la lettera inviata al Presidente del Consiglio dell'Ordine di Catania da un gruppo di praticanti. Ve la giro
"Gentile ed illustre Presidente, chi Le scrive è un gruppo di praticanti avvocati del distretto della Corte di Appello di Catanzaro. Dopo i due anni canonici di praticantato, ottenuto l'attestato dei nostri Ordini professionali, abbiamo avanzato istanza, corredata dai documenti di rito, diretta a sostenere l'esame di stato. Ammassati, in 1.500, in spazi angusti e gelidi, bistrattati come questuanti alla ricerca di grazia, nell'infernale âtre giorniâ, in un frastuono ed in una confusione da suk, abbiamo redatto gli elaborati sugli argomenti assegnati. Signor Presidente, nelle altre Professioni intellettuali l'esame di stato è meramente formale: si svolge subito dopo la laurea ed è superato quasi automaticamente. Non si dica, signor Presidente, che la convivenza sociale sia posta in pericolo più da avvocati ignoranti che da medici asini o da ingegneri (progettano la costruzione dei ponti) imperiti !!! Noi, giovani aspiranti avvocati, siamo il frutto del Vostro insegnamento, dei Vostri indirizzi, dei Vostri esempi. Perché, dunque, se siamo sangue del Vostro sangue consentite che si calpesti e ( e perché Voi stessi, avvocati nostri giudici calpestate) così apertamente la nostra dignità? La sorte ha voluto che quest'anno i nostri destini fossero affidati alla Vostra saggezza, al Foro ed alle Toghe di una terra che ha dato i natali ad intellettuali insigni, giuristi eminenti e meridionalisti eccellenti. Eravamo contenti, fiduciosi, non perché pensavamo che foste âbuoniâ, quanto perché eravamo certi che foste âgiustiâ. Ci avete oltraggiato, ci avete marchiato a fuoco come i praticanti avvocati più impreparati d'Italia, avete descritto la scuola forense di questo âpezzoâ difficile di Calabria come la più inaffidabile del Paese. Perché, signor Presidente? Davvero, in coscienza pensa che una così rilevante percentuale di giovani intellettuali calabresi meriti questo disprezzo, mai, fin'ora, tributatole da altri? Signor Presidente, davvero Lei pensa che sia tollerabile essere censurati con due 30 ed un 29 ? Invidiamo questa precisione, signor Presidente, la invidiamo e ne siamo terrorizzati perché ci ricorda la spada salomonica che, contrariamente a quanto si pensa, rappresenta l'emblema della più âgiustaâ delle ingiustizie. Si dirà: questa è stata la valutazione della Commissione, la valutazione è insindacabile, discrezionale. Lo dice il Consiglio di Stato. Signor Presidente, nella nostra formazione giuridica c'è un feticcio, si, un feticcio, la motivazione, signor Presidente. E' il manifesto della democrazia la motivazione, signor Presidente: il potere, anzi l'esercizio del potere è condizionato alla spiegazione delle scelte; se non fosse così si tornerebbe indietro di cinquant'anni quando l'Amministrazione, a suo insindacabile giudizio e senza motivazione, aveva il potere di discriminare il cittadino non in linea con l'idea dominante. Le Commissioni catanesi non hanno motivato il marchio di infamia di imperizia di massa attribuitoci, signor Presidente. Il termine valutazione è carico di significati, di funzioni e di evocazioni. Quelle più frequenti nella mente di molti consistono nel segno di una matita rossa e blu che ha marcato le pagine dei nostri (e dei Vostri) quaderni di studenti, lasciando tracce indelebili anche nei nostri comportamenti e punti di vista. Quelli di noi che non sono stati ammessi a sostenere l'esame orale perché in una delle tre prove hanno ottenuto 29 punti e non 30 punti, non sapranno mai i motivi della mancanza di quella minuscola, infinitesimale, ma indispensabile frazione che ha indotto al rigoroso, altero e spietato ânon possumusâ. Signor Presidente, ci scusi se rappresentiamo a Lei, assolutamente estraneo ad ogni possibile rimostranza , la nostra sgomenta meraviglia, il nostro dolore e la nostra offesa, ma Lei, Signor Presidente, è il rappresentante massimo della nostra categoria in un lembo importante ed amato del nostro Paese, al quale ci accomunano tradizioni, sentimenti, storiche ed attuali sofferenze, il patimento di ataviche ingiustizie che, in questo caso, a nostro avviso sommesso, noi abbiamo da Voi subito. Saremo Colleghi, signor Presidente. Non sarà quest'anno, ma saremo Colleghi. Noi Le garantiamo, signor Presidente, che non saremo Giudici ingiusti con i Vostri figli o nipoti quando saremo chiamati a giudicarne l'idoneità ad essere, a loro volta, nostri Colleghi. Con il rispetto di chi ama l'Avvocatura, Le rivolgiamo i sensi dalla nostra alta considerazione". |