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12 dicembre 2012 - Parere Penale
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Da: TRACCIA12/12/2012 15:24:17
per la traccia 1 allora configuriamo il reato 600 ter comma 3 e il 600 quater???????????????rispondetemiiiii

Da: Avvocato 198012/12/2012 15:24:21
PARERE 1

La prima problematica che viene in rilievo nel caso di specie attiene alla possibilità di ritenere integrati gli estremi del delitto di peculato dalla condotta di Tizio, il quale, come si evince dalla traccia, riveste la qualità di pubblico ufficiale.

L'art. 314 c.p., come da ultimo novellato dalla  L. 6 novembre 2012, n. 190, prevede espressamente che "Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di danaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni".
Nella giurisprudenza della Suprema Corte si osserva un indirizzo interpretativo pacifico secondo il quale il momento consumativo del delitto di peculato deve individuarsi nel comportamento appropriativo dell'agente avente a oggetto il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia il possesso per ragioni d'ufficio o di servizio. In particolare, peraltro, a detta della Corte, l'interesse all'integrità patrimoniale della Pubblica Amministrazione viene leso dal comportamento incompatibile con il titolo per il quale si possiede il bene pubblico (ex plurimis, Cass. pen., Sez. VI, 3 novembre 2003 - 20 gennaio 2004, n. 1256) indipendentemente, quindi, dalla mancanza di danno patrimoniale conseguente all'appropriazione. In tale ipotesi, difatti, la condotta dell'agente lede l'altro interesse tutelato dalla disposizione, vale a dire il buon andamento, la legalità e l'imparzialità dell'amministrazione (Cass. pen., Sez. VI, 4 ottobre 2004 - 31 gennaio 2005, n. 2963).

A ciò si aggiunga che, secondo l'opinione della Suprema Corte "Non v'è dubbio che la condotta appropriativa del notaio vada qualificata come peculato. La qualifica di pubblico ufficiale spetta al notaio non solo nell'esercizio del suo potere certificativo in senso stretto, ma in tutta la sua complessa attività, disciplinata da norme di diritto pubblico (legge notarile) e diretta alla formazione di atti pubblici! (Cass. Pen. SEZ. V, 11 dicembre 2009, n. 47178)
Tornando al caso di specie, la circostanza che il notaio sia responsabile d'imposta ed assuma come tale la veste di coobbligato solidale, che la legge affianca al soggetto passivo d'imposta, al fine di agevolare la riscossione dei tributi, non vale certo ad escludere la qualifica pubblicistica che gli compete.

Configurandosi pertanto l'ipotesi di reato prevista dall'art. 314 c.p.c., Tizio  potrà essere  "punito con la reclusione da quattro a dieci anni" (art. 314 c.p. così come modificato dalla, L. 6 novembre 2012, n. 190.). Nel caso di specie si ritiene peraltro che ricorra altresì la c.d. "continuazione"  del reato in esame, in quanto Tizio con più azioni ha commesso una pluralità di violazioni della stessa disposizione di legge, in esecuzione del medesimo disegno criminoso.

Premesso quanto sopra, occorre ora chiedersi se effettivamente la misura cautelare della confisca possa o meno avere a oggetto i beni nella disponibilità di Tizio.

Nell'ambito delle misure di sicurezza la figura della confisca, la cui disciplina generale è contenuta nell'art. 240 c.p., assume un ruolo peculiare, Attraverso detta misura ablatoria vengono acquisiti dallo Stato beni che per la loro intrinseca natura ovvero per un collegamento funzionale con un illecito penale devono considerarsi criminosi.

Per quanto attiene ai presupposti applicativi della confisca occorre precisare che questa, a differenza della altre misure di sicurezza, prescinde dall'accertamento della pericolosità sociale del reo, essendo sufficiente la commissione di un reato o di un quasi reato.

In linea generale, essa è di applicazione facoltativa (art. 240, comma 1, c.p.) ovvero obbligatoria (art. 240, comma 2, c.p.)

Attraverso la l. 29 settembre 2000, n. 300, che ha inciso sul titolo dedicato ai delitti contro la Pubblica Amministrazione, la confisca obbligatoria è stata estesa, grazie alle previsioni contenute nell'art. 322 ter c.p.. ad alcune fattispecie ivi previste e, inoltre, è stato inserito l'istituto della confisca per equivalente, già contemplato dal nostro ordinamento in materia di usura (l.  7 marzo 1996, n. 108).

Il tratto che connota tale figura giuridica consiste nella possibilità, per l'autorità giudiziaria, di procedere, qualora manchino i beni che si identificano con il profitto e il prezzo del reato, all'ablazione di beni diversi per un valore equivalente al prezzo del reato (art. 322 ter, comma 1) ovvero al profitto del medesimo (art. 322 ter, comma 2, c.p.).
Nel caso di specie, la questione si colloca, insomma, nel contesto relativo alla definizione dello spettro operativo della confisca per equivalente disciplinata nell'art. 322 ter c.p.

L'art. 322 ter, introdotto nel codice penale dalla l. 29 settembre 2000, n. 300, in occasione delle ratifiche da parte del nostro Paese di specifiche convenzioni internazionali volte a contrastare i fenomeni corruttivi, dispone al comma 1, che in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei delitti contro la Pubblica Amministrazione previsti negli articoli da 314 a 322 c.p. è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono "il profitto o il prezzo" salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando questa non sia possibile, la confisca dei beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale "prezzo" (c.d. confisca per equivalente). Nei termini chiariti dall'autorevole insegnamento delle Sezioni unite della Suprema Corte, la ratio dell'istituto della confisca per equivalente risiede nella scelta di privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall'attività criminosa, anche di fronte all'impossibilità di aggredire l'oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale misura che assume a tutti gli effetti i tratti distintivi di una vera e propria sanzione (Cass. pen., S.U., 27 marzo 2008 - 2 luglio 2008, n. 26654).

Stando alla formulazione letterale della disposizione (art. 322 ter, comma 1, c.p.), come rilevato dalla costante e più recente giurisprudenza di legittimità, la confisca per equivalente non è applicabile in relazione al profitto del delitto di peculato (art. 314 c.p.), dovendo ritenersi limitata al solo tantundem del prezzo del reato (Cass. pen., Sez. VI, 5 novembre 2008 - 7 aprile 2009, n. 14966; Cass. pen., Sez. VI, 10 marzo 2009, n. 10679).

Depongono a favore di questa soluzione argomenti di diversa natura.

In prospettiva sistematica, si esclude che il legislatore abbia utilizzato nell'art. 322 ter c.p. il termine prezzo in senso atecnico, così da comprendere qualsiasi utilità connessa al reato, derogando alla disciplina generale stabilità nell'art. 240 c.p., ove le nozioni di prezzo e profitto sono nettamente distinte.

Da un punto di vista esegetico, poi, sembra chiara la volontà del legislatore di escludere, salvo le ipotesi del comma 2 dell'art. 322 ter c.p., il profitto del reato dalla confisca per equivalente.

In senso contrario si registra un isolato orientamento che aderisce a una interpretazione estensiva secondo la quale, riguardo al delitto di peculato, sono assoggettabili a confisca, ai sensi dell'art. 322 ter c.p., comma 1, beni nella disponibilità dell'imputato per un valore corrispondente a quello relativo al profitto o al prezzo del reato (Cass. pen., Sez. VI, 29 marzo 2006 - 17 luglio 2006, n. 24633).

Di recente, a dirimere l'illustrato contrasto giurisprudenziale sono intervenute le Sezioni unite della Suprema Corte. La Corte ha precisato che, in difetto di una nozione legale di profitto del reato, può accogliersi la ricostruzione semantica di tale concetto offerta dalla dominante giurisprudenza di legittimità secondo la quale esso deve essere identificato con il vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato e si contrappone al prodotto e al prezzo del reato. In particolare, il prodotto rappresenta ciò che materialmente deriva dall'illecito, vale a dire le cose create, trasformate, adulterate o acquisite mediante il reato, il prezzo, invece, deve individuarsi nel compenso dato o promesso a una determinata persona, a titolo di corrispettivo dell'esecuzione dell'illecito (ex plurimis, Cass. pen., S.U., 3 luglio 1996 - 17 ottobre 1996, n. 9149).
Le Sezioni unite, pertanto, alla luce della netta distinzione fra le nozioni di prezzo e profitto del reato, unitamente alla mancanza di una chiara indicazione legislativa che attribuisca a tali termini un significato diverso da quello comunemente assegnato dalla giurisprudenza di legittimità, ritengono che non sussista alcun elemento idoneo a far ritenere che il legislatore, nella formulazione dell'art. 322 ter, comma 1 c.p., abbia usato il termine prezzo in senso atecnico, così da includere qualsiasi utilità connessa al reato sicchè, con riferimento al delitto di peculato può disporsi la confisca per equivalente prevista dall'art. 322 ter, comma 1, ultima parte c.p., soltanto del prezzo e non anche del profitto (Cass. pen., S.U., 25 giugno 2009 - 6 ottobre 2010, n. 38691).

Premesso quanto sopra deve tuttavia essere rilevato, la L. 6 novembre 2012, n. 190 ha parzialmente modificato il citato articolo 322-ter, primo comma: dopo le parole: �«a tale prezzo�» sono difatti state aggiunte aggiunte le seguenti: �«o profitto�». A seguito dell'intervento del Legislatore, non v'è pertanto dubbio che, per quanto concerne la misura di sicurezza della confisca per i delitti con¬tenuti nel titolo II del Libro I del codice penale, ai sensi del novellato art. 322-ter c.p., in caso di condanna, è possibile disporre l'ablazione per equivalente non solo del prezzo del reato (cioè del corrispettivo per l'acquisto dell'utilità) ma anche del suo profitto, estendendo quindi la ritenzione a beni il cui valo¬re corrisponde all'utilità economica immediatamente derivante dall'avvenuto compimento del fatto illecito.

A ciò si aggiunga che,  come affermato dalla Corte di cassazione in numerose pronunce - la mancanza di pericolosità dei beni che sono oggetto della confisca per equivalente, unitamente all'assenza di un "rapporto di pertinenzialità" (inteso come nesso diretto, attuale e strumentale) tra il reato e detti beni, conferiscono all'indicata confisca una connotazione prevalentemente afflittiva, attribuendole, così, una natura "eminentemente sanzionatoria", che impedisce l'applicabilità a tale misura patrimoniale del principio generale dell'articolo 200 del codice penale, secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione, e possono essere, quindi, retroattive (ex multis, Cassazione penale, sentenze 39173, 39172 e 21566 del 2008). A tale conclusione si giunge sulla base della duplice considerazione che il secondo comma dell'articolo 25 della Costituzione vieta l'applicazione retroattiva di una sanzione penale, come deve qualificarsi la confisca per equivalente, e che la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto in contrasto con i princípi sanciti dall'articolo 7 della Convenzione l'applicazione retroattiva di una confisca di beni riconducibile proprio a un'ipotesi di confisca per equivalente (Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza 307A/1995, Welch v. Regno unito).

Stando così le cose, si ritiene che, nel caso di specie,

1.    laddove il reato sia stato commesso prima l'entrata in vigore della L. 6 novembre 2012, n. 190, Tizio potrà ottenere, previa istanza di riesame del sequestro preventivo, la restituzione dei propri beni;
2.    laddove il reato sia stato commesso dopo l'entrata in vigore della L. 6 novembre 2012, n. 190, i beni di tizio potranno essere validamente confiscati.

Da: bannate gli idioti12/12/2012 15:24:31

- Messaggio eliminato -

Da: dddddddddddd12/12/2012 15:25:57
Grazie Ulde 84!!!
Ragazzi, colleghi, stiamo buoni, se postiamo insulti reciproci o cattiverie non conclusiamo nulla, intasiamo il forum e facciamo danno a quei poveracci che stanno affrontando un compito difficilissimo......davvero, all'inizio l'avevo sottovalutato.

Da: TRACCIA12/12/2012 15:26:20
visto che hai finito dimmi per la traccia 1 allora configuriamo il reato 600 ter comma 3 e il 600 quater???????????????

Da: sensibile12/12/2012 15:26:30
ragazzi della traccia sul notaio parlano di appropriazione indebita ..è giusto?

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Da: dddddddddddd12/12/2012 15:27:11
No, l'appropriazione indebita non c'entra proprio nulla, si tratta di peculato

Da: caludiacali12/12/2012 15:27:20

- Messaggio eliminato -

Da: humus12/12/2012 15:27:25

- Messaggio eliminato -

Da: dolcenocciolina12/12/2012 15:28:02

- Messaggio eliminato -

Da: da non credere12/12/2012 15:28:22
110 e lode chi te l'ha dato??? Voi vi??? Invece di cazzeggiare vai a comprare uno zingarelli, potrebbe servirti! Che fastidio quelli che si bullano del voto, quando poi nel mondo del lavoro non conta niente.

Da: Chex 12/12/2012 15:31:00
Per quanto riguarda il parere sulla pedopornografia, il reato rientra nell'ipotesi dell'art. 600ter quarto comma con possibile aggravante.

A tal proposito, Il parere sulla pedopornografia scritto da wizipy risponde al quesito. Andrebbe solo eliminata la prima parte in quanto dottrina e partire dal punto "Nella fattispecie in esame Tizio...etc. etc."

Da: napoli e roma a che ora consegnano?12/12/2012 15:31:42
Napoli e Roma a che ora consegnano? per favore....qualcuno ha notizie?

Da: giiiii12/12/2012 15:32:31
no è peculato

Da: Copiateefatecopiare12/12/2012 15:33:01


La fattispecie oggetto del presente parere investe, sotto un profilo generale, il tema dell'attività notarile, che, svolta nell'ambito di un rigido sistema di controlli pubblici, costituisce un'esplicazione di un compito delegato dallo Stato: il c.d. esercizio privato di pubbliche funzioni.
Dalla natura pubblica del servizio offerto -caratterizzato dall'obbligatorietà della prestazione professionale- discende la rilevanza costituzionale dell'intervento notarile, la cui importanza traspare anche nell'ambito del sistema tributario con la riscossione delle imposte dovute per gli atti ricevuti.
Il modus di operare richiesto al P.U. rogante comporta che, nel caso in esame, il comportamento tenuto dal Notaio Tizio integra indubbiamente il delitto di peculato.
Si configura, infatti, il delitto di cui all'articolo 314 c.p. ogni qualvolta il denaro e' destinato alla pubblica amministrazione ed il soggetto fisico, che nel suo interesse agisce, lo riceve a tale titolo dal privato, sicche' il possesso conseguito rimane qualificato dal fine pubblico cui il bene risulta destinato. Ne consegue che detta somma entra immediatamente nella disponibilita' e nel patrimonio della pubblica amministrazione nel momento stesso della riscossione e della consegna al pubblico ufficiale. In altri termini, la pubblica amministrazione diviene immediatamente "proprietaria" di quella moneta individuata e quella moneta va versata dal pubblico ufficiale nelle casse della P.A. Detto denaro, quindi, non entra mai nel patrimonio del pubblico ufficiale, il quale, quindi, da una parte non diventa debitore di una somma nei confronti della P.A., ma ha l'obbligo giuridico di consegnare la moneta ricevuta e, dall'altra, non puo' effettuare la commistione tra il denaro ricevuto ed il proprio, poiche' cio' comporterebbe, a norma dell'articolo 939 c.c., l'acquisto della proprieta' del denaro da parte dello stesso pubblico ufficiale, salvo il sorgere di un debito pecuniario a suo carico.
Premesso cio', consegue che il pubblico ufficiale che trattiene o preleva di propria iniziativa cio' che ha ricevuto per conto della P.A., sottraendo alla disponibilita' della stessa la res o il denaro ricevuto, realizza l'appropriazione sanzionata dal delitto di peculato, intesa come inversione del titolo di possesso e cioe' comincia a comportarsi uti dominus nei confronti del bene, del quale ha appunto il possesso per ragione d'ufficio (Cass., Sez. 6A, 22.11.1996, Pravisani e da ultimo sez. 6 n. 27738 del 2010).
Tale elemento porta, poi, a ritenere fondatamente che, nella fattispecie in esame, non possa configurarsi il delitto di truffa, aggravata dall'abuso dei poteri o dalla violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione (art.61, n.9, c.p.), il quale postula che l'agente, inducendo taluno in errore attraverso artifizi o raggiri, consegua per se' o per altri "un ingiusto profitto", rappresentato dall'acquisita disponibilità della res o del danaro consegnato.
Del resto, la differenza di fondo fra i due illeciti risiede nel fatto che nel delitto di peculato il possesso e la disponibilita' del denaro per determinati fini istituzionali e' un antecedente della condotta incriminata (ad esempio, omesso versamento dell'imposta erariale), mentre nella truffa l'impossessamento della cosa e' l'effetto della condotta illecita.  Cosicché, la differenza va collocata nel momento consumativo dell'illecito penale, laddove nella truffa esso coincide con il conseguimento del possesso a cagione dell'inganno e quale diretta conseguenza di esso, il che significa appropriazione immediata e definitiva del denaro o della res a vantaggio personale dell'agente. Il peculato, invece, presuppone il legittimo possesso (disponibilita' materiale o giuridica), per ragione dell'ufficio o del servizio, del denaro o della res, che l'agente successivamente fa propri; condotta quest'ultima che, anche se eventualmente caratterizzata da aspetti di fraudolenza, non esclude la configurabilita' del delitto di cui all'articolo 314 c.p., fatte salve le ulteriori ipotesi di reato eventualmente concorrenti (nella specie, falso e uso abusivo di sigillo).
Posto, quindi, che il comportamento tenuto dal pubblico ufficiale rogante si inquadra nel paradigma di cui all'art.314 c.p., occorre, ora, esaminare la possibilità che i beni immobili del Notaio Tizio, sottoposti a sequestro preventivo durante la fase delle indagini preliminari ex art.321 c.p, possano, poi, in sede di eventuale condanna, formare oggetto di confisca per equivalente, a mente dell'art.322 ter c.p., tra l'altro oggetto di recente modifica legislativa (L.n.190 del6.11.2012). La norma codicistica citata, introdotta dalla legge 29 settembre 2000 n. 230, in occasione della ratifica di specifiche convenzioni internazionali volte a contrastare i fenomeni corruttivi, nella sua originaria formulazione, prevede(va), in particolare, al comma 1, in caso di condanna o di patteggiamento per i più gravi reati contro la pubblica amministrazione, tra cui il peculato, la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, ovvero, quando questa non sia possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente (tantundem) a tale prezzo.
È questa una disposizione di notevole valenza operativa, trattandosi di uno strumento sanzionatorio (squisitamente patrimoniale), che si affianca alla tradizionale risposta penale criminale per aggredire, molto più efficacemente e in un'ottica anche preventiva, il patrimonio del trasgressore: si incide non tanto sulla libertà personale, quanto piuttosto sui profitti illecitamente acquisiti con la commissione del reato (cfr., Cass. pen. 27 marzo 2008 - 2 luglio 2008, n. 26654). Nei termini chiariti dall'autorevole insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte, la ratio dell'istituto della confisca per equivalente risiede, dunque, nella scelta di privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall'attività criminosa, anche di fronte all'impossibilità di aggredire l'oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale misura che assume a tutti gli effetti i tratti distintivi di una vera e propria sanzione (Cass. pen., S.U., 27 marzo 2008 - 2 luglio 2008, n. 26654).
Stando alla formulazione letterale della disposizione (art. 322 ter, comma 1, c.p.), come rilevato dalla costante e più recente giurisprudenza di legittimità, la confisca per equivalente non è applicabile in relazione al profitto del delitto di peculato (art. 314 c.p.), dovendo ritenersi limitata al solo tantundem del prezzo del reato (Cass. pen., Sez. VI, 5 novembre 2008 - 7 aprile 2009, n. 14966; Cass. pen., Sez. VI, 10 marzo 2009, n. 10679). Depongono a favore di questa soluzione argomenti di diversa natura. In prospettiva sistematica, si esclude che il legislatore abbia utilizzato nell'art. 322 ter c.p. il termine prezzo in senso atecnico, così da comprendere qualsiasi utilità connessa al reato, derogando alla disciplina generale stabilità nell'art. 240 c.p., ove le nozioni di prezzo e profitto sono nettamente distinte. Da un punto di vista esegetico, poi, sembra chiara la volontà del legislatore di escludere, salvo le ipotesi del comma 2 dell'art. 322 ter c.p., il profitto del reato dalla confisca per equivalente. In senso contrario si registra un isolato orientamento che aderisce a una interpretazione estensiva secondo la quale, riguardo al delitto di peculato, sono assoggettabili a confisca, ai sensi dell'art. 322 ter c.p., comma 1, beni nella disponibilità dell'imputato per un valore corrispondente a quello relativo al profitto o al prezzo del reato (Cass. pen., Sez. VI, 29 marzo 2006 - 17 luglio 2006, n. 24633). Di recente, a dirimere l'illustrato contrasto giurisprudenziale sono intervenute le Sezioni unite della Suprema Corte (sent. 38691/2010). La Corte ha precisato che, in difetto di una nozione legale di profitto del reato, può accogliersi la ricostruzione semantica di tale concetto offerta dalla dominante giurisprudenza di legittimità secondo la quale esso deve essere identificato con il vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato e si contrappone al prodotto e al prezzo del reato. In particolare, il prodotto rappresenta ciò che materialmente deriva dall'illecito, vale a dire le cose create, trasformate, adulterate o acquisite mediante il reato, il prezzo, invece, deve individuarsi nel compenso dato o promesso a una determinata persona, a titolo di corrispettivo dell'esecuzione dell'illecito (ex plurimis, Cass. pen., S.U., 3 luglio 1996 - 17 ottobre 1996, n. 9149). Le Sezioni unite, pertanto, alla luce della netta distinzione fra le nozioni di prezzo e profitto del reato, unitamente alla mancanza di una chiara indicazione legislativa che attribuisca a tali termini un significato diverso da quello comunemente assegnato dalla giurisprudenza di legittimità, ritengono che non sussista alcun elemento idoneo a far ritenere che il legislatore, nella formulazione dell'art. 322 ter, comma 1°, c.p., abbia usato il termine prezzo in senso atecnico, così da includere qualsiasi utilità connessa al reato sicché, con riferimento al delitto di peculato può disporsi la confisca per equivalente prevista dall'art. 322 ter, comma 1, ultima parte c.p., soltanto del prezzo e non anche del profitto (Cass. pen., S.U., 25 giugno 2009 - 6 ottobre 2010, n. 38691). Nel caso di specie, accedendo all'ultimo indirizzo delle Sezioni unite, Tizio potrà ottenere, previa istanza di riesame del sequestro preventivo, la restituzione dei propri beni. Premesso quanto sopra, deve tuttavia essere rilevato, come già anticipato, che la L. 6 novembre 2012, n. 190 ha parzialmente modificato il citato articolo 322-ter, primo comma: infatti, dopo le parole: «a tale prezzo» sono state aggiunte le seguenti: «o profitto».
A seguito dell'intervento del Legislatore, non v'è pertanto dubbio che, per quanto concerne la misura di sicurezza della confisca per i delitti contenuti nel titolo II del Libro I del codice penale, ai sensi del novellato art. 322-ter c.p., in caso di condanna, è possibile disporre l'ablazione per equivalente non solo del prezzo del reato (cioè del corrispettivo per l'acquisto dell'utilità) ma anche del suo profitto, estendendo quindi la ritenzione a beni il cui valore corrisponde all'utilità economica immediatamente derivante dall'avvenuto compimento del fatto illecito.
Laddove, quindi, le condotte criminose di Tizio fossero totalmente o parzialmente posteriori all'entrata in vigore della  L. 190\12, i beni di Tizio potranno essere validamente confiscati in sede di condanna.

Da: roma 312/12/2012 15:33:13
Siete Patetici, avvocatelli frustrati che si vedono passare davanti tutti...andate a denunciare se proprio vi fa schifo invece di stare ad elargire pillole di saccenza e presunta preparazione.. Per Natale fatevi regalare un pò di vita "appagante e soddisfacente".

Da: tania 12121212/12/2012 15:33:24

- Messaggio eliminato -

Da: Copiateefatecopiare12/12/2012 15:34:00
pi so cazzi vostri se vi annullano i pareri bye

Da: dddddddddddd12/12/2012 15:35:32
Ok ragazzi vi saluto adesso, spero di esservi stato d'aiuto

Da: MEL12/12/2012 15:38:17
A NAPOLI DOVREBBERO CONSEGNARE INTORNO ALLE 18:05

Da: PARERE PEDOPORNOGRAFIA12/12/2012 15:38:59
state facendo un parere di DIRITTO PENALE non di PROCEDURA!!! concentratevi solo sulle fattispecie delittuose artt. 600 ter commi 3 e 4 e 600 quater E BASTAAAAAAAAAAA LASCIATE PERDERE L'ILLEGITTIMITA' DELLE PROVE ACQUISITE IL PARERE NON VI CHIEDE QUESTO!!!

Da: C.12/12/2012 15:41:50
io l'ho fatto l'anno scorso a Milano, senza uno straccio di aiuto dall'esterno. e vedere che c'è gente che dall'esame riesce a connettersi a internet e ad avere la soluzione bella e pronta MI FA SCHIFO. fatevi un esame di coscienza. soprattutto quelli che scrivono le soluzioni! spero che tutti quelli che hanno copiato cosi sfacciatamente vengono segati nei secoli dei secoli!!!! vergognatevi!!!

Da: vale........12/12/2012 15:42:50
ah.....via claudiaxxx..finalmente,nn se ne poteva piu'!!!!!

Da: Avvocatissimo 201212/12/2012 15:43:31
OGGI NAPOLI ESCE ALLE 18:15 :D BUON LAVORO A TUTTI :D

Da: plutin12/12/2012 15:44:49
un aiuto sulla pedopornografia

Da: jordi12/12/2012 15:45:04
qualcuno sa per caso a che ora consegnano a firenze?

Da: W STENDARDO12/12/2012 15:47:10
Scusate se esco un pò fuori tema, ma se c'è qualcuno in visione, che sta sostenendo l'esame a Salerno, facesse i miei complimenti al calciatore dell'Atalanta (Serie A), Guglielmo Stendardo, il quale nonostante il diniego della società, si è recato comunque a Salerno per sostenere l'esame. Guglielmo hai tutta la mia stima, e spero che l'Atalanta ed il mister ci ripensino a punirti.

Da: trax12/12/2012 15:49:39
La risposta al parere presuppone la necessità di esaminare la figura del notaio e la sua funzione, emergendo dalla traccia un'appropriazione di somme conferite da clienti per il pagamento dell'imposta di registro, di seguito bisognerà esaminare la confisca per equivalente, di cui all'art.322 ter c.p..
E' intuibile che astrattamente al notaio debba essere contestato il reato di peculato continuato, aggravato dal danno patrimoniale di rilevante gravità e dall'aver commesso il fatto abusando della sua funzione.
Va precisato il notaio, nel rogare un atto pubblico, per legge, può rifiutarsi nel caso la parte non gli corrisponda tra l'altro l'importo delle tasse.
Non solo ma lo stesso è obbligato ad effettuare un duplice adempimento nel termine di 30 giorni: la registrazione dell'atto; il pagamento delle rispettive imposte (di registro, catastali ed ipotecarie).
Il notaio  quale  pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni,che, avendone disponibilità per ragione della sua professione, si appropri reiteratamente di somme, complessivamente ingenti di denaro, risultando anche "sostituto d'imposta" ai sensi delle vigenti leggi, ottenute da parti acquirenti di atti di compravendita immobiliare, quale importo riferito ad imposte gravanti sugli stessi al momento della loro redazione o comunque anticipatamente rispetto alla loro registrazione,debba rispondere del delitto di peculato.
La qualifica di pubblico ufficiale,infatti, spetta al notaio non solo nell'esercizio del suo potere certificativo in senso stretto, ma in tutta la sua complessa attività, disciplinata da norme di diritto pubblico (legge notarile) e diretta alla formazione di atti pubblici (negozi giuridici notarili).
In tema di peculato per appropriazione il possesso costituisce il necessario presupposto del reato.
La nozione di possesso comprende non solo la  materiale detenzione, ma anche la disponibilità giuridica, nel senso che l'agente deve essere in grado, con un proprio atto dui disposizione, di entrare nella disponibilità del denaro e di appropriarselo.
L'inversione del titolo di possesso, nel caso in esame, consiste nell'aver ritenuto uti dominus il denaro, del quale abbia avuto il possesso in ragione del proprio ufficio, sicché l'appropriazione é l'effetto anche di atti di disposizione giuridica dello stesso (denaro), indisponibile, invece, in ragione di norme giuridiche.
Né potrebbe utilmente sostenersi che l'attività del notaio, nell'adempimento dell'obbligazione tributaria, andrebbe qualificata come estranea alla funzione pubblica svolta per la stipula degli atti.
Il fatto che il notaio sia responsabile d'imposta ed assuma come tale la veste di coobbligato solidale (dipendente), che la legge affianca al soggetto passivo d'imposta al fine di agevolare la riscossione dei tributi (cd. Interesse fiscale, tutelato dall'art.53 Costituzione), non vale certo ad escludere la qualifica pubblicistica che gli compete.
L'adempimento dell'obbligazione tributaria esalta,infatti, la funzione pubblica, siccome strutturalmente connessa con l'atto rogato e mirata al soddisfacimento di un interesse pubblico.
Per quanto concerne l'aggravante ex art.61 n.7 c.p. il danno provocato all'Erario è indicato come ingente, per cui, astrattamente, deve ritenersi applicabile la suddetta aggravante,laddove l'appropriazione sia qualificata ingente, non potendo paralizzarsi il giudizio negativo con il  ricorso al criterio soggettivo, riguardante la consistenza patrimoniale del soggetto passivo (Erario).
Ai fini dell'aggravante di cui all'art.61, n.11, c.p., è sufficiente l'avvalersi del rapporto di prestazione d'opera, nel senso che lo stesso sia stato l'occasione di commettere il reato, anche in danno di terzi estranei al rapporto stesso, agevolandone l'esecuzione .
L'illecita appropriazione si realizza tanto se il denaro sia considerato del cliente, quanto se sia vincolato al pagamento del tributo e ritenuto "pecunia publica" e la consumazione è agevolata dalla prestazione d'opera.
Il reato dovrà ritenersi avvinto dal vincolo della continuazione, ex art.81 c.p., trattandosi di unico disegno criminoso in presenza di più azioni illecite omogenee.
Quanto alla cautela del sequestro adottato dall'Autorità Giudiziaria e finalizzato alla confisca, va esaminato il profilo di compatibilità di esso con il delitto di peculato.
La legge  n.300 del 2000 ha introdotto l'istituto della confisca per equivalente per i reati contro la pubblica amministrazione, nel caso non fosse possibile agire direttamente su beni costituenti provento del reato, prevedendo l'aggressione di utilità patrimoniali di valore corrispondente, di cui il reo abbia la disponibilità.
La  disciplina generale della confisca è contenuta nell'art.240 c.p., attraverso essa vengono acquisiti beni che, per la loro intrinseca natura o per una relazione funzionale con il reato, debbano ritenersi criminosi.
L'applicazione prescinde dalla pericolosità del reo,essendo sufficiente la commissione di un reato o di un quasi reato.
Può essere facoltativa ( art.240,I°comma, c.p.) o obbligatoria (art.240,II° comma, c.p.).
Con la legge n.300 del 2000 la confisca obbligatoria è stata estesa, ex art.322 ter c.p., ad alcune fattispecie di reato in danno della pubblica amministrazione ed è stato introdotto l'istituto della confisca per equivalente, già previsto nel nostro ordinamento per il delitto di usura ex legge n.108 del 1996.
Con la confisca per equivalente è possibile procedere, in mancanza di beni riferibili al prezzo o provento del reato, all'ablazione di beni diversi per un equivalente al prezzo del reato (art.322 ter, I° comma, c.p.) o al profitto dello stesso (art.322 ter, II° comma, c.p.).
La previsione della "confisca per equivalente", nel caso in cui i beni costituenti il profitto o il prezzo del reato non siano aggredibili per qualsiasi ragione , tende a superare gli ostacoli e le difficoltà per la individuazione dei beni in cui si "incorpora" il profitto iniziale, nonchè i limiti che incontra la confisca dei beni di scambio o di quelli che ne costituiscono il reimpiego.
Ciò consegue che la stessa confisca per equivalente,  alla quale è funzionale il sequestro preventivo di ciò che a tale provvedimento ablativo può essere soggetto all'esito del procedimento, può riguardare beni che, oltre a non avere alcun rapporto con la pericolosità individuale del reo, neppure hanno alcun collegamento diretto con il singolo reato.
La ratio dell'istituto è quella di privare il reo di un qualunque beneficio o utilità  economica derivante dall'attività criminosa, anche di fronte all'impossibilità di aggredire l'oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento, che assume "i tratti distintivi di una vera e propria sanzione". (in termini Cass., Sez. Unite: 2.7.2008, n. 26654).
L'indirizzo giurisprudenziale prevalente, ancorato al dato letterale della norma, è orientato nel senso che la previsione della confiscabilità (e quindi del prodromico sequestro) per equivalente non è applicabile in relazione al "profitto" del delitto di cui all'art.314 c.p., dovendo ritenersi limitata, invece, al solo tantundem del "prezzo" del reato.
A sostegno si è rilevato che il legislatore  nella formulazione dell'art.322 ter c.p. non abbia indicato il termine "prezzo" atecnicamente, per ricomprendervi qualsiasi utilità connessa al reato, perché già l'art.240 c.p. distingue nettamente il prezzo ed il profitto, è impensabile, pertanto, che abbia derogato a tale norma;la definitiva stesura legislativa, a differenza del progetto preliminare e con una scelta normativa,ha limitato la confisca per i reati dall'art.314 all'art.322 bis c.p. all'equivalente del solo prezzo, chiaramente escludendo il profitto del reato da tale misura ablativa.
Ora il profitto a cui fa riferimento l'art.240 c.p., comma 1, deve essere identificato col vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato e si contrappone al "prodotto" e al "prezzo" del reato.
Il prodotto è il risultato empirico dell'illecito, cioè le cose create, trasformate, adulterate o acquisite mediante il reato; il prezzo va individuato nel compenso dato o promesso ad una determinata persona, come corrispettivo dell'esecuzione dell'illecito.
Va anche rilevato che laddove, come nel caso di specie, il comportamento penalmente rilevante venga attuato nell'ambito di un'attività contrattuale e non coincida con la stipulazione del contratto in sè, ma vada ad incidere unicamente sulla fase di esecuzione del programma negoziale, è possibile enucleare aspetti leciti del relativo rapporto, con la conseguenza che il corrispondente profitto tratto dall'agente ben può essere non riconducibile direttamente alla condotta sanzionata penalmente.
Il corrispettivo di una prestazione regolarmente eseguita dall'obbligato ed accettata dalla controparte, che ne trae comunque una concreto vantaggio, non può costituire, pertanto, una componente del profitto da reato, perchè trova titolo legittimo nella fisiologica dinamica contrattuale.
Quanto al prezzo del reato oltre ad identificarsi nel compenso dato o promesso ad una determinata persona, come corrispettivo dell'esecuzione dell'illecito, non può essere attribuita la definizione di "utilità economica" ricavata dalla commissione del reato.
E' da escludersi,pertanto,  che il legislatore abbia utilizzato il termine "prezzo" in senso atecnico, includendo in esso qualsiasi utilità connessa al reato.
Va,infine, rilevato che l'orientamento di recente (Cass. pen. Sez. VI, Sent.n.30109 del 23.7.2012) è stato confermato, ma è stato introdotto un ulteriore principio, ossia laddove il profitto del reato sia costituito da una somma di denaro, "il sequestro preventivo di disponibilità di conto corrente dell'imputato, e cioè di cose fungibili, finalizzato alla confisca , è legittimamente operato in base alla prima parte dell'art. 322 ter c.p., comma 1, realizzandosi un sequestro diretto e non "per equivalente" .
Il sequestro diretto, naturalmente, in tanto è possibile in quanto vi siano elementi probatori, che attestino la riconducibilità delle somme sequestrate e disponibili proprio al profitto del reato specificamente ascritto".
In conclusione quale legale di Tizio si dovrà consigliare innanzitutto di impugnare il sequestro operato dall'Autorità Giudiziaria innanzi al Tribunale del Riesame, competente territorialmente, per chiederne l'annullamento, al fine di vedersi restituiti i due appartamenti appresi, non potendosi gli stessi ritenersi prezzo del reato ( trattandosi di beni immobili e nella concorrenza degli elementi nemmeno profitto del reato).
Quanto all'ipotesi di peculato ascritto, ritenersi non configurabile l'aggravante ex art.61 n.7 c.p.,sia per la non eccessività della somma, sia per il principio per cui il danno va correlato non alla unitarietà degli importi, ma ad ogni singolo importo.
In ogni caso è consigliabile accedere all'istituto dell'applicazione della pena ex art.444 c.p.p., previo risarcimento del danno all'Erario ed ai clienti, che abbiano avuto accertamento di mancato pagamento dell'imposta dovuta, con ciò invocando l'attenuante ex art.62 n.6 c.p. e le attenuanti generiche ex art.62 bis c.p., con la determinazione di una pena contenuta nel minimo ed in entità tale da poter fruire del beneficio della sospensione condizionale.
Nel caso, infine, la condotta debba ritenersi, ma dalla traccia non emerge alcun elemento, successiva alla data del 28.11.2012,data di entrata in vigore della legge n.190 del 2012, bisognerà riferire al cliente Tizio della diversa possibilità ablativa, avendo, la citata legge, addizionato il termine "profitto" al primo comma dell'art.322 ter c.p..
Bisognerà,quindi, dimostrare che gli appartamenti non siano derivati dal vantaggio economico  conseguito dal reato  e con tali prove procedere all' impugnativa innanzi al Tribunale del Riesame, riservando all'esito della procedura incidentale ogni ulteriore determinazione in ordine al procedimento penale, tenendosi ben presente che con la nuova normativa, in caso di condanna, è possibile la confisca per equivalente.

Da: cri cri12/12/2012 15:50:35
la nuova legge del 2012 ha effetto retroattivo oppure trattandosi di norme processuoli si applicano da quel momento?
TRACCIA " 2

Da: Da LeggiOggi.it12/12/2012 15:50:51
Traccia Pedopornografia
Una delle migliori soluzioni

http://www.leggioggi.it/2012/12/12/esame-avvocato-2012-traccia-penale-pedopornografia-una-possibile-soluzione/

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