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scritti esame avvocato 2010: possibili sentenze/tracce
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Da: IAIO | 16/12/2010 10:49:28 |
CONFERMA TRACCIA DEL PENALE | |
Da: pakozzo | 16/12/2010 10:51:27 |
Allora questo può essere utile per svolgimento penale Autorità : Cassazione penale sez. II Data udienza: 04 marzo 2010 Numero: n. 18196 Classificazione RAPINA In genere Intestazione LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SIRENA Pietro Antoni - Presidente - Dott. GENTILE Domenico - Consigliere - Dott. PRESTIPINO Antonio - Consigliere - Dott. BRONZINI Giuseppe - Consigliere - Dott. MANNA Antonio - Consigliere - ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso proposto da: Avv.to Antoci Giorgio nell'interesse di D.G.M. nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame di Catania in data 12.10.2009; Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Dott. Bronzini Giuseppe. Letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, Dr. Enrico Delehaye il quale ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio. osserva: (Torna su ) Fatto SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ordinanza del 28.9.2009 il GIP di Catania applicava nei confronti di P.G. e di G.M. la misura cautelare della custodia in carcere ritenendo la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza circa i reati di tentata rapina e ricettazione. Alle ore 7,35 i due indagati venivano notati dai C. C. di Castel di Iudica stazionare nelle vicinanze di un motorino infangato lungo la via (OMISSIS) sulla quale insistono un gioielleria, una filiale del Banco di Sicilia e l'Ufficio delle Poste. I due giovani indossavano un berretto di lana senza visiera e l'altro un berretto con visiera. I due fornivano vaghe informazioni sulle ragioni della loro presenza in loco, il motorino risultava rubato e addosso al P. veniva trovata una pistola scacciacani priva di tappo rosso e due sacchetti di plastica per la spesa. Il Tribunale rigettava l'istanza di riesame ritenendo tali elementi costituissero gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di tentata rapina nei confronti di uno dei possibili obiettivi posti sulla via (OMISSIS) e in ordine al reato di ricettazione, posto che i due avevano una pistola scacciacani, berretti per mascherarsi il viso, due sacchetti ove riporre la refurtiva ed un motorino rubato per scappare e non avevano dato credibili spiegazioni per trovarsi sul luogo. Ricorre l'imputato che con il primo motivo allega che la misura cautelare era stata dal PM richiesta solo per la tentata rapina, ma non per il reato di ricettazione. Allega altresì che gli elementi indicati nell'ordinanza non potevano costituire gravi indizi di colpevolezza per il reato per cui si indagava. Con il terzo motivo si deduce che, vista l'ora del controllo, le ore 7,30 gli eventuali atti preparatori non erano ancora passati alla fase esecutiva. Si poteva trattare, al più, di atti meramente preparatori dalla direzione equivoca e comunque privi del requisito dell'idoneità . (Torna su ) Diritto MOTIVI DELLA DECISIONE Il primo motivo non può essere accolto; il Tribunale ha già spiegato come la richiesta del PM, pur parlando di "reato" contenga espliciti riferimenti ad entrambi i reati sicchè si deve considerare un mero refuso tale omissione, stante il tenore complessivo della richiesta. La richiesta del PM peraltro non è stata neppure prodotta. Fondati sono invece gli altri due motivi che vanno trattati congiuntamente: gli elementi indicati nell'ordinanza non possono, nel loro complesso, costituire gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di tentata rapina perchè sussiste una totale indeterminatezza circa l'obiettivo della supposta rapina. Quel che emerge è solo che nella strada ove i due indagati furono sorpresi esistevano in via totalmente astratta tre "obiettivi", ma non vi sono elementi di sorta per stabilire ove i due avessero intenzione di recarsi. L'ora in cui i due furono fermati, le 7,30 (ben prima che uno qualsiasi dei tre locali aprisse), aggiunge ulteriore indeterminatezza al quadro indiziario non potendo nessuno degli elementi raccolti considerarsi allo stato come diretto in modo non equivoco a commettere una rapina in un luogo che è rimasto non identificato, neppure in via ipotetica. La direzione teleologica della volontà dell'agente non risulta assolutamente ricostruibile alla luce degli elementi prima ricordati (cfr. Cass. n. 7702/2007). Si impone, invece, una nuova valutazione delle esigenze cautelari per quanto riguarda il residuo reato di ricettazione. Si deve quindi annullare l'ordinanza impugnata limitatamente al delitto di tentata rapina e con rinvio, limitatamente alla esigenze cautelari in ordine al delitto di ricettazione disponendo trasmettersi gli atti al Tribunale di Catania per nuovo esame sul punto. Si provveda a norma dell'art. 94 disp. att. c.p.p.. (Torna su ) P.Q.M. P.Q.M. Annulli, l'ordinanza impugnata limitatamente al delitto di tentata rapina e con rinvio, limitatamente alla esigenze cautelari in ordine al delitto di ricettazione, disponendo trasmettersi gli atti al Tribunale di Catania per nuovo esame sul punto. Si provveda a norma dell'art. 94 disp. att. c.p.p.. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 marzo 2010. Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2010 (Torna su ) Correlazioni Legislazione correlata: Codice Penale art. 56 Codice Penale art. 628 | |
Da: pakozzo | 16/12/2010 10:54:03 |
traccia amministrativo non confermata: Caio, proprietario di un appartamento sito in uno stabile nel comune di Gamma, presenta in data 30 ottobre 1986 domanda di rilascio di concessione edilizia in sanatoria in relazione all'avvenuto cambio di destinazione di uso, da lavatoio ad abitazione, dei locali posti al soprastante il IV piano del fabbricato, affermando di esserne comproprietario. Il comune di Gamma, con determinazione dirigenziale n° 10/2004, fondata sul presupposto della intervenuta formazione sulla domanda di condono, del silenzio-assenzo a norma dell'art. 35 della legge n° 47/85, rilasciava provvedimento di concessione in sanatoria. Con successiva determinazione dirigenziale n° 11/2004 irrogava altresì a Caio una sanzione pecuniaria di euro 516,00 per i lavori eseguiti comunque abusivamente nei locali sopra citati. I condomini del fabbricato in questione Tizio e Sempronio, lamentando la violazione del loro diritto di comproprietari del locale lavanderia, impugnavano i citati provvedimenti, notificando il ricorso a Caio quale contro interessato. Il candidato, assunte le vesti del legale di Caio, rediga l'atto ritenuto più idoneo alla tutela delle ragioni del proprio assistito, illustrando gli istituti e le problematiche (sottesi?) alla fattispecie in esame. | |
Da: pakozzo | 16/12/2010 10:58:53 |
ragazzi sembra che penale sia la più nfattibile!questo è quello che leggo in giro! | |
Da: anto | 16/12/2010 11:02:43 |
si è questa | |
Da: jenny | 16/12/2010 11:03:24 |
sono confermate le due traccie | |
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Da: cepy | 16/12/2010 11:04:11 |
mi confermate amministrativo? | |
Da: billy | 16/12/2010 11:09:55 |
come mai tutto tace? | |
Da: charly | 16/12/2010 11:13:56 |
ragazzi pubblicate qualcosa sull'atto di civile! | |
Da: pakozzo | 16/12/2010 11:23:32 |
alllora schema per penale PENALE Atto giudiziario in materia penale Alla Corte d'Appello di â�� Per il tramite della cancelleria del Tribunale di Beta Atto di appello Il sottoscritto avvocatoâ��.. del foro di â��., nella qualità di difensore di fiducia del Sig. Tizio, come da nomina in già agli atti del procedimento di primo grado, con il presente atto propone appello avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di â�� in dataâ�� e depositata in data â�� relativa al procedimento penale n. R.G.N.R. e n. â��RG, con il quale il sig. Tizio veniva condannato alla pena di â�� per il reato di tentata rapina ai danni della banca alfa. Il presente atto di appello è proposto sui punti, per i motivi e per le richieste di seguito indicate. | |
Da: pakozzo | 16/12/2010 11:24:39 |
Un primo schema per la traccia di civile... TRIBUNALE DI SEZIONE *** COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA PER Sig. Tizio, nato a.......il.........residente a.......in via......C.F........., rappresentato e difeso, giusta procura e mandato in calce al presente atto, dall'Avv. â�� ....... C.F. .............del Foro di ........ , e domiciliato presso il suo studio , in Via â��, dichiarando di voler ricevere le comunicazioni di Cancelleria al numero di fax e mail ; CONVENUTA RESISTENTE CONTRO Società Alfa in persona del suoAmministratore e raprresentante legale p.t. con l'avv. .............. ATTORE RICORRENTE nel Giudizio R.G. - D.ssa Udienza Con Ricorso ex art. 700 c.p.c. notificato al convenuto Tizio in data , la Società Alfa, con l'assistenza dell'Avv. â��, ha richiesto all'intestato Tribunale l'accoglimento delle seguenti conclusioni: a)......... b)................ nelle motivazioni del ricorso si legge che le richieste sono determinate dal fatto che il Sig. Tizioâ�� Si costituisce in giudizio con la presente comparsa di costituzione e risposta il Sig. Tizio, il quale contesta integralmente tutto quanto esposto ex adverso nel ricorso ex art. 700 c.p.c. e assume quanto segue. 1)............... 2).............. P.Q.M. si chiede il rigetto delle domande avanzate in via cautelare dallaSocietà Alfa, in quanto inammissibili per mancanza del fumus boni iuris e del periculum in mora, ovvero per l'infondatezza in fatto ed in diritto delle pretese avanzate, considerando anche . Con vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio. SI DEPOSITA Documenti richiamati e numerati nel corpo del presente atto. Salvis Iuribus. Con osservanza. | |
Da: pakozzo | 16/12/2010 11:29:19 |
per penale Corte di Cassazione pen Sezione 2 Penale Sentenza del 25 ottobre 2010, n. 37843 Integrale -------------------------------------------------------------------------------- REATO - DELITTO - TENTATO -------------------------------------------------------------------------------- REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BARDOVAGNI Paolo - Presidente Dott. GENTILE Domenico - Consigliere Dott. PRESTIPINO Antonio - Consigliere Dott. TADDEI Margherita - Consigliere Dott. RAGO Geppino - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1. GI. AG. nato il (OMESSO); 2. AT. ED. nato (OMESSO); 3. CA. AN. GI. nato il (OMESSO); 4. BO. SE. nato il (OMESSO); 5. MA. GI. nato il (OMESSO); 6. C. N. nato il (OMESSO); avverso la sentenza del 13/07/2009 della Corte di Appello di Milano; Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso; udita la relazione fatta dal Consigliere dott. RAGO Geppino; Udito il Procuratore Generale in persona del dott. MAZZOTTA Gabriele ha concluso per l'annullamento senza rinvio limitatamente la conferma della condanna per i capi E) ed F); rigetto nel resto; Udito per la parte civile Mo. No. l'avv. Losengo Roberto che ha concluso per il rigetto ed il pagamento delle spese; Uditi i difensori avv.ti Pezzoni Claudia (per Bo. - Ma. e Gi. ) e Colaleo Luigi (per Ca. ) i quali hanno concluso per l'accoglimento del ricorso. FATTO p. 1. Con sentenza del 13/07/2009, la Corte di Appello di Milano confermava, in punto di responsabilita', la sentenza pronunciata in data 17/07/2008 dal Tribunale della medesima citta' con la quale C. N. - GI. Ag. - CA. An. - BO. Se. - MA. Gi. e AT. Ed. erano stati ritenuti responsabili dei delitti di ricettazione e tentata rapina aggravata. p. 2. Avverso la suddetta sentenza, tutti i suddetti imputati hanno proposto ricorso per cassazione. p. 2.1. GI. ha dedotto violazione degli articoli 56 e 628 c.p. per avere la Corte ritenuto la configurabilita' del tentativo, nonostante fosse stato arrestato in un momento in cui la presunta progettata rapina al furgone portavalori della Mo. non fosse ancora in esecuzione. Infatti, il suddetto furgone sarebbe passato dal luogo dove egli, insieme agli altri coimputati, fu sorpreso dalla Polizia, solo dopo due ore, e le armi con tutta l'attrezzatura per eseguire la rapina erano ricoverate in un box - nella disponibilita' di uno dei coimputati - che si trovava ad una distanza di circa km 4,5. In altri termini, ci si trovava di fronte ad atti meramente preparatori e non esecutivi che non avevano alcuna idoneita' causale a ledere il bene giuridico protetto. Infatti, la suddetta riunione non era altro che il momento in cui avrebbe dovuto perfezionarsi l'accordo a commettere il delitto, delitto dal quale, pero', esso ricorrente ben avrebbe potuto pur sempre ancora desistere. p. 2,2. CA. ha dedotto i seguenti motivi: 1. Violazione dell'articolo 415 bis c.p.p. per non essere stato sentito dal P.m. nonostante lo avesse espressamente richiesto; 2. Illogicita' della motivazione per non avere la Corte territoriale creduto alla tesi difensiva secondo la quale esso ricorrente si trovava sul luogo dell'arresto solo per una "disgraziata circostanza fortuita" nonostante la suddetta tesi fosse stata confermata da prove testimoniali e documentali. La Corte, infatti, aveva tratto il suo convincimento sulla base di illazioni prive di alcun riscontro anche solo presuntivo, trascurando di dare conto degli elementi favorevoli indicati dalla difesa; 3. Violazione degli articoli 56 e 628 c.p. si tratta dello stesso motivo proposto dal Gi. ; 4. violazione dell'articolo 648 c.p. per avere la Corte ritenuto la configurabilita' del reato di ricettazione delle armi e del furgone che sarebbero serviti per la rapina, nonostante esso ricorrente non avesse mai avuto la disponibilita' delle armi ne' fosse intervenuto nell'acquisito o ricevimento dei suddetti beni; 5. violazione dell'articolo 62 bis c.p. per non avere la Corte concesso la suddetta attenuante nonostante fossero state indicate le ragioni che avrebbero dovuto indurre la Corte ad accogliere la richiesta (eccessivita' della pena - minore intensita' del dolo e alla partecipazione nel fatto). p. 2.3. Ma. , ha dedotto i seguenti motivi: 1. violazione degli articoli 56 - 628 c.p. si tratta dello stesso motivo dedotto dal Gi. ; 2. violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2 per avere la Corte territoriale ritenuto la responsabilita' di esso ricorrente sulla base di elementi che non presentavano i requisiti della gravita', precisione e concordanza. Invero, il nome del Ma. risultava solo nell'intercettazione telefonica del (OMESSO) (ossia il giorno della tentata rapina), alle ore 7,52 quando venne contattato dal M. (uno dei coimputati) il quale gli chiese di rendersi disponibile tutto il giorno. Tuttavia, esso ricorrente rispose che poteva esserlo fino alle ore 16,30, orario in cui doveva recarsi a prelevare i bambini a scuola. Ed era poi significativo il fatto che "ne' il giudice ne' l'attivita' investigativa riescono a chiarire con quali modalita' e funzioni il Ma. sarebbe stato introdotto nella struttura criminale". In particolare, quanto al preteso ruolo avuto nella manomissione della centralina dei furgoni navetta, nulla era stato provato, anche perche' non era neppure certo che fossero state manomesse ed i testi B. e Va. , incaricati dalla Mo. di effettuare una perizia sulla centralina di uno dei furgoni, aveva reso dichiarazioni discordanti e prive di credibilita' scientifica tant'e' che esso ricorrente aveva provveduto a querelare il legale rappresentante della Mo. per simulazione di reato e calunnia. p. 2.4. BO. ha dedotto i seguenti motivi: 1. violazione degli articoli 56 e 628 c.p. si tratta dello stesso motivo dedotto dal Gi. ; 2. violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2 per avere la Corte territoriale ritenuto la responsabilita' di esso ricorrente sulla base di elementi che non presentavano i requisiti della gravita', precisione e concordanza. Infatti, il preteso ruolo di addetto alla logistica e di collaboratore del M. alla studio e all'organizzazione della rapina, era ancorato ad un ordito indiziario privo di alcun pregio giuridico; 3. violazione degli articoli 266 e 271 c.p.p. per avere la Corte territoriale desunto la responsabilita' in ordine ai delitti di cui agli articoli 367 e 642 c.p. da colloqui telefonici intercettati ma che erano stati disposti in relazione alla rapina aggravata. Ad avviso del ricorrente, quindi, poiche' per i suddetti reati, che prevedevano una pena edittale inferiore nel massimo a cinque anni, non era possibile disporre intercettazioni telefoniche, allora, quelle conversazioni captate per un altro reato per il quale l'intercettazione era stata legittimamente autorizzata non avrebbe potuto essere utilizzata come prova. p. 2.5. C. , ha dedotto i seguenti motivi: 1. contraddittorieta' e illogicita' della motivazione per avere la Corte territoriale ritenuto provata la penale responsabilita' per il delitto di concorso in tentata rapina aggravata pur avendo esso ricorrente offerto "una piu' che plausibile spiegazione alternativa" all'ipotesi accusatoria in ordine alla sua conoscenza con il Di. Do. (altro coimputato), all'incontro avuto con il M. , all'impossibilita' di manomettere l'impianto GPS non avendo mai egli ricoperto il ruolo di capo equipaggio il quale solo aveva la possibilita' di intervenire sul sistema; 2. violazione delle norme in ordine al trattamento sanzionatorio: si duole il ricorrente che, in modo illogico, era stata ritenuta la semplice equivalenza fra la circostanza aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 7 e le attenuanti generiche e che il trattamento sanzionatorio, in violazione delle regole di cui all'articolo 133 c.p., era stato eccessivo tenuto conto che si trattava di rapina tentata e che non era stata valutata in modo equanime la complessiva personalita' di esso ricorrente. p. 2.6. AT. non ha presentato alcun motivo. DIRITTO p. 3. violazione degli articoli 56 e 628 c.p.: in via di stretto diritto, in ordine ai principi applicabili in tema di tentativo, va affermato quanto segue. L'articolo 56 c.p., disciplina il tentativo nei delitti e, essendo una fattispecie autonoma rispetto al reato consumato (ex plurimis Cass. 13/6/2001 riv 220330), richiede, come tutti i reati, la sussistenza sia dell'elemento soggettivo che oggettivo. L'elemento soggettivo e' identico al dolo del reato che il soggetto agente si propone di compiere. L'elemento oggettivo, invece, presenta spiccate peculiarita' in quanto ruota intorno a tre concetti: - l'idoneita' degli atti; - l'univocita' degli atti; - il mancato compimento dell'azione o il mancato verificarsi dell'evento. La linea di demarcazione fra la semplice intenzione non punibile (secondo il vecchio brocardo cogitationis poenam nemo patitur) e quella punibile si snoda proprio attraverso l'esatta comprensione dei suddetti principi. Una premessa di natura sistematica: sebbene l'articolo 56 c.p. sia l'unica norma che disciplini espressamente il tentativo, tuttavia, utili argomenti si possono trarre, ai fini sistematici, anche dall'articolo 115 c.p. a norma del quale "qualora due o piu' persone si accordino allo scopo di commettere un reato e questo non sia commesso, nessuna di essa e' punibile per il solo fatto dell'accordo". La suddetta norma, evidenzia, quindi, in modo plastico, il principio secondo il quale anche un semplice accordo a commettere un delitto (e, quindi, a fortiori, il semplice averlo pensato) non e' punibile (salva l'applicazione della misura di sicurezza) ponendosi all'estremo opposto del delitto consumato. Ma e' proprio fra questi due estremi, ossia fra la semplice cogitatio o accordo (non punibile) ed il delitto consumato che si colloca la problematica del delitto tentato che consiste, appunto, nello stabilire quando un'azione, avendo superato la soglia della mera cogitatio, pur non avendo raggiunto il suo scopo criminoso, dev'essere ugualmente punibile. Il codice penale del 1889 (c.d. codice Zanardelli), influenzato dal codice napoleonico, all'articolo 61, punendo "colui che, al fine di commettere un delitto, ne comincia con mezzi idonei l'esecuzione", poneva la soglia di punibilita' del delitto programmato nel momento in cui l'agente avesse cominciato l'esecuzione dell'azione: da qui, la distinzione fra atti preparatori non punibili ed atti di esecuzione punibili. La distinzione, pero', creo' notevoli problemi interpretativi tanto che il legislatore del 1930 - peraltro anche per precise ragioni ideologiche - abbandono' espressamente il suddetto criterio, introducendo l'attuale articolo 56 c.p. che ruota intorno a due criteri: l'idoneita' e la inequivocita' degli atti compiuti dall'agente, nel senso che, solo ove l'azione presenti le suddette caratteristiche, l'agente puo' essere punito a titolo di tentativo. Il dibattito (dottrinale e giurisprudenziale), pero', si e' riacutizzato perche', mentre prima la domanda era quali fossero i criteri per stabilire la differenza fra atti preparatori (non punibili) ed atti di esecuzione (punibili), ora la questione consiste nell'individuare la linea di confine che separa il semplice accordo (o la mera cogitatio), non punibile, dagli atti idonei inequivoci, punibili. In ordine al concetto di idoneita' degli atti (e non del mezzo come prescriveva il codice Zanardelli), l'opinione maggioritaria sia della dottrina che della stessa giurisprudenza di questa Corte, e' alquanto compatta nel ritenere che un atto si puo' ritenere idoneo quando, valutato ex ante ed in concreto (c.d. criterio della prognosi postuma), ossia tenendo conto di tutte le circostanze conosciute e conoscibili e non di quelle oggettivamente presenti e conosciute dopo (ed criterio di valutazione su base parziale: ex plurimis Cass. 9/12/1996, Tansino, rv 206562), il giudice, sulla base della comune esperienza dell'uomo medio, possa ritenere che quegli atti - indipendentemente dall'insuccesso determinato da fattori estranei - erano tali da ledere, ove portati a compimento, il bene giuridico tutelato dalla norma violata: ex plurimis Cass. 40058/2008 riv 241649 (in motivazione) - Cass. 43255/2009 riv 245721 - Cass. 27323/2008 riv 240736 - Cass. 34242/2009 riv 244915. Tanto risulta confermato anche dall'articolo 49 c.p., comma 2 che e' la norma speculare dell'articolo 56 c.p. nella parte in cui dispone la non punibilita' per l'inidoneita' dell'azione. Piu' controversa e' la nozione di univocita' degli atti. Secondo una prima tesi "anche gli atti preparatori possono configurare l'ipotesi del tentativo, allorquando essi rivelino, sulla base di una valutazione ex ante e indipendentemente dall'insuccesso determinato da fattori estranei, l'adeguatezza causale nella sequenza operativa che conduce alla consumazione del delitto e l'attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto, dimostrando contemporaneamente, per la loro essenza ed il contesto nel quale s'inseriscono, l'intenzione dell'agente di commettere il delitto": Cass. 27323/2008 riv. 240736 - Cass. 43255/2009 Rv. 245720 "L'atto preparatorio puo' integrare gli estremi del tentativo punibile, quando sia idoneo e diretto in modo non equivoco alla consumazione di un reato, ossia qualora abbia la capacita', sulla base di una valutazione "ex ante" e in relazione alle circostanze del caso, di raggiungere il risultato prefisso e a tale risultato sia univocamente diretto" - Cass. 40702/2009 Rv. 245123. E' la c.d. tesi soggettiva in base alla quale, appunto, la prova del requisito dell'univocita' dell'atto puo' essere raggiunta non solo sulla base dell'atto in se' considerato ma anche aliunde e, quindi, anche sulla base di semplici atti preparatori qualora rivelino la finalita' che l'agente intendeva perseguire. Ad avviso, invece, di un'altra tesi, "gli atti diretti in modo non equivoco a commettere un reato possono essere esclusivamente gli atti esecutivi, ossia gli atti tipici, corrispondenti, anche solo in minima parte, come inizio di esecuzione, alla descrizione legale di una fattispecie delittuosa a forma libera o vincolata, in quanto la univocita' degli atti indica non un parametro probatorio, ma un criterio di essenza e una caratteristica oggettiva della condotta; ne consegue che non sono punibili, a titolo di tentativo, i meri atti preparatori": Cass. 9411/2010 Rv. 246620 - Cass. 40058/2008 cit. - Cass. 36283/2003 riv 228310 - Cass. 43406/2001 riv 220144. "Se e' vero, infatti, che il legislatore del 1930, obbedendo a sollecitazioni politiche dell'epoca, aveva ritenuto di allargare l'area del tentativo punibile redigendo il testo dell'articolo 56 c.p., non e' men vero che gran parte della dottrina e della giurisprudenza hanno dimostrato l'illusorieta' del proposito che, con quel mezzo, si intendeva attuare. Cio' perche' atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un delitto possono essere esclusivamente atti esecutivi, in quanto se l'idoneita' di un atto puo' denotare al piu' la potenzialita' dell'atto a conseguire una pluralita' di risultati, soltanto dall'inizio di esecuzione di una fattispecie delittuosa puo' dedursi la direzione univoca dell'atto stesso a provocare proprio il risultato criminoso voluto dall'agente": Corte Cost 177/1980. E' la c.d. tesi oggetti va secondo la quale gli atti possono essere considerati univoci ogni qualvolta, valutati in quel singolo contesto, rivelano, in se' e per se' considerati, l'intenzione dell'agente (ed criterio di essenza). Per questa tesi, quindi, "la "direzione non equivoca" indica, infatti, non un parametro probatorio, bensi' un criterio di essenza e deve essere intesa come una caratteristica oggettiva della condotta, nel senso che gli atti posti in essere devono di per se' rivelare l'intenzione dell'agente. L'univocita', intesa come criterio di "essenza", non esclude che la prova del dolo possa essere desunta aliunde, ma impone soltanto che, una volta acquisita tale prova, sia effettuata una seconda verifica al fine di stabilire se gli atti posti in essere, valutati nella loro oggettivita' per il contesto nel quale si inseriscono, per la loro natura, siano in grado di rivelare, secondo le norme di esperienza e l'id quod plerumque accidit, l'intenzione, il fine perseguito dall'agente": Cass. 40058/2008 cit.. E' evidente il punto di frizione fra le due tesi. Infatti, mentre per la tesi soggettiva, l'univocita' va valutata sulla base delle circostanze concrete (con la conseguenza che si determina, sul piano della repressione penale, un arretramento della soglia di punibilita', in quanto anche gli atti in se' preparatori, possono, a determinate condizioni, essere considerati univoci), al contrario per la tesi oggettiva, l'univocita' coincide con l'inizio degli atti tipici di un determinato reato (con conseguente spostamento in avanti della soglia di punibilita', escludendosi l'univocita' degli atti meramente preparatori). Questa Corte ritiene che la tesi ed oggettiva non sia condivisibile perche', riproponendo, di fatto, l'antica problematica di cui si discuteva sotto il codice Zanardelli, opera un'interpretazione abrogans della nuova normativa, lasciando insoluti, in specie per i reati a forma libera, quegli stessi interrogativi che avevano indotto il legislatore del 1930 a rivedere radicalmente l'intera normativa. Infatti, nella Relazione al progetto definitivo al codice penale, si trova scritto: "innovazioni radicali sono state introdotte nella disciplina del tentativo, sopprimendo la distinzione tra atti preparatori e atti esecutivi". Si ritiene, quindi, che la tesi piu' corretta sia quella soggettiva per i motivi di seguito indicati. Il punto di partenza, per una corretta esegesi dell'articolo 56 c.p., non puo' che essere il dato storico: come si e' detto, fu proprio per evitare le incertezze interpretative derivanti dall'individuare quali fossero i mezzi che potevano essere considerati inizio dell'esecuzione criminosa (problema che diventava quasi irresolubile per i reati a forma libera) che il legislatore del 1930 s'indusse ad abbandonare la formula che parlava di "cominciamento" "mezzi" "esecuzione". Nel nuovo articolo 56 c.p., infatti, non si parla piu' di mezzi ma di atti idonei (in contrapposizione agli atti inidonei di cui all'articolo 49 c.p., comma 2) e di azione che non si compie o di evento che non si verifica. La terminologia adoperata dal legislatore e' molto importante: una cosa e' parlare di cominciamento dell'esecuzione con mezzi idonei, altro e' parlare di azione non compiuta e di atti idonei a commettere il delitto. E' evidente, infatti, l'arretramento della soglia di punibilita', laddove si consideri che i termini "azione" ed "atti", indicano, proprio a livello semantico, una maggiore estensione rispetto alla piu' ristretta categoria degli atti esecutivi. In altri termini, il legislatore ha focalizzato la sua attenzione non solo sull'esecuzione ma anche sull'azione. Ora, siccome l'azione e' quell'attivita' umana composta da uno o piu' atti, ne deriva, proprio sul piano logico (oltre che semantico) che il tentativo e' punibile non solo quando l'esecuzione e' compiuta ma anche quando l'agente ha compiuto uno o piu' atti (non necessariamente esecutivi) che indichino, in modo inequivoco, la sua volonta' di voler compiere un determinato delitto. Sul punto, e' lo stesso articolo 56 c.p. che offre utili spunti di riflessione nella parte in cui dispone che il delitto tentato si verifica in due ipotesi: 1) quando l'azione non si compie (c.d. tentativo non compiuto); 2) quando l'evento non si verifica (ed tentativo compiuto). Sebbene si sia soliti attribuire poca importanza alla suddetta distinzione, in quanto la si assimila a quella del codice Zanardelli fra "delitto tentato" e delitto mancato" (peraltro sanzionato piu' gravemente), il dato di fatto semanticamente rilevante e' che non si parla di "delitto tentato o mancato" ma di azione non compiuta e di evento non verificatosi. Il suddetto dato non puo' non avere una sua rilevanza giuridica. Infatti, quando la legge adopera la locuzione "evento che non si verifica" e' chiaro che ipotizza il caso dell'agente che ha compito l'esecuzione degli atti tipici del delitto programmato, ma che questo non si e' verificato per un fatto indipendente dalla sua volonta' (ad es. l'agente ha sparato a Tizio ma questi, all'ultimo momento, casualmente, si e' spostato, facendo, quindi, fallire l'attentato). Se, quindi, la legge ha gia' previsto la punibilita' dell'esecuzione degli atti di un delitto, quando prevede la punibilita' anche dell'azione, necessariamente non puo' che far riferimento ad un qualcosa che precede l'esecuzione vera e propria, ossia quell'insieme di atti (o semplice atto) che, sebbene non esecutivi, valutati unitariamente, abbiano l'astratta attitudine a produrre il delitto programmato. L'azione, lo si ripete, e' un termine molto ampio ed indica il risultato finale del compimento di un atto o piu' atti, e contiene, in se', tutti gli elementi che consentono di affermare, sia pure ex post, che quell'azione era idonea, ove portata a termine (rectius: eseguita) a perpetrare il delitto programmato. Cio', quindi, permette di affermare che ci si trova di fronte ad un tentativo punibile in tutti quei casi in cui l'agente abbia approntato e completato il suo piano criminoso in ogni dettaglio ed abbia iniziato ad attuarlo pur non essendo ancora arrivato alla fase esecutiva vera e propria ossia alla concreta lesione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice. Quanto appena detto, trova una conferma negli speculari commi terzo e quarto dell'articolo 56 che, ancora una volta, confermano i due livelli del tentativo punibile (sanzionati in modo differente): la desistenza dell'azione nel senso sopra specificato, nel quale caso, la norma prevede che l'agente risponde degli atti compiuti solo se questi costituiscano un reato diverso; l'impedimento, da parte dell'agente, dell'evento determinato dal compimento degli atti esecutivi veri e propri, nel quale caso, l'agente risponde pur sempre del tentativo, sebbene con una diminuzione della pena. E' evidente, quindi, che, anche a livello sanzionatorio, la legge ha voluto distinguere le due tipologie di tentativi che, se non vengono attuati per cause indipendenti dalla volonta' dell'agente, vengono puniti allo stesso modo (comma 1), mentre se il delitto non si verifica per la resipiscenza dell'agente, vengono sanzionati diversamente rendendo, pertanto, palese che l'azione che non si compie (o dalla quale l'agente desiste) e' un qualcosa che precede l'evento che non si verifica (o compie). Ed ulteriore conferma puo' trarsi dall'articolo 49 c.p., comma 2 (che rappresenta, per cosi' dire, il lato speculare e contrario dell'articolo 56 c.p.) che esclude la punibilita' per "l'inidoneita' dell'azione" non degli atti esecutivi: il che significa che, per stabilire se ci si trova di fronte ad un tentativo punibile, a parte l'ipotesi del compimento degli atti esecutivi veri e propri (ipotesi considerata espressamente, come si e' detto, dall'articolo 56 c.p., comma 1 ultima parte), occorre aver riguardo piu' che all'idoneita' dei singoli atti, all'idoneita' dell'azione valutata nel suo complesso cosi' come appare cristallizzata in un determinato momento storico, tenuto conto di tutti gli elementi esterni ed interni, conosciuti e conoscibili. Solo se l'azione viene valutata unitariamente, puo' aversi un quadro d'insieme dei singoli atti che, se valutati singolarmente, possono anche sembrare in se' inidonei, ma che se inseriti in un piu' ampio contesto, appaiono per quelli che sono, ossia dei singoli anelli di una piu' complessa ed unica catena, l'uno funzionale all'altro per il compimento dell'azione finale destinata a sfociare nella consumazione del delitto programmato. Si puo', quindi, concludere affermando che il legislatore del 1930, arretrando la soglia di punibilita' del tentativo, ha completamente ribaltato l'impostazione del codice Zanardelli in quanto ora sono punibili non solo gli atti di esecuzione veri e propri ma anche gli atti ad essi antecedenti che, per comodita' descrittiva, si possono continuare a chiamare ancora atti preparatori, a condizione pero' che posseggano quelle caratteristiche si cui si e' detto. Si deve, pertanto, affermare il seguente principio di diritto: "ai fini del tentativo punibile, assumono rilevanza penale non solo gli atti esecutivi veri propri del delitto pianificato, ma anche quegli atti che, pur essendo classificabili come atti preparatori, tuttavia, per le circostanze concrete (di luogo - di tempo - di mezzi ecc.) fanno fondatamente ritenere che l'azione - considerata come l'insieme dei suddetti atti - abbia la rilevante probabilita' di conseguire l'obiettivo programmato e che l'agente si trovi ormai ad un punto di non ritorno dall'imminente progettato delitto e che il medesimo sara' commesso a meno che non risultino percepibili incognite che pongano in dubbio tale eventualita', dovendosi, a tal fine, escludere solo quegli eventi imprevedibili non dipendenti dalla volonta' del soggetto agente atteso che costui ha solo un modo per dimostrare di avere receduto dal proposito criminoso: ossia la desistenza volontaria (articolo 56 c.p., comma 3) o il recesso attivo (articolo 56 c.p., comma 4)". p. 4.1. Tanto premesso in diritto, dalla sentenza impugnata si evince che il fatto e' stato ricostruito nei termini di seguito indicati. A seguito di una fortuita segnalazione, la Polizia, sospettando che fosse in preparazione una rapina ai blindati della Mo. , inizio' l'intercettazione di alcune utenze telefoniche, nonche' servizi di pedinamento e appostamento. Dalle suddette indagini, emerse che, in effetti, una banda di nove persone (gli imputati del presente processo e quelli gia' giudicati con la sentenza n 17988/2010 di questa Corte), stavano organizzando per il giorno (OMESSO) una rapina ai danni di un furgone blindato della Mo. che trasferiva presso il deposito di (OMESSO) il denaro raccolto presso vari punti commerciali. Le indagini avevano permesso di chiarire il ruolo che ognuno dei nove avrebbe ricoperto nell'azione - le modalita' dell'azione - l'ora in cui la rapina sarebbe avvenuta. Fu cosi' che la Polizia, anche per evitare una probabile sanguinosa rapina (alcuni dei componenti della banda erano coinvolti in altre rapine dello stesso genere conclusesi con omicidi), decise di intervenire ed arrestare tutte e nove le persone che si trovavano riunite ed appostate nel luogo stabilito per dare inizio all'assalto del furgone. In particolare, nella sentenza impugnata e' scritto: "Il gruppo tratto in arresto il (OMESSO) era composto da persone che per precedenti specifici, per condotte di vita, per essere indagati per analoghi fatti di reato, risultava dedito in via non occasionale alla organizzazione e consumazione di gravissimi reati. (...). Il gruppo era dotato di armi da guerra di micidiale potenza offensiva, di giubbotti antiproiettile utili nel caso non meramente ipotetico di dover ingaggiare un conflitto a fuoco, di radio ricetrasmittenti, di auto rubate e una anche taroccata, di un furgone pesante per bloccare il blindato portavalori, di flessibili dotati di compressore per forzare le lamiere del furgone, di liquido incendiario per dare fuoco alle auto dopo il loro utilizzo. Le macchine erano gia' operative e pronte per essere utilizzate avendo a bordo armi, munizioni, guanti per non lasciare impronte, erano occultate nelle immediate vicinanze del luogo di raduno della banda - il piazzale dell'Esselunga di (OMESSO) - ossia nel garage e nel cortile di M. . L'individuazione dell'obiettivo da rapinare era il frutto di uno studio accurato con pedinamento dei mezzi e appostamenti in loco, e soprattutto, era agevolata nell'esecuzione, dai contatti con C. - dipendente infedele della Mo. - che oltre a fornire loro importanti notizie sui movimenti degli automezzi navetta, si era prestato a manomettere l'impianto GPS cosi' da non permettere all'equipaggio di lanciare efficaci segnali d'allarme e alla centrale operativa di rimanere all'oscuro dell'assalto e da non localizzare l'automezzo. Era gia' stato posizionato nella mattinata del 6 dicembre il furgone Iveco Daily da utilizzare, come nelle pregresse vicende criminali, per bloccare, speronandolo, il portavalori. Si era potuto verificare una suddivisione di ruoli che vedeva in M. il capo, in C. il basista, in Bo. la persona deputata alla logistica e allo studio del colpo tanto da custodire il furgone Iveco, Sa. e Gi. erano giunti da (OMESSO) e avevano preso parte al posizionamento di questo automezzo nel punto in cui sarebbe dovuto avvenire l'assalto, in prossimita' dell'uscita dalla tangenziale. Nove persone erano convenute nel posto stabilito in assenza di alcuna valida ragione alternativa a quella dell'essere coinvolte nel progetto delittuoso, ed erano state tratte in arresto poco tempo prima che si muovessero per portarsi sul luogo di consumazione del reato. Le telefonate tra Bo. e la fidanzata, del resto, indicavano proprio in quella sera il momento culminante di tutta l'azione e, per lui, il momento in cui avrebbe potuto chiudere con quella vita e rifarsene un'altra in (OMESSO) insieme alla sua donna e grazie al bottino". La Corte territoriale, dopo essersi fatta carico dei motivi di gravame dei vari imputati, li ha disattesi rilevando che le difese "frazionano le singole azioni in modo da evitare che di esse venga data una lettura congiunta e unificatrice che invece e' il senso giuridico del concorso. E peraltro, chi degli imputati sarebbe dovuto essere all'oscuro dei piani: Gi. era arrivato insieme a Sa. due giorni prima e il (OMESSO) aveva partecipato a un incontro con M. e Bo. nel solito posto di riunione del parcheggio dell'Esselunga; At. si era incontrato con M. per la consegna del pecorino sardo; su Bo. non e' il caso di spendere ulteriori argomentazioni; Ma. era in giro con M. sin dalle otto del mattino non certo per bighellonare come ragazzini che hanno marinato la scuola, visto che M. seguiva le operazioni di posizionamento del furgone Iveco, cosa di molto rilievo per non far fallire il progetto, come accaduto in precedenza; Ca. era partito quella mattina con il volo da (OMESSO) dopo un contatto telefonico con M. e stava per atterrare a (OMESSO) dove veniva ricevuto da M. e Ma. in tempo piu' che sufficiente per essere messo al corrente degli ultimi particolari; la riunione interrotta dalla polizia non serviva, ragionevolmente, ad altro che a dettare gli ultimi dettagli con la indicazione da sergente maggiore di Bo. che li voleva tutti a posto. Poi, giusto il tempo di armarsi ed equipaggiarsi portandosi nel box di M. distante solo 4,5km e non ben, come troppo enfaticamente sottolineato dalle difese, tanto che Bo. e M. dicono di averlo scelto per le loro innocue chiacchierate giusto perche' vicino casa e cosi non disturbavano i famigliari. Per il resto, va fatto richiamo alla sentenza anche per cio' che attiene alla pretesa di riscontrare un'ipotesi di reato impossibile per la dotazione del cosiddetto sistema schiuma blocco. Basti rammentare che l'idoneita' va giudicata con prognosi postuma in base alle conoscenze di cui dispone l'agente nel momento in cui avvia il determinismo causale. Nozioni di scuola sorreggono l'assunto del Tribunale e condiviso dalla Corte". In questa sede, i ricorrenti, da una parte, reiterando gli argomenti di merito gia' proposti avanti ai giudici di merito, sostengono che non vi sarebbero elementi sufficienti per ritenere, ciascuno di essi, coinvolti, nella tentata rapina, dall'altra, sostengono che, a tutto concedere, il tentativo, proprio sotto il solo profilo giuridico, non sarebbe configurabile. Quanto alle censure di merito, le medesime vanno tutte disattese, perche' la sentenza di appello, letta in uno con quella di primo grado, non evidenzia illogicita' e/o incongruenze, avendo chiarito il ruolo di ciascuno degli imputati nella progettata rapina ed avendo disatteso, sulla base di precisi riscontri fattuali (le indagini compiute dalla Polizia) che si trattava di tesi difensive prive della minima credibilita'. Pertanto, le doglianze riproposte in questa sede, vanno ritenute nulla piu' che un inammissibile tentativo di ottenere, in modo surrettizio, una rivalutazione di quegli stessi elementi di merito gia' presi ampiamente in esame da entrambi i giudici di merito. Quanto alla questione di diritto, secondo la tesi sostenuta da tutti gli imputati, il tentativo non sarebbe configurabile perche' l'azione tipica della rapina (il compimento di atti violenti) non era ancora iniziata quando furono arrestati: in quel momento, infatti, essi ben avrebbero potuto recedere dal proposito criminoso sicche' non potevano essere condannati per un'azione non commessa. Il caso di specie, e' emblematico della problematica di diritto di cui si e' parlato. Si e' chiarito che l'articolo 56 c.p. prevede e sanziona due ipotesi di tentativo: quello in cui l'azione non si verifica e quello in cui l'evento non si compie, per cause indipendenti dalla volonta' dell'agente (nel qual caso le due ipotesi, ai fini sanzionatoti, vengono assimilate) ovvero per resipiscenza dell'agente (nel qual caso, ai sensi dei commi 3 e 4, la sanzione varia). Si e' anche chiarito che l'azione puo' essere considerata idonea quando, sulla base degli elementi fattuali in atti, puo' affermarsi che il programma criminoso dell'agente si e' ormai concluso e l'agente sta per passare alla fase operativa vera e propria. Nel caso di specie, da quanto emerge dalla sentenza impugnata, il piano operativo era stato completamente esaurito in quanto erano stati effettuati gli appostamenti ed erano stati predisposti i mezzi per eseguire il piano: il furgone Fiat era stato posizionato per lo speronamento; l'allarme Gps dei blindati da assaltare era stato disattivato; tutto l'armamentario necessario per perpetrare materialmente la rapina era disponibile; tutti gli uomini della banda si trovavano sul posto pronti ognuno di essi ad eseguire i compiti che era stato loro assegnato. E' evidente, quindi, che, tutto era stato predisposto per passare alla fase esecutiva vera e propria (assalto al furgone che sarebbe passato da li' a poco). Si verte, pertanto, nella prima delle ipotesi considerate: infatti, gli imputati non furono sorpresi ed arrestati mentre, ad es. eseguivano i pedinamenti del furgone blindato o mentre si approvvigionavano delle armi o mentre stavano discutendo delle modalita' operative e della distribuzione dei ruoli: in tale ipotesi, invero, sarebbe stato configurabile il reato impossibile per inidoneita' dell'azione ex articolo 49, comma 2. Al contrario, vennero arrestati quando tutte le suddette operazioni prodromiche erano gia' state eseguite e, quindi, l'azione, in se' e per se' considerata, come correttamente ha rilevato la Corte territoriale, era ormai potenzialmente idonea al compimento della progettata rapina. Si sarebbe verificata invece la seconda ipotesi del tentativo ("se l'evento non si verifica") se gli imputati avessero iniziato l'assalto ossia avessero iniziato a compiere gli atti violenti richiesti dalla norma incriminatrice di cui all'articolo 628 c.p.): in tal caso, il tentativo si sarebbe potuto ipotizzare ove, per una causa estranea ed imprevista (ad es. intervento delle forze dell'ordine), l'evento non avrebbe potuto essere portato a termine. Le due ipotesi, pero', ai fini sanzionatori, sono equiparate. Ed e' del tutto vano che gli imputati sostengano che ben avrebbero potuto recedere: cio' che, in realta', rileva e' che nessuno di essi lo fece perche' tale intenzione non puo' essere solo ipotizzata ma deve trovare un concreto riscontro fattuale che, nel caso in esame, manca del tutto. In conclusione, le censure proposte da tutti gli imputati (Ca. : motivi sub 2-3; Gi. : motivo unico; Ma. : motivi sub 1 - 2; Bo. motivi sub 1-2; C. motivo sub 1) in ordine alla violazione dell'articolo 56 c.p. vanno tutte disattese, avendo la Corte territoriale correttamente applicato il principio di diritto supra enunciato. p. 5. CA. . p. 5.1. violazione dell'articolo 415 bis c.p.p. (motivo sub 1): lo stesso ricorrente afferma che, nell'istanza rivolta al P.m., aveva chiesto di essere esaminato (cfr pag. 2 ricorso). Posta nei seguenti termini, la doglianza e' infondata. L'articolo 415 bis c.p.p., comma 3 dispone che l'indagato ha facolta', entro il termine di venti giorni dall'avviso delle conclusioni delle indagini preliminari: 1) di presentarsi per rilasciare dichiarazioni 2) di chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio: in tale ultima ipotesi "il pubblico ministero deve procedervi". La Corte sostiene che l'imputato, tramite il proprio difensore non aveva chiesto di essere interrogato ma aveva formulato una richiesta diversa sulla quale il pubblico ministero non aveva obbligo di rispondere o di provvedere: il ricorrente, infatti, aveva chiesto di essere esaminato ai sensi dell'articolo 468 c.p.p.. La decisione della Corte territoriale deve ritenersi corretta in considerazione della natura e del contenuto dell'istanza che indicava un istituto (l'esame: cfr articolo 503 c.p.p.) riguardante il dibattimento ed avente un contenuto del tutto diverso dall'interrogatorio (cfr articoli 64 - 65 c.p.p.) previsto dalla norma di riferimento (articolo 415 bis c.p.p.). E' vero che sussiste il principio dell'interpretazione (e conservazione) degli atti ma e' anche vero che l'autorita' giudiziaria (nella specie il P.m.), a fronte di una richiesta - tanto piu' ove proveniente da un tecnico del diritto - ambigua, contraddittoria e non avente riscontro in alcuna norma processuale, non e' tenuta ad interpretarla essendo, pertanto, legittimata a disattenderla non dandovi corso. p. 5.2. violazione dell'articolo 648 c.p. (motivo sub 4): la Corte territoriale, avanti alla quale la stessa doglianza era stata sollevata, l'ha disattesa osservando che "prestando il consenso alla rapina ogni complice ha percio' stesso acquisito la disponibilita' collegiale e giuridica delle armi funzionali al reato (...)" nonche' la disponibilita' "dei beni indicati sub a) tutti di provenienza delittuosa, in tal modo ricettandoli". La motivazione sia dal punto di vista giuridico che fattuale e' ineccepibile in quanto, una volta accertato che l'imputato era ben consapevole di partecipare ad una rapina per la consumazione della quale si sarebbe dovuto far uso di tutto quell'armamentario, e' chiaro che risponde non solo del tentativo di rapina ma anche della ricettazione (nella specie sotto il profilo di "ricevere") di tutti quelle cose provento di reato che sarebbero servite per la consumazione del programmato reato. p. 5.3. violazione dell'articolo 62 bis c.p. (motivo sub 5): la Corte ha respinto la richiesta di concessione delle attenuanti generiche "a fronte di precedenti penali per gravi fatti di reato dimostrativi di un inserimento nel circuito criminale piuttosto che di una volonta' di rimanervi al di fuori". La motivazione non si presta ad alcuna censura sotto il profilo di legittimita' anche a fronte della generica doglianza proposta. p. 6. BO. . p. 6.1. violazione degli articoli 266 - 271 c.p.p. (motivo sub 5): la censura e' fondata. Come si desume dalla impugnata sentenza, nel corso delle intercettazioni telefoniche autorizzate per la sola rapina, emersero indizi a carico dell'imputato anche per i reati di cui ai capi E (articolo 367 c.p.) ed F (articolo 642 c.p.). La decisione della Corte territoriale, in ordine all'utilizzabilita' delle suddette intercettazioni anche per i reati di cui agli articoli 367 e 642 c.p., non e' condivisibile, ritenendo questa Corte di dare continuita' a quella giurisprudenza di legittimita' secondo la quale "In tema di intercettazione di comunicazioni o conversazioni, la circostanza che non possano considerarsi pertinenti a "diverso procedimento" risultanze concernenti fatti strettamente connessi a quello cui si riferisce l'autorizzazione giudiziale, e che dunque non rilevino i limiti di utilizzabilita' fissati all'articolo 270 c.p.p., non esclude che siano applicabili, anche a tale proposito, le condizioni generali cui la legge subordina l'ammissibilita' delle intercettazioni. Ne consegue che, quando nel corso di intercettazioni autorizzate per un dato reato emergono elementi concernenti fatti strettamente connessi al primo, detti elementi possono essere utilizzati solo nel caso in cui, per il reato cui si riferiscono, il controllo avrebbe potuto essere autonomamente disposto a norma dell'articolo 266 c.p.p." Cass. 4942/2004 riv 229999 - Cass. 12562/2010 riv 246594. La soluzione qui accolta, poi, trova, nel caso di specie, un ulteriore argomento derivante dal fatto che, pacificamente, fra i reati in questione e quello di rapina non vi e' alcuna connessione probatoria ma solo soggettiva. Da quanto detto consegue: - l'annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza, limitatamente ai suddetti reati in quanto, come si evince dalla motivazione, l'unica fonte di prova e' costituita proprio dal contenuto delle intercettazioni; - l'eliminazione delle relative pene per complessivi gg 30 ed euro 90,00 di multa (cfr sentenza di primo grado). p. 7. C. . p. 7.1. violazione delle norme in ordine al trattamento sanzionatorio (motivo sub 2): la Corte territoriale ha disatteso la richiesta non solo criticando il Tribunale per aver concesso le attenuanti generiche (sebbene equivalenti) - del che non si poteva che prenderne atto - ma osservando che, in considerazione del ruolo svolto dall'imputato (sabotatore del sistema di allarme dei furgoni blindati), costui aveva "commesso un'azione eticamente spregevole" e concludendo, sia pure implicitamente che il trattamento sanzionatorio doveva ritenersi piu' che adeguato. Anche la suddetta motivazione non si presta alla generica censura dedotta in questa sede, dovendosi ritenere che la Corte abbia correttamente ed adeguatamente motivato la reiezione dell'istanza. p. 8. AT. . Il ricorso presentato da At. e' inammissibile non avendo il ricorrente presentato alcun motivo. P.Q.M. ANNULLA Senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Bo. Se. limitatamente ai reati di cui ai capi E) ed F) perche' i fatti non sussistono. Elimina le relative pene per complessivi giorni 30 di reclusione ed euro 90,00 di multa, nonche' la condanna al risarcimento e rifusione delle spese in favore della costituita parte civile Navale Ass.ni spa. Rigetta il ricorso del Bo. nel resto. Dichiara inammissibile il ricorso di At. Ed. e rigetta gli altri ricorsi. Condanna At. - Gi. - Ca. - Ma. - C. al pagamento delle spese processuali e At. anche della somma di euro 1.000,00 alla cassa delle ammende. Condanna tutti i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Mo. No. srl liquidate in complessivi euro 5.054,40 come da nota spese. | |
Da: pakozzo | 16/12/2010 11:34:15 |
ehi ma non c'è più nessuno? chi ha il simone 2010?rispondete | |
Da: pakozzo | 16/12/2010 11:39:22 |
qui tutti svaniti!ma che succede ragazzi???????????dove siete? | |
Da: cuc | 16/12/2010 11:42:46 |
A cercare | |
Da: pakozzo | 16/12/2010 11:43:41 |
cuc tu dici? mi sembrano dei fantasmi oggi | |
Da: tutto | 16/12/2010 11:43:43 |
lo svolgimento di civile è tutto quello che hai scritto tu pakozzo? | |
Da: mis | 16/12/2010 11:46:24 |
ragazzi mi sembra che la comparsa di civile sia troppo scarna....Ci vuole qualcosa di più approfondito!! | |
Da: mep | 16/12/2010 11:47:21 |
Confermata traccia | |
Da: pagnotta29 | 16/12/2010 11:51:12 |
è scarna xkè è un 700 | |
Da: arcangelo | 16/12/2010 11:53:26 |
Gesù pakozzo dove sei oggi!!!!!!!! dai dacci una mano a svolgere la traccia civile | |
Da: pakozzo | 16/12/2010 11:55:46 |
per civile TRIBUNALE DI .... ATTO DI CITAZIONE Il Sig. ...., codice fiscale n. ...., nato a ...., il ...., residente a ...., via ...., n. .... e elettivamente domiciliato a ...., via ...., n. ...., presso lo studio dell'Avv. .... che lo rappresenta e difende per procura stesa in calce al presente atto (oppure) .... PREMESSO - che era socio della Società cooperativa "...." con sede in ...., via ...., n. ....; - che è stato escluso dalla stessa con deliberazione assunta dall'assemblea dei soci (oppure) dal Consiglio di amministrazione in data .... in quanto ....; - che tale deliberazione gli è stata comunicata in data ....; - che intende proporre opposizione avverso la predetta deliberazione per i seguenti motivi: ....; tutto ciò premesso CITA la Società cooperativa "...." in persona del suo legale rappresentante pro-tempore con sede in ...., via ...., n. .... a comparire innanzi al Tribunale di .... nell'udienza che sarà fissata con decreto a seguito di apposita istanza, dal Giudice Relatore ai sensi dell'art. 12, comma 2, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, con invito a costituirsi nel termine e nelle forme previste dalla legge e con l'avvertimento che, in difetto di costituzione, si procederà in sua contumacia per sentir dichiarare nulla e di nessun giuridico effetto la deliberazione emessa in data .... da .... e conseguentemente ....; condannare la società convenuta al pagamento delle spese, diritti ed onorari di causa oltre ad IVA e CNA come per legge. .... In via istruttoria chiede ammettersi prova testimoniale sui seguenti capitoli: .... Indica a testi i Sigg. .... Fissa alla società convenuta il termine di sessanta giorni dalla notificazione del presente atto per la notifica al difensore dell'attore della sua comparsa di risposta e dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni nel corso del procedimento al numero di fax .... (oppure) all'indirizzo di posta elettronica .... Ai fini del versamento del contributo unificato dichiara che il valore della causa è di Euro .... Offre in comunicazione e deposita in cancelleria verbale dell'assemblea dei soci (oppure) del Consiglio di amministrazione in data .... e comunicazione della deliberazione di esclusione in data .... .... lì .... Avv. .... (PROCURA ALLE LITI, SE NECESSARIA) (RELAZIONE DI NOTIFICAZIONE) | |
Da: salvo | 16/12/2010 11:55:58 |
trovata la sent . di civile??????? | |
Da: Stella65 | 16/12/2010 11:59:10 |
sentenze x civile??????????????????????????? | |
Da: pakozzo | 16/12/2010 12:00:56 |
non so se questa va bene! Tribunale di Milano, ord. 12 gennaio 2006 - Pres. Ciampi, Rel. Alessandra Dal Moro. Società a responsabilità limitata - Potere di controllo del socio - Azione cautelare ante causam - Ammissibilità . Il socio di società a responsabilità limitata può richiedere in via cautelare ante causam la revoca dell'organo gestorio della società non essendo tale iniziativa subordinata alla proposizione dell'azione di responsabilità nei confronti dell'organo medesimo o alla proposizione di altre azioni di merito. (fb) TRIBUNALE DI MILANO - Sezione VIII Civile - Il Tribunale di Milano, sezione VIII civile, composto dai sig.ri Magistrati: Dr. Fernando CIAMPI Presidente Dr. Raffaele Fulvio D'ISA Giudice Dr. Alessandra DAL MORO Giudice Relatore riunito nella Camera di Consiglio del 12.1.2006, a scioglimento della riserva di cui al verbale d'udienza dello stesso giorno, ha pronunciato la seguente ORDINANZA I sig.ri C. N. e S. S., hanno tempestivamente reclamato il provvedimento cautelare emesso da codesto Tribunale in data 24.10.2005 nel procedimento promosso dal sig. N. C., avente ad oggetto la revoca, ante causam, dell'amministratore delegato N. e del consigliere S. S. nella società " C.d.G. s.r.l.". I reclamanti hanno eccepito in via preliminare l'inammissibilità del procedimento cautelare instaurato ante causam per la revoca predetta, sostenendo che la misura in questione sarebbe possibile solo in corso di causa, in un giudizio volto ad accertare la responsabilità degli amministratori, poiché la novella legislativa, avendo escluso le società a responsabilità limitata dal controllo giudiziario ex art. 2409 c.c., avrebbe precluso la possibilità di ottenere la revoca dell'amministratore in via cautelare anticipata. Il Collegio non condivide la censura che va respinta. Essa si fonda su una interpretazione della norma di cui all'art. 2476 comma 3° c.c. che, invero, neppure nella sua lettera appare interpretabile univocamente nel senso preteso dai reclamanti. Essi, come parte della dottrina e della giurisprudenza che si sono pronunciate su tale questione, ritengono di valorizzare la sedes materiae in cui il legislatore della riforma ha inteso collocare la previsione della possibilità per il socio di chiedere tale cautela (ovvero quello della norma con cui a quest'ultimo è stata attribuita la legittimazione ad agire per ottenere, nell'interesse della società , il risarcimento del danno). Pare, invece, al Collegio che con detta norma il legislatore, proprio alla luce della modifica dell'art. 2488 c.c., dunque della esclusione della possibilità di ricorrere nell'ambito delle s.r.l. al procedimento giudiziale di controllo ex art. 2409 c.c., abbia inteso introdurre tanto la legittimazione ad agire di ciascun socio, quanto ("altresì") il potere "di chiedere in caso di gravi irregolarità nella gestione della società , che sia adottato provvedimento cautelare di revoca degli amministratori medesimi", nella volontà di privilegiare in siffatto tipo di società il potere di reazione e controllo dei soci rispetto al potere di controllo dell'autorità giudiziaria; né pare, in difetto di espressa limitazione del potere di chiedere la revoca cautelare in argomento, che si possa affermare che il legislatore ha inteso condizionare l'esercizio di quest'ultimo potere, all'esercizio del primo (proposizione da parte del socio di azione di responsabilità ) per il solo fatto che l'attribuzione dello stesso sia avvenuta nell'ambito dello stesso comma. Diversamente opinando si finirebbe per dover concludere che il legislatore avrebbe inteso, da un lato, negare la possibilità al socio di reagire efficacemente in via d'urgenza, di fronte a comportamenti dell'organo amministrativo già forieri di danni per la società , salvo promuovere contestualmente l'azione di responsabilità (iniziativa che, tuttavia, non sempre si presta ad essere compatibile con l'urgenza che può caratterizzare una richiesta di revoca, poiché, essendo volta ad introdurre un processo a cognizione piena, richiede adeguata preparazione anche sul piano della deduzione dei fatti e delle prove, specie alla luce del nuovo rito societario); dall'altro, negare la possibilità al socio di reagire, ed ottenere in via d'urgenza efficace tutela, a fronte di condotte gestorie solo potenzialmente dannose, dunque a fronte di compiute gravi irregolarità rispetto alle quali l'effetto dannoso non si sia già prodotto. A ben vedere, tuttavia, se il legislatore avesse voluto condizionare la revoca cautelare dell'organo gestorio all'esercizio dell'azione di responsabilità (quindi escluderla ante causam) ben avrebbe potuto dirlo esplicitamente, come è avvenuto per la sospensione cautelare della delibera societaria oggetto di impugnazione ex art. 2378 c.c.; e se avesse inteso davvero limitare la possibilità di revoca dell'amministratore ai soli casi in cui le irregolarità hanno già prodotto danni alla società , avrebbe finito per limitare la possibilità di tempestiva reazione contro una condotta gestoria inadeguata e suscettibile di produrre gravi danni alla società (e indirettamente ai creditori), solo, inspiegabilmente, per le s.r.l., stante la possibilità , per le s.p.a., del ricorso al 2409 c.c. e, per le società di persone, del ricorso alla revoca per giusta causa ex art. 2259 c.c.( norma non richiamata nell'art. 2463 c.c. per le s.r.l.). In realtà , tali interpretazioni, fortemente riduttive del potere di controllo e reazione del socio, e quindi dell'ambito di controllo cui sarebbe esposta una s.r.l. quanto alla regolarità e legalità della sua amministrazione, non pare si possano sostenere per il solo fatto che l'attribuzione al singolo socio, indipendentemente dalla sua quota di partecipazione al capitale sociale, del potere di chiedere la revoca degli amministratori sia contenuta nello stesso comma in cui il legislatore gli attribuisce "altresì", quello di agire per fa valere la loro responsabilità e ottenere il risarcimento del danno. Così da ultimo ha ritenuto anche la Corte Costituzionale, di recente investita della questione di legittimità costituzionale dell'esclusione del procedimento di cui all'art. 2409 c.c. per le s.r.l. Nel respingere il ricorso in quanto infondato, la Corte ha osservato come "la norma censurata (l'art. 2476 c.c. n.d.r.) si presti ad una interpretazione meno riduttiva di quella prospettata- a conforto della censura di illegittimità costituzionale dai remittenti", poiché " la formulazione letterale della norma non impone affatto l'interpretazione che dei presupposti della misura "cautelare" di revoca propongono i remittenti; al contrario, la qualificazione di " cautelare" data dalla legge alla misura di revoca ben può essere intesa (…) nel senso strumentale (ed anticipatoria rispetto) ad un'azione volta ad ottenere una sentenza di revoca degli amministratori, perciò solo che nella gestione della società sono presenti gravi irregolarità e v'è mero pericolo di danno per la medesima" (Sent. N. 481/2005) . Del resto anche la considerazione del combinato disposto degli artt. 23 u.c. d.lgs. n. 5/2003, e 669 quaterdecies c.p.c., conforta nel senso dell'ammissibilità "ante causam" della revoca in argomento, perché consente di applicare la disciplina uniforme dei procedimenti cautelari, dunque anche la possibilità di ottenere la cautela ante causam ex art. 669 ter c.p.c, "a tutti i provvedenti cautelari previsti dal codice civile dalle leggi speciali"( art. 669 quaterdecies 1°), dunque anche alla revoca prevista nell'art. 2476 c.c., ivi espressamente definita "cautelare". Diversa questione è quella della individuazione della causa di merito il cui promovimento sia da ritenersi idoneo a garantire stabilità al provvedimento cautelare emesso: quella volta ad ottenere, in sede di cognizione piena, il risarcimento del danno (già prodottosi) e la revoca degli amministratori; ovvero, in caso di danno solo potenziale, quella tesa solamente ad ottenere la revoca in via definitiva degli amministratori, rispetto alla quale ultima solamente, l'eventuale concessione della revoca in sede cautelare potrebbe qualificarsi misura "anticipatoria". Su quest'ultima questione, tuttavia, che attiene alla stabilità del provvedimento alla luce della novella legislativa in tema di procedimenti cautelari anticipatori, il Collegio non deve pronunciarsi, nonostante l'istanza in tal senso presentata dai reclamanti in modo tardivo ed irrituale all'udienza di discussione. Alla luce di siffatta premessa, nella specie, la cautela richiesta deve essere ritenuta ammissibile, avendo prospettato i ricorrenti sia danni effettivi (mancata contabilizzazione di ricavi a scapito dell'utile sociale) e potenziali (sanzioni conseguenti ad inadempimenti di natura contributiva e fiscale); ed avendo, nel contesto complessivo dell'atto, manifestato la volontà di proporre un giudizio ordinario teso a far valere con cognizione piena la revoca degli amministratori autori delle irregolarità e il risarcimento dei danni già prodottosi. Nel merito i reclamanti hanno lamentato, con argomenti del tutto inconferenti rispetto al merito della questione sottoposta al vaglio del Tribunale, l'errata definizione nell'ordinanza impugnata del C. quale "socio finanziatore non operativo", al fine di rimarcare che egli sarebbe stato al corrente delle scelte gestionali e della prassi censurate; non hanno invece contestato la sussistenza delle prassi stesse, così come denunciate dal socio di maggioranza, ovvero la mancata contabilizzazione sistematica di una parte degli incassi e, altresì, delle spese, limitandosi ad affermare che detta mancata contabilizzazione non sarebbe idonea a determinare alcun danno, né attuale né futuro, al socio o alla società , e, dunque, a contestare sotto siffatto profilo il provvedimento reclamato per carenza del presupposto del periculum in mora; in particolare sostenendo che agli incassi " in nero" corrisponderebbero spese di gestione non contabilizzate, e che, quindi, gli stessi non sarebbero oggetto di distrazione, e che le conseguenze sul piano fiscale tributario potrebbero essere sanate. Osserva il collegio che, anche le censure non chiaramente inconferenti, sono comunque infondate. A fronte della sostanziale confessione dei reclamanti circa la sistematica non contabilizzazione degli incassi, appaiono sussistere tutti i presupposti della cautela concessa in considerazione della condotta gestoria gravemente irregolare, e lesiva del diritto all'informazione del socio che dalla stessa contabilità ufficiale ( non essendo ammessa una contabilità occulta) deve trarre i dati cui ha interesse per verificare l'andamento della società e valutare la situazione patrimoniale della stessa; siffatta condotta gestoria, inoltre, come ritenuto dal Giudice di prime cure, deve ritenersi potenzialmente dannosa per la società : favorisce, infatti, infedeltà da parte di chiunque si occupi della contabilizzazione dei ricavi, nonché l'appropriazione dei proventi in danno della determinazione degli utili sociali, con gravi ripercussioni sulla conservazione della garanzia che il patrimonio della stessa rappresenta per i creditori sociali; ed infine è presupposto dell'inadempimento - attraverso la non contabilizzazione di spese anche di natura retributiva - di obblighi retributivi, contributivi e tributari, suscettibili di provocare gravi sanzioni a carico della società , come ben evidenziato nel provvedimento reclamato. Il reclamo è quindi infondato e deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo P.Q.M. Visti gli artt. 23 u.c. d.lgs. n.5/2003 e 669 terdecies c.p.c. , a)rigetta il reclamo proposto avverso l'ordinanza del Tribunale di Milano emessa in data 24.10.2005; b)condanna C. N. e S. S. a rifondere a N. C. le spese di lite che si liquidano in euro 1680 di cui 80 per esborsi, 600 per diritti e 1000 per onorari, oltre CPA e IVA come per legge. Si comunichi. Milano 12 gennaio 2006 | |
Da: nick1972 | 16/12/2010 12:02:49 |
serve una comparsa di costituzione e risposta, non una citazione; riferimenti sono l' art. 2473 bis cc(introdotto con la riforma del diritto societario) e art. 2466 cc...attenzione alla "giusta causa" | |
Da: Sandro 75 | 16/12/2010 12:06:08 |
Pakozzo grande dai dai | |
Da: fra | 16/12/2010 12:08:08 |
x penale | |
Da: ile | 16/12/2010 12:12:42 |
ragazzi x civile?? | |
Da: Naside | 16/12/2010 12:12:46 |
Attenzione ... Il D.L.gs 17 gennaio 2003, n. 5 è stato abrogato dalla L. 18 GIUGNO 2009, N. 69. | |
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