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15 dicembre 2016: Atto giudiziario PENALE
461 messaggi, letto 42403 volte

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Da: Studemo15/12/2016 17:58:06
sapete a che ora conclude napoli?
Rispondi

Da: Esaminare 15/12/2016 18:01:32
Ahahahahahahah ergo io concordo una rapina a volto coperto con Caio...faccio il palo ALLA ENORME DISTANZA DI 200 METRI (sottolineo 200 metri non kilometri) E SECONDO TE SICCOME SEMPRONIO È MIOPE E NON SI ACCORGE DELLA MIA PRESENZA MASCHERATA TANTO DA NON POTERLO COSÌ INTIMORIRE...IO PALO COMPIO UNA RAPINA SEMPLICE E NON AGGRAVATA STRAVOLGENTO TUTTI I DETTAMI SUL CONCORSO!!! Divertente come barzelletta! 😂😂😂
Rispondi

Da: Aiutante15/12/2016 18:02:41
Esaminare, i clienti per certe spiegazioni pagano!
Pagare moneta, vedere cammello!
Rispondi

Da: Esaminare 15/12/2016 18:03:58
Per queste argomentazioni io pagherei Walt Disney che di sicuro mi renderebbe il tutto più fantastico 😂😂😂
Rispondi

Da: Aiutante15/12/2016 18:08:19
Facciamo cosi, visto che a Natale siamo tutti più buoni.
Art. 118 C.P.!
Rispondi

Da: Berne 15/12/2016 18:09:43
Dove è scritto nella traccia che Tizio è stato visto dalla vittima? Pazienza è un soggetto irrecuperabile, considerando la sua preparazione sarà un avvocato di successo con Rolex al polso e Hogan ai piedi …con una monomania per Walt Disney a quanto pare, di cui ambirebbe a sceneggiare qualche nuova produzione considerando la fantasia che denota nell'interpolare (aggiornare elenco) il testo della traccia.
Rispondi

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Da: Esaminare 15/12/2016 18:13:39
Appuntooooo non c'è scritto ne che sempronio non vede tizio ne che lo vede!!! Che cavolo ne sai tu che poni il volto coperto alla pari di una festa in maschera!!! Comunque basta!
Rispondi

Da: Aiutante15/12/2016 18:17:41
Appunto! Quale situazione migliore per un difensore?
Nel dubbio, avanzo questa tesi.
Esaminare, spero tu abbia fatto pratica civile!
Rispondi

Da: Esaminare 15/12/2016 18:20:25

inserito in Diritto&Diritti nel ottobre 2004

VI LASCIO UNA BELLA FAVOLA SUL CONCORSO...BUONA LETTURA

Il capo III, Tit. IV, libro I del codice penale disciplina il c.d. concorso di persone nel reato, istituto per mezzo del quale si sanziona penalmente il comportamento di due o più soggetti che concorrono nel medesimo reato.

La norma cardine del sistema normativo relativo al concorso di persone nel reato è lÂ'art. 110 c.p.

La funzione di tale disposizione, indicata significativamente come Â"clausola di estensione della tipicitàÂ", è quella di rendere tipici degli atti o delle condotte che, di per sé, sarebbero atipici e penalisticamente irrilevanti (lÂ'esempio tradizionale è quello di una rapina perpetrata da più soggetti in concorso tra loro: in assenza della clausola ex art. 110 c.p., il comportamento del c.d. Â"paloÂ", il soggetto che controlla la situazione mentre i compartecipi compiono materialmente la rapina, sarebbe lecito e penalmente irrilevante, pur essendo di solare evidenza lÂ'importanza della sua opera di sorveglianza sul corretto andamento dellÂ'azione delittuosa).

In prima battuta, è possibile affermare che le forme di manifestazione del concorso di persone nel reato sono fondamentalmente due: il concorso materiale e il concorso morale.

Il concorso materiale consiste nel porre in essere uno o più atti materiali che contribuiscono causalmente alla realizzazione dellÂ'evento (è il caso, ad esempio, della rapina perpetrata da più soggetti dei quali lÂ'uno si occupa della minaccia o violenza alla persona vittima del delitto, lÂ'altra procede alla materiale apprensione della cosa mobile altrui, e lÂ'altra ancora controlla dallÂ'esterno lÂ'operazione criminosa).

Il concorso morale, invece, si verifica allorquando si fa sorgere o si rafforza lÂ'altrui proposito criminoso (si pensi, ad esempio, a chi istiga un determinato soggetto a commettere un furto o, addirittura, al caso del Â"mandanteÂ" di un omicidio).

Delicati problemi si pongono, poi, in relazione alla individuazione dellÂ'elemento psicologico e del nesso di causalità nel concorso di persone nel reato e, segnatamente, nel concorso morale.

Escluso pacificamente il concorso colposo nel delitto doloso (argomentato dal combinato disposto degli artt. 42, c. 2° e 113 c.p.) (1), con riferimento al concorso doloso nel delitto doloso è dÂ'uopo rilevare che il dolo (di concorso) si atteggia come previsione e volontà di collaborare allÂ'altrui azione criminosa; il nesso di causalità, poi, si configura in modo diverso rispetto alla fattispecie monosoggettiva, dovendo lÂ'azione (in caso di concorso) portare un contributo causale anche minimo alla realizzazione dellÂ'evento.

Incertezze interpretative di non poco momento sorgono allorquando si cerchi di tracciare i confini tra il concorso di persone nel reato (con particolare riguardo al concorso morale) e la c.d. connivenza mera.

In via di prima approssimazione, si può affermare che la connivenza si verifica tutte le volte in cui un soggetto assiste passivamente alla commissione di un reato, quindi non ponendo in essere alcun contributo materiale o morale alla realizzazione dellÂ'evento, né manifestando approvazione o disapprovazione rispetto allÂ'azione criminosa.

In altri termini, il Â"conniventeÂ" assiste in totale indifferenza allÂ'actio sceleris.

Il problema, di non poco rilievo pratico, è stato risolto in giurisprudenza seguendo fondamentalmente due strade: quella del concorso nel reato mediante omissione, e quella del concorso morale.

LÂ'orientamento giurisprudenziale che ha ricondotto la connivenza al concorso omissivo ha utilizzato la categoria generale del reato omissivo improprio.

Come è noto, il reato omissivo improprio nasce dalla combinazione dellÂ'art. 40, c. 2° c.p. (c.d. Â"clausola di equivalenzaÂ") con le diverse norme di parte speciale che contemplano le singole fattispecie criminose convertibili (e, qui, si potrebbero rammentare le diverse impostazioni della dottrina che ritiene convertibili in reati omissivi impropri solo le fattispecie di reato di evento a forma libera; e della giurisprudenza che, invece, ritiene convertibili anche i reati di pura condotta e i reati di evento a forma vincolata, ma lÂ'analisi specifica della tematica appena accennata esula dal piano della presente opera) (2).

Ora, a prescindere dalla tesi che si accolga in ordine alla natura giuridica dei reati passibili di conversione nella forma omissiva ex art. 40 cpv. c.p., è sempre e comunque necessaria la sussistenza in capo al soggetto attivo del reato di un obbligo giuridico di impedire lÂ'evento: trattasi del c.d. Â"obbligo di garanziaÂ".

La dottrina prevalente ritaglia allÂ'interno della generale categoria dellÂ'obbligo di garanzia le due figure dellÂ' obbligo di protezione (inteso come obbligo di protezione di determinati beni giuridici da tutte le possibili fonti di pericolo che possano minacciarne lÂ'integrità), e dellÂ' obbligo di controllo (di determinate fonti di pericolo, al fine di evitare che esse offendano beni giuridicamente tutelati).

Nella selezione degli obblighi di garanzia la cui violazione consente lÂ'affermazione di responsabilità penale risulta ormai pacificamente accolta la c.d. Â"teoria mistaÂ" (in base alla quale può dirsi che su un soggetto gravi un obbligo di garanzia solo ove questo derivi da una fonte formale -ad esempio, la legge o un contratto- e vi sia la effettiva presa in carico del bene).

Ciò premesso, la giurisprudenza riconosce la responsabilità a titolo di omissione solo ove il soggetto gravato dallÂ'obbligo di garanzia sia titolare di reali poteri impeditivi dellÂ'evento e, dunque, sia effettivamente in grado di intervenire per interrompere la serie causale che sfocia nella produzione dellÂ'evento.

Occorre adesso analizzare qual è stata lÂ'evoluzione giurisprudenziale (e dottrinale) nellÂ'applicazione di tali coordinate interpretative alla connivenza intesa come concorso omissivo nel reato.

Parte della giurisprudenza (minoritaria e risalente) ha ritenuto applicabile il concorso omissivo nel caso della connivenza tentando di reperire un obbligo di garanzia in capo al soggetto che passivamente assiste alla perpetrazione di un reato, argomentando fondamentalmente dallÂ'art. 2 Cost., e facendo leva, quindi, sul generale dovere inderogabile di solidarietà sociale, che imporrebbe sempre un intervento al fine di impedire il compimento di reati altrui.

La giurisprudenza prevalente critica lÂ'orientamento testé enunciato, sostenendo lÂ'estrema genericità del riferimento allÂ'obbligo di garanzia ex art. 2 Cost.

Tale orientamento ritiene che, nel caso di connivenza, non sia possibile accedere alla tesi del concorso omissivo proprio perché, per i cittadini, manca un obbligo di garanzia generalizzato di impedire gli altrui reati (3); e, fra lÂ'altro, perché in virtù del comportamento passivo lÂ'agente non arreca alcun contributo alla realizzazione del fatto attraverso il sostegno allÂ'altrui condotta criminosa (4).

Anche la dottrina, quasi unanime, pare poi accedere allÂ'orientamento da ultimo esaminato.

Si argomenta, in primo luogo, dal disposto degli artt. 52 (e 54 c.p.) e, quindi, in generale, dalla figura del Â"soccorso difensivoÂ": esso è chiaramente facoltativo, e non obbligatorio, valendo soltanto a scriminare il fatto delittuoso commesso per la necessità di difendere un diritto altrui contro il pericolo attuale di unÂ'offesa ingiusta (o per salvare altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona).

In secondo luogo, si argomenta, a contrario, dalla presenza di norme che sanciscono specifici obblighi impeditivi a carico di soggetti ben determinati (ad esempio, le forze dellÂ'ordine), talora anche autonomamente sanzionati (come, ad esempio, nellÂ'art. 484 c.p.), nonché dal fatto che il privato, esclusi taluni casi particolari e di stretta interpretazione (artt. 364, 652, 709 c.p.), ha soltanto la facoltà di cooperare ai fini di polizia (5).

Si sottolinea come specifici obblighi impeditivi di determinati reati siano poi previsti dalla legge o contratto a carico di particolari categorie di soggetti (titolari di un potere di educazione, istruzione, cura, custodia; amministratori di società, guardie giurate).

Ritenuta, dunque, non condivisibile lÂ'interpretazione della connivenza in caso di concorso omissivo, si è battuta la via del concorso morale.

Gli orientamenti giurisprudenziali che hanno affrontato il problema della connivenza in termini di concorso morale sono essenzialmente tre.

Una parte della giurisprudenza è per la positiva.

Si dice che il semplice assistere passivamente alla perpetrazione di un reato, pur senza contribuirvi materialmente o moralmente, è idoneo, in quanto tale, a rafforzare il proposito criminoso del soggetto agente il quale trae maggior sicurezza e determinazione dalla presenza di un altro soggetto che non interviene o comunque non manifesta la propria disapprovazione.

Si richiama fondamentalmente il generico dovere di solidarietà sociale già utilizzato dai sostenitori della tesi del concorso omissivo.

Altra parte della giurisprudenza, invece, sostiene lÂ'impossibilità di configurare un concorso morale nel caso di connivenza.

In tal senso si sottolinea, in primis, che lÂ'atteggiamento del connivente è, di per sé, neutro, e, in secondo luogo, che, per aversi responsabilità a titolo di concorso morale, è pur sempre necessario un contributo causale alla realizzazione dellÂ'evento, nella forma dellÂ'effettivo rafforzamento dellÂ'altrui proposito criminoso.

In altri termini, è necessario che vi sia unÂ'incidenza, per quanto minima, sulla sfera psicologica del soggetto agente, sì da potersi parlare di contributo causale allÂ'azione criminosa.

Un terzo orientamento giurisprudenziale, prevalente e condivisibile, sostiene che, in realtà, il problema della connivenza come forma di manifestazione del concorso di persone nel reato non possa essere risolto in astratto, ma occorre compiere, ogni volta, una valutazione del caso concreto.

In tal senso si è rilevato che la presenza sul luogo del fatto può assumere rilevanza penale quando la stessa influisca sulla condotta dellÂ' esecutore materiale rafforzandone la volontà o accrescendo il senso di sicurezza dello stesso (6).

In tali casi, si è detto, non rileva il fatto oggettivo della presenza sul luogo del fatto, di per sé scarsamente significativo, bensì lÂ'effetto che quella presenza abbia determinato sul soggetto agente o rafforzandone il proposito criminoso, o assicurandogli maggiore sicurezza, così favorendo la consumazione del reato ed incidendo indirettamente sulla sua realizzazione.

Si è infine osservato che Â"di fronte ad un comportamento meramente omissivo o alla presenza dellÂ'imputato allÂ'ideazione, preparazione o esecuzione del delitto, il giudice deve valutare con rigore logico il comportamento dellÂ'imputato onde cogliere gli aspetti sintomatici atti a giustificare la condotta del presunto concorrente come partecipazione criminosa piuttosto che semplice connivenza o mera adesione morale; non può però non ritenersi partecipe colui che manifesta anche tacitamente la sua adesione volontaria allÂ'altrui piano criminoso, anche quando la realizzazione di questo abbia inizio prima che ne venisse a conoscenza, ma sia ancora in corso –è lÂ'ipotesi del reato permanente, che postula il protrarsi nel tempo della condotta criminosa; esplichi una qualsiasi attività, nellÂ'ambito della realizzazione collettiva, che si esaurisca in un rafforzamento della volontà dei compartecipi di commettere il delitto o in un contributo, qualunque ne sia la natura e lÂ'incidenza, nellÂ'eziologia e nella dinamica, nella consumazione collettiva del reatoÂ" (7).

Questa giurisprudenza precisa inoltre che: Â"1) spetta al giudice del merito indicare il rapporto di causalità efficiente tra lÂ'attività incentivante del concorso morale e quella posta in essere dallÂ'autore materiale del reato (8); 2) la semplice presenza inattiva od anche la sola connivenza oppure il non aver impedito la consumazione del reato non costituiscono concorso morale, di cui allÂ'art. 110 c.p., poiché questo richiede almeno il volontario rafforzamento, il contributo ideologico o, quantomeno, unÂ'incidenza nel determinismo psicologico dellÂ'autore del reatoÂ" (9).

A ben vedere, vi possono essere delle situazioni nelle quali lÂ'assistere passivamente alla perpetrazione di un reato, senza alcun cenno di approvazione o disapprovazione, e in totale indifferenza, può effettivamente rafforzare lÂ'altrui proposito criminoso.

LÂ'esempio tradizionale è calzante: si pensi al soggetto che compie un delitto in presenza di un proprio amico il quale, notoriamente, esercita su di lui un potere notevole di influenza.

Ebbene, in tal caso, non sembra possa escludersi la responsabilità del soggetto connivente, notoriamente influente sulla sfera psichica del soggetto agente.

Quindi, in ultima analisi, pare doversi riconoscere la responsabilità penale per concorso morale, nella forma della connivenza, del soggetto che assiste passivamente alla perpetrazione del reato da parte di un altro soggetto sul quale il primo potrebbe ben esercitare la propria influenza.

Ovviamente, in tale situazione, sarà necessario che il connivente sia consapevole del potere di influenza sullÂ'agente e, ciononostante, non si attivi per impedire lÂ'evento.

In altri termini, sarà necessario un accertamento particolarmente rigoroso sia della sussistenza del nesso di causalità (verificando se effettivamente vi fosse un potere di influenza del connivente sullÂ'agente e, quindi, se la sua presenza sul luogo del reato sia valso quale contributo causale rilevante, rafforzando lÂ'altrui proposito criminoso); sia dellÂ'elemento psicologico, nella forma del dolo di concorso, e quindi se il connivente abbia effettivamente voluto portare il suo contributo alla realizzazione dellÂ'azione delittuosa, abbia effettivamente voluto partecipare allÂ'azione semplicemente assistendo alla stessa ed essendo consapevole della possibilità di esercitare un potere di influenza sul soggetto che gli avrebbe consentito, in ultima analisi, di impedire la prosecuzione dellÂ'azione.

LÂ'esempio non è di scarso rilievo pratico.

Si potrebbe infatti pensare a tutte le ipotesi in cui un soggetto, affetto da stati oligofrenici o da sindromi da personalità dipendente, tali da non escludere o scemare la capacità di intendere e di volere e quindi perfettamente imputabile, o in preda a stati emotivi o passionali, commette un reato in presenza di una persona (rectius: della persona) dalla quale dipenda a livello psichico o alla quale sia morbosamente legato e che quindi possa interpretare lÂ'atteggiamento inerte ed indifferente di questÂ'ultimo come una sorta di tacita approvazione.

Un ultimo rilievo sÂ'impone.

In molti dei casi affrontati dai giudici di merito e di legittimità, pur nella ritenuta inconfigurabilità di un concorso morale a carico del soggetto mero connivente, si è molte volte concluso per la responsabilità penale dello stesso a titolo di omissione di soccorso, ai sensi dellÂ'art. 593, comma 2° c.p.

In altri termini, si è concluso nel senso che Â"la condotta omissiva del soggetto che assiste passivamente alla commissione di un delitto, in totale indifferenza, non ponendo in essere alcun contributo materiale o morale alla realizzazione dellÂ'evento, né manifestando approvazione o disapprovazione rispetto allÂ'azione criminosa, integra tanto lÂ'elemento oggettivo, ossia lÂ'essersi trovato al cospetto di una persona ferita o altrimenti in pericolo, quanto il dolo, cioè lÂ'inosservanza cosciente e volontaria di prestare la dovuta assistenza ovvero di avvisare immediatamente lÂ'autoritàÂ" del reato di cui allÂ'art. 593, comma 2° c.p. (10). Ovviamente, con il venir meno dellÂ'obbligo di prestare assistenza o di dare avviso allÂ'Autorità (e conseguente esenzione da responsabilità ex art. 593, comma 2°c.p.) nel caso in cui il soggetto per la sua età, per le sue condizioni particolari o per altre cause si trovi nellÂ'assoluta impossibilità di adempierlo, e ciò in applicazione del principio generalissimo: ad impossibilia nemo tenetur (11); e con lÂ'ulteriore precisazione che tale obbligo non cessa per il sol fatto che lÂ'adempimento esporrebbe il soggetto ad un pericolo personale, perché la norma contenuta nellÂ'art. 593 c.p., mirando a rafforzare il sentimento della solidarietà umana, eleva il coraggio a dovere giuridico. Il soggetto potrà dunque sottrarsi alla responsabilità solo quando ricorrano gli estremi dello stato di necessità (art. 54 c.p.), e, cioè, quando sia costretto alla omissione dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, non altrimenti evitabile (con questo restando fermo lÂ'obbligo, ove materialmente possibile, di dare immediato avviso allÂ'Autorità).

UnÂ'attenzione particolare ha suscitato, tra gli interpreti, il problema della connivenza degli appartenenti alle forze dellÂ'ordine.

Anche in tal caso la giurisprudenza e la dottrina hanno variamente applicato il paradigma del concorso omissivo e del concorso morale.

Con riferimento alla riconducibilità della connivenza delle forze dellÂ'ordine nellÂ'alveo del concorso omissivo, la giurisprudenza e la dottrina prevalente hanno reperito in capo ai soggetti appartenenti alle Forze dellÂ'ordine un generale obbligo di garanzia di impedire gli altrui reati muovendo dalla interpretazione dellÂ'ordinamento giuridico complessivamente inteso e, segnatamente, dellÂ'ordinamento delle Forze di polizia e dalla stessa funzione istituzionale delle forze dellÂ'ordine: mantenimento dellÂ'ordine pubblico, sicurezza dei cittadini, tutela della proprietà, cura dellÂ'osservanza della legge (art. 1 R.D. 733/1931) e, quindi, in primis, lÂ'impedimento dei reati, motivando anche dal conferimento a tali forze dei poteri giuridici impeditivi (con correlativi mezzi di coazione fisica), che sono la base fondante e specificante dellÂ'obbligo di garanzia.

Diversi gli argomenti addotti a sostegno.

Anzitutto, si è sostenuta la non necessarietà, per la sussistenza dellÂ'obbligo di garanzia, dellÂ'invocata esistenza di un preesistente rapporto di tutela tra garante e garantito, essendo questo richiesto solo per gli obblighi di protezione, non per gli obblighi di controllo, e bastando per lÂ'obbligo di impedimento dei reati la sottoposizione dei soggetti ai poteri giuridici impeditivi, quali i poteri coercitivi delle forze dellÂ'ordine.

In secondo luogo si è valorizzata la specificità dellÂ'obbligo impeditivo de quo, perché desumibile dalla preliminare ed ovvia precisazione che lÂ'obbligo in questione non è lÂ'asserito obbligo, del tutto inesigibile, di tutelare in ogni momento tutti i beni di tutti, ma lÂ'obbligo di impedimento concretamente possibile (ad esempio, dei reati commessi in presenza o, comunque, a conoscenza degli appartenenti alle forze dellÂ'ordine); ancora, si è invocato il dovere della Repubblica di garantire i diritti dellÂ'uomo (art. 2 Cost.), compreso il diritto alla libertà dal crimine, inteso come interesse giuridicamente tutelato in sé, e in quanto strumentale alla tutela di altri fondamentali diritti della persona costituzionalmente garantiti (ad esempio, la libertà personale) (12).

Sottolineando, da ultimo, tutta una serie di conclusioni inaccettabili cui, diversamente opinando, si giungerebbe: a) una sostanziale vanificazione della funzione di tutela dellÂ'ordine pubblico e parificazione delle forze dellÂ'ordine a quella dei semplici cittadini sforniti di poteri impeditivi; b) un sostanziale disarmo delle forze dellÂ'ordine criminogeno perché subito sfruttabile dalla delinquenza; c) lÂ'inaccettabilità da parte del contribuente dei gravosi oneri fiscali per il mantenimento di forze dellÂ'ordine, non tenute, almeno penalmente, a proteggerlo contro i delinquenti (13), e, in tal senso, in controtendenza rispetto al principio generale di cui allÂ'art. 54, comma 2° c.p..

Dottrina minoritaria (14), invece, sostiene lÂ'inconferenza del richiamo alla figura del concorso omissivo non essendovi un generale obbligo di garanzia gravante sugli appartenenti alle Forze dellÂ'ordine e richiedendosi un obbligo specifico di impedire lÂ'evento.

Questa dottrina muove dalla considerazione per cui la funzione di prevenzione che lo Stato esercita a mezzo delle forze dellÂ'ordine, non ha come premessa che tutti i cittadini siano individui irresponsabili, da tenere sotto continuo controllo ricorrendo alla predisposizione di appositi garanti: piuttosto, gli strumenti su cui lo Stato fa affidamento per impedire la commissione di illeciti sono innanzitutto offerti dalle norme penali, alle quali intanto può attribuirsi efficacia deterrente, in quanto si ritiene che i relativi destinatari siano capaci di governare responsabilmente la loro condotta.

Si osserva come il dovere di impedimento dei reati gravante sugli appartenenti alla forza pubblica (art. 1 R.D. 733/1931), o sugli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria sia troppo generico per poter soddisfare realmente quelle caratteristiche di determinatezza e specialità che connotano il rapporto di protezione posto a fondamento della posizione di garanzia.

LÂ'esempio portato da questo orientamento è quello degli agenti di scorta che hanno lÂ'obbligo giuridico specifico di intervenire a tutela dellÂ'incolumità fisica del soggetto scortato.

Altra parte della giurisprudenza ha seguito la via del concorso morale, seppure sostenendo la necessità di una valutazione del caso concreto.

E, allora, si è detto, in tal senso, che può riconoscersi la responsabilità a titolo di concorso morale del soggetto appartenente alle Forze dellÂ'ordine il quale, riconosciuto dal soggetto che commette il delitto, perché ad esempio in divisa, assiste passivamente alla perpetrazione dellÂ'azione criminosa.

In tal caso, si è concluso, lÂ'agente riceve maggior sicurezza dalla presenza dellÂ'appartenente alle forze dellÂ'ordine sul luogo del delitto potendo la sua inerzia essere interpretata come tacita approvazione o come tacita promessa di non intervento o di non denunzia allÂ'Autorità.

Allo stesso modo del caso, più volte affrontato dai giudici di merito, del poliziotto che assistendo ad un pestaggio, lungi dallÂ'intervenire personalmente o sollecitando un intervento dei propri colleghi, sempre possibile, si limiti ad osservare passivamente e ad allontanarsi dalla scena del commesso reato, ingenerando negli autori dello stesso il convincimento dellÂ'impunità.

Su tale via, autorevole dottrina (15) suggerisce lÂ'utilizzo di determinati criteri alla stregua dei quali apprezzare, in termini di concorso morale, la semplice presenza sul luogo del reato di un appartenente alle forze dellÂ'ordine: la visibilità dello stesso da parte degli esecutori del reato; la riconoscibilità, da parte di costoro, della sua funzione istituzionale (ad esempio, dalla divisa indossata e dalle armi dÂ'ordinanza); un atteggiamento comunicante una pur se tacita approvazione o una tacita promessa di non intervento.

Ne deriva, in ultima analisi, che, mentre devono ritenersi compartecipi del reato il carabiniere che non impedisce il ferimento sotto i suoi occhi, il poliziotto che non interviene per fermare la violenta aggressione sessuale ai danni di una fanciulla da parte del bruto, lÂ'appartenente alla Guardia di Finanza che non impedisce uno dei reati di contrabbando previsti nella legislazione speciale, non soggiace a pena, in linea di principio, il semplice cittadino che rimane spettatore dinanzi alla perpetrazione di un reato (fermo restando lÂ'apprezzamento, da parte del giudice del caso concreto, della mera connivenza in termini di concorso morale) .
Rispondi

Da: Berne 15/12/2016 18:22:34
A parte che il fatto descritto nella traccia autorizza a ritenere molto plausibile che la vittima non abbia visto Tizio. Prova a mettere duecento passi uno in fila all'altro (circa 200 metri, preciso perché è il caso) e pensa se la vittima che chiude il negozio riesce a percepire che a quella distanza, in mezzo a una strada (non la Valle della Morte) vi è un soggetto con il volto travisato correo di chi fra poco lo aggredirà.
In ogni caso, anche se questo patente rilievo fosse di meno palmare evidenza che fai? In dubio contra reo?? Spero davvero che tu non faccia il penalista o peggio sia un giudicante.
Rispondi

Da: Bhooo:)15/12/2016 18:26:23
Finito a Napoli???
Rispondi

Da: Esaminare 15/12/2016 18:27:17
Io spero invece che chi ha sostenuto l'esame non abbia scritto le vostre considerazioni in merito alla riqualificazione! L'unico dato certo è che VISTO o non VISTO da sempronio, TIZIO RISPONDE DI RAPINA AGGRAVATA ALLA STREGUA DI CAIO!
Rispondi

Da: Berne 15/12/2016 18:33:42
Chissà quanto paghi di assicurazione professionale avrai un massimale di almeno euro  1.000.000,00 … non sei stato in grado di opporre un argomento valido, solo di recitare la noiosa filastrocca, TIZIO RISPONDE DI RAPINA AGGRAVATA ALLA STREGUA DI CAIO!

Rispondi

Da: Esaminare 15/12/2016 18:46:13
Berne non posso fare a meno di ridere!!! Perché secondo te argomentando la riqualificazione in quel modo c'erano possibilita' che la Corte di Appello ti desse credito??? Era un motivo per riempire la prima pagina dell'atto tutto qua! Statevi bene!
Rispondi

Da: Berne 15/12/2016 18:47:59
Non ci arrivi proprio … pazienza, vivrai sicuramente felice ponendoti poche domande.
Rispondi

Da: sa 15/12/2016 18:54:31
Napoli ha finito? ??
Rispondi

Da: spiegatemi 15/12/2016 19:33:04
come fate a  portare il telefono dentro:):)
Rispondi

Da: PaoloAvv15/12/2016 19:43:42
Per cortesia sapete dirmi se Napoli ha finito?





Rispondi

Da: biodog 15/12/2016 19:54:11
no sono ancora dentro e li faranno uscire per la sera del 24
Rispondi

Da: PaoloAvv15/12/2016 19:55:35
Bene bene il capitone lo mangiano a casa.
Rispondi

Da: Esaminare 15/12/2016 20:15:48
Come godo nel vedere che, nelle soluzioni proposte dai siti giuridici, non c'è nemmeno l'ombra della riqualificazione del reato da rapina aggravata a rapina semplice per Tizio. Ahahahahahahah
Rispondi

Da: Esaminare 15/12/2016 20:18:28
Berne ti hanno risposto i siti! Ma naturalmente la tua idea è la più giusta! 😂😂😂
Rispondi

Da: biodog 15/12/2016 20:32:12
io l'avevo detto di farlo da solo...e di non ascoltare gli altri...
Rispondi

Da: Berne  15/12/2016 21:22:39
Chi scrive per questi siti De Marsico, Gallo??? Io ragiono con la mia testa non ho bisogno di placet dalle soluzioni offerte dai siti che, in linea di principio, prospettano opzioni basilari. Quelli che delegano agli altri non sanno fare da sè e ne ho compassione.
Rispondi

Da: Esaminare 15/12/2016 22:06:06
Conosci tanti paroloni ma ti è sconosciuta la parola UMILTA'! Secondo te solo De Marsico avrebbe potuto dare una opinione meritevole di considerazione sull'atto? Oppure Gallo??? Ma per favoreeee ammetti l'increscioso errore in cui sei incappato e basta! Sei convinto come un mulo del tuo personalissimo ragionamento privo, però, di alcun sostegno giuridico! Qualcuno non meno importante di un De Marsico una volta ha detto "solo gli stupidi non cambiano idea"! Ciaoooo
Rispondi

Da: Berne  15/12/2016 22:15:01
Le mie ragioni giuridiche le ho espresse a più riprese, solo che tu non le hai capite e allora pensi siano infondate. Pecchi di un'autoreferenzialità che non trova alcun riscontro. Basta leggere i tuoi post: scipiti, puerili e giuridicamente inani.
Rispondi

Da: Esaminare 15/12/2016 22:20:35
Ahahahahahahah io non ho capito LE TUE MOTIVAZIONI GIURIDICHE??? IO E ALTRI AVVOCATI CHE LAVORANO PER SITI GIURIDICI SUI QUALI TU STESSO COME AVVOCATO SPERO ATTINGA NOTIZIE NON ABBIAMO CAPITO LE TUE MOTIVAZIONI GIURIDICHE???Ma di che parliamo???? La verità è che motivazioni giuridiche sul punto è nel caso in esame NON ESISTEVANO! Fattene una ragione!!! Fossi in te chiederei a De Marsico cosa ne pensa della tue idee sul punto...dai fai divertire anche lui!!!
BUON NATALEEEE
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Da: Berne  15/12/2016 22:24:50
De Marsico è morto ...Poveretto, devi proprio ripartire dall'ABC. Rapina semplice per Tizio, fattene una ragione.
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Da: Aiutoooooo 15/12/2016 22:25:10
Su Berne ammetti l'errore e basta! Tutti possiamo sbagliare anche se...è più grave se fai sbagliare gli altri che ti hanno dato credito non capendo una ceppa di diritto. 😆
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Da: Esaminare 15/12/2016 22:26:18
Pace all'anima sua che si starà rivoltando nella tomba a leggere ciò che scrivi!
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