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12 dicembre 2012 - Parere Penale
1418 messaggi, letto 85005 volte
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Da: sos12/12/2012 12:13:55
La confisca per equivalente non è consentita per il profitto del reato di peculato
Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza 7 giugno 2011 n. 22502

Da: infiltrato in aula 12/12/2012 12:14:16
per basista..... mi sembra che ti piace molto fare polemiche ! partendo dal fatto che sono in parte daccordo con te, ma a mali estremi estremi rimedi, cmq io non resterei in un forum che non mi vuole, questo significa che fai delle guerre perse e non ti confronti, appreziamo la tua professionalità ma non comportarti da idiota e lascia il forum grazie.

Da: oclaf 12/12/2012 12:14:32
aoxomo allora è confermata?

Da: joe12/12/2012 12:14:44
basta litigare... non me ne frega delle vostre cose!!! Lasciate lavorare quelli più competenti e non occupate il forum con le vostre cazzate!

Da: ciccino22312/12/2012 12:14:52
la confisca è applicabile!!

Da: dddddddddddd12/12/2012 12:15:18
La confisca può colpire beni per un ammontare pari all'imposta evasa e alle sanzioni, essendo l'imposta evasa letta come vantaggio patrimoniale e riconducibile al c.d. profitto da risparmio economico con conseguente sottrazione degli importi evasi alla destinazione fiscale. Questo quanto deciso dalla Corte di Cassazione, III sezione penale  nella sentenza n. 45849 del 23 Novembre 2012

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Da: alescarm12/12/2012 12:16:15
mi dite per favore se lo svolgimento di aoxomo è giustooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo???

Da: ijhigigigigig12/12/2012 12:16:27
Col parere oggetto di svolgimento mi si chiede di illustrare la fattispecie penale individuabile dalla condotta del Notaio Tizio con particolare riferimento alle possibilità di confisca per  equivalente dei beni previamente sottoposti a sequestro.  Al fine di rendere il parere richiesto appare quindi necessario muovere dall'istituto della confisca così come previsto dall'art. 322-ter c.p. per i fini che a noi interessano.
La previsione di cui all'art. 322 ter introduce la confiscabilità per equivalente nel caso in cui i beni costituenti il "profitto" o il "prezzo" del reato non siano aggredibili per qualsiasi ragione. La norma prevede che la confisca possa riguardare beni dei quali il reo abbia in ogni caso "la disponibilità" per un valore corrispondente a quello che avrebbe dovuto altrimenti costituire oggetto della confisca.
Nell'ambito delle misure di sicurezza assume un ruolo peculiare la figura della confisca, la cui disciplina generale è contenuta nell'art. 240 c.p. Attraverso detta misura ablatoria vengono acquisiti dallo Stato beni che per la loro intrinseca natura, ovvero per un collegamento funzionale con un illecito penale, devono considerarsi criminosi. Per quanto attiene ai presupposti applicativi della confisca occorre precisare che questa, a differenza della altre misure di sicurezza, prescinde dall'accertamento della pericolosità sociale del reo, essendo sufficiente la commissione di un reato o di un quasi reato.
In linea generale, essa è di applicazione facoltativa (art. 240, comma 1, c.p.) ovvero obbligatoria (art. 240, comma 2, c.p.). Attraverso la l. 29 settembre 2000, n. 300, che ha inciso sul titolo dedicato ai delitti contro la Pubblica Amministrazione, la confisca obbligatoria è stata estesa, grazie alle previsioni contenute nell'art. 322 ter c.p.. ad alcune fattispecie ivi previste e, inoltre, è stato inserito l'istituto della confisca per equivalente, già contemplato dal nostro ordinamento in materia di usura (l.  7 marzo 1996, n. 108). Il tratto che connota tale figura giuridica consiste nella possibilità, per l'autorità giudiziaria, di procedere, qualora manchino i beni che si identificano con il profitto e il prezzo del reato, all'ablazione di beni diversi per un valore equivalente al prezzo del reato (art. 322 ter, comma 1) ovvero al profitto del medesimo (art. 322 ter, comma 2, c.p.).
Fin dall'introduzione dell'istituto della confisca si è aperto un dibattito relativo alla natura giuridica di tale sanzione penale. Precisamente, ci si è chiesti se, conformemente all'intitolato legale, debba considerarsi una misura di sicurezza ovvero assuma i tratti di una vera e propria pena.
La distinzione è di non poco momento, atteso che, ai sensi dell'art. 200 c.p., si applica alle misure di sicurezza un divieto di retroattività temperato, in forza del quale può trovare applicazione la legge in vigore al tempo dell'esecuzione della misura di sicurezza, ancorché sia diversa da quella prevista al tempo del reato commesso, mentre per le pene vale il principio di irretroattività sancito nell'art. 2, comma 1, c.p., il quale ammette deroghe soltanto a favore del reo. Secondo la tesi tradizionale, la ratio di tale opzione normativa riposa sulla diverse funzioni perseguite dalla pena e della misura di sicurezza. Nel primo caso prevalgono esigenze di prevenzione generale, nel secondo caso, invece, è valorizzato il contenuto terapeutico della misura sanzionatoria, sicché trova giustificazione l'applicazione di uno strumento più moderno, sebbene diverso da quello previsto al tempo della perfezione dell'illecito. Resta inteso che, per non svuotare di contenuto le garanzie del reo, è necessario che la previsione di una misura di sicurezza applicabile per il fatto realizzato già sussista al momento della commissione di questo.  
Proprio in materia di confisca per equivalente, le indicazioni provenienti dalla l. 29 settembre 2000, n. 300 orientano a ritenere che la confisca abbia una natura giuridica assimilabile a quella della pena. L'art. 15 (Norma transitoria), preclude infatti l'applicazione retroattiva della confisca per equivalente.
Detto rilievo, già condiviso dalla giurisprudenza delle Sezioni unite in materia di responsabilità degli enti dipendente da reato (Cass. pen., S.U., 27 marzo 2008 - 2 luglio 2008, n. 26654), è stato recentemente confermato dalla Corte costituzionale (Corte cost., 2 aprile 2009, n. 97) la quale, recependo l'approccio sostanzialistico in materia penale, tipico della giurisprudenza della Corte della Europea dei Diritti dell'Uomo, ha riconosciuto nella confisca per equivalente i tratti dell'afflittività, tipici della pena. Poste queste premesse, la Consulta ha statuito che un'applicazione retroattiva dell'istituto di cui all'art. 322 ter c.p. violerebbe l'art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, a tenore del quale nessuno può essere punito con un pena più grave di quella prevista al momento in cui è stato commesso il fatto e, conseguentemente, contrasterebbe con l'art. 117, comma 1, Cost. che impone al legislatore italiano di esercitare la potestà legislativa rispettando i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
La prima problematica che viene in rilievo nel caso di specie attiene alla possibilità di ritenere integrati gli estremi del delitto di peculato dalla condotta di Tizio, il quale riveste la qualità di soggetto pubblico. Nella giurisprudenza della Suprema Corte si osserva un indirizzo interpretativo pacifico secondo il quale il momento consumativo del delitto di peculato deve individuarsi nel comportamento appropriativo dell'agente avente a oggetto il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia il possesso per ragioni d'ufficio o di servizio.
Ed in effetti, a mente della Cassazione penale, sez. V, sentenza n�° 47178/2009, il notaio che ometta il versamento di somme, affidategli da clienti, destinate al pagamento dell'imposta di registro in relazione ad atti rogati incorre nel delitto di peculato. La condotta appropriativa del notaio deve essere qualificata come peculato. Infatti, la qualifica di pubblico ufficiale spetta al notaio non solo nell'esercizio del suo potere certificativo in senso stretto, ma in tutta la sua complessa attività, disciplinata da norme di diritto pubblico e diretta alla formazione di atti pubblici.
Occorre ora chiedersi se effettivamente la misura cautelare, funzionale a quella ablativa, potesse o meno avere a oggetto i beni nella disponibilità di Tizio.
La questione si colloca nel contesto relativo alla definizione dello spettro operativo della confisca per equivalente disciplinata nell'art. 322 ter c.p.
L'art. 322 ter, introdotto nel codice penale dalla l. 29 settembre 2000, n. 300, in occasione delle ratifiche da parte del nostro Paese di specifiche convenzioni internazionali volte a contrastare i fenomeni corruttivi, dispone al comma 1, che in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei delitti contro la Pubblica Amministrazione previsti negli articoli da 314 a 322 c.p. è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono "il profitto o il prezzo" salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando questa non sia possibile, la confisca dei beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale "prezzo" (c.d. confisca per equivalente). Nei termini chiariti dall'autorevole insegnamento delle Sezioni unite della Suprema Corte, la ratio dell'istituto della confisca per equivalente risiede nella scelta di privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall'attività criminosa, anche di fronte all'impossibilità di aggredire l'oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale misura che assume a tutti gli effetti i tratti distintivi di una vera e propria sanzione (Cass. pen., S.U., 27 marzo 2008 - 2 luglio 2008, n. 26654).
Stando alla formulazione letterale della disposizione (art. 322 ter, comma 1, c.p.), come rilevato dalla costante e più recente giurisprudenza di legittimità, la confisca per equivalente non è applicabile in relazione al profitto del delitto di peculato (art. 314 c.p.), dovendo ritenersi limitata al solo tantundem del prezzo del reato (Cass. pen., Sez. VI, 5 novembre 2008 - 7 aprile 2009, n. 14966; Cass. pen., Sez. VI, 10 marzo 2009, n. 10679).
Depongono a favore di questa soluzione argomenti di diversa natura.
In prospettiva sistematica, si esclude che il legislatore abbia utilizzato nell'art. 322 ter c.p. il termine prezzo in senso atecnico, così da comprendere qualsiasi utilità connessa al reato, derogando alla disciplina generale stabilità nell'art. 240 c.p., ove le nozioni di prezzo e profitto sono nettamente distinte.
Da un punto di vista esegetico, poi, sembra chiara la volontà del legislatore di escludere, salvo le ipotesi del comma 2 dell'art. 322 ter c.p., il profitto del reato dalla confisca per equivalente.
In senso contrario si registra un isolato orientamento che aderisce a una interpretazione estensiva secondo la quale, riguardo al delitto di peculato, sono assoggettabili a confisca, ai sensi dell'art. 322 ter c.p., comma 1, beni nella disponibilità dell'imputato per un valore corrispondente a quello relativo al profitto o al prezzo del reato (Cass. pen., Sez. VI, 29 marzo 2006 - 17 luglio 2006, n. 24633).
Di recente, a dirimere l'illustrato contrasto giurisprudenziale sono intervenute le Sezioni unite della Suprema Corte. La Corte ha precisato che, in difetto di una nozione legale di profitto del reato, può accogliersi la ricostruzione semantica di tale concetto offerta dalla dominante giurisprudenza di legittimità secondo la quale esso deve essere identificato con il vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato e si contrappone al prodotto e al prezzo del reato. In particolare, il prodotto rappresenta ciò che materialmente deriva dall'illecito, vale a dire le cose create, trasformate, adulterate o acquisite mediante il reato, il prezzo, invece, deve individuarsi nel compenso dato o promesso a una determinata persona, a titolo di corrispettivo dell'esecuzione dell'illecito (ex plurimis, Cass. pen., S.U., 3 luglio 1996 - 17 ottobre 1996, n. 9149).
Le Sezioni unite, pertanto, alla luce della netta distinzione fra le nozioni di prezzo e profitto del reato, unitamente alla mancanza di una chiara indicazione legislativa che attribuisca a tali termini un significato diverso da quello comunemente assegnato dalla giurisprudenza di legittimità, ritengono che non sussista alcun elemento idoneo a far ritenere che il legislatore, nella formulazione dell'art. 322 ter, comma 1�°, c.p., abbia usato il termine prezzo in senso atecnico, così da includere qualsiasi utilità connessa al reato sicché, con riferimento al delitto di peculato può disporsi la confisca per equivalente prevista dall'art. 322 ter, comma 1, ultima parte c.p., soltanto del prezzo e non anche del profitto (Cass. pen., S.U., 25 giugno 2009 - 6 ottobre 2010, n. 38691).
Nel caso di specie, accedendo all'ultimo indirizzo delle Sezioni unite, Tizio potrà ottenere, previa istanza di riesame del sequestro preventivo, la restituzione dei propri beni.

Da: praticante notaio12/12/2012 12:16:49
avv, allora possiamo limitarci a manzionare la modifica normativa  e dire che non si applica?

Da: ijhigigigigig12/12/2012 12:17:17
in bocca al lupo a tutti ragazzi.. lasciate perdere le provocazioni.. cambiatelo un po' altrimenti è inutile

Da: essere12/12/2012 12:18:27
si effettivamente sono tutti molto spaventati dalle tue "registrazioni"

Da: Avv. XDT12/12/2012 12:18:49
Responsabilità del notaio per il delitto di peculato
Cassazione penale , sez. V, sentenza 11.12.2009 n° 47178 (Simone Marani)


Al notaio spetta la qualifica di pubblico ufficiale?



/responsabilità del notaio /peculato /pubblico ufficiale /simone marani /notaio /







Responsabilità del notaio per il delitto di peculato







(Cass. pen., Sez. V, sentenza 11 dicembre 2009, n. 47178)

di Simone Marani

(Fonte: Altalex Mese - Schede di Giurisprudenza 2/2010)







Il quesito:
•Al notaio spetta la qualifica di pubblico ufficiale?

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Il caso

Tizio, notaio, ometteva il versamento di somme, affidategli da clienti, destinate al pagamento dell'imposta di registro in relazione ad atti rogati.


Nonostante che il Gip del Tribunale di Orvieto avesse dichiarato il non luogo a procedere nei confronti dell'imputato, perché il fatto non sussisteva, il Procuratore della Repubblica presso il medesimo Tribunale ricorre per Cassazione deducendo violazione di legge e vizio di motivazione.


Secondo il ricorrente, in particolare, nella condotta di Tizio sono individuabili tutti gli elementi del delitto di peculato, fra i quali, il "danno" per la Pubblica Amministrazione ed il "vantaggio" per il notaio inadempiente, a fronte dei versamenti omessi.










La normativa

Codice penale

Art. 314 (Peculato)

Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di un'altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da tre a dieci anni.

Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita.


Art. 357 (Nozione di pubblico ufficiale)

Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.

Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.







Inquadramento della problematica

La nozione di pubblico ufficiale è da sempre stata oggetto di controversia sia in dottrina che in giurisprudenza, stante la vaghezza delle definizioni legislative contenute all'interno degli artt. 357 e 358 c.p..


Mentre, per quanto attiene alla funzione legislativa e a quella giudiziaria l'ambito risulta essere di facile caratterizzazione, maggiori problematiche ha dato la funzione amministrativa, in quanto non inquadrabile in uno schema tipico.


L'intervento normativo, avvenuto con la L. 86/1990, modificata dalla L. 181/1992, ha contribuito a risolvere molti problemi interpretativi che l'originaria formulazione degli articoli sopra richiamati aveva suscitato. L'attuale formulazione dell'art. 357 c.p., infatti, si preoccupa di definire la funzione amministrativa come quella disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi (elementi di riconoscimento esterno), e caratterizzata dalla formulazione e manifestazione della volontà della pubblica amministrazione, nonché dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi (elementi di riconoscimento interno) ([i]).


Dalla definizione legislativa emerge come l'elemento che contraddistingue il pubblico ufficiale sia l'esercizio di una "funzione pubblica"; posto, però, che anche in merito al concetto di "funzione pubblica" non vi è una definizione univoca, le incertezze sembrano permanere all'interno della manualistica e delle corti.


Ciò brevemente precisato, ci dobbiamo domandare se l'attività svolta dal notaio possa essere qualificata "pubblica funzione", tale da attribuire al soggetto la qualifica di pubblico ufficiale e se, in caso di risposta positiva, Tizio possa essere ritenuto responsabile del delitto di peculato, previa verifica della sussistenza degli elementi costitutivi del reato.





La soluzione accolta dalla Suprema Corte

- Secondo un primo orientamento, per pubblica funzione si intende qualsiasi attività che sia capace di realizzare i fini propri dello Stato, anche se esercitata da soggetti estranei alla pubblica amministrazione. Di conseguenza, secondo tale impostazione, è pubblico ufficiale la persona chiamata a volere ed agire nell'interesse dello Stato o di una pubblica amministrazione ([ii]).


- Secondo una diversa teoria, per pubblico ufficiale si deve intendere il soggetto che: a) concorre a formare o forma la volontà dell'ente pubblico, ovvero che lo rappresentano all'esterno; b) è munito di poteri autoritativi; c) è munito di poteri certificativi ([iii]).


- In linea di prima approssimazione possiamo definire i poteri autoritativi come tutti quei poteri, non solo coercitivi, che sono esplicazione di un potere pubblico discrezionale nei confronti di un soggetto che non si trova su un piano paritetico rispetto alla pubblica amministrazione.


- Nel novero dei poteri certificativi rientrano quelle attività di documentazione cui l'ordinamento riconosce efficacia probatoria quindi, come tale, anche l'attività posta in essere dal notaio, dagli agenti di cambio, dai mediatori autorizzati, ecc. Come affermato anche dal giudice nomofilattico "l'elemento caratterizzante della qualità di pubblico ufficiale è quello dell'esistenza del potere pubblico autoritativo in senso lato, del quale, in sostanza, fa parte anche il potere certificativo. L'esistenza di quest'ultimo non necessariamente deve essere prevista in maniera esplicita, ben potendo risultare dalla natura dell'atto posto in essere, in relazione ai fini dello stesso" ([iv]).


- Secondo l'opinione dei giudici "Non v'è dubbio che la condotta appropriativa del notaio vada qualificata come peculato. La qualifica di pubblico ufficiale spetta al notaio non solo nell'esercizio del suo potere certificativo in senso stretto, ma in tutta la sua complessa attività, disciplinata da norme di diritto pubblico (legge notarile) e diretta alla formazione di atti pubblici (negozi giuridici notarili)" ([v]).


- Orientamento che trova conferma nella più recente giurisprudenza di legittimità, secondo la quale "commette il reato di peculato il notaio che, incaricato della levata di protesti cambiari, si appropria del denaro derivante dall'incasso degli effetti cambiari consegnatogli per detto scopo, omettendo di effettuare il pagamento nel tempo dovuto ai creditori e trattenendo le somme incassate su conto corrente personale. Il notaio conserva infatti la qualità di pubblico ufficiale anche successivamente alla levata del protesto, come si ricava dall'art. 9, comma 4, L. 12 giugno 1973, n. 349, in base al quale il notaio è annoverato tra i pubblici ufficiali che hanno l'obbligo di versare l'importo dei titoli pagati il giorno non festivo successivo a quello del pagamento" ([vi]).


- Tornando al caso di specie, non può essere accolta la tesi difensiva secondo la quale l'attività del notaio, nell'adempimento dell'obbligazione tributaria vada qualificata come estranea alla funzione pubblica svolta per la stipula degli atti.


- Il fatto che il notaio sia responsabile d'imposta ed assuma come tale la veste di coobbligato solidale, che la legge affianca al soggetto passivo d'imposta, al fine di agevolare la riscossione dei tributi, non vale certo ad escludere la qualifica pubblicistica che gli compete.


- Per tali motivi, la Suprema Corte annulla la sentenza impugnata.

Da: help sister12/12/2012 12:19:05
Potrei sapere le sentenze definitive delle due tracce????? Grazie!

Da: giiiii12/12/2012 12:19:15
ma la legge DEL 2012 CHE INCLUDE IL PROFITTO CAMBIA QUALCOSA??????NELLA TRACCIA NON è SPECIFICATO A QUAN DO SI RIFERISCONO I FATTI PER CUI POTREBBE ANCHE ESSEREA APPLICABILE???? QUALCUNO RISPONDE????

Da: goodfella 12/12/2012 12:20:06

- Messaggio eliminato -

Da: castigatore12/12/2012 12:20:31
basita..chiudi quella fogna.......!!!!

Da: uniti!!!12/12/2012 12:21:04
giiiiiiiiii
sono daccordo con te
non fa riferimento al periodo e, cosa importantissima, i candidati non possono avere questo riferimento!!!

Da: enzo2712/12/2012 12:21:34
ragazzi qualcosa sulla pedopornografia vi pregoooo

Da: stellaw7712/12/2012 12:22:53
basita vai a farti una scopata

Da: trips x traccia pedoporn12/12/2012 12:23:51
ho trovato questo in giro non so se può essere d'aiuto

da AvvocatoInforma di Assunta Panaia
Pedopornografia on line: dal viaggio virtuale ai risvolti penali

Il confine tra il virtuale e il reale è molto sottile. E certe azioni compiute nel mondo del web, discutibili prima di tutto dal punto di vista morale, sociale e psicologico, che hanno come oggetto l'essere umano, tanto più se minorenne, non possono non avere ripercussioni anche penali. Episodi di pedopornografia negli ultimi tempi si susseguono vorticosamente. A volte nell'anonimato, trincerati in una pseudo incoscienza. A volte scoperti, smascherati. Ma non per questo debitamente puniti. Il legislatore, nella consapevolezza che ogni condotta criminale contro i minori sia violativa del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale, ha creato una nuova normativa, la legge n. 38 del 6 febbraio 2006, in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e di contrasto al fenomeno della diffusione della pornografia infantile anche a mezzo internet.
Con specifico riferimento alla distribuzione telematica di materiale pedopornografico, che con l'avvento di internet ha preso particolarmente piede e di cui ci preme trattare, l'art. 600-ter, comma 3, del codice penale punisce con la pena della reclusione da uno a cinque anni colui che distribuisce, divulga, diffonde e pubblicizza, anche per via telematica, materiale pornografico, e dunque immagini ritraenti minori d'età coinvolti in comportamenti sessualmente espliciti.

Il caso Di recente, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 42509 del 1 dicembre 2010, è stata chiamata a pronunciarsi sul caso di un giovane condannato nel merito per essere stato trovato, a seguito di una perquisizione eseguita dalla polizia giudiziaria presso la sua abitazione, in possesso di materiale pedopornografico, in particolare custodito nella propria stanza da letto. Erano stati rinvenuti, oltre al pc del giovane, ancora acceso e collegato ad internet mediante linea adsl, numerose videocassette, cd e floppy disk, contenenti filmati sia di genere pornografico che pedopornografico. Inoltre, era stato trovato all'interno dell'hard disk del computer del giovane non solo materiale pedopornografico, ma anche un programma di condivisione (Kazaa) che consentiva all'utilizzatore del pc di condividere il materiale residente sulla memoria fisica con altri utenti della rete. Ebbene, i giudici di legittimità proprio in relazione al caso in esame hanno affermato il principio secondo cui la condotta di colui che provvede a distribuire telematicamente immagini pedopornografiche, utilizzando la cosiddetta tecnologia peer to peer, e, dunque, un programma che consente di condividere il materiale illecito contenuto nel proprio computer con altri utenti della rete internet, integra il reato previsto dall'art. 600-ter, comma 3, c.p. Non solo. La Suprema Corte, in ordine agli effetti prescrizionali, ha attribuito al delitto in esame la natura di reato "istantaneo", poiché si concretizza "ogniqualvolta" viene posta in essere la distribuzione, divulgazione, diffusione o pubblicizzazione di materiale pornografico prodotto mediante la partecipazione di minori di diciotto anni. Fatta questa breve premessa sull'"istantaneità" del delitto e prescindendo dall'analizzare il problema, già sviscerato in sentenza, della prescrizione di questo tipo di reato, che, peraltro, ha fatto sì che l'imputato fosse parzialmente prosciolto in Cassazione, ciò che in questo contesto più interessa è individuare, avvalendosi sempre della giurisprudenza di legittimità, la natura giuridica del reato di pedopornografia e le ipotesi di sua configurabilità. Tanto allo scopo di consentire di individuare il limite tra il lecito e l'illecito nel momento in cui, navigando su internet, si venga a contatto con immagini pedopornografiche, correndo il rischio penale, consapevolmente o inconsapevolmente, di porre in essere delle condotte non del tutto ortodosse e ad ogni modo criticabili sul piano morale, sociale e psicologico.

La configurabilita' del reato ex art. 600-ter, comma 3, c.p. Gli ermellini già con sentenza n. 23164 del 5 luglio 2006 avevano affermato che il reato sussiste quando il materiale sia propagato ad un numero indeterminato di destinatari, come avviene nell'ipotesi di inserimento nella rete internet di filmati aventi come oggetto esibizioni pornografiche da parte di minori di anni diciotto e anche di anni quattordici mediante il modello di comunicazione "peer to peer". Poi, al fine di chiarire i profili applicativi della fattispecie incriminatrice, hanno precisato che commette il delitto di divulgazione via internet di materiale pedopornografico (e non quello di mera cessione dello stesso, prevista al comma 4 dell'art. 600-ter c.p.), non solo chi utilizzi programmi di "file-sharing peer to peer", ma anche chi impieghi una "chat line". Quest'ultima, infatti, è uno spazio virtuale, strutturato in canali, in cui un solo "nickname", necessario ad accedere alla cartella-immagini o video, può essere utilizzato da più persone, alle quali siano state rese note l'"username" e la "password", che in tal modo possono ricevere e trasmettere materiale pedopornografico. Secondo la Cassazione tale sistema, in particolare, rende possibile trasferire il materiale pedopornografico a molteplici destinatari. E, pertanto, non si differenzia dalla divulgazione vera e propria, sempre che risulti provata in capo all'agente la volontà alla divulgazione, come nel caso in cui la trasmissione sia stata reiteratamente rivolta a più persone (Cass. pen., sez. IIII, 15 gennaio 2007, n. 593). E ancora, i giudici di legittimità hanno specificato che la condotta di divulgazione di materiale pedopornografico, che avvenga in via automatica mediante l'utilizzo di appositi programmi di scaricamento da internet, che ne consentano al contempo la condivisione con altri utenti (ad esempio il programma cosiddetto "eMule"), presuppone comunque che i "files" di cui si compone il materiale siano interamente scaricati e visionabili, nonché lasciati nella cartella dei "files" destinati alla condivisione (Cass. pen., sez. III, 13 marzo 2009, n. 11169); fermo restando che il reato in questione si configura con la mera immissione in rete del materiale pedopornografico, in quanto si tratta di una condotta idonea a rendere concretamente possibile la diffusione del materiale, stante la possibilità di accesso al medesimo da parte di un numero indeterminato di persone (Cass. pen., sez. III, 13 luglio 2009, n. 28524). Inoltre, la Suprema Corte ha anche affermato che tale reato non è di tipo abituale e può concretizzarsi anche in un solo atto.

L'elemento psicologico Ciò che poi rileva ai fini della sua perseguibilità del reato di cui all'art. 600-ter, comma 3, c.p. è la consapevolezza in capo all'agente della detenzione del materiale pedopornografico, oggetto di divulgazione e diffusione nella rete internet. Cosicché, è ritenuta involontaria la divulgazione e la diffusione via internet di "files" pedopornografici compiute automaticamente dal programma di condivisione dati, installato sul computer dell'indagato, ove i "files" vengano rinvenuti nella memoria "cache", e non all'interno di una cartella. L'utente che, dunque, si dovesse ritrovare senza volontà a visionare immagini pedopornografiche non può essere ritenuto un soggetto che consapevolmente ha cercato o raggiunto tali immagini. Tuttavia, in tale caso, per tutelarsi e rimanere estraneo da possibili coinvolgimenti penali, dovrà evitare prima di tutto di scaricare il materiale, giacché il download può ritenersi attività equivalente alla condotta del "procurarsi" materiale pedopornografico, e dovrà immediatamente chiudere la sessione sulla quale sta navigando. Inoltre, l'utente "passivamente e inconsciamente coinvolto" potrà segnalare il sito che effettua pedopornografia all'indirizzo http://www.commissariatodips.it/stanze.php?strparent=10, usufruendo del servizio specifico realizzato dalla Polizia di Stato all'interno del sito del Commissariato di Polizia di Stato per venire incontro alle esigenze dei cittadini. In questa pagina sarà possibile anche denunciare reati telematici e avere informazioni di carattere generale in materia informatica.

Da: 000000054123356612/12/2012 12:23:55
Ma Roma quando ha iniziato?!?!?!?!??

Da: goodfella 12/12/2012 12:24:04

- Messaggio eliminato -

Da: Es avv 201212/12/2012 12:24:44
Per giiiiii: mi puoi dire di quale legge del 2012 parli? mi indichi per favore i riferimenti

Da: spillo 8512/12/2012 12:25:30
ma perchè a basita rispondete e a me non mi pensate nemmeno?voglio le sentenze della prima traccia!!!!!!!!!

Da: 000000054123356612/12/2012 12:25:53
ROMA! Quando ha iniziato o finisce più o meno?!? Grazie in anticipo

Da: lecce x lecce12/12/2012 12:25:57
Scusate potete ripostare la soluzione di aoxomo. Vi prego! Grazie!!

Da: avv12/12/2012 12:25:57
In merito alla confisca, secondo me, non essendoci un problema di successione di leggi nel tempo dato che vige il principio del tempus regit actum, bisogna solo ragionare se ci poteva o non ci poteva stare, senza porsi altri problemi. Lo scopo della traccia è che il candidato capisca se, essendo confiscabile per equivalente una somma pari al prezzo o profitto, questa confisca sia legittima o meno.

Da: akitainu12/12/2012 12:26:53
DAL SITO:
http://www.giurdanella.it/articolo/esame-avvocato-2012-parere-penale-traccia-notaio-riferimenti-normativi-e-giurisprudenziali

RIFERIMENTI NORMATIVI E GIURISPRUDENZIALI

Riferimenti normativi: art. 314 c.p. ( peculato)  e 322 ter c.p. (confisca per equivalente)
  
(1) In materia di responsabilità del notaio e peculato, si veda Cassazione penale, sez. V, sentenza n° 47178/2009. "Il notaio che ometta il versamento di somme, affidategli da clienti, destinate al pagamento dell'imposta di registro in relazione ad atti rogati incorre nel delitto di peculato. La condotta appropriativa del notaio deve essere qualificata come peculato. Infatti, la qualifica di pubblico ufficiale spetta al notaio non solo nell'esercizio del suo potere certificativo in senso stretto, ma in tutta la sua complessa attività, disciplinata da norme di diritto pubblico (legge notarile) e diretta alla formazione di atti pubblici (negozi giuridici notarili)".
  
(2) In tema di peculato e confisca per equivalente, si veda Cassazione penale, SS.UU., sentenza 06.10.2009 n° 38691. In tema di peculato, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca "per equivalente" disciplinata dall'art. 322 ter, comma primo cod. pen., può essere disposto, in base al testuale tenore della norma, soltanto per il prezzo e non anche per il profitto del reato.

(3) In tema di peculato, si veda Cassazione penale, sez. VI, sentenza 20.05.2009 n° 21165.
La confisca per equivalente prevista dall'articolo 322-ter, comma 1, ultima parte, del Cp, nel caso di condanna o di applicazione della pena per taluno dei delitti di cui agli articoli da 314 a 320 del Cp, può essere rapportata, in base al dato testuale della norma, non al profitto, ma soltanto al prezzo del reato, inteso in senso tecnico quale corrispettivo dell'esecuzione del reato pattuito e percepito dal suo autore, e in tale nozione non è certamente riconducibile il provento del delitto di peculato.

(4) Sentenza n. 37960 del 2011 Notaio accusato di peculato e con debiti per tributi evasi.

La previsione di cui all'art. 322 ter introduce la confiscabilità per equivalente nel caso in cui i beni costituenti il "profitto" o il "prezzo" del reato non siano aggredibili per qualsiasi ragione. La norma prevede che la confisca possa riguardare beni dei quali il reo abbia in ogni caso "la disponibilità" per un valore corrispondente a quello che avrebbe dovuto altrimenti costituire oggetto della confisca.

Da: spillo 8512/12/2012 12:26:59
ma perchè a basita rispondete e a me non mi pensate nemmeno?voglio le sentenze della prima traccia!!!!!!!!!

Da: BOH12/12/2012 12:27:44
TRACCIA PEDOPORNOGRAFIA CHE VE NE PARE ???

Pedopornografia on line: mero uso di programma file sharing non configura reato
Cassazione penale , sez. III, sentenza 28.11.2011 n° 44065

La sentenza in argomento affronta forse uno degli argomenti più odiosi che coinvolgono Internet con le sue indubbie potenzialità e cioè la pedopornografia on line realizzata attraverso il peer to peer.

In particolare il caso riguarda un imputato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 600-ter, terzo comma, c.p. per avere divulgato, mettendo a disposizione degli altri utenti del web, materiale pornografico prodotto con protagonisti minori degli anni 18, consentendo a chiunque fosse in quel momento collegato al servizio di file sharing di scaricare l'anzidetto materiale pedopornografico.

Come è noto il file sharing letteralmente significa "condivisione di file" e si realizza concretamente attraverso la messa a disposizione reciproca da parte di tutti gli utenti che si collegano ad un determinato server, di alcuni files presenti sul disco fisso. Questi files, quindi, possono essere tranquillamente scambiati tra gli utenti che decidono di aderire a tale sistema. Il più famoso programma di file sharing è stato sicuramente Napster, i cui guai giudiziari sono ben noti a seguito dell'intervento delle case discografiche, ma bisogna riconoscere che dopo Napster sono sorti tanti altri sistemi che si fondano sulla stessa tecnologia come: WinMX, Morpheus, Gnutella, Kazaa (che sfrutta la rete di Morpheus) e Aimster, Netbrilliant, Imesh, Scour Exchange, Wrapster. Questi sistemi sono molto più evoluti e permettono di condividere non solo file mp3 ma qualsiasi tipo di file audio, video, .xls, .doc, .txt, etc.

Il problema è che le reti peer to peer (così vengono denominate le reti che utilizzano questi sistemi di file sharing) sono allo stato attuale difficilissime da controllare e questo particolare meccanismo di condivisione dei files consente di evadere le legislazioni di tutto il mondo oltre che rendere difficile il concreto accertamento di reati e l' acquisizione di prove. Basti pensare che in questo modo possono essere diffusi non solo file musicali "pirata" come nel caso di Napster, ma anche software abusivi, opere cinematografiche, filmati pedopornografici, per non parlare poi delle frequenti violazioni della privacy. A complicare ulteriormente le cose è anche la relativa facilità di installazione di queste reti che non richiedono particolari accorgimenti di natura tecnica.

Queste difficoltà, appena evidenziate, rappresentano le motivazioni principali della difesa dell'imputato che, nel caso di specie, contesta la validità ed attendibilità degli elementi probatori raccolti quali l'individuazione del nickname nonché della cartella di condivisione contenente l'immagine incriminata ed il reperimento di immagini pedopornografiche nella memoria del computer, avvenuto successivamente, in sede di perquisizione, presso l'abitazione dell'imputato.

Tali contestazioni non convincono la Suprema Corte che, invece, sostiene la perfetta coerenza e validità degli elementi probatori raccolti i quali, considerati nella loro complessità, risultano senz'altro decisivi.

La Suprema Corte, invece, condivide quanto contestato dalla difesa in merito alla carenza di prove circa l'esistenza dell'elemento psicologico del reato contestato e cioè dell'art. 600-ter del c.p. Difatti ai fini della configurabilità del dolo, richiesto dalla normativa richiamata, è necessario che il soggetto abbia avuto, non solo la volontà di procurarsi materiale pedopornografico, ma anche la specifica volontà di distribuirlo, divulgarlo, diffonderlo o pubblicizzarlo, desumibile da elementi specifici ed ulteriori rispetto al mero uso di un programma di file sharing. Tale elemento secondo la Corte poteva essere facilmente acquisito attraverso ulteriori indagini.

Rimane configurabile, quindi, nel caso di specie, il reato di cui all'art. 600-quater cod. pen., poiché l'imputato si è consapevolmente procurato l'immagine (scaricandone una da altri utenti attraverso il programma Kazaa) ed ha consapevolmente detenuto file pedopornografici.

Naturalmente, però, avendo la Corte d'Appello contestato il solo reato di cui all'art. 600-ter cod. pen., la Suprema Corte non può far altro che annullare la sentenza impugnata con rinvio, limitatamente alla determinazione della pena applicabile.

Si ricorda che attualmente il problema della pedofilia e della pornografia infantile su Internet è particolarmente sentito, non solo in Italia, ma anche in ambiente comunitario, per non dire mondiale, basti pensare alla decisione n. 276/1999/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 gennaio 1999 che ha adottato un piano pluriennale d'azione comunitario per promuovere l'uso sicuro di Internet attraverso la lotta alle informazioni di contenuto illegale e nocivo diffuse attraverso le reti, o alla risoluzione del Parlamento europeo dell'11 aprile 2000 (la quale ribadisce che il turismo sessuale che coinvolge l'infanzia è un reato strettamente connesso ai reati di sfruttamento sessuale dei bambini e di pornografia infantile, e allo stesso tempo chiede alla Commissione di presentare al Consiglio una proposta di decisione quadro che stabilisca le regole minime comuni relative agli elementi costitutivi dei suddetti atti criminosi) oppure alla successiva decisione del Consiglio UE del 29 maggio 2000 relativa alla lotta contro la pornografia infantile su Internet che cerca di favorire la più ampia e rapida cooperazione degli Stati membri per agevolare l'efficace accertamento dei reati e la relativa repressione conformemente agli accordi ed alle modalità vigenti (art. 2) o ancora alle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere.

In Italia il problema dei rapporti tra pedofilia ed Internet, è stato affrontato inizialmente dalla Legge 3 agosto 1998, n. 269 recante "Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù" successivamente integrata dalla Legge 6 febbraio 2006, n. 38 recante "Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet".

La Legge n. 269/98 per combattere la prostituzione, la pornografia ed il turismo sessuale in danno dei minori ha introdotto alcune norme nel codice penale tra cui i già menzionati artt. 600-ter e 600-quater, poi modificati in parte dalla Legge n. 38/2006.

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