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Segretario Comunale, COA IV, 260 posti (2008)
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Da: x................................... | 22/10/2010 11:03:32 |
Rendiconto alias conto consuntivo...............stesso istituto | |
Da: .... | 22/10/2010 12:02:43 |
ma le domande si pescano tutte e 3 in una sola volta e poi si parla...oppure una per volta? | |
Da: x .... | 22/10/2010 12:09:08 |
Una per volta. In realtà, comunque non peschi la domanda ma un numeretto che corrisponde ad una domanda che poi legge il presidente della commssione. Un altro pò di tempo passato a stare in ansia ... | |
Da: civis romanus contabilis | 22/10/2010 12:30:40 |
sui debiti fuori bilancio: guardatevi il caso dell'art. 194 lettera e), rileggendo il richiamato art. 191 commi 1, 2 e 3 si capisce bene come siano fuori bilancio anche quei debiti assunti su capitoli dove lo stanziamento c'era ma senza la sussistenza di un impegno registrato. il caso non è di scuola, pensate a un acquisto effettuato "sulla fiducia" del titolare del capitolo di spesa quando invece sarebbe stata necessaria una gara. | |
Da: da incubo | 22/10/2010 13:50:40 |
la storia del numeretto sono sicuro di svenire nell'attesa... | |
Da: è corretto | 22/10/2010 15:14:38 |
affermare che le plusvalenze derivanti da alienazioni possono essere utilizzate per finanziare spese per investimento in maniera analoga alla disciplina dell'avanzo di amministrazione? | |
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Da: x è corretto | 22/10/2010 15:50:11 |
veramente non molto; le plusvalenze derivanti da alienazioni dovrebbero andate, per il principio di invarianza patrimoniale, al Titolo IV, quindi sarebbero ordinariamente deputate ad essere iscritte nel titolo IV. La circostanza che esse siano in alcuni casi utilizzate per finanziamento dell'equilibrio di parte corrente è meramente eccezionale e riguarda comunque la sola plusvalenza, in base a dergohe previste ad hoc in finanziaria e che di anno in anno potrebbero anche mutare. L'avanzo di amministrazione è un concetto omnicomprensivo e pur essendo di natura straordinaria, non va accertato come invece le plusvalenze e tendenzialmente avviene l'inverso, ossia che l'avanzo di parte corrente venga usato per spese di investimento o per abbattere lo stock di debito. COAIII/COAIV | |
Da: preselezioni | 22/10/2010 15:50:29 |
ma dal 5 novembre si sanno le date delle preselezioni? grazie | |
Da: help sanzioni | 22/10/2010 15:53:37 |
un chiarimento prego... in caso di sanzione disciplinare ai sensi dell'art. 55 e ss del dlgs 165 è esclusa ogni azione di impugnativa davanti il giudice o la commissione del lavoro?? anche in caso di licenziamento, non si puo' impugnare??? io ho capito questo. aiutatemi. | |
Da: x corretto | 22/10/2010 15:57:25 |
Ecco la disciplina: 1) legge 24 dicembre 2003, n. 350 (finanziaria 2004), art. 3, comma 28: â28. Gli enti locali â hanno facoltà di utilizzare le entrate derivanti dal plusvalore realizzato con l'alienazione di beni patrimoniali, inclusi i beni immobili, per spese, aventi carattere non permanente, connesse alle finalità di cui all'articolo 187, comma 2, del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.â 2) legge 30 dicembre 2004, n. 311 (finanziaria 2005), art. 1, comma 66: â66. Gli enti locali â hanno facoltà di utilizzare le entrate derivanti dal plusvalore realizzato con l'alienazione di beni patrimoniali, inclusi i beni immobili, per il rimborso della quota di capitale delle rate di ammortamento dei mutui.â 3) nota del 7 aprile 2004 del Ragioniere Generale in merito alle entrate derivanti da plusvalenze, ai sensi dellâart. 3, comma 28, della legge n. 350 del 2003 ed in riferimento agli effetti di tali entrate sul calcolo degli obiettivi del patto di stabilità interno [2]: ââ Circa, poi, la determinazione dellâimporto delle plusvalenze, da considerare ai fini dellâarticolo 3, comma 28, della legge finanziaria 2004, questo deve risultare dalla differenza tra lâentrata derivante dalla cessione del bene patrimoniale e la spesa sostenuta al momento dellâacquisto, al netto degli ammortamenti contabilizzati secondo le modalità prevista dallâarticolo 167 del D.Lgs. n. 267 del 2000. Eâ necessario sottolineare che le quote accantonate per lâammortamento non partecipano al calcolo del valore delle plusvalenze nel caso in cui siano state considerate solo nel conto economico e non siano state soddisfatte le condizioni stabilite dal citato articolo 167 (iscrizione nel bilancio di previsione e confluenza dellâaccantonamento nellâavanzo di amministrazione). Infatti, lâarticolo 3, comma 28, della legge finanziaria 2004 per âentrate derivanti dal plusvalore realizzato con lâalienazione di beni patrimonialiâ fa riferimento ad una definizione finanziaria di plusvalenze, da intendersi come risorse finanziarie eccedenti quelle necessarie alla âricostituzioneâ del bene patrimoniale ceduto, da destinare al finanziamento di spese, aventi carattere non permanente, connesse alle finalità di cui allâarticolo 187, comma 2, del citato D.Lgs. n. 267 del 2000 concernente lâutilizzo dellâavanzo di amministrazione. Ad ulteriore conferma della natura finanziaria del concetto di plusvalore, si segnala che sotto il profilo economico non sarebbe stato necessario introdurre lâarticolo 3, comma 28, della legge finanziaria 2004, in quanto lâarticolo 229 del D.Lgs n. 267 del 2000 già considerava le plusvalenze patrimoniali tra i componenti positivi del conto economico. Solo nel caso in cui gli ammortamenti rifluiscono nel risultato di amministrazione di fine esercizio si accantonano effettivamente le risorse finanziarie necessarie alla ricostituzione del bene alienato, mentre lâiscrizione degli ammortamenti nel conto economico serve a calcolare, nei singoli esercizi, il costo annuale riferito a beni ad utilizzazione pluriennale.â. Come vedi, la seconda ipotesi è in parte simile all'avanzo di amministrazione, nel senso che dovrebbe essere usata per spese ccdd. una tantum onde evitare di ricorrere ad entrate straordinarie per coprire spese correnti, e questo vale anche per l'avanzo. Però la disciplina potrebbe cambiare di finanziaria in finanziaria e l'ente avrebbe qualche problema. | |
Da: preselezioni | 22/10/2010 16:02:21 |
qualcuno saprebbe darmi una dritta sulle preselezioni?grazie mille | |
Da: per preselezioni | 22/10/2010 16:37:13 |
Scusami ma...ti sembra il momento???????????? noi siamo a pochi giorni dall'orale ... ne parliamo dopo | |
Da: preselezioni | 22/10/2010 17:14:04 |
credevo fosse il forum adibito a tale concorso indipendentemente dallo status di alcuni partecipanti; ne prendo atto. adiòs e grazie mille!! | |
Da: x preselezioni | 22/10/2010 17:52:28 |
no non è il forum adibito devi andare su quello del coa v e rispetta lo "status di alcuni partecipanti" | |
Da: Avv. Muàdib (Leto Atreides...) | 22/10/2010 19:26:23 |
Sui debiti fuori bilancio avete ragione tutti :) Sia "civis romanus contabilis" in quanto la lettera e) dell'art. 194 Tuel prevede proprio un'ipotesi di illegittimità della gestione della spesa su somme che "astrattamente" sono previste in bilancio, sia chi sosteneva il contrario, cioè che le somme relative alla spesa "astrattamente" non sono state previste, vuoi per impossibilità di conoscerle (sentenze esecutive, procedure di occupazione di urgenza) vuoi per averle conosciute dopo l'approvazione del bilancio (disavanzi di consorzi, aziende speciali e isitituzioni). | |
Da: per tutti | 22/10/2010 19:29:31 |
ragazzi riuscire a farci un conto sui bocciati e gli assenti ingiustificati fino ad ora sarebbe importante e utile...potremmo riuscire a capire le intenzioni della commissione sul numero di idonei da raggiungere.. chiunque abbia informazioni le condivida,per favore! | |
Da: dike | 22/10/2010 19:30:35 |
A pippo: rimanderesti in video le domade fatte finora? Gracias!! | |
Da: federalismo demaniale | 22/10/2010 19:37:42 |
In maniera dettagliata...cioè studio il decreto...o un suntino va bene? Sintetizzo o non sintetizzo...questo è il mio dilemma! cleo76 | |
Da: dike | 22/10/2010 19:53:12 |
basta il suntino... o ancheun brodino ;) | |
Da: confuso | 22/10/2010 21:13:55 |
qualcuno può dirmi inteticamente qual è la diffeenza tra occupazione appropriativa e acquisizione sanante? Sul caringella non riesco a capirla | |
Da: x confuso | 22/10/2010 21:29:27 |
dato che l'art. 43 è stato dichiarato incostituzionale da qualche giorno dubito che il libro possa parlartene. Il 43 venne introdotto proprio per reagire alle condanne europee contro il meccanismo dell'accessione invertita e dell'acquisizione usurpativa, che consentivano alla PA di diventare proprietaria a titolo originario del bene pur in presenza di vizi della procedura espropriativa. Nel caso dell'occupazione usurpativa, addirittura in mancanza (ab origine o per annullamente sopravvenuto) della dichiarazione di pubblica utilità, mentre nel caso di accessione invertita- o occupazione acquisitiva- in caso di mancanza e/o annullamento del decreto di esproprio o di conclusione della procedura oltre i termini. Nel caso dell'occupazione acquisitiva la giurisdizione è del GA, nell'occupazionhe usurpativa del GO. La differenza fra entrambe e l'art. 43 sta nell'automatismo dell'acquisizione, che ex art. 43 era escluso in quanto prevedeva per la PA l'obbligo di adottare un provvedimento che motivasse sulla necessità di acquisire quel bene e che ponderasse tale interesse con il diritto del privato alla restituzione; il provvedimento era subordinato al previo pagamento del risarcimento e solo dal momento del risarcimento e del successivo provvedimento la PA avrebbe acquisito il bene. Inoltre, la giurisprudenza aveva escluso il ricorso al 43 nel caso in cui la PA avesse colposamente reso impossibile il ricorso alla procedura espropriativa ordinaria. Insomma, avrebbe dovuto essere un'extrema ratio, ma non lo è stata, diventando una sanatoria a posteriori di illecite occupazioni di urgenza e appropriazioni del bene per irreversibile trasformazione. La ratio dell'accessione invertita era questa: mentre nel caso civilistico ordinario, la proprietà del suolo incorpora quella del bene, nel caso della PA l'opera costruita su suolo privato avrebbe determinato l'acquisto a titolo originario dell'area per irreversibile trasformazione del bene ancorchè illegittimamente. Tra l'altro, per un certo periodo di tempo, al privato veniva corrisposto un mero indennizzo e nemmeno l'intero risarcimento. In ogni caso, occupazione acquisitiva, usurpativa e sanante comportavan l'acvquisto a titolo originario, a differenza di quanto previsto per l'espropriazione ordinaria in cui il decreto di esproprio, laddove eseguito e seguito dall'immissione in possesso, costituisce titolo per il trasferimento della proprietà. Spero di essere stato utile..sono di frettissima! COAIII/COAIVA | |
Da: confuso | 22/10/2010 21:45:45 |
ti ringrazio tantissimo, finalmente l'ho capita!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Eh, ma tu sei davvero un mostro......Ma come fai? | |
Da: x confuso | 22/10/2010 22:09:52 |
ho studiato per Magistratura e ho superato il COAIII; vedrai quante cose si imparano al corso e quanto ti fanno studiare dopo. In bocca al lupo e grazie per i complimenti immeritati. L'argomento lo avevo ripetuto ieri. Ciao | |
Da: pippopluto x tutti + dike | 22/10/2010 22:20:59 |
1^ AREA CIVILE, LAVORO (PUBBLICO IMPIEGO) Azioni a tutale adella proprietà simulazione condotta antisindacale responsabilità aquiliana forma del contratto usucapione usufrutto servitù invalidità formazione del contratto interversione nel possesso interpretazione della legge matrimonio Contratti Collettivi Responsabilità extracontrattuale Permessi sindacali Contratto e criteri dei classificazione dei contratti Contratto per persona da nominare Buona fede contrattuale Forme di lavoro flessibile nella P.A. Usufrutto servitù riforma brunetta risoluzione contratto oggetto del contratto trasferimenti consensuali clausola penale e possibilità per il giudice di ridurla d'ufficio (sentenza SSUU cass del 2005) obbligazioni propter rem Contratto per persona da nominare Differenza tra oneri reali e obbligazioni propter rem Organizzazione a matrice negliuffici pubblici Obbligazioni naturali azioni possessorie inadempimento contrattuale le progressioni verticali e orizzontali diritto di superficie principio di accessione Consenso traslativo, ovvero contratti consensuali e reali azione di nunciazione clausola penale e caparra servitù donazione trascrizione e principio di continuità delle trascrizioni CCNL forma del contratto lavoro flessibile p.a azione surrogatoria; conciliazione presso l'ispettorato del lavoro il legato: è possibile apporre una condizione>? proprietà temporanea sopraelevazione promesse unilaterali Accollo Nullità 2^ AREA AMMINISTRATIVO, COSTITUZIONALE, ENTI LOCALI E TRIBUTARIO modalità di votazione nel consiglio regolamento sul funzionamento del consiglio diritti del contribuente forma di Stato e forma di Governo interpello giuidizio di costituzionalità delle leggi in via principale ruolo del presidente del consiglio comunale direttore generale sussidiarietà laicità dello Stato Garante del contribuente procedura ad evidenza pubblica potestà normativa degli enti locali funzioni del segretario comunale dirigenza degli enti locali sindaco diritto di accesso/diritto di informazione potestà legislativa regionale e relativi controlli la Provincia ricorsi amministrativi propri ed impropri Le vicende della carica di sindaco (volevano sapere di morte, dimissioni ecc. distinguendo tra i casi in cui c'è nomina del commissario) partecipazione popolare convenzioni nel tuel corte dei conti interesse legittimo riparto di giurisdizione elezione del sindaco nei comuni con meno di 15000 abitanti esecutivitò e pubblicità delle deliberazioni negli enti locali cause ineleggibilità riparto di giurisdizione disponibilità e mobilità del segretario comunale respons.procedimento termine dilatorio di stipulazione del contratto pubblico statuto del contribuente SOA Raggruppamenti temporanei d'impresa Sistema elettorale comuni + 15mila Forme di stato e forme di governo quorum strutturale e funzionale nomina e revoca del segretario comunale sanzioni tributarie controllo sugli organi degli enti locali e intervento sostitutivo responsabile del procedimento funzione legislativa e iniziativa popolare eccesso di potere principio di ragionevolezza a livello costituzionale Corte Costituzionale esecuzione forzata negli enti locali crisi di governo invalidità revisione costituzionale convocazione I seduta consiglio comunale giunta: composizione, funzioni, etc l'immedesimazione organica la responsabilità precontrattuale della Pa l'acquisizione sanante 175 5ï¿° co Tuel erosione dell'imposta interpello ex l. 413/93 beni demaniali e beni pubblici Irpef, criteri di calcolo, detrazioni ex art 10 tuir avocazione e sostituzione nei rapporti tra uffici motivazione provvto amm.vo 3^ AREA MANAGEMENT, CONTABILITA', ECONOMIA E ALTRO Equilibri di bilancio Inventario ente locale debiti fuori bilancio servizio di tesoreria variazioni di bilancio e di peg spese correnti/spese in conto capitale saggio marginale di sostituzione fonti di finanziamento degli enti locali doppia imposizione regolamento di contabilità esercizio provvisorio e gestione provvisoria Bilancio pluriennale fondo di riserva legge dell'offerta studi di settore debiti fuori bilancio contabilità finanziaria e contabilità economica conto consuntivo e (dovrebbero aver chiesto il rendiconto nei suoi 3 componenti) campione statisitico e metodo del campionamento fase gestione entrate e spese uffici di staff avanzo di amministrazione, parametri di deficitarietà nei comuni, patto di stabilità certificazioni di bilancio dalla governance al government del'ente locale i contratti swap Tonnage tax Prelievo dal fondo di riserva Cosa è il deficit pubblico e cosa è il debito pubblico allegati al bilancio di previsione Corte dei Conti e controllo sulla gestione certificazione di bilancio organo di revisione, competenze specifiche uso dei grafici in statistica e tipologie di grafici esistenti controllo di gestione bilancio pluriennale PEG principi in materia di finanza propria e derivata bilancio e rendiconto tariffe bilancio stabilmente riequilibrato scritture di assestamento fondo svalutazione crediti saggio marginale di sostituzione tecnica INGLESE your house your first car about your best friends travel make up sentence Your life. music | |
Da: stanca | 22/10/2010 23:19:20 |
sono sconfortata, su tutto il casetta sulla espropriazione cè solo mezza pagina, io non capisco come mi ha potuto consigliare sto testo homo, io ero fuori dalla preparazione accademica e da aggiornamenti giurisprudenziali, non vorrei piu neanche partire credetemi.....avevo il simone sarebbe stato piu completo... | |
Da: x COA3 COA4 | 22/10/2010 23:20:08 |
perdonami, potresti darmi il numero della sentenza? grazie anticipatamente. | |
Da: x x COAIII/COAIV | 23/10/2010 00:19:00 |
Sentenza 293/2010 Giudizio Presidente AMIRANTE - Redattore TESAURO Udienza Pubblica del 07/07/2010 Decisione del 04/10/2010 Deposito del 08/10/2010 Pubblicazione in G. U. Norme impugnate: Art. 43 del decreto del Presidente della Repubblica 08/06/2001, n. 327 Massime: Titoli: Atti decisi: ord. 114, 115 e 116/2009 SENTENZA N. 293 ANNO 2010 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimità costituzionale dellâarticolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), promossi dal Tribunale amministrativo regionale della Campania con due ordinanze del 28 ottobre e con una ordinanza del 18 novembre 2008, rispettivamente iscritte ai nn. 114, 115 e 116 del registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dellâanno 2009. Visti gli atti di costituzione di N.D. ed altri, di M.R.P. ed altri e del Comune di Casapesenna ed altri nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nellâudienza pubblica del 7 luglio 2010 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro; uditi gli avvocati Francesco Guerriero e Antonio Sasso per N.D. ed altri, Antonio Sasso per M.R.P. ed altri, Fabrizio Vittoria per il Comune di Casapesenna e lâavvocato dello Stato Maurizio Borgo per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1. â" Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, con tre ordinanze di identico tenore, pronunciate in altrettanti giudizi, le prime due del 28 ottobre 2008 (r.o. n. 114 e n. 115 del 2009) e la terza del 18 novembre 2008 (r.o. n. 116 del 2009), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 42, 76, 97, 113 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dellâarticolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità). 1.1.â" Le prime due ordinanze (r.o. n. 114 e n. 115 del 2009), relative ad identiche fattispecie, espongono che i ricorrenti sono tutti proprietari di un fondo in Casapesenna, oggetto di procedura ablatoria, in ordine alla quale il medesimo TAR, con sentenze rispettivamente n. 73 e n. 74 del 2008, aveva annullato gli atti impugnati e condannato il Comune di Casapesenna a restituire il terreno, previo ripristino dello stato dei luoghi. Gli attori, con distinti ricorsi, poi riuniti dal TAR, hanno proposto ricorso per lâesecuzione del giudicato, chiedendo la restituzione del fondo, ed hanno impugnato la delibera del Consiglio comunale con la quale il Comune ha disposto, ex art. 43, comma 2, del citato d.P.R., lâacquisizione al patrimonio indisponibile delle aree in questione, corrispondendo una somma a titolo di risarcimento dei danni. 1.2.â" I rimettenti premettono ancora, in fatto, che la vicenda era stata oggetto di una prima pronuncia dello stesso tribunale (sentenza 23 gennaio 2003, n. 387) con la quale era stato censurato lâoperato dellâamministrazione in ragione del mancato compimento dellâiter previsto per la formazione della variante urbanistica, e per violazione del contraddittorio con i soggetti interessati. Nel procedimento di cui allâordinanza r.o. n. 114 del 2009, con successive sentenze veniva poi annullata una nota del comune di diniego di restituzione del suolo occupato e disposta la restituzione dello stesso con ripristino dello stato dei luoghi (sentenza 5 giugno 2003, n. 7290), ed ancora veniva accolto il ricorso per lâesecuzione del relativo giudicato con nomina di un commissario ad acta. In seguito il Consiglio di Stato, con sentenza 3 maggio 2005, n. 2095, dichiarava che sullâamministrazione gravava lâobbligo di restituire lâarea occupata. Successivamente, con le già indicate sentenze del medesimo TAR (n. 73 e n. 74 del 2008), erano stati annullati per incompetenza gli atti inerenti alla procedura ex art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001, con condanna del comune alla restituzione del terreno previo ripristino dello stato dei luoghi. Infine, era intervenuto il provvedimento di acquisizione sanante ai sensi del citato art. 43. 1.3.â" La terza ordinanza (r.o. n. 116 del 2009) espone, in fatto, che il ricorrente, proprietario di un fondo sito nel Comune di San Giuseppe Vesuviano (Napoli), ne aveva subito da parte di detto comune lâoccupazione, senza alcun procedimento espropriativo. Dopo alterne vicende in punto di giurisdizione, il Tribunale di Nola, ritenendo la propria giurisdizione, radicandola per la natura usurpativa dellâoccupazione, aveva, infine, negato lâacquisto della proprietà in capo alla pubblica amministrazione. In seguito, era stato adottato da parte del responsabile del Servizio lavori pubblici ed urbanistica ed Ufficio espropriazioni del Comune di San Giuseppe Vesuviano, il decreto n. prot. 2006 0020376, impugnato nel giudizio principale, con il quale veniva disposta lâacquisizione coattiva al patrimonio indisponibile comunale dellâarea, prevedendo, altresì in favore del proprietario «oltre lâindennizzo, il risarcimento del danno nonchè il computo degli interessi moratori a decorrere dal giorno in cui il terreno sia stato occupato senza titolo». In particolare, il ricorrente deduceva la violazione degli artt. 43 e 57, comma l, del d.P.R. n. 327 del 2001, lamentando lâinapplicabilità al caso di specie del procedimento ex art. 43 ed invocando lâapplicazione del regime transitorio ex art. 57, comma 1, con obbligo di restituzione dellâimmobile e risarcimento del danno ex art. 2043 del codice civile per lâillegittima, ulteriore occupazione. 1.4.â" Ciò posto, i giudici a quibus ricordano che, in caso di annullamento giurisdizionale degli atti relativi alla procedura di espropriazione per pubblica utilità, il proprietario può chiedere â" mediante il giudizio di ottemperanza â" la restituzione del bene piuttosto che il risarcimento del danno per equivalente monetario, anche se lâarea sia stata irreversibilmente trasformata in conseguenza dellâesecuzione dellâopera pubblica. Inoltre, lâunico rimedio per evitare la restituzione dellâarea sarebbe lâemanazione di un provvedimento di acquisizione cosiddetto «sanante» ex art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001, in assenza del quale lâamministrazione non può addurre la intervenuta realizzazione dellâopera pubblica quale causa di impossibilità oggettiva e, quindi, come impedimento alla restituzione. 1.5. â" Il TAR Campania, dopo aver ricordato la giurisprudenza di legittimità relativa alla cosiddetta occupazione «appropriativa», assume che tale ricostruzione sarebbe incompatibile con la disciplina normativa introdotta dal d.P.R. n. 327 del 2001 ed entrata in vigore il 30 giugno 2003, in quanto la disposizione oggi censurata subordina allâadozione di apposito provvedimento discrezionale il trasferimento di proprietà dei beni immobili utilizzati per scopi di interesse pubblico, a seguito di trasformazione, determinatasi in assenza del valido ed efficace provvedimento espropriativo o dichiarativo della pubblica utilità. Inoltre, non potrebbe ritenersi che lâart. 43 disponga solo per il futuro, trattandosi di disposizione, avente natura processuale riferita a tutti i casi di occupazione sine titulo, anche già sussistenti alla data di entrata in vigore del testo unico (a conforto, richiama: Cons. Stato, IV, 21 maggio 2007, n. 2582; A.P., 29 aprile 2005, n. 2; TAR. Emilia-Romagna, Bologna, I, 27 ottobre 2003, n. 2160). 1.6.â" I rimettenti, quanto alla giurisdizione, ritengono di doversi conformare al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in materia di procedimenti di espropriazione per pubblica utilità, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie nelle quali si faccia questione, anche a fini risarcitori, di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità e con essa congruenti, anche in presenza di atti poi dichiarati illegittimi. 1.7.â" Ciò posto, con riferimento alla delibera di acquisizione delle aree, il Tribunale richiama la giurisprudenza secondo cui tale atto persegue una finalità di sanatoria di situazioni prive di procedure legittime di esproprio, senza che rilevi la causa della illegittimità del comportamento: sia essa conseguente allâassenza di una dichiarazione di pubblica utilità od allâannullamento di essa oppure determinata da altre cause, risultando in proposito rilevante il solo fatto che lâinteresse pubblico non potrebbe essere soddisfatto se non con il mantenimento della situazione ablativa. In punto di rilevanza i rimettenti assumono che, aderendo a tale orientamento, nella specie il ricorso in ottemperanza dovrebbe essere dichiarato improcedibile, in virtù dellâatto formale di acquisizione sanante, mentre il ricorso avverso la delibera consiliare dovrebbe essere rigettato, perché il provvedimento oggetto di impugnazione deve ritenersi conforme al modello astratto di cui al citato art. 43. 1.8.â" Il Tribunale amministrativo campano dubita, tuttavia, della legittimità costituzionale di tale norma, per violazione degli artt. 3, 24, 42, 76, 97, 113 e 117, Cost.. In particolare, quanto agli artt. 3, 24, 42, 97 e 113 Cost., il Tribunale evidenzia come lâesercizio del potere autoritativo di acquisizione dellâarea, attraverso lâadozione di un atto amministrativo, che consente di evitare la restituzione del bene e di sanare la pregressa illegalità, avrebbe assunto la natura di strumento «ordinario», attraverso il quale «si legalizza lâillegale», rimuovendo lâillecito aquiliano attraverso lâatto di acquisizione. In tal modo risulterebbe capovolta la garanzia costituzionale del diritto di proprietà di cui allâart. 42, Cost., nella misura in cui la norma «consente alla pubblica amministrazione, anche deliberatamente, [â] di eludere gli obblighi procedimentali della instaurazione del contraddittorio, delle tre fasi progettuali e della verifica delle norme di conformità urbanistica», norme peraltro imposte non soltanto dallâautorità comunale, ma anche da quelle preposte alla tutela di ulteriori e distinti vincoli. Lâabuso di tale strumento imporrebbe, invece, una lettura restrittiva della disposizione, dal momento che ben difficilmente nella pratica sarebbe possibile immaginare ipotesi in cui lâAmministrazione non possa giustificare il proprio operato, con la necessità di perseguire uno scopo pubblico. Per altro verso, a giudizio dei rimettenti, non si potrebbe prescindere dai principi costituzionali e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dellâuomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dellâuomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), (infra: anche CEDU o Convenzione europea), in base ai quali il diritto di proprietà potrebbe essere acquistato dallâAmministrazione soltanto attraverso lâemanazione di un formale provvedimento amministrativo. Inoltre, si precisa, la questione di legittimità costituzionale viene appunto sollevata, prendendo atto che, di fatto, la sentenza che ha dichiarato lâillegittimità della procedura si pone come «una sorta di atto presupposto del procedimento che si perfeziona con lâatto di acquisizione», con conseguente «grave lesione del principio generale dellâintangibilità del giudicato amministrativo» [â] sostanzialmente «vanificato da un atto amministrativo di acquisizione per utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico». Del resto, andrebbe pure considerato che lâacquisizione sanante ben potrebbe essere «reiterata allâinfinito», divenendo non più uno strumento straordinario, ma ordinario, con conseguente «vanificazione dei principi di certezza giuridica e di tutela delle posizioni giuridiche». In questo contesto, il Tribunale specifica di aver esperito inutilmente ogni tentativo di interpretazione adeguatrice, al fine attribuire alla norma un significato costituzionalmente corretto. 1.9.â" Con riferimento, poi, allâart. 117, primo comma, Cost., il Tribunale, dopo aver richiamato la sentenza di questa Corte n. 349 del 2007, con riguardo al rapporto fra norma statale ed obblighi derivanti dalla CEDU, assume che la norma censurata non sarebbe conforme ai principi della Convenzione europea ed allâart. 6 (F) del Trattato di Maastricht (modificato dal Trattato di Amsterdam), in base al quale «lâUnione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dellâuomo e delle libertà fondamentali, [...] in quanto principi generali del diritto comunitario». In questo senso deporrebbe la costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dellâuomo (20 aprile 2006; 15 novembre 2005; 17 maggio 2005), la quale avrebbe più volte affermato la non conformità allâart. 1, prot. 1, della Convenzione, della prassi sulla cosiddetta «espropriazione indiretta», secondo cui lâamministrazione diventerebbe proprietaria del bene in assenza di un atto ablatorio. 1.10.â" Infine, i rimettenti censurano lâart. 43 anche con riferimento allâart. 76, Cost., in quanto lâart. 7, comma 2, lettera d) della legge-delega 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1998) avrebbe delegato al Governo il mero «coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo». La norma in questione, invece, non troverebbe «riferimento o principi e criteri direttivi in norme preesistenti», non potendosi sostenere che lâacquisizione sanante fosse una modifica necessaria per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa. 2.â" Nel giudizio innanzi alla Corte si sono costituiti i ricorrenti dei giudizi principali (N.D. ed altri, quanto allâordinanza r.o. n. 114 del 2009 e M.R.P. ed altri, quanto allâordinanza r.o. n. 115 del 2009), con atti di identico tenore in diritto, chiedendo che la questione sia accolta. 2.1.â" La difesa delle parti private, dopo aver ripercorso le motivazioni sottese allâordinanza di rimessione, assume, in primo luogo, che lâatto acquisitivo previsto dalla disposizione impugnata, in quanto finalizzato a «sanare» unâattività posta in essere dalla pubblica amministrazione contra ius, determinando la perdita della proprietà, violerebbe gli artt. 3, 24, 42, 97 e 117, Cost., conducendo a «legalizzare» lâillegale, consentendo lâillecito aquiliano. I ricorrenti, riportando peraltro ampi brani di sentenze della Corte di cassazione sul fenomeno dellâoccupazione acquisitiva, ritengono che il censurato art. 43 si porrebbe al di fuori dei «canoni di legittimità costituzionale», dal momento che attribuisce alla pubblica amministrazione il potere di disporre lâacquisizione del bene, anche nellâipotesi in cui non vi sia stata alcuna preventiva dichiarazione di pubblica utilità, o la medesima sia stata annullata o resa inefficace ex tunc. In definitiva, la norma censurata determinerebbe uno squilibrato vantaggio per il soggetto pubblico, pregiudicando la certezza dei rapporti giuridici e sacrificando lâaffidamento dei soggetti nella possibilità di far valere le proprie ragioni sulla base di condizioni normative «operanti nellâordinamento vigente in un determinato periodo storico». 2.2.â" Quanto alla violazione dellâart. 117, primo comma, Cost., le parti assumono che la norma si porrebbe in conflitto «con i principi che sorreggono la Convenzione europea su diritti dellâuomo (CEDU), aventi diretta rilevanza nellâordinamento interno, nonché con lâarticolo 6 del Trattato di Maastricht, modificato dal Trattato di Amsterdam». Tale contrasto sarebbe evidente, alla luce del costante orientamento della Corte Europea dei diritti dellâuomo in materia di espropriazione cosiddetta «indiretta». In particolare, si ricordano alcune decisioni di quella Corte nelle quali è stato affermato che lâespropriazione indiretta tende a stabilizzare una situazione di fatto derivante dalle illegalità commesse dallâamministrazione e che, «sia in virtù di un principio giurisprudenziale o di un testo di legge come lâart. 43 del testo unico, lâespropriazione indiretta non dovrebbe costituire un mezzo alternativo allâ«espropriazione operata in forma corretta». I ricorrenti ricordano altresì, come «lâanomalia italiana» abbia formato oggetto anche di una risoluzione interinale, in data 14 febbraio 2007, da parte del Comitato dei ministri del Consiglio dâEuropa, con cui le Autorità nazionali sono state «incoraggiate» «... a proseguire i loro sforzi e ad adottare rapidamente tutte le misure necessarie addizionali al fine di rimediare in maniera definitiva alla pratica della âespropriazione indirettaâ». In tale contesto europeo, poi, le Autorità governative italiane avrebbero expressis verbis ammesso che la norma dettata dallâart. 43 t.u. in materia di espropriazione per pubblica utilità è ex se non coerente con i principi della Convenzione, tantâè che ne viene suggerita unâapplicazione ed interpretazione «correttiva». 2.3.â" Infine, le parti private, citando giurisprudenza di questa Corte, aderiscono alla censura formulata con riguardo allâart. 76, Cost., in quanto lâipotesi dellâacquisizione, introdotta dallâart. 43 d.P.R. n. 327 del 2001, sarebbe «priva di addentellati con la vigente normativa», nel mentre il legislatore delegato non era stato autorizzato ad integrare o correggere le previsioni vigenti, ma semplicemente a riordinarle, attraverso un intervento di mero coordinamento. 3.â" Nel giudizio relativo alle ordinanze r.o. n. 114 e n. 115 del 2009, si è costituito il Comune di Casapesenna, criticando le argomentazioni sottese ai provvedimenti del giudice a quo. In primo luogo, il Tribunale campano, affermando che lâistituto in questione «nelle intenzioni del legislatore doveva conservare una natura eccezionale», nel mentre avrebbe «assunto la natura di strumento ordinario», confonderebbe lâipotetica applicazione «scorretta» della norma in questione, con la sua illegittimità costituzionale. Inoltre, non sarebbe neppure corretto affermare che lâart. 43 consentirebbe lâillecito aquiliano, in quanto, al contrario, la norma in questione avrebbe proprio escluso in radice che lâeventuale illecito aquiliano possa in sé determinare, come accadeva in passato, lâacquisto della proprietà da parte della pubblica amministrazione. Il giudice a quo non coglierebbe nel segno neppure con riguardo alla pretesa elusione degli obblighi procedimentali, in quanto il provvedimento di acquisizione deve dare conto specificamente degli interessi in conflitto, compiendo unâesaustiva comparazione dei medesimi, attraverso una congrua motivazione della «sussistenza attuale di un interesse pubblico specifico e concreto». In questo senso, dunque, lo stringente obbligo di motivazione consente, proprio al giudice amministrativo, di valutarne la «logicità e ragionevolezza». 3.1.â" Quanto, poi, al contrasto con la giurisprudenza di Strasburgo, il Comune di Casapesenna ritiene che, diversamente da quanto opinato dai rimettenti, gli arresti della CEDU non hanno avuto ad oggetto lâapplicazione dellâart. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001, ma la pratica dellâaccessione invertita, della quale proprio lâart. 43 costituirebbe la soluzione legislativa. 3.2.â" Infondata sarebbe pure la censura di violazione del giudicato amministrativo, in quanto la norma in esame non sarebbe in grado di mettere in discussione né lâannullamento degli atti preordinati allâesproprio, né il diritto al risarcimento del privato illegittimamente spossessato, limitandosi piuttosto a consentire alla pubblica amministrazione di optare per il risarcimento monetario, piuttosto che per quello in forma specifica. Anzi, il citato art. 43, piuttosto che ledere il precedente giudicato, ne garantirebbe una più piena esecuzione, in quanto limiterebbe a singoli casi ed alla ricorrenza di specifici presupposti la facoltà della pubblica amministrazione di optare per il risarcimento monetario, in luogo di quello in forma specifica. 3.3.â" Da ultimo, con riferimento alla violazione dellâart. 76 Cost., si rileva che il t.u. sulle espropriazioni, in quanto volto al riordino normativo ed alla semplificazione delle norme procedurali ed organizzative, avrebbe natura innovativa e non meramente compilativa, potendo apportare, in sede di coordinamento delle disposizioni vigenti, «le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa». 4.â" In tutti i giudizi promossi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dallâAvvocatura generale dello Stato, che, nei distinti atti, di contenuto sostanzialmente identico, ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile ed infondata. 4.1.â" La difesa dello Stato eccepisce, in primo luogo, lâinammissibilità della questione per difetto di rilevanza, ricordando che questa Corte, nella sentenza n. 191 del 2006, ha espressamente escluso che la norma censurata abbia valore di norma processuale, sicchè i rimettenti avrebbero dovuto chiedersi se essa fosse o meno applicabile alla fattispecie concreta. Il tema dellâapplicabilità dellâart. 43 del t.u. in materia di espropriazioni alle occupazioni sine titulo, perfezionatesi prima dellâentrata in vigore del d.P.R. n. 327 del 2001, rappresenterebbe, infatti, uno dei temi più dibattuti sia in dottrina che in giurisprudenza. Oltre allâorientamento richiamato dallâordinanza di rimessione, infatti, sarebbe dato riscontrare, in senso contrario, in primo luogo quello della Corte di cassazione che, con le sentenze 22 settembre 2008, n. 23943 e 19 dicembre 2007, n. 26732, ne ha escluso lâapplicabilità in considerazione del fatto che lâart. 57 del d.P.R. n. 327 del 2001, nel disciplinare lâapplicabilità della nuova disciplina (e non soltanto delle norme di natura sostanziale), ha introdotto un criterio fondato esclusivamente sul dato temporale del primo atto del procedimento espropriativo, a prescindere dalle sue successive vicende e dai successivi provvedimenti che lâespropriante potesse emanare. Inoltre, lo stesso Consiglio di Stato, con la sentenza 26 settembre 2008 n. 4660, avrebbe negato lâapplicazione del citato art. 43 ad una fattispecie perfezionatasi, come quella in esame oggi, anteriormente allâentrata in vigore del t.u. 4.2.â" La questione sarebbe, ancora, inammissibile perché i rimettenti non avrebbero sperimentato unâinterpretazione costituzionale della norme censurata. Ciò in quanto il Tribunale muoverebbe da unâapplicazione della disposizione da parte delle amministrazioni e da parte del diritto vivente, che a suo giudizio avrebbe condotto a risultati abnormi, quali quello relativo allâoperatività dellâart. 43 in sede di ottemperanza, suscettibile di caducare lâaccertamento del diritto alla restituzione del fondo e di travolgere la forza del giudicato. Ad avviso dellâAvvocatura dello Stato, tuttavia, nulla avrebbe impedito ai giudici rimettenti di valutare alla stregua di unâinterpretazione costituzionalmente orientata lâillegittimità dellâatto acquisitivo, nel corso del giudizio di ottemperanza, per le medesime ragioni che sono state poste a sostegno della questione di costituzionalità. 4.3. â" Nel merito, la difesa dello Stato precisa in primo luogo che lo strumento della cosiddetta acquisizione sanante, lungi dallâessere uno strumento ordinario, si sostanzierebbe invece come una «legale via dâuscita» dalle situazioni di illegalità, verificatesi nel corso degli anni. Quanto, poi, al rapporto con il giudicato relativo alla restituzione del fondo, si sottolinea che la disposizione in esame non costituisce, di per sé, uno strumento di elusione del giudicato, ma sarebbe semmai lâuso non funzionale della norma da parte dellâAmministrazione, che potrebbe determinare tale conseguenza. Sarebbe, quindi, compito del giudice amministrativo verificare con rigore quella comparazione di interessi sottesa al provvedimento, secondo i criteri della ragionevolezza e proporzionalità. Il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia, poi, come nel caso di specie il giudice ben avrebbe potuto dichiarare, ai sensi dellâart. 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), la nullità del provvedimento di acquisizione adottato dallâamministrazione comunale, per violazione del giudicato. 4.4.â" In ordine alla questione relativa alla violazione dellâart. 117, primo comma, Cost., per violazione della CEDU, lâAvvocatura dello Stato, nonostante i dubbi di legittimità costituzionale paventati da alcune decisioni della Corte di cassazione (sentenza n. 26732 del 2007, cit.), premette che la questione della compatibilità dellâart. 43 non sarebbe mai stata affrontata dalla Corte di Strasburgo. Ciò posto, il giudice rimettente avrebbe potuto, comunque praticare unâinterpretazione conforme ai «canoni CEDU», prima ancora di sollevare la questione di legittimità costituzionale. Del resto la giurisprudenza amministrativa si sarebbe più volte espressa nel senso della piena compatibilità dellâart. 43 con le disposizioni CEDU, come interpretate dalla Corte europea dei diritti dellâuomo. 4.5.â" Infine, con riferimento al denunciato vizio di eccesso di delega, il Presidente del Consiglio dei ministri ricorda, ancora, la giurisprudenza del giudice amministrativo che avrebbe negato la sussistenza di tale vizio. 4.6.â" Da ultimo lâAvvocatura dello Stato sottolinea come lâeventuale «caducazione» della norma impugnata avrebbe come inevitabile conseguenza il «ritorno in auge» degli istituti di creazione pretoria dellâoccupazione «acquisitiva» ed «usurpativa», che esporrebbero lo Stato ad ulteriori e numerosissime condanne da parte della Corte di Strasburgo. Considerato in diritto 1.â" Le questioni sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania, con tre distinte ordinanze di contenuto in larga misura coincidente (r.o. n. 114, n. 115 e n. 116 del 2009), riguardano lâarticolo 43 del decreto del Presidente della Repubbica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), con il quale viene disciplinata la «Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico». 1.1.â" I giudizi hanno ad oggetto la stessa norma, censurata con riferimento agli stessi parametri, sotto gli stessi profili e in gran parte con le stesse argomentazioni; ponendo, pertanto, unâidentica questione, vanno riuniti e decisi con unâunica pronuncia. 2.â" La norma censurata ha ad oggetto la disciplina dellâutilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico e consente allâautorità che abbia utilizzato a detti fini un bene immobile in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, di disporne lâacquisizione al suo patrimonio indisponibile, con lâobbligo di risarcire i danni al proprietario. La disposizione regola, inoltre, tempo e contenuto dellâatto di acquisizione, lâimpugnazione del medesimo, la facoltà della pubblica amministrazione di chiedere che il giudice amministrativo «disponga la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo», fissando i criteri per la quantificazione del risarcimento del danno. Secondo il Tribunale rimettente, in punto di rilevanza, lâapplicazione della disciplina di cui al citato art. 43 determinerebbe lâimprocedibilità dei ricorsi in ottemperanza, in considerazione dellâatto formale di acquisizione sanante; nello stesso tempo, i ricorsi avverso la delibera di acquisizione dovrebbero essere rigettati, perché il provvedimento oggetto di impugnazione dovrebbe ritenersi conforme al modello astratto disegnato dallâintera disposizione, nonostante, in questo caso, fosse già intervenuta una pronuncia di restituzione (in particolare nei giudizi iscritti al r.o. n. 114 e n. 115 del 2009, a seguito dellâannullamento gli atti inerenti alla procedura ex art. 43). La norma si porrebbe in contrasto anzitutto con gli articoli 3, 24, 42, 97 e 113 della Costituzione, in quanto essa consentirebbe, secondo lâinterpretazione assunta come diritto vivente, la sanatoria di espropriazioni illegittime, a causa della mancanza della dichiarazione di pubblica utilità, dellâannullamento degli atti ovvero per altra causa. In tal modo, sarebbe prefigurato lâesercizio di un potere autoritativo di acquisizione dellâarea che impedirebbe la restituzione del bene, rimuovendo lâillecito aquiliano anche a dispetto di un giudicato amministrativo, consentendo «alla pubblica amministrazione, anche deliberatamente, â di eludere gli obblighi procedimentali della instaurazione del contraddittorio, delle tre fasi progettuali e della verifica delle norme di conformità urbanistica» con «grave lesione del principio generale dellâintangibilità del giudicato amministrativo», sostanzialmente «vanificato da un atto amministrativo di acquisizione per utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico». 3.â" Ad avviso del TAR, la norma impugnata si porrebbe, inoltre, in contrasto con lâart. 117, primo comma, Cost., in quanto non sarebbe conforme ai principi della Convenzione europea dei diritti dellâuomo, come interpretati dalla Corte di Strasburgo, che ha ritenuto in contrasto con lâart. 1, prot. 1, la prassi della cosiddetta «espropriazione indiretta»; violando peraltro anche lâart. 6 (F) del Trattato di Maastricht (modificato dal Trattato di Amsterdam), in base al quale «lâUnione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dellâuomo e delle libertà fondamentali, [...] in quanto principi generali del diritto comunitario». 4.â" I rimettenti, infine, ritengono che il citato art. 43 impugnato recherebbe vulnus allâart. 76, Cost., in quanto sarebbe stato emanato in violazione dei criteri della legge-delega 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi â" Legge di semplificazione 1998). 5.â" LâAvvocatura dello Stato ha eccepito lâinammissibilità delle questioni, per difetto di rilevanza nel giudizio a quo, in quanto questa Corte, la Corte di cassazione ed il Consiglio di Stato avrebbero escluso lâapplicabilità del citato art. 43 alle occupazioni appropriative verificatesi prima del 30 giugno 2003, data di entrata in vigore del d.P.R. n. 327 del 2001. 5.1.â" Lâeccezione non è fondata. La questione dellâapplicabilità della norma in esame non è stata risolta in modo univoco dalla giurisprudenza. La Corte di cassazione esclude, infatti, lâammissibilità dellâadozione di un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 43 con riguardo alle occupazioni appropriative verificatesi prima dellâentrata in vigore del d.P.R. n. 327 del 2001 (sentenze 22 settembre 2008, n. 23943, 28 luglio 2008 n. 20543, 19 dicembre 2007, n. 26732). Diversamente, nella giurisprudenza del Consiglio di Stato è ormai prevalente il principio secondo cui «la procedura di acquisizione in sanatoria di unâarea occupata sine titulo, descritta dal citato articolo 43, trova una generale applicazione anche con riguardo alle occupazioni attuate prima dellâentrata in vigore della norma» (Cons. Stato, Sez. IV, 26 marzo 2010, n. 1762, Sez. IV, 8 giugno 2009, n. 3509, inoltre: Ad. Plen. 29 aprile 2005, n. 2; Sez. IV, 16 novembre 2007, n. 5830, esaminata senza rilievi sulla giurisdizione da Cass., SS.UU., 16 aprile 2009, n. 9001). In presenza di tale contrasto, le ordinanze di rimessione hanno motivato in maniera non implausibile in ordine allâapplicabilità della norma, richiamando la giurisprudenza assolutamente prevalente ed il «diritto vivente» del Consiglio di Stato. 6.â" Nel merito, vanno esaminate in via preliminare le censure riferite allâart. 76, della Costituzione. Spetta, infatti, a questa Corte «valutare il complesso delle eccezioni e delle questioni costituenti il thema decidendum devoluto al suo esame» e «stabilire, anche per economia di giudizio, lâordine con cui affrontarle nella sentenza e dichiarare assorbite le altre» (da ultimo, sentenze n. 181 del 2010 e n. 262 del 2009), quando si è in presenza di «questioni tra loro autonome per lâinsussistenza di un nesso di pregiudizialità» (sentenza n. 262 del 2009). Nella specie, è palese la pregiudizialità logico-giuridica delle censure riferite allâart. 76 Cost., giacchè esse investono il corretto esercizio della funzione legislativa e, quindi, la loro eventuale fondatezza eliderebbe in radice ogni questione in ordine al contenuto precettivo della norma in esame. 6.1.â" I rimettenti denunciano la violazione dellâart. 76 Cost., deducendo che lâart. 43 non troverebbe «riferimento o principi e criteri direttivi in norme preesistenti», in quanto la legge-delega n. 50 del 1999 prevedeva il mero coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, e consentiva, nei limiti di tale coordinamento, le sole modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa, anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio. 7.â" La questione è fondata. 8.â" La norma impugnata disciplina lâistituto cosiddetto della «acquisizione sanante». In particolare essa dispone, fra lâaltro, al comma 1, che, «valutati gli interessi in conflitto, lâautorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni». Viene, poi, precisato, al comma 2, che lâatto di acquisizione «...a) può essere emanato anche quando sia stato annullato lâatto da cui sia sorto il vincolo preordinato allâesproprio, lâatto che abbia dichiarato la pubblica utilità di unâopera o il decreto di esproprio;». Si tratta, dunque, della possibilità di acquisire alla mano pubblica un bene privato, in precedenza occupato e modificato per la realizzazione di unâopera di interesse pubblico, anche nel caso in cui lâefficacia della dichiarazione di pubblica utilità sia venuta meno, con effetto retroattivo, in conseguenza del suo annullamento o per altra causa, o anche in difetto assoluto di siffatta dichiarazione («assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità»). 8.1.â" La norma censurata è contenuta nel testo unico, in materia di espropriazioni, redatto in attuazione della legge n. 50 del 1999, a sua volta collegata alla legge 15 marzo 1997 n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), che aveva previsto un generale strumento permanente di semplificazione e di delegificazione. In particolare, la delega riguardava il «riordino» delle norme elencate nellâallegato I alla legge n. 59 del 1997 (nel testo risultante a seguito dellâart. 1, legge 24 novembre 2000, n. 340 â" Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi â" Legge di semplificazione 1999), che contemplava, quale oggetto, il «procedimento di espropriazione per causa di pubblica utilità e altre procedure connesse: legge 25 giugno 1865, n. 2359; legge 22 ottobre 1971, n. 865». 8.2.â" Il chiaro tenore delle norme richiamate rende palese che la delega oggetto delle medesime concerneva esplicitamente il tessuto normativo costituito dalle leggi n. 2359 del 1865 e n. 865 del 1971. Il sistema dellâespropriazione per pubblica utilità risultante da dette leggi era articolato, in sintesi, in un procedimento che presupponeva il provvedimento dichiarativo della pubblica utilità dellâopera e la fissazione di termini, con la connessa disciplina dei casi di indifferibilità ed urgenza. In seguito, la legge n. 865 del 1971 aveva previsto la concentrazione del procedimento in unâunica fase, ricollegando la dichiarazione di pubblica utilità, unitamente alla dichiarazione di indifferibilità ed urgenza delle opere pubbliche, allâapprovazione dei progetti delle opere da parte degli organi competenti. Successivamente, ed in presenza di una nutrita serie di patologie dei procedimenti amministrativi di espropriazione, consistenti nellâaccertamento dellâoccupazione sine titulo da parte della pubblica amministrazione, la giurisprudenza di legittimità aveva elaborato gli istituti dellâoccupazione «appropriativa» ed «usurpativa». In sintesi, la prima era caratterizzata da una anomalia del procedimento espropriativo, a causa della sua mancata conclusione con un formale atto ablativo, mentre la seconda era collegata alla trasformazione del fondo di proprietà privata, in assenza di dichiarazione di pubblica utilità. Nel primo caso (il cui leading case si rinviene nella sentenza delle Sezioni Unite 26 febbraio 1983, n. 1464), lâacquisto della proprietà conseguiva ad unâinversione della fattispecie civilistica dellâaccessione di cui agli artt. 935 ss. cod. civ., in considerazione della trasformazione irreversibile del fondo. Secondo questa ricostruzione, la destinazione irreversibile del suolo privato illegittimamente occupato comportava lâacquisto a titolo originario, da parte dellâente pubblico, della proprietà del suolo e la contestuale estinzione del diritto di proprietà del privato. La successiva sentenza delle Sezioni Unite 10 giugno 1988, n. 3940, precisò poi la figura della «occupazione acquisitiva», limitandola al caso in cui si riscontrasse una valida dichiarazione di pubblica utilità che permetteva di far prevalere lâinteresse pubblico su quello privato. Lâ«occupazione usurpativa», invece, non accompagnata da dichiarazione di pubblica utilità, ab initio o per effetto dellâintervenuto annullamento del relativo atto o per scadenza dei relativi termini, in quanto tale non determinava dunque lâeffetto acquisitivo a favore della pubblica amministrazione. 8.3.â" Eâ questo, in sostanza, il contesto normativo in cui è stato inserito il citato art. 43, comprensivo anche dei ricordati istituti di origine giurisprudenziale, i quali hanno nel tempo disciplinato la materia. Nella redazione del testo unico il legislatore delegato era tenuto ad osservare i seguenti principi e criteri direttivi, contenuti nellâart. 7, comma 2, della citata legge n. 50: la puntuale individuazione del testo vigente delle norme (lettera b dellâart. 7 cit.); lâindicazione delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni (lettera c); il coordinamento «formale» del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa, anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo (lettera d). La legge-delega imponeva, poi, lâindicazione delle disposizioni, non inserite nel testo unico, che restavano comunque in vigore (lettera e) e lâesplicita abrogazione di tutte le rimanenti disposizioni, non richiamate, che regolavano la materia oggetto di delegificazione, con espressa indicazione delle stesse in apposito allegato al testo unico (lettera f). 8.4.â" Occorre verificare, pertanto, se il legislatore delegato abbia osservato i suindicati principi e criteri direttivi. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il sindacato di costituzionalità sulla delega legislativa si esplica attraverso un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli. Il primo riguarda le norme che determinano lâoggetto, i principi e i criteri direttivi indicati dalla delega, tenendo conto del complessivo contesto di norme in cui si collocano e si individuano le ragioni e le finalità poste a fondamento della legge di delegazione. Il secondo riguarda le norme poste dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi ed i criteri direttivi della delega (ex plurimis, sentenze n. 230 del 2010, n. 98 del 2008, n. 54 del 2007, n. 280 del 2004, n. 199 del 2003). Pertanto, da un lato, deve farsi riferimento alla ratio della delega; dallâaltro, occorre tenere conto della possibilità, insita nello strumento della delega, di introdurre norme che siano un coerente sviluppo dei principi fissati dal legislatore delegato; dallâaltro ancora, sebbene rientri nella discrezionalità del legislatore delegato emanare norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore (sentenza n. 199 del 2003; ordinanza n. 213 del 2005), è nondimeno necessario che detta discrezionalità sia esercitata nellâambito dei limiti stabiliti dai principi e criteri direttivi. Inoltre, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, qualora la delega abbia ad oggetto, come nella specie, la revisione, il riordino ed il riassetto di norme preesistenti, queste finalità giustificano un adeguamento della disciplina al nuovo quadro normativo complessivo, conseguito dal sovrapporsi, nel tempo, di disposizioni emanate in vista di situazioni ed assetti diversi. Lâintroduzione di soluzioni sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo previgente è, tuttavia, ammissibile soltanto nel caso in cui siano stabiliti principi e criteri direttivi idonei a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato (sentenza n. 170 del 2007 e n. 239 del 2003). 8.5.â" Alla luce di questi principi, risulta chiara la fondatezza delle censure svolte dai giudici rimettenti. La legge-delega aveva conferito, sul punto, al legislatore delegato il potere di provvedere soltanto ad un coordinamento «formale» relativo a disposizioni «vigenti». Lâistituto previsto e disciplinato dalla norma impugnata, viceversa, è connotato da numerosi aspetti di novità, rispetto sia alla disciplina espropriativa oggetto delle disposizioni espressamente contemplate dalla legge-delega, sia agli istituti di matrice prevalentemente giurisprudenziale. In primo luogo, non è dato ravvisare nelle leggi indicate nel citato allegato I, alla legge n. 59 del 1997, alcuna norma che potesse giustificare un intervento della pubblica amministrazione, in via di sanatoria, sulle procedure ablatorie previste. Inoltre, neppure può farsi riferimento al contesto degli orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati, in quanto più profili della cosiddetta «acquisizione sanante», così come disciplinata dalla norma censurata, eccedono con tutta evidenza dagli istituti della occupazione appropriativa e della occupazione usurpativa, così come delineati da quegli orientamenti. Il citato art. 43, infatti, ha anzitutto assimilato le due figure, introducendo la possibilità per lâamministrazione e per chi utilizza il bene di chiedere al giudice amministrativo, in ogni caso e senza limiti di tempo, la condanna al risarcimento in luogo della restituzione. Peraltro, esso estende tale disciplina anche alle servitù, rispetto alle quali la giurisprudenza aveva escluso lâapplicabilità della cosiddetta occupazione appropriativa, trattandosi di fattispecie non applicabile allâacquisto di un diritto reale in re aliena, in quanto difetta la non emendabile trasformazione del suolo in una componente essenziale dellâopera pubblica. Infine, la norma censurata differisce il prodursi dellâeffetto traslativo al momento dellâatto di acquisizione. Si tratta di elementi di sicuro rilievo e qualificanti, i quali dimostrano che la norma in esame non solo è marcatamente innovativa rispetto al contesto normativo positivo di cui era consentito un mero riordino, ma neppure è coerente con quegli orientamenti di giurisprudenza che, in via interpretativa, erano riusciti a porre un certo rimedio ad alcune gravi patologie emerse nel corso dei procedimenti espropriativi. Siffatto carattere della norma impugnata trova conferma significativa nella circostanza che, secondo la giurisprudenza di legittimità, in materia di occupazione di urgenza, la sopravvenienza di un provvedimento amministrativo non poteva avere unâefficacia sanante retroattiva, determinata da scelte discrezionali dellâente pubblico o dai suoi poteri autoritativi. Nel regime risultante dalla norma impugnata, invece, si prevede un generalizzato potere di sanatoria, attribuito alla stessa amministrazione che ha commesso l'illecito, a dispetto di un giudicato che dispone il ristoro in forma specifica del diritto di proprietà violato. Il legislatore delegato, in definitiva, non poteva innovare del tutto ed al di fuori di ogni vincolo alla propria discrezionalità esplicitamente individuato dalla legge-delega. Questa Corte ha in proposito affermato, infatti, che, per quanta ampiezza possa riconoscersi al potere di riempimento del legislatore delegato, «il libero apprezzamento» del medesimo «non può mai assurgere a principio od a criterio direttivo, in quanto agli antipodi di una legislazione vincolata, quale è, per definizione, la legislazione su delega» (sentenze n. 340 del 2007 e n. 68 del 1991). In contrario, non giova dedurre, come sostenuto dallâAvvocatura dello Stato, che il legislatore delegato abbia inteso tenere conto delle censure mosse dalla giurisprudenza di Strasburgo alla pratica delle espropriazioni «indirette». Indipendentemente sia da ogni considerazione relativa al fatto che ciò non era contemplato nei principi e criteri direttivi di cui al più volte citato art. 7 della legge n. 50 del 1999, sia dal legittimo dubbio quanto alla idoneità della scelta realizzata con la norma di garantire il rispetto dei principi della CEDU, che in questa sede non è possibile sciogliere, quella prefigurata costituisce soltanto una delle molteplici soluzioni possibili. Il legislatore avrebbe potuto conseguire tale obiettivo e disciplinare in modi diversi la materia, ed anche espungere del tutto la possibilità di acquisto connesso esclusivamente a fatti occupatori, garantendo la restituzione del bene al privato, in analogia con altri ordinamenti europei. E neppure è mancato qualche rilievo in questo senso della Corte di Strasburgo, la quale, infatti, sia pure incidentalmente, ha precisato che lâespropriazione indiretta si pone in violazione del principio di legalità, perché non è in grado di assicurare un sufficiente grado di certezza e permette allâamministrazione di utilizzare a proprio vantaggio una situazione di fatto derivante da «azioni illegali», e ciò sia allorchè essa costituisca conseguenza di unâinterpretazione giurisprudenziale, sia allorchè derivi da una legge â" con espresso riferimento allâarticolo 43 del t.u. qui censurato â", in quanto tale forma di espropriazione non può comunque costituire unâalternativa ad unâespropriazione adottata secondo «buona e debita forma» (Causa Sciarrotta ed altri c. Italia â" Terza Sezione â" sentenza 12 gennaio 2006 â" ricorso n. 14793/02). Anche considerando la giurisprudenza di Strasburgo, pertanto, non è affatto sicuro che la mera trasposizione in legge di un istituto, in astratto suscettibile di perpetuare le stesse negative conseguenze dellâespropriazione indiretta, sia sufficiente di per sé a risolvere il grave vulnus al principio di legalità. Alla stregua dei rilievi svolti, va dichiarata lâillegittimità costituzionale dellâintero art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001, poiché la disciplina inerente allâacquisizione del diritto di servitù, di cui al comma 6 bis, appare strettamente ed inscindibilmente connessa con gli altri commi, sia per espresso rinvio alle norme fatte oggetto di censura, sia perché ne presuppone lâapplicazione e ne disciplina ulteriori sviluppi applicativi (cfr. sentenza n. 18 del 2009). 9.â" La pronuncia di illegittimità costituzionale con riferimento allâart. 76 Cost., determina lâassorbimento delle questioni poste con riferimento agli artt. 3, 24, 42, 97, 113 e 117, primo comma, Cost. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara lâillegittimità costituzionale dellâarticolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità). Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 ottobre 2010. F.to: Francesco AMIRANTE, Presidente Giuseppe TESAURO, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria l'8 ottobre 2010. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA | |
Da: x x COAIII/COAIV | 23/10/2010 00:21:17 |
stanca, mezza pagina sulle espropriazioni non basta nemmeno per l'esame universitario di diritto amministrativo. Sul Simone grande sono 100 pagine. | |
Da: x stanca | 23/10/2010 00:28:13 |
stanca non ti avvilire...non è un concorso in magistratura...credo sia più importante avere chiari gli istituti...la corsa all'ultima sentenza può essere apprezzata..farà avere un voto in più...ma non credo che sia decisiva per il superamento del concorso... | |
Da: me lo auguro | 23/10/2010 00:45:17 |
se dobbiamo sapere anche le sentenze................allora dateci 6 mesi di tempo | |
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