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12 dicembre 2013 - Atto giudiziario - PRIVATO
753 messaggi, letto 44334 volte
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Da: dubbio l''usucapione è stato introdotto con cosa?12/12/2013 11:05:41
usucapione è stato introdotto con citazione o ricorso?  nella prassi è possibile  con entrambi .. ma cambia per noi nell'impostare la comparsa... almeno nella forma...

Da: er sentenza12/12/2013 11:06:37
niente domanda riconvenzionale per atto civile perché Caio non è in mora.

Da: nori 12/12/2013 11:08:23
ma...soluzioni proposte???

Da: Jean Valjean_ 12/12/2013 11:09:26
Facilissimo. Basterà al venditore sostenere che la controparte deteneva e non possedeva il bene per contestare la tesi altrui.
Ruota tutto intorno alla distinzione fra detenzione e possesso.

Da: Geniotto 12/12/2013 11:09:33
Civile facilissimo: sezioni unite 7930 del 2008 sub art 1158

Da: Geniotto 12/12/2013 11:10:05
Ovviamente detenzione e non possesso!

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Da: Raccomandato di turno12/12/2013 11:10:46
sulle somme è intervenuta prescrizione. bisogna solo opporsi all'usucapione.

Da: Jean Valjean_ 12/12/2013 11:10:58
Al limite del ridicolo la semplicità di questo atto. In 4 ore si consegna pure la bella copia.

Da: francixxx12/12/2013 11:11:17
raga nessuno ha la traccia di amministrativo? solo la traccia..grazie

Da: Geniotto 12/12/2013 11:11:47
Esatto: vietato chiedere il pagamento delle somme. È da deficienti!

Da: pampaciune 12/12/2013 11:12:42
Spiegatemi dove sta la difficoltà nella redazione di sta roba, seriamente.

Da: Iban6912/12/2013 11:13:01
Nella prassi, sovente, il contratto preliminare prevede l'anticipazione di taluni effetti del definitivo, come il parziale pagamento del prezzo e/o la consegna del bene.  Al riguardo, la dottrina ha utilizzato la locuzione di preliminare ad effetti anticipati ma, come si vedrà, la giurisprudenza di legittimità ha, più precisamente, descritto la fattispecie come preliminare con anticipazione delle pretsazioni del definitivo. Si è posta la conseguente questione se tale contratto preliminare (con anticipazione degli effetti o delle prestazioni del definitivo) possa mantenere l'inquadramento nell'alveo del contratto preliminare o se vada già inquadrato nell'ambito del contratto definitivo. Secondo taluni se le prestazioni oggetto del definitivo sono già state eseguite per effetto del preliminare non ci sarebbe motivo di distinguerlo dal definitivo. Secondo la giurisprudenza prevalente, il punto centrale è quello di stabilire la volontà delle parti e, in particolare, acclarare se sussisteva la volontà di produzione immediata degli effetti traslativi o meno. La giurisprudenza effettua, di volta in volta, una valutazione casistica volta ad acclarare la concreta volontà delle parti. In certo qual modo connessa con la qualificazione della vicenda giuridica avente ad oggetto il contratto preliminare di vendita con anticipazione delle prestazioni che formano oggetto del definitivo, è la questione se la consegna anticipata del bene in favore del promissario acquirente, gli attribuisca la posizione di detentore qualificato o di possessore (ha avuto modo di soffermarsi sulla questione la sent n 7930 del 2008 della Suprema Corte di cassazione). Secondo la Suprema Corte, ove l'intento comune delle parti sia quella di impegnarsi alla stipula del definitivo e non quello di produrre immediatamente l'effetto traslativo, l'anticipazione di alcune delle prestazioni tipiche della vendita (prezzo e traditio), non toglie al contratto preliminare la sua natura di contratto ad effetti obbligatori, sicchè la situazione possessoria del promissario acquirente viene qualificata come detenzione qualificata non suscettibile di produrre l'usucapione del bene. La Cassazione, per quanto rigarda la consegna anticipata ed il prezzo, ha ricondotto la fattispecie ad un comodato collegato al preliminare. Per ciò che concerne l'anticipato versamento del prezzo, secondo la Suprema Corte, si tratterebbe di un mutuo gratuito. Insomma, come anticipato, secondo la Suprema Corte, nella fattispecie de qua, si è di fronte ad un'anticipazione della prestazione e non ad un'anticipazione degli effetti del definitivo.

Cassazione civile  sez. un. 27 marzo 2008 n. 7930
II promissario acquirente di un bene immobile il quale, in virtù di un preliminare di compravendita, da un lato, anticipi in tutto o in parte il pagamento del prezzo e, dall'altro, ottenga l'immediata immissione nel godimento del bene per effetto dell'esecuzione anticipata della consegna della "res" da parte del promittente venditore, non può essere qualificato come possessore in grado di acquisirne la proprietà a titolo di usucapione, non avendo egli l'"animus possidendi" che, essendo uno stato di fatto, non può essere trasferito. Costui, infatti, consegue la disponibilità materiale del bene in virtù di un contratto di comodato collegato al preliminare e ha, pertanto, la semplice detenzione qualificata della "res", esercitata "alieno nomine". Per converso, l'anticipazione del prezzo si spiega con la stipulazione di un contratto di mutuo gratuito, anch'esso collegato al preliminare. Tale detenzione, per trasformarsi in possesso utile ai fini dell'usucapione ventennale, necessita di uno specifico atto di "interversio possessionis". Quest'ultimo, peraltro, non è un semplice atto di volizione interna, ma deve chiaramente manifestarsi all'esterno attraverso il compimento di atti che consentano di desumere, anche al possessore, che il detentore ha iniziato a esercitare il potere di fatto sulla cosa "nomine proprio".
Orientamento confermato dalla Cass. del 2013 con la sentenza n. 16629 del 03/07/2013


Da: Jean Valjean_ 12/12/2013 11:15:59
Mai visto un atto più stupido e facile di questo. Siamo ai livelli di un tema su come hai passato le vacanze.

Da: Geniotto 12/12/2013 11:17:42
Jean Valjean quello dell'anno scorso fu ben più facile.

Da: KAL12/12/2013 11:17:48
Cassazione civile  sez. II  
Data: 21/02/2013 ( ud. 12/12/2012 , dep.21/02/2013 )
Numero:4332

Chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del "corpus", ma anche dell'"animus". Questo ultimo elemento può essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all'esercizio del diritlo di proprietà, sicché allora è il convenuto a dover di mostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall'attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto soltanto personale. In particolare, nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un'anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente, si fonda sull'esistenza di un contratta di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori. Deriva da quanto precede, pertanto, che la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile "ad usucapionem", salvo la dimostrazione di un'intervenuta "interversio possessionis" nei modi previsti dall'art. 1141 c.c.

Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1158, 1141 e 1164 c.c., in relazione all'affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui P.G. ha goduto dei beni per cui è causa a titolo di mera detenzione. Deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice del gravame, l'attore, sin dal momento della consegna degli immobili in questione da parte di P.A., ha sempre goduto di una parte del terreno e del capannone da lui costruito, per oltre venti anni, con l'animus possidendi. Il motivo si conclude con la formulazione di un quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., con cui si chiede, "se in tema di possesso l'animus possidendi che, ai sensi dell'art. 1141 c.c., si presume in colui che esercita il possesso di fatto sulla cosa corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà o altro diritto reale, possa sussistere indipendentemente dalla consapevolezza nel possessore di non avere alcun valido titolo che legittimi il potere, posto che l'animus possidendi consiste unicamente nell'intento di tenere la cosa come propria mediante l'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o altro diritto reale, indipendentemente dall'effettiva esistenza del relativo diritto o della conoscenza del diritto altrui; se, inoltre, i motivi allegati a giustificazione della datio dei beni oggetto di causa siano inidonei a fondare una valutazione circa l'animus dell'accipiens e se nel caso di specie la Corte di Appello, facendo propria la valutazione del Tribunale, si sia attenuta a detti principi di diritto.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l'insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza, in capo all'attore, di una situazione di mera detenzione e non di possesso. Il fatto controverso, ai sensi del citato art. 366 bis c.p.c., viene individuato nella questione se vi sia stato pieno possesso da parte del P. o mera detenzione.
Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1350, 1351, 1418 e 1422 c.c., con riferimento alla ritenuta sussistenza di un rapporto di natura obbligatoria sorto tra le parti in ragione dell'accordo tra le stesse intercorso, in forza del quale P.A. consegnò e mise a disposizione del fratello P.G. i terreni in questione, con l'intesa che i due avrebbero costruito a spese comuni il capannone ed avrebbero successivamente frazionato lo stesso e i terreni adiacenti, assegnandosene in proprietà esclusiva metà ciascuno. Rileva che tra i due fratelli non è intercorso alcun contratto ad effetti obbligatori, nè di comodato, nè di locazione nè, tanto meno, preliminare di compravendita; contratto, quest'ultimo, per la cui validità sarebbe stata necessaria la forma scritta. Il motivo si conclude con la formulazione di un quesito di diritto con cui si chiede se, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1350 e 1351 c.c., il contratto preliminare avente ad oggetto il trasferimento di un bene immobile o la costituzione, la modificazione o il trasferimento di un diritto reale su un bene immobile sia nullo in mancanza della forma scritta richiesta dalla legge ad substantiam e pertanto inidoneo a produrre effetti obbligatori tra le parti, se la nullità sia rilevabile d'ufficio in ogni grado del giudizio e se la Corte di Appello si sia attenuta a tali principi di diritto.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. per mancanza di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, non avendo l'appellante introdotto la questione del compossesso, come invece erroneamente ritenuto dalla Corte di Appello. Al termine del motivo, il ricorrente formula un quesito di diritto, con cui chiede se, ai sensi del combinato disposto degli artt. 99 e 112 c.p.c., vi debba essere necessariamente corrispondenza tra quanto chiesto dalle parti e quanto pronunciato dal giudice, il quale non può argomentare su questioni non formanti oggetto del giudizio, e se nel caso di specie la Corte di Appello si sia attenuta a tale principio di diritto.
Con il quinto motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 188 e 245 c.p.c., in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., nonchè della contraddittoria motivazione, in ordine alla ritenuta mancata individuazione del bene oggetto della domanda di usucapione. Sostiene che la Corte di Appello, nel ritenere che il P. non ha provato nemmeno l'estensione dell'area oggetto della pretesa usucapione, non ha considerato che all'attore è stato impedito, sia in primo che in secondo grado, di provare per testimoni i fatti dedotti. Il motivo si conclude con un quesito di diritto con cui si chiede se gli artt. 24 e 111 c.p.c. non abbiano applicazione diretta negli artt. 188 e 245 c.p.c., ossia nel consentire alle parti in causa di provare i fatti a fondamento della domanda, e se nel caso di specie la Corte di Appello abbia errato nel non ammettere le prove richieste dall'appellante.
Con il sesto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 1141 e 1325 c.c. e art. 115 c.p.c. Sostiene che in forza dell'art. 1141 c.c. si presume il possesso a favore di chi esercita il potere di fatto sulla cosa e che, pertanto, incombeva sulle convenute l'onere di dimostrare l'iniziale detenzione. Rileva che nella specie le resistenti non hanno provato l'esistenza di un titolo da cui desumere l'iniziale detenzione da parte di P.G., e che la prospettazione di fatto dell'attore non può assumere valore confessorio circa la iniziale detenzione del bene, non avendo egli mai dichiarato di aver avuto il godimento dell'immobile in base ad un titolo obbligatorio. A conclusione del motivo viene posto un quesito di diritto, con cui si chiede se dall'art. 1141 c.c. deriva una presunzione iuris tantum di possesso utile per l'usucapione a favore del soggetto che abbia un potere di fatto sulla cosa; se l'onere di provare che tale potere di fatto abbia avuto inizio come detenzione e non come possesso gravi sulla parte che contesti tale presunzione; se in mancanza di tale prova il giudice debba necessariamente ritenere esistente la prova del possesso; se ai fini della costituzione di un rapporto obbligatorio i motivi delle parti siano oggettivamente irrilevanti ed inidonei a sostituirsi alla causa, ed infine se il giudice debba porre a fondamento della propria decisione i fatti provati dalle parti senza sostituirsi ad esse. Nel caso di specie, dica se la Corte di Appello si è attenuta ai menzionati principi di diritto.
Con il settimo motivo, infine, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c. Deduce che la Corte di Appello non poteva utilizzare come fonte del proprio convincimento circa l'assenza di opere legittimanti un possesso esclusivo di parte dei beni in questione in capo all'appellante le fotografie prodotte in secondo grado dalle convenute, trattandosi di documentazione di cui il giudice del gravame non aveva autorizzato la produzione in base ai criteri indicati dall'art. 345 c.p.c.. Il quesito di diritto posto è se l'ammissibilità della produzione di nuovi documenti in sede di appello debba essere autorizzata dalla Corte di Appello con i criteri ed alle condizioni di cui all'art. 345 c.p.c., e se nello specifico la Corte di Appello Torino abbia rispettato i dettami di legge.
2) I primi tre motivi e il sesto, che per ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
Questa Corte ha più volte avuto modo di chiarire che chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del "corpus", ma anche dell'animus"; quest'ultimo elemento, tuttavia, può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all'esercizio del diritto di proprietà, sicchè è allora il convenuto a dover dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall'attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale. Pertanto, per stabilire se in conseguenza di una convenzione (anche se nulla per difetto di requisiti di forma) con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile si abbia possesso idoneo all'usucapione, ovvero mera detenzione, occorre fare riferimento all'elemento psicologico del soggetto stesso ed a tal fine stabilire se la convenzione sia un contratto ad effetti reali o ad effetti obbligatori, in quanto solo nel primo caso il contratto è idoneo a determinare l'"animus possidendi" nell'indicato soggetto (tra le tante v. Cass. 30-5-2000 n. 7142; Cass. 6-8-2004 n. 15145; Cass. 11-6- 2010 n. 14092). In particolare, è stato precisato che nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un'anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull'esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori. Pertanto la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile ad usucapionem, salvo la dimostrazione di un'intervenuta "interversio possessionis" nei modi previsti dall'art. 1141 c.c. (Cass. Sez. Un. 27-3-2008 n. 7930).
Nella specie, la sentenza impugnata non si è discostata dagli enunciati principi. La Corte di Appello, infatti, sulla base della stessa prospettazione dei fatti operata dall'attore, ha ritenuto che P.G. era stato immesso nel godimento degli immobili in questione in virtù di un accordo di natura obbligatoria intercorso con il fratello A., in forza del quale l'odierno ricorrente avrebbe contribuito con la propria attività manuale alla costruzione di un capannone, ottenendo in cambio, con successivo negozio, la proprietà di metà di tale manufatto e del terreno adiacente.
Non sussistono, pertanto, le dedotte violazioni di legge, atteso che, per quanto si è in precedenza chiarito, allorchè un soggetto riceva, come nel caso in esame, la consegna di un bene in base ad una convenzione di natura obbligatoria, il rapporto con la cosa si configura in termini di detenzione e non di possesso, non rilevando in contrario l'eventuale nullità dell'accordo negoziale per difetto dei prescritti requisiti di forma. Ineccepibilmente, di conseguenza, la Corte di Appello ha negato la configurabilità del possesso in capo all'attore.
Nè ricorrono i denunciati vizi di motivazione, essendo la decisione impugnata sorretta da argomentazioni congrue ed adeguate, basate sull'acclarata apprensione dei beni in questione da parte di P. G. in forza di un accordo intercorso con il fratello (offerta del 50% della proprietà in cambio di manodopera e materiali da costruzione). Ed è bene evidente che le ammissioni rese dall'attore circa i termini di tale accordo valgono a superare la presunzione di possesso posta dall'art. 1141 c.c., comprovando che la relazione di fatto tra P.G. e i beni in questione è iniziata come mera detenzione. Non rileva, in contrario, il fatto che l'odierno ricorrente non abbia dichiarato di aver avuto il godimento del bene in base ad un titolo obbligatorio, in quanto, come è noto, spetta al giudice dare l'esatta qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti dalle parti.
3) Il quarto motivo è inammissibile per carenza d'interesse.
La Corte di Appello, nel dare atto che in primo grado l'attore non aveva posto a base della propria domanda di usucapione una situazione di compossesso degli immobili in questione con il fratello, ma aveva esplicitamente richiesto l'usucapione sulla "parte" dei terreni e del capannone da lui utilizzata in modo pieno, ha ritenuto "ultroneo" qualsiasi riferimento a ipotesi di compossesso, contenuto nell'atto di appello. Poichè, dunque, il giudice del gravame ha limitato il proprio esame di merito alla dedotta situazione di possesso esclusivo di una porzione esclusiva degli immobili in oggetto, la questione del compossesso non ha assunto alcuna rilevanza ai fini della decisione di rigetto dell'appello; sicchè non è ipotizzabile alcun concreto interesse del ricorrente a far valere il dedotto vizio di ultrapetizione, che non ha comportato alcuna decisione aggiuntiva o modificativa della sentenza di primo grado.
4) Anche il quinto e il settimo motivo sono inammissibili per difetto d'interesse.
Le argomentazioni svolte dal giudice di appello in ordine alla mancata indicazione, da parte del P., dell'estensione dell'area che pretende di usucapire ed al mancato riscontro, attraverso i rilievi fotografici in atti, di opere dimostrative di un possesso esclusivo dei beni in questione in capo all'appellante, costituiscono ragioni dell'adottata decisione ulteriori rispetto a quelle, distinte ed autonome, svolte in relazione alla mancanza dell'animus possidendi, delle quali si è in precedenza trattato, di per sè idonee e sufficienti a giustificare la decisione di rigetto della domanda di usucapione.
Ciò posto, si richiama il consolidato orientamento della giurisprudenza, secondo cui, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l'accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, "in toto" o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l'una o l'altro sorreggano. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perchè il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (v. per tutte Cass. S.U. 8-8-2005 n. 16602).
5) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dal resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

Da: DITEMI GRAZIE12/12/2013 11:21:05
http://ww'w.justo'win.it/w'p-co'ntent/uplo'ads/2012/'11/co'mpar'sa-di-costit'uzione-e-risp'osta_cont'ratto-prelimina're-.p'df

eliminiate gli accenti '

Da: DITEMI GRAZIE12/12/2013 11:22:37
scusate era l'unico modo per caricare il link....

basta togliere gli accenti e unire le parole....

fatemi sapere come va...

Da: emi12/12/2013 11:23:10
si paranoico, che c ne fotte!l'usucapione si fa con citazione

Da: Raccomandato di turno12/12/2013 11:26:50
Tribunale di Roma
sezione civile
dr... - udienza del ...
COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA

Tizio, nato a ..., il ...., residente in .... , via .... n .... , rappresentato, assistito e difeso dall avv. ..... c.f. ..... con il quale ai fini della presente procedura, elettivamente domicilia in via .... ,n .... presso lo studio del predetto avvocato, in virtù di procura a margine del presente atto
convenuto

CONTRO
Caio, rappresentato e difesa dall'avv...

Premesso  che con atto di citazione notificato il ... , Caio ha convenuto in giudizio, innanzi codesta On.le Tribnale, Tizio deducendo di aver usucapito l'immobile di sua proprietà sito in Roma, alla via ... n... , così identificato ....,
Premesso che Tizio e Caio ....
RICOSTRUIRE IL FATTO (COSI' COME DA TRACCIA)

Col presente atto provvede a costituirsi in giudizio il convenuto Tizio il quale a mezzo del sottoscritto avvocato impugna e contesta estensivamente l'avverso dedotto, siccome inammissibile, improponibile, improcedibile ed in ogni caso assolutamente infondato in fatto ed in diritto, per cui ne chiede l'immediato rigetto con ogni conseguenza di legge

Da: KAL12/12/2013 11:26:53
Cassazione civile  sez. un.  
Data:27/03/2008 ( ud. 08/05/2007 , dep.27/03/2008 )
Numero:7930
Obbligazioni e contratti - Contratto - Preliminare - Consegna della cosa prima del contratto definitivo - Anticipazione dell' effetto traslativo - Esclusione - Contratto di comodato collegato al preliminare - Configurabilità - Conseguenze - Posizione del promissario acquirente - Possessore ad usucapionem - Esclusione - Detentore qualificato - Sussistenza

Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, devesi confermare che i due ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza e tra loro connessi, vanno riuniti ex art. 335 c.p.c..
Va, inoltre, del pari preliminarmente rilevato come i ricorsi rubricati sub nn. R.G. 13911/03 ( O. c/ ICE-SNEI) e R.G. 13686/03 (ICE-SNEI c/ O.), proposti contestualmente ai rispettivi controricorsi e con i quali, tra l'altro, le parti riprospettano le medesime questioni fatte valere con i loro ricorsi originari, siano da considerare inammissibili.
E', infatti, principio acquisito che la parte, dalla quale siasi già proposto ricorso per cassazione (sia esso principale od incidentale) contro alcune delle statuizioni della sentenza di merito, nel rapporto con un determinato avversario, non possa successivamente presentare un nuovo ricorso, nell'ambito dello stesso rapporto, nemmeno se nel frattempo abbia ricevuto notificazione del ricorso di detto avversario, ed a prescindere dal fatto che quest'ultimo possa suggerire un'estensione della contesa anche con riguardo ad altre pronunzie relative a quel rapporto, atteso che l'ordinamento non consente il reiterarsi o frazionarsi dell'iniziativa impugnatoria in atti separati (secondo il principio della cosiddetta consumazione dell'impugnazione) e che il relativo divieto non trova deroga nelle disposizioni di cui all'art. 334 c.p.c., le quali operano soltanto in favore della parte che, prima dell'iniziativa dell'altro contendente, abbia fatto una scelta di acquiescenza alla sentenza impugnata (da ultimo, Cass. 2.2.07 n. 2309, 14.11.06 n. 24219, 27.10.05 n. 20912, 26.9.05 n. 18756, 10.2.05 n. 2704, 24.12.04 n. 23976).
Si può, quindi procedere all'esame dei due ricorsi originar, dei quali quello previamente proposto (R.G. n. 10084/03 ICE-SNEI c/ O.) va considerato principale e quello successivo (R.G. 10431/03 O. c/ ICE-SNEI) incidentale.
1. - RICORSO PRINCIPALE. Con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente, denunziando violazione del principio della domanda con riferimento agli artt. 99 e 112 c.p.c., sotto il profilo della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del principio dell'onere della prova con riferimento all'art. 2697 c.c., si duole, rispettivamente: che il giudice a quo non abbia tenuto conto della domanda di risoluzione del preliminare, siccome formulata per inadempimento della controparte non all'obbligazione di stipulare il definitivo, unica presa in considerazione nell'impugnata sentenza pur senza domanda in tal senso, bensì alla diversa obbligazione di pagamento del prezzo, posta con l'art. 4 del contratto, laddove le parti avevano espressamente previsto che il ritardo nel pagamento o il mancato pagamento anche di una sola rata di mutuo avrebbe comportato la facoltà per la venditrice di risolvere il contratto, obbligazione della quale nella sentenza stessa non è stato tenuto alcun conto;
che il giudice a quo abbia escluso l'inadempimento della controparte in relazione al pagamento del prezzo convenuto nonostante questa non a-vesse fornito dimostrazione alcuna di tale pagamento.
Con il secondo motivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente denunzia vizi di motivazione sulle questioni sollevate con il motivo precedente.
Le riportate censure - che, per connessione, possono essere trattate congiuntamente - non meritano accoglimento sotto alcuno dei prospettati profili d'omessa pronunzia e d'extrapetizione.
Quanto al primo profilo, per inammissibilità: dacchè, come ripetutamente evidenziato da questa Corte, l'omessa pronunzia, quale vizio della sentenza, dev'essere, anzi tutto, fatta valere dal ricorrente per cassazione esclusivamente attraverso la deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4 e non già in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
Ciò che la ricorrente non ha fatto.
Può aggiungersi che, onde possa utilmente dedursi il detto vizio, è necessario, da un lato, che al giudice del merito fossero state rivolte una domanda od un'eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si rendesse necessaria ed ineludibile, e, dall'altro, che tali domanda od eccezione siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente e/o per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l'indicazione specifica, altresì, dell'atto difensivo del giudizio di secondo grado nel quale l'una o l'altra erano state proposte o riproposte, onde consentire al giudice di legittimità di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività della proposizione nel giudizio a quo ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi; ove, infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, dell'art. 112 c.p.c., ciò che configura un'ipotesi di error in procedendo per il quale questa Corte è giudice anche del "fatto processuale", detto vizio, non essendo rilevabile d'ufficio, comporta pur sempre che il potere- dovere del giudice di legittimità d'esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato all'adempimento da parte del ricorrente, per il principio d'autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l'altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito, dell'onere d'indicarli compiutamente, non essendo consentita al giudice stesso una loro autonoma ricerca ma solo una loro verifica (Cass. 19.3.07 n. 6361, 28.7.05 n. 15781 SS.UU., 23.9.02 n. 13833, 11.1.02 n. 317, 10.5.01 n. 6502).
Anche rispetto a tali oneri la ricorrente risulta inadempiente, donde un'ulteriore ragione d'inammissibilità della censura.
Quanto al secondo profilo, per infondatezza, dacchè, almeno nei termini in cui sono state prospettate, le censure d'extrapetizione e di connesso vizio di motivazione non trovano rispondenza all'esame della sentenza impugnata.
Con la quale la causa petendi della riconvenzionale in risoluzione proposta dall'odierna ricorrente è stata correttamente individuata, nel fatto che " O.E. con detto preliminare si era impegnato al pagamento della complessiva somma di L. 8.337.360, ma non aveva provveduto al pagamento delle rate in cui era stato dilazionato il prezzo nè al pagamento delle rate del mutuo accollato", ma ne è stato escluso il fondamento, in quanto vi si è ritenuto che, risultando contrattualmente pattuita la stipulazione del definitivo nei dieci giorni dall'invito rivolto per lettera raccomandata dalla promittente venditrice al promissario acquirente e la prima non avendo mai provveduto al riguardo, nessun inadempimento fosse imputabile al secondo "neanche in relazione al pagamento del prezzo convenuto".
In siffatto se pur sintetico iter logico-argomentativo - evidentemente ispirato al principio per cui un inadempimento del promissario acquirente all'obbligazione di pagamento del prezzo non può ravvisarsi ove non siano stati contrattualmente stabiliti versamenti a scadenze determinate anteriori alla stipulazione del definitivo - sarebbero stati eventualmente ravvisabili e denunziabili errori d'interpretazione del contratto preliminare e/o d'inappropriata applicazione del richiamato principio al caso di specie, peraltro neppure accennati con i motivi in esame, ma non sono ravvisabili i dedotti vizi d'extrapetizione e di connesso difetto di motivazione.
D'altra parte, la censura neppure presenta il requisito dell'autosufficienza, ed è pertanto inammissibile, dacchè non vi è riportato il testo del contratto o, quanto meno, delle clausole tutte pertinenti alla prospettata questione, di guisa che il giudice di legittimità, cui non è consentito l'esame diretto dell'incarto processuale se non nelle ipotesi di denunziati errores in procedendo, non è posto in condizione di valutare la dedotta erronea applicazione del regolamento pattizio.
2. - RICORSO INCIDENTALE. L' O. - denunziando con il primo motivo del ricorso n. 10431/03 la violazione dell'art. 1158 c.c. e art. 116 c.p.c., nonchè omessa o insufficiente e contraddittoria motivazione - oltre a dolersi dell'inadeguatezza delle argomentazioni svolte dalla corte territoriale, laddove ha escluso l'interversione della sua detenzione sull'immobile de quo in un possesso utile all'usucapione, contesta, anzi tutto, la stessa qualificazione come detenzione, anzichè come possesso, data da quel giudice alla materiale disponibilità del bene quale da lui conseguita in esecuzione di specifica clausola del contratto preliminare; assume, al riguardo, che, tale pattuizione avendo avuto la funzione di anticipare gli effetti del trasferimento del diritto di proprietà, oggetto del contratto cui era intesa la volontà delle parti, e, quindi, anche l'effetto dell'immissione nel possesso e non nella detenzione dell'immobile, non fosse conseguentemente necessario alcun atto d'interversione perchè ne avesse luogo l'usucapione con il decorso del termine ventennale di prescrizione acquisitiva dall'immissione nel godimento dello stesso.
In tal senso svolgendo le proprie tesi, l' O. contrappone alla soluzione adottata dal giudice a quo - che, come ricordato nell'ordinanza di rimessione, si è conformato alla giurisprudenza di legittimità prevalente - la difforme soluzione adottata da un indirizzo giurisprudenziale minoritario e, tuttavia, a tratti riemergente in alcune pronunzie, anche relativamente recenti, di questa Corte.
La motivazione della maggior parte delle quali si traduce in affermazioni apodittiche, riproduttive di massime tralaticie, mentre, nelle poche obiettivamente argomentate, l'iter logico dell'adottata soluzione prende le mosse dalla considerazione per cui il possesso non è escluso dalla conoscenza del diritto altrui, nè è subordinato all'esistenza della correlativa situazione giuridica, dacchè esso è ricollegato, sia sotto il profilo materiale (corpus) sia sotto quello psicologico (animus), ad una situazione di fatto, che si concretizza nell'esercizio di un potere oggettivo sulla cosa manifestantesi in un'attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà o di altro diritto reale e distinguentesi dalla detenzione solo per l'atteggiamento psicologico del soggetto che lo esercita, caratterizzato, nel possesso, dal cd. animus rem sibi habendi (ossia, l'intenzione o il volere di esercitare la signoria che è propria del proprietario o del titolare del diritto reale) e, nella detenzione, dal cd. animus detinendi (che implica il riconoscimento della signoria altrui).
Soggiungendosi, poi, che tale principio di carattere generale non soffre deroga nei casi in cui il soggetto che assume d'essere possessore abbia ricevuto il godimento dell'immobile per effetto d'una convenzione negoziale, con la precisazione che, se la convenzione ha effetti obbligatori, perchè diretta ad assicurare il mero godimento della cosa, senza alcun trasferimento immediato o differito del bene, colui che, avendo ricevuto la consegna per questo solo scopo, si è immesso, nomine alieno, nel godimento del bene, necessariamente stabilisce con la cosa un rapporto di mera detenzione che gli consente di mutare il titolo originario di questo rapporto con la cosa solo attraverso un atto di interversione del possesso, ai sensi dell'art. 1141 c.c., comma 2.
Vi si evidenzia, quindi, che ciò spiega la ragione del principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo il quale "per stabilire se in conseguenza di una convenzione con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile si abbia un possesso idoneo alla usucapione o una mera detenzione, occorre fare riferimento all'elemento psicologico del soggetto stesso ed a tal fine stabilire se la convenzione sia un contratto ad effetti reali o un contratto ad effetti obbligatori, dato che solo nel primo caso il contratto è idoneo a determinare nel predetto soggetto l'animus possidendi (sent. n. 4819 del 1981; sent. n. 4698 del 1987; sent. n. 741 del 1983)"; che, tuttavia, proprio la ragione del principio di diritto ora enunciato ne fissa anche il limite, escludendone l'applicazione alle convenzioni con le quali, per quanto con effetti solo obbligatori, le parti tendano a realizzare il trasferimento della proprietà del bene o di un diritto reale su di esso quando ad esse si aggiunga un patto accessorio d'immediato effetto traslativo del possesso, sostanzialmente anticipatore degli effetti traslativi del diritto che, con la convenzione, le parti stesse si sono ripromesse di realizzare.
Vi si perviene, così, alla conclusione per cui nelle ipotesi predette, tra le quali rientra quella più diffusa del contratto preliminare di compravendita, la convenzione non tende solo ad attribuire il godimento del bene (che si realizza, appunto, attraverso il trasferimento della mera detenzione, caratterizzando coerentemen-te la consegna della cosa) ma è in funzione di un comune proposito di trasferimento della proprietà o di un diritto reale, alla quale è coerente il passaggio immediato del possesso, che costituisce solo un'anticipazione dell'effetto giuridico finale perseguito; onde il patto di immediato trasferimento del possesso che eventualmente acceda a queste convenzioni, con le quali è perfettamente compatibile, caratterizza, dunque, anche la consegna che ad esso faccia seguito, conferendole effetti attributivi della disponibilità possessoria e non della mera detenzione, anche in mancanza dell'immediato effetto reale del contratto cui il patto accede, tenuto anche conto che la consegna, essendo il possesso un fenomeno che prescinde dal fondamento giustificativo, è atto neutro, o negozio astratto, per il quale non si richiede affatto il requisito del fondamento causale.
Tali essendo le ragioni giustificative delle esaminate decisioni, devesi considerare che, sfrondate dei superflui richiami ai principi generali, che si dichiarano condivisi, esse si riducono, in buona sostanza, alla sola affermazione per cui, nonostante la natura esclusivamente obbligatoria del preliminare, con il prevedervi anche l'immediata consegna del bene verso la contestuale corresponsione, in tutto od in parte, del prezzo, i contraenti intendono anticipare "l'effetto traslativo del diritto" proprio del definitivo.
Tesi siffatta non può trovare adesione, sia che della fattispecie in esame si consideri l'aspetto possessorio, in quanto il possesso non è suscettibile di trasferimento disgiuntamente dal diritto reale del quale costituisce l'esercizio, sia che se ne consideri quello contrattuale, in quanto la disponibilità della res conseguita dal promissario acquirente deriva da un contratto di comodato collegato al preliminare per il quale al comodatario è attribuita la detenzione e non il possesso; ciò per le ragioni che di seguito si espongono.
In primis, è lo stesso invocato intento delle parti ad esservi erroneamente individuato e/o travisato, in quanto, con lo stipulare un preliminare, sono per l'appunto gli effetti reali traslativi, propri del definitivo, che le parti non vogliono si verifichino per effetto immediato e diretto della conclusa convenzione.
La situazione giuridica in esame, come evidenziato anche in dottrina, è, in vero, il portato d'una prassi contrattuale sviluppatasi, essenzialmente nel settore immobiliare, in ragione della sua attitudine a fornire uno strumento idoneo a soddisfare sollecitamente determinate esigenze delle parti, principalmente la disponibilità del bene per l'una e del denaro per l'altra ma ulteriori se ne possono agevolmente ipotizzare, pur contestualmente garantendone i rispettivi diritti sui beni oggetto delle reciproche attribuzioni, indipendentemente dalla sorte della convenzione, per il tempo necessario a che si realizzino quelle condizioni oggettive e/o soggettive, agevolmente ipotizzabili anch'esse nella loro molteplicità, in ragione delle quali - tanto che siano rimaste del tutto estranee alla convenzione, eppertanto giuridicamente irrilevati anche a solo livello di presupposizione, quanto che, invece, sianvi espressamente previste come condizioni sospensive o risolutive - le parti stesse non hanno voluto o potuto addivenire ad un contratto definitivo.
Sono usuali, al riguardo, particolarmente nella materia delle compravendite immobiliari - che è quella più interessata dal fenomeno - le ipotesi in cui il promittente venditore debba portare a termine procedimenti amministrativi di regolarizzazione dell'edificio od opere di completamento dell'edificio stesso o delle infrastrut- ture accessorie od estinguere ipoteche o mutui, in difetto di che non sussiste l'interesse e conseguentemente la volontà di perfezionare l'acquisto da parte del promissario acquirente; o quelle in cui quest'ultimo debba, a sua volta, procurarsi, anche in più riprese, le disponibilità necessarie alla corresponsione integrale del prezzo, il conseguimento del quale condiziona parimenti interesse e volontà del promittente venditore alla realizzazione della vendita.
Dottrina e giurisprudenza, quando - sulla considerazione per cui la terminologia "promette di vendere o di acquistare" non è automaticamente indicativa d'una semplice promessa e la cosiddetta anticipazione degli effetti della vendita può essere indice dell'intento di porre in essere un contratto definitivo se il differimento della manifestazione di volontà non risulti chiaramente dal contratto - affermano che, al fine di attribuire ad una stipulazione il contenuto del contratto di compravendita o piuttosto quello del preliminare di compravendita, è determinante l'identificazione del comune intento delle parti - diretto, nel primo caso, al trasferimento della proprietà della res verso la corresponsione di un certo prezzo, conformemente alla causa negoziale dell'art. 1470 c.c., e, nel secondo caso, all'insorgenza di un particolare rapporto obbligatorio che impegni ad un'ulteriore manifestazione di volontà, alla quale sono rimessi il trasferimento del diritto dominicale sulla res e l'adempimento dell'obbligazione del pagamento del prezzo - onde il giudice del merito deve esaminare la stipulazione nel suo complesso al fine di accertare la comune volontà delle parti nell'un senso piuttosto che nell'altro, compiono, in verità, solo un primo approccio alla questione in esame, che, evidentemente, più non si porrebbe ove l'accertamento demandato al giudice si risolvesse nel senso del contratto ad effetti reali, dacchè, in tal caso, non vi sarebbe, evidentemente, luogo a parlare di preliminare, dacchè le prestazioni rese avrebbero già realizzato gli effetti del definitivo.
Viceversa, se l'accertamento compiuto dal giudice dovesse approdare al preliminare, è da escludere in re ipsa, come si è già sottolineato, che le parti intendessero realizzare qualsiasi effetto del definitivo, eppertanto, ai fini della soluzione della questione in esame, si rende necessaria un'indagine ulteriore e diversa in ordine alla volontà delle parti, onde identificare quali effetti, differenti da quelli propri del definitivo ma aggiuntivi rispetto a quelli ordinari del preliminare, le parti stesse avessero inteso far derivare dalla convenzione, in attuazione della quale ed in particolare delle pattuizioni aggiuntive hanno, di seguito, operato alcune prestazioni corrispondenti a quelle proprie del definitivo.
Al fine della qual ulteriore indagine, devesi preliminarmente considerare come la previsione e l'esecuzione della traditio della res e/o del pagamento, anche totale, del prezzo non siano affatto, di per se stessi, incompatibili con l'intento di stipulare un contratto solo preliminare di compravendita, dacchè, in tal guisa operando, le parti manifestano e concretamente realizzano esclusivamente l'intento d'anticipare non gli effetti del contratto di compravendita - l'impegno alla cui futura stipulazione costituisce l'oggetto delle obbligazioni assunte con la convenzione stipulata nella prescelta forma del preliminare, mentre tali effetti rappresentano, per contro, proprio quel risultato cui le parti stesse non hanno inteso, al momento, pervenire - ma solo quelle prestazioni che delle obbligazioni nascenti dalla compravendita costituiscono l'oggetto, id est la consegna della res ed il pagamento del prezzo, quali, ex artt. 1476 e 1498 c.c., sono poste a carico, rispettivamente, del venditore e del compratore (nel tempo, Cass. 19.4.00 n. 5132, 7.4.90 n. 2916, 3.11.88 n. 5962, ma già 1.12.62 n. 3250).
Escluso che con la stipulazione del preliminare, sia pure con previsione, ed esecuzione, della consegna della res e/o del pagamento del prezzo, le parti debbano avere necessariamente inteso che si verificassero gli effetti della compravendita - nel qual caso, d'altronde, come si è già evidenziato, si sarebbe in presenza d'un definitivo e non d'un preliminare - devesi anche escludere che, in virtù di tale esecuzione, possa essersi trasmesso dal promittente venditore al promissario acquirente il possesso della res.
In vero, come questa Corte ha già avuto occasione d'evidenziare - richiamando anche accreditata dottrina, per la quale "ciò che si trasferisce è solo l'oggetto del possesso, il quale, invece, non si compra e non si vende, non si cede e non si riceve per l'effetto di un negozio", e, perciò, "l'acquisto a titolo derivativo del possesso è un'espressione da usarsi solo in senso empirico e traslato" - dalla stessa nozione del possesso, definito dall'art. 1140 cod. civ. come "il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale", si evince ch'esso non può essere trasferito per contratto separatamente dal diritto del quale esso costituisca l'esercizio, considerato che un'attività non è mai trasmissibile, ma può solo essere intrapresa, e l'intrasmissibilità è maggiormente evidente in ordine al possesso, in quanto l'attività che lo contraddistingue deve essere accompagnata dall'animus possidendi (volontà di esercitare sulla cosa una signoria corrispondente alla proprietà o ad altro diritto reale), cioè da un elemento che, per la sua soggettività, può essere proprio soltanto di colui che attualmente possiede e non di chi ha posseduto in precedenza. (Cass. 27.9.96 n. 8528).
Quindi esattamente si è affermato in dottrina che, essendo il possesso uno stato di fatto, l'acquisto ne è in ogni caso originario, sì che anche chi propende per la tesi contraria riconosce che di acquisto derivativo possa parlarsi "soltanto per sottolineare che l'acquisto del possesso ha luogo con l'assenso e la partecipazione del precedente possessore e non con il solo contegno di colui che acquista il possesso, come accade nell'apprensione".
L'unica eccezione a questa regola si ha nella successione universale, ma è un'eccezione espressamente prevista e regolata dal legislatore che, in forza dell'elaborata fictio legis, ha consentito la continuazione nell'erede del possesso esercitato dal de cuius, con effetto dall'apertura della successione, indipendentemente dalla verificazione dei suoi presupposti di fatto, ma, appunto perchè di diritto singolare ed eccezionale, l'istituto non può essere utilizzato onde pervenire ad una soluzione diversa da quella indicata con la richiamata regola generale.
Nè, a sostegno della tesi della possibilità d'una trasmissione contrattuale del possesso, può richiamarsi l'art. 1146 c.c., comma 2, perchè per tale norma l'accessio possessionis, da essa prevista, ha, per presupposto indispensabile, l'esistenza di un titolo, anche viziato, idoneo in astratto, alla cessione del diritto di proprietà (o di altro diritto reale) del bene formante oggetto del possesso (Cass. 6552/81, 3876/76, 3369/72, 936/70, 1378/64, 1044/62); inoltre, la norma non prevede affatto la trasmissione del possesso da un soggetto all'altro, ma soltanto la possibilità per il successore a titolo particolare (acquirente o legatario) di unire al proprio possesso quello distinto e diverso del dante causa per goderne gli effetti sostanziali e processuali.
Per altro verso, devesi considerare che il preliminare di compravendita con il quale siano contestualmente pattuite anche la consegna anticipata della res e la corresponsione del pari anticipata del prezzo in una o più soluzioni non è un contratto atipico, almeno se con tale termine s'intende definire un contratto caratterizzato da una funzione economico-sociale non riconducibile agli schemi normativamente predeterminati e tuttavia suscettibile di riconoscimento e di tutela, sul presupposto dell'autonomia contrattuale che l'ordinamento riconosce ai privati, in ragione della sua liceità e della sua meritevolezza.
Nella fattispecie in esame va ravvisata, infatti, la convergenza, in un'unica convenzione, degli elementi costitutivi di più contratti tipici, nel qual caso resta escluso che la convenzione stessa possa essere qualificata come atipica, dal momento che, sia pure considerata nelle sue plurime articolazioni, non è intesa a realizzare una funzione economico-sociale nuova e diversa rispetto a quelle dei singoli contratti tipici che in essa sono confluiti.
Pertanto, considerato che le parti, nell'esplicazione della loro autonomia negoziale, possono, con manifestazioni di volontà espresse in un unico contesto, dar vita a più negozi tra loro del tutto distinti ed indipendenti, come pure a più negozi variamente interconnessi, la qualificazione della fattispecie va, piuttosto, effettuata con riguardo alla sua riconducibilità nell'ambito d'una delle categorie, elaborate da dottrina e giurisprudenza nell'esame delle fattispecie congeneri, dei contratti misti o complessi, o dei contratti collegati.
I contratti misti o complessi sono quelli maggiormente assimilabili al contratto atipico, se pur se ne differenziano per non essere intesi alla realizzazione d'una funzione economico-sociale nuova e diversa rispetto a quelle dei contratti tipici che vi confluiscono, dacchè in essi la pluralità degli schemi contrattuali tipici u- tilizzati si combina in guisa che, per la fusione delle cause, gli elementi costitutivi di ciascun negozio vengono assunti quali elementi costitutivi di un negozio rispetto a ciascun d'essi autonomo e distinto caratterizzato dall'unicità della causa; con la precisazione, evidenziata da alcuna parte della dottrina, per cui, nei contratti misti, si ha un solo schema negoziale, al quale vengono apportate alcune variazioni mediante l'inserimento di clausole assunte da uno o più diversi schemi, mentre, in quelli complessi, si ha la convergenza di tutti gli elementi costitutivi tratti da più schemi negoziali tipici nella regolamentazione dell'unico negozio risultantene.
Nell'una ipotesi come nell'altra, la disciplina del contratto è unitaria, come unitaria ne è la causa, e va ravvisata in quella del negozio di maggior rilievo, questo da individuarsi, quanto al contratto misto, nell'unico contratto cui sono stati aggiunti singoli elementi tratti da altri e che in esso si fondono (teoria dell'assorbimento), e, quanto al contratto complesso, in quello, tra i più contratti integralmente confluiti nell'unica convenzione, cui, all'esame della volontà quale in concreto manifestata dalle parti, risulti essere stato conferito rispetto agli altri il maggior rilievo in considerazione della finalità perseguita (teoria della prevalenza).
Minor seguito ha, in dottrina, la tesi per cui, nell'ipotesi del contratto complesso, i vari profili della convenzione andrebbero singolarmente disciplinati con riferimento allo schema contrattuale corrispondente (teoria della combinazione); ed, in effetti, tesi siffatta non consente, poi, a differenza dalla teoria della prevalenza, un'adeguata differenziazione di disciplina tra la fattispecie del contratto complesso e quella dei contratti collegati.
La quale ricorre ove più contratti autonomi, ciascuno caratterizzato dalla propria causa, formino oggetto di stipulazioni coordinate, nell'intenzione delle parti, alla realizzazione di uno scopo pratico unitario, costituito, di norma, dall'agevolare la realizzazione della funzione economico-sociale dell'un d'essi.
Il collegamento contrattuale, come è stato ripetutamente evidenziato dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, nei suoi aspetti generali non da luogo ad un autonomo e nuovo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo contratto, bensì attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi.
Ond'è che il criterio distintivo fra contratto unico, se pur misto o complesso, e contratto collegato non va ravvisato in elementi formali - quali l'unità o la pluralità dei documenti contrattuali (un contratto può essere unico anche se ricavabile da più testi, mentre un unico testo può riunire più contratti) o la mera contestualità delle stipulazioni (i contratti posso essere stipulati anche in momenti diversi in relazione ad esigenze sopravvenute) - ma nell'elemento sostanziale dell'unicità o pluralità degli interessi perseguiti, dacchè il "contratto collegato" non è un tipo particolare di contratto, ma uno strumento di regolamentazione degli interessi economici delle parti caratterizzato dal fatto che le vicende che investono un contratto (invalidità, inefficacia, risoluzione, ecc.) possono ripercuotersi sull'altro, seppure non in funzione di condizionamento reciproco (ben potendo accadere che uno soltanto dei contratti sia subordinato all'altro, e non anche viceversa) e non necessariamente in rapporto di principale ad accessorio.
Pertanto, affinchè possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico, che impone la considerazione unitaria della fattispecie, è necessario che ricorrano sia il requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell'ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia il requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l'effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale.
Tanto considerato, risulta evidente come la fattispecie in discussione debba essere ricondotta alla categoria dei contratti collegati.
In essa, infatti, le parti, onde agevolare, per le plurime ragioni quali in precedenza accennate, la realizzazione delle finalità perseguite con la stipulazione del preliminare di compravendita, stipulano altresì - e, come del pari si è già evidenziato, ciò può aver luogo contemporaneamente e contestualmente al preliminare ma anche in tempi e con atti diversi, a seconda che le circostanze lo richiedano - dei contratti accessori, al preliminare necessariamente perchè funzionalmente connessi e, tuttavia, autonomi rispetto ad esso, rispondendo ciascuno ad una precisa tipica funzione economico- sociale eppertanto disciplinati ciascuno dalla pertinente normativa sostanziale.
Contratti con i quali le parti pervengono ad una regolamentazione, se pur provvisoria tuttavia ben definita, dei rapporti accessori funzionalmente collegati al principale e nei quali, secondo un'autorevole opinione dottrinaria meritevole d'esser condivisa, vanno ravvisati, quanto alla concessione dell'utilizzazione della res da parte del promittente venditore al promissario acquirente, un comodato e, quanto alla corresponsione di somme da parte del promissario acquirente al promittente venditore, un mutuo gratuito.
Ne consegue, con riferimento al primo dei considerati contratti, che la materiale disponibilità della res nella quale il promissario acquirente viene immesso, in esecuzione del contratto di comodato, ha natura di detenzione qualificata esercitata nel proprio interesse ma alieno nomine e non di possesso.
Possesso che il promissario acquirente può, dunque, opporre al promittente venditore solo nei modi previsti dall'art. 1141 c.c., in particolare assumendo e dimostrando un'intervenuta interversio possessionis.
Questa, come ha correttamente ricordato il giudice a quo, non può aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia consentito desumere che il detentore ha cessato d'esercitare il potere di fatto sulla cosa nomine alieno ed ha iniziato ad esercitarlo esclusivamente nomine proprio ed, inoltre, manifestazione siffatta dev'essere non solo tale da palesare inequivocabilmente l'intenzione del soggetto di sostituire al precedente animus detinendi un nuovo animus rem sibi habendi, ma anche essere specificamente rivolta contro il possessore, in guisa che questi sia posto in condizione di rendersi conto dell'avvenuto mutamento, quindi tradursi in atti ai quali possa riconoscersi il carattere della concreta opposizione all'esercizio del possesso da parte del possessore stesso; tra tali atti, ove non accompagnati da altra manifestazione dotata degli indicati connotati dell'opposizione, non possono ricomprendersi nè quelli che si traducano in una inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita, verificandosi in tal caso un'ordinaria ipotesi d'inadempimento contrattuale, nè quelli che si traducano in ordinari atti d'esercizio del possesso, verificandosi in tal caso una mera ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene.
Al qual riguardo l' O. addebita al giudice a quo, denunziando vizi di motivazione, di non aver desunto dalle emergenze istruttorie quegli evidenti elementi costitutivi della fattispecie ch'egli ritiene vi fossero adeguatamente rappresentati.
La censura non merita accoglimento.
Per costante insegnamento di questa Corte, in vero, il motivo di ricorso per Cassazione con il quale alla sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 dev'essere inteso a far valere, a pena d'inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 4, in difetto di loro specifica indicazione, carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell'attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi; non può, invece, essere inteso a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte ed, in particolare, non vi si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli e-lementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell'iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma in esame; diversamente, il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe - com'è, appunto, per quello di cui trattasi - in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.
Nè, com'è del pari da tralaticio insegnamento di questa Corte, può imputarsi al detto giudice d'aver omesse l'esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l'una nè l'altra gli sono richieste, rientrando nel suo potere discrezionale, a norma dell'art. 116 c.p.c., individuare le fonti del proprio convincimento, mentre soddisfa all'esigenza d'adeguata motivazione che questo, una volta raggiunto, risulti da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo; in altri termini, perchè sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell'art. 132 c.p.c., n. 4 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell'esito dell'avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell'adottata decisione evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse.
Nella specie, non solo il motivo, già non inteso a censurare la rado decidendi ma a prospettare una diversa interpretazione degli accertamenti in fatto, estranea alle valutazioni consentite al giudice di legittimità, è per ciò solo inammissibile, ma la motivazione fornita dal giudice a quo all'assunta decisione risulta logica e sufficiente, basata com'è su argomentazioni adeguate in ordine alla valenza oggettiva dei plurimi e pertinenti elementi di giudizio presi in considerazione e su razionali valutazioni di essi;
un giudizio operato, pertanto, nell'ambito dei poteri discrezionali del giudice del merito a fronte del quale, in quanto obiettivamente immune dalle censure ipotizzabili in forza dell'art. 360 c.p.c., n. 5 la diversa opinione soggettiva di parte ricorrente è inidonea a determinare le conseguenze previste dalla norma stessa.
Con il secondo motivo, il ricorrente - denunziando violazione dell'art. 102 c.p.c. - si duole che il giudizio di merito promosso dalla controparte per la risoluzione del preliminare si sia svolto a contraddittorio non integro, in quanto il contratto in discussione era stato stipulato anche da suo fratello Ettore, rimasto estraneo al giudizio, e che tale nullità non sia stata rilevata d'ufficio dal giudice a quo.
La doglianza va disattesa, in quanto l' O., totalmente vittorioso sul punto essendo stata respinta l'avversa domanda di risoluzione tanto in primo grado quanto in appello, difetta d'interesse ad impugnare per cassazione al riguardo se non condizionatamente all'accoglimento del ricorso di controparte, condizione che, come da reiezione del ricorso principale, non si è avverata.
3. - CONCLUSIONI. Nessuno degli esaminati motivi meritando accoglimento, entrambi i ricorsi vanno, dunque, respinti.
Tale esito del giudizio di legittimità giustifica l'integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio stesso.
PQM
P.Q.M.
LA CORTE Decidendo a Sezioni Unite, dichiara inammissibili i ricorsi iscritti al R.G. con i numeri 13911/03 e 13686/03; respinge i ricorsi iscritti al R.G. 10084/03 e 10431/03; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 8 maggio 2007.
Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2008



Da: uto12/12/2013 11:29:16
UHI

Da: alila8012/12/2013 11:29:53
che ne dite di quello postato da "ditemi grazie"???
e fateci sapere!!!!!!

Da: ...12/12/2013 11:30:28
Scusate ma un'eccezione di improcedibilità per mancato esperimento del tentativo di mediazione (si verte in tema di diritti reali...)?

Da: DITEMI GRAZIE12/12/2013 11:30:38

1
Traccia
Con contratto del 30 marzo 1990 la Società Alfa ed il Sig. Tizio stipularono un
preliminare di compravendita avente ad oggetto un appartamento sito in Roma, alla Via
.... In tale contratto le parti, dichiarando
espressamente che la data per la stipula del
definitivo sarebbe stata fissata a seguito di formale richiesta avanzata da uno dei
contraenti, convennero testualmente:
-
"la Società Alfa, promittente venditrice, trasferisce a Tizio il possesso
dell'immobile si
n dal momento della sottoscrizione del contratto preliminare";
-
"contestualmente, Tizio, promissario acquirente, corrisponde alla Società Alfa la
somma di euro  50.000,00 a titolo di caparra confirmatoria, da imputarsi alla
prestazione dovuta a titolo di corris
pettivo in caso di adempimento del contratto
definitivo".
Pur dopo la sottoscrizione del preliminare, per anni nessuna delle parti comunicò
alcunché all'altra, sino a quando con nota dell'11 maggio 2010 Alfa ha chiesto
formalmente a Tizio di provvedere al
la sottoscrizione del contratto definitivo entro il
termine del 31.12.2010.
Con atto di citazione del febbraio 2011, Tizio ha convenuto dinanzi al Tribunale di
Roma la Società Alfa affermando: 1) di avere acquistato il possesso dell'immobile per
espressa
disposizione convenzionale, in virtù del contratto preliminare del 1988; 2) di
avere posseduto ininterrottamente l'immobile per venti anni. L'attore chiede pertanto
che il Tribunale adito dichiari l'intervenuto acquisto della proprietà a titolo originario
per usucapione ventennale.
Il legale rappresentante della Società Alfa si reca da un legale al quale espone la
vicenda, evidenziando altresì che la nota dell'11 maggio 2010 è rimasta priva di
qualunque riscontro da parte di Tizio. Il candidato, assunte le
vesti del legale della
Società Alfa, rediga l'atto ritenuto più idoneo al fine di tutelare le ragioni del proprio
cliente.


TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA
CON DOMANDA RICONVENZIONALE
Per:
Società Alfa, partita IVA ..., corrente in ... alla Via ..., in persona del legale
rappresentante pro tempore, codice fiscale ..., elettivamente domiciliata in ... alla Via
2
..., presso lo Studio dell'Avv. ..., codice fiscale ..., dal quale è rappresentata e difesa
giust
a delega in calce al presente atto.
L'Avv. ... dichiara di voler ricevere le comunicazioni di cancelleria al numero di telefax
... e/o all'indirizzo di posta elettronica certificata ...;
Contro:
Tizio, rappresentato e difeso dall'Avv. ...
Con atto di citazione de
l .../02/2011 il sig. Tizio conveniva in giudizio dinanzi a
codesto Ill.mo Tribunale la
Società alfa, al fine di sentire accogliere le seguenti
conclusioni "...".
Con il presente atto la Società Alfa, come in epigrafe rappresentata, difesa e domiciliata,
si co
stituisce in giudizio contestando integralmente quanto ex adverso dedotto, in
quanto infondato in fatto e in diritto.
Al fine di consentire il corretto inquadramento della questione, si ritiene opportuno
riportare alcune premesse circa i fatti oggetto del
presente procedimento.
In data 30.03.1990 la Società Alfa
e il Sig. T
izio stipulavano un contratto preliminare di
compravendita avente ad oggetto un appartamento sito in Roma alla Via ...
In particolare, le parti, dichiarando espressamente che la data per la
stipula del
definitivo sarebbe stata fissata a seguito di formale richiesta avanzata da uno dei
contraenti, stabilivano che la promittente venditrice trasferisse a Tizio il possesso
dell'immobile sin dal momento della sottoscrizione del contratto prelimin
are e che
questi, contestualmente, corrispondesse alla stessa la somma di
euro
50.000,00
a titolo di
caparra confirmatoria, da imputarsi alla prestazione dovuta a titolo di corrispettivo in
caso di adempimento del contratto definitivo.
Successivamente, con no
ta dell'
11/05/20
10, la Società Alfa chiedeva formalmente a
Tizio di provvedere alla sottoscrizione del contratto def
initivo entro il termine del
31/12/
2010.
3
Tuttavia, la richiesta dell'odierna convenuta rimaneva totalmente priva di riscontro.
In seguito, c
on atto di citazione del febbraio 2011, Tizio conveniva dinanzi al Tribunale
di Roma la Società Alfa, chiedendo che venisse dichiarato l'intervenuto acquisto della
proprietà dell'immobile de quo, adducendo di aver acquistato il possesso del'immobile
per es
pressa disposizione convenzionale, in virtù del contratto preliminare stipulato e di
aver posseduto ininterrottamente l'immobile per venti anni.
La domanda di Tizio risulta del tutto infondata per le ragioni che di seguito si vanno ad
esporre.
I.
INESISTENZA
DI UN POSSESSO UTILE AD USUCAPIONEM.
In primo luogo si evidenzia come non possa in alcun modo essere accolta,
mancando l'elemento fondante dell'usucapione, ossia il possesso ventennale
dell'immobile
di cui all'art. 1158 c.c
.
Infatti, conformemente a quanto
affermato dalle Sezioni unite della Suprema
Corte, nella promessa di vendita
, ove venga convenuta la consegna del bene
prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un'anticipazione
degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario
acquirente si fonda sull'esistenza di un contratto di
comodato
funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo effetti
meramente obbligatori (Cass., sez. un., n. 7930/2008).
Tale collegamento negoziale, espressione dell'autonomia contrattuale
prevista dall'art. 1322 c.c., consente alle parti di
perseguire un risultato
economico complesso, che viene realizzato non già per mezzo di un
autonomo e nuovo contratto, ma attraverso una pluralità coordinata di
contratti, i quali conservano una loro causa autonoma anche se ciascuno è
concepito, funzionalme
nte e teleologicamente, come collegato con gli altri
(Cass., n. 13164/2007).

Da: DITEMI GRAZIE12/12/2013 11:34:41
Continua

Pertanto, alla luce delle osservazioni sopra esposte, atteso che il contratto
preliminare è produttivo di effetti meramente obbligatori, è sempre il
contratto definitivo a produrr
e l'effetto traslativo reale e, in ragione di ciò, la
disponibilità del bene conseguito dal promissario acquirente, in quanto
esercitata nel proprio interesse ma aliena nomine (in assenza di animus
possidenti), ha natura di detenzione qualificata e non di
possesso utile ad
usucapionem (Cass, Sez. Un., n. 7930/2008; conf. Cass. n. 4863/2010).
Dunque, è evidente come la domanda di Tizio risulti del tutto infondata, non
potendo rappresentarsi quell'animus possidendi che costituisce elemento
imprescindibile ai
fini dell'acquisto della proprietà per usucapione ai sensi
dell'art. 1158 c.c.
II.
DOMANDA RICONVENZIONALE DI ADEMPIMENTO IN FORMA
SPECIFICA DEL PRELIMINARE DI VENDITA EX ART. 2932 C.C.
In via riconvenzionale, si intende rivolgere a codesto Ill.mo tribunale
do
manda diretta ad ottenere una
pronuncia che produca effetti del contratto
definitivo non concluso, ai sensi dell'art. 2932 c.c.
In particolare, relativamente ai termini entro i quali esercitare la predetta
azione, si precisa che, secondo quanto affermato d
alla Cassazione, la
prescrizione per stipulare un atto notarile
a seguito di un contratto
preliminare è decennale e decorre non dalla conclusione del contratto
preliminare, ma dalla data di scadenza del termine fissato per la stipula del
definitivo (Cass.,
n. 19871/2009).
Pertanto, c
onsiderato che in data 31/12/
2010 è scaduto
infruttuosam
ente il
termine concesso a Tizio per adempiere a quanto previsto nel contratto
preliminare
, è evidente come la richiesta avanzata dalla scrivente difesa in
5
via riconvenzion
ale risulti del tutto legittima, nonché esercitata
tempestivamente.
Alla luce di quanto sopra esposto, la Società Alfa, in persona del legale rappresentante
pro tempore, come sopra rappresentata, difesa e domiciliata, chiede che vengano accolte
le seguenti
CONCLUSIONI
Voglia l'On.le Tribunale adito:
-
rigettare la domanda attorea in quanto infondata in assenza del possesso
ventennale necessario ai fini dell'acquisto per usucapionem;
-
in via riconvenzionale, accogliere la domanda avanzata dalla convenuta ai sen
si
dell'art. 2932 c.c. e per l'effetto pronunciare
sentenza che produca gli effetti del
contratto non concluso
;
-
condannare altresì la parte attrice
all'integrale rifusione in favore degli attori
delle spese, competenze ed onorari del giudizio,
oltre al rim
borso forfetario del
12,5 % sull'imponibile
, IVA e CPA come per legge
.
Ai fini della determinazione del contributo unificato, si dichiara che la spiegata
domanda riconvenzionale non modifica il valore della causa e che pertanto non è
dovuto alcun contribut
o integrativo.
Si allega
no i seguenti documenti:
2. copia del contratto preliminare del 30.03.1990;
1.
copia della memoria del
l'11/05/2010
inviata dalla Società Alfa a Tizio.
C
on riserva di articolare ulteriori mezzi di prova, produrre documenti e indicare i
nominativi di eventuali teste nelle note ex art. 183 c.p.c.
Data, luogo
Avv. ...
Firma Avvocato

3
Tuttavia, la richiesta dell'odierna convenuta rimaneva totalmente priva di riscontro.
In seguito, c
on atto di citazione del febbraio 2011, Tizio conveniva dinanzi al Tribunale
di Roma la Società Alfa, chiedendo che venisse dichiarato l'intervenuto acquisto della
proprietà dell'immobile de quo, adducendo di aver acquistato il possesso del'immobile
per es
pressa disposizione convenzionale, in virtù del contratto preliminare stipulato e di
aver posseduto ininterrottamente l'immobile per venti anni.
La domanda di Tizio risulta del tutto infondata per le ragioni che di seguito si vanno ad
esporre.
I.
INESISTENZA
DI UN POSSESSO UTILE AD USUCAPIONEM.
In primo luogo si evidenzia come non possa in alcun modo essere accolta,
mancando l'elemento fondante dell'usucapione, ossia il possesso ventennale
dell'immobile
di cui all'art. 1158 c.c
.
Infatti, conformemente a quanto
affermato dalle Sezioni unite della Suprema
Corte, nella promessa di vendita
, ove venga convenuta la consegna del bene
prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un'anticipazione
degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario
acquirente si fonda sull'esistenza di un contratto di
comodato
funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo effetti
meramente obbligatori (Cass., sez. un., n. 7930/2008).
Tale collegamento negoziale, espressione dell'autonomia contrattuale
prevista dall'art. 1322 c.c., consente alle parti di
perseguire un risultato
economico complesso, che viene realizzato non già per mezzo di un
autonomo e nuovo contratto, ma attraverso una pluralità coordinata di
contratti, i quali conservano una loro causa autonoma anche se ciascuno è
concepito, funzionalme
nte e teleologicamente, come collegato con gli altri
(Cass., n. 13164/2007).

Da: frizzi12/12/2013 11:36:41
nooooooooooo in quel periodo era stata dichiarata incostituz dalla corte cost

Da: Raccomandato di turno12/12/2013 11:36:46
BOZZA DA SVILUPPARE

Tribunale di Roma
sezione civile
dr... - udienza del ...
COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA

Tizio, nato a ..., il ...., residente in .... , via .... n .... , rappresentato, assistito e difeso dall avv. ..... c.f. ..... con il quale ai fini della presente procedura, elettivamente domicilia in via .... ,n .... presso lo studio del predetto avvocato, in virtù di procura a margine del presente atto
convenuto

CONTRO
Caio, rappresentato e difesa dall'avv...

Premesso  che con atto di citazione notificato il ... , Caio ha convenuto in giudizio, innanzi codesta On.le Tribnale, Tizio deducendo di aver usucapito l'immobile di sua proprietà sito in Roma, alla via ... n... , così identificato ....,
Premesso che Tizio e Caio ....
RICOSTRUIRE IL FATTO (COSI' COME DA TRACCIA)

Col presente atto provvede a costituirsi in giudizio il convenuto Tizio il quale a mezzo del sottoscritto avvocato impugna e contesta estensivamente l'avverso dedotto, siccome inammissibile, improponibile, improcedibile ed in ogni caso assolutamente infondato in fatto ed in diritto, per cui ne chiede l'immediato rigetto con ogni conseguenza di legge.

INESISTENZA DI UN POSSESSO UTILE AD USUCAPIONEM.
In primo luogo si evidenzia come non possa in alcun modo essere accolta, mancando l'elemento fondante dell'usucapione, ossia il possesso ventennale dell'immobile di cui all'art. 1158 c.c. Infatti, conformemente a quanto affermato dalle Sezioni unite della Suprema Corte, nella promessa di vendita, ove venga convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un'anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull'esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo effetti meramente obbligatori (Cass., sez. un., n. 7930/2008).  Tale collegamento negoziale, espressione dell'autonomia contrattuale prevista dall'art. 1322 c.c., consente alle parti di perseguire un risultato economico complesso, che viene realizzato non già per mezzo di un autonomo e nuovo contratto, ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma anche se ciascuno è
concepito, funzionalmente e teleologicamente, come collegato con gli altri pertanto, alla luce delle osservazioni sopra esposte, atteso che il contratto preliminare è produttivo di effetti meramente obbligatori, è sempre il contratto definitivo a produrre l'effetto traslativo reale e, in ragione di ciò, la disponibilità del bene conseguito dal promissario acquirente, in quanto esercitata nel proprio interesse ma aliena nomine (in assenza di animus possidenti), ha natura di detenzione qualificata e non di possesso utile ad usucapionem (Cass, Sez. Un., n. 7930/2008; conf. Cass. n. 4863/2010).
Dunque, è evidente come la domanda di Tizio risulti del tutto infondata, non potendo rappresentarsi quell'animus possidendi che costituisce elemento imprescindibile ai fini dell'acquisto della proprietà per usucapione ai sensi
dell'art. 1158 c.c
CONCLUSIONI
Voglia l'On.le Tribunale adito:
- rigettare la domanda attorea in quanto infondata in assenza del possesso ventennale necessario ai fini dell'acquisto per usucapionem;  -condannare altresì la parte attrice all'integrale rifusione in favore degli attori delle spese, competenze ed onorari del giudizio, oltre al rimborso forfetario del 12,5 % sull'imponibile, IVA e CPA come per legge.  Si allegano i seguenti documenti:
1. copia del contratto preliminare del 30.03.1990;
Con riserva di articolare ulteriori mezzi di prova, produrre documenti e indicare i nominativi di eventuali teste nelle note ex art. 183 c.p.c.
Data, luogo Avv. …
Firma Avvocato 

Da: DITEMI GRAZIE12/12/2013 11:36:49
Eccolaa intera

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA
CON DOMANDA RICONVENZIONALE
Per:
Società Alfa, partita IVA ..., corrente in ... alla Via ..., in persona del legale
rappresentante pro tempore, codice fiscale ..., elettivamente domiciliata in ... alla Via
2
..., presso lo Studio dell'Avv. ..., codice fiscale ..., dal quale è rappresentata e difesa
giust
a delega in calce al presente atto.
L'Avv. ... dichiara di voler ricevere le comunicazioni di cancelleria al numero di telefax
... e/o all'indirizzo di posta elettronica certificata ...;
Contro:
Tizio, rappresentato e difeso dall'Avv. ...
Con atto di citazione de
l .../02/2011 il sig. Tizio conveniva in giudizio dinanzi a
codesto Ill.mo Tribunale la
Società alfa, al fine di sentire accogliere le seguenti
conclusioni "...".
Con il presente atto la Società Alfa, come in epigrafe rappresentata, difesa e domiciliata,
si co
stituisce in giudizio contestando integralmente quanto ex adverso dedotto, in
quanto infondato in fatto e in diritto.
Al fine di consentire il corretto inquadramento della questione, si ritiene opportuno
riportare alcune premesse circa i fatti oggetto del
presente procedimento.
In data 30.03.1990 la Società Alfa
e il Sig. T
izio stipulavano un contratto preliminare di
compravendita avente ad oggetto un appartamento sito in Roma alla Via ...
In particolare, le parti, dichiarando espressamente che la data per la
stipula del
definitivo sarebbe stata fissata a seguito di formale richiesta avanzata da uno dei
contraenti, stabilivano che la promittente venditrice trasferisse a Tizio il possesso
dell'immobile sin dal momento della sottoscrizione del contratto prelimin
are e che
questi, contestualmente, corrispondesse alla stessa la somma di
euro 
50.000,00
a titolo di
caparra confirmatoria, da imputarsi alla prestazione dovuta a titolo di corrispettivo in
caso di adempimento del contratto definitivo.
Successivamente, con no
ta dell'
11/05/20
10, la Società Alfa chiedeva formalmente a
Tizio di provvedere alla sottoscrizione del contratto def
initivo entro il termine del
31/12/
2010.
3
Tuttavia, la richiesta dell'odierna convenuta rimaneva totalmente priva di riscontro.
In seguito, c
on atto di citazione del febbraio 2011, Tizio conveniva dinanzi al Tribunale
di Roma la Società Alfa, chiedendo che venisse dichiarato l'intervenuto acquisto della
proprietà dell'immobile de quo, adducendo di aver acquistato il possesso del'immobile
per es
pressa disposizione convenzionale, in virtù del contratto preliminare stipulato e di
aver posseduto ininterrottamente l'immobile per venti anni.
La domanda di Tizio risulta del tutto infondata per le ragioni che di seguito si vanno ad
esporre.
I.
INESISTENZA
DI UN POSSESSO UTILE AD USUCAPIONEM.
In primo luogo si evidenzia come non possa in alcun modo essere accolta,
mancando l'elemento fondante dell'usucapione, ossia il possesso ventennale
dell'immobile
di cui all'art. 1158 c.c
.
Infatti, conformemente a quanto
affermato dalle Sezioni unite della Suprema
Corte, nella promessa di vendita
, ove venga convenuta la consegna del bene
prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un'anticipazione
degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario
acquirente si fonda sull'esistenza di un contratto di
comodato
funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo effetti
meramente obbligatori (Cass., sez. un., n. 7930/2008).
Tale collegamento negoziale, espressione dell'autonomia contrattuale
prevista dall'art. 1322 c.c., consente alle parti di
perseguire un risultato
economico complesso, che viene realizzato non già per mezzo di un
autonomo e nuovo contratto, ma attraverso una pluralità coordinata di
contratti, i quali conservano una loro causa autonoma anche se ciascuno è
concepito, funzionalme
nte e teleologicamente, come collegato con gli altri
(Cass., n. 13164/2007).
4
Pertanto, alla luce delle osservazioni sopra esposte, atteso che il contratto
preliminare è produttivo di effetti meramente obbligatori, è sempre il
contratto definitivo a produrr
e l'effetto traslativo reale e, in ragione di ciò, la
disponibilità del bene conseguito dal promissario acquirente, in quanto
esercitata nel proprio interesse ma aliena nomine (in assenza di animus
possidenti), ha natura di detenzione qualificata e non di
possesso utile ad
usucapionem (Cass, Sez. Un., n. 7930/2008; conf. Cass. n. 4863/2010).
Dunque, è evidente come la domanda di Tizio risulti del tutto infondata, non
potendo rappresentarsi quell'animus possidendi che costituisce elemento
imprescindibile ai
fini dell'acquisto della proprietà per usucapione ai sensi
dell'art. 1158 c.c.
II.
DOMANDA RICONVENZIONALE DI ADEMPIMENTO IN FORMA
SPECIFICA DEL PRELIMINARE DI VENDITA EX ART. 2932 C.C.
In via riconvenzionale, si intende rivolgere a codesto Ill.mo tribunale
do
manda diretta ad ottenere una
pronuncia che produca effetti del contratto
definitivo non concluso, ai sensi dell'art. 2932 c.c.
In particolare, relativamente ai termini entro i quali esercitare la predetta
azione, si precisa che, secondo quanto affermato d
alla Cassazione, la
prescrizione per stipulare un atto notarile
a seguito di un contratto
preliminare è decennale e decorre non dalla conclusione del contratto
preliminare, ma dalla data di scadenza del termine fissato per la stipula del
definitivo (Cass.,
n. 19871/2009).
Pertanto, c
onsiderato che in data 31/12/
2010 è scaduto
infruttuosam
ente il
termine concesso a Tizio per adempiere a quanto previsto nel contratto
preliminare
, è evidente come la richiesta avanzata dalla scrivente difesa in
5
via riconvenzion
ale risulti del tutto legittima, nonché esercitata
tempestivamente.
Alla luce di quanto sopra esposto, la Società Alfa, in persona del legale rappresentante
pro tempore, come sopra rappresentata, difesa e domiciliata, chiede che vengano accolte
le seguenti
CONCLUSIONI
Voglia l'On.le Tribunale adito:
-
rigettare la domanda attorea in quanto infondata in assenza del possesso
ventennale necessario ai fini dell'acquisto per usucapionem;
-
in via riconvenzionale, accogliere la domanda avanzata dalla convenuta ai sen
si
dell'art. 2932 c.c. e per l'effetto pronunciare
sentenza che produca gli effetti del
contratto non concluso
;
-
condannare altresì la parte attrice
all'integrale rifusione in favore degli attori
delle spese, competenze ed onorari del giudizio,
oltre al rim
borso forfetario del
12,5 % sull'imponibile
, IVA e CPA come per legge
.
Ai fini della determinazione del contributo unificato, si dichiara che la spiegata
domanda riconvenzionale non modifica il valore della causa e che pertanto non è
dovuto alcun contribut
o integrativo.
Si allega
no i seguenti documenti:
2. copia del contratto preliminare del 30.03.1990;
1.
copia della memoria del
l'11/05/2010
inviata dalla Società Alfa a Tizio.
C
on riserva di articolare ulteriori mezzi di prova, produrre documenti e indicare i
nominativi di eventuali teste nelle note ex art. 183 c.p.c.
Data, luogo
Avv. ...
Firma Avvocato
6
PROCURA ALLE LITI
I s
ottoscritti Sig. ...
,
in qualità di legale rappresentante della Società Alfa, informato
ai
sensi dell'art. 4, 3° comma, del
d.lgs. n. 28/2010 della possibilità di ricorrere al
procedimento di mediazione ivi previsto e dei benefici fiscali di cui agli artt. 17 e 20 del
medesimo decreto, com
e da atto allegato, conferisce procura all'Avv. ... affinché
rappresenti
e difenda
la prede
tta società
nel giudizio di cui al presente atto. Con elezione
di domicilio
presso il suo studio in ..., alla Via ...
, e con il conferimento, altresì, di ogni
più ampia facoltà di legge.
Ai sensi e per gli effetti di quanto disposto dal D. L
gs. n. 196 del 200
3, autorizzo al
trattamento dei miei
dati personali, limitatamente a quanto necessario per lo
svolgimento del mandato difensivo
.
Sig. ...
E' autentica
Avv. ...

Da: Raccomandato di turno12/12/2013 11:41:35
OZZA DA SVILUPPARE

Tribunale di Roma
sezione civile
dr... - udienza del ...
COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA

Tizio, nato a ..., il ...., residente in .... , via .... n .... , rappresentato, assistito e difeso dall avv. ..... c.f. ..... con il quale ai fini della presente procedura, elettivamente domicilia in via .... ,n .... presso lo studio del predetto avvocato, in virtù di procura a margine del presente atto
convenuto

CONTRO
Caio, rappresentato e difesa dall'avv...

Premesso  che con atto di citazione notificato il ... , Caio ha convenuto in giudizio, innanzi codesta On.le Tribnale, Tizio deducendo di aver usucapito l'immobile di sua proprietà sito in Roma, alla via ... n... , così identificato ....,
Premesso che Tizio e Caio ....
RICOSTRUIRE IL FATTO (COSI' COME DA TRACCIA)

Col presente atto provvede a costituirsi in giudizio il convenuto Tizio il quale a mezzo del sottoscritto avvocato impugna e contesta estensivamente l'avverso dedotto, siccome inammissibile, improponibile, improcedibile ed in ogni caso assolutamente infondato in fatto ed in diritto, per cui ne chiede l'immediato rigetto con ogni conseguenza di legge.

INESISTENZA DI UN POSSESSO UTILE AD USUCAPIONEM.
In primo luogo si evidenzia come non possa in alcun modo essere accolta, mancando l'elemento fondante dell'usucapione, ossia il possesso ventennale dell'immobile di cui all'art. 1158 c.c. Infatti, conformemente a quanto affermato dalle Sezioni unite della Suprema Corte, nella promessa di vendita, ove venga convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un'anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull'esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo effetti meramente obbligatori (Cass., sez. un., n. 7930/2008).  Tale collegamento negoziale, espressione dell'autonomia contrattuale prevista dall'art. 1322 c.c., consente alle parti di perseguire un risultato economico complesso, che viene realizzato non già per mezzo di un autonomo e nuovo contratto, ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma anche se ciascuno è
concepito, funzionalmente e teleologicamente, come collegato con gli altri pertanto, alla luce delle osservazioni sopra esposte, atteso che il contratto preliminare è produttivo di effetti meramente obbligatori, è sempre il contratto definitivo a produrre l'effetto traslativo reale e, in ragione di ciò, la disponibilità del bene conseguito dal promissario acquirente, in quanto esercitata nel proprio interesse ma aliena nomine (in assenza di animus possidenti), ha natura di detenzione qualificata e non di possesso utile ad usucapionem (Cass, Sez. Un., n. 7930/2008; conf. Cass. n. 4863/2010).
Dunque, è evidente come la domanda di Tizio risulti del tutto infondata, non potendo rappresentarsi quell'animus possidendi che costituisce elemento imprescindibile ai fini dell'acquisto della proprietà per usucapione ai sensi
dell'art. 1158 c.c
CONCLUSIONI
Voglia l'On.le Tribunale adito:
- rigettare la domanda attorea in quanto infondata in assenza del possesso ventennale necessario ai fini dell'acquisto per usucapionem;  -condannare altresì la parte attrice all'integrale rifusione in favore degli attori delle spese, competenze ed onorari del giudizio, oltre al rimborso forfetario del 12,5 % sull'imponibile, IVA e CPA come per legge.  Si allegano i seguenti documenti:
1. copia del contratto preliminare del 30.03.1990;
Con riserva di articolare ulteriori mezzi di prova, produrre documenti e indicare i nominativi di eventuali teste nelle note ex art. 183 c.p.c.
Data, luogo Avv. �
Firma Avvocato 

Da: Iban6912/12/2013 11:44:42
COME IMPOSTERESTE LA "PARTE ISTRUTTORIA" ?

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