per quanto riguarda la traccia di diritto penale per svolgera correttamente bisognava conoscere la sentenza delle sezioni unite del 2008 sulla confisca, ed invero in quella sentenza la cassazione questo era il tema:La Suprema Corte, con una pronuncia a Sezioni Unite destinata ad avere un forte impatto nella prassi giudiziaria (Corte di Cassazione, Sezioni unite penali, sentenza n. 10280/08), è tornata a chiarire l'ambito e la portata dell'istituto della confisca, con specifico riferimento al reato di concussione. In particolare, la Corte era stata investita di una questione di legittimità di un sequestro preventivo relativo ad un bene acquistato con il danaro conseguito dall'indagato attraverso il reato di concussione. Si trattava, in altri termini, di stabilire se il bene in sequestro potesse correttamente qualificarsi come profitto, ancorchè indiretto, del reato e rientrare pertanto nella prima parte dell'art. 322 ter, comma I, c.p., che prevede la confisca obbligatoria del profitto di taluni delitti contro la P.A.
Il quadro normativo Prima di esaminare il contenuto della decisione della Corte di Cassazione, occorre soffermarsi brevemente sull'istituto della confisca, disciplinato in via generale dall'art. 240 c.p., al fine di ricostruire l'esatta portata delle questioni sottese alla pronuncia in esame. Come è noto, il codice Rocco, segnando una indubbia innovazione rispetto al previgente codice del 1889, ha annoverato la confisca nell'alveo delle "misure di sicurezza", per effetto dell'introduzione del meccanismo del doppio binario sanzionatorio. Infatti l'ascrizione normativa della confisca penale al novero delle misure di sicurezza è senz'altro ricollegabile all'assorbente funzione special-preventiva che si è voluto conferirle. Tuttavia la dottrina ha avuto modo di rilevare che la funzione di prevenzione di reati assegnata all'istituto appare l'unico denominatore comune della confisca con le altre misure di sicurezza: in particolare, i suoi presupposti di applicazione si incentrano sulla pericolosità intrinseca della res, laddove per le altre misure (segnatamente per quelle personali, ma anche per l'altra misura patrimoniale della cauzione di buona condotta) l'elemento di riferimento è la pericolosità del reus. Ciò ha consentito di sviluppare un ampio e risalente dibattito sulla vera natura della confisca, che taluno riconduce nel novero delle pene accessorie, mentre talaltro parla di sanzione intermedia di natura ibrida. L'attuale disciplina dell'istituto in esame contempla ipotesi di confisca facoltativa (come di regola) e casi di previsione obbligatoria, aventi per lo più natura sussidiaria. La previsione della confisca facoltativa è riferita, alternativamente, alle cose servite o destinate a commettere il reato , ovvero alle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato. In tal caso la confisca è applicabile solo con la sentenza di condanna. La confisca obbligatoria è invece statuita con riguardo alle cose che costituiscono il prezzo del reato oppure alle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisce reato tale istituto è applicabile anche al di fuori dei casi di pronuncia una sentenza di condanna. Per i delitti previsti nel primo capo del secondo titolo, libro secondo del codice penale un significativo irrigidimento sanzionatorio è avvenuto con l'entrata in vigore della l. 300/2000 (di ratifica, tra l'altro, della Convenzione Ocse del 1997 sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri), che, introducendo due nuovi articoli nel codice penale (art. 322 ter e art. 335 bis), ha reso obbligatoria la confisca in ipotesi nelle quali, a norma dell'art. 240 c.p., essa era facoltativa, estendendone la portata anche con riferimento ai beni assoggettabili a vincolo. In particolare, il comma I dell'art. 322 ter c.p. prevede la confisca obbligatoria dei beni costituenti il profitto, il prezzo o il valore ad essi corrispondente in caso di condanna o di patteggiamento per peculato, frodi in erogazioni pubbliche, concussione, corruzione passiva. Per converso, alla corruzione attiva, i cui autori, almeno di regola, non sono muniti di qualità pubblica, si applica la confisca prevista nel secondo comma dell'art. 322 ter c.p., che si riferisce appunto al delitto previsto nell'art. 321 c.p. La confisca dei beni di valore corrispondente al profitto od al prezzo del reato (la cosiddetta "confisca per equivalente") ha funzione sussidiaria, perchè può essere disposta solo quando non è possibile confiscare i beni costituenti il profitto od il prezzo del reato. Questa impossibilità va dunque accertata prima di procedere alla confisca dell'equivalente e può trattarsi tanto di impossibilità giuridica tanto di impossibilità di fatto. La confisca per equivalente è relativamente recente per il nostro ordinamento penale, perchè vi fu prevista per la prima volta con riferimento alla fattispecie di usura, così come riformulata per effetto della l. 108/1996 (art. 1, comma I). Il quadro normativo di riferimento per l'analisi della decisione della Suprema Corte si completa con il richiamo all'art. 321 c.p.p., che, al comma II, consente al giudice di disporre il sequestro preventivo delle cose di cui è consentita la confisca, realizzando così una funzione cautelare mediante la creazione di un vincolo di indisponibilità su determinati beni nelle more del procedimento penale.
Il fatto Ciò chiarito, è possibile esaminare il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte. Un pubblico ufficiale, precisamente un maresciallo dei carabinieri, approfittando del suo ruolo induceva un imprenditore edile e la moglie di questi, titolare di una farmacia, a corrispondergli una considerevole somma in danaro quale aiuto economico per l'acquisto di un casale, ciò in cambio del suo interessamento a varie indagini giudiziarie riguardanti le attività professionali dell'imprenditore e della di lui moglie. Per tale motivo, il maresciallo veniva indagato per concussione e il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Velletri emetteva un decreto di sequestro preventivo d'urgenza del suddetto casale, ponendo in evidenza che la somma corrisposta dai coniugi costituiva il profitto del reato di concussione e che essa equivaleva al valore dell'immobile. Il provvedimento, convalidato dal G.I.P. e confermato dal tribunale del Riesame, dopo varie vicende processuali, è approdato alla seconda Sezione penale della Corte di Cassazione. L'unica doglianza sollevata dal ricorrente era relativa all'erronea applicazione dell'art. 322 ter c.p., nell'assunto che, in ragione della nozione di profitto di cui al comma I della norma de qua, risulterebbe illegittima la confisca di beni non effettivamente percepiti dal soggetto attivo in corrispondenza alla sua condotta delittuosa, ma costituenti soltanto il valore corrispondente.
Il contrasto interpretativo ravvisato dalla Sez. II penale La prima questione che la seconda Sezione penale della Corte di Cassazione ha dovuto porsi concerne, dunque, la qualificazione giuridica della fattispecie in esame e l'individuazione delle norme di riferimento. Al riguardo va rammentato che, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità , i beni e le utilità che il concussore riceve per effetto della sua attività di costrizione o induzione costituiscono, a differenza di quanto deve dirsi per l'utilità ricevuta dal corrotto, il profitto e non il prezzo del reato (da ultimo Cass., Sez. VI penale, 30966/2007, Puliga,). Ciò si spiega considerando che il danaro o altro bene ricevuto dal concussore non è altro che il lucro, ovvero il provento del reato, e cioè il vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato. Per converso, il prezzo rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato. Ciò posto la seconda Sezione ha ritenuto di inquadrare il caso di specie nell'ambito del sequestro per equivalente o di valore disciplinato dall'articolo 322 ter, comma I, seconda parte, c.p., piuttosto che nell'ipotesi di sequestro del profitto di cui alla prima parte del comma I della stessa norma. Tale impostazione contrasta con quella seguita dai giudici dei primi due gradi di giurisdizione, che avevano ritenuto che il sequestro de quo fosse riconducibile alla prima parte dell'articolo 322 ter comma I c.p., nell'assunto che l'immobile costituisse il profitto, ancorchè indiretto, del delitto di concussione contestato ai coniugi in concorso tra loro. In sostanza, la Sezione remittente ha aderito ad un'impostazione restrittiva della nozione di profitto del reato, escludendo che essa possa farsi coincidere con qualsiasi vantaggio patrimoniale, indiretto o mediato, che possa scaturire da un reato. Il contrasto interpretativo che ha determinato la rimessione della questione alle Sezioni Unite scaturisce proprio dall'inquadramento della vicenda operato dalla seconda Sezione, poichè esso si riferisce all'interpretazione dell'art. 322 ter comma I, seconda parte c.p. In sintesi, la seconda Sezione ha rilevato che, con riferimento alla seconda parte dell'articolo 322 ter c.p., si sono formate due opzioni ermeneutiche: una tesi restrittiva, secondo cui il sequestro per valore è possibile soltanto con riferimento al prezzo del reato e non anche al profitto dello stesso ed una interpretazione estensiva, che ammette il sequestro di valore anche con riferimento al profitto del reato. A fronte di tale divergenza interpretativa, la seconda Sezione ha ritenuto di demandare la risoluzione della questione alle Sezioni Unite.
La decisione delle Sezioni Unite Le Sezioni Unite, investite della questione, hanno ritenuto irrilevante nel caso di specie il contrasto giurisprudenziale denunciato dalla Sezione remittente, assumendo che il disposto sequestro preventivo sia riconducibile alla prima parte dell'articolo 322 ter c.p. e che non si possa, quindi, parlare di sequestro per valore equivalente. Ad un tal tipo di soluzione si perviene attraverso una approfondita disamina del concetto di profitto del reato, sussumibile, insieme alla nozione di prodotto del reato, nella più ampia categoria dei proventi del reato, in cui non troverebbe ingresso il prezzo, inteso â€" come più sopra evidenziato- come il compenso previsto per indurre taluno a commettere il reato. Per individuare con precisione la nozione di profitto del reato, la Suprema Corte ritiene indispensabile ricostruire il nesso tra il bene da aggredire con la confisca, e, quindi, con il sequestro, ed il reato produttivo di utile economico. Sul punto si contrappongono due interpretazioni dell'articolo 240 c.p.. una più restrittiva, che ha affermato la necessità di una stretta affinità del bene con l'oggetto del reato, considerando irrilevante ogni altro legame di derivazione meramente indiretto e mediato, ed una più estensiva, che ha considerato profitto del reato anche i beni acquisiti con l'impiego dell'immediato profitto del reato. Le Sezioni Unite hanno aderito all'impostazione estensiva, ritenendola maggiormente conforme alla lettera dell'art. 240 c.p. e ad un'interpretazione logico - sistematica dell'istituto della confisca, posto che la ratio dell'istituto è certamente quella di consentire la confisca di tutto ciò che sia qualificabile come frutto, o meglio come provento, del reato commesso. Ne deriva che "qualsiasi trasformazione che il danaro illecitamente conseguito subisca per effetto di investimento dello stesso deve essere considerata profitto del reato quando sia collegabile causalmente al reato stesso ed al profitto immediato - il danaro - conseguito e sia soggettivamente attribuibile all'autore del reato, che quella trasformazione abbia voluto". Sul piano dell'interpretazione letterale si rileva che l'art. 240 c.p. si limita a prevedere soltanto un rapporto di pertinenzialità tra il bene da confiscare o sequestrare ed il reato commesso. Ciò dunque non autorizza a ritenere, come pure fa una certa giurisprudenza (cfr. ex multis, S.U.penali, 920/2004, Montella), che il profitto del reato costituisca unicamente il vantaggio di natura economica derivante dall'illecito e posto in diretta derivazione causale dall'attività del reo, intesa quale stretta relazione con la condotta illecita. La più ampia concezione, avallata dalle Sezioni Unite, trova ampio riscontro in giurisprudenza, a partire dalla sentenza n. 4114/95, Giacalone, utilizzata quale precedente di riferimento dai giudici dei primi due gradi di giudizio, poichè aveva considerato profitto del reato soggetto a confisca un appartamento acquistato con i proventi della concussione. Secondo il dictum di tale pronuncia, la trasformazione che il denaro, profitto del reato, abbia subito in beni di altra natura, fungibili o infungibili, non è di ostacolo al sequestro preventivo, il quale può avere ad oggetto il bene di investimento così acquisito. Un tal tipo di impostazione appare altresì confortata dalla ratio della normativa nazionale ed internazionale in materia di sequestro e confisca che si è andata sviluppando negli ultimi anni. Le Sezioni Unite non mancano infatti di rilevare che, accanto alla già citata funzione special-preventiva tipica delle misure di sicurezza, l'istituto della confisca sta via via assumendo una importante funzione general-preventiva e sanzionatoria, che sarebbe frustrata da un'interpretazione che rende difficilmente aggredibile il bene oggetto della trasformazione del danaro frutto dell'illecito commesso. Così, ad avviso della Suprema Corte, il legislatore ha inteso costruire un sistema complesso che consenta in primo luogo la confisca del profitto immediato, poi, sempre in base all'articolo 240 c.p., la confisca del cd. profitto indiretto o mediato, ovvero dei beni che siano causalmente riconducibili alla attività del reo ed, infine, per quel che concerne i delitti contro la pubblica amministrazione, la confisca per equivalente di cui all'articolo 322 ter c.p. Ciò è in linea con la normativa internazionale, che ha sempre considerato come oggetto della confisca il provento illecito, ovvero ogni vantaggio economico derivato dal reato. Così, la Convenzione di Vienna del 20 dicembre 1988 in materia di traffico illecito di stupefacenti prevede la confisca per i proventi da reato definiti come qualsiasi bene proveniente direttamente o indirettamente dalla commissione di un reato. Analogamente è a dirsi per la Convenzione sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali (Parigi, OCSE del 17 dicembre 1997), che ha dato impulso all'introduzione nel codice penale dell'art. 322 ter, e per la decisione - quadro relativa alla confisca dei beni, strumenti e proventi di reato del 24 febbraio 2005 della UE. Alla luce delle argomentazioni esposte, la Corte conclude affermando che il bene costituente profitto è confiscabile ai sensi degli articoli 240 e 322 ter, comma I, prima parte c.p. ogni qualvolta detto bene sia ricollegabile causalmente in modo preciso, ancorchè non diretto, alla attività criminosa posta in essere dall'agente. La soluzione prospettata dalle Sezioni Unite, senz'altro condivisibile, appare estremamente equilibrata e contribuisce a far ordine nella stratificazione normativa che riguarda l'istituto della confisca, recependo i più recenti orientamenti dottrinali, giurisprudenziali ed internazionali.
|