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Corso concorso 534 posti - COMUNE DI NAPOLI
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Da: x sempre peggio05/09/2012 12:25:34
"e"

Da: Io credo05/09/2012 12:34:27
che qualsiasi Comitato ed anche quello "old release" non abbia influito in un benemerito ...... riguardo o meno l'assunzione dei Vg6. Ragazzi ma secondo voi l'amministrazione si lascia influenzare da 4 imbecilli che dicono non devono scorrere i vigili se non scorrono gli altri profili? E daiiiiiiiiiiiii ma li fate così stupidi questi politici ed amministratori comunali..Magari gli avranno anche detto si si vabbé facciamo così; il Comune prende dove serve, dove c'è necessità di personale e non credo proprio che degli idonei che non contano nulla posso mai imporre prendi questi e non quelli o se prendi questi devi prendere anche quelli, ma gli date tutto questo potere a questo Comitato? E daiiiiiii se così fosse stato ci sarebbero già stati scorrimenti di graduatorie per tutti i profili, sono passati 2 anni e nessun idoneo è stato assunto. Al sindaco di quello che dicono 4  idonei non se ne può fregar de meno, lo sapete che fa quello che vuole e dice lui, quindi se decide di prendere solo vigili prenderà solo vigili, se decide di prendere solo informatici prenderà solo informatici, non date peso politico a chi non lo ha per niente!!

Da: Vg6 RIBELLE05/09/2012 12:35:49
Non ripetiamo gli errori commessi dai vecchi amministratori! Strade separate per vg6 e altri profili!

Da: X Vg6 RIBELLE05/09/2012 12:38:47
finalmente!!! così vi giocate l'ultima possibilità che avevate!!!! e le nostre ovviamente aumentano

Da: x sempre peggio05/09/2012 12:39:23
nel caso non fosse ancora chiaro
anche se lo sapete bene MA NON VI CONVIENE ACCETTARE LA COSA

la PRIORITA' E' LA POLIZIA MUNICIPALE
la PRIORITA' E' LA POLIZIA MUNICIPALE
la PRIORITA' E' LA POLIZIA MUNICIPALE
la PRIORITA' E' LA POLIZIA MUNICIPALE
la PRIORITA' E' LA POLIZIA MUNICIPALE

Stavolta avrete filo del da torcere

Da: x Io credo05/09/2012 12:46:50
lo so che è come dici tu
però il fatto che boicottino il nostro profilo DEVE FINIRE

E' disponibile l'App ufficiale di Mininterno per Android.
Scaricala subito GRATIS!

Da: Mulino05/09/2012 13:18:17

Da: Io credo05/09/2012 13:54:07
non boicotteranno un bel niente, perché anche le pietre oramai sanno che il profilo che necessita di più risorse è proprio quello della polizia municipale, possono anche scannarsi tra di loro ma questo non cambierà lo stato delle cose.  Quindi che si sbattessero quanto vogliono ma i dati ed i fatti sono questi!! Ovvio mi auguro che tutti gli idonei di tutti i profili possano un giorno entrare al Comune, ma che il Comitato possa danneggiare i vigili penso proprio di no!

Da: Vg605/09/2012 14:29:30
Prossimamente ottime notizieeeeeeee!

Da: Gioacchino05/09/2012 14:36:38
Bisogna comunque riconoscere l'onestà intellettuale dei componenti del direttivo della Farfalla, i quali, una volta riconosciuto il fallimento dell'azione del Comitato, hanno rassegnato le dimissioni.

Da: Per Vg605/09/2012 14:38:25

Da: Vg605/09/2012 14:40:33
Prima hanno fatto i guai e poi hanno abbandonato!

Da: ma finitela05/09/2012 15:25:03
i vigili di napoli sono i peggiori d'italia e non han voglia di lavorare, altro che priorità!
lo sanno anche le pietre!

Da: X ma finitela05/09/2012 16:35:42
i vigili urbani a Napoli (come in tante altre metropoli) si infrattano al pari di altre categorie di lavoratori, vedi ragionieri, amministrativi, operatori sociali ecc. ecc. ma finitela voi con questi stereotipi!!

Da: x Vg605/09/2012 16:50:22
tu e le ottime notizie sei un coglioneeeeeee!!!!

Da: x Gioacchino05/09/2012 16:53:18
invece se rifletti le dimissioni sono state un atto puramente egoistico
della serie..ho fatto tutto sto popò per restare a bocca asciutta?
a buon intenditor poche parole
altro che onestà intellettuale comunque quel che è stato è stato
speriamo si riparta col piede giusto

Da: bauscia05/09/2012 17:09:34
giocchino succhia!

Da: x bauscia05/09/2012 17:14:04
vi prego non ricominciamo a comportarci da bestie
vanno bene le critiche anche pesanti però senza volgarità gratuite

fatti non foste a viver come bruti

Da: pizzapizzamarescià05/09/2012 17:14:09
...scauzacane, maccarone senza sale,Naserchia, guallaruso!babane, catarchie, chiafeje,pierdejornata

uèuèuè!

Da: x pizzapizzamarescià05/09/2012 17:16:45
nemmeno il tempo di dirlo che arriva IL CELEBROLESO
tra te e Vg6 che ci rompe sempre le scatole con le ottime notizie il forum ha riacquistato quel tocco di inutilità che ci voleva
grazie per il vostro contributo

Da: bauscia05/09/2012 17:16:56
Inferno - Canto ventiseiesimo
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


Virgilio mostra a Dante le fiammelle della bolgia, illustrazione di Paul Gustave Doré.
Il canto ventiseiesimo dell'Inferno di Dante Alighieri si svolge nell'ottava bolgia dell'ottavo cerchio, dove sono puniti i consiglieri di frode; siamo nel mattino del 9 aprile 1300 (Sabato Santo), o secondo altri commentatori del 26 marzo 1300.
Indice  [nascondi]
1 Incipit
2 Analisi del canto
2.1 Invettiva contro Firenze - versi 1-12
2.2 La bolgia dei consiglieri fraudolenti - vv. 13-48
2.3 Ulisse e Diomede - vv. 49-84
2.4 Racconto dell'ultimo viaggio di Ulisse - vv. 85-142
3 Punti notevoli
4 Curiosità
5 Note
6 Bibliografia
7 Altri progetti
Incipit [modifica]

« Canto XXVI, nel quale si tratta de l'ottava bolgia contro a quelli che mettono aguati e danno frodolenti consigli; e in prima sgrida contro a' fiorentini e tacitamente predice del futuro e in persona d'Ulisse e Diomedes pone loro pene. »
(Anonimo commentatore dantesco del XIV secolo)
Analisi del canto [modifica]

Nel Canto XXVI si tratta degli orditori di frode ossia condottieri e politici che non agirono con le armi e con il coraggio personale ma con l'acutezza spregiudicata dell'ingegno. Qui, Dante fa una riflessione sull'ingegno e sul suo utilizzo: l'ingegno è un dono di Dio, ma per il desiderio di conoscenza può portare alla perdizione, se non è guidato dalla virtù cristiana.
Invettiva contro Firenze - versi 1-12 [modifica]
« Godi, Fiorenza, poi che se' sì grande
che per mare e per terra batti l'ali,

e per lo 'nferno tuo nome si spande!  »
(vv. 1-3)


La targa sul Bargello: «...qu[a]e mare, qu[a]e terra[m], qu[a]e totu[m] possidet orbem...» (1255).
Il canto si apre con un'invettiva nei confronti di Firenze che tematicamente si lega al canto precedente, dove Dante aveva incontrato cinque ladri appunto fiorentini: con ironia nota quanto Firenze sia conosciuta su tutta la terra (metaforicamente "batte l'ali", citando un'iscrizione sul Palazzo del Bargello del 1255). Francesco Buti a proposito commentava infatti: «erano allora i Fiorentini sparti molto fuor di Fiorenza per diverse parti del mondo, ed erano in mare e in terra, di che forse li fiorentini se ne gloriavano». Anche nell'Inferno quindi il nome di Firenze si spande, essendosi Dante dovuto vergognare per aver trovato ben cinque concittadini tra i «ladroni», che certo non arrecano «onore» alla sua città.
Ma se quello che si sogna al primissimo mattino, secondo una leggenda medievale, diventa vero, allora Dante predice che presto essa subirà la punizione che persino la vicinissima Prato, nonché altre città, desiderano per lei. Il perché sia indicata proprio Prato non è stato ancora chiarito e le ipotesi più convincenti sono quelle legate agli anatemi scagliati dal cardinale Niccolò da Prato, che tentò vanamente di riappacificare le fazioni fiorentine nel 1304. Manfredi Porena, pur non proponendo un'alternativa a questa spiegazione, trova difficoltà ad accettarla in quanto il cardinale da Prato fu poco dopo uno dei principali manipolatori dell'elezione di papa Clemente V, di cui si sa cosa pensasse Dante (Inferno XIX, 82-87), e par difficile che Dante potesse invocarne l'autorità, sia pure in tutt'altra materia[1].
Il poeta rincara poi la dose dicendo che se anche questa punizione fosse già arrivata, non sarebbe stata troppo sollecita ("E se già fosse, non saria per tempo.", v. 10) e, visto che la riconosce necessaria, si augura che arrivi presto ("Così foss'ei, da che pur esser dee!", v. 11) perché la sventura di Firenze gli graverà di più via via che la sua età avanza ("ché più mi graverà, com' più m'attempo.", v. 12). Non tutti i commentatori concordano sul perché Dante si augura che la punizione arrivi presto. Alcuni sostengono che la sventura di Firenze, benché ineluttabile, riempie Dante di dolore, che più gli sarà grave quanto più invecchierà. Il vecchio infatti sopporta meno i dolori, diventa sempre più disposto al perdono e l'amore per il luogo natio cresce in lui con l'età. Secondo altri Dante vuole dire invece che più la sventura tarderà, tanto più egli soffrirà per non aver goduto a lungo della punizione. Questa interpretazione contrasta però col "da che pur esser dee", che riconosce sì la necessità della punizione, ma lo fa a malincuore. È curioso che i commentatori moderni protendano tutti per la prima ipotesi e quegli antichi per la seconda, a dimostrare come in fondo la lettura di questo passo è anche mutuata dalla nostra sensibilità e maniera di pensare.
La bolgia dei consiglieri fraudolenti - vv. 13-48 [modifica]


Alessandro Vellutello, illustrazione del Canto XXVI
« Noi ci partimmo, e su per le scalee
che n'avea fatto iborni a scender pria,

rimontò 'l duca mio e trasse mee; »
(vv. 13-15)
I due poeti ripartono dall'argine interno della settima bolgia percorrendo a ritroso la strada seguita in Inferno XXIV, 79-81: Virgilio risale la scala che li aveva «fatto iborni», reso eburnei, cioè fatti impallidire per l'orrore suscitato dalle serpi che stipavano la bolgia, quindi tira su Dante. Non tutti sono concordi sulla lezione sopra riportata del verso 14: alcuni preferiscono leggere "che n'avean fatte i borni a scender pria", interpretando "i borni" come le pietre (francese borne: pietra) che avevano utilizzato come scala per scendere e che ora servono come appiglio per risalire; altri leggono invece "che il buior n'avea fatto scender pria", ricordando che Dante aveva chiesto a Virgilio di scendere perché non poteva vedere il fondo della bolgia a causa del buio. A meno di un improbabile ritrovamento del manoscritto originale, non sapremo mai che cosa ha scritto realmente Dante; comunque sia, la sostanza del racconto, cioè che i due poeti sono ritornati al punto da cui erano partiti per vedere cosa c'era nella settima bolgia, non cambia.
« e proseguendo la solinga via,
tra le schegge e tra ' rocchi de lo scoglio

lo piè sanza la man non si spedia. »
(vv. 16-18)
Proseguono quindi per la strada solitaria ("solinga via"), per l'assenza di demoni e dannati, tra le pietre aguzze ("schegge") e tondeggianti ("rocchi") del ponticello successivo ("scoglio"), che deve essere più ripido dell'altro se non bastano i piedi per avanzare, ma bisogna aiutarsi con le mani.
Quando arriva sul colmo del ponticello, Dante prova un dolore tanto grande per quello che vede, da essere ancor vivo al momento in cui scrive, e grande a tal punto da indurlo a tenere a freno l'ingegno perché non superi i limiti della virtù; non vuole infatti che l'influenza degli astri ("stella bona") o la grazia divina ("miglior cosa"), che gli hanno concesso l'esperienza iniziatica, gliela tolgano per causa di una sua azione o un suo pensiero troppo ardito. Questa notazione, ora un po' arcana, diventerà evidente se considerata alla luce di ciò che verrà dopo nel canto, cioè la storia di Ulisse il cui ingegno, non tenuto a freno dalla virtù, gli procurò la morte per aver superato i limiti imposti da Dio.
Egli usa una similitudine per descrivere quello che vede:
« Quante 'l villan ch'al poggio si riposa,
nel tempo che colui che 'l mondo schiara
la faccia sua a noi tien meno ascosa,

come la mosca cede a la zanzara,
vede lucciole giù per la vallea,
forse colà dov'e' vendemmia e ara:

di tante fiamme tutta risplendea
l'ottava bolgia, sì com'io m'accorsi

tosto che fui là 've 'l fondo parea. »
(vv. 25-33)
« Quante lucciole vede il contadino che si riposa sul poggio,
d'estate, quando il sole
resta visibile più a lungo,

di sera, quando la mosca si posa e cede il posto alla zanzara,
giù nella valle,
forse proprio nei campi dove lavora:

di tante fiamme risplendeva tutta
l'ottava bolgia, così come mi accorsi

appena giunsi dove ne appariva il fondo. »
(parafrasi)
Segue quindi un'altra similitudine per rappresentare il fatto che ciascuna fiamma si muove racchiudendo in sé un peccatore, paragone dotto che si accorda al linguaggio ricercato e aulico di tutto il canto. Dante si ispira, con qualche licenza poetica, al rapimento in cielo del profeta Elia riportato dalla Bibbia nel 2º Libro dei Re, che racconta che mentre Elia ed Eliseo camminavano conversando, Elia fu improvvisamente rapito in cielo da un carro di fuoco trainato da cavalli di fuoco, che presto scomparve alla vista del suo compagno (cfr. 2Re 2, 11-12). Poco più avanti nello stesso testo (cfr. 2Re 2, 23-24) viene narrato che dei ragazzi incominciarono a beffare Eliseo, dandogli del calvo, finché egli si voltò e li maledisse nel nome del Signore, e dal bosco uscirono due orse che sbranarono quarantadue ragazzi. Ecco i versi di Dante:
« E qual colui che si vengiò con li orsi
vide 'l carro d'Elia al dipartire,
quando i cavalli al cielo erti levorsi,

che nol potea sì con li occhi seguire,
ch'el vedesse altro che la fiamma sola,
sì come nuvoletta, in sù salire:

tal si move ciascuna per la gola
del fosso, ché nessuna mostra 'l furto,

e ogne fiamma un peccatore invola. »
(vv. 34-42)
« E come colui che si vendicò con gli orsi (Eliseo)
vide partire il carro di Elia,
quando i cavalli si levarono dritti verso il cielo,

che con gli occhi poteva seguire
solo la fiamma, senza vedere altro,
salire su come una nuvoletta:

così si muove ciascuna fiamma nell'incavo
della bolgia, perché nessuna mostra il contenuto ("'l furto"),

e ognuna cela un peccatore (letteralmente "invola", cioè ruba, connesso con "furto"). »
(parafrasi)
Dante sta guardando ritto in piedi ("surto") sul ponte, in modo così precario che se non fosse aggrappato ad un masso sporgente ("ronchion"), cadrebbe giù senza bisogno di essere urtato. Vistolo così attento ("atteso") Virgilio (che questa volta non gli legge nel pensiero che egli lo ha già capito) gli spiega che dentro ai fuochi ci sono gli spiriti dei dannati, ciascuno dei quali si fascia di quello da cui è acceso, cioè la fiamma ("catun si fascia di quel ch'elli è inceso").
Non è chiaro quali dannati siano puniti in questa bolgia. Essi sono abitualmente indicati come consiglieri fraudolenti e il loro contrappasso consiste nell'essere avvolti da lingue di fuoco, per analogia con le loro stesse lingue che furono fonte di frode, e nascosti dentro alle fiamme allo stesso modo in cui da vivi celarono la verità per l'inganno (come dice l'Apostolo Giacomo, la lingua fraudolenta è come fuoco). Tuttavia l'unico dei dannati che si inquadra in questa categoria è Guido da Montefeltro, presentato nel Canto XXVII, che si pente invano di un consiglio fraudolento fornito, su sua richiesta, a Papa Bonifacio VIII. Ulisse e Diomede, presentati nel seguito di questo canto, non sono puniti per i consigli dati, ma per le opere che hanno compiuto, e per loro la definizione di consiglieri fraudolenti mal si adatta perché risulta troppo specifica.
Ulisse e Diomede - vv. 49-84 [modifica]


Ulisse nell'Inferno, immaginato da William Blake
Dante allora ringrazia e risponde che aveva già capito ("già m'era avviso che così fosse") e, attratto in particolare da una fiamma doppia che gli ricorda Eteocle e suo fratello Polinice, ne chiede la spiegazione a Virgilio (altra citazione dotta sui due fratelli che arrivarono a uccidersi a vicenda per la discordia; in Stazio e in Lucano si racconta che anche le fiamme della pira su cui bruciavano i loro corpi si divisero in due, come se continuassero ad odiarsi anche dopo la morte).
Virgilio gli rivela che lì sono puniti Ulisse e Diomede, insieme nella vendetta divina così come, peccando insieme, incorsero nell'ira di Dio in vita, ed elenca i tre peccati per cui i due han ben da gemere nella fiamma, vale a dire:
L'inganno del Cavallo di Troia, che provocando la caduta della città fece sì che da Troia uscisse poi Enea, nobile progenitore ("gentil seme") dei Romani.
La scoperta di Achille, fatto travestire da donna dalla madre Teti e mandato alla corte di Licomede affinché non partecipasse alla Guerra di Troia. Ulisse e Diomede, travestiti da mercanti, usarono l'astuzia di mostrargli spade in mezzo a sete e drappi, scoprendolo tra le altre donne e costringendolo a partire per la guerra, abbandonando la sua amante Deidamia che morì di dolore, e ancor morta si duole dell'amante infedele.
Il furto del Palladio che proteggeva Troia.
Dante si mostra estremamente desideroso di parlare con i due, probabilmente perché in tutto il Medioevo c'era gran mistero su quale fosse stata la fine di Ulisse (Dante non conosceva l'Odissea perché non sapeva leggere il greco, anche se ne aveva letti alcuni sunti mutuati da autori latini) ed arriva a pregare Virgilio ben cinque volte in due terzine:
« "S'ei posson dentro da quelle faville
parlar", diss'io, "maestro, assai ten priego
e ripriego, che 'l priego vaglia mille,

che non mi facci de l'attender niego
fin che la fiamma cornuta qua vegna;

vedi che del disio ver' lei mi piego!". »
(vv. 64-69)
Virgilio gli promette di rivolgere loro delle domande purché egli taccia: parlerà lui perché essi sono greci e forse schivi "del tuo detto" (delle parole di Dante). Sul perché sia necessario che parli Virgilio si sono fatte diverse ipotesi: la più semplice è che i due parlano greco e Dante non conosce questa lingua, a differenza di Virgilio, ma questa ragione non sussiste perché se avessero parlato in greco Dante non avrebbe capito e non potrebbe riferire il contenuto del discorso, inoltre nel prossimo canto Guido da Montefeltro dirà di aver udito parlare Virgilio in dialetto lombardo; l'altra ipotesi è che siccome era comune opinione medievale che i greci fossero un popolo superbo, essi si sarebbero rifiutati di parlare con una persona che non avesse ancora eccellenti meriti, infatti l'invocazione successiva di Virgilio verterà proprio sulle sue opere, motivo di vanto, espresse nel più alto linguaggio possibile. In questo episodio comunque Dante riproduce la sua situazione rispetto ai greci e alla loro letteratura in particolare: non essendo la loro lingua conosciuta in Italia (con pochissime eccezioni forse in Calabria) essi "parlavano" solo tramite gli autori latini che avevano tradotto o sintetizzato o citato le loro opere.
Virgilio quindi aspetta che la duplice fiamma arrivi vicino al ponte e gli si rivolge con solennità e altisonanza, ponendo la questione principale, che ha letto nel pensiero di Dante, di sapere la fine di Ulisse, un mistero sul quale gli autori antichi tacevano:
« "O voi che siete due dentro ad un foco,
s'io meritai di voi mentre ch'io vissi,
s'io meritai di voi assai o poco

quando nel mondo li alti versi scrissi,
non vi movete; ma l'un di voi dica

dove, per lui, perduto a morir gissi". »
(vv. 79-84)
Da notare l'aulica anafora della prima terzina e la captatio benevolentiae.
Dante infatti non conosceva l'Odissea e ne trascurava anche i sunti medievali, sebbene piuttosto diffusi alla sua epoca. Della fine di Ulisse, sulla quale tacciono Virgilio, Orazio, Seneca e Cicerone, si erano fatte numerose congetture dai tempi Servio, più vive che mai nel Medioevo, alle quali Dante aggiunse una sua versione basata su vari indizi, ma tutto sommato piuttosto originale.
Racconto dell'ultimo viaggio di Ulisse - vv. 85-142 [modifica]


Anonimo fiorentino, Il naufragio della nave di Ulisse (1390-1400)
La maggiore delle due fiamme inizia allora a muoversi come mossa dal vento e dal movimento della cima della lingua di fuoco iniziano a uscire le parole.
Ulisse non si presenta e inizia subito a parlare degli ultimi anni della sua vita, dall'addio alla maga Circe: in questo Dante riprende pari pari la lezione di Ovidio quando nelle Metamorfosi XIV 436 ss. Macareo, uno dei compagni di Ulisse, racconta a Enea come abbandonò il suo capitano che si rimetteva per l'ennesima volta in mare.
Dopo un anno a Gaeta (prima che Enea le desse quel nome) «né dolcezza di figlio, né la pièta / del vecchio padre, né 'l debito amore / lo qual dovea Penelopè far lieta» poterono fermare Ulisse dalla sua sete di conoscenza, dall'ardore di conoscere i vizi umani e le virtù. Partì così per mare aperto invece di tornare a casa, con una barca e quella «compagnia picciola» di sempre. Navigò lungo i lidi europei (fino alla Spagna) e africani (fino al Marocco) del Mediterraneo occidentale, comprese le isole quali la Sardegna e le altre. Lui e i suoi compagni erano già anziani quando arrivarono a quella «foce stretta» dove Ercole segnò il confine da non superare, lo Stretto di Gibilterra. Ulisse passò Siviglia a destra e Ceuta a sinistra arrivando davanti allo stretto; per convincere i suoi all'impresa mai arrischiata pronunciò la famosa «orazion picciola»:
« "O frati," dissi, "che per cento milia
perigli siete giunti a l'occidente,
a questa tanto picciola vigilia

d'i nostri sensi ch'è del rimanente
non vogliate negar l'esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,

ma per seguir virtute e canoscenza". »
(vv. 112-120)
"Fratelli miei, che attraverso centomila pericoli siete arrivati a questa "piccola" ultima soglia (le famose colonne d'Ercole) presso l'Occidente; non negate ai nostri sensi quello che rimane da vedere, dietro al sole (dietro all'orizzonte), nel mondo disabitato; considerate la vostra origine: non siete nati per vivere come bruti (come animali), ma per praticare la virtù e apprendere la conoscenza."
Le celebri terzine sono un vertice di retorica: si apre con una captatio benevolentiae (il vocativo, il ricordo delle esperienze in comune) e cresce di intensità gradualmente, prima usando il "voi", poi "noi" (infatti prima di questa orazione Ulisse usava il pronome "io" e in seguito userà solo il "noi"), incitando all'impresa fino a culminare in chiusura toccando uno dei sentimenti più profondi dell'animo umano quale l'orgoglio per la superiorità sugli altri esseri viventi.
I compagni allora divennero così desiderosi di partire che a malapena li avrebbe potuti trattenere oltre: girarono la poppa a est e fecero dei remi «ali» per il «folle volo», sempre avanzando a sinistra, verso sud-ovest. Dopo cinque mesi già le stelle erano cambiate in cielo (perché erano giunti nell'altro emisfero) oppure erano trascorsi cinque noviluni e altrettanti pleniluni, quando apparve una montagna velata dalla lontananza («bruna») e altissima (il monte del Purgatorio). Essi si rallegrarono ma presto dovettero cedere al pianto perché da quella terra si mosse un turbine che percosse la barca alla prua; tre volte essi girarono intorno con tutta l'acqua vicina, alla quarta la poppa si alzò in alto, la prua in basso, come piacque a qualcuno (a Dio), e poi il mare fu sopra di essi richiuso (notare l'allusione al seppellimento, alla tomba), con un verbo che metaforicamente chiude anche il canto.
Dante ci fa capire tramite le parole di Ulisse l'importanza della conoscenza che non ha né età né limiti: infatti gli affetti più grandi non sono riusciti a vincere nell'animo di Ulisse il desiderio di conoscenza. La celebre terzina "Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza" è la sintesi della personalità di Dante il quale considerava la conoscenza il presupposto base per la valutazione di una persona. L'ansia di ricerca spinta all'estremo limite, che nella tradizione antica costituiva la peculiarità positiva dell'eroe omerico, in Dante diventa il peccato che condanna l'eroe per il fatto di aver disdegnato i limiti imposti alla natura umana. Per l'Ulisse classico Dante prese spunto da Publio Virgilio Marone, da Ovidio (Metamorfosi, XIV, 241 sgg.), da Seneca, e soprattutto da Orazio (Epistulae, I, 2, 17-26).
Punti notevoli [modifica]



Priamo della Quercia, illustrazione al Canto XXVI
Dante, sebbene conoscesse Omero (nominato più volte nella Divina Commedia e da lui posto nel Limbo, come si legge nel canto IV), non poteva aver letto l'Odissea, in greco, ma era al corrente della storia di Ulisse da varie fonti latine (in primis le Metamorfosi di Ovidio e l'Odusia di Livio Andronico) e da vari romanzi medievali: in questa tradizione, e in autori come Cicerone, Seneca e Orazio, Ulisse era indicato quale esempio di uomo dominato dall'ardore della conoscenza. A partire da questi spunti e dalla narrazione di Ovidio, Dante inventa quasi completamente la storia dell'ultimo viaggio di Ulisse, motivato dall'amore per la conoscenza, amore che Dante condivideva e sicuramente non disapprovava, come si evince fin dalla prima frase del Convivio: «Tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere». Da ciò deriva la grande partecipazione emotiva di Dante nei confronti del dannato, espressa più volte nel canto e specialmente ai vv. 19-20: «Allor mi dolsi, ed ora mi ridoglio / quando drizzo la mente a ciò ch'io vidi», commozione tuttavia temprata da un appello alla virtù: «e più lo ingegno affreno ch'io non soglio, / perché nol corra che virtù nol guidi». Un parallelismo a questo punto si può istituire tra Dante e Ulisse: entrambi viaggiano spinti dall'ardore di conoscenza, entrambi si sono perduti (v. 3 del canto I: «ché la diritta via era smarrita»; vv. 83-84 di questo canto: «ma l'un di voi dica / dove per lui perduto a morir gissi»). Ma se Dante ritrova la via e accede a una conoscenza superiore, guidato dalla volontà divina, Ulisse non conosce questa grazia e rimane confinato entro la sfera puramente terrena, sensibile, del sapere: v. 115, «de' nostri sensi», e soprattutto vv. 97-99, «l'ardore / ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto / e delli vizi umani e del valore»: non vi è in lui nessuna tensione etica, morale, che rivolga la conoscenza verso un fine giusto (anzi, essa rimane sempre fine a sé stessa), e il suo desiderio diventa perciò negativo, tanto più che egli coinvolge in questo male i suoi compagni. Ed è così che egli supera le Colonne d'Ercole poste «a ciò che l'uom più oltre non si metta», infrange il divieto divino e viene da Dio sconfitto, «com'altrui piacque».
« ... infin che 'l mar fu sovra noi richiuso »
(v.142)
Notevole in questo canto è lo stile, che si innalza per raffigurare un personaggio magnanimo come quello di Ulisse (particolarmente ricca è l'apostrofe di Virgilio, ma anche tutta la narrazione successiva, che sfiora il tono epico nella narrazione del viaggio e si fa «orazione» nelle famosissime parole rivolte da Ulisse ai compagni). Da non trascurare anche i molti segnali che Dante dissemina nel suo testo, come la similitudine con il profeta Elia, che sale al cielo in un carro di fuoco (mentre Ulisse sprofonda), all'espressione biblica del v. 136 «tosto tornò in pianto» (più l'allitterazione), ai molti riferimenti negativi come la mano «mancina» (v. 126), la «luna» (v. 131), simboli negativi per la cultura classica.
Il critico Natalino Sapegno scrisse nel suo commento a questo canto dell'Inferno (La Divina Commedia, Inferno, La Nuova Italia, 1959): "Il viaggio di Ulisse oltre le Colonne d'Ercole è un "folle volo", perché egli tenta, pur senza saperlo, un'impresa a compier la quale si richiedeva l'aiuto, a lui vietato, della Grazia [...]. Non è certo un caso che la commemorazione di questa sconfitta dell'umana ragione abbandonata alle sue sole forze sia collocata qui, a breve distanza, e quasi a guisa di esemplificazione, dall'affermazione della necessità di affrenare l'ingegno e contenerlo nei limiti di una norma religiosa (cfr. vv. 21-22)".
Nella cultura filosofica di stampo aristotelico la mente umana è rappresentata come una nave. La poppa è la memoria, la prua è la fantasia, o immaginazione. Il Purgatorio si aprirà (I, 1-3) su questa immagine: "Per correr migliori acque alza le vele / ormai la navicella del mio ingegno, / che lascia dietro a sé mar sì crudele ". Sulla soglia dell'ingresso del Paradiso (II, 1-3) si ritrova la medesima immagine.[2]. La studiosa Maria Corti vede nell'Ulisse dantesco un'allegoria dell'aristotelismo radicale. Ulisse è il prototipo dell'"eroe della conoscenza errante", che "viola spazi inaccessibili". Si tratterebbe di una figura degli intellettuali - alcuni conosciuti da Dante, come Guido Cavalcanti - che avevano aderito all'aristotelismo radicale, ritenendo che la conoscenza perfetta si potesse raggiungere con le sole forze della ragione, senza intervento della Grazia divina e durante la vita mortale, terrena.[3]
Curiosità [modifica]

Il canto XXVI è stato citato in Se questo è un uomo, libro di Primo Levi sulle tematiche del genocidio tedesco a danno degli ebrei nonché di altre etnie considerate inferiori e impure.
Note [modifica]

^ Manfredi Porena (commentata da), La Divina Commedia di Dante Alighieri - Inferno, Zanichelli ristampa V 1968 - Canto XXVI, nota ai vv. 7-9.
^ Corrado Bologna, Paola Rocchi, Rosa fresca aulentissima, Antologia della Commedia, edizione rossa, ed. Loescher, pag. 126-127
^ Maria Corti, Scritti su Cavalcanti e Dante. La felicità mentale. Percorsi dell'invenzione e altri saggi, Torino, Einaudi, 2003.
Bibliografia [modifica]

Vittorio Sermonti, Inferno, Rizzoli 2001.
Umberto Bosco e Giovanni Reggio, La Divina Commedia - Inferno, Le Monnier 1988.
Andrea Gustarelli e Pietro Beltrami, L'Inferno, Carlo Signorelli Editore, Milano 1994.
Francesco Spera (a cura di), La divina foresta. Studi danteschi, D'Auria, Napoli 2006.
Manfredi Porena (commentata da), La Divina Commedia di Dante Alighieri - Inferno, Zanichelli ristampa V 1968.
Altri commenti della Divina Commedia sono quelli di: Anna Maria Chiavacci Leonardi (Zanichelli, Bologna 1999), Emilio Pasquini e Antonio Quaglio (Garzanti, Milano 1982-20042), Natalino Sapegno (La Nuova Italia, Firenze 2002).

Da: x pizzapizzamarescià05/09/2012 17:18:08
"cerebroleso" scusate

Da: 12305/09/2012 17:20:30
bauscia e pizzapizza sia sempre tu

Da: 45605/09/2012 17:47:09
e tu si nu fess!

Da: Gioacchino05/09/2012 22:20:43
Però certa gente esiste solo a Napoli, c'è da riflettere!

Da: Gesù...06/09/2012 08:50:57
che squallore!!!

Da: Attenzione06/09/2012 18:25:42
Il Comitato si sta riorganizzando e tornerà più forte e intraprendente di prima!

Da: x Attenzione06/09/2012 18:49:07
cos'è il trailer di un film? comitato 2 la vendetta
già il comitato 1 è stato un flop figurarsi il 2

Da: xxx06/09/2012 19:00:17
perchè stato un flop?? guardate che in bilancio ci hanno inserito, e grazie al comitato che siamo visibili,,,,siamo solo stati sfortunati

Da: x xxx06/09/2012 19:14:26
e dai sto a pazzià! ;-) però se il direttivo si è sfasciato la cosa puzza parecchio
stavolta pensate a non boicottare i vg6 ok? vi tengo d'occhio

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