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CONCORSO INPS - 30 INFORMATICI
8576 messaggi, letto 350446 volte

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Da: flscmott12/06/2010 12:11:09
27+27+27= 81
Rispondi

Da: Lotlorien12/06/2010 18:46:53
N. Partecipanti = 35

1) Syd                              27+28+30= 85
2) Ines                             27+28+29=84
3) Nozic                           28+27+28=83
4) 19122011                    26+27+29=82
4) oscar                           27+26+29=82
6) Filoforo (bella scoperta) 27+26+28=81
6) REF                              27+28+26=81    
6) flscmott                        27+27+27=81              
9) stesso dì di nap81          54 + 26 = 80
9) stesso dì di Lucigilo        53 + 27 = 80
9) Mammotta                    26+27+27=80
12) stva                            26+25+28=79
12) Yfrag                          27+27+25=79
14) cargamagno                27+26+25=78
14) nap81                         26+26+26=78
14) Lorenzo                       26+26+26=78
17) Nino                            24+27+26=77
18) Lucigilo                        25+25+26=76
18) Golden                         26+27+23=76
20) Lotlorien                       23+25+27=75
21) ormai è fatta                 22+24+28=74
21) coraggio                       22+26+26=74
21) Furious                         24+24+26=74
24) Jworld                          25+25+23=73
24) giovanni                       25+21+27=73
26) indeciso_mi_roma         22+25+25=72
26) infinito                         23+23+26=72
28) tindy23                        21+23+27=71
29) Marco                          22+24+24=70
29) Ema                            21+24+25=70
31) Trimamma                   21+23+25=69
32) svx                              22+22+24=68
33) jirochan                       21+22+24=67
33) pippi                           22+22+23=67
35) milox com                   21+21+24=66
Rispondi

Da: Lotlorien12/06/2010 18:49:22
Ringrazio "colleghi meschini" per avermi scelta come sua collega ideale ;)
Io continuo a sperare che ci sia la possibilità di essere assunti tutti, prima o poi.. :)
Rispondi

Da: Garfield12/06/2010 19:40:04
Gap, permettimi un pronostico...
a meno che tu non faccia scena muta, prenderai 27.
Rispondi

Da: x Garfield12/06/2010 23:10:50
se Gap prenderà 27 vorrà dire che è più preparato di chi ha preso 25.
Ti è chiaro?
Rispondi

Da: non credo12/06/2010 23:23:26
x "x garfield": non sempre funziona così cmq onore al merito... se c'è!!!
Rispondi

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Da: x Garfield e x non credo12/06/2010 23:48:06
è vero, ha volte chi merita 21 prende 25
Rispondi

Da: x i miscredenti13/06/2010 01:29:13
Forse la commissione semplicemente valuta anche la comprensione o la capacità di saper ragionare sulla domanda, piuttosto che la cantilena imparata a memoria.

Fossi in un datore di lavoro preferirei uno che dimostra di aver capito qual è il problema e di saperlo risolvere (in informatica ed in organizzazione aziendale soprattutto) oppure di sapere come funziona un principio di diritto, piuttosto che uno che ha imparato il codice civile a memoria.

Le cose imparate a memoria dopo un mese si dimenticano, mentre una persona intelligente, solitamente rimane intelligente e si dimostrerà utile.

Per avere il CC bastano 15€ ed una libreria o google, non un funzionario.

Tra l'altro chi fa l'informatico veramente, ha solitamente poca memoria e molta capacità nel problem solving, perché ha la "cattiva" abitudine di risolvere i problemi una volta, e non ripetere a memoria le cose che può ottenere in 2 secondi in rete.

Wikipedia si scarica in meno di 2 GB, oggi stanno tranquillamente in un cellulare di fascia bassa.

Tutto questo per dire che magari certe valutazioni si capiscono meglio sotto quest'ottica, e credo che la commissione faccia bene a ragionare in questa maniera.
Rispondi

Da: bravo13/06/2010 01:57:06
quotabile.
Rispondi

Da: Garfeld13/06/2010 11:11:07
Stimo molto i vari mister "x" per il coraggio di "esporsi" con un nick unico e coerente.
Del resto capisco anche che, chi è consapevole delle proprie minchiate, è costretto a cambiare costantemente nick.
Beh...complimenti per il coraggio e la forze delle vostre idee!!!

A "x Garfield", il mancato uso del condizionale rende quanto meno idiota la tua affermazione.
Ma forse volevi impressionarmi? O, molto pù probabilmente, non ti è chiaro l'uso del condizionale?!?! ahahahahah

A "x i miscredenti", sono d'accordo sul fatto che sia meglio capire le cose piuttosto che impararle solamente a memoria.
E fossi io il datore di lavoro mi concentrerei su tante altre capacità oltre a quella mnemonica....ma davvero su tante altre!
Purtroppo, ad un esame orale, non hai la possibilità di leggere wikipedia da uno smartphone etc etc...o tu l'hai fatto???

Il tuo ragionamento sull'informatico "vero", poi, è davvero privo di senso... mi sa che tu sei uno di quelli che vive scopiazzando codice e soluzioni da internet...e chiede costantemente ai colleghi!
questa idea diffusa che "tanto su internet trovi tutto già pronto" è tipico di alcune figure manageriali che di informatica non sanno e non hanno visto un cazzo!
Mi ricordi tanto dei miei colleghi che sono riusciti a farsi collocare in posizioni di responsabilità (il lecchinaggio non mi appartiene!) e poi mi contattavano in chat per chiedermi "ho un problema...come cazzo si fa???" e poi "grazie, grazie, sei un grande!" (mavvaffanculo va!)
Credo invece che tu stia volutamente trascurando il caso di chi, oltre ad aver imparato bene le cose, le ha anche capite!
Mi verrebbe quasi da pensare che il tuo ragionamento sia volto a screditare qualcuno o a tirare l'acqua al suo mulino...ma sono il solito malpensante, vero?

Il problema non è il criterio con cui la commissione giudica ma l'individuazione e l'applicazione uniforme di un criterio, l'onestà delle valutazioni! A me non convince nulla di tutto questo!
Ma sono certo che per te invece è tutto chiaro, no?

Questo non vuol dire che io non riconosca il valore di certe persone anzi, l'ho dichiarato espressamente!
Allo stesso modo non credo alla genialità di tanti altri eccellenti voti!

Ora scusatemi ma devo andare...è terminato il download di wikipedia!!! ;-))))
Rispondi

Da: x i miscredenti13/06/2010 11:20:49
Quando ho scritto che in rete puoi trovare tutto, mi riferivo alle cose da ricordare, non alle soluzioni.

Hai capito male: io intendo proprio dire che la commissione dovrebbe valutare la capacità di problem solving (non di copiare), e la comprensione di quanto c'era da sapere secondo il bando.

Non ha senso sapere a memoria la definizione di qualcosa se poi non la si è capita e non la si sa applicare.

Mi fermo qui, perché con te evidentemente non si può fare un ragionamento senza prendere degli insulti, tralasciando ogni commento sul tuo atteggiamento vittimistico, che non mi interessa.
Rispondi

Da: Garfeld13/06/2010 11:22:04
bene, ciao!
Rispondi

Da: @x i miscredenti13/06/2010 11:50:31
in linea di massima posso essere d'accordo con il tuo ragionamento e spero anche che sia proprio come dici tu visto che ritengo impossibile sapere tutto quello che viene richiesto dal bando, però mi devi spiegare in una domanda del tipo: "Protocollo Slotted Aloha" che tipo di ragionamento o di maturità si va a cercare, o sai come funziona o non lo sai! E a quanto pare lì volevano sapere come funziona non una spiegazione generica, almeno a quanto riportato dall'interessato!
Rispondi

Da: Garfield13/06/2010 12:00:27
@ "@x i miscredenti": grazie per aver fornito l'esempio che chiarisce in maniera brillante la mancanza di un criterio chiaro e uniforme, la mancanza di onestà di cui parlavo ;)
Rispondi

Da: @Garfield13/06/2010 12:04:38
...speriamo di fare ragionamenti brillanti anche all'esame!!! :-))))
Rispondi

Da: x Garfield13/06/2010 12:08:02
io se fossi un datore di lavoro non ti assumerei.
Semplicemente perchè mi stai sulle palle. Certo, il mio è un giudizio soggettivo, ma per me sei simpatico come un'ape nelle mutande.

I tuoi colleghi sono dei lecchini, gli altri concorrenti sono fortunati o raccomandati, gli altri sono fancazzisti ...
A cagare.
Rispondi

Da: x @x i miscredenti13/06/2010 12:09:02
Forse quella domanda non è nemmeno mai stata fatta ed è uno scherzo di qualche bontempone, oppure le domande sono state fatte da altri rispetto alla commissione.
Rispondi

Da: Garfield13/06/2010 12:35:13
@ "x Garfield" (ma mi sembri tanto il solito co*****e)
Per rispetto ai lettori del forum non ti rispondo come vorrei...ma ricambio il tuo caloroso saluto finale! ;-)

Ma soprattutto, Complimenti! hai appena dimostrato di essere idoneo al lavoro di funzionario (oltre che di datore di lavoro!).
Immagino che con i criteri applicati dalla commissione queste tue mirabili doti - la maturità, la capacità di giudizio, la sensibilità, l'imparzialità,.... - siano emerse chiaramente! ahahahah

Impossibile che tu possa essere il mio datore di lavoro: personalmente ho sempre sostenuto che il colloquio è reciproco e io ti sfanculerei in due minuti (come ho già fatto in vita mia) ...nel tuo caso anche meno di due minuti!

Spero davvero che tu possa beccarti un'ape nelle mutande... vedrai come balli la lap dance... ahahahaha
Rispondi

Da: nick13/06/2010 13:49:07
E' confortante sapere che certe cose non cambiano... come il buon Garfield!

Continui a non capire ciò che leggi (come facesti altrove, così continui a fare qui, ad esempio con "x i miscredenti". E con questo non dico che lui/lei avesse ragione, solo che o non leggi gli interventi altrui, oppure come minimo soffri di dislessia).
E pensi di essere tanto intelligente! Ti rifiuti di dare il tuo voto, ma poi sei così furbo da usare il tuo vero anno di nascita nel nick e dire in che giorno hai fatto l'orale, così da renderti perfettamente identificabile, tant'è che già qualcuno "indovinò" il tuo 79 finale.

Chissà come mai non ti è andato bene l'esame?

Di sicuro ammiriamo la coerenza di una persona che qualche mese fa sputava veleno contro chi si auspicava un esame quanto più imparziale e faceva notare che gli esaminatori invece purtroppo usano spesso un criterio soggettivo, mentre oggi...
Rispondi

Da: Garfield13/06/2010 14:13:33
@nick: altro nick altra minchiata....ahahahaha...
Ma un co*****e che cambia vestito è solo un co*****e vestito diversamente!

A differenza di come fai tu (che agisci di stomaco....come le checche) io non ti insulto perché mi stai antipatico... io cerco di aprirti gli occhi... perché la consapevolezza è il primo passo per migliorare.

Ma tu sei come l'uovo sul fuoco....parole buttate al vento!

Copriti bene....ho letto che siamo invasi dalle api!!! ;-)))
Rispondi

Da: x Garfield13/06/2010 14:31:54
ma che cazzo ridi?
sei isterico? mettiti all'ombra, co****ne!
Rispondi

Da: Inferno: Canto IV13/06/2010 14:38:48
  Ruppemi l'alto sonno ne la testa
un greve truono, sì ch'io mi riscossi
come persona ch'è per forza desta;
  e l'occhio riposato intorno mossi,
dritto levato, e fiso riguardai
per conoscer lo loco dov'io fossi.
  Vero è che 'n su la proda mi trovai
de la valle d'abisso dolorosa
che 'ntrono accoglie d'infiniti guai.
  Oscura e profonda era e nebulosa
tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
io non vi discernea alcuna cosa.
  "Or discendiam qua giù nel cieco mondo",
cominciò il poeta tutto smorto.
"Io sarò primo, e tu sarai secondo".
  E io, che del color mi fui accorto,
dissi: "Come verrò, se tu paventi
che suoli al mio dubbiare esser conforto?".
  Ed elli a me: "L'angoscia de le genti
che son qua giù, nel viso mi dipigne
quella pietà che tu per tema senti.
  Andiam, ché la via lunga ne sospigne".
Così si mise e così mi fé intrare
nel primo cerchio che l'abisso cigne.
  Quivi, secondo che per ascoltare,
non avea pianto mai che di sospiri,
che l'aura etterna facevan tremare;
  ciò avvenia di duol sanza martìri
ch'avean le turbe, ch'eran molte e grandi,
d'infanti e di femmine e di viri.
  Lo buon maestro a me: "Tu non dimandi
che spiriti son questi che tu vedi?
Or vo' che sappi, innanzi che più andi,
  ch'ei non peccaro; e s'elli hanno mercedi,
non basta, perché non ebber battesmo,
ch'è porta de la fede che tu credi;
  e s'e' furon dinanzi al cristianesmo,
non adorar debitamente a Dio:
e di questi cotai son io medesmo.
  Per tai difetti, non per altro rio,
semo perduti, e sol di tanto offesi,
che sanza speme vivemo in disio".
  Gran duol mi prese al cor quando lo 'ntesi,
però che gente di molto valore
conobbi che 'n quel limbo eran sospesi.
  "Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore",
comincia' io per voler esser certo
di quella fede che vince ogne errore:
  "uscicci mai alcuno, o per suo merto
o per altrui, che poi fosse beato?".
E quei che 'ntese il mio parlar coverto,
  rispuose: "Io era nuovo in questo stato,
quando ci vidi venire un possente,
con segno di vittoria coronato.
  Trasseci l'ombra del primo parente,
d'Abèl suo figlio e quella di Noè,
di Moisè legista e ubidente;
  Abraàm patriarca e Davìd re,
Israèl con lo padre e co' suoi nati
e con Rachele, per cui tanto fé;
  e altri molti, e feceli beati.
E vo' che sappi che, dinanzi ad essi,
spiriti umani non eran salvati".
  Non lasciavam l'andar perch'ei dicessi,
ma passavam la selva tuttavia,
la selva, dico, di spiriti spessi.
  Non era lunga ancor la nostra via
di qua dal sonno, quand'io vidi un foco
ch'emisperio di tenebre vincia.
  Di lungi n'eravamo ancora un poco,
ma non sì ch'io non discernessi in parte
ch'orrevol gente possedea quel loco.
  "O tu ch'onori scienzia e arte,
questi chi son c'hanno cotanta onranza,
che dal modo de li altri li diparte?".
  E quelli a me: "L'onrata nominanza
che di lor suona sù ne la tua vita,
grazia acquista in ciel che sì li avanza".
  Intanto voce fu per me udita:
"Onorate l'altissimo poeta:
l'ombra sua torna, ch'era dipartita".
  Poi che la voce fu restata e queta,
vidi quattro grand'ombre a noi venire:
sembianz'avevan né trista né lieta.
  Lo buon maestro cominciò a dire:
"Mira colui con quella spada in mano,
che vien dinanzi ai tre sì come sire:
  quelli è Omero poeta sovrano;
l'altro è Orazio satiro che vene;
Ovidio è 'l terzo, e l'ultimo Lucano.
  Però che ciascun meco si convene
nel nome che sonò la voce sola,
fannomi onore, e di ciò fanno bene".
  Così vid'i' adunar la bella scola
di quel segnor de l'altissimo canto
che sovra li altri com'aquila vola.
  Da ch'ebber ragionato insieme alquanto,
volsersi a me con salutevol cenno,
e 'l mio maestro sorrise di tanto;
  e più d'onore ancora assai mi fenno,
ch'e' sì mi fecer de la loro schiera,
sì ch'io fui sesto tra cotanto senno.
  Così andammo infino a la lumera,
parlando cose che 'l tacere è bello,
sì com'era 'l parlar colà dov'era.
  Venimmo al piè d'un nobile castello,
sette volte cerchiato d'alte mura,
difeso intorno d'un bel fiumicello.
  Questo passammo come terra dura;
per sette porte intrai con questi savi:
giugnemmo in prato di fresca verdura.
  Genti v'eran con occhi tardi e gravi,
di grande autorità ne' lor sembianti:
parlavan rado, con voci soavi.
  Traemmoci così da l'un de' canti,
in loco aperto, luminoso e alto,
sì che veder si potien tutti quanti.
  Colà diritto, sovra 'l verde smalto,
mi fuor mostrati li spiriti magni,
che del vedere in me stesso m'essalto.
  I' vidi Eletra con molti compagni,
tra ' quai conobbi Ettòr ed Enea,
Cesare armato con li occhi grifagni.
  Vidi Cammilla e la Pantasilea;
da l'altra parte, vidi 'l re Latino
che con Lavina sua figlia sedea.
  Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,
Lucrezia, Iulia, Marzia e Corniglia;
e solo, in parte, vidi 'l Saladino.
  Poi ch'innalzai un poco più le ciglia,
vidi 'l maestro di color che sanno
seder tra filosofica famiglia.
  Tutti lo miran, tutti onor li fanno:
quivi vid'io Socrate e Platone,
che 'nnanzi a li altri più presso li stanno;
  Democrito, che 'l mondo a caso pone,
Diogenés, Anassagora e Tale,
Empedoclès, Eraclito e Zenone;
  e vidi il buono accoglitor del quale,
Diascoride dico; e vidi Orfeo,
Tulio e Lino e Seneca morale;
  Euclide geomètra e Tolomeo,
Ipocràte, Avicenna e Galieno,
Averoìs, che 'l gran comento feo.
  Io non posso ritrar di tutti a pieno,
però che sì mi caccia il lungo tema,
che molte volte al fatto il dir vien meno.
  La sesta compagnia in due si scema:
per altra via mi mena il savio duca,
fuor de la queta, ne l'aura che trema.
  E vegno in parte ove non è che luca.
Rispondi

Da: Inferno: Canto V13/06/2010 14:39:48
  Così discesi del cerchio primaio
giù nel secondo, che men loco cinghia,
e tanto più dolor, che punge a guaio.
  Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l'intrata;
giudica e manda secondo ch'avvinghia.
  Dico che quando l'anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata
  vede qual loco d'inferno è da essa;
cignesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giù sia messa.
  Sempre dinanzi a lui ne stanno molte;
vanno a vicenda ciascuna al giudizio;
dicono e odono, e poi son giù volte.
  "O tu che vieni al doloroso ospizio",
disse Minòs a me quando mi vide,
lasciando l'atto di cotanto offizio,
  "guarda com'entri e di cui tu ti fide;
non t'inganni l'ampiezza de l'intrare!".
E 'l duca mio a lui: "Perché pur gride?
  Non impedir lo suo fatale andare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare".
  Or incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote.
  Io venni in loco d'ogne luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti è combattuto.
  La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta.
  Quando giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
bestemmian quivi la virtù divina.
  Intesi ch'a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento.
  E come li stornei ne portan l'ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali
  di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena.
  E come i gru van cantando lor lai,
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid'io venir, traendo guai,
  ombre portate da la detta briga;
per ch'i' dissi: "Maestro, chi son quelle
genti che l'aura nera sì gastiga?".
  "La prima di color di cui novelle
tu vuo' saper", mi disse quelli allotta,
"fu imperadrice di molte favelle.
  A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta.
  Ell'è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che 'l Soldan corregge.
  L'altra è colei che s'ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
poi è Cleopatràs lussuriosa.
  Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi 'l grande Achille,
che con amore al fine combatteo.
  Vedi Parìs, Tristano"; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,
ch'amor di nostra vita dipartille.
  Poscia ch'io ebbi il mio dottore udito
nomar le donne antiche e ' cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
  I' cominciai: "Poeta, volontieri
parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggeri".
  Ed elli a me: "Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno".
  Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: "O anime affannate,
venite a noi parlar, s'altri nol niega!".
  Quali colombe dal disio chiamate
con l'ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l'aere dal voler portate;
  cotali uscir de la schiera ov'è Dido,
a noi venendo per l'aere maligno,
sì forte fu l'affettuoso grido.
  "O animal grazioso e benigno
che visitando vai per l'aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
  se fosse amico il re de l'universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c'hai pietà del nostro mal perverso.
  Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che 'l vento, come fa, ci tace.
  Siede la terra dove nata fui
su la marina dove 'l Po discende
per aver pace co' seguaci sui.
  Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
  Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
  Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense".
Queste parole da lor ci fuor porte.
  Quand'io intesi quell'anime offense,
china' il viso e tanto il tenni basso,
fin che 'l poeta mi disse: "Che pense?".
  Quando rispuosi, cominciai: "Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!".
  Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
e cominciai: "Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.
  Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri,
a che e come concedette Amore
che conosceste i dubbiosi disiri?".
  E quella a me: "Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.
  Ma s'a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.
  Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
  Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
  Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
  la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante".
  Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangea; sì che di pietade
io venni men così com'io morisse.
  E caddi come corpo morto cade.
Rispondi

Da: Inferno: Canto VI13/06/2010 14:40:51
  Al tornar de la mente, che si chiuse
dinanzi a la pietà d'i due cognati,
che di trestizia tutto mi confuse,
  novi tormenti e novi tormentati
mi veggio intorno, come ch'io mi mova
e ch'io mi volga, e come che io guati.
  Io sono al terzo cerchio, de la piova
etterna, maladetta, fredda e greve;
regola e qualità mai non l'è nova.
  Grandine grossa, acqua tinta e neve
per l'aere tenebroso si riversa;
pute la terra che questo riceve.
  Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.
  Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e 'l ventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spirti, iscoia ed isquatra.
  Urlar li fa la pioggia come cani;
de l'un de' lati fanno a l'altro schermo;
volgonsi spesso i miseri profani.
  Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
le bocche aperse e mostrocci le sanne;
non avea membro che tenesse fermo.
  E 'l duca mio distese le sue spanne,
prese la terra, e con piene le pugna
la gittò dentro a le bramose canne.
  Qual è quel cane ch'abbaiando agogna,
e si racqueta poi che 'l pasto morde,
ché solo a divorarlo intende e pugna,
  cotai si fecer quelle facce lorde
de lo demonio Cerbero, che 'ntrona
l'anime sì, ch'esser vorrebber sorde.
  Noi passavam su per l'ombre che adona
la greve pioggia, e ponavam le piante
sovra lor vanità che par persona.
  Elle giacean per terra tutte quante,
fuor d'una ch'a seder si levò, ratto
ch'ella ci vide passarsi davante.
  "O tu che se' per questo 'nferno tratto",
mi disse, "riconoscimi, se sai:
tu fosti, prima ch'io disfatto, fatto".
  E io a lui: "L'angoscia che tu hai
forse ti tira fuor de la mia mente,
sì che non par ch'i' ti vedessi mai.
  Ma dimmi chi tu se' che 'n sì dolente
loco se' messo e hai sì fatta pena,
che, s'altra è maggio, nulla è sì spiacente".
  Ed elli a me: "La tua città, ch'è piena
d'invidia sì che già trabocca il sacco,
seco mi tenne in la vita serena.
  Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
per la dannosa colpa de la gola,
come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.
  E io anima trista non son sola,
ché tutte queste a simil pena stanno
per simil colpa". E più non fé parola.
  Io li rispuosi: "Ciacco, il tuo affanno
mi pesa sì, ch'a lagrimar mi 'nvita;
ma dimmi, se tu sai, a che verranno
  li cittadin de la città partita;
s'alcun v'è giusto; e dimmi la cagione
per che l'ha tanta discordia assalita".
  E quelli a me: "Dopo lunga tencione
verranno al sangue, e la parte selvaggia
caccerà l'altra con molta offensione.
  Poi appresso convien che questa caggia
infra tre soli, e che l'altra sormonti
con la forza di tal che testé piaggia.
  Alte terrà lungo tempo le fronti,
tenendo l'altra sotto gravi pesi,
come che di ciò pianga o che n'aonti.
  Giusti son due, e non vi sono intesi;
superbia, invidia e avarizia sono
le tre faville c'hanno i cuori accesi".
  Qui puose fine al lagrimabil suono.
E io a lui: "Ancor vo' che mi 'nsegni,
e che di più parlar mi facci dono.
  Farinata e 'l Tegghiaio, che fuor sì degni,
Iacopo Rusticucci, Arrigo e 'l Mosca
e li altri ch'a ben far puoser li 'ngegni,
  dimmi ove sono e fa ch'io li conosca;
ché gran disio mi stringe di savere
se 'l ciel li addolcia, o lo 'nferno li attosca".
  E quelli: "Ei son tra l'anime più nere:
diverse colpe giù li grava al fondo:
se tanto scendi, là i potrai vedere.
  Ma quando tu sarai nel dolce mondo,
priegoti ch'a la mente altrui mi rechi:
più non ti dico e più non ti rispondo".
  Li diritti occhi torse allora in biechi;
guardommi un poco, e poi chinò la testa:
cadde con essa a par de li altri ciechi.
  E 'l duca disse a me: "Più non si desta
di qua dal suon de l'angelica tromba,
quando verrà la nimica podesta:
  ciascun rivederà la trista tomba,
ripiglierà sua carne e sua figura,
udirà quel ch'in etterno rimbomba".
  Sì trapassammo per sozza mistura
de l'ombre e de la pioggia, a passi lenti,
toccando un poco la vita futura;
  per ch'io dissi: "Maestro, esti tormenti
crescerann'ei dopo la gran sentenza,
o fier minori, o saran sì cocenti?".
  Ed elli a me: "Ritorna a tua scienza,
che vuol, quanto la cosa è più perfetta,
più senta il bene, e così la doglienza.
  Tutto che questa gente maladetta
in vera perfezion già mai non vada,
di là più che di qua essere aspetta".
  Noi aggirammo a tondo quella strada,
parlando più assai ch'i' non ridico;
venimmo al punto dove si digrada:
  quivi trovammo Pluto, il gran nemico.
Rispondi

Da: Inferno: Canto VII13/06/2010 14:42:00
  "   Pape Satàn, pape Satàn aleppe!~",
cominciò Pluto con la voce chioccia;
e quel savio gentil, che tutto seppe,
  disse per confortarmi: "Non ti noccia
la tua paura; ché, poder ch'elli abbia,
non ci torrà lo scender questa roccia".
  Poi si rivolse a quella 'nfiata labbia,
e disse: "Taci, maladetto lupo!
consuma dentro te con la tua rabbia.
  Non è sanza cagion l'andare al cupo:
vuolsi ne l'alto, là dove Michele
fé la vendetta del superbo strupo".
  Quali dal vento le gonfiate vele
caggiono avvolte, poi che l'alber fiacca,
tal cadde a terra la fiera crudele.
  Così scendemmo ne la quarta lacca
pigliando più de la dolente ripa
che 'l mal de l'universo tutto insacca.
  Ahi giustizia di Dio! tante chi stipa
nove travaglie e pene quant'io viddi?
e perché nostra colpa sì ne scipa?
  Come fa l'onda là sovra Cariddi,
che si frange con quella in cui s'intoppa,
così convien che qui la gente riddi.
  Qui vid'i' gente più ch'altrove troppa,
e d'una parte e d'altra, con grand'urli,
voltando pesi per forza di poppa.
  Percoteansi 'ncontro; e poscia pur lì
si rivolgea ciascun, voltando a retro,
gridando: "Perché tieni?" e "Perché burli?".
  Così tornavan per lo cerchio tetro
da ogne mano a l'opposito punto,
gridandosi anche loro ontoso metro;
  poi si volgea ciascun, quand'era giunto,
per lo suo mezzo cerchio a l'altra giostra.
E io, ch'avea lo cor quasi compunto,
  dissi: "Maestro mio, or mi dimostra
che gente è questa, e se tutti fuor cherci
questi chercuti a la sinistra nostra".
  Ed elli a me: "Tutti quanti fuor guerci
sì de la mente in la vita primaia,
che con misura nullo spendio ferci.
  Assai la voce lor chiaro l'abbaia
quando vegnono a' due punti del cerchio
dove colpa contraria li dispaia.
  Questi fuor cherci, che non han coperchio
piloso al capo, e papi e cardinali,
in cui usa avarizia il suo soperchio".
  E io: "Maestro, tra questi cotali
dovre' io ben riconoscere alcuni
che furo immondi di cotesti mali".
  Ed elli a me: "Vano pensiero aduni:
la sconoscente vita che i fé sozzi
ad ogne conoscenza or li fa bruni.
  In etterno verranno a li due cozzi:
questi resurgeranno del sepulcro
col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi.
  Mal dare e mal tener lo mondo pulcro
ha tolto loro, e posti a questa zuffa:
qual ella sia, parole non ci appulcro.
  Or puoi, figliuol, veder la corta buffa
d'i ben che son commessi a la fortuna,
per che l'umana gente si rabbuffa;
  ché tutto l'oro ch'è sotto la luna
e che già fu, di quest'anime stanche
non poterebbe farne posare una".
  "Maestro mio", diss'io, "or mi dì anche:
questa fortuna di che tu mi tocche,
che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?".
  E quelli a me: "Oh creature sciocche,
quanta ignoranza è quella che v'offende!
Or vo' che tu mia sentenza ne 'mbocche.
  Colui lo cui saver tutto trascende,
fece li cieli e diè lor chi conduce
sì ch'ogne parte ad ogne parte splende,
  distribuendo igualmente la luce.
Similemente a li splendor mondani
ordinò general ministra e duce
  che permutasse a tempo li ben vani
di gente in gente e d'uno in altro sangue,
oltre la difension d'i senni umani;
  per ch'una gente impera e l'altra langue,
seguendo lo giudicio di costei,
che è occulto come in erba l'angue.
  Vostro saver non ha contasto a lei:
questa provede, giudica, e persegue
suo regno come il loro li altri dèi.
  Le sue permutazion non hanno triegue;
necessità la fa esser veloce;
sì spesso vien chi vicenda consegue.
  Quest'è colei ch'è tanto posta in croce
pur da color che le dovrien dar lode,
dandole biasmo a torto e mala voce;
  ma ella s'è beata e ciò non ode:
con l'altre prime creature lieta
volve sua spera e beata si gode.
  Or discendiamo omai a maggior pieta;
già ogne stella cade che saliva
quand'io mi mossi, e 'l troppo star si vieta".
  Noi ricidemmo il cerchio a l'altra riva
sovr'una fonte che bolle e riversa
per un fossato che da lei deriva.
  L'acqua era buia assai più che persa;
e noi, in compagnia de l'onde bige,
intrammo giù per una via diversa.
  In la palude va c'ha nome Stige
questo tristo ruscel, quand'è disceso
al piè de le maligne piagge grige.
  E io, che di mirare stava inteso,
vidi genti fangose in quel pantano,
ignude tutte, con sembiante offeso.
  Queste si percotean non pur con mano,
ma con la testa e col petto e coi piedi,
troncandosi co' denti a brano a brano.
  Lo buon maestro disse: "Figlio, or vedi
l'anime di color cui vinse l'ira;
e anche vo' che tu per certo credi
  che sotto l'acqua è gente che sospira,
e fanno pullular quest'acqua al summo,
come l'occhio ti dice, u' che s'aggira.
  Fitti nel limo, dicon: "Tristi fummo
ne l'aere dolce che dal sol s'allegra,
portando dentro accidioso fummo:
  or ci attristiam ne la belletta negra".
Quest'inno si gorgoglian ne la strozza,
ché dir nol posson con parola integra".
  Così girammo de la lorda pozza
grand'arco tra la ripa secca e 'l mézzo,
con li occhi vòlti a chi del fango ingozza.
  Venimmo al piè d'una torre al da sezzo.
Rispondi

Da: x i miscredenti13/06/2010 14:43:18
Il bello è che pensa veramente di avere solo un interlocutore, mentre c'è una schiera di persone che lo reputa un cretino.

Magari era così anche al suo vecchio lavoro, dove secondo lui erano tutti leccapiedi ignoranti.
Rispondi

Da: Inferno: Canto VIII13/06/2010 14:43:20
  Io dico, seguitando, ch'assai prima
che noi fossimo al piè de l'alta torre,
li occhi nostri n'andar suso a la cima
  per due fiammette che i vedemmo porre
e un'altra da lungi render cenno
tanto ch'a pena il potea l'occhio tòrre.
  E io mi volsi al mar di tutto 'l senno;
dissi: "Questo che dice? e che risponde
quell'altro foco? e chi son quei che 'l fenno?".
  Ed elli a me: "Su per le sucide onde
già scorgere puoi quello che s'aspetta,
se 'l fummo del pantan nol ti nasconde".
  Corda non pinse mai da sé saetta
che sì corresse via per l'aere snella,
com'io vidi una nave piccioletta
  venir per l'acqua verso noi in quella,
sotto 'l governo d'un sol galeoto,
che gridava: "Or se' giunta, anima fella!".
  "Flegiàs, Flegiàs, tu gridi a vòto",
disse lo mio segnore "a questa volta:
più non ci avrai che sol passando il loto".
  Qual è colui che grande inganno ascolta
che li sia fatto, e poi se ne rammarca,
fecesi Flegiàs ne l'ira accolta.
  Lo duca mio discese ne la barca,
e poi mi fece intrare appresso lui;
e sol quand'io fui dentro parve carca.
  Tosto che 'l duca e io nel legno fui,
segando se ne va l'antica prora
de l'acqua più che non suol con altrui.
  Mentre noi corravam la morta gora,
dinanzi mi si fece un pien di fango,
e disse: "Chi se' tu che vieni anzi ora?".
  E io a lui: "S'i' vegno, non rimango;
ma tu chi se', che sì se' fatto brutto?".
Rispuose: "Vedi che son un che piango".
  E io a lui: "Con piangere e con lutto,
spirito maladetto, ti rimani;
ch'i' ti conosco, ancor sie lordo tutto".
  Allor distese al legno ambo le mani;
per che 'l maestro accorto lo sospinse,
dicendo: "Via costà con li altri cani!".
  Lo collo poi con le braccia mi cinse;
basciommi 'l volto, e disse: "Alma sdegnosa,
benedetta colei che 'n te s'incinse!
  Quei fu al mondo persona orgogliosa;
bontà non è che sua memoria fregi:
così s'è l'ombra sua qui furiosa.
  Quanti si tegnon or là sù gran regi
che qui staranno come porci in brago,
di sé lasciando orribili dispregi!".
  E io: "Maestro, molto sarei vago
di vederlo attuffare in questa broda
prima che noi uscissimo del lago".
  Ed elli a me: "Avante che la proda
ti si lasci veder, tu sarai sazio:
di tal disio convien che tu goda".
  Dopo ciò poco vid'io quello strazio
far di costui a le fangose genti,
che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.
  Tutti gridavano: "A Filippo Argenti!";
e 'l fiorentino spirito bizzarro
in sé medesmo si volvea co' denti.
  Quivi il lasciammo, che più non ne narro;
ma ne l'orecchie mi percosse un duolo,
per ch'io avante l'occhio intento sbarro.
  Lo buon maestro disse: "Omai, figliuolo,
s'appressa la città c'ha nome Dite,
coi gravi cittadin, col grande stuolo".
  E io: "Maestro, già le sue meschite
là entro certe ne la valle cerno,
vermiglie come se di foco uscite
  fossero". Ed ei mi disse: "Il foco etterno
ch'entro l'affoca le dimostra rosse,
come tu vedi in questo basso inferno".
  Noi pur giugnemmo dentro a l'alte fosse
che vallan quella terra sconsolata:
le mura mi parean che ferro fosse.
  Non sanza prima far grande aggirata,
venimmo in parte dove il nocchier forte
"Usciteci", gridò: "qui è l'intrata".
  Io vidi più di mille in su le porte
da ciel piovuti, che stizzosamente
dicean: "Chi è costui che sanza morte
  va per lo regno de la morta gente?".
E 'l savio mio maestro fece segno
di voler lor parlar segretamente.
  Allor chiusero un poco il gran disdegno,
e disser: "Vien tu solo, e quei sen vada,
che sì ardito intrò per questo regno.
  Sol si ritorni per la folle strada:
pruovi, se sa; ché tu qui rimarrai
che li ha' iscorta sì buia contrada".
  Pensa, lettor, se io mi sconfortai
nel suon de le parole maladette,
ché non credetti ritornarci mai.
  "O caro duca mio, che più di sette
volte m'hai sicurtà renduta e tratto
d'alto periglio che 'ncontra mi stette,
  non mi lasciar", diss'io, "così disfatto;
e se 'l passar più oltre ci è negato,
ritroviam l'orme nostre insieme ratto".
  E quel segnor che lì m'avea menato,
mi disse: "Non temer; ché 'l nostro passo
non ci può tòrre alcun: da tal n'è dato.
  Ma qui m'attendi, e lo spirito lasso
conforta e ciba di speranza buona,
ch'i' non ti lascerò nel mondo basso".
  Così sen va, e quivi m'abbandona
lo dolce padre, e io rimagno in forse,
che sì e no nel capo mi tenciona.
  Udir non potti quello ch'a lor porse;
ma ei non stette là con essi guari,
che ciascun dentro a pruova si ricorse.
  Chiuser le porte que' nostri avversari
nel petto al mio segnor, che fuor rimase,
e rivolsesi a me con passi rari.
  Li occhi a la terra e le ciglia avea rase
d'ogne baldanza, e dicea ne' sospiri:
"Chi m'ha negate le dolenti case!".
  E a me disse: "Tu, perch'io m'adiri,
non sbigottir, ch'io vincerò la prova,
qual ch'a la difension dentro s'aggiri.
  Questa lor tracotanza non è nova;
ché già l'usaro a men segreta porta,
la qual sanza serrame ancor si trova.
  Sovr'essa vedestù la scritta morta:
e già di qua da lei discende l'erta,
passando per li cerchi sanza scorta,
  tal che per lui ne fia la terra aperta".
Rispondi

Da: Inferno: Canto IX13/06/2010 14:45:25
  Quel color che viltà di fuor mi pinse
veggendo il duca mio tornare in volta,
più tosto dentro il suo novo ristrinse.
  Attento si fermò com'uom ch'ascolta;
ché l'occhio nol potea menare a lunga
per l'aere nero e per la nebbia folta.
  "Pur a noi converrà vincer la punga",
cominciò el, "se non... Tal ne s'offerse.
Oh quanto tarda a me ch'altri qui giunga!".
  I' vidi ben sì com'ei ricoperse
lo cominciar con l'altro che poi venne,
che fur parole a le prime diverse;
  ma nondimen paura il suo dir dienne,
perch'io traeva la parola tronca
forse a peggior sentenzia che non tenne.
  "In questo fondo de la trista conca
discende mai alcun del primo grado,
che sol per pena ha la speranza cionca?".
  Questa question fec'io; e quei "Di rado
incontra", mi rispuose, "che di noi
faccia il cammino alcun per qual io vado.
  Ver è ch'altra fiata qua giù fui,
congiurato da quella Eritón cruda
che richiamava l'ombre a' corpi sui.
  Di poco era di me la carne nuda,
ch'ella mi fece intrar dentr'a quel muro,
per trarne un spirto del cerchio di Giuda.
  Quell'è 'l più basso loco e 'l più oscuro,
e 'l più lontan dal ciel che tutto gira:
ben so 'l cammin; però ti fa sicuro.
  Questa palude che 'l gran puzzo spira
cigne dintorno la città dolente,
u' non potemo intrare omai sanz'ira".
  E altro disse, ma non l'ho a mente;
però che l'occhio m'avea tutto tratto
ver' l'alta torre a la cima rovente,
  dove in un punto furon dritte ratto
tre furie infernal di sangue tinte,
che membra feminine avieno e atto,
  e con idre verdissime eran cinte;
serpentelli e ceraste avien per crine,
onde le fiere tempie erano avvinte.
  E quei, che ben conobbe le meschine
de la regina de l'etterno pianto,
"Guarda", mi disse, "le feroci Erine.
  Quest'è Megera dal sinistro canto;
quella che piange dal destro è Aletto;
Tesifón è nel mezzo"; e tacque a tanto.
  Con l'unghie si fendea ciascuna il petto;
battiensi a palme, e gridavan sì alto,
ch'i' mi strinsi al poeta per sospetto.
  "Vegna Medusa: sì 'l farem di smalto",
dicevan tutte riguardando in giuso;
"mal non vengiammo in Teseo l'assalto".
  "Volgiti 'n dietro e tien lo viso chiuso;
ché se 'l Gorgón si mostra e tu 'l vedessi,
nulla sarebbe di tornar mai suso".
  Così disse 'l maestro; ed elli stessi
mi volse, e non si tenne a le mie mani,
che con le sue ancor non mi chiudessi.
  O voi ch'avete li 'ntelletti sani,
mirate la dottrina che s'asconde
sotto 'l velame de li versi strani.
  E già venia su per le torbide onde
un fracasso d'un suon, pien di spavento,
per cui tremavano amendue le sponde,
  non altrimenti fatto che d'un vento
impetuoso per li avversi ardori,
che fier la selva e sanz'alcun rattento
  li rami schianta, abbatte e porta fori;
dinanzi polveroso va superbo,
e fa fuggir le fiere e li pastori.
i occhi mi sciolse e disse: "Or drizza il nerbo
del viso su per quella schiuma antica
per indi ove quel fummo è più acerbo".
  Come le rane innanzi a la nimica
biscia per l'acqua si dileguan tutte,
fin ch'a la terra ciascuna s'abbica,
  vid'io più di mille anime distrutte
fuggir così dinanzi ad un ch'al passo
passava Stige con le piante asciutte.
  Dal volto rimovea quell'aere grasso,
menando la sinistra innanzi spesso;
e sol di quell'angoscia parea lasso.
  Ben m'accorsi ch'elli era da ciel messo,
e volsimi al maestro; e quei fé segno
ch'i' stessi queto ed inchinassi ad esso.
  Ahi quanto mi parea pien di disdegno!
Venne a la porta, e con una verghetta
l'aperse, che non v'ebbe alcun ritegno.
  "O cacciati del ciel, gente dispetta",
cominciò elli in su l'orribil soglia,
"ond'esta oltracotanza in voi s'alletta?
  Perché recalcitrate a quella voglia
a cui non puote il fin mai esser mozzo,
e che più volte v'ha cresciuta doglia?
  Che giova ne le fata dar di cozzo?
Cerbero vostro, se ben vi ricorda,
ne porta ancor pelato il mento e 'l gozzo".
  Poi si rivolse per la strada lorda,
e non fé motto a noi, ma fé sembiante
d'omo cui altra cura stringa e morda
  che quella di colui che li è davante;
e noi movemmo i piedi inver' la terra,
sicuri appresso le parole sante.
  Dentro li 'ntrammo sanz'alcuna guerra;
e io, ch'avea di riguardar disio
la condizion che tal fortezza serra,
  com'io fui dentro, l'occhio intorno invio;
e veggio ad ogne man grande campagna
piena di duolo e di tormento rio.
  Sì come ad Arli, ove Rodano stagna,
sì com'a Pola, presso del Carnaro
ch'Italia chiude e suoi termini bagna,
  fanno i sepulcri tutt'il loco varo,
così facevan quivi d'ogne parte,
salvo che 'l modo v'era più amaro;
  ché tra gli avelli fiamme erano sparte,
per le quali eran sì del tutto accesi,
che ferro più non chiede verun'arte.
  Tutti li lor coperchi eran sospesi,
e fuor n'uscivan sì duri lamenti,
che ben parean di miseri e d'offesi.
  E io: "Maestro, quai son quelle genti
che, seppellite dentro da quell'arche,
si fan sentir coi sospiri dolenti?".
  Ed elli a me: "Qui son li eresiarche
con lor seguaci, d'ogne setta, e molto
più che non credi son le tombe carche.
  Simile qui con simile è sepolto,
e i monimenti son più e men caldi".
E poi ch'a la man destra si fu vòlto,
  passammo tra i martiri e li alti spaldi.
Rispondi

Da: Inferno Canto X13/06/2010 14:49:08
  Ora sen va per un secreto calle,
tra 'l muro de la terra e li martìri,
lo mio maestro, e io dopo le spalle.
  "O virtù somma, che per li empi giri
mi volvi", cominciai, "com'a te piace,
parlami, e sodisfammi a' miei disiri.
  La gente che per li sepolcri giace
potrebbesi veder? già son levati
tutt'i coperchi, e nessun guardia face".
  E quelli a me: "Tutti saran serrati
quando di Iosafàt qui torneranno
coi corpi che là sù hanno lasciati.
  Suo cimitero da questa parte hanno
con Epicuro tutti suoi seguaci,
che l'anima col corpo morta fanno.
  Però a la dimanda che mi faci
quinc'entro satisfatto sarà tosto,
e al disio ancor che tu mi taci".
  E io: "Buon duca, non tegno riposto
a te mio cuor se non per dicer poco,
e tu m'hai non pur mo a ciò disposto".
  "O Tosco che per la città del foco
vivo ten vai così parlando onesto,
piacciati di restare in questo loco.
  La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patria natio
a la qual forse fui troppo molesto".
  Subitamente questo suono uscìo
d'una de l'arche; però m'accostai,
temendo, un poco più al duca mio.
  Ed el mi disse: "Volgiti! Che fai?
Vedi là Farinata che s'è dritto:
da la cintola in sù tutto 'l vedrai".
  Io avea già il mio viso nel suo fitto;
ed el s'ergea col petto e con la fronte
com'avesse l'inferno a gran dispitto.
  E l'animose man del duca e pronte
mi pinser tra le sepulture a lui,
dicendo: "Le parole tue sien conte".
  Com'io al piè de la sua tomba fui,
guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
mi dimandò: "Chi fuor li maggior tui?".
  Io ch'era d'ubidir disideroso,
non gliel celai, ma tutto gliel'apersi;
ond'ei levò le ciglia un poco in suso;
  poi disse: "Fieramente furo avversi
a me e a miei primi e a mia parte,
sì che per due fiate li dispersi".
  "S'ei fur cacciati, ei tornar d'ogne parte",
rispuos'io lui, "l'una e l'altra fiata;
ma i vostri non appreser ben quell'arte".
  Allor surse a la vista scoperchiata
un'ombra, lungo questa, infino al mento:
credo che s'era in ginocchie levata.
  Dintorno mi guardò, come talento
avesse di veder s'altri era meco;
e poi che 'l sospecciar fu tutto spento,
  piangendo disse: "Se per questo cieco
carcere vai per altezza d'ingegno,
mio figlio ov'è? e perché non è teco?".
  E io a lui: "Da me stesso non vegno:
colui ch'attende là, per qui mi mena
forse cui Guido vostro ebbe a disdegno".
  Le sue parole e 'l modo de la pena
m'avean di costui già letto il nome;
però fu la risposta così piena.
  Di subito drizzato gridò: "Come?
dicesti "elli ebbe"? non viv'elli ancora?
non fiere li occhi suoi lo dolce lume?".
  Quando s'accorse d'alcuna dimora
ch'io facea dinanzi a la risposta,
supin ricadde e più non parve fora.
  Ma quell'altro magnanimo, a cui posta
restato m'era, non mutò aspetto,
né mosse collo, né piegò sua costa:
  e sé continuando al primo detto,
"S'elli han quell'arte", disse, "male appresa,
ciò mi tormenta più che questo letto.
  Ma non cinquanta volte fia raccesa
la faccia de la donna che qui regge,
che tu saprai quanto quell'arte pesa.
  E se tu mai nel dolce mondo regge,
dimmi: perché quel popolo è sì empio
incontr'a' miei in ciascuna sua legge?".
  Ond'io a lui: "Lo strazio e 'l grande scempio
che fece l'Arbia colorata in rosso,
tal orazion fa far nel nostro tempio".
  Poi ch'ebbe sospirando il capo mosso,
"A ciò non fu' io sol", disse, "né certo
sanza cagion con li altri sarei mosso.
  Ma fu' io solo, là dove sofferto
fu per ciascun di tòrre via Fiorenza,
colui che la difesi a viso aperto".
  "Deh, se riposi mai vostra semenza",
prega' io lui, "solvetemi quel nodo
che qui ha 'nviluppata mia sentenza.
  El par che voi veggiate, se ben odo,
dinanzi quel che 'l tempo seco adduce,
e nel presente tenete altro modo".
  "Noi veggiam, come quei c'ha mala luce,
le cose", disse, "che ne son lontano;
cotanto ancor ne splende il sommo duce.
  Quando s'appressano o son, tutto è vano
nostro intelletto; e s'altri non ci apporta,
nulla sapem di vostro stato umano.
  Però comprender puoi che tutta morta
fia nostra conoscenza da quel punto
che del futuro fia chiusa la porta".
  Allor, come di mia colpa compunto,
dissi: "Or direte dunque a quel caduto
che 'l suo nato è co'vivi ancor congiunto;
  e s'i' fui, dianzi, a la risposta muto,
fate i saper che 'l fei perché pensava
già ne l'error che m'avete soluto".
  E già 'l maestro mio mi richiamava;
per ch'i' pregai lo spirto più avaccio
che mi dicesse chi con lu' istava.
  Dissemi: "Qui con più di mille giaccio:
qua dentro è 'l secondo Federico,
e 'l Cardinale; e de li altri mi taccio".
  Indi s'ascose; e io inver' l'antico
poeta volsi i passi, ripensando
a quel parlar che mi parea nemico.
  Elli si mosse; e poi, così andando,
mi disse: "Perché se' tu sì smarrito?".
E io li sodisfeci al suo dimando.
  "La mente tua conservi quel ch'udito
hai contra te", mi comandò quel saggio.
"E ora attendi qui", e drizzò 'l dito:
  "quando sarai dinanzi al dolce raggio
di quella il cui bell'occhio tutto vede,
da lei saprai di tua vita il viaggio".
  Appresso mosse a man sinistra il piede:
lasciammo il muro e gimmo inver' lo mezzo
per un sentier ch'a una valle fiede,
  che 'nfin là sù facea spiacer suo lezzo.
Rispondi

Da: Garfield13/06/2010 15:20:49
Cazzarola...come ho fatto a non pensarci? Non poteva essere solo uno... i coglioni generalmente sono 2!!! ahahahahah

Ciao simpaticoniiiii!!! (che fa rima con... ahahahahah)
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