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atto amministrativo
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Da: biondina chiede aiuto | 08/01/2008 23:26:58 |
Ciao, credo di essere sufficientemente pronta sugli argomenti tipici per un concorso cat d per istruttore direttivo.....ma sulla predisposizione di un atto amministrativo non ne so nulla...da dove posso studiare ..come si fa???? aiuto!!! | |
Da: castana risponde | 09/01/2008 11:53:20 |
crepa!!! | |
Da: biondina per castana repressa | 10/01/2008 11:56:01 |
castana sei proprio acida...non hai ancora il fidanzato?? non sai come sfogare i tuoi ormoni... potevi dirmi..arrangiati...ma crepa...??!! RAGAZZI è proprio offensivo.... peace and love | |
Da: x biondina | 10/01/2008 13:43:20 |
Ciao, io ho comprato un formulario di contratti ed atti amministrativi, quando vado a casa, vedo la casa editrice e te lo dico. Ciao | |
Da: x biondina | 10/01/2008 13:44:05 |
scusa , non avevo firmato, sono cicia | |
Da: x cicia | 10/01/2008 16:51:42 |
grazie sei molto gentile, apprezzo il tuo aiuto.... :) | |
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Da: ciccia | 12/01/2008 19:14:42 |
edizioni fag milano, formulario di tutti i contratti. Ci sono anche in giro dei formulari sugli atti amministrativi, casa editrice Giuffrè. Ciao fra | |
Da: x ciccia | 13/01/2008 17:43:49 |
conoscevo sono simone e maggioli...proverò..grazie 100000 | |
Da: Prego, | 17/01/2008 01:36:29 |
non c'è di che... | |
Da: Ma | 17/01/2008 23:42:39 |
figurati ! | |
Da: rivolto agli esperti | 06/09/2009 16:21:26 |
una mia amica poco seria lavora in regione. ha continuato a dirmi che era una baggianata scrivere gli atti amministrativi. così non me ne sono preoccupata fino ad ora. adesso, a dieci giorni dallo scritto, mi sono posta il problema- mi sono resa conto che è una cosa complessa e non ho nessuno che mi aiuti. naturalmente la mia amica non lo sa fare. secondo qualcuno esperto in materia è possibile imparare in pochi giorni? senza testi di riferimento? come? io leggo il bur e non ci capisco niente. | |
Da: xela | 07/09/2009 09:42:43 |
puoi almeno iniziare, sapendo come e' strutturato la'tto amministrativo determina etc, c'e' qualcosa sotto che ti posto: ah la norm di rifermento e' degli enti locali APPUNTI PER UNA TEORIA DELLE DETERMINAZIONI DIRIGENZIALI Le determinazioni di competenza dei dirigenti e dei responsabili dei servizi e degli uffici (il cui fondamento viene fatto risalire allâarticolo 27 del dlgs n. 77/1995, oggi recepito nellâarticolo 183 del dlgs n. 267/2000) hanno finito per costituire nellâultimo decennio lâarea di produzione di decisioni amministrative di maggiore ampiezza - soggettiva ed oggettiva - che le istituzioni amministrative abbiano mai conosciuto nella storia bicentenaria del diritto moderno, destinata vieppiù ad ampliarsi in ragione della speciale vis espansiva che sembra caratterizzarla. Sotto il profilo soggettivo lâampiezza è testimoniata dal numero elevato di soggetti legittimati ad adottare determinazioni, che comprende non solo i dirigenti (articolo 4, commi 2 e 5, del dlgs n. 165/2001 ed articolo 107 del dlgs n. 267/2000), ma anche i responsabili dei servizi negli enti privi di dirigenti, (articolo 109, comma 2, 267/2000), i responsabili del procedimento di spesa per le determinazioni a contrattare (articolo 192 del dlgs 267/2000), i dipendenti delegati temporaneamente dal dirigente per comprovate ragioni di servizio e per lo svolgimento di specifiche competenze (articolo 17, comma 1-bis del dlgs 267/2000), i dipendenti cui sia stata assegnata dal dirigente la responsabilità della istruttoria del procedimento ed eventualmente, l'adozione del provvedimento finale (articolo 5, comma 1, della legge n. 241/1990), e, perfino, gli assessori per i comuni sotto i 5.000 abitanti che abbiano regolamentato questa possibilità (articolo 53, comma 23, della legge n. 388/2000.53.23) Sotto il profilo oggettivo lâampiezza è data dalla variegata tipologia di provvedimenti che sub specie di determinazione possono essere adottati, comprendente almeno cinque ordini di atti: a) le determinazioni a valenza contabile le quali esplicitano la relazione con gli obiettivi del PEG; indicano i dati contabili sullâimputazione della spesa o sullâentrata introitata e le modalità di esecuzione della spesa o dellâaccertamento dellâentrata; b) le determinazioni a contrattare, che esplicitano il potere contrattuale del dirigente e la potestà di determinare il fine che con il contratto intende perseguire, la sua forma, le clausole ritenute essenziali e le modalità di scelta del contraente; c) le determinazioni concessorie/autorizzatorie (prive di valenza contabile), che esplicitano i poteri gestionali tipizzati nellâarticolo 107 del dlgs n. 267/2000 ed assumono contenuti e forme di atti amministrativi tipici (es. concessioni edilizie); d) le determinazioni di organizzazione, le quali esplicitano i poteri di organizzazione posti in capo al dirigente/responsabile di servizio funzionali al razionale utilizzo delle risorse (economiche, strumentali, umane) correlato allâintervento organizzativo; e) gli atti di gestione del personale (assunzioni, congediâ), i quali esplicitano il potere del privato datore di lavoro posto in capo al dirigente/responsabile di servizio e pur avendo forma tipica dellâatto amministrativo, sono soggette alla giurisdizione del giudice del lavoro. Accanto alla rilevanza quantitativa del fenomeno va segnalata la originalità di alcuni suoi caratteri costitutivi, che differenziano le determinazioni da ogni altra tipologia di provvedimento amministrativo prodotto negli enti locali. Il riferimento è alla ontologica bivalenza delle determinazioni â" cui già si è accennato - potendosi queste configurare sia come atti amministrativi riflettenti lâiter procedimentalizzato ricostruibile dagli articoli 89, 107 e 183 del dlgs n. 267/2000, e sia come atti privatistici di gestione, fondanti sullâarticolo 4 del dlgs n. 165/2001 e riferiti a profili operativi dellâattività, con i quali di volta in volta, alternativamente e/o contestualmente, i Dirigenti e i Responsabili di Servizio sviluppano procedimenti amministrativi o attuano obiettivi . Ma non solo. La specificità riguarda, in particolare, un secondo aspetto gravemente problematico, determinato dal fatto che questa vastissima area di produzione amministrativa non è soggetta per via normativa ad alcun filtro preventivo di conformità giuridica (al di fuori di quello contabile). Ciò, se da un lato assicura una particolare ed immediata efficacia di quei provvedimenti, dallâaltro comporta il pregiudizio di profili di garanzia che lâattività amministrativa aveva tradizionalmente assicurato, come lâadeguata pubblicità legale e il riconoscimento dellâaccesso generalizzato - sanciti peraltro dalla legge sul procedimento - e funzionali al controllo sociale sullâoperato delle autorità amministrative e alla tutela dei diritti già prima che risultino irrimediabilmente compromessi. Né si può ritenere che il deficit di controlli cautelativi possa essere compensato dalla dovizia di controlli successivi apprestati dallâordinamento, che sono invero numerosi e complessi. Mi riferisco: a) al controllo del direttore generale sul corretto esercizio delle funzioni assegnate (dlgs n. 267/2000, articolo 108, comma 1), in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti e di garanzia del favorevole rapporto costi/risultati (dlgs 286/1999); b) al controllo del sindaco/presidente e della Giunta sullâosservanze delle direttive impartite e sul raggiungimento al termine di ciascun anno finanziario degli obiettivi assegnati nel PEG, pena la revoca dellâincarico; c) alla sottoposizione allâazione disciplinare nei casi di responsabilità particolarmente gravi o reiterate allâazione disciplinare, anchâessa comportante la revoca dellâincarico (dlgs n. 267/2000, articolo 109, comma 1); d) alla vigilanza del collegio di revisione mediante tecniche di campionamento; e) al controllo sulla regolarità e correttezza dellâazione amministrativa (dlgs n. 286/1999); g) alla valutazione del nucleo di valutazione sulle prestazioni e sulle competenze organizzative (dlgs n. 286/1999). Questi controlli sono tendenzialmente inidonei a ripristinare nel breve periodo la legalità di unâazione amministrativa eventualmente turbata, sia perché la loro finalizzazione è indirizzata al conseguimento del diverso obiettivo del risultato gestionale, e sia perché, a dieci anni dalla istituzione, tutto il sistema risulta scarsamente (o punto) praticato (se non negli enti di media-grande dimensione) in ragione della complessità organizzativa che la sua attivazione richiede e della eccezionalità dei rimedi che consente di apprestare. Il possibile scostamento dalle regole di legalità della vastissima produzione amministrativa rappresentata dalle determinazioni e lâattuale carenza strutturale di cautele preventive postula, con carattere di urgenza e di priorità, che gli operatori del diritto e i responsabili istituzionali si facciano carico dei necessari correttivi, nel contesto della fondazione di una compiuta teoria delle determinazioni dirigenziali, cui gli appunti che seguono rappresentano una possibile (ma incompleta) traccia relativamente ai suoi principi generali. appunti per una TEORIA DELLE DETERMINAZIONI DIRIGENZIALI 1. Fondamento giuridico Il fondamento giuridico delle determinazioni è costituito da: a) dlgs 165/2001. 4. 3. ââAi dirigenti spetta l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e dei risultati. b) dlgs 267/2000 89. 6. ââle determinazioni per lâorganizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dai soggetti preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoroâ. c) dlgs 267/2000 107. 1. ââla gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controlloâ. d) dlgs 267/2000 183. 9. â âi responsabili dei servizi assumono atti di impegno. A tali atti, da definire «determinazioni» ââ 2. Qualificazione ed elementi delle determinazioni Le determinazioni si qualificano come atti unilaterali a rilevanza esterna posti in essere dai dirigenti, (o dagli altri soggetti equiparati) nell'esercizio della funzione di gestione. Le determinazioni presentano (come ogni altro atto amministrativo: a) elementi essenziali: (soggetto, oggetto, contenuto, forma, volontà, finalità) la mancanza comporta la nullità della determinazione. b) elementi accidentali: termine e condizione. 3. Tipologia Si distinguono almeno quattro tipi di determinazioni: 1. determinazioni a valenza contabile (tra le quali le determinazioni a contrattare). Caratteri: a) esplicitano la relazione con gli obiettivi del PEG; b) indicano i dati contabili sullâimputazione della spesa o sullâentrata introitata; c) indicano le modalità di esecuzione della spesa o dellâaccertamento dellâentrata; 2) determinazioni concessorie/autorizzatorie (prive di valenza contabile). Caratteri: a) esplicitano i poteri gestionali tipizzati nellâarticolo 107 del dlgs n. 267/2000; b) assumono contenuti e forme di atti amministrativi tipici (es. concessioni edilizie); c) danno atto della ânon incidenzaâ sul bilancio; d) sono âatti esterniâ, perché incidono sui diritti di terzi; e) la motivazione deve soddisfare i criteri di esaustività e di logicità legale; 3) determinazioni di organizzazione. Caratteri: a) esplicitano i poteri di organizzazione posti in capo al dirigente/responsabile di servizio; b) contengono il riferimento normativo secondario (ordinamento) giustificativo di tali poteri; c) evidenziano le ragioni degli interventi organizzativi ed il razionale utilizzo delle risorse (economiche, strumentali, umane) correlato allâintervento organizzativo; 4) atti di gestione del personale. Caratteri: a) esplicitano il potere del privato datore di lavoro posto in capo al dirigente/responsabile di servizio b) hanno forma tipica dellâatto amministrativo, ma sono soggette alla giurisdizione del giudice del lavoro; c) evidenziano le ragioni per cui il potere di gestione delle risorse umane è esercitato. 4. Struttura delle determinazioni La determinazione si articola nelle seguenti parti: - intestazione, che indica lâufficio ed il soggetto da cui il provvedimento promana; - preambolo, che indica le norme di legge e/o regolamento che la legittimano e gli atti istruttori che la corredano; - motivazione, che riporta i presupposti di fatto e di diritto che la giustificano (è obbligatoria dopo la legge n. 241/1990); - dispositivo, che contiene la pronuncia dichiarativa dellâeffetto voluto; - data, luogo e sottoscrizione. 5. Lâistruttoria delle determinazioni Lâistruttoria delle determinazioni è desumibile dalla legge n. 241/1990. a) Individuazione dellâunità organizzativa e del responsabile del procedimento. Per ciascun procedimento deve essere individuata l'unità organizzativa responsabile della istruttoria, di ogni altro adempimento e del provvedimento finale. I predetti dati devono essere resi pubblici secondo i singoli ordinamenti. Il dirigente provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente la responsabilità delle predette attività. Fino a quando non sia effettuata lâassegnazione, è considerato responsabile il dirigente. (Legge 241/1990, articoli 4 e 5) b) Compiti del responsabile del procedimento. Il responsabile del procedimento: valuta lâammissibilità e i requisiti di legittimazione del provvedimento; accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti necessari; adotta ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria;chiede il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni erronee o incomplete; esperisce accertamenti tecnici ed ispezioni; ordina esibizioni documentali; indìce le conferenze di servizi per esame contestuale degli interessi pubblici coinvolti; cura le comunicazioni e le pubblicazioni previste da leggi e da regolamenti; adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all'organo competente per l'adozione del provvedimento finale. (Legge 241/1990, articolo 6) c) Comunicazione. L'unità competente e il responsabile sono comunicati ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento è destinato a produrre effetti, a quelli che per legge devono intervenirvi e, a richiesta, a chi vi abbia interesse. Se non sussistono particolari esigenze di celerità, l'avvio del procedimento è comunicato agli interessati e ai soggetti ai quali dal provvedimento può derivarne pregiudizio, mediante comunicazione personale, indicando anche: a) l'amministrazione competente; b) l'ufficio in cui si può prendere visione degli atti. Se, per il numero dei destinatari, la comunicazione personale risulti gravosa, la pubblicità è data con forme stabilite di volta in volta dall'ente. (Legge 241/1990, articolo 7e 8) d) Motivazione. Ogni provvedimento amministrativo, ad esclusione degli atti normativi e di quelli a contenuto generale, deve essere motivato. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che determinano la decisione. Se la motivazione risulta da altro atto richiamato, nella comunicazione deve essere indicato l'atto cui la decisione si richiama (1). (Legge 241/1990, articolo 3) e) Indicazione del termine e dellâautorità del ricorso. In ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere. (Legge 241/1990, articoli 2 e 3) f) Prerogative degli interessati e degli interventori. I soggetti nei confronti dei quali il provvedimento è destinato a produrre effetti diretti e quelli che per legge debbono intervenirvi nonché i portatori di interessi pubblici o privati o portatori di interessi diffusi intervenuti hanno diritto di: a) prendere visione degli atti del procedimento, salvo che per quei documenti sottratti all'accesso per legge o regolamento; b) presentare memorie scritte e documenti, che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento. (Legge 241/1990, articolo 10) _____________ (1) Cassazione Civile Sez. I, sent. n. 2003/9357 â" È sufficiente che lâatto indicato in motivazione sia reso disponibile per l'interessato, non avendo lâarticolo 3, comma 3, della 241/1999 (a differenza dell'articolo 7, comma 1, della legge n. 212/2000, sullo Statuto dei diritti del contribuente), posto a carico della PA anche l'obbligo di allegare al provvedimento l'atto richiamato. 6. Soggetti legittimati ad adottare determinazioni Sono legittimati ad adottare determinazioni: 1) i dirigenti, quale funzione propria (165/2001.4. 2 e 5; 267/2000.107); 2) i responsabili dei servizi, in base a norme regolamentari o per attribuzione delle funzioni dei dirigenti da parte del Sindaco (articolo 109, comma 2, 267/2000;) 3) i responsabili del procedimento di spesa per le determinazioni a contrattare (267/2000. 192). 4) gli assessori nei comuni sotto i 5.000 abitanti che abbiano regolamentato questa possibilità (Legge 388/2000.53.23) ; 5) i dipendenti delegati dal dirigente (tra dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate) per specifiche e comprovate ragioni di servizio, per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, per lo svolgimento di alcune delle competenze. Ai delegati non si applica in ogni caso l'articolo 2103(2) del codice civile sulle mansioni superiori (Dlgs 267/2000. 165. 17. 1-bis); 6) i dipendenti cui sia stata assegnata (da parte del dirigente) la responsabilità della istruttoria del procedimento, di ogni altro adempimento correlato nonché, eventualmente, l'adozione del provvedimento finale. (Dlgs 267/2000. 241.5.1). Adempimenti del dirigente/responsabile del servizio: a) Proposta di modifica del PEG. Nel caso in cui ritiene necessaria una modifica della dotazione assegnata per sopravvenute esigenze successive all'adozione degli atti di programmazione, propone la modifica con modalità definite dal regolamento di contabilità. (Dlgs 267/2000. 177.1); b) Relazione semestrale sulle trattative private. fa una relazione semestrale allâorgano di controllo sui motivi del ricorso a procedure non concorsuali. (DPR n. 573/1994. 7. 1.) 7. Procedure e adempimenti correlati allâadozione delle determinazioni di spesa Procedure e adempimenti correlati allâadozione delle determinazioni di spesa: a) sono assunte secondo le modalità disciplinate nel regolamento di contabilità (Dlgs 267/2000. 183.9); b) sono classificate per data con individuazione dellâufficio di provenienza (Dlgs 267/2000. 183.9); c) sono trasmesse al responsabile del servizio finanziario per il visto contabile (Dlgs 267/2000. 151.4); d) sono esecutive con lâapposizione del visto di regolarità contabile (Dlgs 267/2000. 151.4);e) sono pubblicate, alla stregua di tutti gli atti del comune e della provincia (Dlgs 267/2000. 10.1); f) sono comunicate, una volta conseguita l'esecutività, al terzo interessato, contestualmente all'ordinazione della prestazione, con lâindicazione dell'impegno e della copertura finanziaria e con l'avvertenza che la successiva fattura deve essere completata con gli estremi della comunicazione (Dlgs 267/2000. 191.1); g) sono seguite dalla liquidazione della spesa disposta sulla base della documentazione comprovante il diritto del creditore, a seguito del riscontro sulla regolarità della fornitura o della prestazione e sulla rispondenza della stessa ai requisiti quantitativi e qualitativi, ai termini ed alle condizioni pattuite (Dlgs 267/2000. 184.3); h) le determinazioni a contrattare precedono la stipulazione dei contratti; indicano: il fine che con il contratto si intende perseguire; l'oggetto del contratto, la sua forma e le clausole ritenute essenziali; le modalità di scelta del contraente ammesse dalle disposizioni vigenti in materia di contratti delle pubbliche amministrazioni e le ragioni che ne sono alla base; sono regolate dalle procedure previste dalla normativa della UE recepita o comunque vigente nell'ordinamento giuridico italiano. (Dlgs 267/2000. 192.1) ISTRUTTORIA ATTI AMMINISTRATIVI 5. Lâistruttoria delle determinazioni Lâistruttoria delle determinazioni è desumibile dalla legge n. 241/1990. a) Individuazione dellâunità organizzativa e del responsabile del procedimento. Per ciascun procedimento deve essere individuata l'unità organizzativa responsabile della istruttoria, di ogni altro adempimento e del provvedimento finale. I predetti dati devono essere resi pubblici secondo i singoli ordinamenti. Il dirigente provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente la responsabilità delle predette attività. Fino a quando non sia effettuata lâassegnazione, è considerato responsabile il dirigente. (Legge 241/1990, articoli 4 e 5) b) Compiti del responsabile del procedimento. Il responsabile del procedimento: valuta lâammissibilità e i requisiti di legittimazione del provvedimento; accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti necessari; adotta ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria;chiede il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni erronee o incomplete; esperisce accertamenti tecnici ed ispezioni; ordina esibizioni documentali; indìce le conferenze di servizi per esame contestuale degli interessi pubblici coinvolti; cura le comunicazioni e le pubblicazioni previste da leggi e da regolamenti; adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all'organo competente per l'adozione del provvedimento finale. (Legge 241/1990, articolo 6) c) Comunicazione. L'unità competente e il responsabile sono comunicati ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento è destinato a produrre effetti, a quelli che per legge devono intervenirvi e, a richiesta, a chi vi abbia interesse. Se non sussistono particolari esigenze di celerità, l'avvio del procedimento è comunicato agli interessati e ai soggetti ai quali dal provvedimento può derivarne pregiudizio, mediante comunicazione personale, indicando anche: a) l'amministrazione competente; b) l'ufficio in cui si può prendere visione degli atti. Se, per il numero dei destinatari, la comunicazione personale risulti gravosa, la pubblicità è data con forme stabilite di volta in volta dall'ente. (Legge 241/1990, articolo 7e 8) d) Motivazione. Ogni provvedimento amministrativo, ad esclusione degli atti normativi e di quelli a contenuto generale, deve essere motivato. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che determinano la decisione. Se la motivazione risulta da altro atto richiamato, nella comunicazione deve essere indicato l'atto cui la decisione si richiama (1). (Legge 241/1990, articolo 3) e) Indicazione del termine e dellâautorità del ricorso. In ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere. (Legge 241/1990, articoli 2 e 3) f) Prerogative degli interessati e degli interventori. I soggetti nei confronti dei quali il provvedimento è destinato a produrre effetti diretti e quelli che per legge debbono intervenirvi nonché i portatori di interessi pubblici o privati o portatori di interessi diffusi intervenuti hanno diritto di: a) prendere visione degli atti del procedimento, salvo che per quei documenti sottratti all'accesso per legge o regolamento; b) presentare memorie scritte e documenti, che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento. (Legge 241/1990, articolo 10) _____________ (1) Cassazione Civile Sez. I, sent. n. 2003/9357 â" È sufficiente che lâatto indicato in motivazione sia reso disponibile per l'interessato, non avendo lâarticolo 3, comma 3, della 241/1999 (a differenza dell'articolo 7, comma 1, della legge n. 212/2000, sullo Statuto dei diritti del contribuente), posto a carico della PA anche l'obbligo di allegare al provvedimento l'atto richiamato. 8. Caratteri della competenza dirigenziale La competenza gestionale è governata da tre criteri elaborati dal legislatore nellâambito di un processo di sedimentazione durato un decennio ed oggi riuniti nellâarticolo 107 del dlgs n. 267/2000: a) il criterio della inderogabilità statutaria delle competenze gestionali, (teorizzato nel comma 4: âLe attribuzioni dei dirigenti possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislativeâ); b) il criterio dellâattrazione di diritto delle competenze gestionali nella sfera dei dirigenti (teorizzato nel comma 5: âA decorrere dalla data di entrata in vigore del testo unico, le disposizioni che conferiscono agli organi politici l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigentiâ). c) il criterio dellâesclusività della responsabilità gestionale (teorizzato nel comma 6: âI dirigenti sono direttamente responsabili, in via esclusiva, in relazione agli obiettivi dell'ente, della correttezza amministrativa, della efficienza e dei risultati della gestioneâ); 9. Finalità dellâattività dirigenziale Il fine dellâattività dirigenziale è lâattuazione del programma affidato con le persone ed i mezzi finanziari assegnati: a) Dlgs 267/200. 165. 9 âA ciascun servizio è affidato, col bilancio di previsione, un complesso di mezzi finanziari, specificati negli interventi assegnati, del quale risponde il responsabile del servizioâ. b) Dlgs 267/200. 169. 1 âSulla base del bilancio di previsione annuale deliberato dal consiglio, l'organo esecutivo definisce, prima dell'inizio dell'esercizio, il piano esecutivo di gestione, determinando gli obiettivi di gestione ed affidando gli stessi, unitamente alle dotazioni necessarie, ai responsabili dei servizi. 10. Controlli sullâattività dirigenziale Lâattività dirigenziale soggiace ai seguenti âcontrolliâ: a) al controllo del direttore sul corretto esercizio delle funzioni assegnate (108.1), attuato mediante: - controllo strategico sullâadeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, programmi ed altri strumenti di determinazione dellâindirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti (dlgs 286/1999) ; - controllo di gestione sullâefficacia, efficienza ed economicità dellâazione amministrativa ed il rapporto tra costi e risultati (dlgs 286/1999) ; b) al controllo del sindaco/presidente, della Giunta o dell'assessore di riferimento sullâosservanze delle direttive impartite, sul raggiungimento al termine di ciascun anno finanziario degli obiettivi assegnati nel PEG (pena la revoca dellâincarico da parte del sindaco/presidente (109.1); c) agli accertamenti del responsabile dei procedimenti disciplinari nei casi di responsabilità particolarmente gravi o reiterate sui doveri disciplinati dai CCNL (pena la revoca dellâincarico da parte del sindaco/presidente (109.1); d) alla vigilanza del collegio di revisione (mediante tecniche di campionamento) sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione relativamente all'acquisizione delle entrate, all'effettuazione delle spese, all'attività contrattuale, all'amministrazione dei beni, alla completezza della documentazione, agli adempimenti fiscali ed alla tenuta della contabilità (240.1); e) al visto sulla regolarità contabile degli atti: 1. attraverso gli strumenti del visto e del parere di regolarità contabile; 2. attraverso il monitoraggio costante e concomitante degli equilibri generali di bilancio; (dlgs 286/1999); f) al controllo di regolarità amministrativa sulla legittimità, regolarità e correttezza dellâazione amministrativa; (dlgs 286/1999); g) alla valutazione del nucleo di valutazione sulle prestazioni e sulle competenze organizzative e gestionali. (dlgs 286/1999). appunti per una TEORIA DELLE DETERMINAZIONI DIRIGENZIALI 1. Fondamento giuridico Il fondamento giuridico delle determinazioni è costituito da: a) dlgs 165/2001. 4. 3. ââAi dirigenti spetta l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e dei risultati. b) dlgs 267/2000 89. 6. ââle determinazioni per lâorganizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dai soggetti preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoroâ. c) dlgs 267/2000 107. 1. ââla gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controlloâ. d) dlgs 267/2000 183. 9. â âi responsabili dei servizi assumono atti di impegno. A tali atti, da definire «determinazioni» ââ 2. Qualificazione ed elementi delle determinazioni Le determinazioni si qualificano come atti unilaterali a rilevanza esterna posti in essere dai dirigenti, (o dagli altri soggetti equiparati) nell'esercizio della funzione di gestione. Le determinazioni presentano (come ogni altro atto amministrativo: a) elementi essenziali: (soggetto, oggetto, contenuto, forma, volontà, finalità) la mancanza comporta la nullità della determinazione. b) elementi accidentali: termine e condizione. 3. Tipologia Si distinguono almeno quattro tipi di determinazioni: 1. determinazioni a valenza contabile (tra le quali le determinazioni a contrattare). Caratteri: a) esplicitano la relazione con gli obiettivi del PEG; b) indicano i dati contabili sullâimputazione della spesa o sullâentrata introitata; c) indicano le modalità di esecuzione della spesa o dellâaccertamento dellâentrata; 2) determinazioni concessorie/autorizzatorie (prive di valenza contabile). Caratteri: a) esplicitano i poteri gestionali tipizzati nellâarticolo 107 del dlgs n. 267/2000; b) assumono contenuti e forme di atti amministrativi tipici (es. concessioni edilizie); c) danno atto della ânon incidenzaâ sul bilancio; d) sono âatti esterniâ, perché incidono sui diritti di terzi; e) la motivazione deve soddisfare i criteri di esaustività e di logicità legale; 3) determinazioni di organizzazione. Caratteri: a) esplicitano i poteri di organizzazione posti in capo al dirigente/responsabile di servizio; b) contengono il riferimento normativo secondario (ordinamento) giustificativo di tali poteri; c) evidenziano le ragioni degli interventi organizzativi ed il razionale utilizzo delle risorse (economiche, strumentali, umane) correlato allâintervento organizzativo; 4) atti di gestione del personale. Caratteri: a) esplicitano il potere del privato datore di lavoro posto in capo al dirigente/responsabile di servizio b) hanno forma tipica dellâatto amministrativo, ma sono soggette alla giurisdizione del giudice del lavoro; c) evidenziano le ragioni per cui il potere di gestione delle risorse umane è esercitato. 4. Struttura delle determinazioni La determinazione si articola nelle seguenti parti: - intestazione, che indica lâufficio ed il soggetto da cui il provvedimento promana; - preambolo, che indica le norme di legge e/o regolamento che la legittimano e gli atti istruttori che la corredano; - motivazione, che riporta i presupposti di fatto e di diritto che la giustificano (è obbligatoria dopo la legge n. 241/1990); - dispositivo, che contiene la pronuncia dichiarativa dellâeffetto voluto; - data, luogo e sottoscrizione. SOGGETTI LEGITTIMATI 6. Soggetti legittimati ad adottare determinazioni Sono legittimati ad adottare determinazioni: 1) i dirigenti, quale funzione propria (165/2001.4. 2 e 5; 267/2000.107); 2) i responsabili dei servizi, in base a norme regolamentari o per attribuzione delle funzioni dei dirigenti da parte del Sindaco (articolo 109, comma 2, 267/2000;) 3) i responsabili del procedimento di spesa per le determinazioni a contrattare (267/2000. 192). 4) gli assessori nei comuni sotto i 5.000 abitanti che abbiano regolamentato questa possibilità (Legge 388/2000.53.23) ; 5) i dipendenti delegati dal dirigente (tra dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate) per specifiche e comprovate ragioni di servizio, per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, per lo svolgimento di alcune delle competenze. Ai delegati non si applica in ogni caso l'articolo 2103(2) del codice civile sulle mansioni superiori (Dlgs 267/2000. 165. 17. 1-bis); 6) i dipendenti cui sia stata assegnata (da parte del dirigente) la responsabilità della istruttoria del procedimento, di ogni altro adempimento correlato nonché, eventualmente, l'adozione del provvedimento finale. (Dlgs 267/2000. 241.5.1). Adempimenti del dirigente/responsabile del servizio: a) Proposta di modifica del PEG. Nel caso in cui ritiene necessaria una modifica della dotazione assegnata per sopravvenute esigenze successive all'adozione degli atti di programmazione, propone la modifica con modalità definite dal regolamento di contabilità. (Dlgs 267/2000. 177.1); b) Relazione semestrale sulle trattative private. fa una relazione semestrale allâorgano di controllo sui motivi del ricorso a procedure non concorsuali. (DPR n. 573/1994. 7. 1.) 7. Procedure e adempimenti correlati allâadozione delle determinazioni di spesa Procedure e adempimenti correlati allâadozione delle determinazioni di spesa: a) sono assunte secondo le modalità disciplinate nel regolamento di contabilità (Dlgs 267/2000. 183.9); b) sono classificate per data con individuazione dellâufficio di provenienza (Dlgs 267/2000. 183.9); c) sono trasmesse al responsabile del servizio finanziario per il visto contabile (Dlgs 267/2000. 151.4); d) sono esecutive con lâapposizione del visto di regolarità contabile (Dlgs 267/2000. 151.4);e) sono pubblicate, alla stregua di tutti gli atti del comune e della provincia (Dlgs 267/2000. 10.1); f) sono comunicate, una volta conseguita l'esecutività, al terzo interessato, contestualmente all'ordinazione della prestazione, con lâindicazione dell'impegno e della copertura finanziaria e con l'avvertenza che la successiva fattura deve essere completata con gli estremi della comunicazione (Dlgs 267/2000. 191.1); g) sono seguite dalla liquidazione della spesa disposta sulla base della documentazione comprovante il diritto del creditore, a seguito del riscontro sulla regolarità della fornitura o della prestazione e sulla rispondenza della stessa ai requisiti quantitativi e qualitativi, ai termini ed alle condizioni pattuite (Dlgs 267/2000. 184.3); h) le determinazioni a contrattare precedono la stipulazione dei contratti; indicano: il fine che con il contratto si intende perseguire; l'oggetto del contratto, la sua forma e le clausole ritenute essenziali; le modalità di scelta del contraente ammesse dalle disposizioni vigenti in materia di contratti delle pubbliche amministrazioni e le ragioni che ne sono alla base; sono regolate dalle procedure previste dalla normativa della UE recepita o comunque vigente nell'ordinamento giuridico italiano. (Dlgs 267/2000. 192.1) I CARATTERI DELLA COMPETENZA 8. Caratteri della competenza dirigenziale La competenza gestionale è governata da tre criteri elaborati dal legislatore nellâambito di un processo di sedimentazione durato un decennio ed oggi riuniti nellâarticolo 107 del dlgs n. 267/2000: a) il criterio della inderogabilità statutaria delle competenze gestionali, (teorizzato nel comma 4: âLe attribuzioni dei dirigenti possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislativeâ); b) il criterio dellâattrazione di diritto delle competenze gestionali nella sfera dei dirigenti (teorizzato nel comma 5: âA decorrere dalla data di entrata in vigore del testo unico, le disposizioni che conferiscono agli organi politici l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigentiâ). c) il criterio dellâesclusività della responsabilità gestionale (teorizzato nel comma 6: âI dirigenti sono direttamente responsabili, in via esclusiva, in relazione agli obiettivi dell'ente, della correttezza amministrativa, della efficienza e dei risultati della gestioneâ); 9. Finalità dellâattività dirigenziale Il fine dellâattività dirigenziale è lâattuazione del programma affidato con le persone ed i mezzi finanziari assegnati: a) Dlgs 267/200. 165. 9 âA ciascun servizio è affidato, col bilancio di previsione, un complesso di mezzi finanziari, specificati negli interventi assegnati, del quale risponde il responsabile del servizioâ. b) Dlgs 267/200. 169. 1 âSulla base del bilancio di previsione annuale deliberato dal consiglio, l'organo esecutivo definisce, prima dell'inizio dell'esercizio, il piano esecutivo di gestione, determinando gli obiettivi di gestione ed affidando gli stessi, unitamente alle dotazioni necessarie, ai responsabili dei servizi. 10. Controlli sullâattività dirigenziale Lâattività dirigenziale soggiace ai seguenti âcontrolliâ: a) al controllo del direttore sul corretto esercizio delle funzioni assegnate (108.1), attuato mediante: - controllo strategico sullâadeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, programmi ed altri strumenti di determinazione dellâindirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti (dlgs 286/1999) ; - controllo di gestione sullâefficacia, efficienza ed economicità dellâazione amministrativa ed il rapporto tra costi e risultati (dlgs 286/1999) ; b) al controllo del sindaco/presidente, della Giunta o dell'assessore di riferimento sullâosservanze delle direttive impartite, sul raggiungimento al termine di ciascun anno finanziario degli obiettivi assegnati nel PEG (pena la revoca dellâincarico da parte del sindaco/presidente (109.1); c) agli accertamenti del responsabile dei procedimenti disciplinari nei casi di responsabilità particolarmente gravi o reiterate sui doveri disciplinati dai CCNL (pena la revoca dellâincarico da parte del sindaco/presidente (109.1); d) alla vigilanza del collegio di revisione (mediante tecniche di campionamento) sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione relativamente all'acquisizione delle entrate, all'effettuazione delle spese, all'attività contrattuale, all'amministrazione dei beni, alla completezza della documentazione, agli adempimenti fiscali ed alla tenuta della contabilità (240.1); e) al visto sulla regolarità contabile degli atti: 1. attraverso gli strumenti del visto e del parere di regolarità contabile; 2. attraverso il monitoraggio costante e concomitante degli equilibri generali di bilancio; (dlgs 286/1999); f) al controllo di regolarità amministrativa sulla legittimità, regolarità e correttezza dellâazione amministrativa; (dlgs 286/1999); g) alla valutazione del nucleo di valutazione sulle prestazioni e sulle competenze organizzative e gestionali. (dlgs 286/1999). LA STRUTTURA DELL'ATTO AMMINISTRATIVO CHECK - LIST PER LA FORMAZIONE DELLE DETERMINAZIONI Intestazione (1) È indicato il Settore o Servizio/Ufficio dal quale lâatto è gestito ? (2) È precisato il numero di Protocollo (generale e settoriale)? Oggetto (3) È precisato il contenuto del provvedimento (acquisizione di beni o servizi, conferimento di incarico, adozione di misure organizzative,ecc.)? (4) Sono indicati i riferimenti contabili (prenotazione/impegno/quantificazione spesa)? (5) Sono indicati i soggetti eventualmente interessati dal provvedimento ? In caso di dati sensibili, (6) lâoggetto è redatto in modo da non consentire il collegamento tra prestazione oggetto de provvedimento ed soggetto interessato ? Responsabile (7) Eâ indicato il soggetto che adotta la determinazione e la sua qualificazione (il direttore/ il dirigente delegato/ il funzionario delegato)? (8) È richiamato il provvedimento di delega (in caso di funzionario delegato) ? Atti presupposti (9) Sono indicati gli atti presupposti (Bilancio, PEG, Programma Annuale delle Attività) Riferimenti contabili e copertura (10) Sono riportati i riferimenti necessari per effettuare la valutazione della spesa? (11) Sono riportati i necessari riferimenti contabili ? Presupposti di diritto (12) Sono indicati i presupposti normativi in ragione dei quali lâAmministrazione realizza lâintervento ? (ad es. riferimento legislativo o regolamentare) (13) Eâ indicata la correlazione tra presupposti di fatto e presupposti normativi ? (ad es. per le forniture, tra presupposto di fatto e Regolamento dei Contratti ?) (14) Sono precisati gli eventuali vincoli - anche procedurali - derivanti dalla normativa ? (ad es. per trattativa privata, sviluppo mediante la gara ufficiosa) Presupposti di fatto (15) Eâ precisata la situazione di contesto in relazione alla quale si adotta lâatto? (descrizione sintetica delle condizioni che hanno determinato lâintervento) Sono precisate le problematiche che inducono lâAmministrazione ad attivarsi in relazione al contesto ed alla situazione? (ad es. attuazione di un programma od un progetto specifico, obbligo dâintervento per legge, mancanza di personale e necessità di ricorso a risorse esterne, questioni di opportunità, adempimento legislativo, ecc.) (16) Sono indicate le ragioni per le quali deve essere adottato il provvedimento? (ad es. urgenza dellâintervento, pericolo, necessità di funzionamento di un settore, ecc.) (17) Sono indicate le modalità con le quali si vuol realizzare lâintervento ? (ad es. per un problema di carattere tecnico, con lâacquisizione di una fornitura particolare o mediante incarico) (18) Sono esplicitate le esigenze dellâAmministrazione in relazione allâintervento ? (ad es. per acquisizione di un servizio, indicazione degli elementi di qualificazione professionalità che rispondono alle esigenze dellâAmministrazione) Motivazione (19) Eâ esplicitata chiaramente la volontà a provvedere? (ad es., per le forniture, la volontà di acquisire il bene facendo ricorso ad una determinata procedura) (20) Sono precisate le modalità di realizzazione dellâintervento ? (ad es. tempistica, durata del contratto o incarico, elementi particolari relativi allâesecuzione del contratto) (21) Sono precisate le ragioni che hanno indotto alla scelta di un soggetto? (ad es., qualificazione professionale, valutazione del curriculumâ) (22) Eâ esplicitata la correlazione tra la scelta effettuata ed i presupposti normativi che la consentono ? (ad es. non sussistenza di elementi ostativi ex l. n. 724/94) Attestazioni, visti, pareri (23) Sono riportati i pareri e le attestazioni necessari ai fini dellâadozione dellâatto ? Qualora un parere obbligatorio non sia stato reso, (24) è data adeguata motivazione ? Qualora necessario, (25) è riportato il visto di regolarità contabile ? Qualora richiesta, (26) è riportata la valutazione di conformità del Segretario Generale ? Qualora richiesta, (27) è riportata lâavvenuta comunicazione allâAssessore ? Dispositivo (28) È esplicitata la formula "DETERMINA" ? Nel primo punto (29) è esplicitato il contenuto provvedimento ? (ad es. attivare le procedure di selezione del contraente per acquisire un servizio o bene) Nel secondo punto (30) è esplicitato lâadempimento necessario per attuare lâintervento? (ad es. per la determinazione a contrarre, autorizzare la spesa; Nel terzo punto (31) sono precisati, qualora necessari, i riferimenti contabili ? (ad es. prenotazione o costituzione impegno, imputazione a capitolo, ecc.) Sottoscrizione In calce (32) è riportata la sottoscrizione del soggetto abilitato a determinare ? Alla sottoscrizione cartacea (33) corrisponde quella elettronica? Data In calce al provvedimento (34) è riportata la data di adozione della determinazione ? | |
Da: maristela | 11/09/2009 04:55:12 |
x xela grazie x il contributo... è un ottimo inizio. Ma da dove è tratto? | |
Da: xela | 11/09/2009 09:47:27 |
scusa non mi ricordo ho scaricato circa 5000 pagine | |
Da: maristela | 11/09/2009 10:05:39 |
sto preparando l'orale del concorso x dirigente al Consiglio Regionale della Calabria. Pensi di avere materie utile? | |
Da: xela | 11/09/2009 15:47:19 |
in bocca al lupo, non sono sicuro di avere materiale utile per il dirigente regionale- ho molto sulla dirgenza statale: cont economica ed analitica controllo di gestione piani di comunicazione tecnicche direzionali - amministrativo comunque invio per tutti materiale su tecniche direzionali | |
Da: xela | 11/09/2009 15:51:30 |
TECNICHE DIREZIONALI IN La gestione delle risorse ed in particolare di quelle umane è, secondo F.Fontana, âRicerca del migliorcompromesso possibile tra esigenze dellâorganizzazione ed esigenze individualiâ. Direzione e leadership a qualunque livello non possono che trovare fondamento operativo in questo presupposto. Il manager deve, infatti, percepire e bilanciare domande e richieste provenienti dalla organizzazione, dai pari livello, dai livelli sovraordinati e dai subordinati, in funzione delle attività decisionali proprie del suo e dellâaltrui ruolo. Tuttavia, asserire che il management è diretto solo a svolgere funzioni di pianificazione, organizzazione, attribuzione di risorse, coordinamento e controllo, può essere riduttivo laddove altri gli attribuiscono i ruoli basilari della leadership (il manager è âcapoâ, âguidaâ e âraccordoâ), dellâinformazione (il manager è un âmonitorâ, un âdiffusoreâ, un âportavoceâ) e delladecisione (il manager è un âimprenditoreâ, un âfiltroâ e un ânegoziatoreâ). In questâottica, questo short course approfondisce, temi di organizzazione aziendale e sanitaria, sociologia, psicologia sociale, diritto e psicologia del lavoro e dellâorganizzazione, formazione e gestione del personale. Esso sviluppa temi affrontati a livello più elementare nel modulo âImpiego e valorizzazione delle risorse umane in sanitàâ ed in altri della nostra scuola di Sanità Pubblica. Il Corso,acquisibile anche singolarmente, nellâambito del progetto formazione continua in medicina (ECM), è funzionale al Corso di Perfezionamento in âDirezione Gestionale dei Servizi Sanitariâ ed al Master di II . , i workshop/atelier (basati su tecniche di problem solving e di role playing) ed il âclimaâ dâaula rappresentano peculiarità della nostra metodologia didattica. TECNICHE DIREZIONALI OBIETTIVI DIDATTICI SPECIFICI I Discenti: - svilupperanno conoscenze delle disposizioni e delle procedure relative al reclutamento ed alla gestione del personale di Aziende Sanitarie; - sapranno individuare e descrivere dinamiche di gruppo e di organizzazioni complesse; - discuteranno ed acquisiranno stili di leadership e tecniche di coordinamento e direzione del lavoro umano/professionale; - acquisiranno capacità di programmare e valutare la formazione e lo sviluppo delle risorse umane; - svilupperanno capacità di organizzare e gestire riunioni, condurre gruppi di lavoro e presentare relazioni; - svilupperanno tecniche di negoziazione interpersonale e sindacale ed attitudine al loro impiego; - sapranno descrivere ed applicare metodologie di valutazione dei risultati raggiunti in rapporto agli obiettivi concordati/negoziati; - discuteranno delle posizioni dirigenziali e delle tecniche di valutazione del personale e dei dirigenti. TECNICHE DIREZIONALI 0 Il gruppo di lavoro F 45 Le dinamiche di gruppo âQuale leader?â F h 8.45 Leadership e stili di direzione h 11.00 Condizioni di efficacia del gruppo di lavoro h 14.30 Le posizioni dirigenziali h 17.00 La valutazione dei dirigenti â h 8.45 I sistemi premianti F h 14.30 Il dirigente: condividere, motivare, gestire, valutare h 17.00 Il clima aziendale h 14.30 Ruoli e dinamiche interne dellâorganizzazione (parte teorica) F h 17.00 Il management per obiettivi (lâMBO) F ) ïValutazioni âex postâ (test) TECNICHE DIREZIONALI MATERIALE DIDATTICO ïïPreletture: - Il volto irrazionale del management e lâetica della leadership. Olivero N. Milano: Franco Angeli, 2004; p:35-55 ïï ïïTesti di riferimento: - â - â - âLa dinamica di gruppoâ â" Jean Maisonneuve â" Ceduc Libri, 1989, Milano - âGiochi di potere (Shakespeare spiegato ai medici)â- John O. Witney â" fazi Editore, 2002, Roma - âGruppo di lavoro, lavoro di gruppoâ â" G.P. Quaglino, S. Casagrande, A.Castellano - Raffaello Cortina Editore, Milano - âLo Sviluppo del Personaleâ - F. Fontana - Ed G. Giappichelli - 1994; - âLa Negoziazione vincenteâ â" J.E. Fisher - Ed .McGraw-hill; - âIl volto irrazionale del management e lâetica della leadership. Olivero N. Milano: Franco Angeli, 2004 - âParlare scrivere comunicareâ â" M.L. Crast, N. Olivero - Ed. Il Sole 24 ORE - 2006. MODULO 4 LAVORARE PER PROCESSI, GRUPPI DI LAVORO E PROBLEM SOLVING 1. PROCESSI 1.1. La gestione per processi nella pubblica amministrazione Torna su Negli ultimi anni, come reazione a situazioni di cattiva gestione ed a seguito della sempre minore disponibilità di risorse da parte della pubblica amministrazione, si è accentuato lâinteresse nei confronti delle prestazioni, anche economiche, di tali servizi. In particolare ci si è chiesti se i modelli organizzativi e gestionali sperimentati presso le aziende private potessero essere utilmente applicate nelle aziende pubbliche senza snaturare la funzione sociale. Le aziende si sono quindi ritrovate a dover perseguire contemporaneamente obiettivi diversi: la soddisfazione del cliente, la razionalizzazione delle risorse interne, la flessibilità e lâinnovazione. Si vede urgente lâintroduzione di un nuovo approccio, che va sotto il nome di âgestione per processiâ. Gran parte delle moderne filosofie gestionali e dei nuovi strumenti organizzativi fanno riferimento, con intensità diverse, a una visione âtrasversaleâ dellâorganizzazione , che vede lâazienda come insieme di processi di business e non come sommatoria di funzioni e/o divisioni da coordinare. Lâadozione da parte delle imprese di strutture organizzative di tipo funzionale ha consentito in passato di raggiungere elevati livelli di efficienza allâinterno delle singole funzioni, ma nel momento in cui aumenta il numero delle funzioni di unâimpresa e aumenta il grado di differenziazione delle stesse diventa molto difficile riuscire a gestire le âinterdipendenzeâ che si formano tra di esse. Quindi, se prima lâatteggiamento aziendale era mirato ad ottimizzare le attività allâinterno delle funzioni senza tenere conto che lâobiettivo ultimo doveva essere quello dellâottimizzazione globale dei processi, oggi è proprio la gestione degli spazi âinterfunzionaliâ, precedentemente trascurati, ad offrire i più ampi potenziali di miglioramenti. Lâanalisi e la riprogettazione dei meccanismi di funzionamento delle aziende ruotano allora sempre con maggiore frequenza anche se talvolta in modo non espressamente dichiarato, attorno al concetto di âprocessoâ. La âlettura dei processiâ comporta unâanalisi e una progettazione dellâorganizzazione aziendale, che non si incentri sui concetti classici di attività, compiti e funzioni, gerarchicamente legati, ma che si basi su un insieme di attività omogenee dal punto di vista dellâoutput. Qualità, efficacia, efficienza sono termini tradizionalmente legati alle imprese di produzione, che a prima vista sembrano essere difficilmente trasferibili a realtà erogatrici di servizi, in particolare quando si tratta di servizi pubblici. A partire dal 1990 il quadro normativo che regola il settore della pubblica amministrazione è profondamente mutato nellâintento di promuovere lâefficienza, la governabilità e lâeconomicità della gestione. La ârivoluzioneâ legislativa ha avuto inizio con lâapprovazione della L. 142/90 sulla riforma delle autonomie locali, insieme alla L. 241/90 che disciplina le nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di accesso ai documenti amministrativi, per concludersi con la legge 59/97 sul decentramento amministrativo e con la legge 127/97 sulla semplificazione e la trasparenza dellâattività amministrativa. La L. 142/90 ha poi trovato un ulteriore sviluppo in seguito allâemanazione del D.Lgs 29/93, che definisce i criteri per la razionalizzazione dellâorganizzazione della pubblica amministrazione e per la revisione della disciplina del pubblico impiego. Lâapparato normativo che disciplina lâattività della pubblica amministrazione rappresenta perciò, nellâintenzione del legislatore, lo strumento più idoneo a realizzare una riforma della P.A., in unâottica di ridefinizione del rapporto tra questa ed il cittadino, in vista di un miglioramento della qualità del servizio erogato. Le amministrazioni pubbliche, per muovere realmente i primi passi in questa direzione, devono sviluppare un sistema di strumenti ed una nuova cultura manageriale, che siano in rado di modificare profondamente le condizioni attuali di funzionamento dellâorganizzazione, mediante la creazione di un forte orientamento al soddisfacimento dei bisogni espressi dai cittadini e sviluppando al tempo stesso tra gli operatori un forte senso di appartenenza allâente ed una motivazione comune. Un ruolo fondamentale in questo processo di cambiamento è assunto da management, le cui principali responsabilità consistono nella identificazione degli obiettivi, nellâassunzione delle decisioni e nella valutazione dei risultati. Un contributo in tale direzione è fornito dal D.lgs. 29/93, il quale fornisce elementi per una riflessione sulle cause di inefficienza dellâazione amministrativa e individua le soluzioni per un miglioramento del rapporto amministrazione/cittadini nella costituzione di servizi di accesso polifunzionali alle amministrazioni pubbliche e gli Uffici per le Relazioni con il Pubblico. Lâaspetto senza dubbio più qualificante del D.Lgs in esame è costituito dal principio che sancisce la separazione tra politica ed amministrazione. Agli organi di direzione politica spetta di definire gli obiettivi, i programmi e gli indirizzi per lâattività dellâamministrazione, verificarne il rispetto e scegliere i massimi dirigenti, mentre la gestione è compito esclusivo della dirigenza. Questo rapporto più âlimpidoâ tra politica ed amministrazione, dovrebbe a sua volta tradursi in maggiore efficienza. Il modello organizzativo per processi appare particolarmente idoneo a favorire la comunicazione e lâintegrazione tra le differenti figure professionali ed istituzionali necessarie per fornire al minor costo e nel minor tempo possibili i servizi svolti da una pubblica amministrazione. Avviandosi verso una organizzazione per processi si attua un graduale trasferimento delle responsabilità âverso il bassoâ, riconducendole a chi realmente esegue le diverse attività e ne ha, di conseguenza, la âresponsabilità tecnicaâ ed individuando nel contempo una figura di responsabile di processo (process owner), il quale si fa carico del coordinamento e della pianificazione delle singole attività, nonché della gestione dei rapporti con gli altri processi, superando le tradizionali barriere divisionali. 1.2. Definizione di processo Torna su Concetto Ma cosâè un processo? Alcune definizioni di processo presentate in letteratura. âSequenza di attività tra loro logicamente interrelate al fine di gestire una risorsa durante il suo ciclo di vita e raggiungere uno specifico obiettivo. Dove per attività si intende unâaggregazione di operazioni elementari nellâambito del quale si determina il consumo delle diverse risorse aziendali (umane, tecnologiche, strutturali, di know-how, â)â âIl processo viene definito come una serie di attività che prende lâinput, aggiunge valore, e produce outputâ âUna sequenza di attività logicamente correlate che impiegano risorse (persone, macchine, materiale) per fornire uno specifico risultato finale. Tale sequenza è caratterizzata da: â Input misurabile; â Attività con valore aggiunto; â Output misurabile; â Attività ripetitive. âGli input provengono dai fornitori (interni/esterni) e gli output sono destinati ai clienti. I processi sono quindi catene di fornitori/clienti ed in questa logica ogni fase del processo deve conoscere i bisogni sia del cliente finale che del cliente a valleâ. âOgni attività è realizzata mediante un processo. Ogni processo ha dati di ingresso. I dati di uscita sono i risultati del processo che sono i prodotti sia tangibili che intangibili. Lo stesso processo è, o dovrebbe essere, una trasformazione che aggiunge valore. Ogni processo coinvolge in qualche modo persone e/o altre risorseâ. (Normativa ISO 9000-1, Linee guida per la selezione e lâimpiego). (fig.2) Nonostante lâestrema varietà di espressioni è immediato notare che molte definizioni contengono elementi comuni: talvolta fanno uso di termini diversi per esprimere concetti analoghi, altre appaiono più complesse, ma non esistono tra di esse differenze di fondo. Volendo dare una definizione sufficientemente ampia e dettagliata potremmo affermare che: " un processo è costituito da una sequenza di attività tra loro interdipendenti e finalizzate al perseguimento di un obiettivo comune; esso riceve un certo input vi apporta delle trasformazioni che aggiungono valore, utilizzando risorse aziendali, ossia persone, materiali e strutture ed infine trasferisce allâesterno lâoutput richiesto, prodotto/servizio." 1.3. Caratteristiche dei processi Torna su Le differenti attività di un processo sono legate tra loro dalle informazioni e dai prodotti e servizi che si scambiano. Uno specifico evento dà inizio alla prima attività del processo, che a sua volta, permette lo svolgimento delle successive, attraverso meccanismi di tipo âcausa-effettoâ, che consentono di tracciare i confini del processo che le raggruppa. Alcune caratteristiche fondamentali sono attribuibili a tutti i processi gestionali: â In ogni processo si può individuare un output globale, unico e completo e le diverse attività che lo costituiscono sono tutte finalizzate al raggiungimento di esso. â Ogni processo ha alcuni clienti ai quali è destinato lâoutput prodotto: tali clienti possono essere sia interni alla organizzazione sia esterni. â Il processo attraversa i confini organizzativi formali. Lo svolgimento di un processo può richiedere la partecipazione sia di unità appartenenti alla medesima organizzazione sia entità organizzative differenti; nella maggior parte dei casi pertanto, il suo flusso è indipendente dalla struttura organizzativa formale. â Il processo permane ne tempo almeno fino a che è in grado di contribuire al raggiungimento degli obiettivi aziendali, ma la sequenza di svolgimento delle attività che lo compongono tende a modificarsi, in quanto esse sono sottoposte a frequenti modifiche al fine di migliorare lâefficienza e lâefficacia. â Ciascun processo aziendale è suddivisibile in sotto-processi, anche se non è comunque conveniente scendere troppo in profondità, poiché si corre il rischio di frazionare eccessivamente le informazioni fino ad ottenere una mole ingestibile di dati. 1.4. Elementi costitutivi e parametri di valutazione dei processi Torna su Per ogni processo è possibile mettere in evidenza 4 elementi: gli input: sono le informazioni e i materiali che vengono immessi nel processo affinchè subiscano una trasformazione; i vincoli: sono le regole, le istruzioni, le informazioni che condizionano lo svolgimento delle attività che compongono il processo; le risorse: sono le persone ed i mezzi utilizzati per svolgere le singole attività di trasformazione; gli output: rappresentano i risultati, voluti e non, del processo. Eâ possibile rappresentare il singolo processo come un rettangolo, in cui le interazioni con lâambiente esterno e con gli i processi sono quattro, tanti quanti sono i lati del rettangolo stesso: 1.5. Risorse Torna su Per ogni processo è possibile, identificando la provenienza degli elementi che vi entrano e la destinazione di quelli che ne escono, evidenziare i processi fornitori e i processi clienti. Ciò consente di collegare i diversi processi tra di loro e con lâesterno. 1.6. Considerazioni sul valore prodotto dai processi Torna su Il processo è stato definito come un insieme di attività che realizzano un outputâaggiungendo valoreâ ai suoi input. Se vediamo come fine dellâazienda il soddisfacimento delle esigenze dei suoi utenti, sia interni che esterni allora lâunico valore aggiunto da prendere legittimamente in considerazione è quello riconoscibile da questi. Scopo del processo non sarà quindi solo quello di fornire un prodotto o servizio di alto valore, ma soprattutto di fornire tutto il valore richiesto dagli utenti (efficacia del processo). Sono quindi di fondamentale importanza i costi sostenuti ed i tempi necessari per produrre quel valore, ovvero lâefficienza del processo. Questo non vale solo per i processi che si interfacciano con lâesterno, ma anche per i processi totalmente interni allâazienda. Particolare attenzione va posta inoltre nel caso che il nostro processo non abbia come scopo la produzione di un bene âtangibileâ ma lâerogazione di un servizio. In questo caso infatti è molto più difficile valutare e controllare il valore prodotto dal processo e, soprattutto, il valore percepito dallâutente. Infatti possiamo affermare che il processo di erogazione di un servizio si differenzia per le seguenti caratteristiche: â la difficoltà di standardizzazione. Tipicamente il processo di erogazione di un servizio non è statico, ma varia fortemente a seconda delle situazioni; spesso abbiamo un processo differente, anche se non nelle linee fondamentali, per ciascun utente. â La contestualità. Il servizio viene fruito dal cliente nello stesso luogo e nello momento in cui è prodotto. Non câè possibilità di âsostituireâ il servizio difettoso (produzione âjust in timeâ). â La fondamentale importanza delle risorse umane. La qualità di un servizio è in genere strettamente dipendente dalla professionalità di chi lo eroga. Il funzionamento di ogni processo è condizionato da un insieme di variabili (personale, mezzi, condizioni ambientali,â), ciascuna delle quali è soggetta ad una variabilità non controllabile. Il controllo del processo affronta il problema di limitare tale variabilità entro limiti definiti, in modo che anche la variabilità dei risultati ricada entro limiti prevedibili. Esso inoltre si pone lo scopo di intervenire a correggere le cause di variabilità quando il processo tende ad uscire dai limiti prefissati. In particolare nel caso di processi intrafunzionali una variabile, in genere trascurata, che assume grande rilevanza è quella relativa alla âintegrazione organizzativaâ, ovvero quanto e come le persone coinvolte nel processo comunicano tra loro e lavorano in modo coordinato. Infatti molto spesso si formano âbarriere organizzativeâ che impediscono il fluire delle informazioni necessarie e portano a sprechi di risorse e tempo dovuti alla mancanza di chiarezza sulle necessità delle altre persone coinvolte nel processo. 2. GRUPPI DI LAVORO Torna su Un gruppo di lavoro è costituito da un insieme di individui che interagiscono tra loro con una certa regolarità, nella consapevolezza di dipendere lâuno dallâaltro e di condividere gli stessi obiettivi e gli stessi compiti. Ognuno svolge un ruolo specifico e riconosciuto, sotto la guida di un leader, basandosi sulla circolarità della comunicazione, preservando il benessere dei singoli (clima) e mirando parallelamente allo sviluppo dei singoli componenti e del gruppo stesso. Perché un gruppo di lavoro possa evolversi e maturare nel tempo e per permettere una maggiore collaborazione tra i suoi membri ed una loro partecipazione più attiva, è necessario che si passi dalla semplice interazione ad una vera e propria integrazione, affinchè i partecipanti al gruppo possano condividere bisogni ed esigenze. La realizzazione concreta della collaborazione all'interno del gruppo, è poi facilitata dal meccanismo di negoziazione, che permette il confronto e il passaggio dal punto di vista dei singoli individui ad un punto di vista comune e condiviso per realizzare al meglio gli obiettivi previsti. Gli elementi chiave che concorrono nella costruzione e nellâevoluzione di un efficace gruppo di lavoro: â Obiettivo â Metodo â Ruolo â Leadership â Comunicazione â Clima â Sviluppo 2.1. Obiettivo Torna su Nessun gruppo di lavoro può essere efficace se l'obiettivo che deve raggiungere non è chiaro e ampiamente condiviso dai suoi membri. L'obiettivo di un gruppo di lavoro efficace deve essere definito in termini di risultato, costruito su dati osservabili e risorse disponibili, espresso in termini chiari, chiarito e articolato in compiti, e infine valutabile. Un obiettivo chiaro e ben esplicitato contribuisce a consolidare la coesione e il senso di appartenenza al gruppo da parte dei suoi componenti e contemporaneamente contribuisce a definire in maniera chiara il rapporto con l'organizzazione, quindi il clima interno. 2.2. Metodo Il metodo assume per il gruppo una duplice accezione: da una parte stabilisce i principi, i criteri e le norme che orientano l'attività del gruppo, dall'altra richiama le modalità di organizzazione e strutturazione efficace dell'attività stessa. Un buon metodo di lavoro da sicurezza al gruppo e permette un miglior utilizzo nell'uso e nella gestione delle risorse disponibili. 2.3. Ruolo Il ruolo rappresenta la parte assegnata a ciascun membro del gruppo in funzione del riconoscimento delle sue competenze e capacità; esso racchiude poi anche l'insieme dei comportamenti che ci si attende da chi occupa una certa posizione all'interno del gruppo stesso. Fondamentale per un efficace sistema di ruoli è la qualità della comunicazione interna al gruppo stesso perché un suo corretto funzionamento permette che si realizzi corrispondenza tra attese e richieste dei singoli e prestazioni e comportamenti del gruppo. 2.4. Leadership Torna su La leadership è la variabile di snodo tra le variabili di tipo strutturale, quali obiettivo, metodo e ruoli, e variabili di tipo processuale, quali clima, comunicazione e sviluppo. Il leader si definisce in primo luogo come un professionista di relazioni, anche se non esiste "il buon leader" per antonomasia, ma piuttosto si dovrebbero definire delle funzioni di leadership efficacemente svolte e ruoli di leader ben negoziati e definiti. E' inoltre importante che la funzione di leadership sia quanto più possibile circolare e diffusa a seconda degli obiettivi e dei compiti del gruppo nelle diverse occasioni. Questo significa che esisterà un leader istituzionale, che è quello individuato dall'organizzazione e che avrà la responsabilità e l'autorità del ruolo formalmente affidatogli, ma che proprio grazie ad essi, questo leader avrà la facoltà di scegliere i leader situazionali di volta in volta più idonei al perseguimento degli obiettivi del gruppo stesso. Dunque egli avrà il compito di individuare, sulla base della conoscenza delle competenze degli altri membri del gruppo, quelle persone che di volta saranno più idonei ad affiancarlo e a cui potranno essere delegati compiti e funzioni necessari per il buon funzionamento del gruppo stesso. 2.5. Comunicazione La comunicazione è il processo chiave che permette il funzionamento del lavoro di gruppo poiché permette lo scambio di informazioni finalizzato al raggiungimento dei risultati. Tuttavia essa orienta ed è a sua volta orientata dal sistema di relazioni e ruoli presenti nel gruppo stesso. Essa presuppone tre livelli: - uno interattivo, che va a impattare sulla struttura relazionale del gruppo; - uno informativo, che è relativo allo scambio e all'elaborazione di materiali e conoscenze inerenti il lavoro; - uno trasformativo, che concerne gli scambi che producono il cambiamento. Il processo comunicativo diventa anche il luogo di verifica del linguaggio del gruppo e la definizione del codice. 2.6. Clima Torna su Il clima consiste nell'insieme degli elementi, delle opinioni, delle percezioni dei singoli membri rispetto alla qualità dell'ambiente del gruppo e della sua atmosfera. Una buona percezione del clima si attua quando c'è un giusto sostegno e calore nel gruppo, i ruoli dei singoli sono riconosciuti e valorizzati, la comunicazione è aperta, chiara e fornisce feedback accettabili sui comportamenti delle persone e sui risultati conseguiti dal gruppo. Una leadership partecipativa e gli obiettivi opportunamente calibrati alle capacità del gruppo sono tra i fattori che maggiormente influenzano il clima. 2.7. Sviluppo Questa variabile identifica la costruzione del sistema di competenze del gruppo di lavoro e parallelamente la crescita del sistema delle competenze individuali. I due processi dovrebbero portare da una parte allo sviluppo del singolo all'interno del gruppo e dall'altra alla creazione all'interno del gruppo di un sapere condiviso e diffuso e alla capacità di lavorare in modo efficace. 3. LA SOLUZIONE DEI PROBLEMI 3.1. IL PROBLEM SOLVING Torna su La soluzione di problemi, o il miglioramento dei processi organizzativi, non può essere lasciata allâestroo al caso. Esistono opportune tecniche per la ricerca e la soluzione ottimale dei problemi operativi. Il problem finding (capacità di scoprire il problema) è la metodologia di analisi dal cui risultato prende poi il via quella del problem setting (definizione del proclema), ed infine il Problem solving. La finalità del problem finding è quella di decidere quale tra i problemi che si presentano dovrà essere affrontato per primo. Le tre fasi di questa analisi sono: â Identificazione di tutti i problemi che preoccupano coloro che contribuiscono allâattività di miglioramento; â Raccolta di informazioni sui problemi; â Scelta del problema. Il problem setting può essere affrontato da una persona sola, ma data la sua complessità può essere più produttivo affrontarlo in gruppo. Il leader del progetto costituirà un team da destinare al problema da definire e da risolvere. Il problem solving (letteralmente ârisolvere i problemiâ) è una metodologia di analisi utilizzata per individuare, pianificare ed attuare le azioni necessarie alla risoluzione di un problema (dopo che questâultimo è stato identificato tramite le tecniche di problem finding). Le fasi di analisi che possono essere rappresentate come una sequenza logica sono: â Definizione del problema: rappresenta lâanalisi della situazione allo scopo di individuare e definire esplicitamente le devianze (scostamenti dalle condizioni attese) di cui si devono ricercare e trovare le cause â Raccolta delle informazioni: allo scopo di costruire un filtro attraverso cui verificare successivamente le ipotesi fatte sulle possibili cause delle devianze in questione; â Identificazione delle cause più probabili: è il processo diagnostico per analizzare il problema prioritario al fine di limitare il campo di intervento a ciò che può dare il massimo sforzo; â Formulazione di ipotesi di cause possibili: per individuare i possibili collegamenti logici tra le informazioni considerate più critiche e le devianze in questione; â Processo di decisione: scegliere la decisione; â Processo di pianificazione e sviluppo operativo dellâanalisi: cioè trasferimento del risultato dellâanalisi alla realtà operativa e verifica dellâefficacia della soluzione delle azioni correttive; â Un controllo dei risultati: al fine di valutare e confermare la validità della soluzione adottata. Una fase di analisi fatta in modo consapevole e sistematico è un presupposto fondamentale per poter âfare le cose giuste bene al primo colpoâ. Se la fase di verifica indica che lâobiettivo è stato raggiunto (o che tendenzialmente lo si sta raggiungendo) bisogna: â Non modificare la situazione; â Standardizzare ed eventualmente estendere le azioni intraprese; â Controllare costantemente che le azioni standardizzate vengano applicate correttamente e che il loro esito sia sempre efficace; â Continuare ad operare come stabilito. 3.2. Raccolta delle informazioni Il processo di raccolta dati inizia dallâidentificazione delle informazioni che si vogliono ottenere. Nellâimpostare una raccolta dati, occorre preoccuparsi di: â Chiarire che cosa si desidera sapere: questo significa avere chiara idea degli obiettivi e porsi le domande giuste in funzione di ciò che serve conoscere; â Valutare se i dati esistenti sono significativi. 3.3. La risoluzione dei problemi Torna su Nel campo delle così dette tecniche di problem solving si incontrano molte diversi approcci a volte tra loro molto distanti. In realtà un processo naturale di problem solving è sufficientemente chiaro da trovare descrizioni molto vicine. Questo si compone di quattro fasi logiche: innesco, incubazione, ideazione, elaborazione. Innesco: ll problema viene affrontato, non si riesce a risolverlo con le soluzioni abituali e vi è una forte motivazione a risolverlo altrimenti viene rapidamente dimenticato. Incubazione - Ideazione: Eâ una fase in cui non ci si occupa, almeno coscientemente, del problema, si conclude quando viene in mente un'idea che potrebbe risolvere il problema e questa è l'ideazione. Questo tipo si soluzioni sono quelle che fanno esclamare "aah", eureka e simili, l'idea sembra magicamente arrivare dal cielo. Elaborazione: L'idea così come viene in mente è spesso "grezza" e non direttamente applicabile. Si tratta adesso di raffinarla e svilupparla tecnicamente e praticamente. A questo punto interessante notare che delle quattro fasi due hanno riconosciuti metodi di supporto. Nell'attività di tutti i giorni affrontiamo centinaia di potenziali problemi di cui conosciamo la soluzione, da come aprire la porta di casa, a come accendere il fuoco e così via. La prima cosa che fa la nostra mente sembra essere quella di indurci a considerare la soluzione che ci è più abituale. Se questa soluzione non funziona a livello cosciente ci "arrendiamo", mentre, a livello inconscio, iniziamo a cercare stimoli e spunti ovunque possano essere trovati. Quando questi stimoli ci conducono ad un'idea che potrebbe risolvere il problema ne diventiamo coscienti. 3.4. Brainstorming Torna su Il brainstorming (dallâinglese storming = tempesta e brain = cervello) è una tecnica di discussione che permette di creare idee innovative, lasciando libera la fantasia. Eâ un metodo per risolvere in modo creativo i problemi, per trovare alternative a dei progetti e per promuovere nuove idee. Si basa sul principio che le idee si innescano lâuna con lâaltra. Il procedimento è a doppio imbuto: â Nella fase divergente si producono idee a ruota libera. Il conduttore stimola i presenti a proporre e vieta di fare critiche. Scrive per parole chiave le idee sulla lavagna; â In un secondo momento, e con persone diverse dalle precedenti, si passa alla fase convergente. Le idee vengono selezionate, valutate, e si arriva a scegliere le più interessanti. Lâidea consiste nellâesporre tutte le possibilità immaginabili (realizzabili e non) che vengono in mente in quel momento ad ogni persona interpellata. Questo metodo serve per introdurre anche idee che allâinizio possono sembrare sbagliate o addirittura assurde, ma che in un secondo tempo possono diventare appropriate, se non geniali. Il brainstorming si basa quindi sulla creatività delle persone coinvolte. Esso può essere realizzato con la tecnica delle carte (brain writing) o semplicemente a voce: i partecipanti esprimono liberamente le proprie idee e un moderatore le scrive immediatamente su un tabellone, una lavagna o altro. 3.5. Brainstorming e problem solving Torna su In generale, il brainstorming è uno strumento utile in tutti quei casi in cui si desidera coinvolgere attivamente un gruppo di colaboratori o di rappresentanti di funzioni interessate al problema, facendo emergere nuove idee dai vari punti di vista. In particolare, nel processo di problem solving, il brainstrorming può essere utilizzato: â In fase diagnostica, per far emergere le possibili cause di uno scostamento; â In fase decisione, per individuare le possibili azioni che possono contribuire a conseguire un determinato obiettivo di miglioramento; â In fase di pianificazione, per evidenziare i problemi potenziali, o âcriticitàâ, nonché a ipotizzare le loro possibili cause. Se il processo di problem solving coinvolge un gruppo, sarà anche necessario che il team operi con: â Logica adattiva: in un contesto tecnico o economico è conveniente che le soluzioni proposte siano molte e che si scelga la migliore o la più conveniente. Sospensione della critica: è bene che il gruppo accetti le idee anche quando non direttamente applicabili senza scartarle immediatamente, ogni idea può quanto meno contribuire ad allargare l'orizzonte delle opzioni possibili. MODULO 4 SVILUPPO DELLE CAPACITA' GESTIONALI E NEGOZIALI INDICE 1. LA GESTIONE DEI PROCESSI COMUNICATIVI 2. MODI DELLA COMUNICAZIONE: VERBALE, NON VERBALE E PARAVERBALE 3. NOZIONI SULLA GESTIONE DEL GRUPPO 4. GLI STILI RELAZIONALI E LA LEADERSHIP 5. GESTIONE DEL CONFLITTO E NEGOZIAZIONE 6. PRINCIPALI STRATEGIE PER LA GESTIONE DEI CONFLITTI In questa sezione saranno trattati temi quali: la gestione dei processi comunicativi, i modi della comunicazione, la gestione del gruppo, la leadership e la gestione dei conflitti. L'attenzione a tali aspetti nelle organizzazioni ed in particolare nell' Inpdap, consente di creare gruppi di lavoro i cui membri siano in grado di interagire in modo efficace e funzionale, raggiungendo gli obiettivi prefissati e valorizzando le risorse umane disponibili. L'importanza dello studio degli aspetti comunicativi e delle dinamiche relazionali che si sviluppano nei contesti lavorativi e di gruppo, è dimostrata dal fatto che già in passato ( aprile 2003) si sono realizzati per la formazione manageriale, corsi che vertevano su tali temi, che hannointeressato e sensibilizzatoi dirigentirelativamente a tale approccio. 1. La gestione dei processi comunicativi Torna su La gestione efficace dei processi comunicativi costituisce una competenza essenziale sia del responsabile del gruppo sia di coloro che nefanno parte, è di fondamentale importanza , dunque, riuscire a stabilire una buona comunicazione insieme ad un valido rapporto interpersonale. La strutturazione di unacomunicazione interpersonale efficaceèunrequisito essenziale per crearemotivazione nel gruppo di lavoro di cui si è responsabili e per raggiungere buoni risultati. Per comunicazione interpersonale si intende quel processo che coinvolge almeno due persone e un contesto. Tale processo è interattivo, circolare, dinamico, evolutivo, irreversibile e soggetto allâinfluenza di molteplici fattori: gli attori della comunicazione e la loro relazione, il contenuto che si stanno scambiando, il modo con cui se lo scambiano, il contesto in cui avviene lâinterazione, gli obiettivi generali e individuali dellâincontro, le strategie di comunicazione dei singoli e la flessibilità con la quale reagiscono allâevoluzione del processo. La comunicazione è uno strumento fondamentale per gli esseri umaniin quanto consente di creare collegamenti, unioni e scambi. Riceviamo stimoli dal mondo circostante, che ci influenzano e, a nostra volta, influenziamo ciò che sta intorno a noi, essendo immersi in una realtà mutevole ed in continuo divenire. La comunicazione può definirsi come la modalità attraverso cui si instaurano, si strutturano ,si sviluppano le relazioni sociali e si afferma il "sé" nel mondo. La comunicazione si inserisce allâinterno di un contesto culturale di riferimento in cui un emittente, trasmettendo un contenuto tramite un canale ed un codice condivisi col ricevente, può ottenere dal destinatario un feedback comunicativo. Il feedback è lâinsieme delle risposte, verbali e analogiche, fornite dallâinterlocutore durante la relazione comunicazionale. Nel lavoro sulla âPragmatica della comunicazione umanaâ (Watzlawick) ha posto le basi di un nuovo modello sulla comunicazione evidenziandone cinque assiomi, ovvero "proprietà semplici". Gli assiomi prestano attenzione agli effetti pragmatici dellâazione comunicazionale e danno valore allâinfluenza reciproca di tutti i fattori coinvolti. Lo studio della comunicazione umana può essere diviso in tre settori: 1. la pragmatica 2. la sintassi 3. la semantica Lâapproccio pragmatico esamina la comunicazione interpersonale come un processo irreversibile, in continua evoluzione in cui le persone coinvolte si influenzano reciprocamente. La sintassi si occupa dei rapporti formali dei segni tra loro, dellâordinamento delle parole, del loro accordo e collegamento nella proposizione e nel periodo, senza riferimento al contenuto significativo. La semantica studia i significati delle parole nella loro evoluzione storica e si occupa delle relazioni dei segni con ciò che designano. Gli assiomi della pragmatica della comunicazione sono: 1) Non si può non comunicare: dato che si comunica anche attraverso il comportamento, che è un linguaggio non verbale, è impossibilenon comunicare perché è impossibile non avere un comportamento. L'intero comportamento in una situazione di interazione ha valore di messaggio. 2) Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto ed uno di relazione: quando due persone comunicanoviene trasmessa un'informazione che al tempo stesso impone un comportamento. Ogni comunicazione ha quindi due aspetti: uno di notizia che trasmette i dati della comunicazione( contenuto), l'altro di comando che trasmette il modo in cui si deve assumere tale comunicazione ( relazione). 3) La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze si comunicazione tra i comunicanti: gli scambi comunicativi non costituiscono una sequenza ininterrotta, ma sono organizzati proprio come se seguissero una sorta di punteggiatura. La punteggiatura si riferisce al modo in cui i soggetti attribuiscono significato agli eventi. E possibile in tal modo identificare le sequenze di chi parla e di chi risponde, definire ciò che si considera come causa di un comportamento , distinguendolo dall'effetto. 4) Gli esseri umani comunicano sia con un modulo numerico, sia con un modulo analogico: il linguaggio numerico riguarda l'uso delle parole, mentre il linguaggio analogico riguarda tutte le modalità della comunicazione non verbale. Il modulo analogico servirà quindi a trasmettere soprattutto gli aspetti relativi alla relazione dei comunicanti, mentre il modulo numerico avrà predominanza nella trasmissione dell'aspetto di contenuto. 5) gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari: gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sullâuguaglianza o sulla differenza; nella relazioni simmetriche la relazione tra i comunicanti è equilibrata mentre in quella complementare uno dei due o più attori assume una posizione superiore, one up, e invita lâaltro, o gli altri, ad adottare la posizione complementare o corrispondente inferiore, one down. Gli assiomi della pragmatica della comunicazione conducono al fenomeno dellâirreversibilità dellâatto comunicazionale: una volta che il messaggio è stato inviato e che ha prodotto i suoi effetti non lo si può più cancellare. Per una comunicazione puntuale ed efficace è quindi importante prestare attenzione, durante ogni fase della comunicazione in corso, al feedback che si sta ottenendo dallâinterlocutore. 2. Modi della comunicazione: verbale,non verbale e paraverbale Torna su La comunicazione può avvenire a diversi livelli: verbale, non verbale e paraverbale. 1) La comunicazione verbale è costituita dal linguaggio,strumento di cui ci si serve per tradurre lâesperienza interna in concetti e per esprimere i propri pensieri e trasformarli in processo interpersonale, sociale. 2) La comunicazione non verbale riguarda la postura, la prossemica, le espressioni del viso, movimenti delle braccia e delle mani e le comunicazioni cinesiche. La postura rappresenta il modo di disporre nello spazio le parti del corpo e consente di distinguere la funzione comunicativa da quella espressiva. La prossemica indica due aspetti del modo di collocarsi e di presentarsi socialmente e di relazionarsi fisicamente con le altre persone: lâuso dello spazio, la prossimità in termini di vicinanza/distanza e la posizione del corpo, di fianco o di fronte. Le espressioni del viso costituiscono un insieme di segnalazione involontaria che indica le principali reazioni emotive. I movimenti e i gesti delle braccia e delle mani accompagnano il linguaggio enfatizzando e punteggiando il messaggio parlato. Le comunicazioni mimiche o cinesiche accompagnano spesso la comunicazione verbale, possono essere gesti emblematici (ad esempio alzare la mano per chiedere parola), descrittivi (gesti che scandiscono le parti salienti del discorso illustrando in modo più forte concetti espressi verbalmente), di regolazione (ad esempio ondeggiare la mano per attenuare la forza di un concetto), di adattamento (posizionamento del corpo per dominare stati dâanimo o adeguare la propria espressione al contesto), di manifestazione affettiva. 3) La comunicazione paraverbale riguarda la prosodia, i toni, il tempo, il timbro, il volume della voce. La paralinguistica studia i fenomeni collaterali (para), concomitanti allâenunciazione verbale. Le modalità secondo cui ogni proposizione può essere enunciata sono: il tono, il volume, il tempo ed il timbro. Il tono è principalmente un indicatore dellâintenzione e del senso che si da a quello che si dice e può esprimere entusiasmo, disappunto, interesse, noia, coinvolgimento, apatia, apprezzamento o disgusto. Il volume riguarda prevalentemente lâintensità sonora, il modo di calibrare la voce in base alla distanza dallâinterlocutore; Il tempo, le pause, la lentezza o velocità assolute possono servire come fattori che sottolineano, accentuano o sfumano il significato verbale. Il timbro è lâinsieme delle caratteristiche individuali della voce gutturale, nasale, soffocata; è il colore della voce. 3. Nozioni sulla gestione di un gruppo Torna su I piccoli gruppi durante il loro ciclo vitale attraversano una serie di stadi di sviluppo. Lacousiere partendo dall'esame di innumerevoli articoli e studi sulle dinamiche di gruppo, ha elaborato un modello a 4 stadi riguardo le normali tappe di sviluppo di un gruppo. 1. orientamento 2. insoddisfazione 3. svolta 4. produzione 1 Fase di orientamento In questaprima fase la dimensione soggettiva solitamente prevalente negli individui che costituiscono il gruppo è la dimensione dell'insicurezza. Durante la fase costituente è arbitrario parlare di gruppo in senso psicologico collettivo, ogni individuo infatti è alle prese con la propria insicurezza e ha ben poche risorse da spendere per socializzare con gli altri soggetti. Nei momenti costitutivi del gruppo di lavoro è necessario controllare e rendere minime le situazioni conflittuali, ciò consentirà a tutti i membri del gruppo di " prendere posto" al suo interno evitando situazioni di esclusione o selezione interna dovute a conflitti troppo precoci. Ungruppo di lavoro che ha potuto sperimentare un avvio adeguato svilupperà meccanismi di socializzazione flessibili e modellerà il suo funzionamento sui conflitti professionali anziché su quelli di forza. Il lavoro in questa fase è caratterizzato da un basso o moderato conseguimento di risultati, gli sforzi si concentreranno su obiettivi e compiti, su comeaffrontarli e su quali abilità siano necessarie per fare ciò. 2 Fase di insoddisfazione In questa fase la dimensione soggettiva prevalente degli individui è caratterizzata da atteggiamento di esposizione e dalla tendenza a stabilire rapporti interpersonali affidabili. Nascono quindi le prime alleanze e si creano dei sottogruppi Questo stadio gruppale è caratterizzato dal "censimento delle risorse", si cominciano a stimare gli individui per il loro reale contributo e potenziale sia in termini di autorevolezza individuale che in termini di conoscenza e capacità professionale. Sono prevalenti sentimenti di insoddisfazione legati alle divergenze tra le aspettative iniziali e la realtà della situazione. Il superamento di tali sentimenti dipende dalla ridefinizione di obiettivi e compiti per renderli più raggiungibili. 3 Fase di svolta Il superamento della fase di insoddisfazione, proietta nella fase di svolta in cui la dimensione soggettiva prevalente è caratterizzata dal confronto delle idee e dalla gestione dei conflitti. E' evidente che il modo di gestire il confronto influenza qualitativamente il risultato del lavoro espresso nel gruppo, a parità di competenza assegnata, il risultato sarà diverso se nel gruppo ci si rapporta per dare il meglio, oppure per "vincere". In questa fase vengono prese decisioni in relazione alle ipotesi operative che scaturiscono dal confronto di gruppo. Un'adeguata gestione dei conflitti da parte del responsabile di un gruppo di lavoro, dovrebbe abituare i componenti a gestire il momento decisionale, senza caricarlo di eccessivi timori di esclusione, concentrando l'attenzione sulla consapevolezza che l'atto decisorio riguarda i contenuti e non i rapporti interpersonali. 4 Fase di produzione E' una fase di affinamento qualitativo della fase precedente, le persone ora riescono non solo ad accettarsi, ma anche ad apprezzarsi, pur nelle diversità di opinioni. Il sentimento individuale prevalente è ora il senso di appartenenza al gruppo, ma il singolo si sente anche rappresentato dal gruppo ed è percettibile la piacevolezza del contesto lavorativo. Il gruppo è in grado di esprimere un potere organizzativo verificando sistematicamente le risorse dei suoi membri. Il gruppo che ha raggiuntoalti livelli di appartenenzeè in grado di eseguire progetti, compiti che hanno un elevato grado di difficoltà. In un tale contesto colui che non vede accolta la propria opinione non si sentirà escluso ma sarà comunque soddisfatto per aver contribuito alla ricerca della soluzione più idonea. Questa èuna meta non sempre facile da raggiungere, ma che deve essere sempre tenuta in considerazione come obiettivo da perseguire ogni volta che si opera in gruppi di lavoro. Nei diversi contesti operativi, non è insolito assistere alla composizione affrettata di gruppi multifunzionali o multiprofessionali, senza aver cura del loro processo di graduale socializzazione, affidando loro progettifin dalla fase di costituzione. Di fatto chiedere a gruppi che si trovano in questa fase di realizzare dei progetti, significa favorire prestazioni di basso profilo e/o parcellizzazioni del lavoro di comodo e difensive. E' evidente l'importanza della competenza del coordinatore nella scelta del momento opportuno per il passaggio da una fase alla successiva, il salto ad un livello di evoluzione superiore, infatti, può generare un rifiuto nel superare il nuovo ostacolo con una inevitabile crisi di crescita. In questi casi spetta proprio al coordinatoredi un gruppo offrire la chiave di volta, senza mai peraltro sostituirsi al gruppo, tenendo presente che azioni di compensazione o di soccorso paternalistico, non fanno che rendere maggiormente consapevoli i singoli delle incapacità di risolvere il problema. Il superamento delle varie fasi dipende in buona parte dalla competenza della persona preposta alla sua conduzione. Un coordinamento competente presuppone anche l'assunzione di un atteggiamento corretto, precisando che sarebbe assolutamente controindicato qualsiasi comportamento autoritario. L'autorità infatti non lascerebbe spazio alla libertà individuale dei singoli i quali, non potendo interagire tra loro, non potrebbero integrare le loro conoscenze, competenze, esperienze e idee vanificando cosi' il motivo principale per il quale si sceglie la metodologia del lavoro di gruppo. In una dimensione ideale, il coordinatore contribuisce a definire gli ambiti delle competenze individuali, le "regole del gioco" e questo grazie alla competenza che giustifica il suo ruolo di coordinatore. Una volta definite le opportune regole democratiche e nel rispetto delle diverse personalità, i componenti del gruppo devono potersi rapportare liberamente tra loro, lasciando al coordinatore un ruolo di supervisione sulla progressione delle varie fasi. Al fine di una conduzione competente del gruppo sarebbe riduttivo pensare che solo un atteggiamento più o meno democratico determina la validità del risultato. Risulterebbe complesso affrontare in maniera completa il problema ma si possono comunque tracciare delle regole di massima il cui rispetto è garante di un contributo positivo. â Anche se le funzioni sono di coordinamento/conduzione è necessario sempre figurare come un membro del gruppo che incoraggerà gli altri a partecipare liberamente. â Non sentire la competenza altrui come una minaccia, pensare che altri con qualità superiorialle nostre possano mettere in ombra il nostro operato, può far vivere al gruppo un senso di frustrazione. Di contro le risorse degli altrivanno considerate sempre un patrimonio comune e non alternativo a quello di nessuno dei componenti. â Sarebbe altresì auspicabile aiutare gli altri ad esprimere le proprie risorse, le proprie capacità poiché questo significa acquisire nuove esperienze e competenze, soprattutto per la dinamica di gruppo. â Rendersi capaci di sopravvivere alle critiche, ascoltare una opinione negativa sul proprio contodeve essere considerato un momento di riflessione sul proprio operato. In sintesi non si deve dimostrare indifferenza su ciò che gli altri dicono di noi, considerando comunque che non si migliora o peggiora in base al giudizio altrui, ma dallo stesso si possono trarre indicazioni necessarie per ricercare sempre il modo migliore di vivere positivamente l'esperienza di gruppo. 4. Gli stili relazionali e la leadership Torna su Nei paragrafi precedenti si è delineato il tema della comunicazione come tramite attraverso il quale i membri di un gruppo possono interagire e cooperare, altro elemento fondamentale nelle relazioni interpersonali è lo stile direlazione che varia in funzione della personalità del singolo individuo. Per stile si intende la tendenza a privilegiare un modo di esprimersi e di relazionarsi che può essere utile in certe circostanze e disfunzionale in altre. Schematicamente si possono definire quattro principalistili relazionalie: stile passivo, aggressivo, manipolativo, assertivo. Le comunicazioni in cui prevale uno stile passivo sono caratterizzate da un atteggiamento di minimizzazione delle proprie posizioni, dalla rinuncia a esprimere le proprie idee. Nella persona con unostile di relazionepassivo si nota un atteggiamento di censura e sottomissione con la conseguente rinuncia a far valere i diritti altrui a scapito dei propri. Le comunicazioni in cui prevale uno stile aggressivo sono caratterizzate da atteggiamenti tesi a mostrare la superiorità di chi parla nei confronti del suo interlocutore. Nello stile aggressivo câè la tendenza a ipervalutare se stessi e a sottovalutare gli altri.. Le comunicazioni in cui prevale uno stile manipolativo sono caratterizzate da atteggiamenti tesi a raggirare lâaltra persona con lâintenzione di ottenere una risposta a proprio vantaggio. La manipolazione delle informazioni porta ad alterare, a trasmetterle in modo parziale, non pertinente o congruente, a privilegiare ambiguità espositive. La manipolazione delle emozioni riguarda lâadozione di comportamenti di seduzione, di dissimulazione dei propri sentimenti, emozioni e pensieri tesi a ottenere qualcosa dallâinterlocutore che crede invece alla veridicità di quanto dichiarato. Le comunicazioni in cui prevale uno stile assertivo sono caratterizzate da atteggiamenti tesi a far valere le proprie opinioni, meriti, sensazioni, diritti, nel pieno riconoscimento e rispetto di quelli degli altri. E' conseguente, all'uso di uno stile assertivo, la messa in atto di comportamenti non conflittuali, la capacità di argomentare in modo esplicito, nonché di riconoscimento dei propri limiti. Oltre allo stile che caratterizza le interazioni fra i membri di ungruppo,altro fattore che agisce fortemente sul funzionamento del gruppo, è lo stile di leadership. La leadership di un gruppo va intesa come funzione di equilibrio tra i bisogni degli individui e quelli del gruppo. Il gruppo come unità sovraindividuale hanecessità che vengano adempiute alcune funzioni che ne garantiscano la sopravvivenza e la crescita. È riduttivo pensare che tutte le funzioni di leadershipconnesse alla sopravvivenza di un gruppo possano essere svolte da una sola persona, i ruoli di leadership sono molteplici e differenti individui possono trovarsi a provvedere ad una o più funzioni richieste per lo sviluppo del gruppo. La leadership efficace in un gruppo è dunque l'esito dell'incontro tra le aspettative del gruppo stesso per ciò che concerne i comportamenti di leadership, i ruoli che vengono assegnati, le capacità di leadership degli individui che contribuiscono ad esprimere uno stile adeguato alle aspettative. Molte teorie della leadership e molti modelli sono stati applicati al gruppo perché è da sempre la sede naturale per la sua espressione. E' opportuno quindi esprimere il concetto di leadership del gruppo di lavoro come leadership di servizio. Il punto di vista che si esprime con "leadership di servizio" è quello di una visione di insieme, nella quale il leader ed il gruppo sono indistinguibili all'interno del processo relazionale e delle scelte operative. Il gruppo dunque produce il suo stile di leadership e i suoi leader, attraverso una negoziazione continua di ruoli e funzioni. La consapevolezza di essere all'interno di questo processo permette di definire i comportamenti di ruolo e di adeguarli alle richieste, e ai bisogni del gruppo, del compito e degli individui. Il leader lavora con il gruppo, non per il gruppo, la sua finalità è l'ottimizzazione delle risorse disponibili sia in termini operativi che relazionali. Ha funzione più di fluidificazione del lavoro che di produttore di risposte, attiva più che essere attivo, tende al successo del gruppo più che all'espressione delle sue potenzialità. Tutti potranno riscoprire cosi' il ruolo di leadero svolgere funzioni di leadership nel corso della vita del gruppo, quando metteranno le loro specifiche capacità al servizio dell'attività che il gruppo sta svolgendo. Spesso l'essere leader del gruppo è percepito, da chi ricopre il ruolo, con una forma di imbarazzo misto a sensi di colpa, mentre riconoscere apertamente la leadershipdi alcuni, è percepito dal gruppo con un fastidioso sentimento di sottomissione. La leadership di servizio fa emergere gli altri leader e favorisce l'apprendimento di un nuovo modello di utilizzo delle capacità individuali, perché lavora per la crescita dell'unità sovraindividuale (il gruppo)più che per la disarmonica e conflittuale espressione di capacità personali. Le principali caratteristiche della leadership di servizio sono individuabili fra le seguenti: â Leadership situazionale ovverocoerente con gli obiettivi del gruppo, con le caratteristiche professionali e personali dei vari membri, con la storia e la cultura del gruppo e dell'organizzazione. Inoltre deve essere delegata, dal gruppo e dal leader, a seconda della situazione, a chi in un determinato momento è in grado di condurre con maggiore efficacia il lavoro, per capacità, competenza ed esperienza. â Ledarship trasparente significa che i ruoli devono essere chiariti e definiti nella fase di costituzione del gruppo, in modo che né il leader istituzionale né gli altri membri del gruppo si possano sottrarre alla negoziazione dei ruoli e al riconoscimento esplicito delle capacità di chi li ricopre. â Leadership flessibile orientata a coordinare le capacità ed i contributi dei membri del gruppo più che a ribadire quelle del leader. â Leadership pragmatica ancorata a fatti e dati provenienti dalla realtà e dall'ambiente, non orientata alla soluzione ideale ma alla migliore soluzione concreta ed attuabile. â Leadership orientata al compito, indirizzata al presidio dell'obiettivo, tende alla sua definizione, al chiarimento e all'implementazione, elabora con il gruppo un metodo di lavoro efficace e strutturato, garantisce il rispetto dei tempi fissati ed un proficuo uso del tempo durante gli incontri â Leadarship orientata alle relazioni che garantisce il riconoscimento dei bisogni individuali e delle capacità per sviluppare valori condivisi all'interno del gruppo. Assicura un'elevata qualità dei rapporti interpersonali, che consenta una forte identificazione con il gruppo ed un'alta motivazione al lavoro e alle responsabilità. Una leadership orientata alle relazioni in modo efficace non evita i conflitti ma li gestisce, permette che emergano, li rende espliciti senza accentuarli e procede nella loro composizione ragionando sui fatti e non sulle opinioni. Quando la leadership non si configura come leadership di servizio è possibile osservare alcuni fenomeni che si evidenziano sia nella relazione tra gli individui e i leader, sia nello sviluppo complessivo del gruppo. Primo fra tuttila regressione attraverso la manifestazione, da parte dei membri, di atteggiamenti e comportamenti di dipendenza, di attesa verso il leader. La dipendenza si traduce nella mancanza di iniziativa e coinvolgimento, dove il leader è l'unico che pensa e decide, riproducendo lo schema della gerarchia tradizionale. I membri del gruppo si pongono nella posizione di esecutori passivi del compito e non di corresponsabili e creatori del prodotto. Il leader si sentirà cosi' molto forte e importante, e i membri sono ben riparati dall'eventualità di doversi assumere responsabilità e rischi. Se il prodotto del gruppo è soddisfacente, sentiranno di aver fatto ciascuno la propria parte, se il risultato è insoddisfacente, la responsabilità, "la colpa", sarà del leader. Il leader per converso attribuirà a sé ogni merito dei successi, e alla mancanza di collaborazione, allo scarso impegno dei membri, i risultati negativi. La regressione dunque deresponsabilizza e riduce il livello di prestazione individuale, il gruppo produce meno della somma di quello che ciascuno individualmente potrebbe fare. Fenomeno uguale e contrarioalla regressione è la controdipendenza, in questo caso i membri non si adattano a ritornare a comportamenti di dipendenza e reagiscono contro il leader. Tale contrapposizione non avviene quasi mai attraverso un conflitto dichiarato,ma si realizza in forme sotterranee e mascherate. Nelle due eventualità descritte la leadership non riesce ad assolvere alla funzione di equilibrio fra i bisogni degli individui e i bisogni del gruppo, inibendo il processo evolutivo che consente al gruppo di svilupparsi in un gruppo di lavoro. 5. Gestione dei conflitti e negoziazione Torna su In ogni momento della nostra vita quotidiana quando ci attiviamo per raggiungere un qualsiasi obiettivo: personale, familiare, lavorativo, tanto più è ambizioso l'obiettivo, tanto più sarà elevata la probabilità di incontrare ostacoli. Spesso questi ostacoli sono rappresentati dall'opposizione di altre persone il cui consenso è prezioso per centrare il nostro obiettivo. Ci si trova quindi a dover affrontare dei conflitti, se si è in grado di gestirli al meglio maggiorisaranno le possibilità di raggiungere le proprie mete. Imparare a negoziare significa diventare abili nell'impiegare una delle modalità più efficaci per gestire e superare i conflitti. Il conflitto è un fenomenodiffuso e pervasivo, vi possono essere conflitti interpersonali, intragruppo ed intergruppo. Le definizioni di conflitto sono numerose, la maggior parte di esse rientra comunque in una delle due seguenti categorie. Alla prima appartengono le definizioni che fanno riferimento al "comportamento conflittuale" e,quindi alle azioni di scontro ( attacchi fisici e verbali) intraprese da due o più parti a danno di terzi. (Peterson, 1983). Alla seconda categoria appartengono invece le definizioni che fanno riferimento alle " fonti del conflitto"( Rubin, Kim, 1994). Moltiautorihanno tentato di individuarele cause fondamentali che stanno alla base della genesi di ogni conflitto tra esseri umani. Le due cause più comunemente individuate sono la divergenza di interessi ed il rancore. La divergenza di interessi ha come dimensione temporale di riferimento il futuro, per tale motivo conflitti che originano da una divergenza di interessi, sono tendenzialmente più facilmente gestibili, dei conflitti alla cui base vi è la seconda tipologia di fonte del conflitto, cioè il rancore. Il rancore ha evidentemente come dimensione temporale di riferimento il passato ed in particolare la storia passata delle relazioni tra le parti in conflitto, dal momento che non è possibile intervenire sul passato direttamente e che le divergenze di percezione delle parti circa tali eventi sono ormai difficilmente conciliabili facendo riferimento ad evidenze presenti ed obiettive, i conflitti basati sul rancore sono generalmente più difficili da risolvere. Per concludere, all'origine di ogni conflitto, anche se da attribuirsi al rancore, vi è comunque una divergenza di interessi , sia essa una divergenza nuova ed attuale che può essere affrontata in modo diretto attraverso la negoziazione, sia essa una storia di divergenze passate mal risolte che hanno provocato uno stato di insofferenza, sfiducia e malessere tra le parti. Non è possibile analizzare e comprendere le cause di un conflitto senza essere consapevoli delle modalità con cui essovienepercepito ed interpretatodai suoi attori, è quindi fondamentalesoffermarsi sulle dinamiche cognitive ed emotive in base alla quale viene elaborata da ciascuna delle parti la propria rappresentazione mentale della situazione conflittuale. Pinkley nel 1990 attraverso l'analisi delle similarità e delle differenze tra le descrizioni di numerosi episodi conflittuali, ha individuato tredimensioni attraverso le quali gli individui costruiscono la propria rappresentazione mentale del conflitto. â La prima è denominata "relazione versus compito" riferendosi a due modalità tra loro opposte di interpretazione del conflitto. Da un lato esso è percepito come basato su questioni relazionali, le origini e le finalità del conflitto riguardano quindi la conflittualità della relazione con la controparte. Dall'altro lato il conflitto è percepito come un problema basato su questioni specifiche indipendenti dalla relazione. In questo polo l'accento non è posto sulla qualità della relazione ma sulle questioni tangibili oggetto del conflitto ( denaro, potere, distribuzione del lavoro) escludendo ogni implicazione affettiva ed interpersonale. â La seconda dimensione è definita "intelletto versus emozione" .Nel polo intellettuale il conflitto è percepito come centrato su fatti e su pensieri razionali. L'attenzione è posta sulla descrizione oggettiva di specifici eventi e sulle conseguenze fisiche che hanno avuto sulle parti. Nel polo emotivo divengono centrali i sentimenti impliciti nel conflitto quali rabbia, frustrazione, gelosia , risentimento, senso di colpa, paura, mancanza di fiducia ecc. La dinamica di queste emozioni tra le parti è percepita come fondamentale per comprendere l'origine e per tentare la risoluzione del conflitto. â Infine la terza dimensione della rappresentazione del conflitto emersa da questo studio è denominata "vittoria versus compromesso". Nel polo vittoria la situazione conflittuale è letta come una arena dalla quale solo una delle parti uscirà vincitrice mentre le altre saranno perdenti. Questa è la percezione del conflitto come gioco a somma zero: ogniguadagno ottenuto da una delle parti deve necessariamente implicare una perdita per le altre. Tale prospettiva spinge chi la adotta ad assumere un atteggiamento marcatamente competitivo nell'affrontare il conflitto. All'altro polo, invece, il conflitto viene interpretato come un gioco a somma variabile , una situazione in cui vi è almeno una possibilità per le parti di uscirne entrambe vincitrici. Questa percezione facilita l'assunzione di un atteggiamento cooperativo nella gestione del conflittoe quindi promuove la ricerca di compromessi con l'avvio di procedure negoziali che superino la sterile tendenza ad attaccare o a colpevolizzare la controparte. Secondo Pinkley, lo specifico schema del conflitto proprio di ciascuna parte è il frutto del posizionamento delle sue percezioni del conflitto sui continuum tra i due poli di ognuna della tre dimensioni sopra descritte. 6. Principali strategie per la gestione dei conflitti Torna su Schematicamente è possibile individuare le principali strategie per affrontare delle divergenze di interessi. â La persona che adotta una strategia di contesa, "contending" per risolvere un conflitto tenta di prevalere sull'altro utilizzando numerose tattiche. Insistendo con argomenti persuasivi, facendo minacce, dichiarando la propria irremovibilità ( facendone una questione di principio) , ponendo richieste eccessive per dimostrarsi poi conciliante. La prima strategia negoziale dunque è caratterizzata dall'intento di risolvere il conflitto secondo le proprie condizioni senza prestare alcuna attenzione agli interessi della controparte. â In alternativaal primo approccio vi è quello centrato sul "problem-solving", intendendo con ciò l'individuazione di una nuova configurazione delle questioni in gioco in modo che tutte le parti possano soddisfare congiuntamente le proprie aspirazioni nella misura maggiore possibile. â Nella terza strategia definita di compromesso l'obiettivo è quello di individuare un immediato punto intermedio tra le proprie richieste e quelle della controparte. In questo caso la soluzione è tendenzialmente veloce e poco faticosa da raggiungere, lascia però insoddisfatte entrambe le parti. â Un'altra strategia impiegabile, in contrapposizione con la prima, è cedere alle richieste della controparte "yelding". Tale atteggiamento implica un pesante livellamento delle proprie aspirazioni ed una capitolazione che potrebbe essere strategica al fine di ottenere future concessioni su questioni ritenute più importanti. â L'ultima strategia il ritirarsi dal conflitto, "withdrawing" è determinata da molteplici fattori sia propri delle parti in gioco ( personalità, credenze, stili cognitivi abilità relazionali) sia contingenti, come il livello di interesse per la controparte, la qualità della relazione tra le parti, la tipologia delle questioni in gioco e la loro rilevanza, la pressione temporale e la presenza di osservatori. La tendenza degli individui ad adottare in diversi contesti le medesime strategie di risposta al conflitto suggerisce che vi possano essere degli stili di gestione strettamente collegati alle caratteristiche di personalità. Utley, Richardson e Pilkington (1987) hanno condotto una ricerca per individuare le caratteristiche di personalità associate alle principali strategie di gestione dei conflitti descritte sopra. â La tendenza alla contesa ed al dominio ( contending) è associata alla propensione all'aggressione, al bisogno di esibizione, al disinteresse ad evitare danni e fastidi, all'orientamento ai risultati e al bisogno di comprendere e controllare. â La strategia di "problem-solving" è correlata con diverse caratteristiche di personalità quali l'orientamento ai risultati, la capacità di resistenza, la tendenza a prendersi cura degli altri , il desiderio di piacere agli altri, l'assenza della necessità di difendersi. â La strategia del compromesso è correlata con la pazienza e la resistenza, la tendenzaa prendersi cura degli altri, il disinteresse verso il riconoscimento sociale, il bisogno di affiliazione e la scarsa impulsività â La tendenza a fare concessioni ( yelding) è associata al bisogno di riconoscimento sociale, alla scarsa impulsività, allo scarso piacere del gioco e della sfida, ai limitati bisogni di comprendere l'altro, di ricercare l'autonomia e di promuovere il cambiamento. â L'evitamento ( withdrawing) è adottato da individui con bisogno di autonomia, necessità di evitare danni e fastidi, scarsa propensione a soccorrere ea prendersi cura degli altri, e limitati bisogni di affiliazione. La negoziazione è una forma di comunicazione che si realizza tra due parti in conflitto, ma alla ricerca di un interesse comune. L'arte del negoziare fornisce un modello di base per i rapporti tra persone e la sua validità si può apprezzare in quasi tutte le situazioni. E' una strategia complessa, i cui punti essenziali consistono nel mostrare con chiarezza all'interlocutore che siamo in grado di capire non solo le sue richieste, ma anche le esigenze e i sentimenti che le motivano. Il processo del negoziare, ridotto all'essenziale, si articola in cinque momenti: ascoltare, parafrasare, giustificare, esporre il proprio punto di vista e accordarsi. 1. L'ascolto richiede cenni di assenso, altre forme di rinforzo e, se necessario, domande finalizzate ad ottenere eventuali chiarimenti. 2. La parafrasi ha lo scopo di precisare il contenuto espresso dall'altro, serve a mostrare che gli prestate attenzione e incoraggia l'altro a fornire ulteriori dettagli. 3. La giustificazione ha il compito di mostrare che avete colto il motivo del suo intervento o del suo stato alterato. Questa procedura è centrata sull'esprimergli la comprensione dei suoi sentimenti. I primi tre momenti del negoziato hanno lo scopo di trasformare l'interazione in dialogo evitando che ciascuno si limiti a ribadire, o ad esasperare, il proprio punto di vista contrapponendolo a quello dell'altro. 4. la negoziazione prosegue con il presentare il proprio punto di vista, rispondendo con accuratezza ai dubbi e agli interrogativi manifestati dalla controparte. In questa fase si procede con la calma e la sicurezza di chi ritiene valide le proprie ragioni. Tali ragioni vanno presentate non come contrastanti con quelle altrui, bensì come un'alternativa necessaria date le condizioni entro cui ci si sta muovendo. Una maniera di determinare il punto di accordo è quella di mettersi al posto dell'altro ponendosi tutta una serie di domande e rispondendo come se foste lui, ciò spesso consente di visualizzare la futura conclusione con chiarezza. 5. Il negoziato tiene conto del fatto che le vostre ragioni non vengano facilmente accettate da chi ha opinioni diverse o contrarie. Perciò si pone come obiettivo di raggiungere un compromesso , un accordo che rispetti le esigenze di entrambi. Per far sì che questo accada è importante stabilire un clima orientato alla soluzione dei problemi . Stabilire un clima di "problem solving" significa tentare di portare l'altro a ritenere che state lavorando insieme alla ricerca di una soluzione accettabile per entrambi. Si tratta di stabilire un contatto con l'altra persona , identificandosi con lei, facendosi carico dei suoi problemi, e portandola ad accorgersi della possibilità di altre soluzioni. MODULO 4 LAVORARE PER PROCESSI, GRUPPI DI LAVORO E PROBLEM SOLVING 1. PROCESSI 1.1. La gestione per processi nella pubblica amministrazione Torna su Negli ultimi anni, come reazione a situazioni di cattiva gestione ed a seguito della sempre minore disponibilità di risorse da parte della pubblica amministrazione, si è accentuato lâinteresse nei confronti delle prestazioni, anche economiche, di tali servizi. In particolare ci si è chiesti se i modelli organizzativi e gestionali sperimentati presso le aziende private potessero essere utilmente applicate nelle aziende pubbliche senza snaturare la funzione sociale. Le aziende si sono quindi ritrovate a dover perseguire contemporaneamente obiettivi diversi: la soddisfazione del cliente, la razionalizzazione delle risorse interne, la flessibilità e lâinnovazione. Si vede urgente lâintroduzione di un nuovo approccio, che va sotto il nome di âgestione per processiâ. Gran parte delle moderne filosofie gestionali e dei nuovi strumenti organizzativi fanno riferimento, con intensità diverse, a una visione âtrasversaleâ dellâorganizzazione , che vede lâazienda come insieme di processi di business e non come sommatoria di funzioni e/o divisioni da coordinare. Lâadozione da parte delle imprese di strutture organizzative di tipo funzionale ha consentito in passato di raggiungere elevati livelli di efficienza allâinterno delle singole funzioni, ma nel momento in cui aumenta il numero delle funzioni di unâimpresa e aumenta il grado di differenziazione delle stesse diventa molto difficile riuscire a gestire le âinterdipendenzeâ che si formano tra di esse. Quindi, se prima lâatteggiamento aziendale era mirato ad ottimizzare le attività allâinterno delle funzioni senza tenere conto che lâobiettivo ultimo doveva essere quello dellâottimizzazione globale dei processi, oggi è proprio la gestione degli spazi âinterfunzionaliâ, precedentemente trascurati, ad offrire i più ampi potenziali di miglioramenti. Lâanalisi e la riprogettazione dei meccanismi di funzionamento delle aziende ruotano allora sempre con maggiore frequenza anche se talvolta in modo non espressamente dichiarato, attorno al concetto di âprocessoâ. La âlettura dei processiâ comporta unâanalisi e una progettazione dellâorganizzazione aziendale, che non si incentri sui concetti classici di attività, compiti e funzioni, gerarchicamente legati, ma che si basi su un insieme di attività omogenee dal punto di vista dellâoutput. Qualità, efficacia, efficienza sono termini tradizionalmente legati alle imprese di produzione, che a prima vista sembrano essere difficilmente trasferibili a realtà erogatrici di servizi, in particolare quando si tratta di servizi pubblici. A partire dal 1990 il quadro normativo che regola il settore della pubblica amministrazione è profondamente mutato nellâintento di promuovere lâefficienza, la governabilità e lâeconomicità della gestione. La ârivoluzioneâ legislativa ha avuto inizio con lâapprovazione della L. 142/90 sulla riforma delle autonomie locali, insieme alla L. 241/90 che disciplina le nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di accesso ai documenti amministrativi, per concludersi con la legge 59/97 sul decentramento amministrativo e con la legge 127/97 sulla semplificazione e la trasparenza dellâattività amministrativa. La L. 142/90 ha poi trovato un ulteriore sviluppo in seguito allâemanazione del D.Lgs 29/93, che definisce i criteri per la razionalizzazione dellâorganizzazione della pubblica amministrazione e per la revisione della disciplina del pubblico impiego. Lâapparato normativo che disciplina lâattività della pubblica amministrazione rappresenta perciò, nellâintenzione del legislatore, lo strumento più idoneo a realizzare una riforma della P.A., in unâottica di ridefinizione del rapporto tra questa ed il cittadino, in vista di un miglioramento della qualità del servizio erogato. Le amministrazioni pubbliche, per muovere realmente i primi passi in questa direzione, devono sviluppare un sistema di strumenti ed una nuova cultura manageriale, che siano in rado di modificare profondamente le condizioni attuali di funzionamento dellâorganizzazione, mediante la creazione di un forte orientamento al soddisfacimento dei bisogni espressi dai cittadini e sviluppando al tempo stesso tra gli operatori un forte senso di appartenenza allâente ed una motivazione comune. Un ruolo fondamentale in questo processo di cambiamento è assunto da management, le cui principali responsabilità consistono nella identificazione degli obiettivi, nellâassunzione delle decisioni e nella valutazione dei risultati. Un contributo in tale direzione è fornito dal D.lgs. 29/93, il quale fornisce elementi per una riflessione sulle cause di inefficienza dellâazione amministrativa e individua le soluzioni per un miglioramento del rapporto amministrazione/cittadini nella costituzione di servizi di accesso polifunzionali alle amministrazioni pubbliche e gli Uffici per le Relazioni con il Pubblico. Lâaspetto senza dubbio più qualificante del D.Lgs in esame è costituito dal principio che sancisce la separazione tra politica ed amministrazione. Agli organi di direzione politica spetta di definire gli obiettivi, i programmi e gli indirizzi per lâattività dellâamministrazione, verificarne il rispetto e scegliere i massimi dirigenti, mentre la gestione è compito esclusivo della dirigenza. Questo rapporto più âlimpidoâ tra politica ed amministrazione, dovrebbe a sua volta tradursi in maggiore efficienza. Il modello organizzativo per processi appare particolarmente idoneo a favorire la comunicazione e lâintegrazione tra le differenti figure professionali ed istituzionali necessarie per fornire al minor costo e nel minor tempo possibili i servizi svolti da una pubblica amministrazione. Avviandosi verso una organizzazione per processi si attua un graduale trasferimento delle responsabilità âverso il bassoâ, riconducendole a chi realmente esegue le diverse attività e ne ha, di conseguenza, la âresponsabilità tecnicaâ ed individuando nel contempo una figura di responsabile di processo (process owner), il quale si fa carico del coordinamento e della pianificazione delle singole attività, nonché della gestione dei rapporti con gli altri processi, superando le tradizionali barriere divisionali. 1.2. Definizione di processoTorna su Concetto Ma cosâè un processo? Alcune definizioni di processo presentate in letteratura. âSequenza di attività tra loro logicamente interrelate al fine di gestire una risorsa durante il suo ciclo di vita e raggiungere uno specifico obiettivo. Dove per attività si intende unâaggregazione di operazioni elementari nellâambito del quale si determina il consumo delle diverse risorse aziendali (umane, tecnologiche, strutturali, di know-how, â)â âIl processo viene definito come una serie di attività che prende lâinput, aggiunge valore, e produce outputâ âUna sequenza di attività logicamente correlate che impiegano risorse (persone, macchine, materiale) per fornire uno specifico risultato finale. Tale sequenza è caratterizzata da: * Input misurabile; * Attività con valore aggiunto; * Output misurabile; * Attività ripetitive. âGli input provengono dai fornitori (interni/esterni) e gli output sono destinati ai clienti. I processi sono quindi catene di fornitori/clienti ed in questa logica ogni fase del processo deve conoscere i bisogni sia del cliente finale che del cliente a valleâ. âOgni attività è realizzata mediante un processo. Ogni processo ha dati di ingresso. I dati di uscita sono i risultati del processo che sono i prodotti sia tangibili che intangibili. Lo stesso processo è, o dovrebbe essere, una trasformazione che aggiunge valore. Ogni processo coinvolge in qualche modo persone e/o altre risorseâ. (Normativa ISO 9000-1, Linee guida per la selezione e lâimpiego). (fig.2) Nonostante lâestrema varietà di espressioni è immediato notare che molte definizioni contengono elementi comuni: talvolta fanno uso di termini diversi per esprimere concetti analoghi, altre appaiono più complesse, ma non esistono tra di esse differenze di fondo. Volendo dare una definizione sufficientemente ampia e dettagliata potremmo affermare che: " un processo è costituito da una sequenza di attività tra loro interdipendenti e finalizzate al perseguimento di un obiettivo comune; esso riceve un certo input vi apporta delle trasformazioni che aggiungono valore, utilizzando risorse aziendali, ossia persone, materiali e strutture ed infine trasferisce allâesterno lâoutput richiesto, prodotto/servizio." 1.3. Caratteristiche dei processi Torna su Le differenti attività di un processo sono legate tra loro dalle informazioni e dai prodotti e servizi che si scambiano. Uno specifico evento dà inizio alla prima attività del processo, che a sua volta, permette lo svolgimento delle successive, attraverso meccanismi di tipo âcausa-effettoâ, che consentono di tracciare i confini del processo che le raggruppa. Alcune caratteristiche fondamentali sono attribuibili a tutti i processi gestionali: * In ogni processo si può individuare un output globale, unico e completo e le diverse attività che lo costituiscono sono tutte finalizzate al raggiungimento di esso. * Ogni processo ha alcuni clienti ai quali è destinato lâoutput prodotto: tali clienti possono essere sia interni alla organizzazione sia esterni. * Il processo attraversa i confini organizzativi formali. Lo svolgimento di un processo può richiedere la partecipazione sia di unità appartenenti alla medesima organizzazione sia entità organizzative differenti; nella maggior parte dei casi pertanto, il suo flusso è indipendente dalla struttura organizzativa formale. * Il processo permane ne tempo almeno fino a che è in grado di contribuire al raggiungimento degli obiettivi aziendali, ma la sequenza di svolgimento delle attività che lo compongono tende a modificarsi, in quanto esse sono sottoposte a frequenti modifiche al fine di migliorare lâefficienza e lâefficacia. * Ciascun processo aziendale è suddivisibile in sotto-processi, anche se non è comunque conveniente scendere troppo in profondità, poiché si corre il rischio di frazionare eccessivamente le informazioni fino ad ottenere una mole ingestibile di dati. 1.4. Elementi costitutivi e parametri di valutazione dei processi Torna su Per ogni processo è possibile mettere in evidenza 4 elementi: gli input: sono le informazioni e i materiali che vengono immessi nel processo affinchè subiscano una trasformazione; i vincoli: sono le regole, le istruzioni, le informazioni che condizionano lo svolgimento delle attività che compongono il processo; le risorse: sono le persone ed i mezzi utilizzati per svolgere le singole attività di trasformazione; gli output: rappresentano i risultati, voluti e non, del processo. Eâ possibile rappresentare il singolo processo come un rettangolo, in cui le interazioni con lâambiente esterno e con gli i processi sono quattro, tanti quanti sono i lati del rettangolo stesso: 1.5. Risorse Torna su Per ogni processo è possibile, identificando la provenienza degli elementi che vi entrano e la destinazione di quelli che ne escono, evidenziare i processi fornitori e i processi clienti. Ciò consente di collegare i diversi processi tra di loro e con lâesterno. 1.6. Considerazioni sul valore prodotto dai processi Torna su Il processo è stato definito come un insieme di attività che realizzano un outputâaggiungendo valoreâ ai suoi input. Se vediamo come fine dellâazienda il soddisfacimento delle esigenze dei suoi utenti, sia interni che esterni allora lâunico valore aggiunto da prendere legittimamente in considerazione è quello riconoscibile da questi. Scopo del processo non sarà quindi solo quello di fornire un prodotto o servizio di alto valore, ma soprattutto di fornire tutto il valore richiesto dagli utenti (efficacia del processo). Sono quindi di fondamentale importanza i costi sostenuti ed i tempi necessari per produrre quel valore, ovvero lâefficienza del processo. Questo non vale solo per i processi che si interfacciano con lâesterno, ma anche per i processi totalmente interni allâazienda. Particolare attenzione va posta inoltre nel caso che il nostro processo non abbia come scopo la produzione di un bene âtangibileâ ma lâerogazione di un servizio. In questo caso infatti è molto più difficile valutare e controllare il valore prodotto dal processo e, soprattutto, il valore percepito dallâutente. Infatti possiamo affermare che il processo di erogazione di un servizio si differenzia per le seguenti caratteristiche: * la difficoltà di standardizzazione. Tipicamente il processo di erogazione di un servizio non è statico, ma varia fortemente a seconda delle situazioni; spesso abbiamo un processo differente, anche se non nelle linee fondamentali, per ciascun utente. * La contestualità. Il servizio viene fruito dal cliente nello stesso luogo e nello momento in cui è prodotto. Non câè possibilità di âsostituireâ il servizio difettoso (produzione âjust in timeâ). * La fondamentale importanza delle risorse umane. La qualità di un servizio è in genere strettamente dipendente dalla professionalità di chi lo eroga. Il funzionamento di ogni processo è condizionato da un insieme di variabili (personale, mezzi, condizioni ambientali,â), ciascuna delle quali è soggetta ad una variabilità non controllabile. Il controllo del processo affronta il problema di limitare tale variabilità entro limiti definiti, in modo che anche la variabilità dei risultati ricada entro limiti prevedibili. Esso inoltre si pone lo scopo di intervenire a correggere le cause di variabilità quando il processo tende ad uscire dai limiti prefissati. In particolare nel caso di processi intrafunzionali una variabile, in genere trascurata, che assume grande rilevanza è quella relativa alla âintegrazione organizzativaâ, ovvero quanto e come le persone coinvolte nel processo comunicano tra loro e lavorano in modo coordinato. Infatti molto spesso si formano âbarriere organizzativeâ che impediscono il fluire delle informazioni necessarie e portano a sprechi di risorse e tempo dovuti alla mancanza di chiarezza sulle necessità delle altre persone coinvolte nel processo. 2. GRUPPI DI LAVORO Torna su Un gruppo di lavoro è costituito da un insieme di individui che interagiscono tra loro con una certa regolarità, nella consapevolezza di dipendere lâuno dallâaltro e di condividere gli stessi obiettivi e gli stessi compiti. Ognuno svolge un ruolo specifico e riconosciuto, sotto la guida di un leader, basandosi sulla circolarità della comunicazione, preservando il benessere dei singoli (clima) e mirando parallelamente allo sviluppo dei singoli componenti e del gruppo stesso. Perché un gruppo di lavoro possa evolversi e maturare nel tempo e per permettere una maggiore collaborazione tra i suoi membri ed una loro partecipazione più attiva, è necessario che si passi dalla semplice interazione ad una vera e propria integrazione, affinchè i partecipanti al gruppo possano condividere bisogni ed esigenze. La realizzazione concreta della collaborazione all'interno del gruppo, è poi facilitata dal meccanismo di negoziazione, che permette il confronto e il passaggio dal punto di vista dei singoli individui ad un punto di vista comune e condiviso per realizzare al meglio gli obiettivi previsti. Gli elementi chiave che concorrono nella costruzione e nellâevoluzione di un efficace gruppo di lavoro: * Obiettivo * Metodo * Ruolo * Leadership * Comunicazione * Clima * Sviluppo 2.1. Obiettivo Torna su Nessun gruppo di lavoro può essere efficace se l'obiettivo che deve raggiungere non è chiaro e ampiamente condiviso dai suoi membri. L'obiettivo di un gruppo di lavoro efficace deve essere definito in termini di risultato, costruito su dati osservabili e risorse disponibili, espresso in termini chiari, chiarito e articolato in compiti, e infine valutabile. Un obiettivo chiaro e ben esplicitato contribuisce a consolidare la coesione e il senso di appartenenza al gruppo da parte dei suoi componenti e contemporaneamente contribuisce a definire in maniera chiara il rapporto con l'organizzazione, quindi il clima interno. 2.2. Metodo Il metodo assume per il gruppo una duplice accezione: da una parte stabilisce i principi, i criteri e le norme che orientano l'attività del gruppo, dall'altra richiama le modalità di organizzazione e strutturazione efficace dell'attività stessa. Un buon metodo di lavoro da sicurezza al gruppo e permette un miglior utilizzo nell'uso e nella gestione delle risorse disponibili. 2.3. Ruolo Il ruolo rappresenta la parte assegnata a ciascun membro del gruppo in funzione del riconoscimento delle sue competenze e capacità; esso racchiude poi anche l'insieme dei comportamenti che ci si attende da chi occupa una certa posizione all'interno del gruppo stesso. Fondamentale per un efficace sistema di ruoli è la qualità della comunicazione interna al gruppo stesso perché un suo corretto funzionamento permette che si realizzi corrispondenza tra attese e richieste dei singoli e prestazioni e comportamenti del gruppo. 2.4. Leadership Torna su La leadership è la variabile di snodo tra le variabili di tipo strutturale, quali obiettivo, metodo e ruoli, e variabili di tipo processuale, quali clima, comunicazione e sviluppo. Il leader si definisce in primo luogo come un professionista di relazioni, anche se non esiste "il buon leader" per antonomasia, ma piuttosto si dovrebbero definire delle funzioni di leadership efficacemente svolte e ruoli di leader ben negoziati e definiti. E' inoltre importante che la funzione di leadership sia quanto più possibile circolare e diffusa a seconda degli obiettivi e dei compiti del gruppo nelle diverse occasioni. Questo significa che esisterà un leader istituzionale, che è quello individuato dall'organizzazione e che avrà la responsabilità e l'autorità del ruolo formalmente affidatogli, ma che proprio grazie ad essi, questo leader avrà la facoltà di scegliere i leader situazionali di volta in volta più idonei al perseguimento degli obiettivi del gruppo stesso. Dunque egli avrà il compito di individuare, sulla base della conoscenza delle competenze degli altri membri del gruppo, quelle persone che di volta saranno più idonei ad affiancarlo e a cui potranno essere delegati compiti e funzioni necessari per il buon funzionamento del gruppo stesso. 2.5. Comunicazione La comunicazione è il processo chiave che permette il funzionamento del lavoro di gruppo poiché permette lo scambio di informazioni finalizzato al raggiungimento dei risultati. Tuttavia essa orienta ed è a sua volta orientata dal sistema di relazioni e ruoli presenti nel gruppo stesso. Essa presuppone tre livelli: - uno interattivo, che va a impattare sulla struttura relazionale del gruppo; - uno informativo, che è relativo allo scambio e all'elaborazione di materiali e conoscenze inerenti il lavoro; - uno trasformativo, che concerne gli scambi che producono il cambiamento. Il processo comunicativo diventa anche il luogo di verifica del linguaggio del gruppo e la definizione del codice. 2.6. Clima Torna su Il clima consiste nell'insieme degli elementi, delle opinioni, delle percezioni dei singoli membri rispetto alla qualità dell'ambiente del gruppo e della sua atmosfera. Una buona percezione del clima si attua quando c'è un giusto sostegno e calore nel gruppo, i ruoli dei singoli sono riconosciuti e valorizzati, la comunicazione è aperta, chiara e fornisce feedback accettabili sui comportamenti delle persone e sui risultati conseguiti dal gruppo. Una leadership partecipativa e gli obiettivi opportunamente calibrati alle capacità del gruppo sono tra i fattori che maggiormente influenzano il clima. 2.7. Sviluppo Questa variabile identifica la costruzione del sistema di competenze del gruppo di lavoro e parallelamente la crescita del sistema delle competenze individuali. I due processi dovrebbero portare da una parte allo sviluppo del singolo all'interno del gruppo e dall'altra alla creazione all'interno del gruppo di un sapere condiviso e diffuso e alla capacità di lavorare in modo efficace. MODULO SPECIALISTICO AMMINISTRATIVO AMMINISTRAZIONE E CONTABILITA'. IL SISTEMA DEI CONTROLLI INDICE 2. IL SISTEMA DEI CONTROLLI. Torna su Le riforme normative avviate negli anni â90 hanno introdotto innovazioni nel sistema dei controlli di legittimità, esterni ed interni, preventivi e successivi, sistema che non sembrava più adeguato e rispondente alle esigenze del momento. Tali controlli di regolarità contabile e di legittimità e sempre sugli atti sono stati progressivamente sostituiti dai controlli riguardanti la gestione, aventi per oggetto non più singoli atti ma interi settori di attività, valutati sotto il profilo dellâefficienza, dellâefficacia e dellâeconomicità. I controlli interni, ed in particolare i controlli sui risultati, siano essi il controllo strategico, il controllo di gestione o la valutazione dei dirigenti, non possono sostituire tutti i controlli di legittimità , ma, pur non sovrapponendosi al tradizionale sistema dei controlli, tendono ad occupare nuovi spazi. Questo progressivo processo di riequilibrio degli spazi tra le due diverse tipologie di controlli â" quello tradizionale e quello innovativo â" è stato avviato da tempoed è tuttora inatto nella Pubblica Amministrazione e trova gradualmente diffusione e condivisione attraverso la nuova metodologia della cultura del controllo. Lo sviluppo di un sistema integrato di pianificazione e controllo costituisce lo strumento necessario per fornire gli indicatori per orientare le azioni, monitorare i risultati e raggiungere gli obiettivi prefissati. La funzione di controllo e vigilanza,pertanto, spogliandosi delle finalità fiscali e repressive avute in passato, diviene lâindispensabile strumento di Governance a tutti i livelli. In tale contesto si intende attribuire al significato governance quel complesso di elementi utili a favorire ed implementare lâattuazione di sistemi di programmazione, pianificazione e controllo ovvero di quei sistemi che sono essenziali per passare dalle amministrazioniin cui si opera per adempimenti a quelle che sono diversamente impegnate sugli obiettivi e sui risultati. Ai fini della realizzazione del sistema dei controlli interni contribuiscono: * la nuova metodologia di formazione del bilancio preventivo, preceduta dalle attività di pianificazione, programmazione e individuazione dei budget; * il nuovo Regolamento di amministrazione e contabilità, coerente con i principi introdotti dal DPR 97/2003,in materia di contabilità e controllo di gestione; * la definizione delle funzioni del controllo di gestione e del relativo monitoraggio; * la valutazione della dirigenza prevista dal Decreto Legislativo n. 286 del 1999. 5 5 LA RIFORMA DEI CONTROLLI INTERNI Uno dei cardini delle riforme degli anni â90 è lâintroduzione della âcultura della valutazioneâ nel mondo delle amministrazioni pubbliche come necessario complemento della riforma del settore pubblico e più specificatamente della trasformazione dellâattività amministrativa in un servizio in favore della collettività. Per questo mutamento era necessario però che lâattività amministrativa fosse improntata a tecniche gestionali di sana amministrazione e assoggettata a valutazioni e misurazioni. La riforma dei sistemi di valutazione e controllo interno, introdotta con il dlgs 286 del 1999, ha permesso di: âïoperare una distinzione tra le varie attività di controllo interno, così da rispettare la linea di demarcazione tra attività di indirizzo politico, da un lato, e attività gestionale, dallâaltro; âïcompletare la riforma della dirigenza, che ha creato una forte interrelazione tra valutazione dellâazione amministrativa e responsabilità dirigenziale per i risultati; âïimpedire la commistione paralizzante tra controlli tradizionali, di tipo repressivo, finalizzati a garantire la regolarità e legittimità dellâagire amministrativo, e controlli di tipo valutativo, finalizzati ad ottimizzare la funzione amministrativa. Il decreto, pur mantenendosi coerente con i principi ispiratori del d. lgs. 29/93, ne ha superato i limiti ridefinendo con chiarezza lâarticolazione dei controlli interni sia con riguardo ai contenuti sia in merito ai profili organizzativi così da giungere ad una corretta ed univoca attribuzione della responsabilità esecutiva delle diverse forme di controllo a distinte unità organizzative. 5.1 LE TIPOLOGIE DI CONTROLLO Nel rispetto dellâautonomia loro riconosciuta, le norme del d. lgs. 286/99 richiedono alle PA di dotarsi delle soluzioni organizzative e degli strumenti indispensabili allâattuazione di quattro tipologie di controllo. 5.1.1 Il controllo di regolarità contabile ed amministrativa Il controllo di regolarità contabile ed amministrativa è volto a garantire la legittimità, la regolarità e la correttezza dellâazione amministrativa. , non modifica sostanzialmente la normativa invigore ma fa alcune importanti precisazioni sempre nellâottica di una maggiore attenzione alla cultura aziendale anche da parte della P.A. e cioè:-le verifiche di regolarità amministrativo-contabile debbono richiamarsi ai principi generali della revisione aziendale osservati dagli ordini professionali del settore e debbono essere effettuate dagliorgani âappositamente previstiâ dalle disposizioni vigenti. Inoltre, i membri dei collegi di revisione debbono in maggioranza essere iscritti allâalbo dei Revisori Contabili (richiesta di professionalità ecompetenze specifiche) -le verifiche preventive sono espressamente limitate ai casi previsti dalla legge ed in ogni caso non possono riguardare valutazioni di merito che spettano allâorgano di controllo strategico per gli attidi indirizzo e allâorgano di controllo di gestione per gli atti di gestione. 5.1.2 La valutazione dei dirigenti La valutazione dei dirigenti è strumentale allâeffettiva attuazione del principio di separazione tra politica ed amministrazione ed allâistituzionalizzazione delle logiche di direzione per obiettivi. Essaconsiste nella valutazioni delle prestazioni (risultati raggiunti) e delle capacità organizzative deidirigenti, vle a dire delle capacità di sviluppare, motivare, coordinare e valutare i propri collaboratori,51valutazioni, che sulla base di fattori predeterminati portano allâerogazione dellâindennità di risultato oalla revoca dellâincarico. 5.1.3 Il controllo di gestione Il controllo di gestione è finalizzato allâadozione di modelli di programmazione e controllo orientati alla conoscenza, per il miglioramento, dei profili di efficienza, efficacia ed economicità dellâazione amministrativa. Affinché un sistema di programmazione e controllo possa concretamenteporsi a supporto dei processi decisionali, ciascuna amministrazione è chiamata a: -determinare e comunicare in modo chiaro e ben definito le priorità strategiche cui orientare lâazione dellâapparato amministrativo;-definire un sistema di obiettivi attuativi degli indirizzi strategici;-rendere ciascun obiettivo misurabile attraverso lâindividuazione di un set di indicatori utili averificarne, in momenti diversi della gestione, il progressivo raggiungimento anche al fine di una loromodifica. 5.1.4 La valutazione e controllo strategico La valutazione e controllo strategico costituiscono lâelemento di maggiore novità e criticità. Il fine ultimo è quello di affermare la necessità che le logiche di direzione per obiettivi si realizzino nonsoltanto a livello gestionaleâ"operativo ma anche a livello strategico orientando la definizione delle politiche pubbliche al conseguimento di indirizzi definiti in forme e modalità idonee a consentire il monitoraggio continuo del loro efficace perseguimento. Le disposizioni che introducono il controllo strategico completano lâintroduzione di modelli di pianificazione che hanno nella direttiva ministeriale la loro fase di avvio. Uno dei requisiti basilari per ilcorretto funzionamento di un sistema di controllo direzionale è lâallineamento degli obiettivi di naturaoperativa con gli indirizzi strategici dellâamministrazione. Maggiore è la capacità del vertice ditrasmettere in forme chiare e ben definite le direttrici generali di intervento, più agevole è lo sviluppo diobiettivi e progetti coerenti con i traguardi strategici. In questo contesto la direttiva del Ministro non è soltanto il momento di raccordo tra le attribuzioni degli organi politici e dei dirigenti, ma incide anche sui rapporti tra Parlamento e Governo. Il Parlamento, infatti, attraverso le direttive dei ministri viene a conoscenza degli obiettivi dellâazioneamministrativa in chiave gestionale con lâindicazione dei soggetti responsabili del raggiungimento deirisultati attesi. La valutazione ed il controllo strategico, quindi, chiude il cerchio di tutti i controlli nonsolo sullâattività amministrativa ma sulla stessa attività di direzione politica da parte del Parlamento,costituendo pertanto un importante strumento di trasparenza e di controllo a garanzia del cittadino. Inquesta ottica devono essere considerate le linee guida per la redazione della direttiva annuale sullâazioneamministrativa emanate nel dicembre 2000 dal Presidente del Consiglio, che sottolineano lâimportanzadei contenuti delle direttive dei Ministri, soprattutto verso lâesterno, in quanto queste consentono allâopinione pubblica di comprendere con precisione gli obiettivi ed i risultati attesi dellâazione amministrativa, in un contesto che vede la separazione tra politica ed amministrazione e che, contestualmente, vede rafforzata lâautonomia e la responsabilità della dirigenza. 5.1.5 Il comitato tecnico scientifico per la valutazione ed il controllo strategico Secondo quanto previsto allâarticolo 7, comma 2, del d. lgs. n.286/99, è stato istituito il Comitato tecnico scientifico per la valutazione ed il controllo strategico con il fine di promuovere,sostenere e coordinare, in questa fase di prima attuazione, la più efficace introduzione di strumenti perlâanalisi e il controllo degli obiettivi strategici delle amministrazioni centrali. 52 5.2 LA DIFFUSIONE DELLE BEST PRACTICES Lâimpostazione data al d. lgs. 286 /99, pertanto, enfatizza ed avvalora il carattere sistemico dei controlli interni tanto nella fase della progettazione quanto in quella della concreta implementazione. Tali sistemi si qualificano come strutture dinamiche pluridimensionali che hanno nella loro dimensione organizzativa e culturale i fattori critici dai quali dipende lâefficacia e la funzionalità concreta del complesso. In questi termini, lâabbandono di modelli di amministrazione burocratica e il passaggio verso logiche manageriali si pone come condizione necessaria per lâefficace attuazione della riforma dei controlli la cui concreta realizzazione presuppone, dâaltra parte, un progressivo cambiamento della cultura e della professionalità di dirigenti e funzionari pubblici. A sostegno di un così profondo processo di rinnovamento che, come detto, ha unâessenziale valenza culturale ancorché tecnica, il Dipartimento ha avviato nel marzo 2000, cioè pochi mesi dopo lâemanazione del d.lgs. 286/99, un progetto finalizzato volto allâindividuazione delle migliori esperienze di controllo di gestione. Il fine ultimo del progetto è supportare le amministrazioni i cui sistemi di programmazione e controllo sono in fase di recente o prossima implementazione. Per conseguire tale scopo si favorisce e la diffusione e lo scambio delle migliori esperienze di controllo di gestione, favorendo la âvisibilitàâ di modelli di controllo direzionale già sperimentati con esiti positivi nelle PA centrali e locali. Il progetto è âlimitatoâ ad una delle modalità attraverso le quali il controllo interno si esplica, appunto il controllo di gestione; tuttavia, la sua realizzazione contribuisce validamente alla progettazione dellâinsieme dei controlli posto che lâesercizio del controllo di gestione deve essere realizzato in modo integrato tanto con il controllo strategico che con la valutazione dei dirigenti. * Con il nuovo âRegolamento di amministrazione e contabilitàâ â" approvato nel mese di marzo 2005 â" viene introdotto nellâINPDAP un sistema di contabilità analitica per centri di costo, per consentire una quantificazione economica dei servizi prodotti ed avviare una razionale e contestuale riduzione dei costi. Il nuovo sistema contabile si basa, inoltre, sul confronto sistematico tra gli obiettivi prefissati e i risultati conseguiti. Tale costante raffronto permette di verificare,contestualmente al verificarsi degli eventi, la corrispondenza tra lâandamento della gestione ele previsioni, valutare gli eventuali scostamenti ed apportare i correttivi necessari. Il tutto si sostanzia in un ciclo di programmazione e controllo che si articola in tre momenti fondamentali: * la programmazione (in cui si definiscono gli obiettivi e si programmano le risorse, le azioni, i tempi necessari); * la gestione (le attività finalizzate al raggiungimento degli obiettivi); * il controllo (la verifica del conseguimento degli obiettivi prefissati, in relazione alle risorse disponibili, per la rilevazione degli eventuali scostamenti e lâindividuazione dei necessari correttivi). La programmazione costituisce il primo passo logico di tale processo. In essa vengono fissati gli obiettivi, mediante lo svolgimento di attività. Gli obiettivi debbono essere rilevanti, misurabili, raggiungibili, flessibili, definiti in maniera chiara e realistica, limitati e raggruppati per ordine di importanza, coerenti tra loro ed economicamente sostenibili. Per la effettuazione di tali attività è indispensabile utilizzare risorse, il cui impiego comporta il sostenimento di costi, in un arco temporale predefinito. Il controllo di gestione avrà maggiori ricadute positive quanto più in sede di programmazione saranno puntuali gli obiettivi che si intendono raggiungere e risultino effettivamente individuati i centri di responsabilità. La gestione costituisce tutto quel complesso di attività che tendono alla realizzazione degli obiettivi prefissati e che investe la capacità organizzativa della strutturanel suo insieme. Richiede competenza, abilità, professionalità, doti organizzative e manageriali. Assegna responsabilità e definisce le azioni da intraprendere perotteneremigliori risultati sia in termini quantitativi che qualitativi. Il controllo è finalizzato non solo alla verifica della rispondenza dei risultati raggiunti agli obiettivi e ai programmi prefissati ma anche al regolare raggiungimento degli obiettivi attraverso unâazione di supporto e correttiva. Uno degli strumenti del controllo è il budget. Il budget è lo strumento contabile che contiene i risultati economico-finanziari che la Pubblica Amministrazione intende raggiungere nel successivo esercizio, determina gli obiettivi da porre in relazione airisultati effettivi e riferisce tali obiettivi allâIstituto nel suo insieme (vertice) e alle Direzioni Centrali o Compartimentali. Il budget, in definitiva, rappresenta lo strumento di riferimento dei risultati e di valutazione della dirigenza. Il controllo di gestione costituisce la procedura diretta a verificare lo stato di attuazione degli obiettivi programmati e , attraverso lâanalisi delle risorse e della comparazione tra costi, quantità e qualità dei servizi offerti, la funzionalità dellâEnte, lâefficacia , lâefficienza e il livello di economicità nellâattività di realizzazione degli obiettivi. Oggetto del controllo di gestione è lâintera attività amministrativa e gestionale dellâAmministrazione. Il cambiamento culturale che si richiede alla Pubblica Amministrazione, alla dirigenza ed ai suoi funzionari, è quello di tendere ad una gestione che miri al contenimento dei costi e contestualmente, in conformità alla normativa, attraverso un costante monitoraggio degli obiettivi programmati , ne privilegi i risultati. Torna su Uso e abuso del potere organizzativo del datore di lavoro pubblico di Stefano Gennai* SOMMARIO: 1. Gli articoli 97 e 98 della Costituzione - 2. Atti organizzativi, determinazioni organizzative e misure per la gestione dei rapporti di lavoro - 3. Organizzazione e potere organizzativo: limiti di finalità, di coerenza e di compatibilità - 4. Principi di correttezza e buona fede quali limiti interni del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro - 5. Eccesso di potere e abuso del potere organizzativo: figure sintomatiche e mezzi di reazione â" . Conclusioni. 1. Gli articoli 97 e 98 della Costituzione. Il D. Lgs. 165/2001 si apre (art.1) con una dichiarazione di ârispetto dellâarticolo 97, comma 1, della Costituzioneâ, che vorrebbe i pubblici uffici organizzati âin modo che siano assicurati il buon andamento e lâimparzialità dellâamministrazioneâ. Lâart.98, comma 1, della Costituzione, dal canto suo, vorrebbe pubblici impiegati âal servizio esclusivo della nazioneâ, indi dellâEnte (non del politico di turno), chiamati sì ad attuare lâindirizzo e le direttive politiche dettate dagli organi competenti nelle forme previste dallâordinamento, ma garantendo al contempo la correttezza dellâazione amministrativa. Fino a quando il âpartito unico delle mani libere nella pubblica amministrazioneâ non sarà riuscito a togliere di mezzo gli artt.97 e 98 Cost., con essi si dovrà fare i conti per lâinterpretazione (costituzionalmente orientata) e per la conseguente (e coerente) applicazione delle norme, ivi comprese quelle contenute nel D. Lgs. 165/2001 e nel D. Lgs. 267/2000, testo unico delle leggi sullâordinamento degli Enti Locali (1). (1) Ai sensi dellâart.88 T.U. Enti Locali: âAll'ordinamento degli uffici e del personale degli enti locali, ivi compresi i dirigenti ed i segretari comunali e provinciali, si applicano le disposizioni del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, e le altre disposizioni di legge in materia di organizzazione e lavoro nelle pubbliche amministrazioni nonché quelle contenute nel presente testo unicoâ. Lâart.111 T.U. Enti Locali, sotto la rubrica âAdeguamento della disciplina della dirigenzaâ, statuisce che âGli enti locali, tenendo conto delle proprie peculiarità, nell'esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, adeguano lo statuto ed il regolamento ai principi del presente capo e del capo II del decreto legislativo del 3 febbraio 1993, n.29, e successive modificazioni ed integrazioniâ. Gli articoli 97 e 98 della Costituzione costituiscono punto di riferimento anche per valutare la correttezza (non solo degli atti organizzativi, ma anche) delle determinazioni organizzative (e delle misure per la gestione dei rapporti di lavoro) adottate dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro. Lâopinione contraria non può essere condivisa perché innanzitutto non tiene conto del fatto che è la stessa legge, come vedremo, a richiedere che le 2 determinazioni organizzative (e le misure per la gestione dei rapporti di lavoro) siano finalizzate ad attuare i principi di buona amministrazione e ad assicurare la rispondenza al pubblico interesse dellâazione amministrativa. E poi perché è sufficiente sfogliare un qualsiasi repertorio di giurisprudenza per vedere come nellâambito dei rapporti di lavoro privato gli istituti vengano riguardati anche alla luce di quanto prescrive lâart.41 della Costituzione, ai sensi del quale lâiniziativa economica privata è sì libera, ma ânon può svolgersi (â) in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umanaâ. Orbene, mentre per i rapporti di lavoro privati le linee guida sono indicate dallâart.41 Cost., per i rapporti di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione a dettare i principi informatori sono proprio gli artt. 97 e 98 della Costituzione, i quali, oltretutto, al concetto di libertà dei fini, propria dellâiniziativa economica privata, sostituiscono quello dei vincoli allâimparzialità, al buon andamento e al perseguimento dellâinteresse pubblico. 2. Atti organizzativi, determinazioni organizzative e misure per la gestione dei rapporti di lavoro. Nel settore pubblico contrattualizzato i rapporti di lavoro sono disciplinati dalle disposizioni del Capo I, Titolo II, del Libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nellâimpresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel D. Lgs. 165/2001 (art.2, comma 2), tra le quali si possono in questa sede segnalare quelle dettate in materia di mansioni (v., rispettivamente, lâart.2103 c.c. e lâart.52 D. Lgs. 165/2001). La legge 20/5/1970, n°300, e successive modificazioni e integrazioni (c.d. statuto dei lavoratori) si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti (art.51, comma 2, D. Lgs. 165/2001). I rapporti di lavoro sono regolati contrattualmente e le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi (artt.2, comma 3, e 45, comma 2, D. Lgs. 165/2001). Disciplinati da norme di diritto pubblico rimangono gli aspetti relativi alla c.d. macro-organizzazione: le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; determinano le dotazioni organiche complessive (art.2, comma 1, D. Lgs. 165/2001). Ai sensi dellâart.89 D. Lgs. 267/2000, gli Enti Locali disciplinano, con propri regolamenti, in conformità allo statuto, l'ordinamento generale degli uffici e dei servizi, in base a criteri di autonomia, funzionalità ed economicità di gestione e secondo principi di professionalità e responsabilità. La potestà regolamentare degli Enti Locali si esercita, tenendo conto di quanto demandato alla contrattazione 3 si esercita, tenendo conto di quanto demandato alla contrattazione collettiva nazionale, nelle seguenti materie: a) responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nell'espletamento delle procedure amministrative; b) organi, uffici, modi di conferimento della titolarità dei medesimi; c) principi fondamentali di organizzazione degli uffici; d) procedimenti di selezione per l'accesso al lavoro e di avviamento al lavoro; e) ruoli, dotazioni organiche e loro consistenza complessiva; f) garanzia della libertà di insegnamento ed autonomia professionale nello svolgimento dell'attività didattica, scientifica e di ricerca; g) disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra impiego nelle pubbliche amministrazioni ed altre attività e casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici. I profili di c.d. micro-organizzazione e la concreta gestione delle risorse umane, invece, risultano attratti dal diritto privato: le determinazioni organizzative e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro, sono assunte, nellâambito delle legge e degli atti organizzativi di cui allâart.2, comma 1, D. Lgs. 165/2001, dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro (art.5, comma 2, D. Lgs. 165/2001). Così anche lâart.89, comma 6, T.U. Enti Locali: âNell'ambito delle leggi, nonché dei regolamenti di cui al comma 1, le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dai soggetti preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoroâ. (2). (2) Si deve qui ricordare che ai sensi dellâart.107 T.U. Enti Locali âSpetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti. Questi si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controlloâ. Ancora: âSpettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa lâadozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi che impegnano lâamministrazione verso lâesternoâ. Il comma 6 precisa che âI dirigenti sono direttamente responsabili, in via esclusiva, in relazione agli obiettivi dellâEnte, della correttezza amministrativa, della efficienza e dei risultati della gestioneâ. In questo senso dispone in via generale anche lâart.4 del D. Lgs. 165/2001: âGli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politicoamministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartitiâ (comma 1); agli organi di governo spetta in particolare âla individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-finanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generaleâ (comma 1, lett. c). Spetta, invece, ai dirigenti l'adozione degli âatti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultatiâ (comma 2). âLe amministrazioni pubbliche i cui organi di vertice non siano direttamente o indirettamente espressione di rappresentanza politica, adeguano i propri ordinamenti al principio della distinzione tra indirizzo e controllo, da un lato, e attuazione e gestione dall'altroâ (comma 4). Le attribuzioni dei dirigenti possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative (comma 3 e art.89, comma 4, D. Lgs. 267/2000). Per gli Enti con popolazione inferiore a cinquemila abitanti, invece, âfatta salva lâipotesi di cui allâarticolo 97, comma 4, lettera d), del testo unico delle leggi sullâordinamento degli Enti Locali, approvato con decreto legislativo 18/8/2000, n°267, anche al fine di operare un contenimento della spesa, possono adottare disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto dallâarticolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 3/2/1993, n°29, e successive modificazioni, e allâarticolo 107 del predetto testo unico delle leggi sullâordinamento degli Enti Locali, attribuendo ai componenti dellâorgano esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale. Il contenimento della spesa deve essere documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancioâ (art.53, comma 23, legge 23/12/2000, n°388, come modificato dallâart.29, comma 4, legge 28/12/2001, n°448). 3. Organizzazione e potere organizzativo: limiti di finalità, di coerenza e di compatibilità. Lâart.1 del D. Lgs. 165/2001 si apre, come abbiamo visto, con la dichiarazione che âLe disposizioni del presente decreto disciplinano l'organizzazione degli uffici e i 4 rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (â) nel rispetto dell'articolo 97, comma primo, della Costituzioneâ. Il ârispetto dellâarticolo 97, comma 1, della Costituzioneâ, ovviamente, non è sufficiente dichiararlo, ma va verificato con riferimento a ciascun istituto. Il richiamo al ârispettoâ dellâart.97 Cost. impone in ogni caso di procedere con interpretazioni (del dettato normativo) che siano, come suol dirsi, âcostituzionalmente orientateâ. Le amministrazioni pubbliche, nellâadottare atti organizzativi, devono quindi (e innanzitutto) conformarsi ai principi di cui allâart.97 Cost. e devono ispirarsi ai seguenti criteri, dettati dallâart.2, comma 1, D. Lgs. 165/2001: a) funzionalità rispetto ai compiti e ai programmi di attività, nel perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità; b) ampia flessibilità, garantendo adeguati margini alle determinazioni operative e gestionali (determinazioni organizzative e misure per la gestione dei rapporti di lavoro da assumersi ai sensi dell'articolo 5, comma 2, dello stesso D. Lgs. 165/2001 dagli organi preposti alla gestione); c) collegamento delle attività degli uffici, adeguandosi al dovere di comunicazione interna ed esterna, ed interconnessione mediante sistemi informatici e statistici pubblici; d) garanzia dell'imparzialità e della trasparenza dell'azione amministrativa, anche attraverso l'istituzione di apposite strutture per l'informazione ai cittadini e attribuzione ad un unico ufficio, per ciascun procedimento, della responsabilità complessiva dello stesso; e) armonizzazione degli orari di servizio e di apertura degli uffici con le esigenze dell'utenza e con gli orari delle amministrazioni pubbliche dei Paesi dell'Unione europea. Il comma 1-bis, introdotto dallâart.176, comma 2, D. Lgs. 196/2003, dal canto suo, prescrive: âI criteri di organizzazione di cui al presente articolo sono attuati nel rispetto della disciplina in materia di trattamento dei dati personaliâ. Allora è chiaro che gli atti organizzativi devono comunque fare i conti con lâart.97 Cost. e con i criteri sopra riportati. Ai sensi dellâart.5, comma 1, D. Lgs. 165/2001, poi, nellâambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui sopra, âLe amministrazioni pubbliche assumono ogni determinazione organizzativa al fine di assicurare l'attuazione dei principi di cui all'articolo 2, comma 1, e la rispondenza al pubblico interesse dell'azione amministrativaâ, mentre compete agli organismi di controllo interno la verifica periodica sulla rispondenza delle determinazioni organizzative ai suddetti principi, âanche al fine di proporre l'adozione di eventuali interventi correttivi e di fornire elementi per l'adozione delle misure previste nei confronti dei responsabili della gestioneâ (art.5, comma 3). (3). (3) Ai sensi dellâart.147, comma 1, T.U. Enti Locali, âGli enti locali, nell'ambito della loro autonomia normativa ed organizzativa, individuano strumenti e metodologie adeguati a: a) garantire attraverso il controllo di regolarità amministrativa e contabile, la legittimità, regolarità e correttezza dell'azione amministrativa; b) verificare, attraverso il controllo di gestione, l'efficacia, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa, al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati; c) valutare le prestazioni del personale con qualifica dirigenziale; d) valutare l'adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, programmi ed altri strumenti di determinazione dell'indirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefinitiâ. 5 âAlla valutazione dei dirigenti degli Enti Locali â" recita lâart.107, comma 7, dello stesso T.U. â" si applicano i principi contenuti nellâarticolo 5, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.286, secondo le modalità previste dallâarticolo 147 del presente testo unicoâ. I commi 1 e 2 del D. Lgs. 286/1999 così dispongono: â1. Le pubbliche amministrazioni, sulla base anche dei risultati del controllo di gestione, valutano, in coerenza a quanto stabilito al riguardo dai contratti collettivi nazionali di lavoro, le prestazioni dei propri dirigenti, nonché i comportamenti relativi allo sviluppo delle risorse professionali, umane e organizzative ad essi assegnate (competenze organizzative). 2. La valutazione delle prestazioni e delle competenze organizzative dei dirigenti tiene particolarmente conto dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione. La valutazione ha periodicità annuale. Il procedimento per la valutazione è ispirato ai principi della diretta conoscenza dell'attività del valutato da parte dell'organo proponente o valutatore di prima istanza, della approvazione o verifica della valutazione da parte dell'organo competente o valutatore di seconda istanza, della partecipazione al procedimento del valutatoâ. Le determinazioni organizzative, quindi: 1) sono assunte nellâambito delle leggi e degli atti organizzativi; 2) al fine di assicurare l'attuazione dei principi di cui all'articolo 2, comma 1, D. Lgs. 165/2001 (e, per implicito, quelli di cui allâart.97 Cost.); 3) al fine di assicurare la rispondenza al pubblico interesse dell'azione amministrativa. Ai sensi dellâart.6 D. Lgs. 165/2001, l'organizzazione e la disciplina degli uffici, nonché la consistenza e la variazione delle dotazioni organiche sono determinate in funzione delle finalità indicate all'articolo 1, comma 1, dello stesso decreto legislativo (accrescere l'efficienza delle amministrazioni in relazione a quella dei corrispondenti uffici e servizi dei Paesi dell'Unione europea, anche mediante il coordinato sviluppo di sistemi informativi pubblici; razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica; realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni, curando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti, garantendo pari opportunità alle lavoratrici ed ai lavoratori e applicando condizioni uniformi rispetto a quello del lavoro privato), previa verifica degli effettivi fabbisogni e previa consultazione delle organizzazioni sindacali (art.6, comma 1, D. Lgs. 165/2001). Ai sensi dellâart.7 D. Lgs. 165/2001, infine, le amministrazioni pubbliche: garantiscono parità e pari opportunità tra uomini e donne per l'accesso al lavoro ed il trattamento sul lavoro; garantiscono la libertà di insegnamento e l'autonomia professionale nello svolgimento dell'attività didattica, scientifica e di ricerca; individuano criteri certi di priorità nell'impiego flessibile del personale, purché compatibile con l'organizzazione degli uffici e del lavoro, a favore dei dipendenti in situazioni di svantaggio personale, sociale e familiare e dei dipendenti impegnati in attività di volontariato; curano la formazione e l'aggiornamento del personale, ivi compreso quello con qualifiche dirigenziali, garantendo altresì l'adeguamento dei programmi formativi, al fine di contribuire allo sviluppo della cultura di genere della pubblica amministrazione; non possono erogare trattamenti economici accessori che non corrispondano alle prestazioni effettivamente rese. Mentre, come abbiamo già visto, le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi. Sono limiti generali al potere organizzativo (e direttivo) del datore di lavoro, tra gli altri, il divieto di atti discriminatori (v. art.15 L.300/1970), il divieto di indagini sulle opinioni, i divieto di atti diretti ad impedire lâesercizio dei diritti dei lavoratori 6 allâinterno dei luoghi di lavoro (a cominciare dallâart.1 L.300/1970 sulla libertà di opinione), gli obblighi di protezione della persona del lavoratore desumibili dallâart.2087 c.c. e dalla legislazione speciale. Sono limiti specifici quelli espressamente previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva per i singoli istituti del rapporto di lavoro: le âcomprovate ragioni tecniche, organizzative e produttiveâ per i trasferimenti (art.2103 c.c.), lâequivalenza delle mansioni (a tutela della professionalità del lavoratore) per lâesercizio dello ius variandi (artt.2103 c.c., 52 D. Lgs. 165/2001); la durata massima, giornaliera e settimanale, della prestazione lavorativa; il lavoro straordinario e notturno, etc.. 4. Principi di correttezza e buona fede quali limiti interni del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro. Abbiamo visto che nell'ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all'articolo 2, comma 1, D. Lgs. 165/2001, le determinazioni per l'organizzazione degli uffici (determinazioni organizzative) e le misure inerenti la gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro. Con finalità non libere â" si è detto -, ma dirette ad assicurare l'attuazione dei principi di cui allo stesso articolo 2, comma 1 (e, per implicito, quelli di cui allâart.97 Cost.) e ad assicurare la rispondenza al pubblico interesse dell'azione amministrativa. Il potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro pubblico è quindi, in primo luogo, vincolato al rispetto (non solo dellâart.97 Cost., delle leggi sullâamministrazione e di quelle sui rapporti di lavoro subordinato nellâimpresa; non solo degli atti organizzativi di cui allâart.2, comma 1, D. Lgs. 165/2001; non solo delle prescrizioni contenute nei contratti collettivi, ma anche) delle specifiche finalità sopra ricordate. Sono limiti generali al potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro, si è detto, tra gli altri, il divieto di atti discriminatori, il divieto di indagini sulle opinioni, i divieto di atti diretti ad impedire lâesercizio dei diritti dei lavoratori allâinterno dei luoghi di lavoro, gli obblighi di protezione della persona del lavoratore desumibili dallâart.2087 c.c. e dalla legislazione speciale. Sono limiti specifici, si è ugualmente detto, quelli espressamente previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva per i singoli istituti del rapporto di lavoro. Sono âlimiti interniâ quelli desumibili dai principi di correttezza e buona fede di cui agli artt.1175 e 1375 c.c.; clausole generali, queste, che si rivelano utili âsoprattutto in relazione a certe zone franche di esercizio del potere direttivo, tali perché carenti di una disciplina legale (o contrattuale) espressa. Buona fede e correttezza, allora, possono essere invocate come un limite interno allâesercizio dei poteri del datore di lavoro, ovvero come criteri atti a verificare che quei poteri non siano esercitati in 7 maniera arbitraria o irrazionale, bensì in coerenza con la funzione per la quale essi sono riconosciuti dallâordinamentoâ (5). (5) Così M. Roccella â" Manuale di diritto del lavoro â" Torino 2005, Pag.274. V., altresì, sui diversi aspetti, C. Cass., Sez. Lav., 22/3/2005, n°6117; C. Cass., Sez. Lav., 9/3/2005, n°5140; C. Cass., Sez. Lav., 13/1/2005, n°488; C. Cass., Sez. Lav., 23/12/2004, n°23925; C. Cass., Sez. Lav., 4/3/2004, n°4462. V. anche C. Cass., S.U., 11/2/2003, n°2065. E lâindagine sulla coerenza tra esercizio del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro pubblico e funzione per la quale tale potere è riconosciuto non può non tener conto del fatto che, nel nostro campo, ai limiti specifici propri di ciascun istituto (ad es. le âcomprovate ragioni tecniche, organizzative e produttiveâ per il trasferimento) si accompagnano quelli che discendono dalla non libertà dei fini in concreto perseguibili, ovvero dalla necessità (legislativamente imposta) che determinazioni organizzative e misure per la gestione dei rapporti di lavoro siano in ogni caso dirette ad assicurare l'attuazione dei principi di cui all'articolo 2, comma 1, D. Lgs. 165/2001 (e, per implicito, quelli di cui allâart.97 Cost.) e ad assicurare la rispondenza al pubblico interesse dell'azione amministrativa. 5. Eccesso di potere e abuso del potere organizzativo: figure sintomatiche e mezzi di reazione. Abbiamo visto che occorre innanzitutto distinguere tra atti organizzativi di cui allâart.2, comma 1, D. Lgs. 165/2001 (retti dal diritto pubblico) e determinazioni organizzative (e misure per la gestione dei rapporti di lavoro) di cui allâart.5 D. Lgs. 165/2001 (adottate dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro), gli uni (atti organizzativi) e le altre (determinazioni e misure) adottabili entro i limiti di finalità, coerenza e compatibilità sopra riassunti, che ne condizionano la legittimità. Se il potere amministrativo di adottare atti organizzativi è conferito per il perseguimento dei principi di cui allâart.97 della Costituzione (espressamente richiamati dallâart.1 D. Lgs. 165/2001) e per lâattuazione dei criteri dettati dallâart.2, comma 1, D. Lgs. 165/2001, è da escludersi che gli stessi, anziché a fini di oggettiva riorganizzazione secondo necessità, possano essere utilizzati per la mera âgestioneâ dei dirigenti e dei dipendenti. Per la âgestioneâ dei dirigenti e dei dipendenti, infatti, legge e contratti collettivi prevedono appositi istituti assistiti da garanzie procedimentali. Per la âgestioneâ dei dirigenti, in particolare, possono essere attivati i meccanismi diretti allâaffermazione della c.d. responsabilità dirigenziale di cui allâart.21 D. Lgs. 165/2001 e artt.107, comma 7, e 109 T.U. Enti Locali. Non risponde alle finalità indicate dallâart.97 Cost. (né ai criteri dettati dallâart.2, comma 1, D. Lgs. 165/2001) creare le c.d. âriserve indianeâ (Servizi o Uffici Studi ad hoc dove mandare il dirigente âscomodoâ e, con lâoccasione, anche qualche dipen- 8 dente) ovvero ricorrere al c.d. âazzoppamentoâ, togliendo a un dirigente pezzi di Servizio per affidarli ad altro dirigente sulla base non di un disegno riorganizzativo fondato â"come dovrebbe essere- su oggettive esigenze e su criteri di buona organizzazione (si nominano i dirigenti sulla base dellâassetto organizzativo, non il contrario), bensì in relazione alla maggior âfiduciaâ che sullâaltro dirigente viene riposta dal politico di turno. Non possono utilizzarsi atti organizzativi per attuare pratiche di mobbing o bossing che sono illecite di per sé. Il potere amministrativo di adottare atti organizzativi è conferito per le finalità di interesse pubblico sopra illustrate; utilizzarlo per âgestireâ dirigenti e dipendenti integra gli estremi dellâeccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, che ricorre, appunto, quando lâamministrazione persegue un fine diverso da quello per il quale quel determinato potere le è stato conferito. âIl vizio di eccesso di potere è il risvolto patologico della discrezionalità. Esso sussiste dunque quando la facoltà di scelta spettante allâamministrazione non è correttamente esercitata. (â) Lâeccesso di potere nasce dalla violazione di quelle prescrizioni che presiedono allo svolgimento della funzione â" alla quale va rapportata la discrezionalità - che non sono ravvisabili in via preventiva e astratta. Tali regole si sostanziano nel principio di logicità-congruità applicato al caso concreto e la loro violazione è evidenziata dal giudice amministrativo in occasione appunto del sindacato dellâeccesso di potere. Il giudizio di logicitàcongruità va effettuato tenendo conto dellâinteresse primario da perseguire, degli interessi secondari e della situazione di fattoâ. (6). (6) Così E. Casetta â" Manuale di diritto amministrativo â" Milano 2000, Pag.508; Idem: Compendio di diritto amministrativo â" Milano 2003, Pag.301. V. art.21-octies, comma 1, legge 7/8/1990, n°241 (e s.m.i.). Avverso atti organizzativi in tal modo illegittimi è possibile, ove direttamente lesivi di interessi legittimi, ricorrere al giudice amministrativo nel termine decadenziale di sessanta giorni. Lâatto organizzativo illegittimo è altresì censurabile, ma solo ai fini della sua disapplicazione e per la ricostruzione del fatto o del rapporto come se lâatto organizzativo non esistesse dal tribunale ordinario in funzione di giudice del lavoro (previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione). (7). (7) Ai sensi dellâarticolo 63 D. Lgs. 165/2001, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni del settore pubblico contrattualizzato (âincluse le controversie concernenti l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposteâ, le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni e le controversie, promosse da organizzazioni sindacali, dall'ARAN o dalle pubbliche amministrazioni, relative alle procedure di contrattazione collettiva). Il giudice ordinario, nelle controversie relative ai rapporti di lavoro, è competente âancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti. Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi. L'impugnazione davanti al giudice amministrativo dell'atto amministrativo rilevante nella controversia non è causa di sospensione del processoâ. Stabiliscono gli artt.4 e 5 legge 20/3/1865, n°2248 (Allegato E) che quando âla contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell'autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell'atto stesso in relazione all'oggetto dedotto in giudizio. L'atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso deciso. In questo, come in ogni altro caso, le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggiâ. âIl sistema configurato dal legislatore può fare ancora insorgere situazioni di doppia tutela, essendo ben possibile che vi sia la contemporanea instaurazione di due giudizi, uno innanzi al Giudice amministrativo avverso l'atto di macro organizzazione, l'altro per la tutela del diritto vantato nell'ambito del rapporto di lavoro, giudizi che avranno vita e corso autonomo stante l'espressa esclusione della pregiudizialità amministrativaâ (TAR Campania, Sez. V, 18/12/2003, n°15454. V. anche TAR Campania, Sez. V, 9 22/10/2003, n°13054). âGli atti amministrativi presupposto di atti paritetici adottati dalle amministrazioni pubbliche nellâambito del rapporto di lavoro sono sindacabili incidenter tantum dal giudice ordinario, ai fini della disapplicazione; essi, però, in quanto lesivi di interessi legittimi, rimangono impugnabili dinanzi al giudice amministrativo ad istanza di qualsivoglia interessato, ivi compresi i pubblici dipendentiâ (TAR Umbria, 8/3/1999, n°193). âIl potere di disapplicazione dell'atto amministrativo del giudice ordinario non resta escluso per effetto della inoppugnabilità del suddetto atto dinanzi al giudice amministrativo, atteso che l'istituto processuale dell'inoppugnabilità concerne la tutela degli interessi legittimi non dei diritti soggettiviâ (C. Cass., Sez. Lav., 18/8/2004, n°16175). Le determinazioni organizzative, sì come le misure per la gestione dei rapporti di lavoro, sono invece rette dal diritto privato, con i limiti (interni ed esterni) che, come già detto, vanno riguardati anche alla luce dellâart.97 Cost., il quale, tra lâaltro, non distingue fra micro e macro organizzazione, prescrivendo in ogni caso che i pubblici uffici siano âorganizzati in modo che siano garantiti il buon andamento e lâimparzialità dellâamministrazioneâ. Eâ da escludersi innanzitutto che possano utilizzarsi determinazioni organizzative per disporre, ad es., trasferimenti dettati non da âcomprovate ragioni tecniche, organizzative e produttiveâ, bensì da intento di ritorsione avverso un comportamento legittimo (e magari dovuto) del dipendente. Non possono utilizzarsi determinazioni organizzative per attuare pratiche di mobbing o bossing, illecite di per sé. La âgestioneâ dei dipendenti, infatti, come detto, si fa con le leggi e le norme contrattuali a ciò espressamente destinate, e con le garanzie procedimentali dalle stesse leggi e dagli stessi contratti stabilite. Non la si fa con le determinazioni organizzative di cui allâart.5 D. Lgs. 165/2001, perché queste devono essere adottate âal fine di assicurare l'attuazione dei principi di cui all'articolo 2, comma 1, e la rispondenza al pubblico interesse dell'azione amministrativaâ. Lo âstai zitto o ti spostoâ non è conforme ai principi di buona amministrazione ed una lettura di questo tipo delle norme sui trasferimenti (o, ad es., sulle mansioni) sarebbe costituzionalmente illegittima per contrasto con gli artt.2, 4, 21, 97 e 98 della Costituzione. In secondo luogo, le determinazioni organizzative (e le misure per la gestione dei rapporti di lavoro) âsono assunte nellâambito delle leggi e degli atti organizzativiâ. Esse, cioè, non solo devono assicurare lâattuazione dei principi di cui allâart.2, comma 1, D. Lgs. 165/2001 (e, per implicito, quelli di cui allâart.97 Cost.) e perseguire il fine di assicurare la rispondenza al pubblico interesse dellâazione amministrativa, ma devono altresì essere conformi (alle leggi e) agli atti organizzativi. Si può fare lâesempio di un caso registratosi in un Ente del centro Italia qualche anno fa: viene adottata una delibera (atto di organizzazione) con la quale si dichiara di voler costituire un Servizio Gestione Patrimoniale con lo scopo di âaccorpare in un'unica struttura competenze professionali diversificate che lavorino in maniera armonica e coordinata ad un piano di valorizzazione del patrimonio ispirato a principi di redditività dellâEnte, superando lâattuale organizzazione settorialeâ; Servizio che venne effettivamente costituito, ma lâ âaccorpamentoâ riguardò soltanto lâUfficio Economato e due dipendenti, un amministrativo e un tecnico, questâultimo, peraltro, successivamente assegnato allâUfficio Tecnico; Ufficio Tecnico che, al tempo stesso, con- 10 servava tutta la sua dotazione organica, compreso quella amministrativa, che anzi, in seguito, gli verrà ampliata con il potenziamento di un âufficio concessioniâ istituito nel suo ambito. A fronte di una (ineccepibile) scelta organizzativa operata dalla Giunta in regime pubblicistico a fini di riorganizzazione (e come tale manifestata allâesterno) la sua attuazione con lâatto di assegnazione del personale ha probabilmente violato i principi di organicità di cui alla stessa delibera di Giunta (âsuperare lâattuale organizzazione settorialeâ), di adeguatezza e di professionalità, al punto che taluno a quel tempo ebbe a scrivere che in questo caso âil personale, nella migliore delle ipotesi, è stato trasferito secondo casualitàâ. Avverso le determinazioni organizzative (e le misure per la gestione dei rapporti di lavoro) è possibile ricorrere entro il termine di prescrizione al Tribunale ordinario in funzione di giudice del lavoro. 6. Conclusioni. Il potere amministrativo di emanare atti organizzativi ex art.2, comma 1, D. Lgs. 165/2001 è dato a fini di effettiva âriorganizzazioneâ e per lâattuazione dei principi di buon andamento e imparzialità dellâamministrazione di cui allâart.97 Cost., come specificati dallâordinamento giuridico (art.1 legge 241/1990 e s.m., artt.1, comma 1 e 2, comma 1, 2^ parte, D. Lgs. 165/2001, etc.). Usare un atto organizzativo per premiare o punire dirigenti e dipendenti in luogo degli strumenti (e con le garanzie procedimentali) allâuopo previsti dalla legge e dai contratti collettivi integra gli estremi dellâeccesso di potere sotto il profilo dello sviamento; atto illegittimo, censurabile dal giudice amministrativo che venga adito per la tutela di interessi legittimi e censurabile ai soli fini della sua disapplicazione e ricostruzione del fatto o del rapporto come se lâatto organizzativo non esistesse, dal tribunale ordinario in funzione di giudice del lavoro, dovendo i tribunali applicare âgli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggiâ (art.5 legge 20/3/1865, n°2248, All. E; art.63 D. Lgs. 165/2001: v. §5, nota 7). Le determinazioni organizzative (e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro) sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro (art.5, comma 2, D. Lgs. 165/2001; art.89, comma 6, T.U. Enti Locali). Le stesse devono essere assunte âal fine di assicurare l'attuazione dei principi di cui all'articolo 2, comma 1, e la rispondenza al pubblico interesse dell'azione amministrativaâ nel rispetto delle leggi e degli atti organizzativi. Esse sono altresì soggette ai limiti generali (ad es. divieto di atti discriminatori), a quelli specifici (dettati per ciascun istituto dalla legge e dai contratti) e a quelli derivanti dal rispetto dei principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 del codice civile. | |
Da: maristela | 11/09/2009 16:48:08 |
molto interessante... mille grazie | |
Da: 1 | 28/03/2013 12:10:36 |
-1' | |
Da: -1'' | 28/03/2013 12:10:37 |
1 | |
Da: ohiohihoi | 28/03/2013 12:36:47 |
ma cosa?? | |
Da: MaryIII | 10/05/2013 11:00:54 |
che troia sta castana!!! | |