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CONCORSO INPS - 30 INFORMATICI
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Da: Rory23/05/2010 19:05:28
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Da: @gi23/05/2010 20:16:38
Eccezionale!!! Questo si chiama dono della sintesi!!!

....Ora però devi proprio dirci cosa ti ha fatto...
Rispondi

Da: Rory23/05/2010 20:34:09
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Da: Rory23/05/2010 20:35:17
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Da: Garfield23/05/2010 20:36:46
Rory, permetti? Ti do una mano.. ;-)
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Rispondi

Da: Rory23/05/2010 20:37:48
Nel mezzo del cammin di nostra vita
    mi ritrovai per una selva oscura
    ché la diritta via era smarrita.
      Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
5    esta selva selvaggia e aspra e forte
    che nel pensier rinova la paura!
      Tant'è amara che poco è più morte;
    ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
    dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.
10      Io non so ben ridir com'i' v'intrai,
    tant'era pien di sonno a quel punto
    che la verace via abbandonai.
      Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto,
    là dove terminava quella valle
15    che m'avea di paura il cor compunto,
      guardai in alto, e vidi le sue spalle
    vestite già de' raggi del pianeta
    che mena dritto altrui per ogne calle.
      Allor fu la paura un poco queta
20    che nel lago del cor m'era durata
    la notte ch'i' passai con tanta pieta.
      E come quei che con lena affannata
    uscito fuor del pelago a la riva
    si volge a l'acqua perigliosa e guata,
25      così l'animo mio, ch'ancor fuggiva,
    si volse a retro a rimirar lo passo
    che non lasciò già mai persona viva.
      Poi ch'èi posato un poco il corpo lasso,
    ripresi via per la piaggia diserta,
30    sì che 'l piè fermo sempre era 'l più basso.
      Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta,
    una lonza leggera e presta molto,
    che di pel macolato era coverta;
      e non mi si partia dinanzi al volto,
35    anzi 'mpediva tanto il mio cammino,
    ch'i' fui per ritornar più volte vòlto.
      Temp'era dal principio del mattino,
    e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle
    ch'eran con lui quando l'amor divino
40      mosse di prima quelle cose belle;
    sì ch'a bene sperar m'era cagione
    di quella fiera a la gaetta pelle
      l'ora del tempo e la dolce stagione;
    ma non sì che paura non mi desse
45    la vista che m'apparve d'un leone.
      Questi parea che contra me venisse
    con la test'alta e con rabbiosa fame,
    sì che parea che l'aere ne tremesse.
      Ed una lupa, che di tutte brame
50    sembiava carca ne la sua magrezza,
    e molte genti fé già viver grame,
      questa mi porse tanto di gravezza
    con la paura ch'uscia di sua vista,
    ch'io perdei la speranza de l'altezza.
55      E qual è quei che volontieri acquista,
    e giugne 'l tempo che perder lo face,
    che 'n tutt'i suoi pensier piange e s'attrista;
      tal mi fece la bestia sanza pace,
    che, venendomi 'ncontro, a poco a poco
60    mi ripigneva là dove 'l sol tace.
      Mentre ch'i' rovinava in basso loco,
    dinanzi a li occhi mi si fu offerto
    chi per lungo silenzio parea fioco.
      Quando vidi costui nel gran diserto,
65    «Miserere di me», gridai a lui,
    «qual che tu sii, od ombra od omo certo!».
      Rispuosemi: «Non omo, omo già fui,
    e li parenti miei furon lombardi,
    mantoani per patria ambedui.
70      Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
    e vissi a Roma sotto 'l buono Augusto
    nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.
      Poeta fui, e cantai di quel giusto
    figliuol d'Anchise che venne di Troia,
75    poi che 'l superbo Ilión fu combusto.
      Ma tu perché ritorni a tanta noia?
    perché non sali il dilettoso monte
    ch'è principio e cagion di tutta gioia?».
      «Or se' tu quel Virgilio e quella fonte
80    che spandi di parlar sì largo fiume?»,
    rispuos'io lui con vergognosa fronte.
      «O de li altri poeti onore e lume
    vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore
    che m'ha fatto cercar lo tuo volume.
85      Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore;
    tu se' solo colui da cu' io tolsi
    lo bello stilo che m'ha fatto onore.
      Vedi la bestia per cu' io mi volsi:
    aiutami da lei, famoso saggio,
90    ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi».
      «A te convien tenere altro viaggio»,
    rispuose poi che lagrimar mi vide,
    «se vuo' campar d'esto loco selvaggio:
      ché questa bestia, per la qual tu gride,
95    non lascia altrui passar per la sua via,
    ma tanto lo 'mpedisce che l'uccide;
      e ha natura sì malvagia e ria,
    che mai non empie la bramosa voglia,
    e dopo 'l pasto ha più fame che pria.
100      Molti son li animali a cui s'ammoglia,
    e più saranno ancora, infin che 'l veltro
    verrà, che la farà morir con doglia.
      Questi non ciberà terra né peltro,
    ma sapienza, amore e virtute,
105    e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
      Di quella umile Italia fia salute
    per cui morì la vergine Cammilla,
    Eurialo e Turno e Niso di ferute.
      Questi la caccerà per ogne villa,
110    fin che l'avrà rimessa ne lo 'nferno,
    là onde 'nvidia prima dipartilla.
      Ond'io per lo tuo me' penso e discerno
    che tu mi segui, e io sarò tua guida,
    e trarrotti di qui per loco etterno,
115      ove udirai le disperate strida,
    vedrai li antichi spiriti dolenti,
    ch'a la seconda morte ciascun grida;
      e vederai color che son contenti
    nel foco, perché speran di venire
120    quando che sia a le beate genti.
      A le quai poi se tu vorrai salire,
    anima fia a ciò più di me degna:
    con lei ti lascerò nel mio partire;
      ché quello imperador che là sù regna,
125    perch'i' fu' ribellante a la sua legge,
    non vuol che 'n sua città per me si vegna.
      In tutte parti impera e quivi regge;
    quivi è la sua città e l'alto seggio:
    oh felice colui cu' ivi elegge!».
130      E io a lui: «Poeta, io ti richeggio
    per quello Dio che tu non conoscesti,
    acciò ch'io fugga questo male e peggio,
      che tu mi meni là dov'or dicesti,
    sì ch'io veggia la porta di san Pietro
135    e color cui tu fai cotanto mesti».
      Allor si mosse, e io li tenni dietro.
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Da: Garfield23/05/2010 20:41:39
Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nellâammassare senza fine beni terreni.
Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dellâindice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto nazionale lordo (PIL).
Il PIL comprende anche lâinquinamento dellâaria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, lâintelligenza del nostro dibattere o lâonestà dei nostri pubblici dipendenti.
Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dellâequità nei rapporti fra di noi. Il Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese.
Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sullâAmerica, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere Americani

(J.F.K.)
Rispondi

Da: Rory23/05/2010 20:46:07
Il tuo sorriso

Toglimi il pane, se vuoi,
toglimi l'aria, ma
non togliermi il tuo sorriso.

Non togliermi la rosa,
la lancia che sgrani,
l'acqua che d'improvviso
scoppia nella tua gioia,
la repentina onda
d'argento che ti nasce.

Dura è la mia lotta e torno
con gli occhi stanchi,
a volte, d'aver visto
la terra che non cambia,
ma entrando il tuo sorriso
sale al cielo cercandomi
ed apre per me tutte
le porte della vita.

Amor mio, nell'ora
più oscura sgrana
il tuo sorriso, e se d'improvviso
vedi che il mio sangue macchia
le pietre della strada,
ridi, perché il tuo riso
sarà per le mie mani
come una spada fresca.

Vicino al mare, d'autunno,
il tuo riso deve innalzare
la sua cascata di spuma,
e in primavera, amore,
voglio il tuo riso come
il fiore che attendevo,
il fiore azzurro, la rosa
della mia patria sonora.

Riditela della notte,
del giorno, della luna,
riditela delle strade
contorte dell'isola,
riditela di questo rozzo
ragazzo che ti ama,
ma quando apro gli occhi
e quando li richiudo,
quando i miei passi vanno,
quando tornano i miei passi,
negami il pane, l'aria,
la luce, la primavera,
ma il tuo sorriso mai,
perché io ne morrei.

- Pablo Neruda
Rispondi

Da: Nessuno23/05/2010 20:48:43
Ma che ne pensate del blocco assunzioni previsto dalla Finanziaria 2010? Ci interessa?
Rispondi

Da: Garfield23/05/2010 20:49:08
Questa è meravigliosa! :)
Rispondi

Da: Rory23/05/2010 20:52:20
âBestemmiare la virtù divina, significa bestemmiare la vitaâ.
La vita è âLUCEâ. Eâ contrapposta a quel âbuioâ che ci prende, che prende ogni uomo... a quel sentirsi  soli dinanzi alle difficoltà , a quel sentirsi così insicuri, avvertire quel âvuoto dentroâ che incombe quando non riusciamo ad avere risposte alle nostre domande, quando abbiamo paura, quando ci sentiamo piccoli piccoli, quando non riusciamo ad âaccettareâ, quando i nostri pensieri si scontranoâe inevitabilmente ci facciamo più duri.
Così avvertiamo il âpeso dellâoscurità, del doloreâ.
âPer andare in paradiso, bisogna passare per lâinferno, bisogna affrontarlo. Da una sconfitta vissuta, nasce sempre una vittoriaâ
Mai voltare le spalle, mai abbattersi, piuttosto soffermiamoci ad apprezzare le bellezze delle cose.
âGuardiamo il cielo, facciamolo più spessoâ
â Abbiamo bisogno di essere educati alle nostre emotività, profondità.. E bisogna educare i ragazzi a queste cose straordinarie, si deve far presto. Non dobbiamo desertificare lâemozione che abbiamo dentroâ
Lâamore è anche questo, è emozione.
Lâ AMORE è unâ eredità che ognuno di noi possiede, e che nessuno ci può togliere, unâ eredità che torna sempre utile.
âSe si prova amore verso qualcuno o qualcosa,  questo amore ci verrà restituito,  quindi non esiste amore sprecato perché, se lo diamo, lo riceveremo di nuovo.
Rispondi

Da: Rory23/05/2010 20:57:27
Non t'amo come se fossi rosa di sale, topazio
o freccia di garofani che propagano il fuoco:
t'amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, tra l'ombra e l'anima.


T'amo come la pianta che non fiorisce e reca
dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;
grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il concentrato aroma che ascese dalla terra.


T'amo senza sapere come, né quando, né da dove,
t'amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti


che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.
Rispondi

Da: Garfield23/05/2010 20:58:21
Io non mi preoccuperei per il blocco delle assunzioni...
Rispondi

Da: Rory23/05/2010 21:00:00
Lo giorno se n'andava, e l'aere bruno
toglieva li animai che sono in terra
da le fatiche loro; e io sol uno       

m'apparecchiava a sostener la guerra
sì del cammino e sì de la pietate,
che ritrarrà la mente che non erra.

O muse, o alto ingegno, or m'aiutate;
o mente che scrivesti ciò ch'io vidi,
qui si parrà la tua nobilitate.

Io cominciai: "Poeta che mi guidi,
guarda la mia virtù s'ell'è possente,
prima ch'a l'alto passo tu mi fidi.

Tu dici che di Silvïo il parente,
corruttibile ancora, ad immortale
secolo andò, e fu sensibilmente.

Però, se l'avversario d'ogne male
cortese i fu, pensando l'alto effetto
ch'uscir dovea di lui, e 'l chi e 'l quale

non pare indegno ad omo d'intelletto;
ch'e' fu de l'alma Roma e di suo impero
ne l'empireo ciel per padre eletto:

la quale e 'l quale, a voler dir lo vero,
fu stabilita per lo loco santo
u' siede il successor del maggior Piero.

Per quest'andata onde li dai tu vanto,
intese cose che furon cagione
di sua vittoria e del papale ammanto.

Andovvi poi lo Vas d'elezïone,
per recarne conforto a quella fede
ch'è principio a la via di salvazione.

Ma io, perché venirvi? o chi 'l concede?
Io non En«a, io non Paulo sono;
me degno a ciò né io né altri 'l crede.

Per che, se del venire io m'abbandono,
temo che la venuta non sia folle.
Se' savio; intendi me' ch'i' non ragiono".

E qual è quei che disvuol ciò che volle
e per novi pensier cangia proposta,
sì che dal cominciar tutto si tolle,

tal mi fec'ïo 'n quella oscura costa,
perché, pensando, consumai la 'mpresa
che fu nel cominciar cotanto tosta.

"S'i' ho ben la parola tua intesa",
rispuose del magnanimo quell'ombra,
"l'anima tua è da viltade offesa;

la qual molte fïate l'omo ingombra
sì che d'onrata impresa lo rivolve,
come falso veder bestia quand'ombra.

Da questa tema acciò che tu ti solve,
dirotti perch'io venni e quel ch'io 'ntesi
nel primo punto che di te mi dolve.

Io era tra color che son sospesi,
e donna mi chiamò beata e bella,
tal che di comandare io la richiesi.

Lucevan li occhi suoi più che la stella;
e cominciommi a dir soave e piana,
con angelica voce, in sua favella:

"O anima cortese mantoana,
di cui la fama ancor nel mondo dura,
e durerà quanto 'l mondo lontana,

l'amico mio, e non de la ventura,
ne la diserta piaggia è impedito
sì nel cammin, che vòlt'è per paura;

e temo che non sia già sì smarrito,
ch'io mi sia tardi al soccorso levata,
per quel ch'i' ho di lui nel cielo udito.

Or movi, e con la tua parola ornata
e con ciò c' ha mestieri al suo campare,
l'aiuta sì ch'i' ne sia consolata.

I' son Beatrice che ti faccio andare;
vegno del loco ove tornar disio;
amor mi mosse, che mi fa parlare.

Quando sarò dinanzi al segnor mio,
di te mi loderò sovente a lui".
Tacette allora, e poi comincia' io:

"O donna di virtù sola per cui
l'umana spezie eccede ogne contento
di quel ciel c' ha minor li cerchi sui,

tanto m'aggrada il tuo comandamento,
che l'ubidir, se già fosse, m'è tardi;
più non t'è uo' ch'aprirmi il tuo talento.

Ma dimmi la cagion che non ti guardi
de lo scender qua giuso in questo centro
de l'ampio loco ove tornar tu ardi".

"Da che tu vuo' saver cotanto a dentro,
dirotti brievemente", mi rispuose,
"perch'i' non temo di venir qua entro.

Temer si dee di sole quelle cose
c' hanno potenza di fare altrui male;
de l'altre no, ché non son paurose.

I' son fatta da Dio, sua mercé, tale,
che la vostra miseria non mi tange,
né fiamma d'esto 'ncendio non m'assale.

Donna è gentil nel ciel che si compiange
di questo 'mpedimento ov'io ti mando,
sì che duro giudicio là sù frange.

Questa chiese Lucia in suo dimando
e disse: - Or ha bisogno il tuo fedele
di te, e io a te lo raccomando -.

Lucia, nimica di ciascun crudele,
si mosse, e venne al loco dov'i' era,
che mi sedea con l'antica Rachele.

Disse: - Beatrice, loda di Dio vera,
ché non soccorri quei che t'amò tanto,
ch'uscì per te de la volgare schiera?

Non odi tu la pieta del suo pianto,
non vedi tu la morte che 'l combatte
su la fiumana ove 'l mar non ha vanto?

Al mondo non fur mai persone ratte
a far lor pro o a fuggir lor danno,
com'io, dopo cotai parole fatte,

venni qua giù del mio beato scanno,
fidandomi del tuo parlare onesto,
ch'onora te e quei ch'udito l' hanno".

Poscia che m'ebbe ragionato questo,
li occhi lucenti lagrimando volse,
per che mi fece del venir più presto.

E venni a te così com'ella volse:
d'inanzi a quella fiera ti levai
che del bel monte il corto andar ti tolse.

Dunque: che è perché, perché restai,
perché tanta viltà nel core allette,
perché ardire e franchezza non hai,

poscia che tai tre donne benedette
curan di te ne la corte del cielo,
e 'l mio parlar tanto ben ti promette?".

Quali fioretti dal notturno gelo
chinati e chiusi, poi che 'l sol li 'mbianca,
si drizzan tutti aperti in loro stelo,

tal mi fec'io di mia virtude stanca,
e tanto buono ardire al cor mi corse,
ch'i' cominciai come persona franca:

"Oh pietosa colei che mi soccorse!
e te cortese ch'ubidisti tosto
a le vere parole che ti porse!

Tu m' hai con disiderio il cor disposto
sì al venir con le parole tue,
ch'i' son tornato nel primo proposto.

Or va, ch'un sol volere è d'ambedue:
tu duca, tu segnore e tu maestro".
Così li dissi; e poi che mosso fue,

intrai per lo cammino alto e silvestre.
Rispondi

Da: Rory23/05/2010 21:04:46
Inferno: Canto III

  Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
  Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina podestate,
la somma sapienza e 'l primo amore.
  Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate".
  Queste parole di colore oscuro
vid'io scritte al sommo d'una porta;
per ch'io: "Maestro, il senso lor m'è duro".
  Ed elli a me, come persona accorta:
"Qui si convien lasciare ogne sospetto;
ogne viltà convien che qui sia morta.
  Noi siam venuti al loco ov'i' t'ho detto
che tu vedrai le genti dolorose
c'hanno perduto il ben de l'intelletto".
  E poi che la sua mano a la mia puose
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose.
  Quivi sospiri, pianti e alti guai
risonavan per l'aere sanza stelle,
per ch'io al cominciar ne lagrimai.
  Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d'ira,
voci alte e fioche, e suon di man con elle
  facevano un tumulto, il qual s'aggira
sempre in quell'aura sanza tempo tinta,
come la rena quando turbo spira.
  E io ch'avea d'error la testa cinta,
dissi: "Maestro, che è quel ch'i' odo?
e che gent'è che par nel duol sì vinta?".
  Ed elli a me: "Questo misero modo
tegnon l'anime triste di coloro
che visser sanza 'nfamia e sanza lodo.
  Mischiate sono a quel cattivo coro
de li angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.
  Caccianli i ciel per non esser men belli,
né lo profondo inferno li riceve,
ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli".
  E io: "Maestro, che è tanto greve
a lor, che lamentar li fa sì forte?".
Rispuose: "Dicerolti molto breve.
  Questi non hanno speranza di morte
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che 'nvidiosi son d'ogne altra sorte.
  Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa".
  E io, che riguardai, vidi una 'nsegna
che girando correva tanto ratta,
che d'ogne posa mi parea indegna;
  e dietro le venìa sì lunga tratta
di gente, ch'i' non averei creduto
che morte tanta n'avesse disfatta.
  Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto,
vidi e conobbi l'ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto.
  Incontanente intesi e certo fui
che questa era la setta d'i cattivi,
a Dio spiacenti e a' nemici sui.
  Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
erano ignudi e stimolati molto
da mosconi e da vespe ch'eran ivi.
  Elle rigavan lor di sangue il volto,
che, mischiato di lagrime, a' lor piedi
da fastidiosi vermi era ricolto.
  E poi ch'a riguardar oltre mi diedi,
vidi genti a la riva d'un gran fiume;
per ch'io dissi: "Maestro, or mi concedi
  ch'i' sappia quali sono, e qual costume
le fa di trapassar parer sì pronte,
com'io discerno per lo fioco lume".
  Ed elli a me: "Le cose ti fier conte
quando noi fermerem li nostri passi
su la trista riviera d'Acheronte".
  Allor con li occhi vergognosi e bassi,
temendo no 'l mio dir li fosse grave,
infino al fiume del parlar mi trassi.
  Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: "Guai a voi, anime prave!
  Non isperate mai veder lo cielo:
i' vegno per menarvi a l'altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo.
  E tu che se' costì, anima viva,
pàrtiti da cotesti che son morti".
Ma poi che vide ch'io non mi partiva,
  disse: "Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare:
più lieve legno convien che ti porti".
  E 'l duca lui: "Caron, non ti crucciare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare".
  Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
che 'ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
  Ma quell'anime, ch'eran lasse e nude,
cangiar colore e dibattero i denti,
ratto che 'nteser le parole crude.
  Bestemmiavano Dio e lor parenti,
l'umana spezie e 'l loco e 'l tempo e 'l seme
di lor semenza e di lor nascimenti.
  Poi si ritrasser tutte quante insieme,
forte piangendo, a la riva malvagia
ch'attende ciascun uom che Dio non teme.
  Caron dimonio, con occhi di bragia,
loro accennando, tutte le raccoglie;
batte col remo qualunque s'adagia.
  Come d'autunno si levan le foglie
l'una appresso de l'altra, fin che 'l ramo
vede a la terra tutte le sue spoglie,
  similemente il mal seme d'Adamo
gittansi di quel lito ad una ad una,
per cenni come augel per suo richiamo.
  Così sen vanno su per l'onda bruna,
e avanti che sien di là discese,
anche di qua nuova schiera s'auna.
  "Figliuol mio", disse 'l maestro cortese,
"quelli che muoion ne l'ira di Dio
tutti convegnon qui d'ogne paese:
  e pronti sono a trapassar lo rio,
ché la divina giustizia li sprona,
sì che la tema si volve in disio.
  Quinci non passa mai anima buona;
e però, se Caron di te si lagna,
ben puoi sapere omai che 'l suo dir suona".
  Finito questo, la buia campagna
tremò sì forte, che de lo spavento
la mente di sudore ancor mi bagna.
  La terra lagrimosa diede vento,
che balenò una luce vermiglia
la qual mi vinse ciascun sentimento;
  e caddi come l'uom cui sonno piglia.
Rispondi

Da: già finito?23/05/2010 21:21:27
:(
Rispondi

Da: Basta odio23/05/2010 21:41:52
Cantami, o Diva, del Pelìde Achille

l'ira funesta che infiniti addusse

lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco

generose travolse alme d'eroi,

e di cani e d'augelli orrido pasto

lor salme abbandonò (così di Giove

l'alto consiglio s'adempìa), da quando

primamente disgiunse aspra contesa

il re de' prodi Atride e il divo Achille.

E qual de' numi inimicolli? Il figlio

di Latona e di Giove. Irato al Sire

destò quel Dio nel campo un feral morbo,

e la gente perìa: colpa d'Atride

che fece a Crise sacerdote oltraggio.

Degli Achivi era Crise alle veloci

prore venuto a riscattar la figlia

con molto prezzo. In man le bende avea,

e l'aureo scettro dell'arciero Apollo:

e agli Achei tutti supplicando, e in prima

ai due supremi condottieri Atridi:

O Atridi, ei disse, o coturnati Achei,

gl'immortali del cielo abitatori

concedanvi espugnar la Prïameia

cittade, e salvi al patrio suol tornarvi.

Deh mi sciogliete la diletta figlia,

ricevetene il prezzo, e il saettante

figlio di Giove rispettate. - Al prego

tutti acclamâr: doversi il sacerdote

riverire, e accettar le ricche offerte.

Ma la proposta al cor d'Agamennóne

non talentando, in guise aspre il superbo

accommiatollo, e minaccioso aggiunse:

Vecchio, non far che presso a queste navi

ned or né poscia più ti colga io mai;

ché forse nulla ti varrà lo scettro

né l'infula del Dio. Franca non fia

costei, se lungi dalla patria, in Argo,

nella nostra magion pria non la sfiori

vecchiezza, all'opra delle spole intenta,

e a parte assunta del regal mio letto.

Or va, né m'irritar, se salvo ir brami.

Impaurissi il vecchio, ed al comando

obbedì. Taciturno incamminossi

del risonante mar lungo la riva;

e in disparte venuto, al santo Apollo

di Latona figliuol, fe' questo prego:

Dio dall'arco d'argento, o tu che Crisa

proteggi e l'alma Cilla, e sei di Tènedo

possente imperador, Smintèo, deh m'odi.

Se di serti devoti unqua il leggiadro

tuo delubro adornai, se di giovenchi

e di caprette io t'arsi i fianchi opimi,

questo voto m'adempi; il pianto mio

paghino i Greci per le tue saette.

Sì disse orando. L'udì Febo, e scese

dalle cime d'Olimpo in gran disdegno

coll'arco su le spalle, e la faretra

tutta chiusa. Mettean le frecce orrendo

su gli omeri all'irato un tintinnìo

al mutar de' gran passi; ed ei simìle

a fosca notte giù venìa. Piantossi

delle navi al cospetto: indi uno strale

liberò dalla corda, ed un ronzìo

terribile mandò l'arco d'argento.

Prima i giumenti e i presti veltri assalse,

poi le schiere a ferir prese, vibrando

le mortifere punte; onde per tutto

degli esanimi corpi ardean le pire.

Nove giorni volâr pel campo acheo

le divine quadrella. A parlamento

nel decimo chiamò le turbe Achille;

ché gli pose nel cor questo consiglio

Giuno la diva dalle bianche braccia,

de' moribondi Achei fatta pietosa.

Come fur giunti e in un raccolti, in mezzo

levossi Achille piè-veloce, e disse:

Atride, or sì cred'io volta daremo

nuovamente errabondi al patrio lido,

se pur morte fuggir ne fia concesso;

ché guerra e peste ad un medesmo tempo

ne struggono. Ma via; qualche indovino

interroghiamo, o sacerdote, o pure

interprete di sogni (ché da Giove

anche il sogno procede), onde ne dica

perché tanta con noi d'Apollo è l'ira:

se di preci o di vittime neglette

il Dio n'incolpa, e se d'agnelli e scelte

capre accettando l'odoroso fumo,

il crudel morbo allontanar gli piaccia.

Così detto, s'assise. In piedi allora

di Testore il figliuol Calcante alzossi,

de' veggenti il più saggio, a cui le cose

eran conte che fur, sono e saranno;

e per quella, che dono era d'Apollo,

profetica virtù, de' Greci a Troia

avea scorte le navi. Ei dunque in mezzo

pien di senno parlò queste parole:

Amor di Giove, generoso Achille,

vuoi tu che dell'arcier sovrano Apollo

ti riveli lo sdegno? Io t'obbedisco.

Ma del braccio l'aita e della voce

a me tu pria, signor, prometti e giura:

perché tal che qui grande ha su gli Argivi

tutti possanza, e a cui l'Acheo s'inchina,

n'andrà, per mio pensar, molto sdegnoso.
Rispondi

Da: Draghetto23/05/2010 21:54:29
Ragazzi ma che siete tutti ubriachi?
:-D
Rispondi

Da: x gi23/05/2010 22:32:06
Piccoli troll crescono! Adesso sai usare pure le parole dei grandi...

Tieni, questo è tutto per te:
http://www.youtube.com/watch?v=gkrnK0igAP0

Almeno forse impari a farle, le pernacchie.

Per la vigliaccheria, beh per quella non ti possiamo aiutare
Rispondi

Da: Alpha23/05/2010 22:35:03
Chatbot ! sai che mi sei mancato, ho rimpianto i tuoi interventi.
il che è tutto dire  :o|
Rispondi

Da: Draghetto23/05/2010 22:40:08
Ciao Alpha :-)
beh che dirti, la tecnologia è necessaria...d'altronde siamo informatici...
Rispondi

Da: Alpha23/05/2010 22:40:52
oh Chatbot scherzo eh !  :o)
Rispondi

Da: Alpha23/05/2010 22:45:14
non ti offendi se ti chiamo chatbot ?
Rispondi

Da: Draghetto23/05/2010 22:45:47
Tranquillo ho un elevato senso dell'ironia :-)
Non prendo mai troppo seriamente tutto...sarebbe una tortura...
Rispondi

Da: Draghetto23/05/2010 22:46:19
No...anzi è divertente :-)
Rispondi

Da: Alpha23/05/2010 22:50:49
non so se andarmi a comprare le sigarette
e poi inps CAP3° par 6
Rispondi

Da: Draghetto23/05/2010 22:53:19
Ehi Alpha stai studiando dal compendio della simone attribuzioni e contribuzioni INPS?
Rispondi

Da: Alpha23/05/2010 22:56:41
sì, come tutti credo.
studiando... ci sto sopra, se lo mangiassi apprenderei di più
Rispondi

Da: Draghetto23/05/2010 22:58:35
Eh si,
anche io...ostichetto il ragazzo...bello tosto!
Il terzo ho finito proprio ieri di ripassarlo...dovrebbe essere la gestione dei fondi...
Rispondi

Da: Alpha23/05/2010 23:02:16
esatto, i fondi di solidarietà istituiti presso l'INPS  :o)

avrei preferito una prova di sopportazione del dolore, tipo gli astronauti, che st'esame.

vado a comprare le sigarette.
buonanotte :o)
Rispondi

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