilmente solo tempo e salute!
Rispondi

Da: avvocato penalista18/03/2019 14:57:26
Arrimina sei una grandissima delusione!
Rispondi

Da: Arrimina  18/03/2019 15:22:10
Victoria
PUOI dire qualsiasi cosa
Trovo i tuoi interventi sempre coerenti e misurati
@avvocato penalista
Mi dispiace detto da te
È da tempo che non intervieni
Spero che ritorni a tempo pieno
Rispondi

Da: Arrimina   1  - 18/03/2019 15:27:39
Oggi ti sei superata!!!!
Hai messo ko un intero forum!!!!
Il mio sostegno è incondizionato
Non ci fermeranno le critiche....

Rispondi

Da: Arrimina  18/03/2019 15:38:19
Banca dati
Hai fatto bene a ricordarlo.....

Rispondi

Da: Arrimina  18/03/2019 15:43:48
@w l'inps
Beato te
In bocca al lupoºººººº
Rispondi

Da: Pescara70  18/03/2019 15:49:20
W l'inps, victoria domani Rogers, mi sto appassionando, ciao Arrimina.
Rispondi

Da: avvocato penalista18/03/2019 15:59:27
Arrimina sei davvero una grandissima delusione.
Ti stai comportando come un coniglio, un vigliacco.
Hai già dimenticato i tempi in cui facevi gruppo con i vari Ultimo musetta dalia c23 contro i troll che infestavano il forum principale?
Ora che fai? Devi andare nel forum principale a metterci la faccia davanti a tutti non qui...sei un coniglio!
Sinceramente non mi aspettavo un cambiamento del genere!
Con il mio collega avvocato che tu tanto lodavi abbiamo letto e notato quanto sia facile voltare faccia a chi prima ti ha reso gratitudine.
Rispondi

Da: avvoca in 1  - 18/03/2019 16:05:43
Tutta sincerità devono andare a prendere una bella zappa e zappare dalla mattina alla sera!
Possono ambire solo a questo sta massa di scansafatiche!
Rispondi

Da: Victoria666   1  - 18/03/2019 16:18:54
Avvoca

Hai ragione....
Offendono fi la ministri...
Si difendono fra marito e moglie...
Scrivono in modo incomprensibile....
Ma Io so stanca di difendermi da sola....
Inutile far capire a chi non ha intelletto per capire!
Il marito che difende la moglie....
Il bello e' che sono della mia stessa regione...
Vorrei incontrarli....ma si faranno riconoscere?

Vergogna
Vergogna...
Pretendono scuse ma quando offendono non le sanno dare.


Pescara tu cosa pensi?
Io voglio parlare con gente che non ha paura di dire la sua....
Rispondi

Da: avvocato penalista18/03/2019 16:22:23
Victoria mi spiace ma stai sbagliando pure tu!e in maniera evidente tra l'altro
Rispondi

Da: Arrimina  18/03/2019 16:34:11
Avvocato


Non ho bisogno di giustificarmi
Chi mi vuole mi segua....
Rispondi

Da: Victoria666   1  - 18/03/2019 16:38:49
Dimmi in cosa sbaglio...
Forse a mischiati con sta gente...hai ragione.

Rispondi

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