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ESAME AVVOCATO 2013
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Da: Jean Valjean_ 10/12/2013 14:22:06
sono entrambi di semplice risoluzione.
se uno è capra è meglio che si butti sul parere della s.r.l, visto che il primo presuppone una buona conoscenza del fondo patrimoniale e dei principi della responsabilità patrimoniale.
il secondo parere, viceversa, non richiede chissà quale conoscenza.
Rispondi

Da: aiutinodacasa10/12/2013 14:23:25
CARI IGNORANTI IL PARERE E' CORRETTO!!!
Rispondi

Da: marcosantioni 10/12/2013 14:23:33
sono usciti gli svolgimenti della traccia uno
Rispondi

Da: catullolex10/12/2013 14:25:28
sei una capra
Rispondi

Da: gae10/12/2013 14:26:21
dove?poi pubblicarli!
Rispondi

Da: Heeeeelp!10/12/2013 14:26:31
Mi date un giudizio su questo parere svolto?

Il fondo patrimoniale, che consiste in un vincolo posto nell'interesse della famiglia su di un complesso di beni determinati, realizza la costituzione di un patrimonio separato o di destinazione, con limitazione dei poteri dispositivi dei costituenti, ciascuno o un ambedue i coniugi, un terzo, anche per testamento.
Funzione del vincolo è quella di destinare i beni conferiti al soddisfacimento dei diritti di mantenimento, di assistenza e di contribuzione esistenti nell'ambito della famiglia. Nella collocazione codicistica, con la legge di riforma del diritto di famiglia (n. 151 del 19.05.1975), la normativa del fondo patrimoniale (artt. 167 - 171 c.c.) ha sostituito quella del patrimonio familiare.
La sostanziale differenza tra i due istituti risiede nella intensità del vincolo di destinazione, assai rigido nel secondo, così da assicurare a quel complesso di beni stabilità e durata in armonia con quelli che erano un tempo anche i caratteri del matrimonio possono disporre dei beni liberamente, senza obbligo di reimpiego, non soltanto quando sia loro consentito dall'atto di costituzione, ma anche quando abbiano raggiunto l'accordo sull'atto di disposizione e, allorché vi siano figli minori, nei soli casi di necessità od utilità evidente e con l'autorizzazione del Tribunale.
Oltre la costituzione del fondo patrimoniale, la disciplina civilistica prevede altre due formalità per rendere opponibile ai creditori il fondo: l'annotazione del fondo a margine dell'atto di matrimonio (cfr. art. 162 c.c.) e la trascrizione dello stesso nei registri della conservatoria immobiliare (cfr. art. 2647 c.c.).
Tra gli ulteriori effetti del fondo, merita particolare attenzione il divieto di esecuzione sui beni ad esso destinati (e sui relativi frutti) " … per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia" (cfr. art. 170 c.c.): i beni del fondo ed i loro frutti rispondono soltanto per obbligazioni assunte nell'interesse della famiglia (così come avveniva per i frutti del patrimonio familiare). La consapevolezza del creditore della estraneità del debito alle esigenze familiari deve sussistere al momento del perfezionamento della fonte dell'obbligazione e deve costituire oggetto di prova da parte di colui che si oppone all'espropriazione forzata. La prova può essere fornita anche mediante presunzioni semplici, essendo sufficiente dimostrare che lo scopo dell'obbligazione appariva come normalmente estraneo ai bisogni della famiglia. In ordine al significato ed alla portata dell'art. 170 c.c., la giurisprudenza (Cass., Sez. I, 18.09.2001 n. 11683; conf. Cass., Sez. III, 7.01.1984 n. 134) ha chiarito che " In tema di esecuzione sui beni del fondo patrimoniale, il disposto dell'art. 170 c.c. - nel testo di cui alla legge 19 maggio 1975 n. 151- per il quale detta esecuzione non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, va inteso non in senso restrittivo, come riferentesi cioè alla necessità di soddisfare l'indispensabile per l'esistenza della famiglia, bensì -analogamente a quanto, prima della riforma di cui alla richiamata L. n. 151 del 1975, avveniva per i frutti dei beni dotali- nel senso di ricomprendere in detti bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi".
Ecco che bisogna stabilire quale è il rapporto tra queste diverse formalità e, in particolare, ci si chiede se per rendere opponibile il fondo ai creditori è sufficiente solo l'annotazione o solo la trascrizione o sono necessarie entrambe le formalità. La risposta è stata fornita dalla Cassazione Sez. Un. del 13 ottobre 2009 n. 21658 secondo la quale per ottenere l'opponibilità del fondo ai creditori occorre far riferimento solo all'annotazione del vincolo a margine dell'atto di matrimonio e non alla trascrizione dello stesso, che avrebbe solo una funzione di pubblicità notizia. Sulla scelta effettuata dalla Cassazione a Sez. Un. forse è opportuno effettuare una piccola considerazione, infatti, la scelta dalla Cassazione può andare bene in caso di mera costituzione di un fondo avente ad oggetto beni di proprietà di entrambi i coniugi (c.d. costituzione non traslativa), ma la soluzione non è utilizzabile in caso di costituzione di un fondo "traslativa" (come ad esempio il caso in cui il bene inserito nel fondo è di un terzo la cui proprietà viene trasferita ad entrambi i coniugi), poichè, in tale ultima ipotesi, la trascrizione del fondo nei registri della conservatoria non ha "solo funzione di pubblicità notizia", ma è una vera e propria trascrizione di un atto traslativo.
Comunque, è opportuno sottolineare che la Cassazione del 28 settembre 2012 n. 16526 conferma l'impostazione delle sezioni unite, ma aggiunge un particolare ulteriore, cioè spiega cosa deve fare il titolare del fondo per proteggere i beni compresi nel fondo da un pignoramento.
Infatti, diretta conseguenza di quanto affermato è il principio secondo il quale per opporsi all'esecuzione su beni compresi nel fondo patrimoniale, il titolare dello stesso non deve solo provare l'esistenza del fondo (quindi non deve solo produrre l'atto costitutivo del fondo) ma deve anche produrre un certificato di matrimonio sul quale è annotata la costituzione del fondo, in assenza del certificato l'opposizione non può essere accolta ed è rilevabile d'ufficio la mancata allegazione del certificato di matrimonio e l'eventuale assenza dell'annotazione a margine dell'atto di matrimonio della costituzione del fondo patrimoniale.
Su un bene già inserito nel fondo patrimoniale può ben essere iscritta ipoteca anche dopo l'iscrizione nel fondo stesso. Tuttavia, finché sussiste il fondo patrimoniale, il creditore non potrà pignorare e agire con l'esecuzione forzata nei confronti di tale immobile. Non rileva la circostanza che l'iscrizione di ipoteca potrebbe comportare una diminuzione del valore del bene, in quanto lo scopo del fondo patrimoniale è quello di non distrarre il bene dalla sua destinazione, e non anche di tutelare l'integrità del suo valore. Nel caso invece in cui l'ipoteca sia sorta prima che il bene venga inserito nel fondo patrimoniale, l'ipoteca sopravvive e, pertanto, su di essa il fondo non avrà alcun effetto. Il che vuol dire che il creditore potrà ugualmente espropriare l'immobile, senza bisogno di agire con l'azione revocatoria. Per tale ragione è opportuno non includere nel fondo immobili già ipotecati, a meno che non si tratti di mutui che stanno per essere estinti. Infatti, in quest'ultima ipotesi, il titolare dell'immobile, che verosimilmente estinguerà in breve tempo il proprio debito con la banca, metterà nello stesso tempo al riparo la propria casa da eventuali e successivi debito.
Alla luce di tutto quanto precede e considerando che la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Tributaria Civile, con la sentenza n. 4011 del 19 febbraio 2013, ha affermato che in caso di debito contratto nei confronti di un istituto di credito per motivi che possono essere di tipo imprenditoriale o lavorativi lo stesso debito può essere inteso anche come assunto nell'interesse della famiglia. Pertanto, in caso di inadempimento, la banca ben può procedere al pignoramento dell'immobile costituito nel fondo patrimoniale. Tale pronuncia, che trova conferma anche in alcuni precedenti (Cassazione 18 settembre 2001 n. 11683 e 7 luglio 2009 n. 15862), si basa su un'interpretazione estensiva della nozione di «bisogni della famiglia» contenuta all'art. 170 cc.
Rispondi

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Da: xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx10/12/2013 14:26:34

TRACCIA N.2
Schema
- Effetti cancellazione della società dal registro
imprese: estinzione della società. analisi art. 249
5
c.c.
- successione dei soci nei debiti della società nei
limiti delle quote di partecipazione (posto che si
tratta di una società di capitali e quindi a respon
sabilità limitata)
- colpa del liquidatore per aver trascurato le doma
nde di pagamento della società alfa
- Cass. SS UU n. 6070 del 12.032013
-conclusioni: legittimazione ad agire nei confronti
dei soci nei limiti della quota loro liquidata ed
azione di risarcimento danni nei confronti del liqu
idatore
Rispondi

Da: xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx10/12/2013 14:27:32

TRACCIA N.1
Schema
- analisi dei seguenti istituti: fondo patrimoniale
art. 167 c.c.; pubblicità dell'atto pubblico di
costituzione in quanto ha ad oggetto un bene immobi
le ed inoltre perchè rappresenta una
convenzione matrimoniale ex art. 167 comma 1ì; in q
uanto tale va annotata a margine dell'atto di
matrimonio ai fini della relativa opponibilità ai t
erzi ex art. 167 ultimo comma
- preesistenza all'atto di costituzione del fondo p
atrimoniale di un'ipoteca sull'immobile.
conseguente analisi dell'art. 2808 e 2821 c.c., in
particolare la ipoteca rende indisponibile a chi la
concessa il bene da essa gravato; degli artt. 2900,
2901,2902 e 2913 c.c, che legittimano il creditore
(la banca) ad esperire l'azione revocatoria per far
dichiarare l'inefficacia dell'atto di costituzione
del
fondo patrimoniale e così giustificare l'azione ese
cutiva sul bene gravato da ipoteca
- Cass. civ. sez. III, sent n.933 del 24.01.2012
- conclusioni: azione revocatoria e procedura di es
ecuzione forzata
Rispondi

Da: Il ministro10/12/2013 14:27:37

- Messaggio eliminato -

Rispondi

Da: wowowow10/12/2013 14:28:14
il fondo patrimoniale non è valido poichè è stato annotato 31 giorni dopo la sua trscrizione e quindi non sarebbe stato comunque opponibile  al creditore. Nel caso di specie la banca agisce in forza di una ipoteca trascritta prima della costituzione del fondo
Rispondi

Da: GEntilezxzzx10/12/2013 14:28:40
Catullo secondo me tu sei veramente un idiota.. il parere è esatto!! Vai a studiare capra!!
Rispondi

Da: baobabbaobim10/12/2013 14:29:00
sulla traccia del fondo sono inspiegabilmente riusciti a mandarvi fuori strada
Rispondi

Da: La Polizia Postale10/12/2013 14:30:29

- Messaggio eliminato -

Rispondi

Da: ac10/12/2013 14:32:53
hai perfettamente ragione
Rispondi

Da: catullolex10/12/2013 14:34:14
veramente le capre siete voi, cmq è solo il mio parere, è fondamentale risolvere la questione prendendo a riferimento la 933 del 2012, poi per carità fate come volete.
Rispondi

Da: sempre p10/12/2013 14:34:42
ha ragione catullo. la soluzione sta nella cassazione del 2012 ed in quella precedente del 2007.

Lo schemino è allora questo.

Il fondo patrimoniale rientra nel novero dei patrimoni c.d. destinati.
E' vero infatti che il fondo può essere costituito ad iniziativa dei coniugi o dai terzi allo scopo di soddisfare, mediante l'impiego dei relativi frutti, i bisogni della famiglia.
Tramite la costituzione del fondo si imprime perciò ai beni un determinato vincolo di destinazione, opponibile ai terzi ove il fondo sia costituito nei modi di legge.
E' vero infatti che il fondo determina l'istituzione di un regime di separazione patrimoniale, atteso che solo i creditori funzionali possono aggredire i beni ivi compresi, in deroga al principio della responsabilità patrimoniale sancito nell'art. 2740 c.c.
Affinché il vincolo possa validamente sorgere occorre, però, che l'atto di costituzione del fondo venga annotato nell'atto di matrimonio: l'eventuale trascrizione assolve infatti soltanto una funzione di pubblicità notizia.
Ne consegue che il vincolo di destinazione non possa essere opposto al creditore pignorante che agisca a soddisfacimento di un credito non funzionale quante volte l'atto di costituzione non sia stato annotato.
In presenza di una valida annotazione, la possibilità per il creditore extrafunzionale di aggredire i beni ricompresi nel fondo è strettamente correlata al tempo in cui abbia provveduto a trascrivere l'atto di pignoramento.
Solo in presenza di un pignoramento trascritto in data antecedente alla annotazione del fondo, sarà consentito al creditore extrafunzionale di aggrredire il bene ricompreso nel fondo.
Il creditore che abbia provveduto tuttavia a trascivere l'atto di pignoramento in epoca successiva non rimane però privo di tutela.
Soccorre infatti - secondo una soluzioine accolta in giurisprudenza ma fortemente contestata in dottrina - la possibilità del rimedio revocatorio, quante volte la costituzioine del fondo sia stata animata dall'intento di frodare i creditori.
La tempistica in concreto riscontrabile nel caso in esame induce a ritenere sussistenti elementi sintomatici dell'intenzione di frodare i creditori, stante l'imminenza dell'insolvenza.
Tuttavia ad una migliore disamina della fattispecie emerge che il ricorso al'azione revocatoria risulti non necessaria.
Risulta infatti che la banca creditrice avessi iscritto apposita ipoteca a garanzia del mutuo.
Come noto, l'ipoteca costituisce una garanzia di tipo reale che attribuisce al creditore il potere di aggredire il bene, pur laddove il debitore abbia posto in essere atti dispositivi.
Ne consegue in ogni caso la possibilità per il creditore ipotecario di aggredire il bene anche presso i soggetti terzi titolari del bene stesso.
Ne consegue nel caso in esame la possibilità per la banca di aggredire il bene, pur se confluito nell'ambito di un patrimonio c.d. separato.
Si pone in ultimo il problema del regime patrimoniale adottato dai coniugi, per l'ipotesi che il procedimento esecutivo sull'immobile non soddisfi completamente le ragioni della banca.
E' da ritenersi che la banca possa agire nei riguardi di entrambi i coniugi, entrambi responsabli solidalmnente del verso la banca, trattandosi di credito collegato ad un atto di straordinaria amministrazione.

Rispondi

Da: catullolex10/12/2013 14:36:42
bah
Rispondi

Da: sempre p10/12/2013 14:39:14
non fate i professorini.
l'ho scritta di getto, qui sul sito.
a domani
Rispondi

Da: sesese10/12/2013 14:40:18
ma scusate perchè parlate di revocatoria ?? se il fondo non è opponibile allora la banca potrà procedere con l'esecuzione forzata cioè come se l'immobile non fosse nel fondo....voi che ne pensate?
Rispondi

Da: da me10/12/2013 14:40:27
per coloro che hanno scritto "polizia postale: beccati!": ma qual è il reato se più persone su un forum discutono, si confrontano e si scambiano opinioni sulle tracce d'esame??
Se qualcuno ravvisa estremi di reato in ciò, per favore non faccia l'avvocato penalista, piuttosto si fermi al disbrigo pratiche assicurative.
Rispondi

Da: ila10/12/2013 14:40:41
qualcuno sa a che ora hanno iniziato a roma??
Rispondi

Da: sempre p10/12/2013 14:40:50
e l'abbiamo scritta, quando oramai non v'è più tempo di scopiazzare alcunché.
a domani
Rispondi

Da: costi quel che costi10/12/2013 14:42:21
questo è quello che ho fatto io
Per procedere all'esame del seguente parere è necessario approfondire la tematica del fondo patrimoniale disciplinato dagli artt. 167 e ss del c.c. Ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo, anche per testamento, possono costituire un fondo patrimoniale, destinando determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri, o titoli di credito, a far fronte ai bisogni della famiglia La proprietà dei beni conferiti spetta ad entrambi i coniugi. Non possono beneficiarne le coppie di fatto, e cessa i suoi effetti in caso di morte del coniuge, separazione, divorzio, annullamento del matrimonio.
La sua funzione principale è quella di soddisfare i bisogni della famiglia (e cioè i bisogni relativi ai diritti di mantenimento, assistenza e contribuzione).Importante è sottolineare che sui beni oggetto del fondo patrimoniale non è possibile agire forzosamente; i beni ed i frutti rispondono solo per obbligazioni contratte nell'interesse della famiglia. È fatta però salva la buona fede del creditore che ignorava che il debito era stato contratto per soddisfare i bisogni della famiglia. Secondo la prevalente opinione, il fondo patrimoniale è costitutivo di un "regime patrimoniale" in senso tecnico che, tuttavia, riguardando beni determinati, non si pone in alternativa agli altri regimi patrimoniali tipici, ma a questi si affianca. Per questa ragione, la costituzione del fondo patrimoniale è compatibile con la perdurante vigenza, tra i coniugi, di un regime di separazione dei beni oppure di comunione legale o convenzionale.
La circostanza che Tizio e sua moglie abbiano optato per il regime della separazione dei beni non costituisce pertanto ostacolo alcuno alla piena validità ed efficacia dell'atto costitutivo del fondo.
Prima di entrare nel merito del parere è necessario stabilire se il vincolo derivante dal fondo, pur validamente costituito, sia opponibile ai terzi e, in particolare, alla banca Alfa creditrice.
Precisamente, ai sensi dell'art. 170 c.c., l'esecuzione sui beni vincolati in fondo patrimoniale "non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia". Dunque sono due sono i presupposti richiamati nella norma: il primo, di natura oggettiva, consiste nell'estraneità del debito ai bisogni della famiglia; il secondo, di natura soggettiva, è rappresentato dalla conoscenza, da parte del creditore, della predetta estraneità.
Riguardo al primo requisito - l'estraneità del debito ai bisogni della famiglia - sembra ragionevole ritenere che nel caso in esame non sussista, in quanto l'acquisto di un immobile fatto da entrambi i coniugi ben potrebbe rientrare tra il novero dei beni che rappresentano i bisogni della famiglia anche alla luce della giurisprudenza dominante.
Al tal riguardo infatti, la giurisprudenza di legittimità, identifica i "bisogni della famiglia" ai fini dell'art. 170 c.c. nella "inerenza diretta ed immediata" degli scopi per cui i debiti sono stati contratti ai bisogni della famiglia. Si è precisato che il concetto di "bisogni della famiglia" non deve essere inteso in senso restrittivo, non deve cioè essere riferito solo alla soddisfazione delle necessità indispensabili del nucleo familiare bensì deve essere letto come formula atta a ricomprendere tutte le esigenze volte al pieno mantenimento e all'armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da intenti meramente speculativi (sempre Cass., 7 gennaio 1984 n. 134).
Riguardo al secondo requisito - conoscenza da parte del creditore dell'estraneità del debito ai bisogni della famiglia- anche questo, può ragionevolmente ritenersi escluso. La banca Alfa, infatti, era a conoscenza che il mutuo era stato fatto per l'acquisto di un immobile da parte di entrambi i coniugi e tale singola ragione già di per sè basterebbe a considerare detto acquisto ricollegabile ai bisogni della famiglia di Tizio e Caia.
La Cassazione, fugando ogni dubbio di sorta, in una recentissima sentenza hanno sancito che: "L'onere della prova dei presupposti di applicabilità dell'art. 170 c.c., grava sulla parte che intende avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale (ovvero Tizio e Caia), la quale deve provare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità nei confronti del creditore pignorante, ma anche che il debito per cui si procede venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia, essendo questi ultimi sia quelli essenziali del nucleo familiare, sia altre esigenze, purchè il loro soddisfacimento sia funzionale alla vita della famiglia"(Cassazione Civile, Sez. III, 19 febbraio 2013 n. 4011).

Per dette ragioni la Banca Alfa ben potrebbe pignorare l'immobile di Tizio e Caia stante che, dovranno essere questi ultimi a provare che il fondo sia stato regolarmente costituito e che l'acquisto dell'immobile facente parte del fondo sia rimasto estraneo ai bisogni familiari.

Si ritiene comunque che, nel caso in cui Tizio e Caia riescano a dimostrare l'estraneità dell'acquisto dell'immobile ai cd. "bisogni familiari", la Banca Alfa potrà comunque far valere i propri diritti attraverso la revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c..
Infatti, a norma dell'art. 2901 c.c., sono soggetti alla revocatoria i soli "atti di disposizione del patrimonio" e i presupposti di tale azione sono: il periculum damni, cioè il pregiudizio delle ragioni del creditore e il consilium fraudis, cioè la consapevolezza di ledere le ragioni del creditore.

Nel caso in esame vi è sicuramente il periculum damni, rappresentato dall'immissione nel fondo patrimoniale dell'immobile sottoposto ad ipoteca volontaria dalla Banca Alfa a garanzia del mutuo concesso a Tizio e Caia anteriormente alla costituzione del fondo; e vi è altrettanto sicuramente anche consilium fraudis, ovvero la consapevolezza (dolo generico) da parte di Tizio e Caia di ledere le ragioni della Banca Alfa immettendo nel particolare regime del fondo patrimoniale un immobile gravato da ipoteca.
In conclusione, alla luce delle considerazioni sopraesposte la Banca Alfa potrà agire sia ex art. 170 c.c. e attivare la procedura esecutiva per l'immobile vincolato nel fondo patrimoniale e sia ex art. 2901 c.c. facendo dichiarare inefficace la costituzione del fondo patrimoniale in quanto arreca pregiudizio alle ragioni della Banca Alfa.





Rispondi

Da: lotario10/12/2013 14:42:25
QUANTE CAPRE SU QUESTO FORUM
POTETE OCCUPARVI SOLO DI INFORTUNISTICA STRADALE
RESTERETE A VITA CHIUSI NEI GIUDICI DI PACE
NON SIETE DEGNI DI ENTRARE IN UN TRIBUNALE
NON SAPETE MANCO COPIARE.
ANDATE A CASA
Rispondi

Da: rosa201310/12/2013 14:43:01
qualcuno sa a che ora consegna lecce?
Rispondi

Da: Notevolmente Notaio. ;)10/12/2013 14:43:29
TRACCIA N. 2
soluzione traccia n. 2
Schema
- effetti cancellazione della società dal registro imprese: estinzione della società. analisi art.
2495 c.c.
- successione dei soci nei debiti della società nei limiti delle quote di partecipazione (posto
che si tratta di una società di capitali e quindi a responsabilità limitata)
- colpa del liquidatore per aver trascurato le domande di pagamento della società alfa
- Cass. SS UU n. 6070 del 12.032013
-conclusioni: legittimazione ad agire nei confronti dei soci nei limiti della quota loro
liquidata ed azione di risarcimento danni nei confronti del liquidatore
Qualora all'estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese,
non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si
determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: le obbligazioni si trasferiscono ai
soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o
illimitatamente, a seconda che, "pendente societate", essi fossero o meno illimitatamente
responsabili per i debiti sociali; si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di
comunione indivisa, i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta,
ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito
ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore
(giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di
ritenere che la società vi abbia rinunciato. Ancora: la cancellazione volontaria dal registro delle
imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l'estinzione della società medesima,
impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio. Se l'estinzione
della società cancellata dal registro intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è
parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dagli articoli 299 e segg. cod.
proc. civ., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci. Ove invece l'evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi
previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non
sarebbe più stato possibile, l'impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società
deve provenire o essere indirizzata, a pena d'inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci
succeduti alla società estinta.
La Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza n. 6070/2013, viene chiamata a
pronunciarsi in tema di estinzione di società, cancellazione dal registro delle imprese, rapporti
debitori e rapporti processuali. In particolare, la Corte d'Appello di Napoli, riformando una
pronuncia resa in primo grado, aveva condannato il Comune "A" a pagare ad una società in
accomandita semplice ("R. s.a.s. in liquidazione"), una cospicua somma, determinata in 402.649,22
euro, oltre a interessi, a titolo di corrispettivo per l'esecuzione di lavori pubblici eseguiti dalla
società su incarico dell'ente locale.
La sentenza viene impugnata con ricorso, a sua volta contestato sul presupposto che il predetto
credito era stato ceduto dalla R. s.a.s. in liquidazione e, sul presupposto che la società in commento
«è da considerare estinta dal momento della cancellazione della stessa dal registro delle imprese,
onde l'impugnazione non avrebbe potuto essere ad essa indirizzata». Altresì il procedimento viene
arricchito a seguito della notifica al comune "A" ed alla società R. s.a.s. in liquidazione, della
richiesta del pagamento delle spese processuali da parte dell'avvocato della società.
Le Sezioni Unite della Cassazione vengono così chiamate a fare il punto sulla «sorte dei rapporti
processuali pendenti nel momento in cui una società (nella specie, una società di persone) venga
cancellata dal registro delle imprese». Viene così nuovamente affrontata la questione relativa agli
effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese, disciplina novellata a seguito
della riforma del diritto societario, di cui al D.Lgs. n. 6/2003, s.m.i.; la questione degli effetti della
cancellazione della società, peraltro era già stata recentemente affrontata dalla giurisprudenza. In
particolare, le sentenze di Cassazione richiamate nella pronuncia (Cass. 4060, 4061 e4062/2010),
avevano sottolineato la valenza innovativa dell'art. 2495 cod.civ., che è del seguente tenore:
«Cancellazione della società - Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono
chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. Ferma restando l'estinzione della
società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei
confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La
domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l'ultima sede
della società».
Viene così ravvisato che la cancellazione produce senz'altro l'effetto estintivo della società
(contrariamente a quanto accadeva ante riforma del diritto societario). Il provvedimento precisa che
la natura della cancellazione presso il registro delle imprese è differente per le società di persone e
per quelle di capitali: nelle prime, infatti, si tratta di pubblicità meramente dichiarativa, superabile
con prova contraria. Viene affermato che per superare la presunzione di estinzione della società,
«occorre la prova di un fatto dinamico: cioè che la società abbia continuato in realtà ad operare - e
dunque ad esistere - pur dopo l'avvenuta cancellazione dal registro», ammettendo così la
Cassazione, con un'altra pronuncia, la cancellazione della cancellazione (Cass. n. 8426/2010).
Ciò detto, le Sezioni Unite concentrano l'attenzione sulle conseguenze che possono derivare in
ordine ai rapporti già in capo alla società estinta, ma tuttora pendenti in quanto trascurati o
sopravvenuti, analizzando il profilo dei rapporti attivi e di quelli passivi. Relativamente a questi
ultimi, il comma 2 dell'art. 2495 cod. civ., sopracitato, afferma espressamente che i creditori sociali
tuttora non soddisfatti al momento della cancellazione della società, «possono far valere i loro
crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al
bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da
colpa di questi». Viene stabilito un termine di decadenza al fine dell'esercizio del diritto,
determinato in un anno dalla cancellazione. Dal tessuto normativo regolante la materia, non emerge
la volontà del legislatore di dichiarare estinti i rapporti con la formalità di cancellazione della
società: una simile situazione, infatti, pregiudicherebbe ingiustificatamente i creditori sociali
insoddisfatti al momento della formalità di cancellazione.
Secondo la pronuncia, naturale conseguenza della mancata estinzione delle posizioni creditorie è il
passaggio dei debiti insoddisfatti, alla data di cancellazione della società, in capo ai successori
dell'ente, configurandosi così un'ipotesi di successione inter vivos.
Secondo i giudici, «la ratio della norma (…) risiede nell'intento d'impedire che la società debitrice
possa, con un proprio comportamento unilaterale, che sfugge al controllo del creditore, espropriare
quest'ultimo del sui diritto. Ma questo risultato si realizza appieno solo se si riconosce che i debiti
non liquidati della società estinta si trasferiscono in capo ai soci, salvo i limiti di responsabilità nella medesima norma indicati».
Viene affermato che è da considerare quale naturale conseguenza della cancellazione della società
la ripercussione dei rapporti ancora in itinere nella sfera giuridica dei soci, configurandosi così il
fenomeno alla stregua di un rapporto successorio: in particolare si tratterebbe di successione inter
vivos (qualificazione attribuita dalla dottrina anche all'operazione straordinaria di fusione,
anteriormente alla riforma del diritto societario).
La tesi del fenomeno successorio è avvalorata dalla circostanza che i soci sono chiamati a
rispondere del medesimo rapporto già in capo all'ente estinto, e non ad una situazione giuridica
sorta ex novo e ad essi stessi imputabile ab origine.
I giudici, nella motivazione a sentenza, affrontano poi la questione della responsabilità dei soci nelle
società di capitali, ove, essi stessi, il più delle volte (salvo il caso dell'accomandatario di s.a.p.a.),
rispondono intra vires: viene affermato che tale circostanza, tuttavia, non sia sufficiente a far venir
meno il fenomeno successorio tipico del rapporto in commento.
Relativamente poi il termine di un anno, entro il quale poter far valere il diritto, viene sottolineato il
collegamento che l'art. 2495 cod. civ. in commento ha con l'art. 303 cod. proc. civ., sulla
continuazione del processo: detta ultima norma consente che, entro l'anno dalla morte della parte,
possa essere notificato l'atto di riassunzione agli eredi nell'ultimo domicilio del defunto. Entro detto
termine, conseguentemente, «i soci possono esser chiamati a rispondere dei debiti insoddisfatti della
società estinta».
Invece, relativamente alle situazione attive (attivi non liquidati e sopravvenienze attive), tuttora in
essere al momento della cancellazione della società dal registro delle imprese, secondo alcuni, tale
formalità andrebbe interpretata come «tacita manifestazione di volontà di rinunciare alla relativa
pretesa»: la cancellazione della società potrebbe essere interpretata come «univoca manifestazione
di volontà di rinunciare a quel credito (...) privilegiando una più rapida conclusione del
procedimento estintivo».
Secondo altri, opererebbe ugualmente il fenomeno successorio innanzi delineato per la successione
dei rapporti passivi; per altri ancora, si verrebbe a configurare una situazione assimilabile a quella
dell'eredità giacente, cui conseguirebbe la necessità di nominare un curatore speciale.
Viene affermato che è ragionevole ipotizzare che la titolarità dei beni e dei diritti residui o
sopravvenuti torni ad essere direttamente imputabile a coloro che della società costituiscono il sostrato personale: «il fatto che sia mancata la liquidazione di quei beni o di quei diritti, il cui valore
economico sarebbe stato altrimenti ripartito tra i soci, comporta che, sparita la società, s'instauri tra
i soci medesimi, (...) un regime di contitolarità o di comunione indivisa, onde anche la relativa
gestione seguirà il regime proprio della contitolarità o della comunione».
In conclusione, le Sezioni Unite affermano che, una volta cancellata la società, «le obbligazioni si
trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione
o illimitatamente, a seconda che, "pendente societate", essi fossero o meno illimitatamente
responsabili per i debiti sociali; si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di
comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta,
ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito
ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore
(giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di
ritenere che la società vi abbia rinunciato».
Infine, in merito al profilo processuale, è evidente che, una volta cancellata, non esiste più l'ente
società e, conseguentemente, lo stesso non può essere "parte processuale": non potrà quindi
instaurare un nuovo procedimento, o essere chiamata quale parte convenuta, ovvero, impugnare
provvedimenti giudiziari. Qualora la cancellazione della società dal registro delle imprese
intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento
interruttivo del processo, disciplinato dagli articoli 299 e seguenti cod. proc. civ., con facoltà di
proseguire o riassumere il procedimento nei confronti o da parte dei soci.
Secondo i giudici, quindi, il principio enunciato del fenomeno successorio per i debiti sociali,
consente di applicare il disposto di cui all'art. 110 cod. proc. civ. "Dell'esercizio dell'azione", avente
il seguente tenore: «Quando la parte viene meno per morte o per altra causa, il processo è
proseguito dal successore universale o in suo confronto», anche ai rapporti processuali. Qualora poi
la società sia stata cancellata - secondo le Sezioni Unite - appare inammissibile che la società non
più esistente possa impugnare un provvedimento: sarà quindi necessario che la prosecuzione del
processo venga esperita da una "giusta parte".
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Da: La Polizia Postale10/12/2013 14:43:58

- Messaggio eliminato -

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Da: aiutooo10/12/2013 14:45:32
dopo questa sessione, mi rendo conto sempre di più che il diritto non è per me... io avrei voluto studiare chimica farmaceutica, ma mi hanno sviato verso giurisprudenza :(
Rispondi

Da: daroma10/12/2013 14:46:26
qualcuno sa se hanno sequestrato cellulari all'ergife?
Rispondi

Da: La Polizia Postale10/12/2013 14:47:03

- Messaggio eliminato -

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