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diritto costituzionale
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Da: disperata25 | 29/08/2013 13:56:02 |
E cosa dite sullo straniero in Italia?? Al momento mi ricordo solo che puo' agire in giudizio perche' l' art. 24 cost inizia con il termine tutti, che e' tenuto a partecipare a pagare le tasse se ha un lavoro in Italia e poi??? | |
Da: Roma8 | 29/08/2013 14:26:43 |
Differenza tra comunitario ed extracomunitario, requisiti di soggiorno, io farei un collegamento con il diritto del lavoro portando anche questa materia.. Poi? | |
Da: elena.forn | 29/08/2013 16:00:57 |
CONDIZIONE GIURIDICA DELLO STRANIERO Ragazzi, vi faccio un copia/incolla di un mio riassunto che avevo fatto quando studiavo per l'esame. Avevo raccolto un po' di informazioni online. Sui manuali di diritto costituzionale, sempre per quanto riguarda la condizione giuridica dello straniero, fate attenzione alla parte relativa alle libertà fondamentali, specie ove si parla di diritto alla salute, al lavoro, all'istruzione, ecc... C'è sempre un riferimento allo straniero. (PS: mi viene in mente che all'esame chiesero molto anche le pari opportunità e le c.d. azioni positive). Nel 1986 il Parlamento italiano approva la prima legge sull'occupazione dei lavoratori immigrati introduce i principi di parità di trattamento e piena uguaglianza dei diritti dei lavoratori stranieri residenti in Italia e delle loro famiglie con i lavoratori italiani. In aggiunta a tali principi la legge sanciva per la prima volta il diritto al ricongiungimento familiare, alla rappresentanza dei cittadini stranieri con lo strumento delle Consulte regionali e tutte le garanzie connesse alla fruizione dei servizi socio-sanitari. La tappa successiva fu costituita dalla legge n.39/1990 (legge Martelli), che integrava la legislazione precedente con la regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno dei cittadini stranieri per motivi di lavoro, di studio, di famiglia, di cura e di culto. In particolare veniva disciplinato l'accesso al lavoro autonomo, alle libere professioni e si prevedeva la possibilità di costituire cooperative di lavoro. Inoltre, sulla spinta dell'Accordo di Schengen del 1985, venivano dettate nuove norme sull'espulsione e si regolamentava la materia relativa ai rifugiati politici, abolendo la riserva geografica che garantiva ai soli cittadini europei il diritto d'asilo politico. L'immigrazione veniva ancora affrontata però in un'ottica emergenziale, come una questione cioè di ordine pubblico e sicurezza nazionale. Infatti sia la legge n. 903/1986 che la n. 39/1990 avevano avuto fra gli obiettivi principali, oltre alle integrazioni legislative succitate, quello di procedere alla sanatoria delle posizioni irregolari, relative tanto al lavoro autonomo che a quello subordinato. L'Accordo di Schengen: Il 14 giugno 1985 Francia, Repubblica Federale Tedesca, Belgio, Olanda e Lussemburgo, sottoscrissero a Schengen un Accordo che diede il via alla creazione di uno spazio comune agli Stati aderenti, all'interno del quale sarebbe stata possibile una libera circolazione delle merci e delle persone. L'Accordo di Schengen raccolse successivamente l'adesione di tutti gli Stati membri della Comunità (fatta eccezione per il Regno Unito e l'Irlanda) ed in più di Norvegia ed Islanda che, non essendo Stati membri, stipularono un accordo di cooperazione che conferiva loro lo status di membri associati. Per l'Italia l'ingresso effettivo nell'area Schengen è avvenuto solo il 31 marzo del 1998. L'Accordo prevedeva a breve termine l'alleggerimento dei controlli alle frontiere fra gli Stati aderenti attuato attraverso l'emanazione di regole specifiche e poi, a lungo termine, la creazione di un'aerea omogenea di sicurezza che avrebbe costituito il primo passo importante per l'abolizione interna dei controlli e il trasferimento e rafforzamento di questi presso le frontiere esterne. Quest'ultima doveva essere realizzata attraverso una serie di impegni tra gli Stati firmatari, impegni poi stabiliti dalla Convenzione di applicazione degli Accordi di Schengen. La Convenzione di Schengen venne firmata il 19 giugno 1990. Il primo degli obiettivi era la soppressione dei controlli alle frontiere tra gli Stati firmatari e la libera circolazione di merci e persone. Il secondo si riferiva alla cooperazione tra la polizia e l'autorità giudiziaria dei paesi aderenti in materia penale e di estradizione. L'ultimo obiettivo prevedeva la creazione del SIS (Sistema d'Informazione Schengen), volto alla protezione dei dati personali ed allo scambio di informazioni. La pura e semplice soppressione dei controlli allo spazio Schengen avrebbe solo favorito una maggiore possibilità di espansione della criminalità , se non fosse stata accompagnata da un'armonizzazione del sistema dei visti per proteggere gli Stati contraenti dalle immigrazioni clandestine e da attività pericolose per la sicurezza. L'Italia, che in un primo momento non aveva aderito all'Accordo, si trovò di fronte, al momento della sua richiesta formale di adesione alla Convenzione (depositata il 27 novembre 1997, presso il gruppo Schengen), ad una serie di condizioni d'ingresso molto rigide, poste dagli altri paesi aderenti. Questi ultimi, infatti, temevano un aumento incontrollato di immigrazioni irregolari, proprio attraverso i nostri confini, che, per motivazioni geografiche erano più facilmente esposti a tale fenomeno. A livello legislativo fu inevitabile che si producessero dei cambiamenti. Infatti, il decreto Martelli era stato convertito in legge il 30 dicembre del 1990, senza tener conto delle condizioni poste dagli altri partners europei. La legge Martelli venne modificata. La disciplina sui rifugiati, che consentiva la concessione dell'asilo politico solo ai perseguitati provenienti da Stati europei, abolì questa riserva geografica. Inoltre venne introdotta una legislazione maggiormente restrittiva in materia di ingresso e soggiorno di stranieri extracomunitari, che avrebbe poi portato, in prospettiva, alla creazione dello strumento dei centri di permanenza temporanei nella futura legge sull'immigrazione. Vennero stabilite norme che disciplinavano ipotesi di respingimento alla frontiera, di rifiuto e di revoca del permesso di soggiorno. Venne modificato poi il sistema dei visti uniformi e la disciplina della responsabilità dei vettori. In vista di una visita programmata dalla Commissione frontiere del Comitato esecutivo Schengen per verificare l'efficienza dei sistemi di controllo italiani e delle misure contro l'immigrazione clandestina, il Governo presentò, il 19 febbraio del 1997, il disegno di legge n. 3240 sull'immigrazione. L'iter parlamentare porterà all'approvazione della legge n. 40, la cosiddetta Turco Napoletano, in materia d'immigrazione. Nel frattempo, nel novembre 1997, il Ministro degli Esteri Lamberto Dini emana nuove norme sui visti e sull'ingresso degli stranieri in Italia e nello spazio Schengen. Questo intervento è reso necessario dall'esigenza di superare le perplessità , sollevate da alcune delegazioni del Comitato esecutivo Schengen, sull'efficacia dei controlli delle frontiere esterne da parte dell'Italia. L'Italia ottiene il via libera del Comitato esecutivo e fa il suo ingresso operativo nell'area Schengen soltanto il 30 marzo del 1998, pochi giorni dopo l'entrata in vigore della legge Turco Napoletano, il 27 marzo del 1998. La legislazione attuale: Solo nel 1998 l'Italia provvede finalmente a dotarsi di una legislazione organica relativa a diritti e doveri dei cittadini stranieri. Essa si sostanzia nella legge n. 40 del 1998, la cosiddetta Turco-Napoletano, che segna una svolta nella storia della regolamentazione dell'immigrazione nel nostro paese, per due motivi. Da un lato abbiamo per la prima volta una normativa che regola allo stesso tempo sia i flussi migratori ed i loro meccanismi di gestione, sia le condizioni, i diritti e i doveri della persona straniera. Prima del 1998, tali due aspetti erano stati oggetto di distinti interventi normativi, peraltro sempre motivati da emergenze. Dall'altro lato, la legge n. 40 è una 'legge di principi', congegnata cioè in modo tale da sostenere le evoluzioni del fenomeno immigratorio nel nostro paese per i prossimi anni. L'articolo 1 del Testo unico precisa che la nuova disciplina sugli stranieri si applica, salvo diversa disposizione, a tutti i cittadini dei paesi non facenti parte dell'Unione Europea ed agli apolidi. Per tali categorie di soggetti, nel Testo unico come nei principali atti normativi in materia, viene utilizzato il termine stranieri. I cittadini dell'Unione Europea vengono viceversa esclusi da questa disciplina, fatta salva l'applicabilità di eventuali regole a loro più favorevoli. Si può trattare tanto di regole interne, quanto di regole comunitarie o internazionali, purché siano valevoli nel territorio dello Stato. Veniva, invece, rinviato ad un futuro decreto legislativo il riordino della regolamentazione dell'ingresso, del soggiorno e dell'allontanamento dei cittadini dei paesi membri dell'Unione Europea. Inoltre, se l'articolo 117 della nostra Costituzione assegna alle Regioni il compito di legiferare in determinate materie rispettando i limiti imposti dai principi fondamentali delle leggi del nostro Stato, l'articolo 1 del Testo unico conferisce alle relative norme il valore di principi fondamentali che le Regioni dovranno pertanto rispettare nelle materie di loro competenza. Le stesse norme, infine, hanno valore di norme fondamentali di riforma economico sociale dalla Repubblica per le Regioni a statuto speciale. Principi generali sulla condizione dello straniero (Costituzione e Codice civile): L'art. 10 Cost. stabilisce che "la condizione giuridica è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali". Ci si trova di fronte, pertanto, ad una disciplina che incontra due tipi di vincoli. Prima di tutto, è soltanto una legge ordinaria che può regolare questa materia. La ratio di tale riserva di legge va ravvisata nella volontà di assicurare al potere legislativo e non a quello esecutivo il compito di legiferare sulla condizione dello straniero. Ciò non esclude che il governo possa esercitare una funzione normativa in materia; ad esempio, è proprio il governo ad emanare i decreti che, come vedremo, governano i flussi di ingresso. Il secondo vincolo è costituito dall'obbligo di rispettare le norme ed i trattati internazionali. Un eventuale contrasto tra questi ultimi e la normativa interna integrerebbe una questione di legittimità costituzionale. Al di là dell'art. 10, che si occupa specificamente della condizione dello straniero, non può non essere preso in considerazione l'art. 3 della Carta Costituzionale, cioè il principio di uguaglianza. È stata la Corte Costituzionale ad intervenire sull'argomento, precisando che si tratta di un principio valevole anche per gli stranieri in materia di diritti fondamentali. Ciò, ha spiegato la Corte (sentenza nº144 del 1970), in realtà non rende ingiustificata l'esistenza di differenze di fatto fra cittadini italiani e stranieri; piuttosto comporta che tanto i cittadini italiani quanto quelli stranieri siano tutelati a livello di diritti fondamentali e che sia per gli uni che per gli altri la funzione legislativa incontri dei limiti. In tal senso, la questione dei diritti degli stranieri nella nostra Costituzione non può essere ridotta ad un problema terminologico: la Carta fondamentale utilizza a volte espressioni come tutti, o nessuno o uomini, mentre in altri casi viene specificato cittadini. In realtà è necessario guardare al tipo di diritti descritti dalle norme: il carattere di diritti fondamentali li rende di portata universale e come tali applicabili a tutti i soggetti che si trovano in Italia. Buona parte della dottrina ritiene applicabile agli stranieri le norme che riconoscono e garantiscono sia i diritti inviolabili dell'uomo sanciti nell'art. 2, sia l'inviolabilità del domicilio, della libertà personale, di culto e di religione. In tale elenco va ricompreso anche il principio di uguaglianza. La condizione di regolarità attribuisce al cittadino straniero gli stessi diritti attribuiti ai cittadini italiani, a meno che eventuali accordi internazionali o l'attuale legge non stabiliscano diversamente. Inoltre allo straniero che sia regolarizzato viene riconosciuta parità di trattamento con il cittadino italiano nella tutela giurisdizionale dei diritti e interessi legittimi, nei rapporti con la Pubblica Amministrazione e nell'accesso ai pubblici servizi, nei limiti e con le modalità previste dalla legge. Un ultimo accenno va fatto al principio di reciprocità . Infatti, all'interno delle "Disposizioni sulla legge in generale" del Codice civile, l'art. 16 prevede che "lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salve le disposizioni contenute nella legge in generale. Questa disposizione vale anche per le persone giuridiche straniere". Il Codice civile del 1942, innovando rispetto a quello precedente, più liberale su questo punto, ha introdotto una condizione che costituisce un limite alla equiparazione del cittadino italiano allo straniero. Oggi il Testo unico ha abolito l'obbligo di accertare la condizione di reciprocità per quanto riguarda il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro autonomo. Per altri atti, che siano oggetto di un procedimento amministrativo diverso dal rilascio del permesso di soggiorno per lavoro autonomo di cui sopra, i pubblici impiegati devono accertare l'esistenza di un rapporto di reciprocità solo nei casi previsti espressamente dal Testo unico e quando eventuali accordi internazionali con specifici paesi richiedano tale accertamento. In ogni caso l'accertamento succitato non è richiesto per i cittadini stranieri che siano già in possesso della carta di soggiorno o del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, di lavoro autonomo per l'esercizio di un'impresa individuale e per i loro familiari in regola col permesso di soggiorno. I flussi di ingresso Il Governo presenta al Parlamento, con cadenza triennale, un documento programmatico sulla politica dell'immigrazione in cui vengono indicati i criteri generali da seguire per la definizione annuale dei flussi di ingresso. Quest'ultima, pertanto, viene effettuata dal Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i ministeri interessati e le Commissioni Parlamentari competenti, tramite un decreto che stabilisce le quote massime di stranieri da ammettere nel Territorio Nazionale per l'anno in corso. Fra i vari ministeri interessati, un ruolo senz'altro centrale spetta al Ministero del lavoro, le cui indicazioni, tanto sull'andamento occupazionale a livello locale e nazionale, quanto sul numero di lavoratori stranieri iscritti nelle liste di collocamento, sono fondamentali per la definizione delle suddette quote annuali. Nelle quote viene preso in considerazione il numero di stranieri da ammettere per lavoro a tempo indeterminato, determinato a carattere stagionale, e per lavoro autonomo. In tali quote non vengono però ricompresi gli stranieri entrati per ricongiungimento familiare e quelli che fruiranno di permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale. I decreti annuali fissano anche le quote riservate agli stranieri provenienti da Stati con cui l'Italia ha concluso intese o accordi bilaterali. Gli accordi bilaterali regolamentano, ad esempio, le quote dei flussi di ingresso per lavoro stagionale, oltre alla formazione delle apposite liste (tenute dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane) in cui gli stranieri hanno la possibilità di iscriversi. Inoltre, gli accordi bilaterali possono prevedere l'utilizzo per lavoro subordinato di gruppi di lavoratori per la realizzazione di singole opere o in relazione a servizi di durata limitata, precisando le modalità di rilascio delle relative autorizzazioni al lavoro. Realizzata l'opera o prestato il servizio i lavoratori devono tornare nel paese d'origine. Le liste d'ingresso Il decreto legislativo del 25 luglio 1998 stabilisce che, a seguito di accordi fra l'Italia ed altri Stati non facenti parte dell'Unione Europea, gli stranieri che desiderano venire in Italia per un lavoro subordinato, anche a carattere stagionale, devono fare inserire il proprio nome in una lista tenuta presso le rappresentanze diplomatiche o consolari italiane. Le liste, aggiornate annualmente, sono formate secondo il tipo di lavoro che i cittadini stranieri intendono svolgere, cioè lavoro a tempo determinato, indeterminato o stagionale. L'iscrizione nella lista rimane valida per dodici mesi dal momento della domanda di presentazione ed alla scadenza deve essere rinnovata; l'anzianità decorre dal momento della nuova iscrizione. Da questa lista vengono scelti i lavoratori stranieri che, previa concessione del visto d'ingresso da parte della rappresentanza diplomatica o consolare, potranno venire a lavorare in Italia. Più specificamente, la scelta sarà indirizzata verso un nome ben preciso, nel caso della cosiddetta chiamata nominativa del datore di lavoro; viceversa, quando il datore di lavoro non abbia un lavoratore straniero determinato da chiamare, la scelta avverrà sulla base del criterio dell'ordine di iscrizione, a parità di requisiti professionali. Modalità di ingresso: L'art. 4 del Testo unico stabilisce che l'ingresso nel territorio dello Stato avviene attraverso gli appositi valichi di frontiera, salvo casi di forza maggiore. Le autorità di frontiera, effettuati i controlli, devono apporre sul passaporto il timbro d'ingresso e la data. I requisiti per l'ingresso nel territorio dello Stato sono il possesso di passaporto valido o documento equivalente e il visto d'ingresso, nei casi in cui il soggetto provenga da uno Stato inserito nella lista di paesi per i quali è ritenuto necessario il visto d'ingresso. Il visto, che materialmente consiste in una vignetta o sticker applicata sul passaporto o altro valido documento di viaggio, è un'autorizzazione ad entrare nel territorio della Repubblica Italiana o, eventualmente, anche in quello di un paese contraente l'Accordo di Schengen, concessa dal Ministero degli affari esteri in rapporto al buon andamento delle relazioni internazionali ed alla tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico. Quindi il rilascio dei visti emessi dall'Italia spetta al Ministero degli affari esteri, attraverso le proprie sedi diplomatico consolari a ciò abilitate e territorialmente competenti per il luogo di residenza dello straniero. Esse sono le uniche responsabili dell'accertamento e della valutazione dei requisiti per il rilascio del visto, nell'ambito della loro discrezionalità e tenuto conto delle particolari situazioni locali. Il soggiorno del cittadino straniero: L'art. 5 del Testo unico prevede che possano soggiornare in Italia gli stranieri che siano entrati nel nostro paese seguendo la procedura prevista dall'art. 4, e che, una volta fatto ingresso nel territorio dello Stato, siano in possesso della carta di soggiorno o del permesso di soggiorno oppure siano titolari di un titolo equivalente rilasciato da uno Stato dell'Unione Europea sulla base e nei limiti di specifici accordi. Questi ultimi permessi sono i cosiddetti permessi Schengen. Lo straniero che ne è titolare, é pertanto obbligato a comunicare la sua presenza sul territorio italiano alla Questura che provvederà a rilasciare una ricevuta di segnalazione di presenza e potrà rimanere in Italia per un periodo non superiore a 90 giorni. Viceversa, la mancata comunicazione comporta una sanzione amministrativa. Qualora la comunicazione non pervenga entro 60 giorni dall'ingresso in Italia, è prevista l'espulsione amministrativa. Una volta entrato in Italia, lo straniero che desideri soggiornarvi legalmente deve presentare la richiesta del permesso di soggiorno alla Questura del luogo dove intende soggiornare, entro 8 giorni lavorativi dalla data d'ingresso. La durata del permesso di soggiorno corrisponde a quella indicata nel visto. Il permesso di soggiorno non può avere una durata superiore a 3 mesi quando è concesso per affari, visite o turismo; ha una durata di un anno per motivi di studio; da 6 a 9 mesi per lavoro stagionale; di 2 anni per lavoro autonomo o subordinato. In tutti gli altri casi la durata non potrà essere superiore al tempo necessario per le esigenze, specificamente documentate, alla base della richiesta del permesso di soggiorno. Oltre che per i motivi indicati nel visto di ingresso, il permesso di soggiorno può anche essere rilasciato per richiesta di asilo politico (per il tempo necessario alla procedura ed all'asilo), per emigrazione in un altro paese (per la durata del procedimento di emigrazione), per acquisto della cittadinanza o dello status di apolide, per i soggetti già in possesso di un altro permesso di soggiorno per altri motivi (anche qui per la durata del procedimento e del riconoscimento) e per motivi umanitari. Facoltà ed obblighi dello straniero regolarmente soggiornante in Italia: Lo straniero ha l'obbligo di esibire a richiesta degli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza il passaporto, o un altro documento di identificazione, ed il permesso di soggiorno o la carta di soggiorno. Il cittadino straniero che si sottrae a tale obbligo, senza giustificato motivo, verrà sottoposto a procedimento penale e potrà essere punito con l'arresto fino a sei mesi e l'ammenda. Nell'ipotesi in cui ci siano dubbi relativamente all'identità dello straniero, quest'ultimo può essere sottoposto a rilievi segnaletici. Altra disposizione di rilievo in materia è quella relativa alla possibilità del Prefetto di vietare ai cittadini stranieri il soggiorno in determinate località che interessano la difesa militare dello Stato. Gli stranieri che trasgrediscono possono essere allontanati con la forza pubblica. La carta di soggiorno: Una delle novità più importanti della legge nº 286 del 1998, novità confermata poi nel successivo Testo Unico, è costituita dalla carta di soggiorno. Si tratta di uno strumento volto a consolidare il processo di integrazione dei cittadini stranieri, i quali grazie a questo documento possono passare da una condizione di temporaneità ad una di maggiore stabilità , tramite l'acquisizione della possibilità di partecipare alla vita sociale e collettiva del luogo di soggiorno. Infatti il possesso della carta di soggiorno comporta l'accesso ad una serie di diritti propri del cittadino, fatta eccezione per quelli strettamente riservati agli italiani, cioè la difesa dello Stato e, almeno per ora, il diritto di voto nelle elezioni amministrative. La carta di soggiorno, che è a tempo indeterminato, può essere concessa agli stranieri che risiedono in Italia da almeno 5 anni e sono titolari di un permesso di soggiorno rinnovabile senza soluzione di continuità , purché lo straniero dimostri di possedere un reddito sufficiente per il proprio mantenimento. La carta di soggiorno può essere rilasciata anche al coniuge ed ai figli dello straniero che ne è già titolare, purché quest'ultimo riesca a dimostrare di avere un reddito sufficiente a mantenere anche i propri congiunti. Il permesso di soggiorno per lavoro subordinato a tempo indeterminato, determinato ed a carattere stagionale: Lo straniero che intenda stabilirsi in Italia per motivi di lavoro subordinato a tempo determinato, indeterminato ed a carattere stagionale, deve affrontare un iter molto complesso, che si snoda attraverso più fasi, alcune delle quali si svolgono in Italia, tramite l'iniziativa e la partecipazione del datore di lavoro, altre si svolgono nel paese di provenienza dello straniero, il quale deve fare riferimento alla rappresentanza diplomatica o consolare italiana del suo Paese. Il percorso, se arriva a buon fine, fa ottenere allo straniero il visto d'ingresso nazionale. Anzitutto, il lavoratore straniero deve iscriversi nella lista apposita, tenuta dalla rappresentanza diplomatica o consolare italiana e i cui dati vengono trasmessi al Ministero del lavoro. Il datore di lavoro italiano o straniero, purché regolarmente soggiornante in Italia, che voglia assumere uno straniero residente all'estero, deve prima di tutto recarsi presso la Direzione provinciale del lavoro per fare una richiesta nominativa di assunzione del lavoratore straniero, iscritto nelle liste suindicate. La Direzione provinciale del lavoro, ricevuta la richiesta, valuterà se rilasciare o meno l'autorizzazione. La valutazione tiene conto sia del numero di stranieri, fissato dal decreto annuale e considerato in relazione alle diverse categorie di lavoratori che possono entrare nel nostro territorio, sia della disponibilità da parte del datore di lavoro dei mezzi finanziari sufficienti in relazione al numero di richieste di assunzioni avanzate. Qualora il datore di lavoro ottenga l'autorizzazione, dovrà presentarla alla Questura per poter ottenere il nulla osta provvisorio. Quest'ultimo viene concesso entro 20 giorni, solo se non sussistono motivi ostativi relativi all'ingresso dello straniero in Italia. (ad es., il datore di lavoro non deve essere responsabile del reato di favoreggiamento all'ingresso clandestino degli stranieri e permanenza degli stranieri sul Territorio Nazionale, né deve aver assunto come dipendenti dei lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno o anche con il permesso scaduto, annullato o revocato). L'autorizzazione completa di nulla osta che, a questo punto, verrà eventualmente concessa, ha una validità di 6 mesi per i lavoratori a tempo determinato e indeterminato. Per i lavoratori stagionali la validità è compresa tra i 20 giorni ed i 6 mesi, che diventano nove per quei settori di lavoro stagionale che necessitano di tale intervallo temporale più ampio. Ottenuto il visto e giunto in Italia, entro 8 giorni lavorativi (non lavorativi per il permesso stagionale) dall'ingresso, lo straniero dovrà presentare, alla Questura territorialmente competente la richiesta per ottenere il permesso di soggiorno. La Questura provvede al rilascio del permesso di soggiorno entro 20 giorni dalla richiesta, sempre che siano presenti le condizioni richieste. Assistenza e previdenza sociale in generale: La materia dell'assistenza sociale è disciplinata dall'art. 41 del Testo unico. Esso stabilisce che i cittadini stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno da almeno un anno (compresi i minori iscritti nei relativi documenti), siano parificati nella fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche di assistenza sociale. La tutela abbraccia anche gli stranieri che soffrono del morbo di Hansen o di tubercolosi, i sordomuti, i ciechi civili, gli invalidi civili e gli indigenti. Un aspetto molto importante legato all'assistenza sociale (e trattato infatti nel capo terzo insieme a questo) è quello del diritto all'abitazione. Lo straniero, regolarmente soggiornante, può accedere agli alloggi sociali collettivi o singoli messi a disposizione dai comuni, dalle associazioni di volontariato o da altri enti pubblici o privati. Gli alloggi, organizzati in forma di pensionato, devono garantire una sistemazione dignitosa, ma con prezzi ridotti, in attesa di trovare una sistemazione definitiva. Inoltre la legge prevede che le Regioni elargiscano dei contributi in fondo capitale, o a fondo perduto, a favore dei comuni o di altre associazioni, per ristrutturare o risanare, da un punto di vista igienico-sanitario, sia gli alloggi di cui sono proprietari, sia quelli di cui abbiano la disponibilità legale per almeno 15 anni, purché si tratti di alloggi da destinare a cittadini stranieri in possesso di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno per lavoro subordinato, autonomo, per studio, per asilo politico, per motivi familiari o umanitari. Inoltre, gli stranieri titolari della carta di soggiorno o del permesso di soggiorno, che esercitano un lavoro subordinato o autonomo o siano almeno iscritti nelle liste di collocamento, hanno diritto ad accedere, a parità di condizioni con i cittadini italiani, ai sevizi di intermediazione offerti dalle agenzie sociali di Regioni ed enti locali, che si propongono di facilitare l'accesso agli alloggi ed al credito agevolato in materia di edilizia, recupero, acquisto e locazione della prima casa di abitazione. Per quanto riguarda l'aspetto della previdenza sociale, i lavoratori subordinati assunti a tempo indeterminato e determinato usufruiscono di tutte le forme di assistenza e previdenza previste dalla normativa al pari dei lavoratori italiani. Ciò significa che il datore di lavoro è tenuto al versamento di un contributo pari allo 0,5% detratto dalla retribuzione imponibile allo straniero e volto a finanziare un fondo istituito presso l'I.N.P.S. (previsto dall'art. 13 della legge nº943/86) per assicurare i mezzi economici per il rimpatrio del lavoratore straniero che ne sia privo. Per quanto riguarda più specificamente quest'ultimo aspetto, relativo al rimpatrio del lavoratore straniero l'art. 22, comma 11 del Testo unico (relativo al lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato) stabilisce che nel caso di eventuale ritorno del lavoratore al paese di provenienza, egli conserva i diritti previdenziali e di sicurezza sociale maturati, potendone peraltro godere a prescindere dalla vigenza di un accordo di reciprocità . L'assistenza sanitaria: Per quanto riguarda la normativa relativa all'assistenza sanitaria, essa è contenuta nel titolo quinto del Testo unico, titolo che disciplina gli aspetti relativi ai cosiddetti "diritti di cittadinanza e politica dell'accoglienza". Il primo aspetto rilevante è quello descritto nell'art. 34, relativo all'obbligo di iscrizione al Servizio sanitario nazionale. Questo obbligo comporta la parità di trattamento e pertanto l'uguaglianza di diritti e doveri coi cittadini italiani e grava sui cittadini stranieri che soggiornano regolarmente in Italia ed hanno un lavoro subordinato o autonomo, oppure sono iscritti nelle liste di collocamento (quest'ultimo caso è riferito ai cittadini stranieri entrati in Italia tramite un garante). L'obbligo di iscrizione è anche a carico degli stranieri regolarmente soggiornanti o che abbiano chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o autonomo, per motivi di famiglia, di asilo politico, umanitari, di adozione, affidamento o acquisto della cittadinanza. I familiari a carico, purché regolarmente soggiornanti, hanno l'obbligo d'iscrizione. Anche i minori in attesa di iscrizione hanno uguale trattamento rispetto ai minori già iscritti. Tutti gli altri cittadini stranieri, che soggiornano regolarmente in Italia, ma non appartengono alle tipologie sopra descritte, devono procurarsi una polizza assicurativa contro il rischio di maternità , di infortuni e malattie. In alternativa, devono iscriversi al Servizio sanitario nazionale pagando un contributo annuale corrispondente a quello dei cittadini italiani, in percentuale ai redditi percepiti nell'anno precedente. L'art. 35 del Testo unico esamina l'assistenza sanitaria nei confronti degli stranieri non iscritti al Servizio sanitario nazionale. Esso dispone che le prestazioni sanitarie effettuate verso tali soggetti debbano essere pagate, da chi è tenuto alla prestazione stessa, secondo le tariffe fissate dalle Regioni o dalle Province autonome. Derogano a tale regola gli eventuali accordi internazionali bilaterali o multilaterali di reciprocità che l'Italia ha sottoscritto in materia sanitaria. I cittadini stranieri che invece non sono in regola con il permesso di soggiorno hanno assicurate, nelle strutture sanitarie pubbliche, non solo le cure ospedaliere ed ambulatoriali urgenti ed essenziali, eventualmente anche in forma continuativa, dovute ad infortunio o malattia, ma anche le cure di natura preventiva, a tutela della salute individuale e collettiva. In tal senso la legge garantisce la tutela della gravidanza e della maternità , come la salute dei minori, le vaccinazioni, gli interventi di profilassi internazionale, e la profilassi, la diagnosi e la cura delle malattie infettive. Le prestazioni anzidette sono gratuite per i cittadini stranieri privi di mezzi economici, fatte salve le quote di partecipazione alla spesa a parità con i cittadini italiani. Nei casi di indigenza, che va dimostrata con un'autodichiarazione alla struttura sanitaria interessata, le spese saranno a carico dell'Azienda sanitaria locale, e del Ministero dell'interno se si tratta di cure ospedaliere urgenti ed essenziali. | |
Da: elena.forn | 29/08/2013 16:03:57 |
scusate se è un po' lungo, ma leggetelo ed evidenziate le parti più importanti, così riuscirete a spaziare un po' e a toccare tutti i punti | |
Da: vezio | 29/08/2013 17:51:24 |
ottimo | |
Da: disperata25 | 30/08/2013 09:02:35 |
Ottimo davvero!!! Complimenti!!! Ma tu facevi uno studio cosi' approfondito per tutte e 6 le materie??? Io praticamente 4 le ho lette ma e' come se non le avessi lette e le altre 2 sono qualcosa di ogni argomento. Non cosi' approfondito....magari sapessi tutte queste cose!!! Cmq complimenti davvero!!! E grazie. Mi stampero' gli appunti | |
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Da: elena.forn | 30/08/2013 14:57:04 |
io devo dire che sono stata fortunata perché avevo l'orale a febbraio e ho potuto approfondire. Ho lavorato fino a dicembre a tempo pieno, ma il tempo per studiare comunque c'è stato. Se posso permettermi di darti un consiglio, io fossi in te prenderei ogni singola materia e mi limiterei a LEGGERE gli argomenti che conosco già (ad esempio, quelli che ricordi bene dall'università o quelli che affronti spesso in studio a lavoro). Degli argomenti che non ricordo o non conosco, farei un sunto, che ricomprenda soltanto le cose fondamentali (quelle che non si può non conoscere) e ci tornerei su più volte e farei collegamenti con argomenti che si possono ricollegare tra loro. Non serve studiare a memoria, ma ragionare su ogni singolo istituto: ti garantisco che, se fatto bene, questo è un metodo che ti permette davvero di cavartela anche se non hai una conoscenza dettagliata delle varie materie. | |
Da: Azzex | 04/09/2013 09:11:29 |
Ragazzi questa è una domanda che è stata posta lo scorso anno nella mia corte d'appello ma per assurdo non riesco a trovare da nessuna parte la risposta. qualcuno può aiutarmi? Domanda: le impugnazioni dei provvedimenti del CSM, si può?chi e quando? | |
Da: Ragnuzzo | 04/09/2013 11:23:58 |
contro i provvedimenti del CSM, adottati formalmente con decreto del Presidente della Repubblica e controfirmati dal Ministro della Giustizia, è possibile proporre ricorso davanti al Tar per motivi di legittimità . Contro i provvedimenti disciplinari è ammesso il ricorso alle Sezioni Unite | |
Da: Ragnuzzo | 04/09/2013 11:27:12 |
contro i provvedimenti del CSM, adottati formalmente con decreto del Presidente della Repubblica e controfirmati dal Ministro della Giustizia, è possibile proporre ricorso davanti al Tar per motivi di legittimità . Contro i provvedimenti disciplinari è ammesso il ricorso alle Sezioni Unite | |
Da: Azzex | 04/09/2013 16:32:02 |
Si è svelato l'arcano!grazie infinite ragnuzzo. | |
Da: Azzex | 07/09/2013 18:00:01 |
ragazzi domanda che al momento non trova una risposta: Il difensore civico nell'ordinamento giuridico italiano. Sul mio testo non viene minimamente menzionato. Sò che è una figura istituita a livello regionale per garantire l'imparzialità e il buon andamento della PA ma più di questo non riesco a sapere. qualcuno può aiutarmi? | |
Da: dR.. | 07/09/2013 18:18:21 |
lo troverai su un manuale di amministrativo! ;) | |
Da: vezio | 07/09/2013 18:59:32 |
Ha ragione dr è di amministrativo | |
Da: Alessandraio | 07/09/2013 21:16:04 |
Ma ragazzi...le città metropolitane sono state istituite o no??? E sulle unioni di comuni e le comunità montane e isolane cosa sapete? Sul Giuffrè ci son due acche! | |
Da: vezio | 07/09/2013 21:59:37 |
A quanto mi risulta si sono susseguite due leggi: la l. N. 135/2012 e la l. 228/2012, la quale, stando al compendio simone, avrebbe disposto la sospensionendelle disposizioni relative alle citta metropolitane, prorogando la loro attuazione al 31 dicembre 2013...dovevano sostituire le province giusto? | |
Da: Ragnuzzo | 08/09/2013 13:56:41 |
giustissimo | |
Da: Azzex | 09/09/2013 19:56:36 |
ragazzi solita domanda "strizzacervelli": il conflitto di attribuzioni tra i poteri dello stato: il mio testo dice che teoricamente il conflitto non potrebbe essere originato da leggi o atti ad esso equiparati per i quali l'ordinamento prevede il rimendio dell'impugnazione in via incidentale. Tuttavia è possibile la configurazione di un conflitto promosso contro atti legislativi (d.l. e d.lgs) che comprimano diritti fondamentali, incidano su materie costituzionali e determinino effetti irreversibili. Vi ci ritrovate? ma poi lo Stato non dovrebbe proporre impugnazione i via principale? Vi prego urgo aiuto! :( | |
Da: vezio | 10/09/2013 14:45:38 |
Se a qualcuno serve qui c'ê la disciplina aggiornata del t. U. Immigrazione http://www.altalex.com/index.php?idnot=51626#titolo2 | |
Da: luppolo29 | 10/09/2013 14:48:43 |
Scusate ragazzi, per voi se il presidente della repubblica non promulga la legge (senza rimandarla alle camere, si limita a nn promulgarla) è conflitto di attribuzione o attentato alla costituzione? | |
Da: Azzex | 10/09/2013 16:09:02 |
beh io escluderei senz'altro l'ipotesi di attentato alla costituzione: l'art. 283 cp. parla chiaro visto che lo definisce come un fatto diretto a mutare la Costituzione della Stato o la forma di governo con mezzi non consentiti dall'ordinamento costituzionale dello Stato. Quanto al conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato potrebbe esserlo visto che può configurarsi come un cattivo uso delle proprie attribuzioni che intralcia il pieno esercizio delle competenze altrui. Però la mia è solo un'ipotesi. | |
Da: luppolo29 | 10/09/2013 16:13:50 |
Grazie! | |
Da: elena.forn | 10/09/2013 16:38:42 |
Premesso che la promulgazione di una legge è un atto c.d. DOVUTO, il Presidente della Rep. può non promulgare solo per vizi formali o per contrarietà alla costituzione. Il Presidente non ha, invece, un potere di veto, ma soltanto un potere di controllo, che solitamente egli esercita rinviando alle Camere per il riesame. Peraltro, il Parlamento può, per così dire, "superare" l'ostacolo riproponendo la legge nello stesso identico testo, in precedenza "respinto" dal Capo dello Stato, il quale, però, questa volta sarà costretto a promulgarla! Solo ove la promulgazione sia suscettibile di dare luogo a responsabilità penale presidenziale (alto tradimento o attentato alla Costituzione), il Capo dello Stato potrà opporre il proprio definitivo rifiuto. | |
Da: elena.forn | 10/09/2013 16:40:08 |
e cmq, ciao "luppolo": il tuo nik la dice lunga!!!! Scherzo, mi ha fatto sorridere :-) Evviva la birra | |
Da: luppolo29 | 10/09/2013 17:01:30 |
bisogna pur affogare lo stress di quest'esame :)! quanto alla domanda, il problema che mi ponevo è proprio questo: essendo la promulgazione un atto dovuto, è concepibile un mero conflitto di attribuzioni qualora il presidente si rifiuti ingiustificatamente o addirittura attentato alla costituzione? alla fine il rifiuto di promulgare la legge consiste in un vero rinnegare il potere legislativo del parlamento! un avvocato a cui ho posto la domanda mi ha risposto senza esitazione che configurava attentato alla costituzione, ma chiaramente non mi sono fidato ;). internet non mi ha aiutato, anch'io ero più tendente al conflitto di attribuzione e Azzex mi ha confortato in questo. Ciò detto, era una mia curiosità personale e certo non sarà domanda papabile! Anche se lo fosse, un ragionamento su cos'è il conflitto di attribuzione e cos'è l'attentato alla costituzione sarebbe indubbiamente sufficiente; anche sostenere, motivando, una posizione piuttosto che l'altra non credo sia pericoloso in sede d'esame stante che non essendo mai successo dubito che i commissari possano ritenere la risposta completamente errata! | |
Da: elena.forn | 10/09/2013 18:27:32 |
CONFERMO PIENAMENTE: la mancata promulgazione di una legge dà luogo a conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (presidente della Repubblica e Parlamento). Ad ogni modo, simpatico luppolo 29, il Presidente della Rep. non può rifiutarsi di dar luogo alla promulgazione della legge, trattandosi pacificamente di un atto dovuto, che esclude ogni margine di discrezionalità da parte del Presidente medesimo. Ai sensi dell'art. 74.2 Cost., infatti, se, a seguito del rinvio presidenziale, il Parlamento riapprova la legge senza apportare modifiche al testo, questa "DEVE essere promulgata"!!! D'altra parte, l'atto di rinvio del Presidente non è fonte di obblighi nei confronti delle due Camere, che possono infatti decidere di non adeguarsi ai rilievi formulati dal Presidente della Repubblica, anche quando tali rilievi siano relativi a vizi di legittimità o, peggio ancora, di merito. E' questa, a mio avviso, la spiegazione che "scioglie" proprio il dubbio: stiamo parlando, infatti, di due "poteri" (dello Stato) aventi competenza in ordine al medesimo "oggetto/materia" (la promulgazione delle leggi). N. B.= tuttavia, non mancano in dottrina opinioni discordanti (ossia, che si tratti effettivamente di attentato alla Cost.). Un attentato alla Cost. si configurerebbe, invece, nel caso in cui - ad esempio - il Presidente della Repubblica decidesse di organizzare un colpo di Stato per instaurare una dittatura (tipico caso di scuola) o, con più fantasia, ordinasse alle forze armate di marciare su Roma. Bravo Luppolo, farsi domande di questo tipo è uno dei metodi migliori per studiare seriamente ed entrare nella materia. Se, come dici, è vero che la tua non rientra tra le domande "papabili", dall'altro lato è anche vero che, talvolta, qualche commissario ama farci scervellare... Ad esempio, ad un collega chiesero (domanda di un PM) qual è, in ordine di importanza, il secondo potere dello Stato subito dopo il Presidente della Repubblica.... Molti avrebbero risposto il Parlamento. Non è la risposta esatta.... :-D | |
Da: Azzex | 10/09/2013 18:29:06 |
ragazzi in questo momento mi sorge un serio dubbio: ritenete che sia il caso di spolverarsi ben bene la legge Severino con annessi e connessi viste le vicende degli ultimi giorni?credete che possa essere una domanda di attualità più che lecita? Certo studiarmi altra roba non mi conforta minimamente ma la domanda sorge spontanea! | |
Da: elena.forn | 10/09/2013 18:32:55 |
almeno una lettura si, sapere di cosa si tratta, cosa disciplina... Io, quando andavo ad assistere agli esami, in verità mi domandavo sempre come mai non facessero molte domande "di attualità "... Eppure, 2012/2013 sono stati anni di fuoco per i giuristi! | |
Da: luppolo29 | 10/09/2013 18:46:35 |
Grazie elena, è bello confrontarsi tra colleghi! almeno non ci si sente soli davanti a questi tomi infiniti. quanto alle domande di attualità , credo evitino per evitare possibili diatribe che poco hanno di giuridico. In ogni caso credo che una domanda tipo che organi possono sollevare questione di legittimità costituzionale - nella specie può una camera od una giunta sollevarla ?- sia possibilissima, posto sempre il fatto che il candidato può tranquillamente motivare in entrambi i sensi visto che stimatissimi giuristi paiono sostenere teorie opposte | |
Da: vezio | 10/09/2013 18:59:29 |
http://intoccabili.wordpress.com/2013/09/05/la-legge-severino/ Quello che ci interessa dovrebbe essere l'art. 1 in riferimento all'art. 3. | |
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