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Concorso VIGILI DEL FUOCO, 814 POSTI !!!
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Da: alex10/12/2009 19:01:05
Ragazzi sono appena tornato da Capannelle ho preso 53,63 è stata molto dura! ero in 2 commissione tunnel scivolosissimo la corda era nuova e non riuscivo a piegarla con i piedi e si sentivano dei rumori provenienti dalla corda la trave di muove troppo e sono caduti diversi ragazzi e la sega non taglia per niente ci ho impiegato 2 minuti solo per il taglio ho recuperato alla fine nonostante la stanchezza e mi si è piegato pure il chiodo e non capisco come OGGI CI SIANO STATI VISTI CON I MIEI OCCHI SETTE 60/60 E QUATTORDICI PERSONE CON 59/60 IL RESTO 51/53

10 trazioni : 13,50 pt
percorso 53'' : 13,25 pt
piscina 29'' : 13 pt
mensola 8' 32'' : 13,88 pt

Ragazzi dopo 1 anno di allenamento è andata di merda che schifo ho perso la possibilità di fare altri concorsi! Una vergogna!!


Da: Alex10/12/2009 19:05:51
Nessuno penalizza nessuno! Non date retta. Ieri ho fatto la prova, ho fatto 11 trazioni, percorso in 48, 22 sec per la piscina e 8.48 minuti per la tavola totale 57,00 punti!
Per chi deve ancora fare la prova vi dico di sperare di ricevere all'entrata il cartello della seconda commissione, che è la più veloce nella tempistica delle prove...

Gli esaminatori sono gentili e ti spiegano tutto, ma lì è arrivata gente che non aveva ancora capito cosa vuol dire distendere le braccia completamente dopo una trazione, e quindi ne faceva 10 ma gliene contavano 4,5... Per non dire quelli che non arrivavano, ma che dico a 3, ma neanchea 2 trazioni!!!

Per il colloquio orale c'è il volume:

http://www.nissolino.it/catalogo/vne_801.htm

Buono studio a tutti per l'orale e in culo alla balena!

Da: civile10/12/2009 19:46:27
ragazzi sapete se queste benedette domande dell'orale li prendono dai quiz che abbiamo fatto alle preselettive?grazie

Da: pompieri civici10/12/2009 20:06:13
Disastro del Vajont
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai a: Navigazione, cerca
Coordinate: 46°16â02âN 12°19â44âE / 46.26722, 12.32889
Disastro del Vajont

Luogo Valle del Vajont
Data 9 ottobre 1963 - ore 22.39
Tipologia Disastro industriale
Morti stimati 1917
Il disastro del Vajont fu causato da una frana staccatasi dal versante settentrionale del monte Toc - situato sul confine tra le provincie di Belluno (Veneto) e Pordenone (Friuli Venezia Giulia) - il 9 ottobre 1963.

Alle ore 22.39 di quel giorno, circa 270 milioni di m3 di roccia scivolarono, alla velocità di 30 m/s, nel bacino artificiale sottostante (che conteneva circa 115 milioni di m3 d'acqua al momento del disastro) creato dalla diga del Vajont, provocando un'onda di piena che superò di 250 m in altezza il coronamento della diga e che, in parte, risalì il versante opposto distruggendo tutti gli abitati lungo il lago nel comune di Erto e Casso, e in parte (circa 30 milioni di m3) scavalcò il manufatto (che rimase intatto) riversandosi nella valle del Piave, distruggendo completamente il paese di Longarone e i suoi limitrofi [1]. 1917[2] le vittime di cui[3] 1450 a Longarone, 109 a Codissago e Castellavazzo, 158 a Erto e Casso e 200 originarie di altri comuni[4];

Lungo il lago del Vajont, vennero distrutti i borghi di: Frasègn, Le Spesse, Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana, San Martino,Fae e la parte bassa dell'abitato di Erto [5]. Nella valle del Piave, vennero rasi al suolo i paesi di Longarone, Pirago, Maè, Villanova, Rivalta. Profondamente danneggiati gli abitati di Codissago, Castellavazzo, Fortogna, Dogna e Provagna. Danni anche nei comuni di Soverzene, Ponte nelle Alpi e nella città di Belluno dove venne distrutta la borgata di Caorera, e allagata quella di Borgo Piave.

Nel febbraio 2008, nel corso della presentazione dell'Anno internazionale del pianeta Terra (International Year of Planet Earth) dichiarato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per il 2008, il disastro del Vajont fu citato - assieme ad altri quattro - come un caso esemplare di "disastro evitabile" causato dalla scarsa comprensione delle scienze della terra e - nel caso specifico - dal «fallimento di ingegneri e geologi nel comprendere la natura del problema che stavano cercando di affrontare»[6]

Indice [nascondi]
1 Il progetto della diga
1.1 I lavori della diga
1.1.1 Avanzamento dei lavori
2 L'osservazione scientifica
2.1 La geologia del luogo
2.1.1 Assetto strutturale
2.2 Clima
2.3 Cenni sugli studi compiuti prima del disastro
2.4 Il disastro
2.5 Dopo il disastro
2.6 Studi successivi
2.7 I precedenti
3 Note
4 Bibliografia
5 Filmografia
6 Teatro
7 Voci correlate
8 Altri progetti
9 Collegamenti esterni


Il progetto della diga  [modifica]
La diga, nonostante le sollecitazioni 7 volte superiori a quelle previste dal progetto, resistette all'ondata, che distrusse solo parte della mensola di calcestruzzo armato "cucita" alla diga su cui poggiava la strada di collegamento con la riva sinistra del Vajont La diga vista da LongaroneL'idea di sfruttare come bacino idroelettrico la valle del fiume Vajont tramite una diga venne concretizzata dalla Società Idroelettrica Veneta poi assorbita dalla SADE (Società Adriatica di Elettricità), particolarmente attiva alla fine del XIX e nella prima metà del XX secolo nella distribuzione elettrica (prima della nazionalizzazione del settore elettrico attuata attraverso la nascita di un "Ente Nazionale per l'Energia Elettrica", l'ENEL) nel nord-est italiano[7]. All'epoca, la maggior parte dell'energia elettrica prodotta in Italia del Nord, fondamentale per lo sviluppo industriale, era ottenuta utilizzando turbine idroelettriche, perché l'Italia, abbondante di montagne, mancava di materie prime, come il carbone, e quindi questa politica di 'energie rinnovabili' ante litteram era una soluzione pressoché obbligata. Ma non considerava le interazioni uomo-ambiente e le necessità di rispetto dell'ambiente.

Lo scopo del progetto era quello di creare in mezzo ai monti dolomitici una riserva di acqua (serbatoio di regolazione pluristagionale) che permettesse di sfruttare l'energia gravitazionale (perché le dighe consentono di utilizzare l'acqua come fluido di lavoro), sotto forma di potenza idrica, per portare energia elettrica a Venezia e a tutto il Triveneto, anche nei periodi di secca dei fiumi. L'invaso venne creato per accumulare le acque del fiume Piave dopo il loro passaggio nella diga di centro Cadore, dalla quale giungeva nel serbatoio del Vajont tramite tubazioni con dislivello minimo e quindi minor perdita di energia gravitazionale. A questo sistema si aggiungevano, tramite condotte e ponti-tubo, anche i laghi di Vodo e Valle di Cadore (torrente Boite), di Pontesei (torrente Maè) e della Val Gallina (bacino di carico della centrale di Soverzene). Era stato dunque concepito un grande sistema di vasi comunicanti, con piccoli dislivelli tra di loro, sfruttati da piccole centrali (Pontesei, Colomber e Gardona) e tutti confluenti nella centrale principale di Soverzene (220 MW, al suo tempo la più grande d'Europa).

La gola del torrente Vajont, che nasce dalle Alpi carniche e si immette nel fiume Piave, costeggiando il Monte Toc, tra la provincia di Belluno e la provincia di Pordenone, istituita successivamente (1968), sembrava essere il luogo più adatto: lungo il corso del torrente, all'altezza dei paesi di Casso e di Erto (PN), il geologo Giorgio Dal Piaz e il progettista Carlo Semenza individuarono il luogo adatto per costruire la diga a doppio arco più alta del mondo.

Il progetto iniziale prevedeva una diga a doppio arco alta 202 metri con un invaso di 58,2 milioni di metri cubi. In seguito il progetto fu modificato: la diga avrebbe raggiunto l'altezza di 261,60 metri, con un invaso utile di 152 milioni di metri cubi. L'invaso della diga fu a tutti gli effetti maggiore di quanto mai previsto.

Il progetto ottenne la completa approvazione ministeriale il 17 luglio 1957.

I lavori della diga  [modifica]
Interno della cabina comandi centralizzati.Il primo sopralluogo sul posto, da parte dell'ingegner Carlo Semenza e del geologo Giorgio Dal Piaz, ebbe luogo nel 1925. [8]I lavori progettuali legati alla costruzione del Grande Vajont iniziarono nel 1940, con i primi sopralluoghi di Dal Piaz sul territorio.

Dopo la Seconda guerra mondiale il progetto Vajont, fortemente voluto dalla SADE, inizia a prendere forma e viene quindi presentato per l'approvazione del Genio Civile.

I controlli geologici iniziarono nel 1949 e con essi i primi atti di protesta delle amministrazioni coinvolte dal progetto: la costruzione della diga avrebbe infatti portato gli abitanti dei paesi di Casso e di Erto all'abbandono di abitazioni e di terreni produttivi.

Nonostante le proteste degli abitanti della valle e i forti dubbi degli organi preposti al controllo del progetto, a metà degli anni cinquanta iniziarono i primi espropri fondiari e la preparazione del cantiere: i lavori per la costruzione della diga iniziarono nel 1956, senza l'effettiva autorizzazione ministeriale.

Il costo della costruzione della diga fu sostenuto grazie anche ad un contributo del 45% delle spese, erogato all'epoca della progettazione, dall'allora governo fascista presieduto da Mussolini. [9]

Avanzamento dei lavori  [modifica]
Nel corso dei lavori si dovette procedere ad aggiustamenti non previsti nel progetto originale: furono rilevate frane della roccia su cui poggiavano le spalle della diga e fu reso necessario l'utilizzo di iniezioni di calcestruzzo per il consolidamento dei versanti.

A lavori ormai iniziati si produssero alcune scosse sismiche, la Sade fece pertanto effettuare ulteriori rilievi geologici che rilevarono l'esistenza di una grande paleofrana sul monte Toc, la quale avrebbe potuto cadere nel bacino artificiale formato dalla diga. Nonostante questo, La SADE non inviò mai i rapporti di questi rilievi agli organi di controllo.[senza fonte]

Alla fine della riprogettazione, che vide l'innalzamento di circa 60 metri e la capacità di bacino triplicata, la diga del Vajont aveva le seguenti caratteristiche:

Tipo: diga ad arco a doppia curvatura in calcestruzzo
Inizio effettivo lavori: 1957
Costruttore: Gruppo S.A.D.E. - Società Adriatica di Elettricità di Venezia
Fine lavori: 1959.
Altezza complessiva: 264,6 m
Larghezza alla base: 27,0 m
Larghezza in sommità: 3,4 m
Livello di massimo invaso:722,5 m slm
Livello di massima piena: 462,0 m slm
Livello massimo: 725,5 m sl.
Capacità di invaso complessiva: 168,715 milioni di m3 (150 mln utile)
Morti durante la costruzione della diga: 15
I lavori continuarono: il 2 febbraio 1960 si effettuò il primo invaso a quota 600 metri, successivamente la quota fu portata a 650 metri. Il 4 novembre 1960 si produsse una prima frana: 700 mila metri cubi di terra e roccia franarono nel bacino.

Dopo la prima frana fu commissionata all'Istituto di Idraulica e Costruzioni Idrauliche dell'Università di Padova una simulazione di disastro. Lo studio riprodusse in scala una possibile frana di 40 milioni di metri cubi, la dimensione stimata allora della frana, attraverso l'utilizzo di ghiaia. In base a questa simulazione, in seguito al disastro oggetto di critiche poiché considerata da alcuni troppo approssimativa, si determinò che il limite di invaso a quota 700 metri non avrebbe provocato danni.

Dal 1961 al 1963 furono praticati numerosi invasi e svasi per limitare il più possibile le possibilità di smottamento del terreno circostante la diga: il 4 settembre 1963 si arrivò a quota 710. Gli abitanti della zona denunciarono movimenti del terreno e scosse telluriche, inoltre venivano chiaramente uditi boati provenienti dalla montagna.

L'osservazione scientifica  [modifica]
Posto che la dinamica della catastrofe è risultata concretizzarsi per un concorso di elementi naturali e di grosse responsabilità umane, è necessario fare il punto su quello che le indagini scientifiche rivelarono sulla costituzione morfologica della vallata, per poi integrare queste con lo svolgimento della cronaca recente.

La geologia del luogo  [modifica]
La geologia del luogo venne individuata, secondo una ricerca dei primi anni sessanta, nella seguente successione stratigrafica: Giurassico:

G1: Livelli di calcari marnosi e selciferi, di colore grigio-scuro, stratificati in maniera intensa e sottile, con inserti di marne calcaree. (Lias)
G2 : calcari oolitici, alla base dolomitici, compatti e con stratificazione caotica e vagamente ordinata. (Dogger-Malm)
G3 : si riconoscono 3 livelli, (Malm):
a) calcari grigi scuri con liste e noduli di selce, sottilmente stratificati con interstrati basali marnoso- calcarei verdastri e con intercalazioni marnoso-argillose;
b) calcari grigi, e, gradualmente, da mediamente a sottilmente stratificati;
c) calcari e calcari marnosi, simili al livello basale, ma in banchi di spessore superiore al metro.
Assetto strutturale  [modifica]
Nell'Oligocene, durante l'orogenesi alpina, (30 milioni di anni fa), le formazioni calcareo marnose e argillose vennero piegate, fratturate e sollevate; queste, verso la base, presentano una superficie inclinata di tensione che poi è stata coinvolta nell'enorme franamento del Monte Toc.

Dal punto di vista strutturale nella zona si possono riconoscere due pieghe principali entrambe con asse orientato in direzione E-W ovvero: -l'anticlinale Pelf-Frugna, il cui asse corre lungo la Val Gallina e attraversa l'alta valle del Vajont il cui nucleo è costituito da Dolomia Principale; -Sinclinale di Erto, riconoscibile nella conca di Erto, con al nucleo la formazione del flysch. Il fianco meridionale di tale sinclinale asimmetrica, lungo il cui asse si è impostata la valle del Vajont, e costituisce il fianco settentrionale del Monte Toc da cui si sarebbe staccata la frana.

In termini morfologici, la valle del Vajont è di origine glaciale, che vide dopo l'ultima glaciazione l'azione erosiva glaciale sovraimpressa dalla successiva erosione torrentizia generando il profondo profilo a "V" della valle. Profilo geometricamente favorevole per la ubicazione di una diga di sbarramento.

Clima  [modifica]
La diga del torrente Vajont è situata in una area ad elevata piovosità con massimi in primavera ed in autunno e con minimi in inverno. L'azione del gelo-disgelo insiste sul versante meridionale della valle. Inoltre, data l'esposizione della stessa verso Est-Ovest , essa è sottoposta ad una scarsa insolazione.

Nel 1962-63, il livello delle precipitazioni fu così basso che, per compensare la possibile crisi idrica e continuare con l'attività di produzione elettrica, il livello del lago artificiale fu aumentato nonostante i timori che ne derivavano.

Fu, indipendentemente dalle cause contingenti, una decisione piuttosto sconcertante, se si considera che proprio per evitare i fenomeni franosi che minacciavano il bacino e i dintorni, si era deciso di abbassare lentamente il livello stesso. Questo aumento in un momento così delicato potrebbe essere stato il precursore della frana, che così, pur essendo di origine âidraulicaâ con un invaso pieno,potrebbe aver avuto origine a causa di un periodo di siccità.

Una decisione del genere è in parte spiegabile con la nazionalizzazione delle industrie idroelettriche avviata nello stesso anno del disastro[senza fonte]. Lo stato di transitorietà in cui si trovava il neonato Ente per l'Energia Elettrica non ha permesso di avere la stessa rapidità decisionale (nonché probabilmente l'attenzione) che era invece garantita dall'Impresa privata che fino a prima possedeva gli impianti.

Cenni sugli studi compiuti prima del disastro  [modifica]
I lavori di costruzione della diga cominciarono nel 1957; da subito il versante sovrastante la diga fu tenuto sotto controllo. Per questo motivo il famoso specialista austriaco in esplorazioni minerarie Leopold Müller fu consultato per valutare i problemi di stabilità della roccia. Tuttavia in questo primo studio le sue indagini non rivelarono la paleofrana che poi sarebbe stata vista come causa determinante, anche se la conclusione fu che la riserva idrica poteva causare frane, anche di un milione di metri cubi.

Dal Piaz, comunque, ancora l'anno dopo non ritenne che fossero presenti rischi concreti di frane pericolose. Solo nel 1959 il geologo Edoardo Semenza - figlio del capo progettista Carlo Semenza - scoprì in una ricognizione sul campo, la presenza nel versante sinistro, di evidenti pericoli derivanti da una zona di miloniti non cementate, lunga circa 1 chilometro e mezzo [10]. Ciò indusse Edoardo Semenza ad ipotizzare la presenza di una paleofrana. Le prospezioni geofisiche del geologo Prof. Pietro Caloi sembravano invece indicare nello studio successivo (novembre 1959) che la zona a sinistra della vallata fosse "eccezionalmente" solida, rocce compatte coperte da soli 10-20 m di detriti sciolti.

Nel frattempo, nel 1959 la diga era stata terminata e si era iniziato a riempire l'invaso. Tuttavia come già visto il 4 novembre 1960, con il livello del lago a 650 m.s.l., vi fu una frana di medie dimensioni (800.000 m3) sul versante sinistro; dopo questo evento Müller studiò ancora il territorio e propose varie ipotesi per evitare la frana del versante, benché non credesse ancora alla presenza della paleofrana. Non era contrario alla costruzione della diga, ma temeva la possibilità di una frana incontrollata, tanto da suggerire vari rimedi, il più attuabile dei quali era forse un tunnel drenante che, passando per strati calcarei compatti, raggiungesse da sotto le masse franose e ne convogliasse via l'acqua.

Il Campanile di Pirago, frazione di Longarone, miracolosamente rimasto in piedi dopo il passaggio dell'onda di morte. La Chiesa ai suoi piedi venne completamente spazzata via insieme all'intera frazione.Tra le altre possibili ipotesi di lavoro, nessuna sembrava realmente fattibile: sbancare la frana o cementarla, tra le più realistiche, erano in realtà, per le grandezze in gioco, giudicate troppo costose e difficili da realizzare.

Tuttavia, restava il fatto che la questione dovesse essere meglio compresa. Sondaggi e prospezioni continuarono ad essere previsti, sebbene scavare negli strati di detrito presenta notevoli difficoltà tecniche.

Nel 1960 Caloi riprese gli studi geosismici, e con sorpresa di tutti, rilevò fino a 150 metri di roccia fratturata concludendo in maniera ancora più sorprendente, che questo doveva essere accaduto dopo la sua prima indagine dell'anno precedente.

Come già visto nel 1961, dietro volere di Carlo Semenza, un modello in scala 1:200 del bacino del Vajont fu approntato e testato presso l'Università di Padova ipotizzando l'eventualità di una frana con superfici di movimento di 30 e 40 gradi e tempi di frana valutati fino al tempo di un minuto (già considerato eccezionalmente veloce con i dati in possesso a quell'epoca). Il totale fu considerato sufficiente per non dover temere né cedimenti della diga né svasi oltre la stessa da parte delle onde anomale generate, non più alte di una trentina di metri, corrispondenti a 40 milioni di m3 nel peggiore dei casi. Ma nella realtà la frana fu di quasi 300 milioni di m3 (circa 8 volte il valore massimo previsto) e si mosse a velocità tripla di quella prevista; tutto ciò produsse un'energia cinetica di quasi 100 volte superiore al massimo previsto, e il livello dell'onda superò i 200 metri sul coronamento della diga.

Nel frattempo, comunque, furono impiantati dei piezometri - seppur con grande fatica (dovuta alla necessità di raggiungere i vari strati in cui esisteva la falda acquifera), nonché dei marcatori di terreno per visualizzare i movimenti della frana. Nonostante le difficoltà nell'interpretare i dati che essi fornivano, nondimeno furono molto utili nello stabilire come procedere empiricamente per far diminuire il fenomeno franoso.

La strategia di Müller prevedeva che la frana in nessun caso sfuggisse al controllo, e la tattica suggerita dopo quella del 1960 fu lo svuotamento lento del bacino, con diminuzioni fino al livello di 600 mt, costituite da 4-5 mt in meno e poi una pausa di alcuni giorni per dare il modo e il tempo al materiale di aggiustarsi e restare stabile nonostante il cambiamento di condizione idraulica.

Così, il movimento della frana quasi si bloccò in breve tempo, e certamente non si sarebbe riattivata violentemente senza il ritorno oltre quota 700 mt, se le esigenze di collaudo non l'avessero "imposto".

l'area della frana, in basso la massa di detriti ancora oggi presenti. Il disastro  [modifica]
Alla fine dell'estate del 1963, poiché i sensori rilevarono movimenti preoccupanti della montagna, venne deciso di diminuire gradualmente l'altezza dell'invaso, sia per cercare di evitare il distacco di una frana, sia per evitare che una possibile frana potesse provocare un'onda che scavalcasse la diga. Ma alle 22,39 del 9 ottobre 1963 si staccò dalla costa del Monte Toc (che in friulano, contrazione di "patoc", significa "marcio") una frana lunga 2 km di oltre 270 milioni di metri cubi di rocce e terra. La frana arrivò a valle, generando una scossa sismica e riempiendo il bacino artificiale. [11] L'impatto con l'acqua generò tre onde: una si diresse verso l'alto, lambì le abitazioni di Casso e ricadendo sulla frana andò a scavare il bacino del laghetto di Massalezza; un'altra si diresse verso le sponde del lago e attraverso un'azione di dilavamento delle stesse distrusse alcune località in Comune di Erto-Casso e la terza (di circa 50 milioni di metri cubi di acqua), scavalcò il ciglio della diga che rimase intatta, ad eccezione del coronamento percorso dalla strada di circonvallazione che conduceva al versante sinistro del Vajont e precipitò nella stretta valle sottostante. I circa 25 milioni di metri cubi d'acqua che riuscirono a scavalcare l'opera, raggiunsero il greto sassoso della valle del Piave e asportarono consistenti detriti che si riversarono sul settore meridionale di Longarone causando la quasi completa distruzione della cittadina (si salvarono il municipio e le case poste a nord di questo edificio) e di altri nuclei limitrofi e la morte, nel complesso, di circa 2000 persone (i dati ufficiali parlano di 2018 vittime, ma non è possibile determinarne con certezza il numero).

Alle ore 5,30 della mattina del 10 ottobre 1963 i militari italiani arrivarono sul luogo per portare soccorso e recuperare i morti. Dei circa 2000 morti, sono stati recuperati solo 1500 cadaveri, la metà dei quali non è stato possibile riconoscere. [12]

Dopo il disastro  [modifica]
Il Ministero dei Lavori Pubblici avviò immediatamente un'inchiesta per individuare le cause della catastrofe.

Iniziano le operazioni di messa in sicurezza della valle. L'Enel installa una stazione di pompaggio per mantenere il livello del settore residuo del lago (quello a monte) entro limiti di sicurezza, giacché essendo rimasto senza emissario avrebbe potuto sommergere Erto, e contemporaneamente vengono avviati i lavori di ripristino e prolungamento oltre lo sbarramento della galleria di bypass costruita prima del disastro (e che tuttora assicura il deflusso delle acque oltre la diga). Nonostante le rassicurazioni dei geologi si decide però di trasferire la popolazione di Erto. Pochi dei vecchi abitanti sono rientrati nelle case e le hanno ristrutturate, mentre altri occupano il nuovo quartiere costruito più in alto.
Vengono fatti tutta una serie di lavori di dubbia utilità come ad esempio l'impermeabilizzazione del passo di Sant'Osvaldo (punta Ovest) con uno schermo di cemento profondo 80 m (rimosso nel 1998) noto come il Muro della Vergogna, o del Pianto.

Il 20 febbraio 1968 il Giudice istruttore di Belluno, Mario Fabbri, deposita la sentenza del procedimento penale contro Alberico Biadene, Mario Pancini, Pietro Frosini, Francesco Sensidoni, Curzio Batini, Francesco Penta, Luigi Greco, Almo Violin, Dino Tonini, Roberto Marin e Augusto Ghetti. Due di questi, Penta e Greco, nel frattempo muoiono, mentre Pancini si toglie la vita il 28 novembre di quell'anno.
Il giorno dopo inizia il Processo di Primo Grado, che si tiene a L'Aquila a ben 850 chilometri, e che si conclude il 17 dicembre del 1969. L'accusa chiede 21 anni per tutti gli imputati (eccetto Violin, per il quale ne vengono richiesti 9) per disastro colposo di frana e disastro colposo d'inondazione, aggravati dalla previsione dell'evento e omicidi colposi plurimi aggravati. Biadene, Batini e Violin vengono condannati a sei anni, di cui due condonati, di reclusione per omicidio colposo, colpevoli di non aver avvertito e di non avere messo in moto lo sgombero; assolti tutti gli altri. La prevedibilità della frana non viene riconosciuta.

Dal 15 al 25 marzo del 1971 a Roma si svolge il processo di Cassazione, dove viene confermato il verdetto del processo di secondo grado, ma vengono ridotte le pene a Biadene e a Sensidoni: il primo è condannato a cinque anni di reclusione, il secondo a dieci mesi, ma in seguito a Biadene verranno condonati tre anni per problemi di salute

Nel 1971, per permettere agli sfollati ancora senza nuove case di tornare alla normalità, venne costruito il comune di Vajont presso Maniago. [13]

Nel 1997 la Montedison (che aveva acquisito la SADE) fu condannata a risarcire i comuni colpiti dalla catastrofe. La vicenda si concluse nel 2000 con un accordo per la ripartizione degli oneri di risarcimento danni tra ENEL, Montedison e Stato Italiano al 33,3% ciascuno. [14] [15] [16]La comunità riprese subito a ricostruire non solo il tessuto sociale distrutto, ma anche la città. Un altro centro chiamato Nuova Erto venne costruito a Ponte nelle Alpi (provincia di Belluno), di cui costituisce un quartiere. Infine, sopra il vecchio abitato originale di Erto venne costruito il paese di Erto attuale.

Si parla di "Corsa al collaudo" come causa del disastro. In realtà questa corsa, secondo alcuni motivata dalla nazionalizzazione delle Industrie Elettriche avvenuta nel 1963 è infondata (ed è stato assodato in sede giudiziaria). Il decreto che istituiva l'ENEL indicava come termini di risarcimento ai proprietari delle Società Elettriche il pagamento del pacchetto azionario il cui valore era fissato come "media degli anni compresi tra il 1959 e il 1962". A dimostrazione di come qualsiasi azione intrapresa al collaudo di nuovi impianti volta ad aumentare il controvalore erogato dallo Stato per la nazionalizzazione non avrebbe mai potuto portare al conseguimento di questo obiettivo.

Studi successivi  [modifica]
Dopo la frana, vennero intensivamente studiate le cause e i provvedimenti da adoperare per evitare ulteriori casi simili a questo. Molti i lavori di studio completati. Tra questi, quelli di Müller, Trevisan, e Hendron-Patton, il più recente, del 1985.

Quest'ultimo studio ha fornito definitivamente la conferma della presenza di 2 distinti livelli acquiferi, quello superiore, che risentiva direttamente del livello del lago, e quello inferiore, dipendente dalle precipitazioni.

Furono eseguiti nuovi sondaggi e si trovò che il livello detto Fonzaso con argille fosse quello che corrispondeva alla superficie di rottura della frana. Questo strato avrebbe anche causato la separazione dei due acquiferi che risultò così importante: quello nella massa della frana e quello negli strati sottostanti del calcare. Da notare che il livello dell'acquifero superiore era trovato, in base a tre piezometri installati, direttamente collegato a quello del lago.

L'acquifero inferiore, invece, data la presenza nell'assetto geologico-strutturale di una sinclinale ma anche di uno strato calcareo, è da un lato isolato dal contatto diretto con l'acqua contenuta nel lago e dall'altro è invece risultato collegato alle piogge, inoltre la sua acqua permane in zona a lungo e favorisce fenomeni carsici. La variazione del livello di falda è in antitesi a quello che si riteneva precedentemente, lento e legato ai fenomeni atmosferici (piogge cadute a monte).

Per questo sembrò plausibile che, effettivamente, la pressione dell'acquifero inferiore fosse capace, quando si verificavano grandi precipitazioni, di causare smottamenti e frane, anche quando non esisteva il lago artificiale.

Tuttavia, la concomitanza di questi due fattori, lago e piogge, innescò questa frana colossale quando la combinazione tra intense precipitazioni e alto livello del lago si dimostrò sufficiente all'innesco.

Riassumendo, le cause preparatorie o predisponenti per il disastro del Vajont sono state varie, e anche variamente interpretate, ma alcune sembrano acclarate sufficientemente:

la costituzione geologica (come sopra specificato) del versante nord del Monte Toc.
il disboscamento.
un progressivo decadimento delle caratteristiche meccaniche della base delle rocce interessate al movimento.
secondariamente, gli sbancamenti e le incisioni provocate dalla costruzione delle strade e dei canali nell'area in oggetto.
la presenza del lago artificiale e in particolare la riduzione della spinta dell'acqua in coincidenza degli svasi.
le piogge abbondanti, che non fecero che peggiorare i problemi di stabilità del versante, a parità di livello del lago. Si stima adesso che la frana avrebbe potuto verificarsi persino soltanto con piogge superiori a un certo ammontare (700 millimetri) in un mese, ma qui bisogna sommare anche il lago della diga.
I precedenti  [modifica]
Che l'area, nonostante le sue qualità geometriche di âbacino idricoâ in termini di volume e posizionamento, fosse tutt'altro che stabile, lo dimostrano dei documenti storici risalenti addirittura a Catullo, che parla di una frana che cadde sul fondovalle, sbarrandolo.

Sempre in zona, avvennero frane nel 1347, 1737, 1814, 1868. Si staccarono in particolare dal monte Antelao, provocando vittime e danni considerevoli.

Nella vicina vallata di San Lucano, avvennero frane nel 1748, 1908 e 1925.
Ma per quanto riguarda la vicenda del Vajont, maggiore interesse può essere accreditato alla frana di Pontesei (nella vicina valle di Zoldo), e quella del monte Toc del 4 novembre 1960.
La prima era correlata alla presenza di un bacino idrico, uno dei tanti del bellunese, per la produzione di elettricità. Le caratteristiche della frana sono state un'anticipazione di quella del Vajont. Alle ore 7 del 22 marzo 1959 una massa di 3 milioni di m3 si staccò dalle falde del monte Castellin e dello Spiz, su di un fronte di 500 metri e precipitò in 2-3 minuti nel lago di Pontesei, ovvero uno dei bacini artificiali. L'evento provocò la formazione di un'onda che sormontò la diga per almeno 7 metri, nonostante il bacino fosse a un livello di 13 metri al di sotto dell'orlo della diga. L'onda investì il sorvegliante della diga il cui corpo non fu più ritrovato.

L'evento ebbe una lunghezza del fronte di frana di circa 500 metri e la sua dinamica vide il franamento superficiale di un considerevole spessore di detriti morenici.

La frana del 4 novembre 1960 vide invece 800.000 m3 staccarsi dal monte Toc e cadere nel bacino artificiale provocando un'ondata di 10 metri di altezza. Seppure senza danni, questo evento era un chiaro avvertimento sulla precarietà della stabilità dei versanti, e questo con un livello della superficie del bacino che arrivava solo a quota 650 metri. Al contempo si aprì una immensa fessura perimetrale sulla montagna, disegnando una M, fessura lunga oltre 2500 metri sulle pendici settentrionali del monte Toc tra quota 930 e 1360 metri s.l.m. [17]

A quel punto venne dato ordine di svaso del bacino, si intensificarono gli studi per comprendere meglio la struttura del luogo, e venne infine praticata una galleria di bypass per tenere in collegamento il bacino anche se fosse stato tagliato a metà da una grande frana, per impedire aumenti arbitrari del livello a monte della stessa.

La giornalista de l'Unità Tina Merlin scrisse al proposito di questi eventi:

« Si era dunque nel giusto quando, raccogliendo le preoccupazioni della popolazione, si denunciava l'esistenza di un sicuro pericolo costituito dalla formazione del lago. E il pericolo diventa sempre più incombente. Sul luogo della frana il terreno continua a cedere, si sente un impressionante rumore di terra e sassi che continuano a precipitare. E le larghe fenditure sul terreno che abbracciano una superficie di interi chilometri non possono rendere certo tranquilli. »
 

Già 2 anni prima della tragedia, Tina Merlin anticipò quello che sarebbe potuto succedere nella valle, con un articolo pubblicato sull'Unità il 21 febbraio 1961, in cui la giornalista denunciava la possibilità che la frana cadesse nel lago provocando enormi danni. [18]

Note  [modifica]
^ (EN) David Petley, The Vajont (Vaiont) Landslide allegato a International Year of Planet Earth - Global Launch Event 12-13 February 2008, press-release, 2008.
^ Elenco dei morti e dei feriti
^ Ripartizione delle vittime secondo i comuni
^ Francesco Niccolini, Vajont, una frana annunciata, e riferimenti ivi citati.
^ Descrizione della frana e dei danni dal sito dell'associazione
^ (EN) «the failure of engineers and geologists to understand the nature of the problem that they were trying to deal with», in Five Cautionary Tales and Five Good News Stories International Year of Planet Earth - Global Launch Event 12-13 February 2008, documento per la stampa.
^ [1]
^ [2]articolo su Repubblica di Giorgio Bocca
^ [3]
^ http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2003/10/08/vajont-la-valle-scomparsa.html
^ [4]
^ [5]
^ [6]
^ [7]
^ [8]articolo della Stampa sui risarcimenti danni9
^ [9]articolo di Repubblica sull'accordo per il risarcimento
^ [10]la frana del 1960
^ [11]
Bibliografia  [modifica]
Tina Merlin. Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. ISBN 88-86654-74-X
Marco Paolini e Gabriele Vacis. Il racconto del Vajont.
Mauro Corona. Vajont: quelli del dopo Mondadori 2006.
Franco Cadore. La notte del Vajont: Storie di solidarietà.
Edoardo Semenza. La storia del Vaiont. Ed.Tecomproject
Maurizio Reberschak. Il grande Vajont.
Psicologia dell'emergenza - Il caso Vajont. Comitato Sopravvissuti Vajont.
Lucia Vastano. Vajont, l'onda lunga. Unico libro sul "dopo", continuazione ideale di "Sulla pelle viva" della Merlin.
Mario Passi. Vajont senza fine. Baldini Castoldi Dalai editore, 2003.
Marcel Roubault. Le catastrofi naturali sono prevedibili. Einaudi, 1970.
Claudio Datei. Vajont, la storia idraulica. La Cortina editrice, 2002.
Agostino Sacchet Vajont la diga Associazione Pro-Loco Longarone 2003
Pino Corrias. Sotto la diga del Vajont, che un giorno spense tutte le luci del Miracolo, in Luoghi comuni. Dal Vajont a Arcore, la geografia che ha cambiato l'Italia. Milano, Rizzoli, 2006. pp. 3-21. ISBN 9788817010801.
Gianluca Casagrande. Il mondo che scomparve in una notte, IF Press srl editore, 2008. ISBN 97888955650149
Filmografia  [modifica]
Vajont, regia di Renzo Martinelli
Teatro  [modifica]
Memoria di classe, di Maurizio Donadoni
Il racconto del Vajont, di Marco Paolini e Gabriele Vacis
Voci correlate  [modifica]
Diga del Vajont
Diga
Codissago
Castellavazzo
Longarone
Erto e Casso
Vajont (torrente)
Vajont (paese)
Associazione Pro Loco Longarone
Mauro Corona
Altri progetti  [modifica]
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Wikimedia Commons contiene file multimediali su Disastro del Vajont
Collegamenti esterni  [modifica]
(EN) Vajont dam disaster
(EN) Vajont: a forecast manslaughter
sito alternativo Vajont documentale antimafia. Libri, documenti
Video Intervista a supertiti e giornalista (2007, durata 84:52)
Elenco morti e feriti
Portale Ecologia  Portale Energia  Portale Ingegneria  Portale Friuli-Venezia Giulia  Portale Veneto Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_del_Vajont"
Categorie: Alluvioni e inondazioni | Disastri legati ad errori di progettazione | Storia del Friuli | Storia del Veneto | Geologia italiana | [altre]
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Ultima modifica per la pagina: 22:45, 5 dic 2009. Il testo è disponibile secondo la licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo; possono applicarsi condizioni ulteriori. Vedi le condizioni d'uso per i dettagli. Wikipedia® è un marchio registrato della Wikimedia Foundation, Inc.
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Da: mario10/12/2009 20:26:00
Pompieri civici fai una cosa: linkaci solo l'articolo e poi se uno vuole se lo va a vedere.  Per carità interessanti... ma non so come dirti... un po' lunghi...non offenderti

Da: x...10/12/2009 20:30:14
ma come fate a dire ke i campani sono penalizzati.tutti assolutamente stupidi

E' disponibile l'App ufficiale di Mininterno per Android.
Scaricala subito GRATIS!

Da: mario10/12/2009 20:44:22
non so se i campani sono penalizzati... bisognerebbe sentire più campane...

Da: enzo10/12/2009 20:45:45
ragazzi... posso confermare che la verità sta nel mezzo!!! Io ho fatto ieri la prova dopo aver mandato il certificato (perchè stavo davvero con la febbre a 39° alla prima convocazione!) e ritengo senza alcun dubbio di essere stato penalizzato!! Ho preso 48,75 e non dico altro perchè sono INCAZZATO!

Da: GIADA10/12/2009 20:52:39
mario sei unico!!!

Da: vvd roma10/12/2009 20:58:06
Molti campani nn potrebbero vivere senza le drammacommedie.
Io conosco personalmente tantissime persone che hanno sostenuto le prove fisiche, con voti da meno di 50 a 59.
Nessuno ha avuto nulla da ridire sulle valutazioni; i criteri sono quel che sono, ma in base a questi tutti hanno avuto lo stesso trattamento.
Pensate all'orale allora!!! Dove nn ci sarà nessun cronometro!!
La, molti, ripeto molti (nn tutti) campani e nn potranno dare il loro meglio per quel che riguarda la tragicommedia.

Da: Leon X Alex 57pt10/12/2009 20:58:57
Ciao Alex vorrei sapere quanti punti ti hanno dato con 11 trazioni..grazie mille :)

Da: mario10/12/2009 21:03:45
x GIADA: si finchè non mi clonano pure a me

Da: mario10/12/2009 21:03:48
x GIADA: si finchè non mi clonano pure a me

Da: Leon X TUTTI10/12/2009 21:04:02
Ragazzi sapete quanti punti danno per 11 trazioni complete ?
ad un ragazzo che ne ha fatte 11 complete ed è sceso senza che il commissario dicesse STOP ha preso 15.

Da: GIADA10/12/2009 21:07:59
mario se ti clonano avrai la conferma di essere "unico", non si clona la banalità! ;)
ciao

vvd roma, in quanto a tragicommedie ne vedremo di belle, me lo sento...

Da: GIADA10/12/2009 21:50:43
QUALCUNO DI VOI SA QUANTA PERCENTUALE DI MILITARI HA PARTECIPATO ALLE PROVE FISICHE?GRAZIE

Da: GIADA10/12/2009 21:56:34
giada cara, "quanta percentuale" non è italiano!!!

Da: 00010/12/2009 21:58:34
i campani sanno solo piangere ...e' nel loro dna...

Da: GIADA10/12/2009 22:01:39
000, beh dai, ora non esageriamo... di solito sono le persone che non hanno fiducia nelle loro potenzialità e capacità che si piangono facilmente addosso, e questa caratteristica non c'entra nulla con la regione di appartenenza!!!

Da: sandro da salerno10/12/2009 22:08:23
Da: giuseppe o etna 10/12/2009 11.32.17
ieri o preso 57.75 che punteggio è?





poteva prendere anche 60....ma all'orale se ha culo prende 24

Da: la classificazione della CACCA10/12/2009 22:20:31
1. MATTUTINA: Senza lode e senza infamia, ha comunque un grande valore psicologico: scaccia tutti i fantasmi della notte e aiuta ad intraprendere con allegria il nuovo giorno.

2. COLLA: La più detestata. Non da particolare soddisfazione ne come
consistenza ne come aroma. Fa consumare una quantità industriale di carta
igienica e obbliga ad usare lo spazzolone.

3. MOUSSE: Anticamente detta BOASCIA, ha un odore forte e genuino. Si manifesta spesso quando si e' un campagna per una passeggiata. Color
nocciola scuro e morbida.

4. CAPRINA: Un vezzo prettamente femminile: detta anche "A PALLETTONI", questo tipo di cacca e' l'unica ad essere anche rumorosa quando arriva a contatto con la superficie della tazza. Non ha particolare odore, e' molto consistente, a forma di chicco di grandine. Colore scuro.

5. BOERO: Consiste nella combinazione tra durissima e liquida: prima si
espelle il "tappo" che frena la caduta della parte liquida. Di vario
colore, sorprende spesso chi non se lo aspetta.

6. MUNGO: Tra le più antiche specie. Lungo, consistente e profumato.
Colore chiaro, corrugato, questo modello ha il pregio di fumare sempre,
anche in estate.

7. TOTEM: della famiglia dei MUNGIDI, ha le stesse caratteristiche del suo antenato. Colore testa di moro, liscio, molto più profumato.

8. ZEPPELIN: Famiglia dei MUNGIDI. La sua particolare grandezza lo pone in cima alla classifica. In alcuni casi si pianta nella tazza e non c'è
verso di spezzarlo.

9. OMBRELLO: Trattasi di cacca pressoché liquida che fuoriesce ad
ombrello. Odore sgradevole, può procurare bruciori.

10. OMBRELLO IMPERIALE: Quando non e del tutto liquida e la sua caduta nella tazza crea simpatiche fantasie di colori e forme.

11. OMBRELLO IN TEMPESTA: Consistente come quello REALE e l'esatto opposto del BOERO: parte con l'ombrello liquido per finire con una sorta di meteoriti che agitano l'acqua della tazza provocando una vera e propria tempesta.

12. THRILLER: Si manifesta per lo più in coda sull'autostrada, colpisce
prima la parte alta dello stomaco. Dopo innumerevoli rimescolamenti
interni e pronta per l'espulsione. L'arrivo all'autogrill e' un sogno.
Accompagnata sempre da copiosa sudorazione spesso non da il tempo
necessario per le operazioni di sistemazione sulla tazza.

13. FULL METAL JACKET: Si capisce già dal primo stimolo: un cazzotto nello stomaco che lascia senza fiato. Di dimensioni enormi, forme
spigolose. La totale fuoriuscita e' spesso associata ad una piccola
quantità di sangue. Lacrima obbligatoria. Psicologicamente liberatoria,
ha in se la stessa sensazione del parto. Spesso ci si affeziona al
prodotto finale.

14. ALBANESE: Non ha particolarità ma viene fatta tra due macchine
nell'estremo momento del bisogno.

15. RAMSES II: Quando viene "mummificato" l'asse per una igienica seduta.

16. CIRCO TOGNI: In assenza di asse ci si arrampica e si sta in equilibrio sulla tazza.

17. KL: Quando non si ha voglia di praticare il CIRCO TOGNI, ci si mette a uovo, con performances degne di nota. Necessita il costante allenamento
dei quadricipiti.

18. ROCCO SIFFREDI: Solo maschile: capita spesso di mattina quando
coesistono erezione e stimolo della cacca: si pratica il KL ma seduti
sull'asse per controbilanciare.

19. EDERA: Questo simpatico modello non si stacca mai. Bisogna essere
allenatissimi nell'esercizio pubo-cocigeo per "tagliare" il parassita.

20. MAMBA NERO: Dimensioni piccolissime, colore nero, odore fortissimo.

21. BABY BOOM: Si manifesta dopo il cappuccino, ha l'odore della cacca dei poppanti, colore chiaro, consistenza media.

       A cura del prof. Kaiserfra

Da: gennaro figlio d''arte11/12/2009 00:01:09
notizzie ufficiali, con gli eliminati di oggi (38 ) siamo arrivati ai 3200 esclusi dal concorso. è una notizia certa.....mai nessuno si è accorto di me alle capanelle.....vi vedo ogni mattina... saluti

Da: Franco11/12/2009 00:03:24
notizzie con due z... proprio un figlio d'arte... l'arte della risata!!!!!!!

Da: gianlu11/12/2009 00:37:27
x leon...a me con 11 trazioni hanno dato 14...ke merda...mi aspettavo 14,50...invece 14...pekato...la 12ma era alla bocca non son riuscito a chiuderla...

Da: pompieri civici11/12/2009 01:04:02
Nell'uomo sano l'urina è un liquido limpido, atossico, sterile, incolore in condizioni normali, giallo paglierino nelle urine concentrate (la colorazione è dovuta all'urocromo, pigmento derivato probabilmente dalla degradazione delle proteine tissutali). Il valore del pH è variabile tra 4,4 e 8, anche se normalmente vicino a 6: al di sopra dei valori medi di pH, (per esempio con pH = 8) si è in presenza di alcalosi, oppure tale valore può essere osservato in individui che seguono una dieta con poche proteine. Al di sotto, invece, si verifica acidosi, pericolosa perché lâepitelio di transizione delle vie urinarie non è protetto dagli insulti acidi. La densità è pari a 1015-1025 kg/m³. La quantità di urina prodotta è estremamente variabile in quanto la percentuale di acqua dipende dall'ormone antidiuretico; una persona adulta produce giornalmente da un minimo di 500 ml (o anche meno in casi eccezionali, a seconda della capacità dei nefroni di concentrare le sostanze) ad un massimo di 25 l (circa un litro ogni ora). Le persone che hanno delle disfunzioni di produzione dell'ormone antidiuretico, detto anche ormone ADH, possono emettere quantità di urina che si avvicinano molto a questa soglia. L'obiettivo degli animali di emettere urea è di consumare le minori quantità possibili di acqua, in paragone per esempio all'ammoniaca, che se fosse mandata ai nefroni direttamente senza che essi muoiano dovrebbe essere molto più diluita in acqua. L'urina non è l'unico mezzo con cui perdiamo liquidi corporei: oltre al sudore, infatti circa mezzo litro viene disperso con la ventilazione (fino a 500 ml senza attività fisica) , mentre 250 cm3 con le feci. Viceversa mezzo litro viene prodotto a grazie alle reazioni biochimiche (H2O endogena), per esempio dalla beta os*******zione dei lipidi.

Da: ok11/12/2009 08:42:29
ok

Da: yuri chechi - chechi yuri11/12/2009 09:11:52
x pamela rosta

ma che CAZZO dici? Sicuramente quella era una discontinua che faceva solo d'autista a qualche invitato. Se non hai mai fatto il discontinuo devi solo che stare zitta. Chiunque abbia fatto d'autista a un qualsiasi comanda sa che ci si puo' imbattere in cerimonie od occasioni di questo genere. Si vede che quella sera era in servizio lei ed e' toccato a lei andare la.
Maligna di merda.

Da: sport11/12/2009 09:19:21
Sport - La cacca nel sacchetto

La cacca nel sacchetto è un sport praticato sin dall'antichità. Consiste nell'effettuare una cagata all'interno di un sacchetto di plastica rigorosamente di un supermercato scarso.
La tecnica di base e quella di lancio
Per i principianti la tecnica consigliata è quella del fissaggio su tavoletta. Questa speciale modalità consiste nel fissare sotto la tavoletta del water il sacchetto su ambedue i lati. Una volta seduti sul cesso, si può inziare a defecare, facendo attenzione a mirare correttamente. Conclusa la seconda fase ci si alza e si controllano le caratteristiche del nuovo nato, dopodiché si preleva il sacchetto e si esce dal bagno tenendolo possibilmente in tasca. Successivamente si può procedere alla terza fase: il Lancio. Questa speciale tecnica è considerata dagli studiosi di questo sport la più divertente. Di fatti consiste nel lanciare il sacchetto dalla propria finestra possibilmente dal sesto piano per avere un atterraggio più violento e far si che la cacca si spiaccichi meglio sulle teste delle persone, infatti dovremo lanciare la cacca molto violentemente.

La materia prima di questo sport.
Lanciare l'intero sacchetto tenendolo dalle prese superiori lanciandolo più in alto che si possa - possibili conseguenze potrebbero essere la fuoriuscita della cacca dal sacchetto o, per i niubbi lo schianto della cacca sulla parete della propria palazzina (ciò se fatto da una grande altezza).
Far scivolare la cacca dal sacchetto SENZA però far cadere anche il sacchetto che potrebbe ostruirvi la vista dell'impatto dello stronzo con il terreno - possibili conseguenze sono il rumore di polpette spiaccicate che avverrà all'impatto della cacca.
"Valutazione del punteggio" e "Possibili bersagli"
Secondo gli appassionati di questo sport ogni lancio di "Cacca nel sacchetto" può essere valutato secondo determinati criteri:
L'altezza del lancio - più è alto più punti si riceveranno.
Il rumore - il suono che emette.
Le acrobazie - capriole, giravolte eccetera.
Il bersaglio colpito (questo è il fattore che più aumenta il voto di un lancio), in ordine di punti abbiamo:

La strada
Un camion della spazzatura
Una macchina parcheggiata
Una macchina scapottata parcheggiata
Una moto parcheggiata
Una macchina in movimento (difficile calcolare il punto di atterraggio)
Una moto in movimento (agili e piccole sfuggono spesso)
Una macchina scapottata in movimento
Un passante
Un bambino nel passeggino
Un truzzo
Un emo che sorride(da + 100 a â,data l'impossibilita della cosa)

Da: pamela rosta x yuri keki11/12/2009 09:26:12
x yuri keki

Mi sa ke 6 te quella raccomandata di merda,quanto hai pagato,o quanto hai leccato per essere li?? Sai ke ti dico?ke 6 eri te, sembravi una zoccola in quel palco, te li sarai fatti tutti! Però se vuoi ti do il n. Del mio ragazo e te lo trombi, e poi vi sgamo,e cosi ho la scusa buona per liberarmene di quel cornuto! Dai...

Da: Alex x Leon11/12/2009 09:38:27
11 trazioni sono 14 pnt...questo lo sapevo perchè mi avevano già detto k l'ultimo step era di 1 pnt fra 11 e 12...
Pure io la 12a l'ho portata poco sopra la bocca...ma non ce l'ho fatta a chiudere la trazione...ho provato a tirarmi su con gli addominali, ma dopo 2 spinte ho lasciato perdere..peccato per un punto rimasto dietro così per 15 cm, però che tocca fare!! Io sono soddisfatto del mio 57!!! anche perchè all'orale mi voglio giocare il tutto e per tutto.

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