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15 dicembre 2016: Atto giudiziario AMMINISTRATIVO
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Da: Mininterno.net - Redazione Reputazione utente: +921 | 13/12/2016 07:23:44 |
Thread dedicato all'esame di giorno 15 dicembre 2016: Atto giudiziario AMMINISTRATIVO. | |
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Da: solopareri83 | 15/12/2016 09:14:55 |
ultimo giorno!!!in bocca al lupo a tutti | |
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Da: solopareri83 | 15/12/2016 09:37:51 |
solo io qui??? :( | |
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Da: atarassia | 15/12/2016 09:40:40 |
postate la traccia cosi ci lavoriamo | |
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Da: Paoldem | 15/12/2016 09:43:22 |
@atarassia bell'idea! | |
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Da: MaurizioG | 15/12/2016 09:46:27 |
Postate le tracce!!!!!! | |
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Da: Paoldem | 15/12/2016 09:48:30 |
@MaurizioG certoooooooooo!!! | |
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Da: occa | 15/12/2016 09:52:06 |
forza che amministrativo lo si fa in pochi! | |
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Da: solopareri83 | 15/12/2016 09:52:59 |
speriamo di avere presto la traccia...ansia!!! | |
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Da: pizzaaaaa | 15/12/2016 09:55:20 |
novità ? | |
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Da: memeri | 15/12/2016 09:56:27 |
ora stanno dettando anapoli | |
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Da: annamo bene33 | 15/12/2016 09:58:25 |
quale traccia? | |
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Da: solopareri83 | 15/12/2016 10:21:19 |
ancora niente... | |
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Da: MaurizioG | 15/12/2016 10:27:47 |
Postate le tracce!!!!!! | |
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Da: Paoldem | 15/12/2016 10:28:53 |
@MaurizioG subitoooooooooooo!!! | |
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Da: Pizaaaa | 15/12/2016 10:46:54 |
La traccia di amministrativo? | |
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Da: Paoldem | 15/12/2016 10:57:48 |
@Pizaaaa bella domanda! | |
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Da: IO | 15/12/2016 11:05:30 |
In data 23 aprile 2016 Tizio aliena a Caio un immobile di interesse storico-artistico (ritualmente dichiarato) di sua proprietà . Al fine di ottemperare all'obbligo di legge, lo stesso trasmette alla competente soprintendenza, con lettera raccomandata ricevuta in data 2 maggio 2016, copia autentica del contratto di compravendita. Il ministero per i beni e le attività culturali, senza comunicare l'avvio del procedimento agli interessati, esercita il diritto di prelazione sull'immobile con provvedimento del 25 ottobre 2016 nel quale, dopo aver affermato la sussistenza dei presupposti di legge per l'applicazione del temine lungo di 180 giorni (non avendo tizio avendo effettuato la prescritta denuncia di alienazione) si limita a fare generico riferimento all'interesse storico artistico dell'immobile stesso. Tale provvedimento viene consegnato all'ufficiale notificatore il 26 ottobre 2016 e notificato alle parti del contratto in data 4 novembre 2016. Caio, preoccupato di perdere la proprietà del predetto immobile, si reca dunque da un legale al quale, dopo aver esposto i fatti sopra detti, rappresenta che Tizio, nel trasmette alla soprintendenza copia di contratto di compravendita, aveva comunque indicato il domicilio in Italia di ciascuna delle parti contraenti. Il candidato assunte le vesti del legale di Caio, rediga l'atto ritenuto più idoneo alla tutela delle ragioni del proprio assistito illustrando le problematiche sottese alla fattispecie in esame. | |
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Da: IO | 15/12/2016 11:06:19 |
Da Lecce, traccia appena dettata | |
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Da: atarassia | 15/12/2016 11:06:36 |
In data 23 aprile 2016, Tizio aliena a Caio un immobile di interesse storico artistico (ritualmente dichiarato) di sua proprietà al fine di ottemperare all'obbligo di legge, lo stesso trasmette alla competente soprintendenza, con lettera raccomandata ricevuta in data 02 maggio 2016 copia autentica del contratto di compravendita. Il Ministero per i beni e le attività culturali, senza comunicare l'avvio di procedimento agli interessati, esercita il diritto di prelazione sull'immobile con provvedimenti del 25 ottobre 2016, nel quale dopo aver affermato la sussistenza dei presupposti di legge per l'applicazione del termine di legge di 180 giorni (non avendo Tizio effettuato la prescritta denuncia di alienazione) si limita a fare generico riferimento all'interesse storico artistico dell'immobile stesso. Tale provvedimento viene consegnato all'ufficio notificatorio il 26 ottobre 2016 e notificato alle parti del contratto in data 4 novembre 2016. Caio, preoccupato di perdere la proprietà del predetto immobile, si reca dunque da un legale al quale, dopo aver esposto i fatti sopra detti, rappresenta che Tizio, nel trasmettere alla Soprintendenza copia del contratto di compravendita, aveva comunque indicato il domicilio in Italia di ciascuna delle parti contraenti. Il candidato, assunte le vesti del legale di Caio, rediga l'atto ritenuto più idoneo alla tutela delle ragioni del proprio assistito, illustrando le problematiche sottese alla fattispecie in esame. | |
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Da: annamo bene33 | 15/12/2016 11:10:52 |
L'art. 59 del Codice dei beni culturali (D. Lgs. 42 del 2004 ) prescrive, relativamente alla tipologia delle negoziazioni di cui il Ministero occorre sia messo al corrente, che debbano essere denunziati gli atti che trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà o la detenzione, limitatamente ai beni mobili, di beni culturali. Presupposto per l'esercizio della prelazione dello Stato è invece l'esistenza di un "atto d'alienazione a titolo oneroso" (come già previsto dal I comma dell'art. 31 della Legge 1089/39, già abrogata dall'art. 166 del D.Lgs. 490/99, e la cui abrogazione è stata inoltre disposta dall'art. 2 e dall'allegato 1 del D.L. 200/08). L'art. 60 del Codice (il cui disposto appare sostanzialmente simile a quello del previgente art. 59 del t.u. 490/99) prescrive che il Ministero (o, nel caso previsto dal III comma dell'art.62 del Codice , la regione o l'altro ente pubblico territoriale interessato ) ha facoltà di acquistare i beni culturali alienati a titolo oneroso al medesimo prezzo stabilito nell'atto d'alienazione o al medesimo valore attribuito nell'atto di conferimento nota1. Per effetto del D.Lgs. 24 marzo 2006, n.156 , la previsione della norma in esame è stata integrata estendendo la prelazione anche ai conferimenti in società . Nella detta ipotesi invece che al prezzo ci si riferisce al valore di conferimento. Tuttavia la prelazione non spetta quando il bene culturale sia semplicemente ricompreso nei cespiti facenti parte di un'azienda, oggetto di trasferimento oneroso (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 501/2016). Il II comma dell'art. 60 del Codice prevede il caso della vendita del bene insieme ad altri : si pensi all'alienazione di un intero fabbricato una parte soltanto del quale sia bene culturale. Nella fattispecie, qualora il bene sia alienato con altri per un unico corrispettivo o non sia stato previsto un corrispettivo in denaro ovvero sia ceduto in permuta, il valore economico è determinato d'ufficio dal soggetto che procede alla prelazione. Se l'alienante non intende accettare la determinazione così effettuata, il valore della cosa è stabilito da un terzo (la cui qualifica sembra essere quella di arbitratore: cfr. art.1349 cod.civ. ), designato concordemente dall'alienante e dal soggetto che procede alla prelazione. Se le parti non si accordano per la nomina del terzo, ovvero per la sua sostituzione qualora il terzo nominato non voglia o non possa accettare l'incarico, la nomina è effettuata, su richiesta di una delle parti, dal presidente del tribunale del luogo in cui è stato concluso il contratto. Le spese relative sono anticipate dall'alienante. Il IV comma dell'art. 60 del Codice , nel prescrivere che la determinazione della commissione è impugnabile in caso di errore o di manifesta iniquità , detta una regola assai prossima a quella che l'art. 1349 cod.civ. pone in tema di arbitrium boni viri. La prelazione non è esclusa neppure quando il bene fosse trasferito in esito ad una datio in solutum (V comma art. 60 del Codice. Sul punto cfr. i previgenti art. 33 della Legge 1089/39; V comma dell'art. 59 t.u. 490/99). Che cosa riferire, a prescindere dalla vendita, circa la nozione di atti a titolo oneroso? Si ritiene che tra questi rientrino soltanto gli atti il cui effetto sia l'integrale trasferimento della titolarità del bene non rientrandovi i negozi aventi per oggetto la costituzione o il trasferimento di un diritto reale limitato (usufrutto, servitù) ovvero quelli costitutivi di diritto di garanzia. Si è anche discusso, sembrando che al quesito dovesse darsi una risposta affermativa, se vi rientrasse l'alienazione della nuda proprietà con riserva di usufrutto a favore dell'alienante. Pare invece da escludere che vi siano soggetti gli atti a titolo gratuito e quelli aventi natura meramente dichiarativa come la divisione. La nozione stessa di prelazione, nella quale è insita una preferenza a condizioni determinate, risulta infatti inapplicabile a queste ipotesi. Al fine di dare impulso alla procedura relativa, l'atto deve essere denunciato al Ministro dei beni culturali, il quale entro sessanta giorni dalla denuncia (ovvero di 180 giorni nell'ipotesi di omissione della denuncia, oppure anche di denuncia tardiva o incompleta) può esercitare il diritto di prelazione al medesimo prezzo stabilito nell'atto di alienazione , ai sensi dell'art.61 del Codice (già art. 60 t.u. 490/99, a propria volta già art. 31 della Legge 1089/39). Il provvedimento con il quale viene esercitata la prelazione viene notificato alla parte alienante e a quella acquirente: il detto adempimento è importante, dal momento che l'effetto traslativo si produce in esito all'ultima delle notificazioni da eseguire (art. 61, III comma, del Codice ). Che natura giuridica possiede il diritto di preferenza spettante alla parte pubblica? Si tratta dell'estrinsecazione di un diritto di supremazia avente carattere sostanzialmente espropriativo; la controversia relativa alla concreta modalità di esercizio di esso deve comunque reputarsi attribuita al giudice ordinario (Cass. Civ. Sezioni Unite 5993/03 ). Ex VI comma art.61 del Codice (già art. 60 t.u. 490/99) nel frattempo, durante cioè la fase della pendenza del predetto termine ( rectius condizione, stante l'espressa qualificazione operata dalla legge) di sessanta giorni, l'atto di alienazione è inefficace ed all'alienante è vietato effettuare la consegna della cosa. A proposito del meccanismo condizionale: viene in esame una condizione sospensiva che deve essere intesa come condicio iuris, dipendendo la sospensione degli effetti del contratto dalla stessa legge. Non risulta dunque indispensabile che di essa si faccia espressa menzione nell'atto anche se ciò è consigliabile alla stregua delle regole della corretta redazione di esso. Si aggiunga che, già la previgente legge espressamente prevedeva il divieto per l'alienante di effettuare "la tradizione" del bene culturale (art. 32 della Legge 1089/39). Oggi alla proibizione di cui al riferito IV comma dell'art.61 del Codice , si affianca la sanzione di cui al successivo art.173 , ai sensi del quale la consegna del bene è addirittura colpita con la reclusione e la multa (cfr. nello stesso senso il III comma dell'art. 60 del t.u. 490/99 nonché l'art. 122 del detto t.u.). Sarà pertanto sommamente opportuno che il notaio faccia constare il difetto del trasferimento della materiale detenzione del bene e che, dopo aver configurato l'atto di alienazione come sottoposto a condizione sospensiva, venga stipulato un apposito atto in forza del quale venga fatto constatare il mancato esercizio della prelazione, da assoggettare alla formalità di annotamento a margine dell'eseguita trascrizione dell'atto precedente. Per quanto attiene propriamente l'esercizio della prelazione occorre innanzitutto chiarire che essa non è preclusa dal fatto che il bene venga trasferito unitamente ad altri (cfr. il VI comma dell'art.61 del Codice nonché i previgenti V comma dell'art. 60 t.u. e, ancor prima, art. 31 della Legge 1089/39). Non è invocabile cioè, al fine di escludere la prelazione, la c.d. vendita in blocco che pure è reputata idonea a porre fuori gioco la prelazione legale in tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso rispetto a quello abitativo ex lege 392/78 . L'ultimo comma dell'art.61 del Codice (come già l'art. 60 t.u.) concede a favore del compratore, nel caso in cui il Ministero eserciti il diritto di prelazione, il diritto di recedere dal contratto. Viene precisato inoltre che "le clausole del contratto di alienazione non vincolano lo Stato", (V comma art.61 del Codice). L'inserimento di speciali clausole, come la predisposizione di penali, di speciali pattuizioni regolatrici dell'utilizzo del bene, etc., non risultano dunque opponibili alla parte pubblica. Al fine dell'operatività della prelazione occorrono dunque i seguenti elementi: l'emissione di un provvedimento formale da parte dello Stato; la notificazione di esso alle parti del contratto concluso; l'emissione del mandato di pagamento della somma corrispondente alla misura del prezzo. Le modalità di esercizio della prelazione sono precisate all'art. 62 del Codice (già art. 61 del t.u.490/99), ai sensi del quale i l soprintendente, ricevuta la denuncia di un atto soggetto a prelazione, ne dà immediata comunicazione alla regione e agli altri enti pubblici territoriali nel cui ambito si trova il bene. Trattandosi di bene mobile, la regione ne dà notizia sul proprio Bollettino Ufficiale ed eventualmente mediante altri idonei mezzi di pubblicità a livello nazionale, con la descrizione dell'opera e l'indicazione del prezzo. Il subprocedimento che può essere instaurato in relazione alla prelazione spettante agli enti locali differisce profondamente rispetto a quello di cui al previgente t.u. 490/99 . Sotto il vigore della normativa abrogata infatti l'intero iter procedimentale doveva comunque concludersi entro sessanta giorni dalla denunzia a pena di decadenza. In altri termini non poteva il subprocedimento influenzare in alcun modo la vicenda contrattuale afferente all'atto avente ad oggetto il bene culturale. Verifichiamo le attuali tappe della fattispecie. La regione e gli altri enti pubblici territoriali, nel termine di venti giorni dalla denuncia (termine che prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 24 marzo 2006, n.156 era di trenta giorni e che nel previgente t.u. del 1999 era addirittura di quaranta giorni), formulano al Ministero una proposta di prelazione, corredata dalla deliberazione dell'organo competente che predisponga la necessaria copertura finanziaria della spesa, indicando le specifiche finalità di valorizzazione culturale del bene (e non già semplicemente dichiarando l'eventuale irrevocabile intento di acquistare il bene e di corrisponderne il prezzo all'alienante come nel previgente testo del t.u. del 1999). Ai sensi del III comma dell'art.62 del Codice, il Ministero può rinunziare all'esercizio della prelazione, trasferendone la facoltà all'ente interessato entro venti giorni dalla ricezione della denuncia. Detto ente assume il relativo impegno di spesa, adotta il provvedimento di prelazione e lo notifica all'alienante ed all'acquirente entro e non oltre sessanta giorni dalla denuncia medesima. La proprietà del bene passa all'ente che ha esercitato la prelazione dalla data dell'ultima notifica. Secondo quanto stabilito dal IV comma dell'art. 62 , (come modificato dall'art.2 del D.Lgs. 62/08) nei casi di cui al II comma dell'art. 61 del Codice (omessa, tardiva o incompleta denuncia) i termini indicati al II e III comma, primo e secondo periodo, sono, rispettivamente, di novanta, centoventi e centottanta giorni. Essi decorrono dal momento in cui il Ministero ha ricevuto la denuncia tardiva o ha comunque acquisito tutti gli elementi costitutivi della stessa ai sensi dell'art. 59, IV comma. | |
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Da: odwsudoi | 15/12/2016 11:36:05 |
sentenza? | |
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Da: annamo bene33 | 15/12/2016 11:41:57 |
io non riesco a dedicarmi prima dell'una | |
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Da: Pa | 15/12/2016 11:46:39 |
È la soluzione? | |
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Da: annamo bene33 | 15/12/2016 11:46:56 |
1. Beni culturali Cons. Stato, VI, 27 febbraio 2008, n. 713, Pres. Trotta, Est. De Michele. Sull'esercizio del diritto di prelazione su immobili vincolati. Ai fini di un giudizio di legittimità sull'atto con cui l'amministrazione esercita un diritto di prelazione su bene culturale vincolato, l'accertamento in via incidentale del giudice amministrativo non può che fermarsi alla oggettiva sussistenza di un atto traslativo di diritti fra soggetti giuridicamente distinti (atto in presenza del quale lo stesso organo rogante ha ravvisato l'esigenza di procedere a denuncia di trasferimento, ai sensi e per gli effetti dell'art. 59 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42). Il diritto di prelazione dell'amministrazione su beni di rilievo storico o artistico opera in una dimensione prettamente pubblicistica - in quanto tale soggetta alla giurisdizione del giudice amministrativo - poiché l'acquisizione dei beni in questione non avviene attraverso un mero rapporto negoziale, ma in forma procedimentalizzata: non, quindi, in via di esercizio di un diritto soggettivo entro termini decadenziali, ma come espressione di potestà amministrativa, che si può definire di natura ablatoria e che viene meno solo in caso di omessa notificazione, sia all'alienante che all'acquirente, della determinazione di acquisto, non anche quando tale determinazione sia comunicata dopo la scadenza dei termini perentori previsti (trattandosi sempre, in quest'ultimo caso, di controversia che investe le modalità di esercizio, e non l'esistenza del potere). Le denuncia del trasferimento dell'immobile vincolato può avvenire anche mediante la trasmissione integrale dell'atto di trasferimento posto in essere, non risultando specificate a livello normativo primario le modalità formali, con cui la denuncia stessa deve essere redatta ed essendo, in linea di principio, dette modalità libere, ove non diversamente prescritto. Nell'atto di trasferimento certamente sono contenute tutte le indicazioni prescritte dall'art. 59, comma 4 d.lg. 42/2004, che consentono di valutare l'opportunità di acquisire al patrimonio pubblico determinati beni: a) dati identificativi delle parti e sottoscrizione delle medesime o dei loro rappresentanti legali; b) dati identificativi dei beni; c) indicazione del luogo ove si trovano i beni; d) indicazione della natura e delle condizioni dell'atto di trasferimento; e) indicazione del domicilio in Italia delle parti, ai fini di eventuali comunicazioni. Ai fini dell'esercizio del diritto di prelazione su un bene vincolato, l'amministrazione può chiedere dati integrativi o anche una nuova denuncia effettuata con diverse modalità formali; in tal caso opera una mera sospensione del decorso del termine perentorio, di cui all'art 61, comma 1, del d.lg. 42/2004; in presenza di termini perentori per l'esercizio di potestà pubblicistiche, infatti, è ammessa la possibilità di sospensione dei termini stessi per esigenze istruttorie, a differenza di quanto previsto dall'art. 2964 cod. civ., per l'esercizio a pena di decadenza di un diritto soggettivo. Cons. Stato, VI, 13 marzo 2008, n. 1087, Pres. Ruoppolo, Est. Buonvino. Sull'inapplicabilità dell'istituto della prelazione in caso di assegnazione in sede di liquidazione di società dell'unico immobile (vincolato) della società stessa. Dalla lettura sistematica degli art. 31 e 33 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, risulta evidente che la possibilità dell'esercizio della prelazione da parte dello Stato o delle regioni a statuto speciale o province autonome, sui beni di interesse storico e artistico non è collegata all'esistenza di un contratto tipico o ad una specifica causa negoziale, ma alla presenza di una regolamentazione negoziale che comporti, comunque, un effetto traslativo della cosa soggetta al vincolo e che sia caratterizzata dall'esistenza di un reciproco sacrificio patrimoniale delle parti allo scopo di conseguire un'attribuzione patrimoniale. L'atto di assegnazione in sede di liquidazione ai due soci dell'unico bene della società (l'immobile vincolato) non può essere considerato "atto a titolo oneroso" ed è pertanto sottratto alla disciplina del diritto di prelazione di cui al citato art. 59. In casi siffatti, il titolo di acquisto del singolo condividente deve farsi risalire non all'atto di divisione o di liquidazione della società , bensì all'originario titolo che ha costituito la situazione originaria. Cons. Stato, VI, 19 marzo 2008, n. 1205, Pres. Ruoppolo, Est. Volpe. Sull'esercizio del diritto di prelazione in caso di alienazione del pacchetto azionario della società proprietaria del bene culturale. Oggetto del diritto di prelazione è il trasferimento della proprietà o della detenzione del bene culturale, ossia l'alienazione del bene stesso. Siffatta situazione non si verifica laddove non vi è stato il trasferimento del bene ma l'alienazione dell'intero pacchetto azionario della società proprietaria del bene culturale; società che, come prima così dopo l'alienazione delle azioni, continua a essere la proprietaria del bene culturale, con l'unica differenza che l'intero suo pacchetto azionario non è più di un soggetto ma di un altro. A diverse conclusioni non può pervenirsi in considerazione degli interessi pubblici sottostanti l'esercizio del diritto di prelazione di un bene culturale, mancando pur sempre il presupposto richiesto dagli artt. 58, comma 1, e 59, comma 1, del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490; costituito dal trasferimento della proprietà o della detenzione del bene culturale (fattispecie in cui non era temporalmente applicabile l'art. 60, comma 1, del d.lg. 42/2004 - come modificato dall'art. 2, comma 1, lett. aa), del d.lg. 24 marzo 2006, n. 156 - il quale riferisce il diritto di prelazione non solo ai beni culturali "alienati a titolo oneroso" ma anche a quelli "conferiti in società "). Cons. Stato, VI, 4 aprile 2008, n. 1419, Pres. Barbagallo, Est. Chieppa. Sulla giurisdizione del g.a. sull'esercizio del diritto di prelazione e sulle modalità di esercizio della prelazione da parte di regioni ed enti locali. Ai fini della sussistenza del presupposto legittimante l'esercizio del potere ablatorio, consistente nella prelazione su cose di interesse storico, artistico ed archeologico di proprietà privata, ove si lamenti la tardività dell'esercizio della prelazione (sul presupposto del carattere recettizio del provvedimento ablatorio e della notificazione dello stesso a taluna delle parti oltre lo spirare del termine previsto dalla legge), si contesta non già la carenza di potere in capo all'amministrazione, bensì l'illegittimità sotto il profilo temporale dell'esercizio del potere medesimo, con conseguente devoluzione alla giurisdizione amministrativa della relativa controversia. Gli artt. 59 e ss. del d.lg. 490/1999 disciplinano in modo unitario l'esercizio del diritto di prelazione sui beni culturali oggetto di trasferimento, prevedendo un termine perentorio per l'esercizio del diritto; tale termine è fissato in due mesi dalla data di ricezione della denuncia prevista dall'articolo 58 (art. 60, comma 1) e, trattandosi di atto recettizio, il termine è riferito non alla mera adozione dell'atto, ma alla sua notificazione all'alienante ed all'acquirente (art. 60, comma 2). Tale disciplina unitaria non è derogata, con riferimento ai termini, in ipotesi di rinuncia all'acquisto da parte del ministero e di esercizio del diritto in favore di regioni, province o comuni (art. 61); anche in questo caso l'esercizio del diritto deve avvenire nel termine di 60 giorni previsto dall'art. 60, comma 1 (art. 61, comma 3) e, pur essendo richiamato il solo comma 1 del citato art. 60, entro il suddetto termine è necessario che l'atto sia non solo emanato ma anche notificato, in quanto il comma 2 dell'art. 60 non introduce un diverso termine per la notificazione dell'atto, ma si limita a specificare che il termine del comma precedente è riferito alla notificazione dell'atto, nel presupposto della natura recettizia dello stesso. Pertanto, il rinvio al termine dell'art. 60, comma 1, operato dal successivo art. 61, deve intendersi riferito al termine per l'esercizio dell'atto recettizio di prelazione, riferito alla notificazione dello stesso. | |
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Da: annamo bene33 | 15/12/2016 11:47:56 |
non siamo ad un quiz...non c'è soluzione. | |
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Da: atarassia | 15/12/2016 11:48:17 |
l'atto di per se non è complesso, 1 motivo violazione obbligo comuicazione avvio procedimento e secondo sui termini di notifica del provvedimento, ma non trovo la sentenza | |
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Da: occa | 15/12/2016 11:51:11 |
io ci vedo 3 questioni: 1) legittimità denunzia mediante trasmissione dell'atto di vendita; 2) carenza di motivazione; 3) notifica comunque se è stata effettuata entro o oltre i 180 giorni. Che dite? | |
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Da: annamo bene33 | 15/12/2016 11:52:28 |
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 8 luglio - 27 agosto 2014, n. 4337 Presidente Patroni Griffi - Estensore Scola Fatto 1. Con atto di vendita 1° ottobre 1999, i fratelli Arturo, Vittorio, Luigi e Guido Barbi cedevano, al prezzo di 200 milioni di lire, alla Grog s.r.l. (di cui all'epoca erano soci lo stesso Guido Barbi al 95% e la moglie al 5%) il fondo rustico denominato "Santo Stefano", dell'area complessiva di ha. 11.19.00 e comprendente l'edificio storico dell'ex monastero dei Camaldolesi, costruito nel 1400 e rimasto in stato di abbandono nel corso del 1900. Detto bene era di provenienza ereditaria e Guido Barbi non ne mantenne l'intestazione diretta ma in data 1° ottobre 1999 "lo fece vendere alla sua società agricola ad un prezzo assolutamente sottostimato" (circa 1/5 di quello stabilito in un precedente contratto preliminare di vendita del 1987, sospensivamente condizionato e mai perfezionatosi), per "poter eseguire i lavori di manutenzione, beneficiando di un regime fiscale più conveniente" e stante la "sua pacifica commerciabilità per mancanza del vincolo ai sensi della legge sui beni culturali n. 1089/1939", mancanza dichiarata dal Soprintendente reggente con nota 20 gennaio 2000, prot. n. 707. L'esistenza del vincolo sarebbe emersa solo da una successiva ricerca della Soprintendenza (v. nota 20 novembre 2000 n. 707/17177 dello stesso Soprintendente reggente e del responsabile del procedimento). Fino ad allora l'impresa Grog aveva realizzato, previa d.i.a. datata 24 dicembre 1999, cospicui interventi edilizi di manutenzione straordinaria, tra cui il rifacimento del tetto per una superficie di mq. 1.800. Anche dopo la "scoperta dell'esistenza del vincolo", vennero eseguiti ulteriori interventi di ristrutturazione, con regolari titoli concessori e parere favorevole della Soprintendenza, per un totale di euro 1.020.686,98, come da perizia asseverata 12 marzo 2010, prodotta in giudizio. Il 1° dicembre 2009 la Grog effettuava la denuncia alla Soprintendenza dell'atto di acquisto 1° ottobre 1999, su suggerimento del notaio incaricato della stipulazione della convenzione tra la stessa ed il Comune di Collebeato, relativa ad un piano di recupero finalizzato ad altre opere di miglioramento del citato complesso. La Soprintendenza avviava la procedura ex art. 62, d.lgs. n. 42/2004, previa la quale l'ente locale emanava la deliberazione consiliare 24 febbraio 2010 n. 7, preceduta dalla deliberazione G.c. 04 febbraio 2010 n. 17, esprimente la volontà di esercitare la prelazione e seguita dalla determinazione dirigenziale 10 marzo 2010 n. 49, di assunzione di un prestito di euro 103.291, 38 con la Cassa dd. e pp.. 2. Avverso i suddetti provvedimenti, la società Grog proponeva ricorso innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, con sede in Brescia, deducendo: I) violazione degli artt. 31 e 32, legge n. 1089/1939, dell'art. 149, comma 5, d.lgs. n. 112/1998; falsa applicazione degli artt. 60, 61 e 62, d.lgs. n. 42/2004, poiché il regime della prelazione artistica vigente al momento della compravendita (1° ottobre 1999) sarebbe quello di cui alla legge n. 1089/1939, secondo cui (art. 32) il diritto di prelazione da parte dello Stato (o da questo trasferito alla regione ed agli enti locali interessati) avrebbe dovuto esercitarsi entro due mesi dalla denuncia 1° dicembre 2009): da tale diritto l'amministrazione sarebbe dunque decaduta. Secondo la ricorrente, infatti,, "ogni atto di alienazione a titolo oneroso di bene culturale … soggiace alla disciplina vigente al momento della sua stipulazione" ed alla citata vendita, conclusa nel previgente regime, non avrebbe potuto applicarsi l'art. 62, comma 4, codice dei beni culturali n. 42/2004, recante la nuova figura della denuncia tardiva, con estensione del termine temporale entro cui la vendita resta assoggettata al potere della p.a. (180 giorni); II) ulteriore violazione degli artt. 31 e 32, legge n. 1089/1939 (o degli artt. 60, 61 e 62, d.lgs. n. 42/2004): nella specie, sarebbe sussistita una presupposizione "data dalla certezza del mantenimento del bene nell'alveo del patrimonio familiare di Guido Barbi", perché altrimenti il bene sarebbe stato conferito, previa divisione, al patrimonio della Grog, essendo all'epoca il conferimento alla società sottratto al diritto di prelazione artistica: "la condizione implicita presupposta era dunque quella dell'insussistenza del vincolo … e perciò della prelazione artistica, sicché l'assetto che le parti avevano dato ai propri interessi si è trovato a poggiare su una base diversa da quella in virtù della quale era stato concluso il contratto". E se il contratto del 1999 fosse stato nullo per difetto di presupposizione (accertamento spettante in via incidentale al giudice amministrativo), allora la prelazione artistica non avrebbe potuto esercitarsi, mancando un valido atto di alienazione a titolo oneroso; III) ancora violazione degli artt. 60, 61 e 62, d.lgs. n. 42/2004 (in quanto applicabili) sotto altro profilo e difetto di motivazione, dato che: III.1) per la copertura finanziaria necessaria - ex art. 62, comma 2, citato codice - nella proposta di prelazione di regione ed enti pubblici territoriali, i ricorrenti originari deducevano che la Grog sarebbe stata possessore in buona fede quantomeno nei primi mesi dell'anno 2000 (quando aveva eseguito gran parte dei lavori del complesso conventuale Santo Stefano e quando neppure comune e Soprintendenza erano consci della sussistenza del vincolo) ed invocavano pertanto, in proprio favore, le seguenti norme del codice civile: - art. 1150 (rimborso delle spese sostenute per le riparazioni straordinarie ed indennità per i miglioramenti arrecati alla cosa); - art. 936 (indennità per le addizioni fatte sulla cosa); - art. 1152 (diritto di ritenzione della cosa, fino alla percezione di dette indennità ); III.2.) il comune (a conoscenza delle opere eseguite da Grog) avrebbe dovuto deliberare la necessaria copertura finanziaria non solo rispetto al prezzo pattuito nell'atto del 1999, ma anche in rapporto all'indennizzo per i miglioramenti (cfr. sent. 19 giugno 2001 n. 3241 della Sez. VI del Consiglio Stato, in tema di compensi all'intermediario della vendita del bene culturale): indennizzi per miglioramenti non sostenibili dai privati, essendo "fuor di dubbio la sussistenza dell'obbligo in capo all'ente locale di corrispondere (detti indennizzi) interamente in capo al privato", per cui la motivazione della deliberazione comunale "avrebbe dovuto investire l'impegno di spesa assunto per far fronte a tutti gli oneri ed esborsi conseguenti all'esercizio del diritto (di prelazione) e non solo quindi al pagamento del puro prezzo nominale dell'atto di alienazione del 1999, ma anche all'indennizzo per i miglioramenti (almeno un milione di euro) che il comune comunque - ammesso e non concesso che la prelazione sia legittima - dovrà dapprima iscrivere a bilancio tra le passività e poi certamente pagare alla Grog", senza di che non avrebbe potuto "dirsi compiutamente motivata la scelta di esercitare la prelazione e di valorizzare il bene culturale", tanto più che Grog aveva depositato in Comune il 16 gennaio 2009 uno schema di convenzione notarile, in cui dichiarava la propria disponibilità ad obbligarsi a soggiacere ad un vincolo trentennale dell'attuale destinazione d'uso del complesso immobiliare (in parte residenziale, in parte agrituristica) senza possibilità di cessioni dello stesso per parti separate, nonché a concedere al comune l'uso gratuito della chiesetta per attività socio-culturali per dieci giorni all'anno; IV) violazione dell'art. 62, comma 2, d.lgs. n. 42/2004 (in quanto applicabile) e degli artt. 1, 6 e 111, stesso d.lgs., e difetto di motivazione, dubitandosi che la descrizione delle finalità di valorizzazione culturale contenuta nell'atto consiliare impugnato fosse sufficiente a realizzare il requisito di legge prescritto dalla norma di cui all'art. 62, comma 2, citato codice, sia perché si tratterebbe di valorizzazioni più ambientalistiche che culturali sia perché l'uso (ad es. da parte di gruppi di bambini e ragazzi) sarebbe "potenzialmente contrastante rispetto alle finalità di tutela"; V) violazione degli artt. 3, 42 e 97, Cost. e del principio d'imparzialità ; abuso del diritto e sviamento; ulteriore violazione degli artt. 60, 61 e 62, d.lgs. n. 42/2004: nella specie l'abuso del diritto si sarebbe sostanziato "nell'approfittamento di un diritto potestativo a valenza pubblicistica per ottenere il risultato dell'acquisizione di un bene di interesse culturale di grande pregio con un esborso di gran lunga più modesto, anzi irrisorio, rispetto al suo valore effettivo e quindi con l'imposizione irrazionale al privato proprietario di un sacrificio iniquo e come tale abusivo". Onde, causa illecita e contratto invalido, mentre il Comune di Collebeato avrebbe dovuto stanziare un importo corrispondente al valore effettivo dell'ex monastero nel 2010 o, almeno, nel 1999. In via subordinata, la parte ricorrente - ritenendo possibile il superamento della precedente sentenza della Corte costituzionale 20 giugno 1995 n. 269, anche alla stregua della successiva giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, in tema d'incongruità degli indennizzi espropriativi - deduceva l'incostituzionalità dell'art. 60, d.lgs. n. 42/2004, e delle altre norme relative alla prelazione artistica, nella parte non contemplante che - in caso di pattuizione di prezzi oggettivamente inferiori al valore del bene culturale alienato, giustificata da ragioni oggettive (quale l'ignoranza senza colpa del vincolo) - il valore del bene dovesse fissarsi ai sensi dei successivi commi 2 e 3 dell'art. 60, in luogo di quello stabilito nell'atto di alienazione, come pure ove legittimanti l'esercizio della prelazione in ogni tempo. 3. Costituitosi, il Comune di Collebeato depositava documentazione e, in data 15 novembre 2010, memoria conclusiva, nella quale rappresentava in fatto che: - l'immobile sarebbe risultato oggetto di vincolo monumentale ex legge n. 1089/1939, apposto con d.m. 17 ottobre 1941, trascritto presso la Conservatoria dei registri immobiliari di Brescia con nota 26 novembre 1941; - il carattere vincolato del bene sarebbe stato segnalato dal comune con nota 05 gennaio 2000, relativa alla d.i.a. 27 dicembre 1999; - (solo) con nota 15 gennaio 2010 la Soprintendenza comunicava (anche) al comune l'intervenuta denuncia tardiva di trasferimento di proprietà , escludendo l'acquisto del bene da parte dello Stato; - infine, con nota 12 febbraio 2010, la Soprintendenza prendeva atto della proposta di prelazione da parte dell'ente locale. Il comune replicava altresì in diritto, deducendo: - l'inammissibilità del dedotto difetto di presupposizione, non potendo il privato "essere ammesso ad impugnare davanti al g.a. atti autoritativi concernenti la prelazione dei beni culturali, adducendo questioni civilistiche relative all'asserita patologia del negozio traslativo dal medesimo posto in essere", come pure di "ogni argomento svolto sulla scorta della presunta mancata conoscenza del vincolo"; - l'estraneità alla giurisdizione del g.a. (e spettanza a quella del g.o.) di tutte le questioni relative alle "asserite debenze che con il prezzo nulla c'entrano" ed al diritto di ritenzione; - l'inammissibilità di ogni valutazione di merito, come pure di "una riformulazione della tesi della presunta mancata conoscenza del vincolo", l'abuso del diritto costituendo istituto prettamente civilistico. - l'infondatezza di ogni prospettata questione di costituzionalità dell'invocata normativa. 4. Alla pubblica udienza il difensore di parte ricorrente chiedeva di poter produrre copia del precedente atto di compravendita 23 luglio 1959 (del bene in parola da parte dei de cuius dei soggetti figuranti, a loro volta, quali alienanti nell'atto 1° ottobre 1999), in quanto neppure tale precedente contratto di alienazione da parte dell'Ospedale civile di Brescia (solo recentemente acquisito) avrebbe fatto menzione dell'esistenza del vincolo storico-artistico: il difensore del comune non si opponeva e la produzione veniva ammessa dal primo giudice. Trattenuta la causa in decisione, il Tribunale amministrativo, con la sentenza in epigrafe indicata, respingeva il ricorso. Avverso tale sentenza, interponeva appello la società Grog, eccependo, e ribadendolo in memoria, preliminarmente il difetto di giurisdizione sui primi tre motivi del ricorso originario e, nel merito, riproponendo sostanzialmente le censure già dedotte in prime cure. Il comune appellato si costituiva in giudizio per resistere al gravame; opponeva l'inammissibilità del dedotto difetto di giurisdizione per il noto divieto di auto-eccezioni (al cui riguardo richiamava le sentenze di questo Consiglio, Sezione V, sent. n. 656/2012 e Sezione VI, sent. n. 1537/2011), e ribadiva, nel merito, le tesi accolte dal primo giudice nel respingere il gravame originario. All'udienza in data 8 luglio 2014, la causa veniva trattenuta in decisione. Diritto A ) L'eccezione di difetto di giurisdizione, in relazione ai primi tre motivi di gravame, sollevata dall'attuale appellante, originario ricorrente, non può essere accolta, per ragioni sia di rito sia di merito. Sotto il primo profilo, la Sezione condivide l'orientamento di questo Consiglio di Stato, secondo cui la parte che abbia adìto il giudice e sia rimasta soccombente nel merito in primo grado non può dedurre in appello il difetto di giurisdizione del giudice da essa stessa adìto (conf., tra le varie, V, sent. 7 dicembre 2012 n. 656; VI, 10 marzo 2012 n. 1537; sembra contraria Cass. civ., sent. 27 dicembre 2010 n. 26129); e ciò, quand'anche non si volesse ritenere sussistere in concreto un'ipotesi di abuso del diritto (che l'andamento processuale indurrebbe invece a configurare), in quanto non vi è dubbio che la cd. auto-eccezione di giurisdizione determina un andamento anomalo del processo. La parte, infatti, dopo aver adìto il giudice ed aver svolto un grado di giudizio nel quale il contraddittorio si è concentrato sul merito, in presenza della pronuncia sfavorevole, contesta in appello la giurisdizione di quello stesso giudice da essa medesima adìto. E l'alterazione delle regole del processo appare di particolare evidenza ove, come nella specie, la parte eccepisca il difetto di giurisdizione, intraprendendo parallelamente un giudizio dinanzi al giudice ordinario, in relazione solo a una parte della controversia, o meglio, ad alcuni motivi di doglianza, con l'effetto, in tesi, di frazionare quell'unità del giudizio sulla controversia che giurisprudenza e legislatore hanno voluto assicurare con l'istituto della translatio iudicii e con l'introduzione di un meccanismo di preclusioni processuali per rilevare il difetto di giurisdizione (che si è ritenuto non contrastare con l'art. 25, Cost.). Sul piano sostanziale, poi, va rilevato che l'odierna controversia riguarda l'esercizio del diritto di prelazione storico-artistica da parte del Comune di Collebeato. È vero che, al riguardo, nella meno recente giurisprudenza della Corte di cassazione e di questo stesso Consiglio di Stato, sono rinvenibili pronunce vòlte ad affermare la giurisdizione del giudice ordinario laddove si faccia questione della carenza di potere, valutata in concreto, quanto all'esercizio del diritto, sicché, per esempio, la tardività nell'esercizio del diritto resterebbe devoluta a quel giudice (Cass. civ., sent. 17 aprile 2003 n. 6221; sembra nello stesso senso Cons. St. V, sent. 26 gennaio 2011 n. 544, citata dall'appellante, ma in relazione a fattispecie in cui era in discussione l'assoggettabilità a prelazione dei beni; ed è altresì significativo che quella sentenza critichi ed eviti la scissione in due di quel giudizio, a seconda della natura dei vizi ivi dedotti). Ma è altresì vero che la più recente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (VI, sent. 27 gennaio 2012 n. 372, resa in fattispecie sostanzialmente identica; ma v. già , sulla giurisdizione del giudice amministrativo, ove si contesti la tempestività della prelazione, della stessa Sezione VI sentt. 15 aprile 2008 n. 1736 e 4 aprile 2008 n. 1419) ha ritenuto sussistere la giurisdizione del giudice amministrativo in tutti i casi in cui sia contestata la legittimità dell'esercizio del diritto di prelazione storico-artistica (per argomentazioni sostanzialmente in tal senso cfr. Cass. civ., sent. 3 maggio 2010 n. 10619). Ed invero, oltre agli argomenti già addotti dalla sentenza n. 372 del 2012 in ordine all'esigenza, alla luce anche dell'evoluzione dell'ordinamento amministrativo in tema di nullità , di cui all'art. 21-septies, legge n. 241 del 1990, di riconsiderare funditus il criterio di riparto basato sulla carenza in astratto ed in concreto del potere, appare dirimente la considerazione che il criterio di riparto dev'essere chiaro e immediatamente percepibile, onde evitare che la parte abbia incertezze in ordine al giudice da adìre. Ebbene, escluse le ipotesi in cui siano lamentati il difetto di attribuzione in capo all'autorità amministrativa o, forse, la non assoggettabilità in assoluto ed in astratto del bene a prelazione, deve ritenersi che spettino alla giurisdizione del giudice amministrativo tutte le controversie attinenti all'esercizio del diritto di prelazione, ivi comprese quelle concernenti la tempestività dell'esercizio di tale diritto e la sussistenza d'idonea copertura finanziaria per il suo esercizio. Del resto, una diversa conclusione esporrebbe inevitabilmente pressoché tutte le controversie in tema di prelazione ad essere frazionate in un doppio giudizio dinanzi ai giudici ordinario e amministrativo, in quanto normalmente l'esercizio del diritto di prelazione viene contestato in ordine sia alla sussistenza delle condizioni che lo giustifichino sul piano della legittimità sia alle modalità più propriamente esecutive. E la tipologia delle censure dedotte nel presente giudizio costituisce la riprova di quanto detto. Quanto poi alla dedotta censura attinente al vizio del negozio traslativo del bene, presupposto del diritto di prelazione, va osservato che, effettivamente, la censura è inammissibile nella presente sede, ma per la ragione che il vizio dedotto ("la presupposizione dei contraenti era il mantenimento del bene nella sfera familiare e quindi il mancato esercizio della prelazione") attiene ad un momento e ad una fattispecie estranei al diritto di prelazione, che non può essere conosciuta nemmeno incidentalmente da questo giudice, deducibile semmai dinanzi al giudice ordinario, la cui pronuncia potrà avere effetti riflessi sul provvedimento amministrativo di prelazione indipendentemente dall'esito del presente giudizio, perché conseguenza di un vizio esterno al procedimento amministrativo. Conclusivamente, deve ritenersi che l'eccezione di difetto di giurisdizione vada disattesa e che si debba passare all'esame nel merito dell'appello. B) Il T.a.r. condivisibilmente ha osservato come risultasse comprovata in causa e nemmeno contestata tra le parti (cfr. denuncia ex art. 59 e ss., d.lgs. n. 42/2004, presentata il 1° dicembre 2009 da Luigi e Guido Barbi) una circostanza dirimente: l'importante interesse (pubblico) del Monastero dei Camaldolesi, sito in Collebeato, frazione S. Stefano, era stato notificato all'allora proprietario (Ospedale civile di Brescia) il 27 ottobre 1941 e tale notificazione era stata successivamente trascritta presso la Conservatoria delle ipoteche di Brescia (il 26 novembre 1941). Invero, altrettanto pacifiche apparivano le implicazioni giuridiche tratte dall'avvenuto espletamento di detti adempimenti, previsti dall'art. 2 della legge n. 1089/1939, all'epoca vigente: un vincolo legittimamente imposto con la notificazione al proprietario del bene non può ritenersi caducato per effetto del trasferimento del bene ad esso relativo non accompagnato da un'informazione dell'alienante in ordine all'esistenza del vincolo medesimo, per la natura reale dello stesso e l'irrilevanza, ai fini della sua sussistenza ed operatività , di attività privatistiche le quali, ove omesse, potrebbero implicare, eventualmente, azioni civilistiche di responsabilità connesse all'obbligo di esatte informazioni nel procedimento relativo alla formazione dei contratti (Cons. Stato, sez. IV, sent. 7 novembre 2002 n. 6067); la trascrizione del vincolo storico-artistico, una volta effettuata, e la sua notificazione nei confronti del soggetto proprietario, non richiedono ulteriori notificazioni nei confronti dei suoi successori o aventi causa (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, sent. 8 luglio 2009 n. 4369); il vincolo culturale si radica erga omnes al momento della trascrizione del decreto appositivo, ha natura reale ed è opponibile a tutti i soggetti che divengano proprietari; una volta trascritto, dispiega senz'altro i suoi effetti nei confronti del proprietario attuale e di tutti i suoi successori ed aventi causa"; il proprietario di un bene vincolato e trascritto nei registri immobiliari in data precedente al suo acquisto, non potrebbe esimersi dall'osservare tutte le prescrizioni che connotano la disciplina vincolistica di legge relativa al bene, non escluso l'obbligo di denuntiatio in caso di sua futura alienazione (Cons. Stato, sent. n. 4369/2009), ai fini dell'eventuale esercizio del diritto di prelazione ad opera dell'autorità amministrativa. C) Nel su delineato contesto vanno valutate le censure della parte appellante che, infatti, con il secondo mezzo di gravame (il primo concernendo la giurisdizione), deduce la tardività dell'esercizio del diritto di prelazione, perché esercitato oltre il termine di decadenza di sessanta giorni, previsto dalla normativa vigente al momento della conclusione del negozio traslativo e non nel diverso termine di centottanta giorni introdotto dalla normativa sopravvenuta (al negozio traslativo) di cui al testo unico dei beni culturali n. 490 del 1999 (e ora nel codice dei beni culturali). Il motivo è infondato. Ed invero, indipendentemente dalla natura sanzionatoria della cd. prelazione postuma in caso di denunzia tardiva, deve ritenersi che all'esercizio del diritto di prelazione sia applicabile, secondo i princìpi, la disciplina procedimentale, ivi compresa quella concernente i termini per l'esercizio del diritto, vigente al momento in cui la prelazione sia esercitata. Come esattamente rilevato dal Comune appellato, il procedimento amministrativo in cui s'inserisce eventualmente l'esercizio della prelazione, ha inizio con la denuncia cui è tenuto il privato. Ove questa denuncia sia tardiva, il termine per l'esercizio del diritto, che pacificamente decorre dal momento della denuncia, non può che essere assoggettato alla disciplina vigente al tempo del procedimento, non essendo pensabile di applicare un termine vigente al tempo della conclusione del negozio traslativo ma anteriore alla denuncia che, tardivamente, il privato abbia fatto dell'alienazione. D) Del pari va disatteso il terzo motivo di appello, nei termini chiariti in precedenza con riguardo all'eccepito difetto di giurisdizione. Infatti, rispetto al procedimento amministrativo di prelazione, i denunciati vizi attinenti al negozio traslativo civilistico restano esterni alla fattispecie provvedimentale e potrebbero avere riflessi indiretti sul provvedimento amministrativo e sul controverso rapporto amministrativo solo all'esito del giudizio civile. Non è pensabile che il procedimento amministrativo prima e poi il relativo giudizio restino sospesi in attesa che si definisca ogni ipotetica o potenziale controversia civilistica sul negozio. Al riguardo deve ritenersi, in premessa, che i limiti dell'accertamento incidentale effettuato dal giudice amministrativo non possano sconfinare nella vera e propria tutela dei diritti e consistere, quindi, nella soluzione di controversie riservate all'autorità giudiziaria ordinaria, con conseguente circoscrizione del sindacato giurisdizionale di cui trattasi al contenuto oggettivo degli atti, che siano fonte costitutiva o anche meramente ricognitiva di un diritto, senza che il sindacato stesso possa estendersi ad ulteriori atti o fatti modificativi delle situazioni giuridiche, come usucapioni, prescrizioni, devoluzioni o manifestazioni atipiche di volontà contrattuale. In altri termini, la prelazione costituisce un procedimento solo fondato sul contratto, mediante il quale l'autorità pubblica può ingerirsi autoritativamente nella contrattazione privata, attraendo unilateralmente il bene nella propria sfera giuridica, senza surrogarsi nella posizione del terzo contraente (l'art. 60 del codice, come già la normativa previgente in materia, prevede la non vincolatività delle clausole del contratto per lo Stato). La Corte costituzionale, nella sentenza n. 269/1995 ha precisato che "a differenza di quanto accade nelle ordinarie procedure espropriative, la prelazione viene a collegarsi ad una iniziativa (trasferimento a titolo oneroso) non attivata dalla parte pubblica, bensì dalla parte privata, titolare del bene: e questo nonostante che la stessa prelazione, ove esercitata …, venga chiaramente a configurarsi come istituto in cui prevale, sul profilo negoziale, il profilo autoritativo": coerentemente, lo ius praelationis dello Stato e degli altri enti pubblici conserva, dunque, un carattere autoritativo, implicante una totale autonomia rispetto alle vicende patologiche del negozio sotteso. In tale fattispecie, il negozio traslativo dei privati è solo il presupposto dell'esercizio del diritto di prelazione da parte della p.a. che, intervenuta nel rapporto contrattuale, non subentra nella posizione dell'acquirente, ma avoca a sé il bene con un atto di esercizio dello ius praelationis, implicante il trasferimento della proprietà in capo alla p.a. medesima e l'obbligo di corresponsione del prezzo, a nulla rilevando le vicende estintive o modificative del contratto a monte (nullità , annullabilità , ecc.: cfr. Cons. Stato, sent. n. 713/2008): sul piano generale, in altri termini, il negozio di trasferimento a titolo oneroso del bene, con la dichiarazione di alienare del proprietario del bene culturale, assume il ruolo di presupposto oggettivo ed occasione storica del procedimento destinato a sfociare nella prelazione; occasione storica e fatto giuridico sussistenti nel caso dell'ex Monastero dei Camaldolesi e rispetto ai quali risulta, dunque, indifferente ed ultronea, nel presente giudizio, ogni indagine sull'eventuale esistenza di una "condizione implicita presupposta" (certezza del mantenimento del bene nell'alveo del patrimonio familiare di Guido Barbi), ossia di una premessa implicita del consenso alla vendita manifestato dai proprietari del ricordato bene culturale con l'atto 1° ottobre 1999. E quanto sopra anche a non voler considerare la non plausibilità , prospettata dai ricorrenti, dell'ignoranza del vincolo, a fronte di un bene di notevole rilevanza storico-artistica e di un vincolo imposto da tempo e regolarmente trascritto. E) Con il quarto motivo, la parte appellante deduce l'insussistenza di alcuna idonea copertura finanziaria, insussistenza che rapporta non solo al prezzo del trasferimento del bene, ma ad una serie di interventi migliorativi sullo stesso svolti nel corso degli anni (antecedenti alla denuncia tardiva). Il motivo è infondato. L'esercizio del diritto di prelazione va rapportato per legge al valore del bene indicato nell'atto di trasferimento, che ovviamente risente delle condizioni in cui si trova l'immobile. In condizioni ordinarie, all'atto di trasferimento segue la denuncia del privato all'autorità pubblica e l'eventuale prelazione da parte di questa a quel valore. Qualora la denuncia sia resa dal privato tardivamente, con ciò fondando l'esercizio della cd. prelazione postuma, il prezzo da corrispondere continuerà a essere inevitabilmente, in difetto di disposizione contraria, quello indicato nel negozio traslativo. E l'eventuale mutamento del valore del bene (per il mutamento delle condizioni di mercato o per interventi effettuati dal privato) sarà riconducibile alla tardività della denuncia, cui il privato era tenuto, e solo conseguentemente alla prelazione esercitata dall'amministrazione. Sicché eventuali differenze di valore potranno essere fatte valere, a diverso titolo e ove ne ricorrano i presupposti, in sede di giudizio civile. Dal che si desume sin d'ora anche la manifesta infondatezza, oltre che l'irrilevanza nella presente sede, della questione di legittimità costituzionale, sollevata dall'appellante ove si ritenga che il prezzo sia quello indicato nell'atto di alienazione e la prelazione possa essere esercitata a distanza di tempo. Del resto, va rilevato che il descritto meccanismo di prelazione postuma, di cui si lamenta l'appellante anche in rapporto alle sue conseguenze di ordine patrimoniale, costituisce conseguenza dell'inadempimento dell'obbligo legale posto a protezione dell'interesse culturale ìnsito nel vincolo; la stessa Corte costituzionale (sentenza n. 269/1995) non ha mancato di evidenziare (nel disattendere le censure d'illegittimità costituzionale prospettate proprio in relazione all'art. 61, legge n. 1089/1939) che il danno economico che i contraenti vengono a subìre in conseguenza dell'esercizio ritardato della prelazione da parte della p.a. non è altro che la conseguenza diretta dell'inadempimento realizzato dagli stessi contraenti a seguito della mancata presentazione di una denuncia regolare. Già la citata sentenza Corte cost. n. 269/1995 aveva affermato che "la corretta lettura della disciplina posta in tema di prelazione (e, in particolare, nell'art. 31, primo comma) induce a ritenere che anche per questa seconda categoria di soggetti (che non abbiano effettuato alcuna denuncia) il prezzo da erogare non possa essere altro che quello pattuito all'atto del trasferimento e non quello corrispondente al valore venale del bene all'atto della prelazione." Infatti, per un verso, l'art. 60, comma 1, codice (rubricato "acquisto in via di prelazione") ha riprodotto immutata la locuzione "medesimo prezzo stabilito nell'atto di alienazione" contenuta nell'art. 31, comma 1, legge n. 1089/1939, di cui alla sentenza n. 269/1995 della Consulta, e per l'altro, i successivi artt. 61 e 62 hanno equiparato all'omissione di denuncia la tardività della stessa. In definitiva, va escluso che la p.a. possa corrispondere, a titolo di prelazione, alcun "sovrapprezzo" rispetto al corrispettivo pattuito nell'atto di alienazione, mentre le pretese civilistiche qui avanzate dalla parte ricorrente-appellante (in ordine al rimborso delle spese sostenute per riparazioni straordinarie, alla corresponsione di un'indennità per i miglioramenti arrecati alla cosa e per le addizioni fatte, nonché all'esercizio del diritto di ritenzione) andranno semmai esclusivamente fatte valere con le azioni previste dal codice civile e davanti al giudice ordinario, trattandosi di questioni di diritto, disciplinate da quegli stessi artt. 1150, 1152 e 936, c.c., espressamente richiamati nel ricorso introduttivo e riprodotti in appello. F) Risulta, di conseguenza, insussistente, oltre che il prospettato "abuso del diritto", anche l'asserito difetto di motivazione (sotto il profilo dell'effettivo impegno di spesa), dato che la deliberazione consiliare impugnata correttamente e legittimamente, per quanto si è detto, ha tenuto conto dell'unica voce di spesa "certa, liquida ed esigibile", dovuta per legge: quella corrispondente al prezzo di vendita pattuito nell'atto di alienazione 1° ottobre 1999 (cfr. pure Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 22 settembre 2008 n. 4569). G) Il difetto di motivazione è peraltro dedotto sotto ulteriori e diversi profili, e segnatamente per la mancata ponderazione della valorizzazione privata prospettata da Grog; per la valenza ambientalistica più che culturale della valorizzazione pubblica tratteggiata dal comune; più in generale, per la inidoneità della prospettata valorizzazione culturale del complesso monumentale. Anche a non voler considerare che i profili denunciati sembrano presupporre una, invero inammissibile, ingerenza del giudice nella discrezionalità dell'ente, va ad ogni modo rimarcato, da una parte, che la ponderazione degli interessi coinvolti non può che essere effettuata dall'amministrazione tenendo conto del primario interesse culturale del bene su cui si fonda la determinazione di avvalersi della prelazione, dall'altra, e in concreto, che, sotto tale profilo, l'utilizzazione e la valorizzazione del bene prospettate dal Comune appellato appaiono senz'altro coerenti con il vincolo e con il conseguente esercizio della prelazione. Ed invero è stato delineato un quadro ben preciso delle concrete modalità con cui s'intendeva perseguire la valorizzazione propriamente culturale del bene, fondamentalmente orientata alla "promozione di un centro polifunzionale attrezzato", legato al Parco delle colline d'interesse sovracomunale e cioè: - creazione di un polo museale sul tema arti e mestieri nella valle del Mella; - attività di ricerca e studio botanico; - destinazione di un corpo di fabbrica alla ricettività ed alle attività didattiche di gruppo (associazioni, scuole, scout, ecc.); - riserva di proporre parte di altro corpo di fabbrica a sede degli uffici del Parco delle colline o dell'istituendo Parco del Mella; - destinazione del corpo D (con annessione del corpo E) a sede di associazioni territoriali (gruppo antincendio, gruppo alpini). Appare dunque rispettato il più rigoroso canone motivazionale richiesto da quell'indirizzo giurisprudenziale, cui questo giudice d'appello ritiene di aderire e che richiede l'indicazione puntuale delle ragioni, ulteriori rispetto a quelle evidenziate nello stesso atto di vincolo, poste a fondamento della limitazione all'autonomia contrattuale dei privati (cfr. Cons. Stato, sent. 29 aprile 2005 n. 2004), dato che di ogni singolo corpo costituente il discusso compendio si indica lo specifico uso. Per il resto, le ulteriori deduzioni svolte dalla parte ricorrente ed ora appellante sono vòlte a contestare specificamente la congruità , sotto il profilo culturale, della destinazione di una porzione importante dell'immobile ad attività di accoglienza di gruppi di ragazzi. Al riguardo la Sezione osserva: - che la recente giurisprudenza delle Sezioni unite della Cassazione civile (cfr. sent. 3 maggio 2010 n. 10619) evidenzia come, alla decisione di acquisire in prelazione beni di rilievo storico e artistico, la p.a. pervenga "all'esito di una valutazione altamente discrezionale"; - che la specifica contestazione mossa riguarda, comunque, solo una parte delle destinazioni indicate dal comune appellato (accoglienza di gruppi); - che, altresì, tale destinazione e le restanti risultano dichiaratamente ancorate, in funzione sinergica, all'esistente Parco ambientale di carattere sovracomunale, onde la precedente ponderazione d'interessi pubblici e privati che ha condotto all'istituzione del Parco non può che rifluire positivamente anche sulla successiva valutazione di carattere culturale; - che alcune di queste destinazioni (polo museale di tipo etnografico, attività didattiche di ricerca e studio in campo botanico) sono obiettivamente coerenti con finalità di valorizzazione culturale di un immobile, a suo tempo dichiarato d'importante interesse ex lege n. 1089/1939; - che non si ravvisano - nella relazione allegata alla deliberazione impugnata - insufficienze e/o illogicità sotto il profilo motivazionale, tali da integrare vizi di legittimità della funzione amministrativa, gli unici apprezzabili al sindacato estrinseco esercitabile da questo giudice in una materia connotata da alta discrezionalità , pena l'inammissibile sconfinamento del sindacato stesso nel campo proprio del merito amministrativo. H) Parte appellante prospetta questione di costituzionalità degli artt. 60 e ss., d.lgs. n. 42/2004, sul duplice rilievo: - che l'applicazione letterale del comma 1 di tale articolo violerebbe gli articoli 3, 42 e 97, Cost., laddove la mancata denuncia "non sia affatto sanzionabile perché dovuta all'ignoranza dell'esistenza del vincolo": la norma sarebbe, dunque, incostituzionale nella parte non contemplante che - in caso di pattuizione di prezzi oggettivamente inferiori al valore del bene culturale alienato, giustificata da ragioni oggettive (quale l'ignoranza senza colpa del vincolo) - il valore del bene debba essere determinato ai sensi dei successivi commi 2 e 3 dell'art. 60, in luogo di quello stabilito nell'atto di alienazione; - che, secondo la più recente giurisprudenza della C.E.D.U. in tema di congruità degli indennizzi espropriativi rispetto all'art. 6 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo, le disposizioni in materia di prelazione artistica sarebbero incostituzionali nella parte in cui consentano l'esercizio della prelazione in ogni tempo "per compressione del diritto reale dell'alienante ingiustificatamente sottoposto a un trattamento diverso da quello riservato ad ogni altro espropriato" e "per mancata garanzia dell'espropriato per il mancato indennizzo nel caso in cui la prelazione sia esercitata a distanza di lungo tempo dall'atto di alienazione". Sulla manifesta infondatezza, oltre che sulla irrilevanza, del primo profilo si è detto supra sub E, dovendosi solo ribadire che l'ignoranza del vincolo, quand'anche fosse pertinente in punto di diritto, non appare plausibile in punto di fatto rispetto a un vincolo risalente nel tempo e regolarmente trascritto. In ogni caso, nella sentenza n. 269/1995 la Corte costituzionale. ha già escluso che, in caso di prelazione tardiva, il prezzo da erogare possa essere rapportato al valore venale del bene, anziché a quello pattuito all'atto del trasferimento dello stesso. D'altra parte, è connaturato all'istituto giuridico della prelazione (pur essendo quella artistica una prelazione sui generis) che l'avente titolo la eserciti allo stesso prezzo stabilito dai contraenti originari; cosicché, del tutto coerentemente il legislatore ha riservato, ai commi 2 e 3 dell'art. 60 del codice, il diverso criterio del valore economico del bene, per i soli casi in cui la peculiarità del negozio inter alios non consenta di conoscerne l'esatto corrispettivo. Il secondo profilo è, invece, manifestamente infondato poiché si deve pacificamente "escludere la comparabilità delle procedure ablative connesse al settore della tutela artistica e storica con le ordinarie procedure espropriative previste per beni di diversa natura", ciò valendo, in particolare, per la prelazione storico-artistica "che, pur manifestando - quanto meno nel caso contemplato dal secondo comma dell'art. 61 - una sostanza ablativa, è istituto ben distinto dagli ordinari provvedimenti di natura espropriativa"(così il capo 3, sent. Corte cost. n. 269/1995; analoga questione, sotto il profilo dell'incostituzionalità , è stata disattesa da questa stessa Sezione VI, con sent. 27 giugno 2007 n. 3688). Conclusivamente, l'appello va dunque respinto, con salvezza dell'impugnata sentenza, mentre gli esborsi processuali di secondo grado si liquidano come da dispositivo, secondo il consueto criterio della soccombenza. P.Q.M. il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI), respinge l'appello (r.g.n. 6104/2011) e condanna in solido i due appellanti e soccombenti, Società Agricola Grog s.r.l. e Guido Barbi, a rifondere al Comune di Collebeato, appellato e vittorioso, gli oneri processuali di secondo grado, liquidati in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre ai dovuti accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. | |
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Da: atarassia | 15/12/2016 11:59:24 |
questa sentenza secondo me non è attinente serve una sentenza che dica quali sono i termini di arrivo del provveidmento di prelazione | |
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